La Solferino nei primi anni di servizio (da www.kreiser.unoforum.pro) |
Torpediniera, già
cacciatorpediniere, della classe Palestro (862 tonnellate di
dislocamento standard, 1033 in carico normale, 1180 a pieno carico). Durante la
guerra fu impiegata nella scorta di convogli, in massima parte nel Basso
Adriatico e nell’Egeo; secondo una fonte avrebbe anche svolto attività di posa
di mine alla deriva. Dal 10 giugno 1940 all’8 settembre 1943 svolse quasi 200
missioni di guerra, percorrendo 67.000 miglia nautiche.
Il suo motto era
“Osare”.
Breve e parziale cronologia.
21 aprile 1917
Impostazione nei
cantieri Fratelli Orlando di Livorno.
28 aprile 1920
Varo nei cantieri
Fratelli Orlando di Livorno.
31 ottobre 1921
Entrata in servizio.
Nei primi sei mesi di
attività, è impegnato prevalentemente nell’addestramento iniziale.
Il Solferino in una foto dell’11 novembre 1921 (da www.kreiser.unoforum.pro) |
Al largo di Livorno nel 1921 (Archivio storico Cantiere Azimut Benetti-Livorno, via www.associazione-venus.it) |
3 dicembre 1921
Riceve a Monaco la
bandiera di combattimento, offerta dalla locale comunità italiana.
Il Solferino a Monaco negli anni Venti (da “I cacciatorpediniere italiani” di Giuseppe Fioravanzo, USMM, 1969, via www.modellismopiu.it) |
Aprile 1922
Assegnato alla
Divisione del Levante, viene dislocato ad Istanbul, dove rimane per circa un
anno, svolgendo varie missioni nel Dodecaneso e lungo la costa egea della
Turchia.
Il Solferino in entrata in Mar Piccolo a Taranto, in un’epoca compresa tra il 1924 ed il 1927 (g.c. Marcello Risolo, via www.naviearmatori.net) |
1924-1927
Opera in Mar Tirreno;
in due occasioni è di scorta alla nave reale Savoia.
1925
È comandante del Solferino il capitano di fregata Bruno
Brivonesi.
Bruno Brivonesi, comandante del Solferino a metà anni Venti, qui in divisa da ammiraglio durante la seconda guerra mondiale |
1927
Trasferito nel Sud
Italia.
1927-1937
Svolge frequenti
crociere in Mediterraneo orientale.
Solferino (primo a sinistra), Confienza ed altri cacciatorpediniere a Siracusa il 27 aprile 1927; sullo sfondo la nave reale Savoia (Coll. Giuliano Franceschi, via www.associazione-venus.it) |
La nave nella seconda metà degli anni Venti (da www.marina.difesa.it) |
1929
Il Solferino forma la VII Squadriglia
Cacciatorpediniere assieme ai gemelli Palestro,
Confienza e San Martino. La VII Squadriglia, insieme alla VIII (formata dai
cacciatorpediniere Curtatone, Castelfidardo, Calatafimi e Monzambano)
ed all’esploratore Augusto Riboty
(unità capo flottiglia), forma la 4a Flottiglia
Cacciatorpediniere della II Divisione Siluranti (2a Squadra
Navale, con base a Taranto).
Sopra: il
Solferino prima dell’allungamento del
fumaiolo prodiero (Coll. Luigi Accorsi, via www.associazione-venus.it); sotto,
la nave nel 1935, con il fumaiolo prodiero allungato (da www.kreiser.unoforum.pro)
1930
Lavori di modifica:
il fumaiolo prodiero viene allungato per impedire al fumo di ostacolare
l’utilizzo delle apparecchiature di tiro. (Per altra fonte, questa modifica
risalirebbe al 1927; per altra ancora, probabilmente erronea, al 1938).
1937
Il peso degli anni si
fa sentire sul Solferino, la cui attività
inizia ad essere ridotta.
Il Solferino durante una mareggiata, a inizio 1938 (foto Falzone, via Coll. Luigi Accorsi e www.associazione-venus.it) |
1° ottobre 1938
Declassato a
torpediniera.
10 giugno 1940
All’ingresso
dell’Italia nella seconda guerra mondiale, la Solferino (tenente di vascello Antonio Giungi) forma, con le gemelle Palestro, Confienza
e San Martino, la XV Squadriglia
Torpediniere, di base a Venezia (alle dipendenze del Comando Militare Marittimo
Autonomo Alto Adriatico).
La Solferino a Messina a fine anni Trenta (Coll. N. Siracusano, via Maurizio Brescia e www.associazione-venus.it) |
20 agosto 1940
Posta alle dipendenze
del neocostituito Comando Superiore Traffico Albania (Maritrafalba, al comando
del capitano di vascello Romolo Polacchini), avente sede a Brindisi, assieme
alle altrettanto anziane torpediniere Palestro, Castelfidardo, Monzambano, Angelo Bassini, Nicola Fabrizi e Giacomo
Medici, alle più moderne torpediniere Partenope, Polluce e Pleiadi, ai vecchi cacciatorpediniere Carlo Mirabello ed Augusto Riboty,
agli incrociatori ausiliari RAMB III, Capitano A. Cecchi e Barletta ed alla XIII Squadriglia
MAS con i MAS 534, 535, 538 e 539.
Dislocata a Brindisi,
viene destinata a compiti di scorta ai convogli tra Italia ed Albania, nonché
ricerca e caccia antisommergibile sulle stesse rotte.
26 agosto 1940
La Solferino, insieme alla Palestro ed ad un’altra torpediniera, l’Angelo Bassini, vengono inviate a dare
la caccia al sommergibile britannico Perseus
(capitano di fregata Peter Joseph Howell Bartlett), che alle 13.33 ha
infruttuosamente attaccato la motonave Filippo
Grimani al largo di Durazzo. La Grimani
ha lanciato un SOS alle 12.57, segnalando la presenza di un sommergibile in
posizione 41°13’ N e 18°55’ E (ad una trentina di miglia da Durazzo), ed alle
13.53 ha segnalato l’avvistamento di tre scie di siluri.
