lunedì 22 giugno 2020

Solferino

La Solferino nei primi anni di servizio (da www.kreiser.unoforum.pro)

Torpediniera, già cacciatorpediniere, della classe Palestro (862 tonnellate di dislocamento standard, 1033 in carico normale, 1180 a pieno carico). Durante la guerra fu impiegata nella scorta di convogli, in massima parte nel Basso Adriatico e nell’Egeo; secondo una fonte avrebbe anche svolto attività di posa di mine alla deriva. Dal 10 giugno 1940 all’8 settembre 1943 svolse quasi 200 missioni di guerra, percorrendo 67.000 miglia nautiche.
Il suo motto era “Osare”.

Breve e parziale cronologia.

21 aprile 1917
Impostazione nei cantieri Fratelli Orlando di Livorno.
28 aprile 1920
Varo nei cantieri Fratelli Orlando di Livorno.
31 ottobre 1921
Entrata in servizio.
Nei primi sei mesi di attività, è impegnato prevalentemente nell’addestramento iniziale.

Il Solferino in una foto dell’11 novembre 1921 (da www.kreiser.unoforum.pro)
Al largo di Livorno nel 1921 (Archivio storico Cantiere Azimut Benetti-Livorno, via www.associazione-venus.it)

3 dicembre 1921
Riceve a Monaco la bandiera di combattimento, offerta dalla locale comunità italiana.

Il Solferino a Monaco negli anni Venti (da “I cacciatorpediniere italiani” di Giuseppe Fioravanzo, USMM, 1969, via www.modellismopiu.it)

Aprile 1922
Assegnato alla Divisione del Levante, viene dislocato ad Istanbul, dove rimane per circa un anno, svolgendo varie missioni nel Dodecaneso e lungo la costa egea della Turchia.

Il Solferino in entrata in Mar Piccolo a Taranto, in un’epoca compresa tra il 1924 ed il 1927 (g.c. Marcello Risolo, via www.naviearmatori.net)

1924-1927
Opera in Mar Tirreno; in due occasioni è di scorta alla nave reale Savoia.
1925
È comandante del Solferino il capitano di fregata Bruno Brivonesi.

Bruno Brivonesi, comandante del Solferino a metà anni Venti, qui in divisa da ammiraglio durante la seconda guerra mondiale

1927
Trasferito nel Sud Italia.
1927-1937
Svolge frequenti crociere in Mediterraneo orientale.

Solferino (primo a sinistra), Confienza ed altri cacciatorpediniere a Siracusa il 27 aprile 1927; sullo sfondo la nave reale Savoia (Coll. Giuliano Franceschi, via www.associazione-venus.it)
La nave nella seconda metà degli anni Venti (da www.marina.difesa.it)

1929
Il Solferino forma la VII Squadriglia Cacciatorpediniere assieme ai gemelli Palestro, Confienza e San Martino. La VII Squadriglia, insieme alla VIII (formata dai cacciatorpediniere Curtatone, Castelfidardo, Calatafimi e Monzambano) ed all’esploratore Augusto Riboty (unità capo flottiglia), forma la 4a Flottiglia Cacciatorpediniere della II Divisione Siluranti (2a Squadra Navale, con base a Taranto).


Sopra: il Solferino prima dell’allungamento del fumaiolo prodiero (Coll. Luigi Accorsi, via www.associazione-venus.it); sotto, la nave nel 1935, con il fumaiolo prodiero allungato (da www.kreiser.unoforum.pro)


1930
Lavori di modifica: il fumaiolo prodiero viene allungato per impedire al fumo di ostacolare l’utilizzo delle apparecchiature di tiro. (Per altra fonte, questa modifica risalirebbe al 1927; per altra ancora, probabilmente erronea, al 1938).
1937
Il peso degli anni si fa sentire sul Solferino, la cui attività inizia ad essere ridotta.

Il Solferino durante una mareggiata, a inizio 1938 (foto Falzone, via Coll. Luigi Accorsi e www.associazione-venus.it)

1° ottobre 1938
Declassato a torpediniera.
10 giugno 1940
All’ingresso dell’Italia nella seconda guerra mondiale, la Solferino (tenente di vascello Antonio Giungi) forma, con le gemelle Palestro, ConfienzaSan Martino, la XV Squadriglia Torpediniere, di base a Venezia (alle dipendenze del Comando Militare Marittimo Autonomo Alto Adriatico).

La Solferino a Messina a fine anni Trenta (Coll. N. Siracusano, via Maurizio Brescia e www.associazione-venus.it)

20 agosto 1940
Posta alle dipendenze del neocostituito Comando Superiore Traffico Albania (Maritrafalba, al comando del capitano di vascello Romolo Polacchini), avente sede a Brindisi, assieme alle altrettanto anziane torpediniere PalestroCastelfidardoMonzambanoAngelo BassiniNicola Fabrizi e Giacomo Medici, alle più moderne torpediniere PartenopePolluce e Pleiadi, ai vecchi cacciatorpediniere Carlo Mirabello ed Augusto Riboty, agli incrociatori ausiliari RAMB IIICapitano A. Cecchi e Barletta ed alla XIII Squadriglia MAS con i MAS 534535538 e 539.
Dislocata a Brindisi, viene destinata a compiti di scorta ai convogli tra Italia ed Albania, nonché ricerca e caccia antisommergibile sulle stesse rotte.
26 agosto 1940
La Solferino, insieme alla Palestro ed ad un’altra torpediniera, l’Angelo Bassini, vengono inviate a dare la caccia al sommergibile britannico Perseus (capitano di fregata Peter Joseph Howell Bartlett), che alle 13.33 ha infruttuosamente attaccato la motonave Filippo Grimani al largo di Durazzo. La Grimani ha lanciato un SOS alle 12.57, segnalando la presenza di un sommergibile in posizione 41°13’ N e 18°55’ E (ad una trentina di miglia da Durazzo), ed alle 13.53 ha segnalato l’avvistamento di tre scie di siluri.
Le torpediniere, in cooperazione con mezzi aerei, proseguono le ricerche del sommergibile per tutto il pomeriggio, ma senza risultato.
6 settembre 1940
La Solferino, il cacciatorpediniere Carlo Mirabello e l’incrociatore ausiliario RAMB III scortano da Bari a Durazzo le motonavi Catalani e Viminale, aventi a bordo 2186 soldati e 57 tonnellate di automezzi ed altri materiali.
7 settembre 1940
Solferino e Mirabello scortano il piroscafo Italia e la motonave Rossini di ritorno, scarichi, da Durazzo a Bari.
8 settembre 1940
Solferino, Mirabello e l’incrociatore ausiliario Barletta scortano i piroscafi Galilea e Quirinale, aventi a bordo 2364 militari e 145 tonnellate di rifornimenti, da Bari a Durazzo.

La Solferino a inizio 1940 (Coll. Luigi Accorsi, via www.associazione-venus.it)

10 settembre 1940
Solferino e Palestro scortano da Durazzo a Bari GalileaQuirinale ed un terzo piroscafo, l'Oreste, di ritorno scarichi.
21 settembre 1940
Scorta da Valona a Bari la nave cisterna Nautilus ed i piroscafi Procione e Polcevera, di ritorno scarichi in Italia.
25 settembre 1940
Solferino, Barletta e la torpediniera Monzambano scortano da Bari a Durazzo Galilea e Quirinale, con a bordo 2195 uomini della 29a Divisione Fanteria "Piemonte" (primi reparti di questa Divisione ad essere trasferiti in Albania: il resto seguirà nei giorni successivi) e 148 tonnellate di materiali.
26 settembre 1940
Solferino e Monzambano scortano Galilea e Quirinale di ritorno scarichi da Durazzo a Bari.
28 settembre 1940
SolferinoMonzambano e Barletta scortano da Bari a Durazzo Catalani e Viminale, con a bordo 2140 militari e 109 tonnellate di materiali.
29 settembre 1940
La Solferino scorta Catalani e Viminale di ritorno scariche da Durazzo a Bari.
1° ottobre 1940
Solferino, Barletta e la più moderna torpediniera Partenope scortano da Bari a Durazzo, via Brindisi, le motonavi Rossini e Viminale ed il piroscafo Italia, con 2200 soldati e 90 tonnellate di materiali.
2 ottobre 1940
Solferino e Partenope scortano Italia, Rossini e Viminale di ritorno vuoti da Durazzo a Bari.
12 ottobre 1940
Scioglimento di Maritrafalba.
21 ottobre 1940
Ricostituzione di Maritrafalba (capitano di vascello Romolo Polacchini); la Solferino viene nuovamente assegnata a tale Comando, insieme ai vecchi cacciatorpediniere Carlo Mirabello ed Augusto Riboty, alle torpediniere  CurtatoneCastelfidardoCalatafimiMonzambanoConfienzaGenerale Antonio Cantore, Generale Marcello PrestinariNicola Fabrizi e Giacomo Medici, agli incrociatori ausiliari RAMB IIICapitano A. CecchiLago Tana e Lago Zuai ed alla XIII Squadriglia MAS con i MAS 534535538 e 539. Dislocate a Brindisi, le unità di Maritrafalba sono adibite alla scorta dei convogli in navigazione tra Italia ed Albania, nonché a mansioni di ricerca e caccia antisommergibili sulle stesse rotte.
28 ottobre 1940
La Solferino, la torpediniera Generale Marcello Prestinari ed il piccolo incrociatore ausiliario Lago Zuai salpano da Bari alle 17 scortando i piroscafi ArgentinaFirenze e Premuda, carichi di 1871 soldati, 150 quadrupedi, 27 automezzi e 184 tonnellate di rifornimenti.
29 ottobre 1940
Il convoglio arriva a Valona alle 6.30.
31 ottobre 1940
Alle 23.30 la Solferino salpa da Bari unitamente agli incrociatori ausiliari Capitano A. Cecchi e RAMB III, scortando i piroscafi Campidoglio e Principessa Giovanna e la motonave Città di Marsala, aventi a bordo in tutto 2873 soldati.
1° novembre 1940
Il convoglio raggiunge Durazzo alle sei del mattino.
2 novembre 1940
Solferino e RAMB III partono da Bari alle 00.30 e scortano a Durazzo, dove arrivano alle 16.10, le motonavi Verdi e Puccini ed il piroscafo Caron, con a bordo 1500 uomini e 62 tonnellate di materiali.
5 novembre 1940
La Solferino lascia Durazzo alle 12.30 e scorta a Valona, dove giunge alle 23, il piroscafo Antonio Locatelli.
7 novembre 1940
All’una di notte la Solferino lascia Valona per scortare a Brindisi, dove arriva alle 8.40, la motonave Piero Foscari, carica di merci varie.
8 novembre 1940
All’una di notte Solferino e RAMB III salpano da Brindisi per scortare a Valona, dove giungono alle 14, la motonave Viminale, avente a bordo 957 uomini, 29 automezzi, 241 motocicli e 188 tonnellate di rifornimenti.
9 novembre 1940
Solferino e Lago Zuai salpano da Valona alle due di notte e scortano a Brindisi, ove giungono alle 12.35, la motonave Marin Sanudo ed i piroscafi MilanoAventino e Galilea, di ritorno scarichi.
10 novembre 1940
La Solferino e l’incrociatore ausiliario Egeo salpano da Bari alle quattro del mattino di scorta ai piroscafi SardegnaTitania e Tagliamento, che insieme ad un altro convoglio simultaneamente in mare trasportano in tutto 1178 soldati, 1145 quadrupedi, 6 automezzi e 229 tonnellate di materiali.
Il convoglio arriva a Brindisi tre ore più tardi.
11 novembre 1940
Solferino, Egeo e la torpediniera Nicola Fabrizi ripartono da Brindisi alle 7.15 scortando il Sardegna e la motonave Città di Savona, coi quali giungono a Valona alle 17.45.
12 novembre 1940
Alle 4.15 del mattino la Solferino e la torpediniera Curtatone, trovandosi in porto a Valona, vengono fatte partire da Marina Valona per andare in soccorso dei naufraghi delle navi del convoglio «Locatelli» (piroscafi Antonio LocatelliPremuda e Capo Vado e motonave Catalani, scortati dalla torpediniera Nicola Fabrizi e dall’incrociatore ausiliario RAMB III), distrutto la notte precedente da una divisione di incrociatori britannici nel Canale d’Otranto. Nel momento in cui le due torpediniere escono in mare, peraltro, cosa sia successo non è ancora del tutto chiaro: a Valona ed a Brindisi sono giunte solo comunicazioni confuse e frammentarie, e come se non bastasse poche ore prima la flotta all’ancora a Taranto è stata attaccata dagli aerosiluranti britannici decollati dalla portaerei Illustrious, che hanno silurato tre corazzate (Littorio, Duilio, Conte di Cavour). Di conseguenza, le linee di comunicazione sono intasate dai messaggi relativi all’attacco avvenuto a Taranto.
Uscendo in mare aperto, Solferino e Curtatone s’imbattono davanti a Saseno nella torpediniera Nicola Fabrizi, rimasta gravemente danneggiata nel tentativo di difendere il convoglio ed ora in attesa del permesso per entrare in rada. È proprio la Fabrizi a comunicare alle due torpediniere le coordinate del punto in cui il convoglio è stato attaccato e distrutto; a questo punto la Curtatone, unità capo sezione, si dirige subito nel punto indicato, ordinando invece alla Solferino di setacciare la fascia litoranea.
Durante le ore successive, le due torpediniere recuperano in tutto 140 naufraghi, tra cui 25 feriti; le perdite umane tra gli equipaggi dei quattro mercantili affondati vengono così limitate a 25 vittime. Solferino e Curtatone si spingono fino ai margini dei campi minati, dopo di che inviano le loro imbarcazioni a proseguire le ricerche anche in mezzo ai campi stessi, non potendovi entrare. La Solferino è la nave che riesce a salvare il maggior numero di naufraghi: 75.
Verso mezzogiorno Solferino, Curtatone ed alcuni motovelieri che hanno partecipato anch’essi ai soccorsi entrano nel porticciolo di Saseno, dove trasbordano i naufraghi raccolti sulla nave ospedale California.
14 novembre 1940
Alle cinque del mattino la Solferino salpa da Valona di scorta ai piroscafi Carmelo e Giuseppe Magliulo, adibiti al traffico civile, coi quali giunge a Brindisi alle 15.30.
27 novembre 1940
Parte da Valona alle 11.30 scortando la motonave Rialto, adibita a traffico civile, con cui giunge a Brindisi alle 17.10.
30 novembre 1940
La Solferino e l’incrociatore ausiliario Francesco Morosini partono da Bari alle 19 per scortare a Durazzo le motonavi Verdi e Puccini ed il piroscafo Galilea, aventi a bordo 2767 militari, 48 quadrupedi e 179 tonnellate di rifornimenti.
1° dicembre 1940
Il convoglio giunge a Durazzo alle 11.45.
5 dicembre 1940
La Solferino parte da Brindisi all’una di notte scortando la motonave Città di Trapani ed i piroscafi Diana e Brunner, aventi a bordo 447 militari, 420 quadrupedi, 56 tonnellate di munizioni ed altri materiali e 455 tonnellate di foraggio; il convoglio raggiunge Valona alle dieci del mattino.
6 dicembre 1940
La Solferino parte da Bari alle 20.40 scortando i piroscafi Nita e Casaregis, aventi a bordo 43 uomini, 279 automezzi e 1620 tonnellate di rifornimenti.
7 dicembre 1940
Il convoglio raggiunge Durazzo alle 11.20.
9 dicembre 1940
La Solferino riparte da Durazzo alle 00.45, insieme all’incrociatore ausiliario Arborea, scortando i piroscafi Monstella ed Aventino e la motonave Marin Sanudo, di ritorno scarichi a Bari, dove giungono alle 17.20.
14 dicembre 1940
La Solferino parte da Brindisi alle 6.30 scortando i piroscafi Absirtea e Sant'Agata e la motonave Città di Savona, il cui carico assomma in tutto a 742 militari, 1145 quadrupedi e 178,5 tonnellate di viveri, foraggio, vestiario ed altri rifornimenti; il convoglio raggiunge Valona alle 14.50.
20 dicembre 1940
La Solferino parte da Brindisi alle 8.40 insieme all’incrociatore ausiliario Brindisi, per scortare a Valona il piroscafo Piemonte, carico di 3561 uomini, undici quadrupedi e 369 tonnellate di pezzi d’artiglieria, munizioni, provviste ed altri materiali. Le tre navi giungono a destinazione alle 16.
25 dicembre 1940
All’alba Marina Valona invia la Solferino a cercare il relitto galleggiante del piroscafo Firenze, silurato il giorno prima dal sommergibile greco Papanikolis, in posizione 40°34’ N e 19°02’ E, durante un viaggio da Bari a Valona, ed abbandonato alla deriva dopo il salvataggio delle truppe imbarcate (non essendo possibile prenderlo a rimorchio); la torpediniera ha inoltre l’ordine di cercare eventuali altri naufraghi che potrebbero essere sfuggiti alle iniziali operazioni di soccorso (su 996 uomini imbarcati sul Firenze, 93 mancano all’appello). La Solferino non riesce tuttavia a trovare né il Firenze (che è ormai affondato) né altri superstiti.
28 dicembre 1940
Alle 21 la Solferino ed il Barletta salpano da Bari per scortare a Durazzo i piroscafi Quirinale ed Aventino e la motonave Donizetti, aventi a bordo 2538 militari, 84 quadripedi e 626 tonnellate di rifornimenti. Lo stato del mare, tuttavia, costringe la Solferino ad abbandonare la scorta e rientrare a Bari; il resto del convoglio raggiungerà Durazzo alle 10.30 del 29.
29 dicembre 1940
Alle 24 la Solferino e l’incrociatore ausiliario Brioni salpano da Bari per scortare a Durazzo il piroscafo Milano e la motonave Verdi, aventi a bordo 1710 militari, 118 quadrupedi e 400 tonnellate di rifornimenti.
30 dicembre 1940
Il convoglio raggiunge Durazzo alle 13.25.
31 dicembre 1940
Alle 16 la Solferino salpa da Durazzo per scortare a Bari i piroscafi Milano e Sant'Agata e la motonave Verdi. Si tratta dell’ultima missione di scorta svolta nel 1940 da un’unità di Maritrafalba.
1° gennaio 1941
Il convoglio giunge a Bari alle 9.30.
24 gennaio 1941
Alle 5.50 la Solferino parte da Brindisi per scortare a Durazzo i piroscafi Merano (adibito a servizio postale) e Titania, con a bordo 224 militari, 609 quadrupedi e 56 tonnellate di foraggio ed altri materiali; il convoglio giunge a destinazione alle 15.15.
25 gennaio 1941
Alle 7 la Solferino lascia Durazzo per scortare a Bari i piroscafi Silvano e Miseno e la piccola nave cisterna Abruzzi, di ritorno scarichi.
Il convoglio arriva a Bari alle 2.50 (?).
26 gennaio 1941
Alle 17 la Solferino e l’incrociatore ausiliario Brindisi partono da Bari per Durazzo, scortando i piroscafi Iseo (adibito a traffico civile), CarniaRosandra e Laura C. (aventi a bordo 26 militari, 276 veicoli e 177 tonnellate di carne congelata).
27 gennaio 1941
Il convoglio arriva a Durazzo alle 9.15.
Lo stesso giorno la Solferino rientra a Brindisi scortando i piroscafi Brunner, Zena e Monstella, di ritorno scarichi.
30 gennaio 1941
La Solferino salpa da Bari alle 18.30 scortando i piroscafi ZenaMiseno e Perla, aventi a bordo un carico di 496 quadrupedi, 574 tonnellate di foraggio e 135 di altri rifornimenti, oltre a 67 uomini.
31 gennaio 1941
Il convoglio giunge a Durazzo alle 10.15.
2 febbraio 1941
Salpa da Durazzo alle 18.30 scortando le motonavi Città di Agrigento e Città di Trapani ed il piroscafo Monrosa, di ritorno scarichi a Brindisi.
3 febbraio 1941
Il convoglio giunge a Brindisi alle 8.30.
4 febbraio 1941
La Solferino e l’incrociatore ausiliario Brioni partono da Bari alle 23 scortando le motonavi Città di SavonaCittà di TrapaniDonizetti e Rossini, aventi a bordo il primo scaglione della 36a Divisione Fanteria "Forlì", cioè 3200 uomini e 529 tonnellate di materiali.
5 febbraio 1941
Il convoglio arriva a Durazzo a mezzogiorno.
6 febbraio 1941
La Solferino lascia Durazzo alle 16.30 scortando le DonizettiRossini e Puccini, che rientrano vuote a Bari.
7 febbraio 1941
Il convoglio arriva a Bari alle 4.30.
8 febbraio 1941
La Solferino e l’incrociatore ausiliario Barletta salpano alle tre di notte da Bari per scortare a Durazzo, dove giungono alle 17.30, i piroscafi Italia, Zena e Titania, aventi un carico di 1371 uomini, 1139 quadrupedi e 224 tonnellate di rifornimenti.
11 febbraio 1941
Riparte da Durazzo alle 3.30, scortando a Bari, dove giungono alle 17, i piroscafi Zena, Titania e Caterina, di ritorno scarichi.
Alle 23.45 la Solferino parte nuovamente insieme al Brioni, per scortare a Durazzo i piroscafi Casaregis e Carnia (aventi a bordo 271 automezzi), Padenna (carico di carburante) e Rosandra (con a bordo 1600 operai).
12 febbraio 1941
Il convoglio raggiunge Durazzo alle 14.
15 febbraio 1941
La Solferino lascia Durazzo alle 00.30, di scorta ai piroscafi ContariniTagliamento e Laura C., con i quali arriva a Bari alle 23.15.
17 febbraio 1941
Riparte da Bari alle due di notte insieme all’incrociatore ausiliario Capitano Cecchi, scortando i piroscafi Milano ed Aventino e le motonavi Verdi e Città di Alessandria, aventi a bordo 3578 militari e 383 tonnellate di rifornimenti; il convoglio arriva a Durazzo alle 16.20.
18 febbraio 1941
La Solferino lascia Durazzo alle 18, scortando il piroscafo Aventino e le motonavi Verdi e Città di Alessandria, vuote.
19 febbraio 1941
Il convoglio arriva a Bari alle 7.10.

