La Franco Martelli (g.c. Letterio Tomasello via www.naviearmatori.net)
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Motonave cisterna da
10.535 tsl, 9327 tsn e 14.886 tpl, lunga 159,7 (o 150) metri e larga 20,8,
pescaggio 11,1 m, velocità 13-14 nodi, autonomia massima 6500 miglia. Appartenente
all’AGIP, iscritta con matricola 2277 al Compartimento Marittimo di Genova.
Con le gemelle Iridio Mantovani, Sergio Laghi e Giulio Giordani (10.500 tsl e 15.000
tpl), tutte battezzate, per disposizione del governo, con nomi di Medaglie
d’oro al Valor Militare, faceva parte del programma di modernizzazione della
flotta AGIP; le più grandi, moderne e veloci motonavi cisterna italiane della
loro epoca, gioielli della cantieristica italiana, erano le “superpetroliere”
del tempo.
Breve e parziale cronologia.
1937
Impostata nei
Cantieri Navali Riuniti di Palermo alla presenza di Benito Mussolini.
17 maggio 1939
Varata nei Cantieri
Navali Riuniti di Palermo. Essendo una costruzione interamente autarchica, la
stampa dà gran risalto al varo della Martelli
e della gemella Iridio Mantovani.
1939
Completata (prima
delle quattro unità della sua serie ad entrare in servizio) per l’Azienda
Generale Italiana Petroli (AGIP).
Violare il blocco
Anche la Franco Martelli, come non poche delle
migliori e più moderne unità della Marina Mercantile, si venne a trovare
bloccata ben al di fuori del Mediterraneo, in Sudamerica, quando l’Italia entrò
nella seconda guerra mondiale, il 10 giugno 1940. La petroliera dovette
rifugiarsi a Recife (Pernambuco), nell’allora neutrale Brasile, e lì rimase per
nove mesi.
Lo Stato Maggiore
della Regia Marina, tuttavia, decise di far tentare la partenza delle navi
mercantili internate nei paesi neutrali più relativamente favorevoli
all’Italia, quali la Spagna, il Giappone ed anche il Brasile: tali navi
avrebbero violato il blocco Alleato e raggiunto Bordeaux, in Francia, sede
della base atlantica italiana di Betasom, per poi essere messe a disposizione
delle forze tedesche, mentre i loro carichi – rimasti a bordo dal 10 giugno
1940 – sarebbero stati spediti in Italia.
Per prime, tra
febbraio e giugno 1941, erano state fatte partire le navi internate in Spagna
(tre unità, tutte giunte a Bordeaux), poi (aprile-giugno 1941) quelle internate
alle Canarie (cinque arrivate in Francia, quattro perdute nel tentativo); dopo
di loro fu il turno dei mercantili internati nel Brasile, nelle cui acque
incrociavano diverse unità della Royal Navy con il preciso scopo d’intercettare
i violatori di blocco, tra cui i grossi incrociatori ausiliari Asturias e Circassia. La posacavi britannica Norseman andava e veniva continuamente a Recife, caricando
provviste, acqua, carburante ed altri rifornimenti che poi trasbordava sulle
navi da guerra che, non potendo entrare in un porto neutrale per via delle
convenzioni internazionali, attendevano al largo. Al contempo, la Norseman poteva così controllare le navi
italiane bloccate a Recife, per vedere se vi fossero cambiamenti che potessero
far pensare ad un’imminente partenza.
Supermarina si servì
dell’addetto navale in Brasile, CF Torriani, e del suo vice TV Di Vicino per
contattare i comandanti delle 18 navi mercantili italiane bloccate in porti
brasiliani (il transatlantico Conte
Grande, due petroliere e 15 navi da carico) e così selezionare quelle in
condizioni adeguate alla traversata oceanica che le attendeva. Ne risultò che
undici navi erano inidonee all’impresa: tra le sette “fortunate”, invece
(cinque piroscafi, una motonave ed entrambe le navi cisterna), ci fu anche la Franco Martelli, la più moderna tra le
navi italiane internate in Brasile (i cui motori erano persino ancora in
garanzia).
Le prime due navi
designate per la partenza furono proprio le due uniche navi cisterna: la Franco Martelli stessa e la ben più
vecchia Frisco, internata a
Fortaleza. Sarebbero dovute partire più o meno contemporaneamente, la sera del
28 marzo 1941.