Le torpediniere, in
cooperazione con mezzi aerei, proseguono le ricerche del sommergibile per tutto
il pomeriggio, ma senza risultato.
6 settembre 1940
La Solferino, il cacciatorpediniere Carlo Mirabello e l’incrociatore
ausiliario RAMB III scortano da Bari
a Durazzo le motonavi Catalani e Viminale, aventi a bordo 2186 soldati e
57 tonnellate di automezzi ed altri materiali.
7 settembre 1940
Solferino e Mirabello scortano
il piroscafo Italia e la motonave Rossini di ritorno, scarichi, da Durazzo
a Bari.
8 settembre 1940
Solferino, Mirabello e
l’incrociatore ausiliario Barletta
scortano i piroscafi Galilea e Quirinale, aventi a bordo 2364 militari
e 145 tonnellate di rifornimenti, da Bari a Durazzo.
La Solferino a inizio 1940 (Coll. Luigi Accorsi, via www.associazione-venus.it) |
10 settembre 1940
Solferino e Palestro scortano da
Durazzo a Bari Galilea, Quirinale ed un terzo piroscafo, l'Oreste, di ritorno scarichi.
21 settembre 1940
Scorta da Valona a
Bari la nave cisterna Nautilus ed i
piroscafi Procione e Polcevera, di ritorno scarichi in
Italia.
25 settembre 1940
Solferino, Barletta e la
torpediniera Monzambano scortano da
Bari a Durazzo Galilea e Quirinale, con a bordo 2195 uomini della
29a Divisione Fanteria "Piemonte"
(primi reparti di questa Divisione ad essere trasferiti in Albania: il resto
seguirà nei giorni successivi) e 148 tonnellate di materiali.
26 settembre 1940
Solferino e Monzambano scortano Galilea e Quirinale di ritorno scarichi da Durazzo a Bari.
28 settembre 1940
Solferino, Monzambano e Barletta scortano da Bari a
Durazzo Catalani e Viminale, con a bordo 2140 militari e
109 tonnellate di materiali.
29 settembre 1940
La Solferino scorta Catalani e Viminale di
ritorno scariche da Durazzo a Bari.
1° ottobre 1940
Solferino, Barletta e la più
moderna torpediniera Partenope
scortano da Bari a Durazzo, via Brindisi, le motonavi Rossini e Viminale ed
il piroscafo Italia, con 2200
soldati e 90 tonnellate di materiali.
2 ottobre 1940
Solferino e Partenope scortano Italia, Rossini e Viminale di
ritorno vuoti da Durazzo a Bari.
12 ottobre 1940
Scioglimento di
Maritrafalba.
21 ottobre 1940
Ricostituzione di
Maritrafalba (capitano di vascello Romolo Polacchini); la Solferino viene nuovamente assegnata a
tale Comando, insieme ai vecchi cacciatorpediniere Carlo Mirabello ed Augusto Riboty, alle
torpediniere Curtatone, Castelfidardo, Calatafimi, Monzambano, Confienza, Generale Antonio Cantore, Generale
Marcello Prestinari, Nicola Fabrizi e Giacomo Medici, agli incrociatori
ausiliari RAMB III, Capitano A. Cecchi, Lago Tana e Lago Zuai ed alla XIII Squadriglia
MAS con i MAS 534, 535, 538 e 539. Dislocate
a Brindisi, le unità di Maritrafalba sono adibite alla scorta dei convogli in
navigazione tra Italia ed Albania, nonché a mansioni di ricerca e caccia
antisommergibili sulle stesse rotte.
28 ottobre 1940
La Solferino, la torpediniera Generale Marcello Prestinari ed il
piccolo incrociatore ausiliario Lago
Zuai salpano da Bari alle 17 scortando i piroscafi Argentina, Firenze e Premuda,
carichi di 1871 soldati, 150 quadrupedi, 27 automezzi e 184 tonnellate di
rifornimenti.
29 ottobre 1940
Il convoglio arriva a
Valona alle 6.30.
31 ottobre 1940
Alle 23.30 la Solferino salpa da Bari unitamente agli
incrociatori ausiliari Capitano A. Cecchi
e RAMB III, scortando i piroscafi Campidoglio e Principessa Giovanna e la motonave Città di Marsala, aventi a bordo in tutto 2873 soldati.
1° novembre 1940
Il convoglio
raggiunge Durazzo alle sei del mattino.
2 novembre 1940
Solferino e RAMB III partono da
Bari alle 00.30 e scortano a Durazzo, dove arrivano alle 16.10, le
motonavi Verdi e Puccini ed il piroscafo Caron, con a bordo 1500 uomini e 62
tonnellate di materiali.
5 novembre 1940
La Solferino lascia Durazzo alle 12.30 e
scorta a Valona, dove giunge alle 23, il piroscafo Antonio Locatelli.
7 novembre 1940
All’una di notte la Solferino lascia Valona per scortare a
Brindisi, dove arriva alle 8.40, la motonave Piero Foscari, carica di merci varie.
8 novembre 1940
All’una di notte Solferino e RAMB III salpano da Brindisi per scortare a Valona, dove giungono
alle 14, la motonave Viminale, avente
a bordo 957 uomini, 29 automezzi, 241 motocicli e 188 tonnellate di
rifornimenti.
9 novembre 1940
Solferino e Lago Zuai salpano da
Valona alle due di notte e scortano a Brindisi, ove giungono alle 12.35, la
motonave Marin Sanudo ed i
piroscafi Milano, Aventino e Galilea, di ritorno scarichi.
10 novembre 1940
La Solferino e l’incrociatore ausiliario Egeo salpano da Bari alle quattro del
mattino di scorta ai piroscafi Sardegna, Titania e Tagliamento, che insieme ad un altro convoglio simultaneamente in
mare trasportano in tutto 1178 soldati, 1145 quadrupedi, 6 automezzi e 229
tonnellate di materiali.
Il convoglio arriva a
Brindisi tre ore più tardi.