(da www.kreiser.unoforum.pro)

6 marzo 1941
La Solferino salpa da Brindisi all’1.15 scortando i piroscafi CarniaSagitta e Monrosa, carichi di 113 automezzi e 1072 quadrupedi, coi quali giunge a Durazzo alle 14.15.
Alle 18 la torpediniera riparte da Durazzo scortando la motonave Città di Agrigento ed i piroscafi LauraPontinia e Pescara, scarichi.
7 marzo 1941
Il convoglio giunge a Bari alle 10.30.
8 marzo 1941
La Solferino salpa da Bari alle 20 per scortare a Durazzo i piroscafi Giacomo C.Zenobia Martini ed Irma Calzi, il cui carico assomma a 1562 tonnellate di foraggio, 1000 tonnellate di combustibili e 724 tonnellate di carburanti.
9 marzo 1941
Il convoglio arriva a Durazzo alle 16.30.
10 marzo 1941
La Solferino lascia Durazzo alle 3.30 scortando la motonave Città di Bastia, che trasporta 272 feriti, ed il piroscafo Vesta, scarico. Il convoglio giunge a Bari alle 18.30.
12 marzo 1941
Solferino e Capitano Cecchi scortano da Bari a Durazzo le motonavi BarbarigoCittà di Bastia e Città di Tripoli ed il piroscafo Titania, aventi a bordo 1395 uomini, 644 quadrupedi, 123 veicoli e 943 tonnellate di rifornimenti.
13 marzo 1941
Alle 5.30 la Solferino lascia Durazzo alla volta di Bari, dove giunge alle 19.30, scortando Città di BastiaCittà di Tripoli (aventi a bordo in tutto 497 feriti) nonché la motonave Maria ed il piroscafo Bolsena, scarichi.
16 marzo 1941
Alle 22 la Solferino salpa da Bari per scortare a Durazzo i piroscafi CarmelaRinucciGiglio e Bucintoro, aventi a bordo 350 tonnellate di foraggio e 2362 di altri rifornimenti.
17 marzo 1941
Il convoglio raggiunge Durazzo alle 16.
18 marzo 1941
La Solferino riparte a Durazzo alle 10, scortando a Bari la motonave Città di Trapani, con a bordo 199 feriti leggeri, il piroscafo postale Campidoglio ed i piroscafi vuoti Zena ed Absirtea.
19 marzo 1941
Il convoglio raggiunge Bari alle 8.
20 marzo 1941
La Solferino salpa da Brindisi alle 15.15 scortando il piroscafetto Pontinia, carico di 650 tonnellate di benzina, col quale arriva a Durazzo alle 18.30. Poche ore dopo (secondo la stessa cronologia USMM contenuta nel volume “La difesa del traffico con l’Albania, la Grecia e l’Egeo”, alle 16.30; ma ciò sembra incompatibile con l’orario di arrivo della missione precedente) riparte da Durazzo per scortare a Bari la motonave Tergestea ed i piroscafi Zenobia Martini e Giacomo C., scarichi.
21 marzo 1941
Il convoglio raggiunge Bari alle cinque del mattino.
22 marzo 1941
Solferino e Capitano Cecchi partono da Bari alle 23 per scortare a Durazzo le motonavi Città di BastiaCittà di Alessandria e Città di Savona ed il piroscafo Milano, aventi a bordo 3343 militari, 138 quadrupedi e 234 tonnellate di materiali.
23 marzo 1941
Alle 13.20 la Solferino, in arrivo a Durazzo con il convoglio (che entrerà in porto alle 14.30), riceve ordine da Maritrafalba di recarsi incontro ai piroscafi Anna CapanoVesta e Monstella in arrivo da Bari, per assumerne la scorta nel tratto finale della navigazione: l’unità che li scortava, la torpediniera Castelfidardo, se ne è infatti separata per prestare soccorso al quarto piroscafo di tale convoglio, il Carnia, silurato da un sommergibile britannico, così che i tre bastimenti, fatti proseguire dopo il siluramento, si trovano ora senza scorta.
Raggiunti i tre piroscafi, la Solferino ne assume la scorta fino all’arrivo a Durazzo, alle 16.30.
24 marzo 1941
Alle 7.30 la Solferino riparte da Durazzo di scorta alle motonavi Città di Bastia (con a bordo 160 feriti leggeri), Città di Alessandria e Città di Savona ed al piroscafo Mameli, con le quali arriva a Bari alle 22.30.
25 marzo 1941
Alle 20.30 la Solferino parte da Bari per scortare a Durazzo i piroscafi Bolsena e Laura C. e la motonave Riv, aventi a bordo 61 militari, 233 veicoli, 1780 tonnellate di munizioni e 1494 tonnellate di altri rifornimenti.
26 marzo 1941
Il convoglio raggiunge Durazzo alle 10.50.
27 marzo 1941
Alle 19 la Solferino lascia Durazzo per scortare a Bari Città di BastiaRivAbruzzi e la piccola motonave Carlotta, tutte scariche.
28 marzo 1941
Il convoglio giunge a Bari alle 9.40.
29 marzo 1941
La Solferino salpa da Bari alle 18 per scortare a Durazzo i piroscafi CasaregisPolceveraBucintoro e Costante C., aventi a bordo 32 militari, 154 automezzi, 2726 tonnellate di munizioni, 380 di foraggio e 760 di altri rifornimenti-
30 marzo 1941
Il convoglio giunge a Durazzo alle 8.45.
Alle 18 la Solferino riparte da Durazzo per scortare a Bari i piroscafi Vesta e Contarini e le motonavi Rossini e Narenta.
31 marzo 1941
Il convoglio giunge a Bari alle 7.45.
2 aprile 1941
Solferino e Barletta salpano da Bari a mezzanotte per scortare a Durazzo il piroscafo Città di Tripoli e le motonavi Città di SavonaCittà di Alessandria e Donizetti, aventi a bordo 2744 uomini e 392 tonnellate di rifornimenti. Il convoglio raggiunge Durazzo alle 13.30.
3 aprile 1941
La Solferino riparte da Durazzo alle 7 per scortare a Bari, dove arrivano alle 20, Città di AlessandriaCittà di Savona ed il piroscafo Tripoli, tutti scarichi.
5 aprile 1941
La Solferino lascia Bari alle 21 per scortare a Durazzo i piroscafi Istria e Zena, aventi a bordo 110 uomini, 560 quadrupedi, 119 automezzi e 724 tonnellate di rifornimenti.
6 aprile 1941
Il convoglio giunge a Durazzo alle 16.
8 aprile 1941
La Solferino parte da Bari alle 22.30 scortando il piroscafo Diana e la motonave Riv, con a bordo 116 militari, 465 quadrupedi, 159 autoveicoli ed altri rifornimenti.
9 aprile 1941
Il convoglio raggiunge Durazzo alle 17.
10 aprile 1941
La Solferino lascia Durazzo alle 9.30, per scortare a Bari il piroscafo Italia, vuoto, e le motonavi Rossini, avente a bordo 150 militari rimpatrianti, e Puccini, con a bordo 80 detenuti ed altri 48 rimpatrianti.
11 aprile 1941
Il convoglio arriva a Bari all’1.30.
12 aprile 1941
La Solferino salpa da Brindisi alle tre di notte diretta a Valona, scortando il piroscafo Stampalia e la motonave Filippo Grimani, aventi a bordo cinque autoveicoli, 650 tonnellate di benzina ed altri materiali.
Il convoglio giunge a destinazione alle 11.30, ed alle 12.45 la Solferino riparte da Valona scortando i piroscafi scarichi FavoritaAvionia ed Iseo, di ritorno a Brindisi.
13 aprile 1941
Il convoglio raggiunge Brindisi alle 6.30.
14 aprile 1941
La Solferino ed il cacciatorpediniere Carlo Mirabello partono da Durazzo alle sette per scortare a Bari i mercantili scarichi IstriaRossini e Puccini; il convoglio giunge a destinazione alle 22.
Già alle 23 la Solferino riparte da Bari scortando il piroscafo postale Campidoglio, il piroscafo da carico Monstella e le motonavi Marco Foscarini e Marin Sanudo, dirette a Durazzo con 104 militari, 547 quadrupedi ed un carico di munizioni.
15 aprile 1941
Il convoglio raggiunge Durazzo alle 15.30.
16 aprile 1941
La Solferino lascia Durazzo alle 6 scortando il Campidoglio, in servizio postale da Durazzo a Brindisi, il Tagliamento ed il Sant'Agata, entrambi scarichi.
Alle 17.10 il convoglio giunge davanti a Brindisi; qui la Solferino accompagna in porto il Campidoglio, poi torna al largo e riprende la navigazione insieme agli altri due piroscafi, coi quali giunge a Bari alle 23.
18 aprile 1941
Alle 3.30 la Solferino salpa da Brindisi per scortare a Durazzo, dove giunge alle 16.30, la piccola nave cisterna Abruzzi ed i piroscafi AlbachiaraCarmela ed Asteria, il cui carico assomma in tutto a 480 tonnellate di gasolio, 300 di legname e 1051 di altri materiali.
21 aprile 1941
La Solferino parte da Valona alle 10 scortando i piroscafi scarichi BucintoroCaterina e Scarpanto. Il convoglio raggiunge Brindisi alle 19.45.
23 aprile 1941
Alle 3.30 la Solferino salpa da Brindisi unitamente al Barletta, per scortare a Valona un convoglio formato dai piroscafi IvoreaFrancesco Crispi e Galilea, carichi di 2365 uomini, 67 quadrupedi, 1288 tonnellate di carne congelata e 205 di altri materiali. Il convoglio raggiunge Valona alle 10.
24 aprile 1941
Riparte da Valona alle 13.30, scortando Crispi e Galilea di ritorno a Brindisi, dove giunge alle 20.40.
27 aprile 1941
Salpa da Brindisi per Valona alle 23.20, di scorta ai piroscafi Giacomo C. Brundisium, aventi a bordo 1500 tonnellate di foraggio e 580 di materiale medico.
28 aprile 1941
Il convoglietto raggiunge Valona alle 9.
29 aprile 1941
La Solferino lascia Valona alle 7, scortando il piroscafo vuoto Poseidone a Brindisi, dove giunge alle 14.30.
Qualche ora dopo, la Solferino riparte da Brindisi scortando i piroscafi Anna MartiniBottiglieriCerere ed Esterina, provenienti da Bari (da dove sono partiti alle otto di sera del 28) e diretti a Durazzo con un carico di foraggio, legname e materiali da costruzione (nel tratto Bari-Brindisi li ha scortati la torpediniera Monzambano).
30 aprile 1941
Il convoglio arriva a Durazzo alle 16.45.
Sempre secondo la citata cronologia USMM, alle 00.25 del 30 aprile la Solferino sarebbe partita da Brindisi per scortare a Durazzo il piroscafo Favorita, carico di 3540 tonnellate di provviste, giungendo a destinazione alle 14 dello stesso giorno. Ciò sembra però incompatibile con gli orari della precedente missione di scorta.
1° maggio 1941
La Solferino parte da Durazzo alle 8 scortando i piroscafi Istria e Sagitta, aventi a bordo 317 autoveicoli, arrivando a Bari alle 20.30.
2 maggio 1941
Alle 22 la Solferino salpa da Bari scortando la piccola motonave Carlotta ed i piroscafi MisenoSidamo e Scarpanto, carichi di provviste, carburante ed altri rifornimenti.
3 maggio 1941
Il convoglio raggiunge Durazzo alle 12.30.
Alle 23 la Solferino riparte da Durazzo scortando il piroscafo Città di Tripoli e la motonave Donizetti, aventi a bordo 400 militari italiani rimpatrianti, 700 prigionieri serbi e materiali vari.
4 maggio 1941
Il convoglio giunge a Bari alle 11.30.
5 maggio 1941
Alle 20 la Solferino salpa da Bari per scortare a Durazzo le motonavi MariaDonizettiCittà di Marsala e Città di Tripoli, con 400 militari italiani e rifornimenti.
6 maggio 1941
Il convoglio giunge a Durazzo alle 9.15.
7 maggio 1941
Alle tre di notte la Solferino riparte da Durazzo per scortare a Bari, insieme all’incrociatore ausiliario Zara, Città di TripoliCittà di MarsalaDonizetti e Monrosa, aventi a bordo 1910 militari rimpatrianti ed un carico di materiali. Il convoglio arriva a Bari alle 17.
11 maggio 1941
Alle due di notte la Solferino salpa da Bari scortando il piroscafo Quirinale e la Città di Marsala, carichi di truppe e rifornimenti; il convoglio giunge a Durazzo alle 14.
12 maggio 1941
La Solferino e la torpediniera Nicola Fabrizi lasciano Durazzo alle 6 scortando Quirinale e Città di Marsala che ritornano in Italia, carichi adesso di 1820 militari rimpatrianti e materiali vari. Il convoglio arriva a Bari alle 18.30.
13 maggio 1941
Alle 22.15 la Solferino parte da Bari per scortare a Durazzo le motonavi Città di Alessandria e Città di Trapani ed il piroscafo Istria, carichi di truppe e rifornimenti.
14 maggio 1941
Il convoglio raggiunge Durazzo alle 12.50, ed alle 10 (?) la Solferino ne riparte per scortare il piroscafo Monrosa che torna in Italia con 132 militari e 1059 quadrupedi.
15 maggio 1941
Solferino e Monrosa arrivano a Bari alle 4.15.
Risulterebbe che alle cinque del mattino Solferino e Zara sarebbero partite da Durazzo scortando le motonavi Città di Alessandria e Città di Trapani, di ritorno in Italia con 1753 militari rimpatrianti ed un carico di materiali, convoglio che sarebbe giunto a Bari alle 18.40; ma l’orario di partenza di questo convoglio sembra incompatibile con quello dell’arrivo a Bari del Monrosa (a meno che la Solferino non se ne fosse separata prima, tornando a Durazzo).
4 giugno 1941
La Solferino scorta da Bari a Valona, via Brindisi, le motonavi Città di AlessandriaDonizetti e Rossini ed il piroscafo Italia, carichi di truppe e materiali.
5 giugno 1941
Solferino e Zara scortano da Valona a Bari QuirinaleMilano e Puccini, di ritorno in Italia con 1100 militari rimpatrianti e materiali vari.
7 giugno 1941
Scorta da Bari a Durazzo, via Brindisi, le motonavi Città di Bastia e Città di Marsala ed i piroscafi Milano e Quirinale, con a bordo 1700 uomini ed un carico di rifornimenti.
9 giugno 1941
Solferino e Brindisi scortano Città di Marsala, Città di Bastia, Milano e Quirinale di ritorno da Durazzo a Bari con 3913 militari e materiali vari.
11 giugno 1941
La Solferino scorta da Bari a Durazzo Città di TripoliRossiniMilano e Quirinale, con truppe e rifornimenti.
20 giugno 1941
Solferino e Brioni scortano Città di MarsalaCittà di Tripoli e Rosandra, aventi a bordo truppe dell’Esercito, 1409 operai rimpatrianti e materiali vari, da Brindisi a Durazzo.
25 giugno 1941
Scorta da Brindisi a Valona le motonavi Città di Agrigento e Viminale, cariche di materiali del Corpo di Commissariato e della Regia Aeronautica.
2 luglio 1941
Solferino e Zara, insieme al vecchio cacciatorpediniere Augusto Riboty, scortano da Durazzo a Bari i trasporti truppe PucciniCittà di MarsalaCittà di AgrigentoRosandra e Milano, aventi a bordo 3250 militari rimpatrianti ed i relativi materiali.
5 luglio 1941
Solferino e Zara scortano da Durazzo a Bari RossiniItaliaQuirinale ed Aventino con 3600 militari rimpatrianti.