Alle otto di sera del
28 marzo, pertanto, la Franco Martelli,
al comando del capitano di lungo corso Giuseppe Cardillo e con un equipaggio di
38 uomini (direttore di macchina era Antonio Vignolo), lasciò Recife per
raggiungere Bordeaux, nella Francia occupata, violando il blocco alleato. Nelle
sue cisterne si trovavano 13.660 tonnellate di preziosa nafta.
La partenza non
dovette purtroppo passare in gran segreto, dal momento che già l’indomani ne
davano notizia svariati giornali Alleati e neutrali (specificando pure che la Martelli era carica di carburante),
insieme a quella della quasi contemporanea partenza della cisterna Frisco, anch’essa italiana, e del
mercantile tedesco Dresden, sempre
dal Brasile. Ciononostante, per qualche settimana la navigazione procedette rapidamente
e senza intoppi, lungo le rotte indicate per la traversata.
Alle nove del 18
aprile 1941, mentre la Franco Martelli
procedeva nel Golfo di Biscaglia, la vedetta in coffa e lo stesso comandante
Cardillo (che si trovava sull’ala dritta di plancia, mentre il terzo ufficiale
era sull’ala sinistra ed il primo ufficiale in sala nautica) avvistarono un
aereo in arrivo da est: il velivolo risultò essere della Luftwaffe, e dopo
averlo riconosciuto il comandante Cardillo fece stendere la bandiera italiana
in coperta, per rendersi a sua volta riconoscibile. Dopo aver compiuto un giro,
l’aereo si allontanò verso ovest, e la petroliera proseguì nella navigazione.
(Altre fonti parlano di due aerei tedeschi che sorvolavano la zona).
Passarono solamente
tre quarti d’ora prima che, quando la petroliera era già arrivata a duecento
miglia da Belle Isle, il sommergibile britannico Urge la colpì con un siluro a prua sinistra, immobilizzandola.
L’Urge, al comando del tenente di vascello
Edward Philip Tomkinson, si stava trasferendo dal Regno Unito (aveva lasciato
Portsmouth il 14 aprile) al Mediterraneo (pattugliando nel mentre le acque del
Golfo di Biscaglia ed al largo di Gibilterra), dov’era stato dislocato a Malta,
quando alle 11.24 (ora dell’Urge,
diversa da quella indicata dalla Martelli
a causa dei differenti fusi orari) aveva rilevato il rumore di una nave su
rilevamento 240°, per poi avvistare, tre minuti più tardi, la Franco Martelli, nel punto 46°51’ N e 08°49’
O, a 4600 metri di distanza. Alle 11.37 l’Urge
aveva lanciato due siluri, da una distanza di 1370 metri, contro la petroliera:
uno aveva mancato il bersaglio, il secondo l’aveva colpita all’altezza della
sala macchine.
Il comandante
Cardillo, che era sull’ala di plancia di dritta, intento ad osservare il cielo
ad est per vedere se vi fossero altri aerei, sentì lo scoppio sul lato
sinistro, un forte scossone verso centro nave e poi una colonna d’acqua, nafta
e rottami, che ricaddero anche in coperta.
Il contraccolpo della
detonazione fece saltare i massimi elettrici (interruttori di massima) dei
macchinari ausiliari (che erano azionati da motori elettrici) situati in sala
macchine, sotto il ponte di coperta, facendo così fermare subito anche il motore
principale.
Considerando anche
che probabilmente l’aereo visto in precedenza avrebbe dovuto avvistare un
sommergibile, il capitano Cardillo ritenne che la sua nave avesse urtato una
mina. Dato che in pochissimo tempo la Martelli
si era abbassata sul mare sino a trovarsi con il ponte di coperta quasi a pelo
d’acqua, Cardillo ordinò all’equipaggio di salire in coperta ed abbandonare la
nave, ma – spiegò al primo ufficiale – di restare poi nei pressi della Martelli, così che, se davvero fosse
stata solo una mina e la nave fosse rimasta a galla, sarebbe stato possibile
tornare a bordo per rimettere in funzione il motore e ripartire.
Fortunatamente, il mare (forza 4) non era molto mosso, sebbene nemmeno calmo.
Tomkinson, però, era
deciso a non lasciarsi sfuggire la ghiotta preda: dato che la cisterna, pur
immobilizzata, non accennava ad affondare, fece lanciare un altro siluro,
mirando sotto la plancia.