11 novembre 1940
Solferino, Egeo e la
torpediniera Nicola Fabrizi ripartono
da Brindisi alle 7.15 scortando il Sardegna e
la motonave Città di Savona, coi
quali giungono a Valona alle 17.45.
12 novembre 1940
Alle 4.15 del mattino
la Solferino e la
torpediniera Curtatone,
trovandosi in porto a Valona, vengono fatte partire da Marina Valona per andare
in soccorso dei naufraghi delle navi del convoglio «Locatelli» (piroscafi Antonio Locatelli, Premuda e Capo Vado e motonave Catalani,
scortati dalla torpediniera Nicola Fabrizi
e dall’incrociatore ausiliario RAMB III),
distrutto la notte precedente da una divisione di incrociatori britannici nel
Canale d’Otranto. Nel momento in cui le due torpediniere escono in mare,
peraltro, cosa sia successo non è ancora del tutto chiaro: a Valona ed a
Brindisi sono giunte solo comunicazioni confuse e frammentarie, e come se non
bastasse poche ore prima la flotta all’ancora a Taranto è stata attaccata dagli
aerosiluranti britannici decollati dalla portaerei Illustrious, che hanno silurato tre corazzate (Littorio, Duilio, Conte di Cavour). Di conseguenza, le
linee di comunicazione sono intasate dai messaggi relativi all’attacco avvenuto
a Taranto.
Uscendo in mare
aperto, Solferino e Curtatone s’imbattono davanti a Saseno
nella torpediniera Nicola Fabrizi,
rimasta gravemente danneggiata nel tentativo di difendere il convoglio ed ora
in attesa del permesso per entrare in rada. È proprio la Fabrizi a comunicare alle due torpediniere le coordinate del punto
in cui il convoglio è stato attaccato e distrutto; a questo punto la Curtatone, unità capo sezione, si dirige
subito nel punto indicato, ordinando invece alla Solferino di setacciare la fascia litoranea.
Durante le ore
successive, le due torpediniere recuperano in tutto 140 naufraghi, tra cui 25
feriti; le perdite umane tra gli equipaggi dei quattro mercantili affondati
vengono così limitate a 25 vittime. Solferino
e Curtatone si spingono fino ai
margini dei campi minati, dopo di che inviano le loro imbarcazioni a proseguire
le ricerche anche in mezzo ai campi stessi, non potendovi entrare. La Solferino è la nave che riesce a salvare
il maggior numero di naufraghi: 75.
Verso mezzogiorno Solferino, Curtatone ed alcuni motovelieri che hanno partecipato anch’essi ai
soccorsi entrano nel porticciolo di Saseno, dove trasbordano i naufraghi
raccolti sulla nave ospedale California.
14 novembre 1940
Alle cinque del
mattino la Solferino salpa da Valona
di scorta ai piroscafi Carmelo e Giuseppe Magliulo, adibiti al traffico civile, coi quali giunge a Brindisi
alle 15.30.
27 novembre 1940
Parte da Valona alle
11.30 scortando la motonave Rialto, adibita a traffico civile, con cui giunge a
Brindisi alle 17.10.
30 novembre 1940
La Solferino e l’incrociatore ausiliario Francesco Morosini partono da Bari alle
19 per scortare a Durazzo le motonavi Verdi e Puccini ed il piroscafo Galilea, aventi a bordo 2767 militari,
48 quadrupedi e 179 tonnellate di rifornimenti.
1° dicembre 1940
Il convoglio giunge a
Durazzo alle 11.45.
5 dicembre 1940
La Solferino parte da Brindisi all’una di
notte scortando la motonave Città di
Trapani ed i piroscafi Diana e Brunner, aventi a bordo 447 militari,
420 quadrupedi, 56 tonnellate di munizioni ed altri materiali e 455
tonnellate di foraggio; il convoglio raggiunge Valona alle dieci del mattino.
6 dicembre 1940
La Solferino parte da Bari alle 20.40
scortando i piroscafi Nita e Casaregis, aventi a bordo 43 uomini, 279
automezzi e 1620 tonnellate di rifornimenti.
7 dicembre 1940
Il convoglio
raggiunge Durazzo alle 11.20.
9 dicembre 1940
La Solferino riparte da Durazzo alle 00.45,
insieme all’incrociatore ausiliario Arborea,
scortando i piroscafi Monstella ed Aventino e la motonave Marin Sanudo, di ritorno scarichi a
Bari, dove giungono alle 17.20.
14 dicembre 1940
La Solferino parte da Brindisi alle 6.30
scortando i piroscafi Absirtea e Sant'Agata e la motonave Città di Savona, il cui carico assomma
in tutto a 742 militari, 1145 quadrupedi e 178,5 tonnellate di viveri,
foraggio, vestiario ed altri rifornimenti; il convoglio raggiunge Valona alle
14.50.
20 dicembre 1940
La Solferino parte da Brindisi alle 8.40
insieme all’incrociatore ausiliario Brindisi,
per scortare a Valona il piroscafo Piemonte,
carico di 3561 uomini, undici quadrupedi e 369 tonnellate di pezzi
d’artiglieria, munizioni, provviste ed altri materiali. Le tre navi giungono a
destinazione alle 16.
25 dicembre 1940
All’alba Marina
Valona invia la Solferino a cercare
il relitto galleggiante del piroscafo Firenze,
silurato il giorno prima dal sommergibile greco Papanikolis, in posizione 40°34’ N e 19°02’ E, durante un viaggio
da Bari a Valona, ed abbandonato alla deriva dopo il salvataggio delle truppe
imbarcate (non essendo possibile prenderlo a rimorchio); la torpediniera ha
inoltre l’ordine di cercare eventuali altri naufraghi che potrebbero essere
sfuggiti alle iniziali operazioni di soccorso (su 996 uomini imbarcati sul Firenze, 93 mancano all’appello). La Solferino non riesce tuttavia a trovare
né il Firenze (che è ormai affondato)
né altri superstiti.