La Solferino nell’Arsenale di Venezia, il 29 ottobre 1941 (g.c. Giorgio Parodi, via www.naviearmatori.net)
Un’altra foto della nave nell’Arsenale di Venezia nell’ottobre 1941 (Coll. Luigi Accorsi via www.associazione-venus.it)

11 novembre 1941
Solferino e Zara scortano da Bari a Durazzo ItaliaMilano e Rosandra, carichi di truppe e rifornimenti.
13 novembre 1941
Solferino e Zara scortano da Durazzo a Bari i piroscafi ItaliaMilano e Rosandra, con a bordo 3380 militari rimpatrianti.
18 novembre 1941
La Solferino e l’incrociatore ausiliario Arborea scortano da Bari a Durazzo AventinoItaliaMilano e Rosandra, con a bordo 2230 militari e materiale militare di vario genere.
21 novembre 1941
Solferino ed Arborea scortano AventinoItaliaMilano e Rosandra di ritorno da Durazzo a Bari, adesso con 3300 militari rimpatrianti; tre delle navi si fermano a Bari, mentre il Milano prosegue fino a Brindisi con la scorta di Solferino ed Arborea.
25 novembre 1941
Solferino e Brindisi scortano da Bari a Durazzo ItaliaRosandra ed Aventino, con a bordo 3406 militari, materiale destinato alla Regia Marina ed alla Regia Aeronautica ed altri rifornimenti.
28 novembre 1941
La Solferino scorta da Durazzo a Bari ItaliaRosandra ed Aventino di ritorno con 3500 militari rimpatrianti.
29 novembre 1941
Verso le otto di sera la Solferino avvista un sommergibile emerso al largo del faro di Sant’Andrea di Missipezza (Melendugno), ed il suo comandante, non essendo stata informata della presenza nei paraggi di sommergibili amici, ritiene pertanto che si tratti di un’unità nemica, che decide di attaccare: dapprima la Solferino lancia dei siluri, senza successo; poi manovra per speronare il battello “nemico”, riuscendoci alle 20.09. Dopo la collisione, che non è stata molto violenta, la torpediniera apre il fuoco sul sommergibile con le mitragliere, da una distanza di 200 metri, colpendolo alla base della torretta.
In realtà, il sommergibile è l’italiano Marcantonio Bragadin (capitano di corvetta Mario Vannutelli), partito da Pola alle 3.50 del giorno precedente per trasferirsi a Brindisi. Fortunatamente, né la collisione né il tiro della Solferino hanno arrecato danni gravi al sommergibile, che è in grado di proseguire la sua navigazione, raggiungendo Brindisi all’1.15 del 30 novembre (già il 3 dicembre sarà in grado di trasferirsi a Taranto, ed il 17 partirà da qui per una missione di trasporto). Vi è un unico ferito, il comandante Vannutelli del Bragadin, infortunatosi per essere stato scagliato violentemente contro una mitragliera dall’impatto dello speronamento.
La successiva inchiesta scagionerà da ogni responsabilità il comandante e gli ufficiali della Solferino (secondo una fonte non controllata, perché era il Bragadin a trovarsi in una zona in cui non sarebbe dovuto passare secondo gli ordini ricevuti).
24 gennaio 1942
Scorta il piroscafo tedesco Thessalia da Brindisi a Corfù.
25 gennaio 1942
Scorta il Thessalia da Corfù ad Argostoli.
30 gennaio 1942
La Solferino e la torpediniera Generale Carlo Montanari scortano il Thessalia da Corfù a Patrasso.
Alle 9.18 il sommergibile britannico Thunderbolt (capitano di fregata Cecil Bernard Crouch) avvista in posizione 38°35’ N e 20°25’ E (circa 6-7 miglia ad ovest di Capo Dukato, nell’isola di Santa Maura) Thessalia, Solferino e Montanari (quest’ultima era già stata avvistata dal Thunderbolt alle 8.09, a nordovest del faro di Capo Dukato, ma alle 9.05 il sommergibile era stato costretto a scendere a quota profonda da un aereo di pattugliamento) su rilevamento 343°, a 5500 metri di distanza, con rotta stimata 160°. La Solferino (che Crouch ritiene essere probabilmente una torpediniera classe Curtatone, in effetti molto simile alla classe Palestro) procede sulla dritta del Thessalia, la Montanari (correttamente identificata come una torpediniera classe Generali) è invece sulla sinistra. Alle 9.39 il Thunderbolt lancia tre siluri contro il Thessalia da 2290 metri di distanza; al momento del lancio del terzo siluro, la Solferino si trova allineata con il Thessalia, e Crouch la vede puntare verso il suo sommergibile da circa 900 metri di distanza. Dalle fonti italiane risulta infatti che la Solferino abbia avvistato due siluri diretti verso di essa, li abbia evitati con la manovra e sia poi passata al contrattacco; il Thunderbolt reagisce scendendo in profondità e cambiando rotta. La Solferino lancia due bombe di profondità, le cui esplosioni scuotono violentemente il Thunderbolt, e poi altre 27 nel corso della caccia antisommergibili, che si protrae per qualche tempo. Il sommergibile, ad ogni modo, non riporta danni; parimenti, i siluri da esso lanciati non vanno a segno.
3 febbraio 1942
La Solferino, il Brindisi e la torpediniera Generale Carlo Montanari scortano GalileaPiemonte e Viminale, carichi di truppe rimpatrianti, da Patrasso a Bari.
25 febbraio 1942
Scorta la nave cisterna Utilitas da Valona a Bari.
1° marzo 1942
Solferino e Zara scortano i piroscafi ItaliaAventino e Città di Catania, carichi di truppe e rifornimenti, da Bari a Durazzo.
4 marzo 1942
Solferino e Zara scortano ItaliaAventino e Città di Catania di ritorno da Durazzo a Bari con truppe rimpatrianti.
6 marzo 1942
Solferino e Zara scortano da Bari a Durazzo Donizetti e Città di Catania, carichi di truppe e rifornimenti a bordo.
9 marzo 1942
Solferino e Zara scortano Donizetti e Città di Catania di ritorno da Durazzo a Bari con truppe rimpatrianti.
11 marzo 1942
La Solferino, l’incrociatore ausiliario Città di Genova ed i cacciatorpediniere Euro e Sebenico scortano da Bari a Patrasso i piroscafi AventinoFrancesco CrispiItaliaIvoreaGalilea e Piemonte e la motonave Viminale, carichi di truppe e rifornimenti.
Durante questa missione la Solferino esegue un’azione antisommergibile, nella quale ritiene, erroneamente, di aver affondato un sommergibile nemico, come annunciato dal bollettino di guerra n. 40: «Le torpediniere S. Martino e Solferino, comandate rispettivamente dai tenenti di vascello Angelo Pievatolo e Mirko Vedovato, hanno affondato ciascuna, in luoghi e giorni diversi, un sommergibile nemico».
24 marzo 1942
La Solferino scorta da Bari a Valona la nave cisterna Dora C.
26 marzo 1942
Solferino e Barletta scortano da Valona a Brindisi la pirocisterna Arca ed i piroscafi HermadaLauretta e Pontinia.
2 aprile 1942
La Solferino e la San Martino scortano la nave cisterna Arca da Brindisi a Patrasso, via Argostoli.
19 aprile 1942
Solferino e San Martino scortano da Patrasso a Navarino il piroscafo Tripoli.
25 aprile 1942
La Solferino scorta il piroscafo Rosario da Bari a Patrasso. Durante la navigazione, tuttavia, il Rosario s’incaglia presso Capo Papas; potrà in seguito essere disincagliato.
27 aprile 1942
Solferino e San Martino scortano la nave cisterna Rondine ed il piroscafo Goffredo Mameli da Patrasso a Prevesa.
1° maggio 1942
La Solferino salpa da Taranto per scortare a Patrasso, insieme alla nave idrografica Cariddi, i piroscafi tedeschi Otto Leonhardt ed Hans Arp.
2 maggio 1942
Alle 7.40, in posizione 38°39’ N e 20°22’ E, il sommergibile britannico Proteus (capitano di corvetta Philip Stewart Francis) avvista del fumo su rilevamento 350°, seguito alle 8.22 dalla comparsa degli alberi e dei fumaioli di un convoglio in avvicinamento: si tratta di quello di cui fa parte la Solferino. Francis identifica la composizione del convoglio come due navi mercantili (Otto Leonhardt ed Hans Arp) scortate da un “cacciatorpediniere” (la Solferino) e da un piropeschereccio armato (la Cariddi, che infatti è un ex piropeschereccio), ed apprezza che siano dirette verso Capo Dukato, con rotta media 150°. Iniziata la manovra d’attacco, alle 9.10 il Proteus lancia cinque siluri contro il mercantile di testa, che sembra a pieno carico (Francis ne valuta la stazza in 2500 tsl, sottostimandola), da una distanza di 1830 metri, dopo di che scende in profondità ed inizia a ripiegare verso nord.
Due siluri vanno a segno, colpendo l’Otto Leonhardt in posizione 38°41’ N e 20°24’ (o 20°34’) E (ad ovest dell’isola di Santa Maura): la Solferino reagisce prontamente occultando la nave danneggiata con una cortina fumogena, per impedire ulteriori attacchi tesi a finirla, dopo di che inizia a dare la caccia all’attaccante con una torpedine da rimorchio, ma senza successo. Il Proteus conta anche l’esplosione di ben 51 bombe di profondità (dell quali le prime tre esplose molto vicine) tra le 9.13 e le 9.53, ma non subisce danni, ed alle 10.10 torna a quota periscopica, osservando la Solferino che incrocia avanti e indietro nell’area dell’attacco (una successiva osservazione, alle 12.30, non rivelerà invece alcuna nave in vista).
L’Otto Leonhardt, gravemente danneggiato, potrà essere portato in salvo (ma non sarà mai riparato, venendo invece impiegato come nave bersaglio per incursori).
5 giugno 1942
Secondo la citata cronologia USMM, in questa data la Solferino avrebbe scortato l’incrociatore ausiliario Città di Palermo da Brindisi a Corfù. Deve però trattarsi di un errore, dal momento che il Città di Palermo era stato affondato nel gennaio 1942.
9 giugno 1942
Scorta scortò i piroscafi Motia e Monstella da Bari a Patrasso, via Prevesa.
14 giugno 1942
Scorta la nave cisterna Rondine ed il piroscafo Diocleziano da Patrasso a Taranto.
18 giugno 1942
Scorta da Taranto a Saseno il piroscafo Valverde.
24-25 giugno 1942
Secondo una fonte tedesca, invece, in questa data la Solferino, insieme ai cacciatorpediniere italiani Turbine e Francesco Crispi, al cacciatorpediniere tedesco ZG 3 Hermes ed alla torpediniera Castelfidardo, avrebbe scortato dal Pireo a Creta un convoglio di sette navi mercantili. Ciò non risulta, tuttavia, dalla cronologia USMM.
3 luglio 1942
Scorta il piroscafo Valentino Coda da Patrasso a Brindisi.
6 luglio 1942
La Solferino e la torpediniera Antonio Mosto scortano da Taranto a Navarino il trasporto militare Enrichetta, con dei dragamine a rimorchio.
1942
Lavori di modifica dell’armamento: due dei quattro cannoni Schneider-Armstrong 1917 da 102/45 mm dell’armamento principale vengono sbarcati, insieme ai due pezzi singoli Ansaldo Mod. 1917 da 76/40 mm; al contempo viene invece potenziato l’armamento contraereo, con l’installazione di 6 mitragliere singole Breda 1940 da 20/65 mm, e quello antisommergibili, con l’installazione di due lanciabombe per bombe di profondità.
28 agosto 1942
Scorta la piccola nave cisterna Abruzzi da Corinto al Pireo.



La Solferino al Pireo il 3 settembre 1942, fotografata da Aldo Fraccaroli (Coll. Maurizio Brescia, Luigi Accorsi e Domenico Jacono, via www.associazione-venus.it)


18 settembre 1942
Scorta dal Pireo a Suda il piroscafo tedesco Ardena, il rimorchiatore italiano Vulcano e la nave cisterna tedesca Ossag.
21 settembre 1942
La Solferino ed un cacciasommergibili tedesco scortano da Suda al Pireo, la motonave Città di Alessandria ed i piroscafi Potestas e Tripoli.
29 settembre 1942
La Solferino salpa dal Pireo per Tobruk alle 23.35, insieme alle torpediniere Sirio (caposcorta, capitano di corvetta Romualdo Bertone) e Libra ed alla moderna torpediniera di scorta Ciclone, scortando il piroscafo Tagliamento (avente a bordo 146 tra veicoli e rimorchi, 2246 tonnellate di munizioni e materiale d’artiglieria, 680 tonnellate di materiali vari e 115 soldati) e la nave cisterna Lina Campanella (avente a bordo 4000 tonnellate d’acqua), provenienti da Brindisi. Il convoglio dovrà fare scalo intermedio a Suda; inizialmente fanno parte del convoglio anche altri piroscafi, per i quali Suda rappresenta la destinazione finale.
Durante la notte il convoglio viene infruttuosamente attaccato da aerei.
30 settembre 1942
Alle sette del mattino la Solferino lascia il convoglio, che raggiungerà indenne Tobruk il 2 ottobre. (Per altra fonte, lo avrebbe accompagnato fino all’arrivo a Suda, il 1° ottobre, dopo di che i mercantili proseguirono per Tobruk insieme a Sirio, Libra e Ciclone).
7 ottobre 1942
La Solferino (tenente di vascello di complemento Mirko Vedovato) e la più moderna torpediniera Sirio (capitano di corvetta Romualdo Bertone, caposcorta) salpano da Salonicco alle 16 di scorta al convoglio «FF» (piroscafo Petrarca e motonave Tergestea), diretto a Tobruk con scalo intermedio al Pireo.
9 ottobre 1942
Alle 8.45 il convoglio giunge al Pireo: qui Solferino e Sirio vengono rilevate dalle torpediniere Libra, Lira e Perseo per il prosieguo del viaggio.
Entrata in porto, alle 11.30 la Solferino va ad attraccare sottobordo alla motonave Donizetti, temporaneamente adibita a nave appoggio, che le fornisce corrente elettrica.
11 ottobre 1942
In serata, durante una manovra nel porto del Pireo, una bettolina va ad urtare contro la prua della Solferino.
13 ottobre 1942
La Solferino e la Monzambano scortano dal Pireo a Candia le motonavi Città di Alessandria e Città di Savona ed il piroscafo Re Alessandro.
14 ottobre 1942
Solferino e Monzambano scortano Città di Alessandria, Città di Savona e Re Alessandro di ritorno da Candia al Pireo.
16 ottobre 1942
Solferino e Monzambano scortano dal Pireo ad Iraklion Aventino e Re Alessandro.
17 ottobre 1942
Solferino, Monzambano e Barletta scortano Città di Alessandria, Aventino e Re Alessandro da Iraklion al Pireo.
21 ottobre 1942
Solferino e Monzambano (caposcorta, tenente di vascello Attilio Gamaleri) partono da Salonicco alle 16.10 di scorta al piccolo piroscafo tedesco Dora, alla nave cisterna italiana Cerere ed al piroscafo tedesco Burgas, diretti al Pireo.
23 ottobre 1942
Alle 19.10 il piccolo convoglio raggiunge il Pireo (il Dora proseguirà poi per Tobruk, sua destinazione finale, aggregandosi ad un altro convoglio).
25 ottobre 1942
La Solferino, la più moderna torpediniera Sirio ed il posamine ausiliario tedesco Bulgaria scortano dal Pireo ad Iraklion Città di AlessandriaCittà di SavonaRe Alessandro ed il piroscafo tedesco Thessalia.
27 ottobre 1942
Solferino e Sirio scortano Aventino e Re Alessandro da Iraklion al Pireo.
29 o 30 ottobre 1942
La Solferino lascia il Pireo scortando, insieme alla similare Calatafimi ed alla più moderna torpediniera Lira, un convoglio composto dai piroscafi Galiola (italiano) ed Ardena (tedesco) e dalla pirocisterna italiana Cerere.
31 ottobre 1942
Alle 9.40 il sommergibile britannico Taku (tenente di vascello Arthur John Wright Pitt) avvista su rilevamento 335° il fumo del convoglio, poi due aerei e quindi, alle 10.11, le alberature del convoglio, del cui arrivo è stato preavvisato. Alle 10.56 il Taku lancia tre siluri contro la Cerere (l’intenzione sarebbe di lanciarne quattro, ma il battello perde l’assetto e sprofonda prima di poter lanciare il quarto) da una distanza di 5950 metri, in posizione 37°30’ N e 24°03’ E (una decina di miglia a sud di Capo Sunio).
Nessuna nave viene colpita; la scorta reagisce all’attacco con il lancio di cinque bombe di profondità, che scoppiano lontane, ma il comandante del Taku decide comunque di scendere a 45 metri, sentendo dai rumori che le navi italiane sono piuttosto vicine.
Tornato a quota periscopica alle 11.55, il Taku avvista nuovamente il convoglio alle 12.05 e si pone a tutta forza al suo inseguimento per una decina di minuti, ricaricando un tubo lanciasiluri; alle 12.37 il sommergibile lancia altri due siluri (Pitt ha ordinato di lanciarne tre, ma c’è un disguido nella trasmissione dell’ordine), che non vanno nemmeno essi a segno. La scorta reagisce con il lancio di cinque pacchetti di due bombe di profondità ciascuno; il terzo esplode piuttosto vicino al Taku, scuotendolo violentemente, ma senza arrecare danni. Il sommergibile si sottrae alla caccia allontanandosi a bassa velocità.
2 novembre 1942
La Solferino e le torpediniere Lira e Calatafimi scortano da Suda al Pireo i piroscafi Artemis PittaArdena e Pugliola e la nave cisterna Cerere.
5 novembre 1942
La Solferino scorta la petroliera Dora C. dal Pireo a Suda.
7 novembre 1942
Alle 14.30 la Solferino salpa da Tobruk per scortare al Pireo la nave cisterna Lina Campanella.
9 novembre 1942
Solferino e Lina Campanella arrivano a Suda alle 11.30.
10 novembre 1942
La Solferino scorta dal Pireo a Suda, insieme ad un cacciasommergibili tedesco, i piroscafi Fouger e Pier Luigi.
11 novembre 1942
La Solferino ed il cacciatorpediniere scortano da Brindisi a Patrasso i piroscafi Alba JuliaMameli e Polcevera (quest'ultimo proseguirà poi per l’Egeo).
12 novembre 1942
Solferino e Lina Campanella ripartono da Suda all’1.25.
13 novembre 1942
Alle 7.35 Solferino e Lina Campanella arrivano al Pireo, dopo una navigazione tranquilla.
Lo stesso giorno la Solferino riparte dal Pireo, insieme ad un cacciasommergibili tedesco, e scorta ad Iraklion il piroscafo Pugliola e la nave cisterna Adriana.
16 novembre 1942
Assume il comando della Solferino il tenente di vascello Alfonso Carbonara: sarà l’ultimo ufficiale italiano a comandare questa nave.
21 novembre 1942
Solferino, Monzambano ed il cacciatorpediniere tedesco Hermes scortano quattro navi mercantili da Salonicco al Pireo (tre di esse proseguiranno poi per Iraklion, arrivandovi il 26). (Questo viaggio non compare nella cronologia del volume USMM "La difesa del traffico con l’Albania, la Grecia e l’Egeo").
26 novembre 1942
Solferino e Monzambano scortano da Suda al Pireo i piroscafi FougierVesta e Pier Luigi.
29 novembre 1942
Solferino e Calatafimi scortano Città di SavonaCittà di AlessandriaRe Alessandro ed Ardena dal Pireo ad Iraklion.
1° dicembre 1942
Solferino e Calatafimi scortano Città di SavonaCittà di AlessandriaRe Alessandro ed Ardena di ritorno da Iraklion al Pireo.
Entrata al Pireo, la Solferino va ad attraccarsi sottobordo alla motonave Donizetti.
2 dicembre 1942
La Solferino scorta dal Pireo a Salonicco i piroscafi Pugliola e Fouger e la cisterna militare Stige.
5 dicembre 1942
Scorta la piccola nave cisterna Alfredo da Salonicco al Pireo.
13 dicembre 1942
La Solferino e l’Hermes scortano la nave cisterna Celeno dai Dardanelli al Pireo.
18 dicembre 1942
La Solferino ed il cacciatorpediniere Euro scortano dal Pireo a Salonicco il piroscafo Fanny Brunner e la nave cisterna Celeno.
24 dicembre 1942
La Solferino ed il cacciatorpediniere tedesco Hermes (per altra fonte, avrebbe fatto parte della scorta anche l’Euro) scortano la Celeno ed il piroscafo Bulgaria da Salonicco al Pireo (per altra fonte, dal Pireo a Salonicco).
28 dicembre 1942
Il capo cannoniere di terza classe Giuseppe Frixa della Solferino, di 50 anni, da Augusta, muore in territorio metropolitano.
30 dicembre 1942
Solferino ed Hermes scortano una nave cisterna dal Pireo ai Dardanelli.