Dodici minuti dopo la
prima esplosione, mentre l’equipaggio stava ammainando le lance, la Martelli fu raggiunta da un secondo
siluro, che la colpì sul lato sinistro, all’altezza della sala macchine. Il
comandante Cardillo ordinò al radiotelegrafista di lanciare i segnali
prescritti per gli attacchi di sommergibili, ma quest’ultimo tornò poco dopo
dalla sala radio, spiegando che tanto la radio ad onde corte quando quella ad
onde medie avevano smesso di funzionare, e pure la radio di soccorso era in
avaria. Senza darsi per vinti, Cardillo ed il radiotelegrafista tornarono in
sala radio e cercarono di rimettere in efficienza almeno l’apparato di
soccorso, ma non servì a nulla: alla fine dovettero tornare sconfitti sul ponte
lance. Nel frattempo l’equipaggio aveva preso posto nelle imbarcazioni, che (per
via del mare mosso) si erano scostate dallo scafo per non andare a sbattere
contro di esso, rischiando di essere danneggiate o distrutte; gli ultimi uomini
rimasti a bordo si calavano giù lungo una biscaglina, poi si gettavano in mare
e venivano recuperati da quelli che si trovavano sulle lance. Il
radiotelegrafista, come il comandante, fu uno degli ultimi ad abbandonare la
nave (l’ultimo, eccetto il comandante, a salvarsi). Anche il comandante
Cardillo, accertatosi che a bordo non vi fosse più nessuno, si accinse a fare
così, calandosi lungo la biscaglina, ma il motorista di garanzia della FIAT
imbarcato sulla Martelli, Bruno
Manfrin, che si trovava sotto di lui, esitava a tuffarsi in acqua. Purtroppo,
proprio in quel momento un colpo sollevò la biscaglina sulla quale si trovavano
Cardillo e Manfrin, che caddero in acqua: Cardillo, colto da un malore, perse i
sensi ma poté essere recuperato da una lancia accorsa in aiuto, ma Manfrin
scomparve sotto le onde. Bruno Manfrin fu l’unica vittima dell’equipaggio della
Franco Martelli; il suo corpo non
venne mai ritrovato.
Sopraggiunse un altro
aereo della Luftwaffe, che avvistò le lance e le sorvolò, prima di
allontanarsi, comunicando la loro posizione e facendo scattare i soccorsi.
Il capitano Cardillo
si riprese dopo circa un’ora, e gli fu detto che Manfrin era l’unico che mancasse
all’appello. La Franco Martelli affondò
lentamente di poppa, inabissandosi 35 minuti dopo il primo lancio da parte
dell’Urge (che ne registrò
l’affondamento alle 12.12) nel punto 46°31’ N e 08°46’ O, trecento miglia ad
ovest di Saint Nazaire.
Ai 37 (per altra
fonte 33) naufraghi sulle lance, dopo aver invano setacciato le acque
circostanti alla ricerca di Manfrin, non rimase che issare le vele in dotazione
e fare rotta verso sud, in direzione della Francia. Grazie alla comunicazione
dell’aereo tedesco, alcuni dragamine della Kriegsmarine vennero incontro alle
lance della petroliera, recuperando tutti i naufraghi.
Il comandante della
base atlantica italiana di Bordeaux (Betasom), l’ammiraglio di divisione Angelo
Parona, ordinò immediatamente un’inchiesta sulla perdita della moderna
motocisterna e del suo carico. Parona sottolineò che se la Martelli non fosse rimasta ferma per 12 minuti, ma avesse tentato
prima possibile di sostituire i massimi saltati e così rimettere in moto il motore
principale, per poi compiere un’ampia accostata sul lato dal quale era arrivato
il siluro, la seconda arma avrebbe potuto essere evitata, ma Cardillo –
accusato di aver dato troppo precipitosamente l’ordine di abbandonare la nave –
si difese spiegando che il sorvolo da parte dell’aereo tedesco, con la sua
vigilanza, aveva fatto loro escludere la presenza di battelli nemici (sebbene,
ammise Cardillo, i profondi fondali della zona rendessero poco probabile la
presenza di mine), e che intendeva tornare a bordo se questa fosse rimasta in
condizioni di galleggiabilità. Cionondimeno Parona indicò nella sua relazione
(che mandò a Supermarina il 27 aprile 1941) che il comportamento del comandante
Cardillo dimostrava la scarsa preparazione dei comandanti di navi mercantili
alla condotta in tempo di guerra, sollecitando l’emanazione di specifici ordini
per il caso di attacco da parte di unità nemiche. Supermarina richiese che
Betasom e l’ufficio di collegamento della Regia Marina a Berlino suggerissero
alle autorità tedesche di segnalare prontamente eventuali avvistamenti di unità
nemiche in zone prossime a quelle dove sarebbero dovuti passare i violatori di
blocco, oltre che di modificare opportunamente le rotte in tal caso.