28 dicembre 1940
Alle 21 la Solferino ed il Barletta salpano da Bari per scortare a Durazzo i piroscafi Quirinale ed Aventino e la motonave Donizetti, aventi a bordo 2538 militari,
84 quadripedi e 626 tonnellate di rifornimenti. Lo stato del mare, tuttavia,
costringe la Solferino ad abbandonare
la scorta e rientrare a Bari; il resto del convoglio raggiungerà Durazzo alle
10.30 del 29.
29 dicembre 1940
Alle 24 la Solferino e l’incrociatore ausiliario Brioni salpano da Bari per scortare a
Durazzo il piroscafo Milano e
la motonave Verdi, aventi a
bordo 1710 militari, 118 quadrupedi e 400 tonnellate di rifornimenti.
30 dicembre 1940
Il convoglio
raggiunge Durazzo alle 13.25.
31 dicembre 1940
Alle 16 la Solferino salpa da Durazzo per scortare
a Bari i piroscafi Milano e Sant'Agata e la motonave Verdi. Si tratta dell’ultima missione di
scorta svolta nel 1940 da un’unità di Maritrafalba.
1° gennaio 1941
Il convoglio giunge a
Bari alle 9.30.
24 gennaio 1941
Alle 5.50 la Solferino parte da Brindisi per scortare
a Durazzo i piroscafi Merano (adibito
a servizio postale) e Titania, con a
bordo 224 militari, 609 quadrupedi e 56 tonnellate di foraggio ed altri
materiali; il convoglio giunge a destinazione alle 15.15.
25 gennaio 1941
Alle 7 la Solferino lascia Durazzo per scortare a
Bari i piroscafi Silvano e Miseno e la piccola nave cisterna Abruzzi, di ritorno scarichi.
Il convoglio arriva a
Bari alle 2.50 (?).
26 gennaio 1941
Alle 17 la Solferino e l’incrociatore
ausiliario Brindisi partono da Bari
per Durazzo, scortando i piroscafi Iseo (adibito
a traffico civile), Carnia, Rosandra e Laura C. (aventi a bordo 26
militari, 276 veicoli e 177 tonnellate di carne congelata).
27 gennaio 1941
Il convoglio arriva a
Durazzo alle 9.15.
Lo stesso giorno la Solferino rientra a Brindisi scortando i
piroscafi Brunner, Zena e Monstella, di ritorno scarichi.
30 gennaio 1941
La Solferino salpa da Bari alle 18.30
scortando i piroscafi Zena, Miseno e Perla, aventi a bordo un carico di 496 quadrupedi, 574 tonnellate
di foraggio e 135 di altri rifornimenti, oltre a 67 uomini.
31 gennaio 1941
Il convoglio giunge a
Durazzo alle 10.15.
2 febbraio 1941
Salpa da Durazzo alle
18.30 scortando le motonavi Città di
Agrigento e Città di
Trapani ed il piroscafo Monrosa,
di ritorno scarichi a Brindisi.
3 febbraio 1941
Il convoglio giunge a
Brindisi alle 8.30.
4 febbraio 1941
La Solferino e l’incrociatore ausiliario Brioni partono da Bari alle 23 scortando
le motonavi Città di Savona, Città di Trapani, Donizetti e Rossini, aventi a bordo il primo
scaglione della 36a Divisione Fanteria "Forlì", cioè 3200
uomini e 529 tonnellate di materiali.
5 febbraio 1941
Il convoglio arriva a
Durazzo a mezzogiorno.
6 febbraio 1941
La Solferino lascia Durazzo alle 16.30
scortando le Donizetti, Rossini e Puccini, che rientrano vuote a Bari.
7 febbraio 1941
Il convoglio arriva a
Bari alle 4.30.
8 febbraio 1941
La Solferino e l’incrociatore ausiliario Barletta salpano alle tre di notte da
Bari per scortare a Durazzo, dove giungono alle 17.30, i piroscafi Italia, Zena e Titania, aventi un
carico di 1371 uomini, 1139 quadrupedi e 224 tonnellate di rifornimenti.
11 febbraio 1941
Riparte da Durazzo
alle 3.30, scortando a Bari, dove giungono alle 17, i piroscafi Zena, Titania e Caterina, di
ritorno scarichi.
Alle 23.45 la Solferino parte nuovamente insieme al Brioni, per scortare a Durazzo i
piroscafi Casaregis e Carnia (aventi a bordo 271
automezzi), Padenna (carico di
carburante) e Rosandra (con a bordo
1600 operai).
12 febbraio 1941
Il convoglio
raggiunge Durazzo alle 14.
15 febbraio 1941
La Solferino lascia Durazzo alle 00.30, di
scorta ai piroscafi Contarini, Tagliamento e Laura C., con i quali arriva a Bari alle
23.15.
17 febbraio 1941
Riparte da Bari alle
due di notte insieme all’incrociatore ausiliario Capitano Cecchi, scortando i piroscafi Milano ed Aventino e
le motonavi Verdi e Città di Alessandria, aventi a bordo
3578 militari e 383 tonnellate di rifornimenti; il convoglio arriva a Durazzo
alle 16.20.
18 febbraio 1941
La Solferino lascia Durazzo alle 18,
scortando il piroscafo Aventino e
le motonavi Verdi e Città di Alessandria, vuote.
19 febbraio 1941
6 marzo 1941
La Solferino salpa da Brindisi all’1.15
scortando i piroscafi Carnia, Sagitta e Monrosa, carichi di 113 automezzi e 1072 quadrupedi, coi quali
giunge a Durazzo alle 14.15.
Alle 18 la
torpediniera riparte da Durazzo scortando la motonave Città di Agrigento ed i piroscafi Laura, Pontinia e Pescara, scarichi.
7 marzo 1941
Il convoglio giunge a
Bari alle 10.30.
8 marzo 1941
La Solferino salpa da Bari alle 20 per
scortare a Durazzo i piroscafi Giacomo
C., Zenobia Martini ed Irma Calzi, il cui carico assomma a 1562
tonnellate di foraggio, 1000 tonnellate di combustibili e 724 tonnellate
di carburanti.