La Solferino durante la seconda guerra mondiale, con colorazione mimetica (da www.kreiser.unoforum.pro)

1° gennaio 1943
Solferino ed Hermes scortano un’altra nave cisterna dai Dardanelli al Pireo.
Ancora una volta la Solferino, entrata in porto al Pireo, va ad attraccare accanto alla Donizetti e si collega ai suoi generatori, per riceverne energia elettrica.
5-6 gennaio 1943
Solferino, Calatafimi ed Hermes scortano dal Pireo (da dove partono alle nove del mattino del 5) a Suda Città di Alessandria, Città di Savona ed il piroscafo tedesco Santa Fe, carichi di truppe.
14 gennaio 1943
Lo stesso convoglio fa ritorno al Pireo. (Questo viaggio non compare nella cronologia del volume USMM “La difesa del traffico con l’Albania, la Grecia e l’Egeo”).
23 gennaio 1943
La Solferino scorta da Salonicco a Suda il piroscafo Pier Luigi.
30 gennaio 1943
Scorta la Città di Alessandria da Suda al Pireo.
3 febbraio 1943
Alle due del pomeriggio Solferino, Calatafimi ed i cacciatorpediniere Euro e Turbine partono dal Pireo per scortare a Rodi la motonave italiana Donizetti, il piroscafo italiano Argentina ed il piroscafo tedesco Ardena (le prime due cariche di truppe e materiali, il terzo posizionato in coda al convoglio con funzioni di nave salvataggio naufraghi).
Tempo buono, con mare poco mosso.
4 febbraio 1943
Il convoglio arriva a Lero alle 7 (qui i mercantili sbarcano parte del carico), per poi ripartire alle 20, diretto a Rodi. Mare mosso, cielo sereno.
5 febbraio 1943
Alle 6.50 un MAS proveniente da Rodi raggiunge il convoglio, che si trova in un passaggio obbligato e dunque particolarmente pericoloso. Le unità della scorta lanciano bombe di profondità a scopo intimidatorio.
Il convoglio giunge a Rodi alle 7. Giornata calda, nonostante sia febbraio.
6 febbraio 1943
Alle 17 Solferino, Calatafimi, Euro e Turbine lasciano Rodi per scortare DonizettiArdena ed Argentina di ritorno al Pireo. La Donizetti ha imbarcato militari che si recano in licenza, mentre sull’Argentina salgono civili italiani che sfollano da Rodi.
In serata, verso le 21.30, vengono visti fasci di luce e scie di proiettili traccianti verso Lero.
7 febbraio 1943
Il convoglio giunge a Lero alle 5, ripartendone alle 16. Durante la sosta, la Donizetti imbarca altri militari in licenza.
Nella notte, cielo coperto, densa foschia, notte particolarmente buia; però vi è un’elevata fosforescenza, che rende le scie delle navi particolarmente visibili.
8 febbraio 1943
Scortato anche da dieci aerei (cinque da caccia e cinque antisommergibili) e raggiunto nell’ultimo tratto da una vedetta antisommergibili, il convoglio raggiunge il Pireo alle 8.30.
21 febbraio 1943
Alle 14 Solferino, Turbine (caposcorta) e Calatafimi salpano dal Pireo per scortare a Rodi Donizetti, Argentina ed Ardena (le prime due sono cariche di truppe, la terza procede in coda al convoglio con il compito di recuperare naufraghi se qualche nave dovesse essere silurata).
Calata la notte, c’è la luna piena.
Il convoglio incontra tempo pessimo, con forte vento e mare agitato da nord-nord-est in continuo peggioramento, fino a forza 8, che mette in difficoltà soprattutto le siluranti della scorta e l’Ardena: “Il Calatafimi dà l’impressione di infilarsi sotto tutte le volte che le onde lo ricoprono”, scrive Widmer Lanzoni, allievo ufficiale della Donizetti, per il quale questo è il mare peggiore che abbia mai incontrato; il Turbine contatta la Calatafimi con segnalazioni ottiche e le chiede se sia in grado di tenere il mare ed al contempo adempiere efficacemente ai propri compiti di scorta, ricevendo risposta affermativa.
Sulla Donizetti, che rolla fortemente perché vuota di carico, e sull’Argentina si registrano invece parecchi casi di mal di mare tra la truppa imbarcata. Il convoglio continua a dieci nodi, ma il tempo continua a peggiorare.
22 febbraio 1943
All’1.30 della notte, prima di raggiungere il mare aperto al largo delle Cicladi, il caposcorta decide di far invertire la rotta al convoglio per rientrare al Pireo: le condizioni del mare sono troppo avverse per poter proseguire, le unità della scorta – e specialmente Solferino e Calatafimi – non sono in grado di continuare la navigazione e garantire il servizio di scorta in queste condizioni. La Calatafimi, la nave più piccola del convoglio, riceve ordine di rifugiarsi a Sira, mentre il resto del convoglio supera quest’isola e prosegue per il Pireo; alle 4.15, tuttavia, siccome neanche Solferino e Turbine riescono più a tenere il mare, il caposcorta ordina a tutto il convoglio di invertire nuovamente la rotta e dirige anch’esso su Sira, dove entra alle 6.30. Prime ad entrare in porto sono le tre siluranti (che hanno più problemi a tenere il mare: Widmer Lanzoni commenta che “Non ce l’avrebbero fatta a restare ancora fuori”), seguite dai mercantili (prima la Donizetti, poi l’Ardena e per ultimo l’Argentina); anche la manovra di ormeggio è difficoltosa, causa le forti raffiche di vento freddo che soffia senza sosta.
Il convoglio sosta a Sira, porticciolo tanto piccolo da risultare praticamente pieno con quelle sei navi ormeggiate, per quattro giorni a causa del persistente mare agitato.
26 febbraio 1943
Alle 20.30 il convoglio può finalmente lasciare Sira. Il mare è ora poco mosso, la navigazione procede senza problemi.
27 febbraio 1943
Alle 6.30 la Solferino e le altre navi, raggiunte da un MAS che si aggrega per un tratto alla scorta, arrivano a Portolago, nell’isola di Lero; qui sostano fino alle 20.30, per poi ripartire alla volta di Rodi, seguendo la costa turca.
28 febbraio 1943
Alle sei del mattino il convoglio raggiunge Rodi, dove i mercantili sbarcano le truppe per poi ripartire alle 16 per il Pireo, via Lero, sempre scortati da Solferino, Turbine e Calatafimi.
A Rodi fa caldo. La navigazione da Lero a Rodi, salvo che per il maltempo, è stata tranquilla: nessun allarme, e nelle ore diurne il convoglio è sempre stato sorvolato da caccia e ricognitori della Regia Aeronautica che assicuravano la scorta aerea.
Una volta partite, le navi fanno rotta per Rodi ad undici nodi.
1° marzo 1943
Il convoglio arriva a Lero, entrando nella baia di Portolago. In serata le navi ripartono per il Pireo.
2 marzo 1943
In mattinata il convoglio entra nel porto del Pireo (San Nicolò).
4-5 marzo 1943
La Solferino scorta l’Argentina da Creta al Pireo; la navigazione è ostacolata dal tempo pessimo (forte vento di tramontana ed anche nevischio), che danneggia l’albero poppiero della torpediniera.
15 marzo 1943
Solferino, Hermes, Castelfidardo ed il posamine ausiliario tedesco Drache partono dal Pireo per scortare ad Iraklion Città di SavonaCittà di AlessandriaDonizetti ed Ardena.
Le navi iniziano ad uscire dal porto verso le otto del mattino, ma la partenza dev’essere rinviata a causa di un’avaria ai motori della Città di Alessandria; solo alle 10 il convoglio può dirsi formato.
Alle 10.55, quando le navi si trovano al traverso di Capo Turlo, ricevono ordine di tornare al Pireo a causa di un allarme sommergibili.
Nei giorni successivi, la partenza del convoglio viene rimandata a più riprese a causa del persistente maltempo.
25 marzo 1943
Solferino, Euro, Hermes, Castelfidardo ed il cacciasommergibili tedesco UJ 2101 (per altra fonte, quest’ultimo si sarebbe unito alla scorta soltanto ad Iraklion) partono finalmente dal Pireo alle 16.40 scortando Donizetti, Città di Alessandria, Città di Savona, Ardena ed un altro piroscafo tedesco, il Santa Fe, diretti a Rodi, via Iraklion.
26 marzo 1943
In mattinata il convoglio giunge ad Iraklion, dove sbarca il suo carico (alcuni dei trasporti, sbarcati i militari italiani, imbarcano truppe tedesche dirette a Rodi); alle 18.30 tutto il convoglio, tranne il Santa Fe (che ha preceduto in porto il resto del convoglio, separandosene e venendo scortato nell’ultimo tratto dal Drache e da una torpediniera), lascia Iraklion e prosegue per Rodi.
27 marzo 1943
Alle 13 il convoglio raggiunge Rodi, dove i mercantili sbarcano le restanti truppe e merci che hanno a bordo. Alle 18.30 il convoglio riparte senza l’Euro, il quale, avendo problemi alle macchine, lo raggiungerà in un secondo tempo.
Alle 23.30 l’UJ 2101 lancia l’allarme sommergibili, ed i cacciatorpediniere accorrono e lanciano bombe di profondità incrociando sul punto indicato, mentre i mercantili si allontanano a tutta forza.
28 marzo 1943
Cessato l’allarme, il convoglio si ricompone e prosegue. Il mare è calmo, il cielo sereno. A mezzogiorno nuovo allarme antisom; l’Hermes e l’UJ 2101 attaccano subito il sommergibile, mentre il resto del convoglio prosegue a tutta forza per la sua rotta.
Nel primo pomeriggio il convoglio raggiunge Iraklion, dove sosta per alcune ore per poi ripartire alle 18.30 diretto al Pireo. Ora si è riunito alla scorta anche l’Euro, mentre l’Hermes ne farà parte soltanto per un tratto; ci vogliono quasi due ore per formare il convoglio.
29 marzo 1943
Dopo un viaggio tranquillo, il convoglio arriva al Pireo.
31 marzo 1943
Solferino e Castelfidardo scortano Città di Alessandria e Città di Savona dal Pireo a Suda.
1° aprile 1943
Solferino e Castelfidardo scortano la motonave tedesca Sinfra da Iraklion a Rodi.
7 aprile 1943
Alle 14 SolferinoCastelfidardo, Turbine ed Euro salpano dal Pireo per scortare a Rodi, via Lero, Donizetti, Re Alessandro ed Ardena (quest’ultima adibita, ancora una volta, al ruolo di nave salvataggio naufraghi).
Verso le 17.45 la Castelfidardo lancia l’allarme antisommergibili; Donizetti e Re Alessandro accelerano subito e accostano a dritta, per poi tornare sulla rotta dopo un quarto d’ora. Verso le 20 Euro e Castelfidardo, distaccate per dare la caccia al sommergibile, si riuniscono al convoglio, che torna a procedere a velocità normale.
8 aprile 1943
Alle 6.30 l’Euro avvista un aereo; dapprima si pensa che si tratti di un velivolo della scorta aerea (che raggiunge il convoglio ogni giorno all’alba), ma l’aereo non effettua i prescritti segali di riconoscimento, pertanto l’Euro apre il fuoco contro di esso, mettendolo in fuga. Poco più tardi sopraggiunge la vera scorta aerea, mentre vento e mare rinfrescano.
Il convoglio giunge a Portolago in mattinata; qui la Donizetti imbarca donne e bambini che vengono evacuati da Lero (in massima parte mogli e figli di militari italiani stanziati nell’isola), e sottufficiali che si recano in Italia in licenza. Al momento di salpare, tuttavia, la partenza viene rimandata per via del maltempo, e lo stesso accade il giorno seguente.
10 aprile 1943
Essendo il tempo in lento miglioramento, il convoglio, ora ridotto ai soli Solferino, Turbine, Euro e Donizetti, lascia Lero alla volta di Rodi.
11 aprile 1943
Il convoglio entra nel porto di Rodi poco dopo le cinque del mattino.
Poco prima delle sette di sera iniziano le manove per uscire dal porto, ma le catene delle ancore di Turbine, Euro e Donizetti si aggrovigliano, ed occorrono alcune ore per liberarle: soltanto verso le dieci il convoglio è in grado di mettersi in marcia.
12 aprile 1943
Nel corso della notte il convoglio incontra mare cattivo di prua od al mascone, che costringe a ridurre la velocità, ma tutte le navi arrivano regolarmente a Lero in mattinata, entrando nella rada di Portolago. In serata il convoglio prosegue per Lero.
13 aprile 1943
In mattinata il convoglio arriva al Pireo.
29 aprile 1943
La Solferino scorta il piroscafo Pugliola da Salonicco al Pireo.
9 maggio 1943
SolferinoCastelfidardo e Barletta scortano la motonave Donizetti, il piroscafo Re Alessandro e la nave cisterna Elli dal Pireo a Rodi.
11 maggio 1943
Il convoglio, la cui scorta è stata rinforzata dal Turbine, fa ritorno da Rodi al Pireo.
14 maggio 1943
Il capo cannoniere di terza classe Giovanni Cherchi della Solferino, di 47 anni, da Iglesias, rimane ucciso nel bombardamento di Civitavecchia (dove probabilmente si trovava per una licenza).
15 maggio 1943
La Solferino scorta il Re Alessandro dal Pireo ad Iraklion.
4 giugno 1943
La Solferino e due cacciasommergibili tedeschi scortano da Salonicco al Pireo la Sinfra e la nave cisterna tedesca (ex greca) Petrakis Nomikos.
8 giugno 1943
Solferino, Euro e due cacciasommergibili germanici scortano dal Pireo a Rodi la Donizetti e la nave cisterna Helli.
14 giugno 1943
La Solferino ed il cacciatorpediniere Francesco Crispi scortano la Sinfra da Rodi a Salonicco.
26 giugno 1943
La Solferino scorta la nave cisterna Firus dai Dardanelli al Pireo.
29 giugno 1943
Solferino e Barletta scortano l'Helli dal Pireo a Salonicco.
4 luglio 1943
Solferino e Barletta scortano da Salonicco al Pireo il piroscafo Elsa.
7 luglio 1943
Solferino e Calatafimi scortano Ardena e Re Alessandro da Iraklion al Pireo.
11 luglio 1943
Solferino, Crispi e Calatafimi scortano dal Pireo a Rodi i piroscafi HermadaGinettoEzilda CroceDubac e Goggiam.
15 luglio 1943
Solferino, Crispi e Calatafimi scortano la Sinfra dal Pireo a Salonicco, con scalo intermedio a Lero.
18 luglio 1943
Solferino e Calatafimi scortano il Re Alessandro dal Pireo a Mudros.
19 luglio 1943
Solferino e Calatafimi scortano il Re Alessandro da Mudros a Salonicco.
20 luglio 1943
Solferino e Calatafimi scortano il Re Alessandro da Salonicco a Mudros.
23 luglio 1943
Solferino e Calatafimi scortano il Re Alessandro da Mudros a Rodi.
28 luglio 1943
Solferino ed Euro scortano il Re Alessandro da Salonicco a Rodi (per altra versione, da Rodi a Salonicco); durante la navigazione un sommergibile nemico lancia un siluro contro il Re Alessandro 20 miglia a nord-nord-est di Skiros, senza riuscire a colpirlo.
30 luglio 1943
Solferino ed Euro scortano il Re Alessandro da Rodi al Pireo.
5 agosto 1943
SolferinoCrispi e Calatafimi scortano Donizetti ed Ardena dal Pireo a Rodi.
8 agosto 1943
SolferinoCrispi e Calatafimi scortano Donizetti ed Ardena di ritorno da Rodi al Pireo.
12 agosto 1943
La Solferino scorta la nave cisterna Cerere da Sira a Lero.
24 agosto 1943
La Solferino e la nave scorta ausiliaria Morruha scortano la Cerere da Lero al Pireo.
28 agosto 1943
Solferino, Calatafimi e due cacciasommergibili tedeschi scortano la pirocisterna Celeno dai Dardanelli al Pireo.
3 settembre 1943
Il marinaio cannoniere Luigi Gilormo, 21 anni, da Paduli, muore a bordo della Solferino nel Mediterraneo centraele.
4 settembre 1943
La Solferino scorta la Donizetti dal Pireo a Suda, con scali intermedi a Milo ed a Scarpanto.
Settembre 1943
La Solferino fa parte della XVI Squadriglia Torpediniere, alle dipendenze del Comando Militare Marittimo "Morea" (con sede a Patrasso), insieme alle similari San Martino, Castelfidardo, Calatafimi e Monzambano.