L’equipaggio della Franco Martelli venne rimpatriato, e
tornò a navigare sui mercantili nelle sempre più pericolose acque del
Mediterraneo. Tra di essi, il carpentiere Nicolò Piccardo finì sulla Giulio Giordani, gemella della Martelli, affondata da aerosiluranti
britannici nel novembre 1942. Riassegnato alla motonave Monginevro, vi trovò la morte durante un attacco aereo a Biserta
nel dicembre 1942.
L’affondamento della Franco Martelli nel giornale di bordo
dell’Urge (da Uboat.net):
“1124 hours - Heard
HE bearing 240°.
1127 hours - In
position 46°51'N, 08°29'W sighted a large tanker at a range of 5000 yards.
Started attack. There was no escort.
1137 hours - Fired
two torpedoes from 1500 yards. The second torpedo hit in the engine room. As
the ship then stopped but did not sink another torpedo was fired that hit under
the bridge.
1212 hours - The
tanker was seen to sink.”
L’affondamento della Franco Martelli nelle parole del
comandante Cardillo:
“Alle ore 09.00 del
giorno 18 c.m. fu avvistato dalla vedetta in coffa e dal sottoscritto un aereo
che proveniva da levante. Riconosciutolo tedesco ho mostrato la bandiera stesa
in coperta. Dopo un giro e ripartito per ponente. Il 3° ufficiale era sull'ala
sinistra di plancia, il l° ufficiale in sala nautica ed io sull'ala dritta
della plancia. Alle 09.45 mentre sull'ala destra della plancia stavo osservando
verso levante per vedere se vi fosse qualche altro apparecchio, ho sentito uno
scoppio sul lato sinistro della nave ed un forte scossone verso la parte
centrale.
Ho visto una colonna
d'acqua, nafta e rottami che si sono riversati anche sul ponte. Ho creduto che
fosse stata una mina, dato anche il precedente avvistamento dell'aereo. Il
bastimento si è abbassato con la coperta quasi a fior d'acqua. Ho ordinato
all'equipaggio di mettersi nelle lance e di calarsi in mare.
Contemporaneamente ho
detto al l° ufficiale che saremmo rimasti nelle vicinanze così che se si fosse
trattato di una semplice mina saremmo ritornati a bordo per cercare di
rimettere in efficienza l'apparato motore e proseguire la navigazione. Le
condizioni del mare erano discrete (mare forza 4). « Mentre si ammainavano le
lance è arrivato il secondo siluro sempre dal lato sinistro, il quale ha
colpito la nave all'altezza del locale motori. Ho inviato il radiotelegrafista
a dare i segnali convenzionali di attacco di sommergibili, ma il
radiotelegrafista ritornava poco dopo riferendomi che i due apparati a onde
corte e medie non funzionavano più; l'apparato di soccorso era pure in avaria.
Pur non di meno con il radiotelegrafista siamo tornati in stazione cercando di
mettere in moto almeno quest'ultimo. Visti inutili tutti i tentativi siamo
ritornati sul ponte lance e dopo essermi assicurato che
tutto l'equipaggio
era nelle imbarcazioni di salvataggio mi sono calato per la biscaglina per
imbarcarmi su una lancia. Le imbarcazioni si erano scostate per non fracassarsi
sotto il bordo. Dalla biscaglina il personale rimasto si buttava in acqua e
veniva raccolto dalle lance. Il motorista di garanzia della FIAT Manfrin Bruno
che era sotto di me, indugiava a buttarsi in acqua; un colpo ha sollevato la
biscaglina nella quale eravamo noi due. Mi sono trovato in acqua e sono stato
raccolto da una lancia. Il motorista di garanzia era scomparso, io avevo
perduto i sensi e quando sono rinvenuto mi è stato comunicato che mancava solo
lui. Intanto la nave stava lentamente affondando dalla parte poppiera. Quando
ho ripreso i sensi (sono stato svenuto circa un'ora) mi è stato detto che un
aereo tedesco aveva sorvolato le lance.
Abbiamo messo la vela
dirigendo a Sud.”
Un’altra immagine della
petroliera (da Dobrillo Dupuis, “Forzate il blocco! L’odissea delle navi
italiane rimaste fuori degli stretti allo scoppio della guerra”, Mursia, 1975)
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L’affondamento della Franco Martelli nel libro “The History of the British U-class Submarine” La Franco Martelli su Lemairesoft Weekly Résumé No. 83 of the Naval, Military and Air Situation from 12 noon March 27th, to 12 noon April 3rd, 1941 The World’s Merchant Fleet, 1939
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