9 marzo 1941
Il convoglio arriva a
Durazzo alle 16.30.
10 marzo 1941
La Solferino lascia Durazzo alle 3.30
scortando la motonave Città di Bastia,
che trasporta 272 feriti, ed il piroscafo Vesta, scarico. Il convoglio giunge a Bari alle 18.30.
12 marzo 1941
Solferino e Capitano Cecchi
scortano da Bari a Durazzo le motonavi Barbarigo, Città di Bastia e Città di Tripoli ed il
piroscafo Titania, aventi a
bordo 1395 uomini, 644 quadrupedi, 123 veicoli e 943 tonnellate di
rifornimenti.
13 marzo 1941
Alle 5.30 la Solferino lascia Durazzo alla volta di
Bari, dove giunge alle 19.30, scortando Città di Bastia, Città
di Tripoli (aventi a bordo in tutto 497 feriti) nonché la motonave Maria ed il piroscafo Bolsena, scarichi.
16 marzo 1941
Alle 22 la Solferino salpa da Bari per scortare a
Durazzo i piroscafi Carmela, Rinucci, Giglio e Bucintoro,
aventi a bordo 350 tonnellate di foraggio e 2362 di altri rifornimenti.
17 marzo 1941
Il convoglio
raggiunge Durazzo alle 16.
18 marzo 1941
La Solferino riparte a Durazzo alle 10,
scortando a Bari la motonave Città
di Trapani, con a bordo 199 feriti leggeri, il piroscafo postale Campidoglio ed i piroscafi
vuoti Zena ed Absirtea.
19 marzo 1941
Il convoglio
raggiunge Bari alle 8.
20 marzo 1941
La Solferino salpa da Brindisi alle 15.15
scortando il piroscafetto Pontinia,
carico di 650 tonnellate di benzina, col quale arriva a Durazzo alle
18.30. Poche ore dopo (secondo la stessa cronologia USMM contenuta nel volume
“La difesa del traffico con l’Albania, la Grecia e l’Egeo”, alle 16.30; ma ciò
sembra incompatibile con l’orario di arrivo della missione precedente) riparte
da Durazzo per scortare a Bari la motonave Tergestea
ed i piroscafi Zenobia Martini e Giacomo C., scarichi.
21 marzo 1941
Il convoglio
raggiunge Bari alle cinque del mattino.
22 marzo 1941
Solferino e Capitano Cecchi
partono da Bari alle 23 per scortare a Durazzo le motonavi Città di Bastia, Città di Alessandria e Città di Savona ed il
piroscafo Milano, aventi a bordo
3343 militari, 138 quadrupedi e 234 tonnellate di materiali.
23 marzo 1941
Alle 13.20 la Solferino, in arrivo a Durazzo con il
convoglio (che entrerà in porto alle 14.30), riceve ordine da Maritrafalba di
recarsi incontro ai piroscafi Anna Capano, Vesta e Monstella in arrivo da Bari, per assumerne la scorta nel tratto
finale della navigazione: l’unità che li scortava, la torpediniera Castelfidardo, se ne è infatti separata
per prestare soccorso al quarto piroscafo di tale convoglio, il Carnia, silurato da un sommergibile
britannico, così che i tre bastimenti, fatti proseguire dopo il siluramento, si
trovano ora senza scorta.
Raggiunti i tre
piroscafi, la Solferino ne assume la
scorta fino all’arrivo a Durazzo, alle 16.30.
24 marzo 1941
Alle 7.30 la Solferino riparte da Durazzo di scorta
alle motonavi Città di Bastia (con
a bordo 160 feriti leggeri), Città
di Alessandria e Città di
Savona ed al piroscafo Mameli,
con le quali arriva a Bari alle 22.30.
25 marzo 1941
Alle 20.30 la Solferino parte da Bari per scortare a
Durazzo i piroscafi Bolsena e Laura C. e la motonave Riv, aventi a bordo 61 militari, 233
veicoli, 1780 tonnellate di munizioni e 1494 tonnellate di altri rifornimenti.
26 marzo 1941
Il convoglio
raggiunge Durazzo alle 10.50.
27 marzo 1941
Alle 19 la Solferino lascia Durazzo per scortare a
Bari Città di Bastia, Riv, Abruzzi e la piccola motonave Carlotta, tutte scariche.
28 marzo 1941
Il convoglio giunge a
Bari alle 9.40.
29 marzo 1941
La Solferino salpa da Bari alle 18 per
scortare a Durazzo i piroscafi Casaregis, Polcevera, Bucintoro e Costante
C., aventi a bordo 32 militari, 154 automezzi, 2726 tonnellate di
munizioni, 380 di foraggio e 760 di altri rifornimenti-
30 marzo 1941
Il convoglio giunge a
Durazzo alle 8.45.
Alle 18 la Solferino riparte da Durazzo per
scortare a Bari i piroscafi Vesta e Contarini e le motonavi Rossini e Narenta.
31 marzo 1941
Il convoglio giunge a
Bari alle 7.45.
2 aprile 1941
Solferino e Barletta salpano da
Bari a mezzanotte per scortare a Durazzo il piroscafo Città di Tripoli e le motonavi Città
di Savona, Città di Alessandria e Donizetti, aventi a bordo 2744 uomini e
392 tonnellate di rifornimenti. Il convoglio raggiunge Durazzo alle 13.30.
3 aprile 1941
La Solferino riparte da Durazzo alle 7 per
scortare a Bari, dove arrivano alle 20, Città
di Alessandria, Città di Savona ed
il piroscafo Tripoli, tutti scarichi.
5 aprile 1941
La Solferino lascia Bari alle 21 per
scortare a Durazzo i piroscafi Istria e Zena, aventi a bordo 110 uomini, 560
quadrupedi, 119 automezzi e 724 tonnellate di rifornimenti.
6 aprile 1941
Il convoglio giunge a
Durazzo alle 16.
8 aprile 1941
La Solferino parte da Bari alle 22.30
scortando il piroscafo Diana e
la motonave Riv, con a bordo 116
militari, 465 quadrupedi, 159 autoveicoli ed altri rifornimenti.