(g.c. Marcello Risolo via www.naviearmatori.net)

Epilogo in Egeo

Il fatidico 8 settembre 1943, giorno dell’annuncio al mondo dell’avvenuta firma dell’armistizio tra l’Italia e gli Alleati, la Solferino (tenente di vascello Alfonso Carbonara) si trovava in rada a Suda, nell’isola di Creta, insieme alla similare Castelfidardo, alla motosilurante MS 43, ai cacciasommergibili ausiliari AS 44 S. Francesco d’Assisi II ed AS 52 Marcomeni ed a due mercantili. In porto, insieme a queste navi italiane, si trovavano anche alcune motosiluranti tedesche.
La notizia dell’armistizio non avrebbe potuto trovare la Solferino in una posizione più infelice: Suda, infatti, era sotto controllo tedesco, al pari dei due terzi dell’intera isola di Creta, nella quale le truppe tedesche avevano consistenza numerica più che doppia rispetto a quelle italiane. Il comando delle forze di occupazione di Creta era parimenti tedesco, il che facilitò non poco l’azione avviata dai tedeschi, subito dopo l’annuncio dell’armistizio, per sopraffare gli ex alleati italiani.
Il Comando Marina italiano di La Canea (retto dal capitano di corvetta di complemento Domenico Da Novi), nella cui giurisdizione ricadevano i porti di Suda e di Iraklion, era di fatto un semplice ufficio di collegamento con le autorità navali tedesche nell’Egeo, tanto da essere denominato Maricolleg La Canea (Maricolleg era la denominazione che contraddistingueva gli uffici di collegamento, piuttosto che i Comandi Marina). Operativamente non dipendeva da Marisudest (il Comando Gruppo Navale Egeo Settentrionale, retto dal capitano di vascello Umberto Del Grande ed avente sede ad Atene), bensì dal locale Comando Marina tedesco (Seekommandant); i rapporti con Marisudest erano di natura prettamente disciplinare, oltre che di collegamento con i tedeschi.
Maricolleg La Canea intercettò la comunicazione che annunciava l’armistizio la sera dell’8 settembre, ed il capitano di corvetta Da Novi la ritrasmise subito al locale Seekommandant tedesco: ma questi, sostenendo di non esserne a conoscenza, rispose che poteva trattarsi di propaganda angloamericana. Da Novi, ad ogni modo, si premurò di andare a Suda e recarsi a bordo di Solferino e Castelfidardo, dando disposizioni perché le due torpediniere si preparassero quanto prima alla partenza e, qualora non fosse stato possibile salpare, a sabotarsi per non cadere intatte in mano tedesca (in questo senso andavano anche gli ordini impartiti in quelle ore da Marisudest, che però non poterono essere trasmessi a La Canea).
Fatto lo stesso anche con alcune motosiluranti italiane che si trovavano a La Canea, il capitano di corvetta Da Novi fece ritorno alla sede di Maricolleg, dopo di che si recò nuovamente a parlare col Seekommandant: ma stavolta, il suo superiore tedesco gli disse che doveva scegliere: accettare con tutte le sue navi di proseguire la guerra a fianco della Germania, oppure far sbarcare gli equipaggi e consegnare le unità alla Marina tedesca. Ma a Creta, i tedeschi non stettero neanche ad aspettare la risposta: mentre Da Novi stava parlando con il Seekommandant, reparti tedeschi, cogliendo di sorpresa gli italiani prima che questi potessero eseguire gli ordini di Da Novi, s’impadronirono di tutte le navi italiane presenti nei porti dell’isola. Da Novi fu di fatto tenuto segregato fino alle 4.10 del 9 settembre, per impedirgli di comunicare con i suoi sottoposti; quando venne rilasciato, non poté che prendere atto che Solferino, Castelfidardo e le altre unità italiane erano ormai in mano tedesca, e che era in corso lo sbarco degli equipaggi italiani. Alle 6.30 un plotone tedesco prese possesso della sede di Maricolleg e della relativa stazione radio, ma quest’ultima venne data alle fiamme dallo stesso Da Novi, che fu per questo arrestato e minacciato di morte (portato dal Seekommandant, fu da questi rilasciato, per poi essere trasferito al Pireo il 16 settembre e da lì essere mandato in prigionia in Germania).

La Solferino fu così catturata dai tedeschi, a Suda, nella notte tra l’8 ed il 9 settembre 1943. (Secondo il racconto di un marinaio della Castelfidardo, le due torpediniere si ritrovarono preclusa ogni via di fuga, avendo i tedeschi chiuso le ostruzioni all’uscita del porto ed inquadrato le due navi con i loro proiettori; dopo alcune ore di indecisione i due comandanti accettarono di consegnare le loro unità, e furono sbarcati insieme agli equipaggi. Il diario del Comando navale tedesco dell’Egeo – KTB Admiral Ägäis –, stranamente, indica come data della cattura di Solferino e Castelfidardo il 14 settembre, ed aggiunge che le due navi alzarono la bandiera tedesca il 16 settembre).


La Solferino (a destra) ed il Crispi a Suda dopo la cattura, nel settembre 1943 (da www.kreiser.unoforum.pro e da “Kampf um die Ägäis” di Peter Schenk, via Francesco De Domenico)


Sbarcati dalle loro unità sotto scorta armata tedesca, i 250 uomini che componevano gli equipaggi di Solferino e Castelfidardo furono trasferiti il 14 settembre, con un piroscafo sovraccarico, da Suda al Pireo, dove già si trovavano prigionieri gli equipaggi delle navi italiane che l’armistizio aveva sorpreso in quel porto (cacciatorpediniere Francesco Crispi e Turbine, torpediniere Calatafimi e San Martino, incrociatore ausiliario Francesco Morosini, oltre a varie unità minori e navi mercantili). In pochi riuscirono a scappare, nascondendosi od unendosi ai partigiani greci. Il 19 settembre la Solferino, armata adesso da un equipaggio tedesco, venne a sua volta trasferita al Pireo (secondo il diario del comando navale tedesco dell’Egeo, invece, la Solferino e la Castelfidardo avrebbero lasciato Suda già il 16 settembre, giungendo al Pireo alle quattro del pomeriggio di quello stesso giorno).
Il trasferimento del personale di Marina destinato a terra e di quello imbarcato sulle navi mercantili verso i campi di prigionia del Terzo Reich, con la falsa promessa del rimpatrio in Italia, era già iniziato; non pochi marinai, diffidando – a ragione – delle promesse tedesche, riuscirono a fuggire prima della partenza, trovando rifugio presso famiglie greche od unendosi alla Resistenza ellenica.
Gli equipaggi delle navi da guerra rimasero invece in un primo momento al Pireo, in quanto era intenzione dei tedeschi di trattenerli, forse per tornare ad armare le unità ex italiane per le quali vi era penuria di personale tedesco. Il 14 ottobre 1943, tuttavia, venne deciso che al Pireo sarebbero rimasti soltanto una settantina di specialisti, che avrebbero dovuto aiutare il personale della Kriegsmarine a familiarizzare con le navi italiane; gli altri sarebbero partiti a loro volta per la prigionia in Germania. Insieme ad essi rimasero in un primo momento al Pireo anche cinque ufficiali, due dei quali – il capitano di fregata Ferdinando Calda, vice comandante di Marisudest, ed il maggiore del Genio Navale Guglielmo Giani, capo dell’Ufficio Recuperi Medio Oriente – furono arrestati il 1° ottobre.
Nonostante le pressioni tedesche per la continuazione della guerra a fianco dell’Asse, la quasi totalità del personale italiano rimase fedele al governo legittimo; gli specialisti rimasti al Pireo dopo la partenza del restante personale furono sottoposti ad un’intensa campagna propagandistica, volta a spingerli ad aderire alla causa tedesca, che vide la partecipazione di quattro ufficiali italiani passati con i tedeschi (tra di essi il capitano di fregata Luigi Pilosio, già comandante di un gruppo di batterie della Marina a Creta), ma tutti o quasi tutti rimasero fermi nel loro rifiuto.

Il 25 settembre 1943 gli equipaggi di Solferino, Castelfidardo, Crispi, Turbine, Calatafimi e Morosini furono caricati su un treno formato da carri bestiame e carri scoperti. Comandante del personale italiano sul treno era il capitano di fregata Verzocchi, ufficiale di grado più elevato rimasto dopo che Del Grande era stato già imbarcato su un aereo diretto in Germania. (Secondo il menzionato reduce della Castelfidardo, l’equipaggio di questa nave, quello della Solferino ed una ventina di soldati di fanteria furono caricati su una colonna di autocarri che li portò a Salonicco, dove furono fatti salire su un treno).
Il treno lasciò la stazione di Larissa (Atene) alle sei di sera; il comandante superiore tedesco aveva detto agli scettici ufficiali italiani che la destinazione del convoglio era l’Italia settentrionale, ma in realtà il treno li portava verso la prigionia in Germania. Per giustificare l’arzigogolato percorso seguito dal treno, fu detto agli equipaggi italiani che il viaggio sarebbe stato più lungo del normale a causa degli attacchi dei partigiani jugoslavi, che avevano distrutto numerosi ponti lungo il percorso.
Gli equipaggi italiani ormai prigionieri affrontarono così un lungo carosello per tutta l’Europa orientale: il treno fece scalo a Salonicco, poi Skopje in Macedonia, Nic, Sofia, Filippopoli, Sciumla e Provadia in Bulgaria; il 3 ottobre attraversò il Danubio a Cornovada e poi fece scalo a Galaz (Bessarabia, Romania). Alcuni prigionieri riuscirono a fuggire durante il viaggio, saltando a terra in momenti in cui il convoglio rallentava. Il 5 ottobre il convoglio transitò per Fetosta e Tandarei in Transilvania, poi entrò in Ungheria, toccando Varadino, Seghedino e Nagykanizza; il 10 entrò in Austria e sostò a Matterburg, dove salirono a bordo soldati tedeschi armati che assunsero la scorta degli italiani. Furono toccate Vienna e Linz e infine si entrò in Germania: Norimberga, Iena ed il 12 ottobre Bad Sulza, in Turingia, a sud di Lipsia.
Qui le sorti degli italiani si divisero: le vetture ov’erano sistemati gli ufficiali furono infatti staccate, e venne impedito ogni contatto tra ufficiali e marinai, al punto che l’attendente di un ufficiale venne colpito da una fucilata alla spalla per aver cercato di salutarlo.
Nel campo di Bad Sulza gli ufficiali ricevettero il loro numero di matricola di prigionieri, e dovettero consegnare il denaro che avevano; un ufficiale tedesco li esortò di nuovo a proseguire la guerra a fianco delle forze tedesche, ma ottenne un compatto rifiuto.
Il 14 ottobre il treno con gli ufficiali ripartì, con scorta armata e senza più il capitano di fregata Verzocchi, ed attraversò Lipsia, Dresda, Open per poi entrare in Polonia: Cracovia, Tarnow e la destinazione finale, Leopoli, dove giunse il 20 ottobre. In questi sei giorni di viaggio i prigionieri non ricevettero alcun cibo.

Sottufficiali e marinai rimasero a Bad Sulza, nello Stalag IX C. Questo campo, dal quale dipendevano ben 1700 sottocampi (Arbeitskommando) sparpagliati per una vasta area della Turingia, era stato creato nel febbraio 1940 in quello che fino ad allora era stato un ostello della gioventù hitleriana, ed aveva inizialmente ospitato prigionieri polacchi catturati durante l’invasione del loro Paese; ad essi si erano aggiunti, quattro mesi dopo, numerosi prigionieri belgi e francesi catturati durante la conquista tedesca delle rispettive nazioni, ed a fine 1940 erano arrivati anche soldati britannici catturati a Dunkerque, seguiti nell’aprile del 1941 da prigionieri jugoslavi e poi da altri britannici e canadesi catturati in Nordafrica, Italia (1943) ed Olanda (ottobre 1944). Per ultimi, nel dicembre 1944, arrivarono soldati statunitensi catturati durante l’offensiva delle Ardenne. I prigionieri, in tutto 50.000 (oltre alle nazionalità già citate, ed agli italiani arrivati dopo il settembre 1943, c’erano anche prigionieri sovietici), lavoravano in varie fabbriche della regione e nelle miniere di potassio di Mühlhausen. Nel campo sede del comando, a Bad Sulza, si trovavano soprattutto prigionieri francesi e serbi, mentre gli altri erano divisi in tre sottocampi principali: gli italiani a Molsdorf, i sovietici a Langen Salza ed i britannici e statunitensi a Mühlhausen. Dipendevano dallo Stalag IX C anche due ospedali: il grande Reserve-Lazaret IX-C(a) di Obermassfeld ed il piccolo Reserve-Lazaret IX-C(b) di Meiningen.
La prima notte dopo il loro arrivo a Bad Sulza, i prigionieri di Marina italiani giunti dal Pireo la passarono all’addiaccio; il mattino successivo ricevettero delle patate cotte per il pasto, dopo di che vennero radunati, ed un ufficiale che parlava italiano pose loro una scelta: restare nel campo di prigionia; arruolarsi nella Wehrmacht; o lavorare nelle fabbriche. La maggioranza scelse la terza opzione; i prigionieri vennero pertanto divisi in gruppi ed inviati a lavorare in fabbrica in varie località della Turingia, attività che continuarono a svolgere fino alla loro liberazione, nelle ultime settimane della guerra.
Un gruppo di marinai della Solferino e della Castelfidardo, ad esempio, venne inviato a lavorare in una fabbrica nei pressi della città di Gera, in Turingia, dove furono alloggiati in una mansarda adattata a camerine con 26 letti a castello doppi, tavoli, sedie ed una ventina di lavandini con acqua calda e fredda. C’erano solo tre piccole finestre, e per accedere ai servizi, situati al pianterreno, occorreva chiedere il permesso ai soldati tedeschi di guardia; ma nel complesso le condizioni erano abbastanza buone.
La giornata dei prigionieri impiegati in fabbrica iniziava con la sveglia alle 6.30; si beveva te o caffè, poi si cominciava a lavorare dalle 7 e si lavorava fino alle 19, con una pausa di mezz’ora a mezzogiorno. Verso le 9 chi lavorava riceveva un panino, mentre agli altri era dato solo del brodo; a sera, finito di lavorare, ci si lavava, si era passati in rivista da un caporale, e poi si mangiava. Oltre agli italiani, altri lavoratori stranieri erano impiegati nella fabbrica: francesi, belgi e polacchi, sia uomini che donne.
Furono poi istituiti turni di undici ore, di giorno o di notte; i lavoratori del turno diurno lavoravano anche di sabato, fino alle 17. La domenica mattina tutti gli uomini venivano dapprima condotti alla stazione a scaricare vagoni merci, lavoro che si protraeva per circa tre ore, poi si faceva una doccia, e di pomeriggio si faceva corsa in giardino o passeggiate nelle colline circostanti. La vita non era comunque facile; durante questo periodo alcuni uomini morirono di stenti e di malattie, ed altri rimasero uccisi durante dei bombardamenti.
Dopo circa sette mesi, a seguito di un accordo tra Mussolini e Hitler, lo status dei prigionieri italiani venne mutato da quello di “internati militari” a quello di civili, ed a ciò seguì un certo miglioramento nelle condizioni di vita.
Nei mesi finali della guerra, le incursioni aeree Alleate andarono intensificandosi: se colti al lavoro dai bombardamenti, gli internati correvano in un tunnel ricavato sotto una vicina collina (ci voleva una decina di minuti per raggiungerlo) e vi si rifugiavano. Non sempre si faceva in tempo a raggiungere il rifugio: il 15 aprile 1945 quattro prigionieri vennero feriti dallo scoppio di una bomba subito prima di poter entrare nel rifugio, ed uno di essi, nonostante l’amputazione di una gamba, morì pochi giorni dopo.
Verso fine aprile 1945 alcuni dei prigionieri lasciarono Gera, ormai prossima a cadere in mano Alleata, durante l’ultimo attacco aereo. Si incamminarono diretti verso sud, prima seguendo le strade principali e poi attraverso le campagne; cacciabombardieri statunitensi sfrecciavano nel cielo, ma non attaccavano gli uomini che camminavano per i campi. Dopo aver marciato per una ventina di chilometri ed aver dormito vicino ad un bosco, i prigionieri sostarono in una borgata dove ricevettero delle scatolette di pesce, prelevate da altri da un automezzo civile; al pesce aggiunsero anche delle patate raccolte in un campo nelle vicinanze. Una pattuglia di SS passò e sparò contro delle finestre alle quali erano state stese delle lenzuola bianche in segno di resa. Pochissimo tempo dopo, sopraggiunsero dei carri armati statunitensi: dopo aver controllato i documenti degli italiani, i soldati americani rifornirono di provviste. Gli ormai ex prigionieri ritornarono a piedi fino a Gera, dove rimasero per una settimana presso la fabbrica dove avevano lavorato, finché gli statunitensi provvidero a trasferirli in una caserma in attesa del rimpatrio. Proprio in quella caserma, toccò in sorte ad alcuni di quegli uomini di morire quando la guerra era finita, ed il ritorno a casa ormai in vista: un ex prigioniero jugoslavo azionò accidentalmente un ordigno bellico, scatenando una serie di esplosioni che uccisero una decina di uomini e ne ferirono altrettanti.
Il giorno seguente, gli ex prigionieri furono trasferiti in un vecchio stabilimento trasformato in provvisorio campo per ex internati, con letti, armadi e cucine, nel quale furono sistemati circa 500 uomini. Dopo tre mesi, la zona in cui si trovavano venne assegnata all’area di occupazione sovietica, pertanto gli ex prigionieri vennero trasferiti ad Eisenach, più ad ovest, in area lasciata sotto il controllo delle truppe statunitensi. Alla fine, dopo tanta attesa, poterono finalmente tornare in Italia.
Del gruppo di 50 uomini assegnati alla fabbrica di Gera (dei quali 4 sottufficiali e 19 marinai erano ex membri degli equipaggi di Solferino e Castelfidardo, mentre gli altri 25 erano militari dell’Esercito della guarnigione di Creta), quattro erano morti durante la prigionia a Gera.
Il 29 marzo 1945 lo Stalag IX C venne evacuato dinanzi all’avanzata statunitense: parte dei prigionieri furono costretti a marciare per quattro settimane prima di essere liberati da truppe statunitense. I prigionieri rimasti al campo furono liberati dalla 6a Divisione corazzata statunitense (facente parte della 3a Armata del generale Patton) l’11 aprile 1945.