9 aprile 1941
Il convoglio
raggiunge Durazzo alle 17.
10 aprile 1941
La Solferino lascia Durazzo alle 9.30, per
scortare a Bari il piroscafo Italia,
vuoto, e le motonavi Rossini,
avente a bordo 150 militari rimpatrianti, e Puccini, con a bordo 80 detenuti ed altri 48 rimpatrianti.
11 aprile 1941
Il convoglio arriva a
Bari all’1.30.
12 aprile 1941
La Solferino salpa da Brindisi alle tre di
notte diretta a Valona, scortando il piroscafo Stampalia e la motonave Filippo
Grimani, aventi a bordo cinque autoveicoli, 650 tonnellate di benzina ed
altri materiali.
Il convoglio giunge a
destinazione alle 11.30, ed alle 12.45 la Solferino
riparte da Valona scortando i piroscafi scarichi Favorita, Avionia ed Iseo, di ritorno a Brindisi.
13 aprile 1941
Il convoglio
raggiunge Brindisi alle 6.30.
14 aprile 1941
La Solferino ed il cacciatorpediniere Carlo Mirabello partono da Durazzo alle
sette per scortare a Bari i mercantili scarichi Istria, Rossini e Puccini; il convoglio giunge a
destinazione alle 22.
Già alle 23 la Solferino riparte da Bari scortando il
piroscafo postale Campidoglio,
il piroscafo da carico Monstella e
le motonavi Marco Foscarini e Marin Sanudo, dirette a Durazzo con 104
militari, 547 quadrupedi ed un carico di munizioni.
15 aprile 1941
Il convoglio
raggiunge Durazzo alle 15.30.
16 aprile 1941
La Solferino lascia Durazzo alle 6
scortando il Campidoglio, in
servizio postale da Durazzo a Brindisi, il Tagliamento ed il Sant'Agata,
entrambi scarichi.
Alle 17.10 il
convoglio giunge davanti a Brindisi; qui la Solferino
accompagna in porto il Campidoglio,
poi torna al largo e riprende la navigazione insieme agli altri due piroscafi,
coi quali giunge a Bari alle 23.
18 aprile 1941
Alle 3.30 la Solferino salpa da Brindisi per scortare
a Durazzo, dove giunge alle 16.30, la piccola nave cisterna Abruzzi ed i piroscafi Albachiara, Carmela ed Asteria,
il cui carico assomma in tutto a 480 tonnellate di gasolio, 300 di
legname e 1051 di altri materiali.
21 aprile 1941
La Solferino parte da Valona alle 10
scortando i piroscafi scarichi Bucintoro, Caterina e Scarpanto. Il convoglio raggiunge
Brindisi alle 19.45.
23 aprile 1941
Alle 3.30 la Solferino salpa da Brindisi unitamente
al Barletta, per scortare a Valona un
convoglio formato dai piroscafi Ivorea, Francesco Crispi e Galilea, carichi di 2365 uomini, 67
quadrupedi, 1288 tonnellate di carne congelata e 205 di altri materiali. Il
convoglio raggiunge Valona alle 10.
24 aprile 1941
Riparte da Valona
alle 13.30, scortando Crispi e Galilea di ritorno a Brindisi, dove
giunge alle 20.40.
27 aprile 1941
Salpa da Brindisi per
Valona alle 23.20, di scorta ai piroscafi Giacomo C. e Brundisium,
aventi a bordo 1500 tonnellate di foraggio e 580 di materiale medico.
28 aprile 1941
Il convoglietto
raggiunge Valona alle 9.
29 aprile 1941
La Solferino lascia Valona alle 7,
scortando il piroscafo vuoto Poseidone a
Brindisi, dove giunge alle 14.30.
Qualche ora dopo, la Solferino riparte da Brindisi scortando
i piroscafi Anna Martini, Bottiglieri, Cerere ed Esterina, provenienti da Bari (da dove
sono partiti alle otto di sera del 28) e diretti a Durazzo con un carico di
foraggio, legname e materiali da costruzione (nel tratto Bari-Brindisi li ha
scortati la torpediniera Monzambano).
30 aprile 1941
Il convoglio arriva a
Durazzo alle 16.45.
Sempre secondo la
citata cronologia USMM, alle 00.25 del 30 aprile la Solferino sarebbe partita da Brindisi per scortare a Durazzo il
piroscafo Favorita, carico di
3540 tonnellate di provviste, giungendo a destinazione alle 14 dello stesso
giorno. Ciò sembra però incompatibile con gli orari della precedente missione
di scorta.
1° maggio 1941
La Solferino parte da Durazzo alle 8
scortando i piroscafi Istria e Sagitta, aventi a bordo 317 autoveicoli,
arrivando a Bari alle 20.30.
2 maggio 1941
Alle 22 la Solferino salpa da Bari scortando la
piccola motonave Carlotta ed i
piroscafi Miseno, Sidamo e Scarpanto, carichi di provviste, carburante ed altri rifornimenti.
3 maggio 1941
Il convoglio
raggiunge Durazzo alle 12.30.
Alle 23 la Solferino riparte da Durazzo scortando
il piroscafo Città di Tripoli e la
motonave Donizetti, aventi a bordo
400 militari italiani rimpatrianti, 700 prigionieri serbi e materiali
vari.
4 maggio 1941
Il convoglio giunge a
Bari alle 11.30.
5 maggio 1941
Alle 20 la Solferino salpa da Bari per scortare a
Durazzo le motonavi Maria, Donizetti, Città di Marsala e Città
di Tripoli, con 400 militari italiani e rifornimenti.
6 maggio 1941
Il convoglio giunge a
Durazzo alle 9.15.
7 maggio 1941
Alle tre di notte la Solferino riparte da Durazzo per
scortare a Bari, insieme all’incrociatore ausiliario Zara, Città di Tripoli, Città di Marsala, Donizetti e Monrosa, aventi a bordo 1910 militari
rimpatrianti ed un carico di materiali. Il convoglio arriva a Bari alle 17.
11 maggio 1941
Alle due di notte la Solferino salpa da Bari scortando il
piroscafo Quirinale e la Città di Marsala, carichi di truppe e
rifornimenti; il convoglio giunge a Durazzo alle 14.
12 maggio 1941
La Solferino e la torpediniera Nicola Fabrizi lasciano Durazzo alle 6 scortando Quirinale e Città di Marsala
che ritornano in Italia, carichi adesso di 1820 militari rimpatrianti e
materiali vari. Il convoglio arriva a Bari alle 18.30.
13 maggio 1941
Alle 22.15 la Solferino parte da Bari per scortare a
Durazzo le motonavi Città di Alessandria
e Città di Trapani ed il piroscafo Istria, carichi di truppe e
rifornimenti.
14 maggio 1941
Il convoglio
raggiunge Durazzo alle 12.50, ed alle 10 (?) la Solferino ne riparte per scortare il piroscafo Monrosa che torna in Italia con 132 militari e 1059 quadrupedi.
15 maggio 1941
Solferino e Monrosa arrivano a
Bari alle 4.15.
Risulterebbe che alle
cinque del mattino Solferino e Zara sarebbero partite da Durazzo
scortando le motonavi Città di
Alessandria e Città di
Trapani, di ritorno in Italia con 1753 militari rimpatrianti ed un carico
di materiali, convoglio che sarebbe giunto a Bari alle 18.40; ma l’orario di
partenza di questo convoglio sembra incompatibile con quello dell’arrivo a Bari
del Monrosa (a meno che la Solferino non se ne fosse separata
prima, tornando a Durazzo).
4 giugno 1941
La Solferino scorta da Bari a Valona, via
Brindisi, le motonavi Città di
Alessandria, Donizetti e Rossini ed il piroscafo Italia, carichi di truppe e materiali.
5 giugno 1941
Solferino e Zara scortano da
Valona a Bari Quirinale, Milano e Puccini, di ritorno in Italia con 1100 militari rimpatrianti e
materiali vari.
7 giugno 1941
Scorta da Bari a
Durazzo, via Brindisi, le motonavi Città
di Bastia e Città di
Marsala ed i piroscafi Milano e Quirinale, con a bordo 1700 uomini ed un
carico di rifornimenti.
9 giugno 1941
Solferino e Brindisi scortano Città di Marsala, Città di Bastia, Milano e
Quirinale di ritorno da Durazzo a
Bari con 3913 militari e materiali vari.
11 giugno 1941
La Solferino scorta da Bari a Durazzo Città di Tripoli, Rossini, Milano e Quirinale,
con truppe e rifornimenti.
20 giugno 1941
Solferino e Brioni scortano Città di Marsala, Città di Tripoli e Rosandra, aventi a bordo truppe
dell’Esercito, 1409 operai rimpatrianti e materiali vari, da Brindisi a
Durazzo.
25 giugno 1941
Scorta da Brindisi a
Valona le motonavi Città di
Agrigento e Viminale,
cariche di materiali del Corpo di Commissariato e della Regia Aeronautica.
2 luglio 1941
Solferino e Zara, insieme al
vecchio cacciatorpediniere Augusto Riboty,
scortano da Durazzo a Bari i trasporti truppe Puccini, Città di
Marsala, Città di Agrigento, Rosandra e Milano, aventi a bordo 3250 militari
rimpatrianti ed i relativi materiali.
5 luglio 1941
Solferino e Zara scortano da
Durazzo a Bari Rossini, Italia, Quirinale ed Aventino
con 3600 militari rimpatrianti.
La Solferino nell’Arsenale di Venezia, il 29 ottobre 1941 (g.c. Giorgio Parodi, via www.naviearmatori.net) |
Un’altra foto della nave nell’Arsenale di Venezia nell’ottobre 1941 (Coll. Luigi Accorsi via www.associazione-venus.it) |
11 novembre 1941
Solferino e Zara scortano da
Bari a Durazzo Italia, Milano e Rosandra, carichi di truppe e rifornimenti.
13 novembre 1941
Solferino e Zara scortano da
Durazzo a Bari i piroscafi Italia, Milano e Rosandra, con a bordo 3380 militari rimpatrianti.
18 novembre 1941
La Solferino e l’incrociatore ausiliario Arborea scortano da Bari a Durazzo Aventino, Italia, Milano e Rosandra, con a bordo 2230 militari e
materiale militare di vario genere.
21 novembre 1941
Solferino ed Arborea scortano
Aventino, Italia, Milano e Rosandra di ritorno da Durazzo a Bari,
adesso con 3300 militari rimpatrianti; tre delle navi si fermano a Bari, mentre
il Milano prosegue fino a Brindisi
con la scorta di Solferino ed Arborea.
25 novembre 1941
Solferino e Brindisi scortano da
Bari a Durazzo Italia, Rosandra ed Aventino, con a bordo 3406 militari,
materiale destinato alla Regia Marina ed alla Regia Aeronautica ed altri
rifornimenti.
28 novembre 1941
La Solferino scorta da Durazzo a Bari Italia, Rosandra ed Aventino
di ritorno con 3500 militari rimpatrianti.
29 novembre 1941
Verso le otto di sera
la Solferino avvista un sommergibile
emerso al largo del faro di Sant’Andrea di Missipezza (Melendugno), ed il suo
comandante, non essendo stata informata della presenza nei paraggi di
sommergibili amici, ritiene pertanto che si tratti di un’unità nemica, che
decide di attaccare: dapprima la Solferino
lancia dei siluri, senza successo; poi manovra per speronare il battello
“nemico”, riuscendoci alle 20.09. Dopo la collisione, che non è stata molto
violenta, la torpediniera apre il fuoco sul sommergibile con le mitragliere, da
una distanza di 200 metri, colpendolo alla base della torretta.