Altri marinai della Solferino finirono invece nello Stalag III D, situato a Lichterfelde, sobborgo di Berlino. Questo campo era sorto nel 1938 come accampamento per 1400 lavoratori delle ferrovie tedesche originari dei Sudeti; l’anno successivo parte dell’accampamento era stato affittato dalla Wehrmacht, che ne fece un campo di prigionia, inviandovi un primo gruppo di 2600 prigionieri. La denominazione di Stalag III D venne attribuita al campo nell’agosto 1940; i primi prigionieri erano polacchi, mentre con l’invasione della Francia il gruppo più numeroso divenne quello dei francesi (nel gennaio 1941 questi ultimi erano 18.160, su un totale di 18.172 prigionieri dello Stalag III D). In totale lo Stalag III D “ospitò” fino a 58.000 prigionieri: oltre agli italiani, anche belgi, britannici, francesi, jugoslavi, sovietici, polacchi, cecoslovacchi e statunitensi. Caratteristica abbastanza insolita di questo campo era che un vero e proprio campo principale non esisteva, se non come unità amministrativa: i prigionieri erano suddivisi in una miriade di sottocampi (Zweiglager) e campi di lavoro (Arbeitskommando) situati in varie zone di Berlino o nei dintorni della città, venendo adibiti alla realizzazione di rifugi antiaerei od al lavoro nelle fabbriche di armamenti od in altre ditte minori della zona. I principali sottocampi erano a Falkensee, Zossen (Groß Schulzendorf), Friesack (Wutzetz, Damm I, Damm II), Neuruppin (Wustrau I, Wustrau II), Zietenhorst e Kirchhain/Niederlausitz. Il campo era servito da due ospedali, i Reservelazarett 119 di Neukölln e 128 di Berlino-Biesdorf.
Con l’armistizio di Cassibile e l’operazione "Achse" per la neutralizzazione delle forze armate italiane, furono gli italiani a diventare il gruppo più numeroso allo Stalag III D: nel dicembre 1943, infatti, erano 30.519 gli “internati militari italiani” registrati presso questo campo; più tardi il loro numero salì a 38.000. Venivano impiegati nell’industria bellica e nella rimozione delle macerie causate dai bombardamenti; molti morirono per malnutrizione e malattie.

Altri prigionieri vennero trasferiti da Bad Sulza nello Stalag XI B di Fallingbostel, in Bassa Sassonia. Questo campo era sorto nel 1937 come villaggio di baracche destinate ad alloggiare gli operai impegnati nella costruzione della nuova base militare di Bergen; nel settembre 1939, con lo scoppio della guerra, le baracche erano state circondate con del filo spinato e la struttura era stata così trasformata un campo di prigionia. Primi “ospiti”, verso la fine del 1939, erano stati prigionieri polacchi, seguiti nel 1940 da belgi e francesi; entro la fine del 1940 i prigionieri dello Stalag XI B erano già diventati 40.000, di cui però soltanto 2500 erano effettivamente alloggiati nel campo principale, mentre gli altri erano dispersi nei numerosi sottocapi di lavoro (Arbeitskommando) sparpagliati nella regione circostante. All’apice dell’attività, sarebbero stati ben 1500 gli Arbeitskommando dipendenti dallo Stalag XI B: in parte i prigionieri erano adibiti a lavori agricoli, in parte nell’industria, comprese – benché fosse vietato dalla Convenzione di Ginevra – le fabbriche di munizioni. Il servizio di guardia era espletato dai militi del Landesschützen-Bataillon 461, appartenenti alle classi anziane o comunque considerati inadatti al servizio di prima linea. Nel luglio del 1941, con l’invasione dell’Unione Sovietica, era sorto un secondo campo denominato Stalag XI D (o Stalag 321), destinato esclusivamente ai prigionieri sovietici: questi ultimi, dei quali era pianificato lo sterminio, non disponevano di baracche, e dovevano dormire in buche scavate nel terreno, ricevendo al contempo razioni di cibo ampiamente insufficienti anche per la sola sopravvivenza (queste furono leggermente aumentate a inizio 1942, in modo da mettere i prigionieri almeno in condizione di lavorare, ma rimasero ancora largamente inferiori al necessario, ed i prigionieri continuarono a morire, adesso di sfinimento). Ben presto i sovietici iniziarono a morire a decine al giorno, di fame, di malattie e, più tardi, anche di freddo. Altri 10.000 prigionieri sovietici vennero imprigionati nello Stalag XI B, dove nel novembre 1941 vennero finalmente costruite alcune baracche. Sul finire del 1941 gli ufficiali superiori, i funzionari del Partito Comunista e gli ebrei vennero separati dagli altri prigionieri e trasferiti nei campi di concentramento di Sachsenhausen e Neuengamme, dove furono uccisi mediante fucilazione o nelle camere a gas; in novembre scoppiò in entrambi gli Stalag di Fallingbostel un’epidemia di tifo, protrattasi fino al febbraio 1942, che incrementò il già elevato tasso di mortalità dei prigionieri sovietici: fino ad un centinaio di morti al giorno, di fame e di freddo, durante l’inverno 1941-1942. Nel luglio 1942 lo Stalag XI D venne soppresso, ed i prigionieri superstiti furono trasferiti nello Stalag XI D.
Questa era la situazione quando sul finire del 1943 arrivò a Fallingbostel un nuovo numeroso gruppo di prigionieri, gli “internati militari” italiani: sottoposti a maltrattamenti, ebbero il secondo più elevato tasso di mortalità tra i vari gruppi di prigionieri del campo, superato soltanto da quello dei sovietici. I malati ed i moribondi erano confinati in una baracca a parte: “Alla mattina v'era sempre qualcuno che purtroppo non si muoveva più. Il poveretto veniva preso, messo in una “finta cassa” da morto e quindi trasportato fuori con un carretto. Distante dalle baracche c'era una grande fossa, la cassa veniva posta su un binario, quindi il fondo della stessa veniva sfilato, il corpo cadeva e subito gli veniva versata sopra della calce in polvere. Il carretto tornava con la cassa, vuota, pronta per un altro cadavere, e così via”.
Gli italiani furono alloggiati in grandi baracche suddivise in dodici locali, ognuno dei quali conteneva dodici letti a castello a tre piani, senza materassi: si dormiva sul legno. Il pasto giornaliero consisteva in un mestolo di acqua e rape, un chilo di pane ed un etto di margarina da dividere in otto.
Anche gli italiani, dopo l’arrivo a Fallingbostel, furono smistati nei numerosi Arbeitskommando della regione, andando a svolgere i lavori più disparati. Le condizioni di vita e di lavoro degli I.M.I. potevano variare sensibilmente a seconda della propria destinazione: in alcuni sottocampi, come l’Arbeitskommando 6008 di Hilkerode (frazione di Duderstadt nella Bassa Sassonia), la vita era molto dura: servizi igienici inesistenti, pidocchi, cibo insufficiente (una tazza di caffè d’orzo a colazione, un mestolo di acqua e rape, pane e margarina da dividere in otto per cena: un artigliere alpino fu picchiato a morte per aver rubato, spinto dalla fame, delle bucce di patate gettate in un bidone), maltrattamenti sia da parte del personale di guardia che dei civili tedeschi; dissenteria, tubercolosi ed altre malattie dilagavano a causa dello stato di indebolimento fisico dei prigionieri, che non ricevevano alcuna cura medica. Su 450 “internati militari italiani” dell’Arbeitskommando 6008, almeno 51 morirono durante la prigionia.
Altri sottocampi, come quello di Neuhaus (Hildesheim), erano viceversa caratterizzati da condizioni nettamente migliori: questo piccolo Arbeitskommando era composto da poco più di una trentina di soldati italiani, sorvegliati da un caporale tedesco zoppo che, a differenza dei suoi commilitoni di Hilkerode, era di buon carattere, al punto di non chiudere il cancello neanche di notte. Anche qui i prigionieri erano adibiti al lavoro in fabbrica (in questo caso, dedicata alla produzione di mattonelle di catrame), ma il rancio era più abbondante – due pasti al giorno, cucinati da civili belgi: oltre a pane e margarina, la razione comprendeva anche delle patate bollite – e sui letti a castello c’erano materassi di paglia. L’orario lavorativo era di nove ore al giorno: dalle otto del mattino a mezzogiorno e poi dall’una del pomeriggio alle sei di sera. Anche qui giunsero fascisti italiani a sollecitare l’adesione alla R.S.I., ed anche qui non ebbero successo.
A metà 1944 i prigionieri di Fallingbostel erano 98.380: 25.277 sovietici e 79.928 di altre nazionalità, in maggioranza distaccati nei vari Arbeitskommando. Nel settembre 1944 venne creato, nell’area in cui era esistito lo Stalag XI D, un nuovo campo di prigionia, lo Stalag 357 (qui trasferito da Thorn, in Polonia): alla sua costruzione furono adibiti i prigionieri italiani, mentre gli “ospiti” furono principalmente soldati del Commonwealth, ma anche sovietici, jugoslavi, francesi, polacchi e statunitensi. In tutto 17.000 uomini, con una media di 400 per baracca (ma con cuccette soltanto per 150 a baracca), in condizioni dunque di notevole sovraffollamento; a inizio 1945 la carenza di vitto e medicinali venne aggravata dall’arrivo di centinaia di prigionieri statunitensi catturati nelle Ardenne, che dovettero essere alloggiati in tende. Nell’aprile 1945, dinanzi all’avanzata Alleata, 12.000 prigionieri dello Stalag 357 in buone condizioni fisiche vennero evacuati verso nordest con marce forzate, in colonne di 2000 uomini; giunti a Gresse, ad est dell’Elba, dopo una marcia di dieci giorni, furono qui mitragliati da caccia britannici che li avevano scambiati per truppe tedesche, con diverse decine di morti. Un sergente della RAF convinse l’ormai ex comandante del campo 357, il colonnello Hermann Ostmann, a mandarlo verso ovest per prendere contatto con le truppe britanniche, in modo da arrendersi a queste ultime invece che ai sovietici; così avvenne il 3 maggio 1945. I prigionieri rimasti a Fallingbostel, in tutto 17.000, vennero liberati ancor prima: il 16 aprile 1945, infatti, lo Squadrone "B" dell’11° Reggimento Ussari e lo squadrone da ricognizione dell’8° Reggimento Ussari britannici liberarono lo Stalag XI B e lo Stalag 357: proprio la sezione del campo in cui erano rinchiusi gli italiani fu la prima ad essere raggiunta dai reparti britannici al loro arrivo.
Nel dopoguerra, con un tocco di giustizia poetica, l’ex Stalag XI B venne adibito dai britannici all’internamento dei membri dell’ormai disciolto Partito Nazista, prima di essere impiegato come campo profughi.
In totale, circa 30.000 prigionieri morirono nei campi di Fallingbostel durante la seconda guerra mondiale: nella quasi totalità si trattava di prigionieri sovietici, mentre 734 erano di altre nazionalità, cioè italiani, francesi, polacchi, britannici, belgi, statunitensi, jugoslavi, olandesi, sudafricani, slovacchi e canadesi. Tutti i prigionieri sovietici, e 273 di quelli di altre nazionalità, riposano oggi nel “Cimitero dei Senza Nome” di Oerbke.

Questa fu dunque la sorte dei sottufficiali e marinai italiani catturati al Pireo ed a Creta. Quanto agli ufficiali, separati dalla “bassa forza” a Bad Sulza e trasferiti più ad est, una volta giunti a Leopoli vennero perquisiti ed alloggiati nella cittadella, dove rimasero fino all’inizio del gennaio 1944, tranne gli ufficiali superiori, i quali furono trasferiti tra fine ottobre e inizio novembre a Tschenstochau (Polonia). Nel campo, destinato ai soli ufficiali (ve n’erano 3500, con 150 soldati) vennero organizzati dei corsi di lingue, ingegneria, architettura e diritto e conferenze a tema scientifico o letterario; con i libri in possesso degli ufficiali venne creata una biblioteca. Gli ufficiali prigionieri elessero come loro fiduciario ed anziano del campo (in sostanza, comandante dei prigionieri) il tenente di vascello Giuseppe Brignole, già comandante della Calatafimi, Medaglia d’Oro al Valor Militare per aver attaccato con la sua nave, sola, una preponderante formazione navale francese che stava bombardando Genova, nel giugno 1940.
Vi furono varie visite di ufficiali italiani che avevano aderito alla Repubblica Sociale Italiana (dapprima il colonnello degli Alpini Bracco e successivamente il maggiore Vaccari, anch’egli degli Alpini, ex prefetto di Napoli), i quali invitarono i loro “colleghi” a fare altrettanto (Vaccari, per la verità, li esortò a rientrare comunque in Italia e poi decidere il da farsi una volta rimpatriati, il che portò alla sua destituzione da parte tedesca); solo il 12 % accettò. Il 2 gennaio gli ufficiali in servizio permanente effettivo, censiti dal comando tedesco, vennero separati dagli altri e trasferiti nel campo di Ari Lager a Deblin, distaccamento dello Stalag 307 di Deblin Irina, a sud di Varsavia (tra di essi era anche il tenente di vascello Brignole, che anche nel nuovo campo mantenne l’incarico di “Anziano” fino all’agosto 1944, quando lo cedette al colonnello Angiolini, da poco arrivato da un altro campo). A Deblin Irina si trovavano circa 6000 ufficiali prigionieri, 1250 erano ad Ari Lager; sia a Leopoli che a Deblin i prigionieri erano sistemati in caserme in muratura con riscaldamento sufficiente, ma questa era l’unica nota positiva. Il cibo infatti scarseggiava, a svantaggio soprattutto di giovani e malati, che deperivano senza possibilità di recupero; i medicinali erano completamente assenti, e sia all’arrivo che durante la permanenza al campo gli ufficiali furono più volte perquisiti dalla Gestapo, venendo denudati, tenuti all’aperto nella neve per diverse ore (con temperature di 5-10 gradi sotto zero), e sistematicamente derubati di ogni oggetto di valore o di utilità (macchine fotografiche, binocoli, strumenti nautici, vestiario, posate che sembravano d’argento, denaro e oggetti preziosi): persino le fodere delle giacche e le suole delle scarpe venivano scucite, nell’eventualità che i prigionieri vi avessero nascosto qualche oggetto di valore. Anche in queste condizioni, vennero organizzate conferenze culturali e patriottiche ed intrattenimenti musicali, per tenere alto il morale.
La popolazione polacca cercò generosamente di aiutare i prigionieri italiani, anche a rischio della vita: nonostante la presenza di sentinelle tedesche armate che colpivano chi si avvicinava col calcio del fucile, civili polacchi gettarono in più occasioni pane e mele (ed anche sigarette) ai prigionieri, sia lungo la ferrovia percorsa dai treni che li trasportavano (un treno, grazie alla cessione di vestiario da parte degli ufficiali e di tabacco da parte dei polacchi, poté essere interamente rifornito di provviste dopo tre giorni in cui ne ne erano state fornite dai tedeschi), sia per le vie di Leopoli che all’interno del campo di Deblin.
Gli ufficiali rimasero prigionieri a Deblin dal 5 gennaio al 12 marzo 1944, quando iniziò il loro trasferimento nello Stalag X-B di Sandbostel, in Germania (precisamente, in Bassa Sassonia), che fu completato il 19 marzo. Un giovane guardiamarina, avendo tentato di nascondersi in una soffitta per scappare, venne scoperto, picchiato, privato delle scarpe, spogliato e rivestito con inadeguati abiti di tela (una volta giunto a Sandbostel, fu condannato a due settimane di carcere duro in isolamento, a pane e acqua). Tutti gli ufficiali, prima della partenza, furono denudati e tenuti in questo stato (e senza cibo) per 12 ore in locali non riscaldati, a temperatura di –10° C. Di nuovo furono derubati di tutti gli oggetti ritenuti “non leciti”, comprese cinghie per pantaloni, oggetti da toilette, coltelli sia da tasca sia da tavola, rasoi di sicurezza, penne stilografiche e sigarette; poi, dopo essere stati tenuti ad aspettare a lungo sotto la pioggia battente, furono chiusi in carri bestiame privi di illuminazione e riscaldamento e sporchi per i precedenti trasporti, e portati così – i vagoni venivano aperti una sola volta al giorno, per la distribuzione del cibo – fino a Bremerforde, a 14 km dallo Stalag X-B, dopo di che dovettero percorrere a piedi, sotto la pioggia, l’ultimo tratto del percorso.
Una volta nel nuovo campo, gli ufficiali vennero nuovamente ispezionati, indi sistemati provvisoriamente in baracche senza infissi, riscaldamento, illuminazione, posti letto od anche solo paglia; dopo la disinfezione (i bagagli, aperti per questa operazione, vennero poi gettati alla rinfusa nel piazzale, sotto la neve ed esposti al vento) ed una doccia, furono trasferiti in nuove baracche non compartimentate, con posti letto ad alveare, dov’erano ammassati mediamente in 280 in una baracca di 22 metri per 11. Poco cibo, molti pidocchi e temperature rigide debilitarono di molto i prigionieri; nell’aprile 1944 i malati in gravi condizioni erano almeno un migliaio, con un elevato tasso di mortalità. Le sentinelle del campo avevano il grilletto facile, e tra marzo e agosto almeno cinque ufficiali caddero sotto i loro colpi.
Nel maggio 1944 il campo fu visitato da funzionari della Croce Rossa Italiana (dottor De Luca e signora Muzi Falcone), il che portò ad un lieve miglioramento delle condizioni di vita (venne distribuita un po’ di paglia per i giacigli); in agosto, tuttavia, quando gli ufficiali si rifiutarono di lavorare per i tedeschi (in base alla Convenzione di Ginevra, gli ufficiali prigionieri non potevano essere costretti a lavorare: ma le autorità tedesche avevano classificato gli italiani «intenati militari», anziché «prigionieri di guerra», proprio per eludere tali regole), le condizioni peggiorarono nuovamente.
Nell’estate-autunno del 1944 l’erogazione dell’acqua, non potabile, venne ridotta a poche ore al giorno, talvolta poche decine di minuti (in dodici mesi i prigionieri poterono fare una sola doccia calda di cinque minuti); tutte le coperte sane vennero confiscate per essere distribuite alle truppe territoriali tedesche, recentemente formate. La razione di cibo non forniva neanche le calorie necessarie per un uomo a completo riposo, provocando molte malattie da denutrizione (a seguito delle proteste, la razione fu portata a 500 g di patate al giorno, ma in agosto, dopo il rifiuto di lavorare, fu nuovamente diminuita). La quantità di cibo disponibile veniva leggermente incrementata con le verdure di orticelli coltivati dagli internati e dai pacchi di viveri inviati dalle famiglie in Italia.
A fine agosto 1944 scoppiò un’epidemia di tipo petecchiale; il campo fu posto in quarantena, ma non vennero forniti medicinali. Vitto e clima provocavano un’elevata incidenza di infezioni intestinali, e le latrine erano mal fatte e del tutto insufficienti (una ogni 50 uomini); si diffuse anche la tubercolosi.
Il servizio postale era lentissimo, a causa dei tempi della censura (in media occorrevano 40 giorni perché una lettera dall’Italia settentrionale fosse consegnata, ma si arrivava anche a 75); molte lettere venivano distrutte senza neanche essere state controllate, per ridurre il lavoro dei censori. Non era possibile scrivere ad autorità diplomatiche, consolari o governative, né a parenti in Germania che non fossero di primo grado, e meno che mai alla Croce Rossa Internazionale, con la quale era proibito ogni contatto. I prigionieri potevano ricevere pacchi dalle famiglie (non più di due al mese, per un peso complessivo di 9 kg), ma il loro invio dall’Italia settentrionale (sotto controllo tedesco) subiva frequenti sospensioni, mentre le spedizioni dall’Italia meridionale (sotto controllo angloamericano) divennero possibili solo a partire dal novembre 1944; in tutto, soltanto un terzo dei pacchi spediti raggiunse i destinatari. Il Servizio Assistenza Internati della Repubblica Sociale Italiana inviò a sua volta delle provviste; complessivamente, durante la permanenza al campo ogni internato ricevette da tale Servizio 3 kg di riso, 2 kg di galletta, due scatole di latte condensato, 500 grammi di zucchero ed altrettanti di marmellata. Verso la fine del 1944 la tabella alimentare subì forti riduzioni, di 500-600 grammi giornalieri. Per cuocere il cibo c’era un pentolino ogni sei uomini e poco carbone, la cui razione giornaliera fu ridotta nell’autunno del 1944 a 676 grammi a persona (compreso anche quello destinato al riscaldamento).
Esistevano all’interno dei campi degli spacci che vendevano matite, dentifricio, lamette da barba, ma non generi alimentari; i prigionieri potevano farvi compere con il Lagergeld, una valuta che aveva corso esclusivamente all’interno dei campi di prigionia, della quale ricevevano periodicamente somme che variavano a seconda del grado.
Alla fine del gennaio 1945 la maggior parte degli ufficiali fu trasferita nello Stalag X-D di Wietzendorf, sempre in Bassa Sassonia, dove si trovavano in tutto circa 3000 ufficiali italiani, 700 dei quali troppo debilitati per poter essere trasferiti. Un migliaio di ufficiali, ritenuti irriducibili, vennero invece inviati nello Stalag XI-B di Fallingbostel (dove fu di nuovo il tenente di vascello Brignole a ricevere la carica di fiduciario, mentre quella di anziano fu ricoperta dal tenente colonnello Alberto Guzzinati). Il 15 febbraio 1945 una nuova ingiunzione di lavorare, con la minaccia in caso contrario della condanna ai lavori forzati, fu respinta; venne progettato di trasferire allora i prigionieri nel campo di concentramenti di Buchenwald, ma fortunatamente tale piano non poté essere messo in atto poiché le truppe tedesche nella regione, compreso il campo di Fallingbostel, furono rinchiuse in una sacca dalle forze Alleate, e nel pomeriggio del 16 aprile 1945 lo Stalag XI-B venne liberato da reparti della 15ª divisione corazzata britannica. Tre giorni prima era stato liberato anche lo Stalag X-D di Wietzendorf.
I prigionieri italiani liberati dai campi della Germania settentrionale furono concentrati dai britannici nel campo di Munsterlager, nella zona di Hannover (dove di nuovo il comando dei prigionieri andò al tenente di vascello Brignole: questi li divise in nove compagnie e ripristinò molte abitudini militari, tra cui adunate generali, rapporto giornaliero, controllo della libera uscita, servizio di guardia ai cancelli, alza e ammaina bandiera e punizioni per le infrazioni disciplinari), da dove il 30 agosto 1945 ebbe inizio il viaggio di rimpatrio, prima su camion fino a Brunswich, poi in treno fino in Italia.

Quattro uomini dell’equipaggio della Solferino non sopravvissero alla prigionia nei campi del Terzo Reich.
Il marinaio furiere Andrea Cuomo, 33 anni, da Ercolano, internato nello Stalag III D, fu dichiarato disperso in prigionia in Germania l’11 aprile 1944 (per altre fonti, addirittura già il 9 settembre 1943, ma ciò appare inverosimile, dato che in quella data doveva essere ancora a Creta). Luogo e circostanze della sua morte e sepoltura rimangono ignote.
Il marinaio fuochista Bruno Pedrolli, di 23 anni, da Trento, internato nello Stalag XI B di Fallingbostel ed assegnato all’Arbeitskommando 6133 di Sarstedt (dove si trovava una fabbrica d’armi), morì per tubercolosi cerebrale ad Hildesheim (Bassa Sassonia) il 30 maggio 1944; i suoi resti, sepolti inizialmente nel cimitero centrale di Hildesheim, riposano oggi nel Cimitero Militare Italiano d’Onore di Amburgo, insieme ad altri 5839 militari e civili italiani morti in prigionia in Germania.
Il sottocapo torpediniere Orlando De Santis, ventunenne, da Barete, internato nello Stalag IX C ed assegnato dapprima all’Arbeitskommando 1404 di Bleicherode (ove i prigionieri erano adibiti al lavoro in una miniera di sale) e successivamente all’Arbeitskommando 1180, morì per malattia in Germania il 14 ottobre 1944. Sepolto inizialmente a Gerstungen, riposa oggi nel Sacrario dei Caduti Oltremare di Bari.
Il marinaio Elio Mantovani, anch’egli ventunenne, da Argenta, impiegato presso la fabbrica Leo Gottwald (situata a Düsseldorf, produceva gru), morì il 21 aprile 1945. Il luogo del suo decesso, stranamente, non è una località della Germania, bensì Milano; forse era stato rimpatriato per le sue deteriorate condizioni di salute, come avvenne per alcuni I.M.I., e queste condussero alla sua morte poco dopo il rimpatrio. Sepolto inizialmente al campo 12 del cimitero di Musocco, riposa oggi nel cimitero comunale di Portomaggiore.

Orlando De Santis nella “foto segnaletica” scattata dopo la cattura (da www.alboimicaduti.it)

Tra chi invece fece ritorno dalla Germania era il sottocapo S.D.T. Luigi Cavallo, di 33 anni, da Ostuni (già decorato di Croce di Guerra al Valor Militare per il suo ruolo in un’azione antisommergibili della Solferino, nel 1942: «Di vedetta in controplancia su torpediniera, di scorta a convoglio, avvistava la scia di due siluri lanciati da sommergibile nemico e ne effettuava immediata segnalazione al Comandante, contribuendo col suo gesto tempestivo alla reazione che portava all’affondamento dell’unità subacquea avversaria»). Liberato dagli Alleati il 17 aprile 1945, fu trattenuto in Germania per tre mesi prima di poter iniziare il viaggio di rimpatrio; attraversato il Brennero il 30 luglio 1945, arrivò a Maricentro Verona, dove fu inviato in licenza di rimpatrio. Terminata la licenza, Maridepo Brindisi lo pose in congedo illimitato il 31 dicembre 1945: terminava così per lui la guerra, dopo quasi sei anni e mezzo (era stato richiamato nell’agosto del 1939).

Tutte le siluranti italiane catturate intatte a Suda ed al Pireo furono subito rimesse in servizio dalla Kriegsmarine come “Torpedoboote Ausland” (TA), torpediniere d’origine straniera, ma proprio la Solferino fece eccezione: forse perché in condizioni peggiori delle altre (la sua velocità massima non superava ormai i 25 nodi, rispetto agli originari 32, e l’autonomia era ridotta a 600 miglia a 20 nodi), venne invece accantonata (secondo una fonte, a Suda) e destinata in un primo tempo ad essere “cannibalizzata” per ricavarne parti di ricambio per la gemella San Martino, che invece era entrata subito in servizio sotto bandiera tedesca.
Soltanto nel 1944 si decise di riparare e rimettere in servizio anche la Solferino; il 25 luglio 1944 l’ormai ex Solferino entrò in servizio nella Kriegsmarine con il nome di TA 18 (nominativo che inizialmente era stato assegnato alla San Martino, poi ribattezzata TA 17), armata da un equipaggio tedesco ed assegnata alla 9. Torpedobootflottille (9a Flottiglia Torpediniere). Suo primo, ed unico, comandante fu il tenente di vascello Günter Werner Schmidt.

Quella sopra riportata, quanto meno, è la versione più diffusa, riferita da varie fonti anche autorevoli (tra di esse lo storico Erich Gröner, autorità nel campo della storia della Kriegsmarine). Da vari documenti tedeschi dell’epoca, rintracciati dallo storico greco Dimitris Galon, emerge tuttavia una versione differente: la tardiva entrata in servizio della TA 18 non fu dovuta ad una iniziale decisione di usarla come fonte di parti di ricambio; semplicemente, essendo il suo apparato motore in pessime condizioni (problemi alle Turbine ed alle due caldaie di sinistra), furono necessari lunghi lavori di riparazione per poterla mettere in condizioni di efficienza, lavori che per di più dovettero essere a lungo rimandati a causa del sovraccarico di lavoro di tutti i cantieri ed arsenali della Grecia.
Già il 17 settembre 1943, il giorno successivo al suo trasferimento al Pireo, la Solferino aveva ricevuto un nuovo nome assegnatole di sua iniziativa dal comandante superiore navale tedesco in Egeo, quello di Agamemnon; tre giorni dopo, insieme a Castelfidardo (ora Odysseus), Calatafimi (ora Achilles), San Martino, Crispi e Turbine, era entrata a far parte della neocostituita 9. Torpedobootflottille. Tra l’11 ed il 13 ottobre 1943 l’Agamemnon aveva effettuato delle prove di collaudo sotto la supervisione del tenente Walter Junge, suo nuovo direttore di macchina, per verificarne le condizioni di efficienza; al termine delle prove il tenente Junge aveva giudicato che l’ex Solferino necessitasse della sostituzione di due caldaie, e scriveva nel suo rapporto sulle condizioni della nave che sarebbe stato necessario immetterla in bacino di carenaggio per le riparazioni, che sarebbero state svolte dalla società Deutsche Werke Kiel AG nell’Arsenale di Salamina. Difatti, poco dopo la torpediniera ex italiana fu inviata a Salamina.
Tuttavia, dai medesimi documenti risulta anche che nell’ottobre 1943 (più precisamente, tra il 19 ed il 27 ottobre) due caldaie della Solferino vennero rimosse ed installate su altre due unità tedesche, la K 1 e la K 2, dunque la nave fu effettivamente “cannibalizzata” in un primo momento (anche se non risulta la rimozione di alcuna altra componente, a parte queste due caldaie, né risulta che parti della Solferino siano state utilizzate per riparare la San Martino o le altre “Torpedoboote Ausland”).
Il 25 ottobre 1943, per ordine del Comando in capo della Kriegsmarine, tutte le unità della 9. Torpedobootflottille ricevettero nuovi nomi, o piuttosto nominativi alfanumerici, abbandonando i pittoreschi nomi ispirati all’epica greca: l’ex Solferino, da Agamemnon, divenne TA 19, nome che dopo qualche settimana venne cambiato in TA 18 (mentre la sigla TA 19 fu assegnata alla Calatafimi, precedentemente ribattezzata TA 15; la sigla TA 15 passò al Crispi, che era stato inizialmente denominato TA 17, sigla che fu assegnata alla San Martino, inizialmente ribattezzata appunto TA 18. Il motivo di questo contorto cambio di nomi, che ha comprensibilmente generato non poca confusione circa l’impiego iniziale di queste unità, non è molto chiaro).

L’armamento contraereo della nave fu sensibilmente potenziato, con l’installazione di mitragliere singole da 37 mm e quadruple (Flakvierling) da 20 mm. Secondo www.navypedia.org, invece, sarebbero state installate quattro mitragliere singole da 20/65 mm M1940, ed inoltre sarebbe stato completamente modificato l’armamento silurante, sbarcando i due impianti lanciasiluri binati da 450 mm e sostituendoli con uno solo, anch’esso binato, da 533 mm (questi lavori sarebbero stati effettuati a fine 1943). Secondo lo storico tedesco Erich Gröner, infine, l’armamento della TA 18 nel 1944 era composto da tre pezzi da 102/65 mm, dieci mitragliere da 20/65 mm e quattro tubi lanciasiluri, mentre il sito www.german-navy.de parla di tre pezzi da 102/65 mm, una mitragliera da 37 mm, sei da 20 mm e quattro tubi lanciasiluri da 450 mm.
Il dislocamento risultò di 925 tonnellate standard, e 1160 a pieno carico. La nave venne anche dotata di un radar modello Fu.Mo. 28.
Il 28 luglio 1944 la TA 18 effettuò le prime prove in mare, ed il giorno stesso lasciò Salamina per trasferirsi a Suda (secondo una fonte, già durante questa navigazione di trasferimento avrebbe svolto la sua prima missione di scorta).

La decisione di rimettere in servizio la TA 18 era stata probabilmente motivata dal progressivo assottigliamento della 9. Torpedobootflottille, decimata dalla crescente superiorità aeronavale Alleata: delle cinque unità (TA 14, Turbine; TA 15, ex Francesco Crispi; TA 16, ex Castelfidardo; TA 17, ex San Martino; TA 19, ex Calatafimi) che la componevano al momento della sua costituzione, nel settembre 1943, tre erano già andate perdute (la TA 15, affondata da un attacco aereo l’8 marzo 1944, la TA 16, affondata da un attacco aereo a Candia il 2 giugno 1944, e la TA 19, silurata il 9 agosto dal sommergibile greco Pipinos al largo di Samo) e le altre due (TA 14 e TA 17) si trovavano in lunghi lavori di riparazione in seguito ai danni causati da mine adesive piazzate da incursori britannici mentre si trovavano a Lero nel giugno 1944. Al momento della sua entrata in servizio, pertanto, la TA 18 si ritrovò ad essere l’unica unità efficiente della 9. Torpedobootflottille.

Pur entrando ufficialmente in servizio il 25 luglio 1944, soltanto il successivo 31 agosto la TA 18 divenne effettivamente operativa; quello stesso giorno la torpediniera prese il mare per la sua prima missione sotto bandiera tedesca, scortando il trasporto militare tedesco Erpel dal Pireo ad Iraklion (in un primo momento la destinazione sarebbe dovuta essere Suda, ma il convoglietto fu dirottato durante la navigazione). Entrambe le navi versavano in condizioni di efficienza tutt’altro che ottimali: l’Erpel non riusciva a sviluppare una velocità superiore ai sette nodi, a causa di problemi alle macchine, ed anche la motrice di dritta della TA 18 dava noie. Alle 16 del 1° settembre il sommergibile britannico Vox (tenente di vascello John Martin Michell) avvistò il fumo emesso dal convoglietto, del cui arrivo era stato preavvisato, ed alle 16.09 avvistò le navi (quattro, secondo Michell, che alle 16.16 le identificò come un trasporto tipo KT, ossia l’Erpel, scortato da un cacciatorpediniere, cioè la TA 18, e da due “imbarcazioni EMS”, queste ultime sul lato rivolto verso il mare aperto; probabilmente si trattava di due cannoniere tipo GK inviate da Suda per rinforzare la scorta). Alle 16.38, in posizione 35°26’ N e 24°57’ E (al largo della costa settentrionale di Creta), il Vox lanciò quattro siluri contro l’Erpel da una distanza di 1200 metri: la nave tedesca, tuttavia, riuscì ad avvistare ed evitare il primo siluro, ed anche gli altri mancarono il bersaglio. Tre dei siluri (dopo il primo, l’Erpel avvistò anche le scie di altri due) esplosero contro la costa di Creta. Durante il lancio, il Vox aveva inavvertitamente rilasciato una grossa bolla d’aria, che ne aveva segnalato la posizione, ed aveva momentaneamente perso il controllo dell’assetto, risalendo per quasi sette metri verso la superficie; di conseguenza, Michell cercò subito di ridiscendere in profondità, ma il contrattacco consisté unicamente in una singola bomba di profondità, lanciata alle 16.48 senza causare danni.

Tra il 15 ed il 16 settembre la TA 18 scortò da Lero a Salonicco il posamine Zeus (cioè l’ex Francesco Morosini), ed il 18 settembre lasciò Salonicco carica di truppe da trasportare a Lemno, dove giunse l’indomani; il 20 settembre ripartì da Lemno scortando lo Zeus, col quale giunse a Salonicco il 21, ed il 25 le due navi lasciarono Salonicco alla volta del Pireo, dove arrivarono due giorni dopo.

Nel frattempo, se la TA 18 era riuscita fino a quel momento ad evitare danni, aumentavano le perdite della 9. Torpedobootflottille. Né la TA 14 né la TA 17, infatti, avrebbero mai completato le riparazioni: il 15 settembre 1944, la prima fu affondata da un bombardamento aereo statunitense sull’Arsenale di Salamina, e quattro giorni più tardi la seconda fu a sua volta colpita da aerei e danneggiata così gravemente da essere giudicata come non più riparabile. L’ex Solferino veniva così ad essere l’unica sopravvissuta della 9a Flottiglia Torpediniere della Kriegsmarine.
I Comandi tedeschi decisero allora di trasferire in Egeo dall’Alto Adriatico, per rimpinguare quella flottiglia ridotta ad una sola unità, tre nuove torpediniere della classe Ariete, completate poche mesi prima dai CRDA di Trieste: la TA 37 (ex Gladio), la TA 38 (ex Spada) e la TA 39 (ex Daga). Il trasferimento, eseguito a tutta velocità e denominato operazione “Odysseus”, filò liscio; tutte e tre le torpediniere raggiunsero indenni il Pireo, andando così ad affiancare la vecchia TA 18 nelle sue missioni di scorta convogli e posa di mine in Egeo.

Il 2 ottobre 1944 la TA 18, insieme alle navi scorta ausiliarie GD 97 e GK 92, salpò dal Pireo (per altra fonte, da Trikeri) per scortare a Salonicco la nave cisterna Berta ed il piroscafo Zar Ferdinand, carichi complessivamente di circa 1300 soldati tedeschi in corso di evacuazione dal Pireo a Salonicco. Poche ore dopo la partenza, il convoglio incappò nel sommergibile Curie (tenente di vascello Pierre-Jean Chailley), della Francia Libera: questo battello, in agguato a sud del Canale di Skiathos, si stava apprestando ad attaccare un convoglio di piccole unità che aveva avvistato alle 19.45, quando alle 20.26 rilevò rumore di motori e vide TA 18, Berta e Zar Ferdinand emergere dallo stretto; inizialmente la prima nave avvistata venne identificata come “una chiatta tipo Danubio di circa 400 tonnellate”, ed essendo questa di dimensioni maggiori rispetto alle unità del convoglio precedentemente avvistato, Chailley decise di rivolgere ad essa le sue attenzioni, mettendosi all’inseguimento in superficie alle 20.57. Alle 21 la vedetta di sinistra del Curie avvistò delle sagome verso sudovest, e poco dopo venne avvistato a 2700 metri di distanza l’intero convoglio: un “cacciatorpediniere” (probabilmente la TA 18) seguito da un mercantile di circa 2000 tsl (lo Zar Ferdinand) e poi da una nave cisterna di 2000 tsl, correttamente identificata come la Berta, con un’altra unità di scorta. La rotta del convoglio era 340°, la velocità di otto nodi. Alle 21.04 il Curie, stando in superficie, lanciò contro Berta e Zar Ferdinand (che in quel momento si “sovrapponevano” nel suo periscopio) una salva di quattro siluri, da 2300 metri di distanza. Dopo una breve corsa, due dei siluri lanciati andarono a segno, colpendo lo Zar Ferdinand a prua e sotto la plancia; in dodici minuti il piroscafo s’inabissò in posizione 39°20’ N e 23°20’ E, 10 o 19 miglia a nordovest dell’isola di Skiathos e 6 miglia ad ovest della penisola di Pelion. Dopo aver osservato, alle 21.05, il siluro a segno sullo Zar Ferdinand, il Curie s’immerse alle 21.06.
La TA 18 aveva avvistato il Curie a 900 metri di distanza, quando questo era ancora in superficie, due minuti prima che i siluri colpissero lo Zar Ferdinand: dopo l’esplosione dei siluri, la torpediniera mise la prua sul sommergibile francese ed aprì il fuoco, ma quando le distanze furono calate a 600 metri vide il battello avversario sparire lentamente sotto la superficie. La TA 18 passò allora alla caccia antisommergibili, con il lancio di due (per altra fonte, tre) salve di bombe di profondità; dopo l’esplosione della seconda salva, l’equipaggio della nave tedesca percepì una “detonazione rimbombante” che si protrasse per diversi secodi, e vide una “fontana d’acqua” alta circa 30 metri e larga 100, nonché chiazze scure nell’acqua smossa. Una vasta chiazza di nafta apparve in superficie e fu perso il contatto sonar, il che convinse il comandante Schmidt di avere affondato l’attaccante, anche se per maggior sicurezza fece lanciare altre due salve di bombe di profondità. Terminata la caccia, la TA 18 si occupò del salvataggio dei superstiti: ne recuperò dal mare 270, che trasbordò poi sulla Berta. Gli altri naufraghi dello Zar Ferdinand vennero recuperati dalle due navi scorta ausiliarie e dai cacciasommergibili UJ 2102 e UJ 2144, appositamente inviati sul posto.
Contrariamente a quanto apprezzato dal comandante Schmidt, il Curie non aveva riportato alcun danno (tra le 21.09 e le 21.15 contò gli scoppi di dieci bombe di profondità, lanciate da due navi diverse, nessuna delle quali particolarmente vicina); anzi, dopo soltanto un’ora fu in grado di riemergere e lanciare due segnali di scoperta relativo al convoglio, il secondo dei quali fu intercettato da un altro sommergibile in agguato poco lontano, il britannico Unswerving (tenente di vascello Michael Dent Tattersall).  
Alle 00.35 del 3 ottobre, in posizione 39°48’5” N e 23°26’5” E (al largo di Capo Kassandra), l’Unswerving avvistò TA 18 e Berta su rilevamento 235°, a 9150 metri di distanza, con rotta nord; dopo aver stimato la rotta e velocità delle due navi in 360° e 9 nodi, il comandante britannico s’immerse per attaccare (c’era infatti la luna piena) alle 00.40, ed all’1.13 lanciò tre siluri (nelle intenzioni avrebbero dovuto essere quattro, ma il quarto si rivelò difettoso) da una distanza di 5000 metri. Una delle armi, quattro minuti più tardi, andò a segno colpendo a poppa la Berta, che affondò all’1.35 una decina di miglia (per altra fonte, quattro miglia) a sud della penisola di Kassandra (40 miglia a nord di Skiathos, nelle Sporadi settentrionali; per altra fonte, invece, cinque miglia ad ovest di Kassandra), mentre l’Unswerving si allontanava indisturbato a 45 metri di profondità su rotta 175°.
Alla TA 18 (che non riuscì a localizzare il sommergibile attaccante), ai cacciasommergibili ed alle unità minori dei gruppi di scorta costiera non rimase che recuperare i naufraghi. In totale, furono tratti in salvo 1190 uomini, su circa 1300 (1174 soldati tedeschi, più gli equipaggi) che erano imbarcati su Berta e Zar Ferdinand; 240 di essi, recuperati inizialmente dalla Berta dopo l’affondamento dello Zar Ferdinand, erano stati affondati per due volte nel giro di quattro ore. La TA 18 recuperò, di nuovo, 270 naufraghi.
L’indomani, alle 14.25 del 4 ottobre, un altro sommergibile britannico, l’Untiring (tenente di vascello Robert Boyd), appena arrivato per avvicendare il Curie nel suo settore d’agguato a sud di Salonicco, avvistò del fumo su rilevamento 165°, al largo della penisola di Kassandra; tre minuti più tardi avvistò anche le alberature e la plancia di una nave che Boyd identificò come un cacciatorpediniere. Si trattava della TA 18, rimasta ormai sola: alle 14.47 il battello britannico lanciò contro di essa quattro siluri (muniti di acciarini magnetici tipo CCR, regolati in modo da esplodere senza dover colpire il bersaglio), dalla distanza di 915 metri, in posizione 39°49’ N e 23°23’ E (sei miglia a sud di Capo Cassandra), per poi scendere in profondità. A dispetto di un’esplosione avvertita sull’Untiring 55 secondi dopo il lancio (probabilmente un siluro esplose prematuramente), nessuno dei siluri andò a segno, e la TA 18 proseguì per la sua rotta. Fonti tedesche collocano l’orario dell’attacco alle 15.23.

Verso metà ottobre la TA 18, insieme al posamine Zeus, effettuò una missione di posa di mine al largo di Kassandra Huk.

In quell’ottobre del 1944, la presenza tedesca in Egeo andava ormai tramontando: temendo di restare intrappolate dall’offensiva sovietica verso la Jugoslavia, le forze tedesche in Grecia (Gruppo Armate “E” del generale Alexander Löhr) stavano ormai ripiegando verso nord, abbandonando per sempre quel Paese. Mentre le forze tedesche evacuavano gli arcipelaghi dell’Egeo e la Grecia meridionale, i Comandi britannici avevano dato il via all’Operazione “Manna”, avente lo scopo di occupare le isole dell’Egeo ed i territori della Grecia continentale abbandonati dai tedeschi: la sua esecuzione era stata affidata al Task Group dell’ammiraglio Thomas Hope Troubridge, composto da sette portaerei leggere (Hunter, Stalker, Attacker, Emperor, Searcher, Pursuer e Khedive), tre incrociatori leggeri, quattro incrociatori antiaerei e 19 cacciatorpediniere (12 britannici, 6 greci ed uno polacco). Nelle settimane successive, le forze aeronavali britanniche bombardarono le posizioni costiere tedesche, effettuarono sbarchi nelle isole ed ostacolarono l’evacuazione delle truppe tedesche, infliggendo pesanti perdite di naviglio (oltre sessanta unità di tutti i tipi, nel giro di meno di due mesi). Via via che i reparti tedeschi si ritiravano dalle isole, quelli britannici venivano sbarcati per assumerne il controllo, a distanza di pochi giorni. Tra il 6 ed il 12 ottobre le ultime navi tedesche in condizioni di efficienza furono trasferite dal Pireo a Salonicco; il 12 ottobre l’evacuazione del Pireo poteva dirsi completata, e quattro giorni dopo la squadra dell’ammiraglio Troubridge vi sbarcò le prime truppe britanniche (due brigate, precedute, due giorni prima, dal lancio di reparti di paracadutisti presso Atene). Anche Mudros fu occupata, mentre a Milo e Piscopi, ancora in mano tedesca, i primi tentativi britannici furono respinti. La squadra dell’ammiraglio Troubridge rastrellava l’Egeo a caccia di naviglio tedesco impegnato nelle operazioni di evacuazione (operazione “Cablegram”); gli aerei della RAF abbattevano i velivoli da trasporto tedeschi impegnati nell’evacuazione di Creta. Il 18 ottobre, il governo greco fece ritorno ad Atene. In tutto, 67.000 soldati tedeschi furono evacuati dagli arcipelaghi dell’Egeo, dei quali 37.000 via mare (con la perdita di 380 uomini durante l’evacuazione) e 30.000 per via aerea; la maggior parte delle isole venne prontamente rioccupata dagli Alleati, mentre a Rodi, Lero, Coo, Creta ed alcune altre rimasero dei presidi tedeschi (in totale 33.000 uomini, compresi 10.000 italiani aderenti alla RSI), isolati ed assediati, che avrebbero resistito fino alla fine della guerra.
Anche la 9. Torpedobootflottille si ritrovava ancora una volta ridotta all’osso: il 7 ottobre, infatti, la TA 37 fu affondata dai cacciatorpediniere britannici Termagant e Tuscan, ed il giorno seguente la TA 38 fu messa fuori uso da un attacco aereo (venne poi autoaffondata il 13 ottobre al largo di Volo). Il 16 ottobre, infine, la TA 39 perse la poppa su una mina, al largo di Capo Dermata, e dovette essere autuoaffondata: per la seconda volta in pochi mesi, la TA 18 si ritrovava ad essere l’unica superstite della 9. Torpedobootflottille, nonché la più “potente” nave da guerra tedesca nell’Egeo. E stavolta non sarebbe più giunto nessun rimpiazzo.

Il 18 ottobre, la TA 18 venne inviata a Volo (Volos), insieme a due motodragamine, per scortare il naviglio incaricato di evacuare verso Salonicco le truppe tedesche in ripiegamento da quel porto.
La notte seguente la torpediniera venne nuovamente inviata a Volo per recuperare un centinaio di militari tedeschi naufragati ad Argyronesos (Aryironisos), un’isoletta situata all’imboccatura della baia di Volo, il cui imbarco, previsto per la notte del 18, era stato rimandato di ventiquattr’ore a causa di un disguido nelle comunicazioni radio; quando però giunse al largo dell’isola di Sciato (Skiathos, ad ovest dell’imbocco del Golfo di Salonicco), la sera del 19 ottobre 1944, la TA 18 s’imbatté nei cacciatorpediniere britannici Termagant (capitano di fregata John Percival Scatchard) e Tuscan (capitano di fregata Ernest Norman Wood), facenti parte della squadra dell’ammiraglio Troubridge ed impegnati in un rastrello a caccia di naviglio impegnato nell’evacuazione delle truppe tedesche dalla Grecia (pochi giorni prima, questi due cacciatorpediniere avevano già affondato la TA 37, oltre a varie unità minori). I due cacciatorpediniere colsero la torpediniera di sorpresa e la investirono con un tiro intenso ed accurato; al termine di un breve quanto impari combattimento, la TA 18 fu ridotta ad un relitto e costretta ad incagliarsi sulla spiaggia di Damouchari, a sud di Volo ed undici miglia a nordovest di Skiathos, in posizione 39°22’ N e 22°57’ E (altre fonti indicano come posizione 37°45’ N e 26°59’ E, ma si tratta di un errore: queste sono infatti le coordinate di Vathy, nell’isola di Samo). Secondo una fonte greca, il comandante della TA 18 tentò dapprima di portare la nave ad arenarsi sulla spiaggia di Fakistra, ma senza successo, ed alla fine la torpediniera s’incagliò sugli scogli di Paliokastro. I due cacciatorpediniere britannici continuarono a sparare sul relitto incagliato fino a quando, alle 23.40, non ritennero di averlo completamente distrutto (secondo altre fonti, invece, il relitto della TA 18 sarebbe stato autodistrutto dal suo stesso equipaggio dopo l’incaglio).
Per l’affondamento di TA 18 e TA 37 il capitano di fregata Scatchard, comandante del Termagant, avrebbe ricevuto la sua terza Distinguished Service Cross.

Il relitto semiaffondato della TA 18 a Damouchari (da www.scubadive.gr)

Quando i Comandi tedeschi si resero conto che la TA 18 non era rientrata, né rispondeva più alle chiamate radio, provvidero ad organizzare delle ricerche, compiute da mezzi da sbarco (Pionierboote) armati da personale della 12. R-Flottille partiti da Salonicco, che proseguirono fino al 22 ottobre: ma della torpediniera non fu trovata traccia. A dispetto dell’annuncio da parte della radio britannica dell’affondamento di un cacciatorpediniere tedesco (appunto la TA 18) ad opera di due cacciatorpediniere britannici, al largo di Salonicco (nel Golfo Termaico), nella notte del 19 ottobre, l’ammiraglio comandante le forze navali tedesche nell’Egeo ritenne più probabile che la perdita della TA 18 fosse stata causata da una mina, forse nel Canale di Trikeri; si credette infatti che l’annuncio britannico si riferisse all’affondamento della TA 37 (che infatti era andata perduta in circostanze identiche a quelle della TA 18). L’intero equipaggio venne considerato disperso. In data 22 ottobre 1944 il diario operativo (KTB) del comando navale tedesco dell’Egeo riportava che “la TA 18 deve essere considerata perduta. Cause sconosciute. Probabilmente mine”, aggiungendo che si trattava di “una perdita estremamente dolorosa” ed ipotizzando che il comandante Schmidt, pur essendo considerato un ufficiale estremamente qualificato, potesse aver trasgredito le disposizioni che consigliavano di non imboccare il canale di Skiathos, dov’erano appena stati posati dei nuovi campi minati i cui ordigni si sarebbero attivati nella notte tra il 19 ed il 20 ottobre. La realtà era ben diversa.
Con la perdita della sua ultima unità, cessò per sempre anche la travagliata esistenza della 9. Torpedobootflottille, e di fatto anche la presenza della Kriegsmarine in Egeo.

L’equipaggio della TA 18 era composto da tre ufficiali e 127 o 129 tra sottufficiali e marinai: durante il combattimento rimase ucciso tutto il personale del locale caldaie numero 3, nonché altri uomini uccisi dai colpi giunti a segno in altre parti della nave. Una volta sbarcati sulla terraferma, i naufraghi furono bersagliati ancora dai cannoni di Termagant e Tuscan, che continuarono a sparare ancora per parecchio tempo, ed al tempo stesso attaccati dai partigiani greci dell’ELAS: parecchi rimasero così uccisi, dal cannoneggiamento britannico o dai partigiani. Questi ultimi consistevano in due squadre del 2° distaccamento (con base ad Ai Giannis) della 4a Squadra dell’ELAN (al comando di Evangelos Economou “Atalenios”, e facente parte della 13a Divisione dell’ELAS, attiva nella penisola di Pelion), braccio “navale” dell’ELAS; li guidavano Solon Katafygiotis e Stathis Alexiou. Dopo la fine dello scontro, un’imbarcazione della 4a Squadra dell’ELAN abbordò il relitto, e tre partigiani, saliti a bordo, prelevarono tutte le armi ancora utilizzabili ed ogni altro oggetto che potesse risultare utile.
Secondo una testimonianza di parte greca, l’equipaggio della TA 18 s’imbarcò su dei battellini di gomma con i quali cercò di allontanarsi verso il mare aperto, nella speranza di essere raccolto da qualche altra nave tedesca che sarebbe successivamente giunta in suo soccorso; tuttavia, i battellini furono raggiunti e circondati da tre imbarcazioni armate dell’ELAN, che fecero prigioniero l’equipaggio. Due o tre marinai tedeschi, rimasti a bordo della torpediniera, rifiutarono la resa e continuarono a sparare con una mitragliatrice contro i partigiani attestati sulla costa fino al giorno seguente, quando dovettero arrendersi a loro volta.
I sopravvissuti della TA 18, 110 secondo fonti greche, vennero catturati dai partigiani greci (che secondo qualche fonte tedesca ne fucilarono alcuni, mentre secondo fonti greche – in particolare il libro “Άγνωστες πτυχές Κατοχής και Αντίστασης 1941-44” di Nitsa Koli – le uniche vittime furono nel combattimento tra i partigiani ed i naufraghi, mentre dopo la cattura i prigionieri furono trattati correttamente), portati al quartier generale del gruppo partigiano ed imprigionati dapprima a Volo, dove rimasero per tre settimane in pessime condizioni, e poi nel campo di Larissa, dove altri morirono per malattia o per esecuzioni sommarie, ed in varie altre località. Alcuni specialisti vennero adibiti alla riparazione e manutenzione del bottino di guerra tedesco catturato dai partigiani.
Secondo un affidavit inviato nel dopoguerra al tribunale di Norimberga da Helmut Hagelauer, ufficiale dell’esercito tedesco prigioniero a Larissa dal dicembre 1944 al gennaio 1945, in questo campo si trovavano prigionieri in quel periodo due ufficiali ed un’ottantina di sottufficiali e marinai della TA 18, insieme a circa settanta altri militari tedeschi (tra cui un solo altro ufficiale). I prigionieri erano alloggiati in baracche nei pressi dell’aeroporto di Larissa, circondate da filo spinato e vigilate da partigiani del battaglione “Mecanicos Olympos” dell’ELAS (in massima parte ragazzi adolescenti); le baracche erano prive di riscaldamento (i prigionieri avevano realizzato delle stufe di fortuna, che alimentavano con legname che andavano furtivamente a rubare), illuminazione e coperte, ed infestate dai pidocchi. Quasi tutti i prigionieri erano privi di calzature (le avevano dovute forzatamente consegnare ai loro carcerieri) ed indossavano soltanto le ormai logore uniformi che portavano al momento della cattura. La razione individuale giornaliera consisteva in 625 grammi di pane ed un po’ di sale, e quella “collettiva” (da dividere in 150) in 7-8 kg di legumi al giorno e 1250 grammi di olio d’oliva alla settimana; la carne (25 kg complessivamente) fu distribuita in un’unica occasione, quando il campo fu visitato da un rappresentante della Croce Rossa Internazionale. Era presente un medico, nella persona di un ufficiale medico italiano, ma sprovvisto di qualsiasi medicinale ed attrezzatura medica; date anche le pessime condizioni igieniche, gran parte dei prigionieri versavano in pessime condizioni di salute.
Secondo una fonte, parte dei naufraghi della TA 18 venne utilizzata dai partigiani greci per operazioni di “sminamento”: alcuni di essi, compresi il comandante Schmidt ed il direttore di macchina Josef Fey, non fecero più ritorno. Secondo l’affidavit di Helmut Hagelauer, invece, Schmidt e Fey furono prelevati dal campo di Larissa il 6 dicembre 1944, insieme a tre sergenti ed un caporale, e caricati su un camion; qualche tempo dopo Heinz Gerd Fengler, unico superstite del gruppo, raccontò ad Hagelauer che Schmidt, Fey e gli altri erano stati fucilati l’8 dicembre nella Valle di Tempe.
Altri uomini della TA 18 prigionieri a Larissa, tra cui l’aspirante Dieter Linnekogel ed i sergenti Meier e Wagner, riuscirono a fuggire dopo tre mesi di detenzione e si consegnarono alle truppe britanniche frattanto giunte in zona, sperando in un trattamento migliore.
Successivamente, quando anche Larissa fu occupata dalle truppe indiane dell’esercito britannico (nel corso della prima fase di scontri tra i partigiani comunisti dell’ELAS e le truppe britanniche che appoggiavano il governo regio, preludio alla guerra civile che sarebbe divampata in Grecia tra il 1946 ed il 1949), tutti i superstiti della TA 18 passarono sotto custodia britannica, venendo trasferiti in Egitto, ove furono dispersi in vari campi di prigionia.

La Marina italiana radiò formalmente la Solferino dai quadri del proprio naviglio il 27 febbraio 1947. Secondo una fonte greca, il relitto della vecchia torpediniera non sarebbe mai stato recuperato, e giacerebbe ancor oggi nello stretto di Trikeri, a 27 metri di profondità.

La nave in una foto scattata intorno alla metà degli anni Venti (g.c. Giorgio Parodi, via www.naviearmatori.net)


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