In realtà, il
sommergibile è l’italiano Marcantonio
Bragadin (capitano di corvetta Mario Vannutelli), partito da Pola alle 3.50
del giorno precedente per trasferirsi a Brindisi. Fortunatamente, né la
collisione né il tiro della Solferino
hanno arrecato danni gravi al sommergibile, che è in grado di proseguire la sua
navigazione, raggiungendo Brindisi all’1.15 del 30 novembre (già il 3 dicembre
sarà in grado di trasferirsi a Taranto, ed il 17 partirà da qui per una
missione di trasporto). Vi è un unico ferito, il comandante Vannutelli del Bragadin, infortunatosi per essere stato
scagliato violentemente contro una mitragliera dall’impatto dello speronamento.
La successiva
inchiesta scagionerà da ogni responsabilità il comandante e gli ufficiali della
Solferino (secondo una fonte non
controllata, perché era il Bragadin a
trovarsi in una zona in cui non sarebbe dovuto passare secondo gli ordini
ricevuti).
24 gennaio 1942
Scorta il piroscafo
tedesco Thessalia da Brindisi a
Corfù.
25 gennaio 1942
Scorta il Thessalia da Corfù ad Argostoli.
30 gennaio 1942
La Solferino e la torpediniera Generale Carlo Montanari scortano il Thessalia da Corfù a Patrasso.
Alle 9.18 il
sommergibile britannico Thunderbolt
(capitano di fregata Cecil Bernard Crouch) avvista in posizione 38°35’ N e
20°25’ E (circa 6-7 miglia ad ovest di Capo Dukato, nell’isola di Santa Maura) Thessalia, Solferino e Montanari
(quest’ultima era già stata avvistata dal Thunderbolt
alle 8.09, a nordovest del faro di Capo Dukato, ma alle 9.05 il sommergibile
era stato costretto a scendere a quota profonda da un aereo di pattugliamento)
su rilevamento 343°, a 5500 metri di distanza, con rotta stimata 160°. La Solferino (che Crouch ritiene essere
probabilmente una torpediniera classe Curtatone, in effetti molto simile alla
classe Palestro) procede sulla dritta del Thessalia,
la Montanari (correttamente
identificata come una torpediniera classe Generali) è invece sulla sinistra.
Alle 9.39 il Thunderbolt lancia tre
siluri contro il Thessalia da 2290
metri di distanza; al momento del lancio del terzo siluro, la Solferino si trova allineata con il Thessalia, e Crouch la vede puntare
verso il suo sommergibile da circa 900 metri di distanza. Dalle fonti italiane
risulta infatti che la Solferino
abbia avvistato due siluri diretti verso di essa, li abbia evitati con la
manovra e sia poi passata al contrattacco; il Thunderbolt reagisce scendendo in profondità e cambiando rotta. La Solferino lancia due bombe di
profondità, le cui esplosioni scuotono violentemente il Thunderbolt, e poi altre 27 nel corso della caccia
antisommergibili, che si protrae per qualche tempo. Il sommergibile, ad ogni
modo, non riporta danni; parimenti, i siluri da esso lanciati non vanno a
segno.
3 febbraio 1942
La Solferino, il Brindisi e la torpediniera Generale
Carlo Montanari scortano Galilea, Piemonte e Viminale,
carichi di truppe rimpatrianti, da Patrasso a Bari.
25 febbraio 1942
Scorta la nave
cisterna Utilitas da Valona
a Bari.
1° marzo 1942
Solferino e Zara scortano
i piroscafi Italia, Aventino e Città di Catania, carichi di truppe e rifornimenti, da Bari a
Durazzo.
4 marzo 1942
Solferino e Zara scortano Italia, Aventino e Città di
Catania di ritorno da Durazzo a Bari con truppe rimpatrianti.
6 marzo 1942
Solferino e Zara scortano da
Bari a Durazzo Donizetti e Città di Catania, carichi di truppe e
rifornimenti a bordo.
9 marzo 1942
Solferino e Zara scortano Donizetti e Città di Catania di ritorno da Durazzo a Bari con truppe
rimpatrianti.
11 marzo 1942
La Solferino, l’incrociatore ausiliario Città di Genova ed i cacciatorpediniere Euro e Sebenico scortano da Bari a Patrasso i piroscafi Aventino, Francesco Crispi, Italia, Ivorea, Galilea e Piemonte e
la motonave Viminale, carichi di
truppe e rifornimenti.
Durante questa missione
la Solferino esegue un’azione
antisommergibile, nella quale ritiene, erroneamente, di aver affondato un
sommergibile nemico, come annunciato dal bollettino di guerra n. 40: «Le torpediniere S. Martino e Solferino,
comandate rispettivamente dai tenenti di vascello Angelo Pievatolo e Mirko
Vedovato, hanno affondato ciascuna, in luoghi e giorni diversi, un sommergibile
nemico».
24 marzo 1942
La Solferino scorta da Bari a Valona la
nave cisterna Dora C.
26 marzo 1942
Solferino e Barletta scortano da
Valona a Brindisi la pirocisterna Arca ed
i piroscafi Hermada, Lauretta e Pontinia.
2 aprile 1942
La Solferino e la San Martino scortano la nave cisterna Arca da Brindisi a Patrasso, via Argostoli.
19 aprile 1942
Solferino e San Martino scortano
da Patrasso a Navarino il piroscafo Tripoli.
25 aprile 1942
La Solferino scorta il piroscafo Rosario da Bari a Patrasso. Durante la
navigazione, tuttavia, il Rosario
s’incaglia presso Capo Papas; potrà in seguito essere disincagliato.
27 aprile 1942
Solferino e San Martino scortano
la nave cisterna Rondine ed
il piroscafo Goffredo Mameli da Patrasso a Prevesa.
1° maggio 1942
La Solferino salpa da Taranto per scortare
a Patrasso, insieme alla nave idrografica Cariddi,
i piroscafi tedeschi Otto Leonhardt ed
Hans Arp.
2 maggio 1942
Alle 7.40, in
posizione 38°39’ N e 20°22’ E, il sommergibile britannico Proteus (capitano di corvetta Philip Stewart Francis) avvista del
fumo su rilevamento 350°, seguito alle 8.22 dalla comparsa degli alberi e dei
fumaioli di un convoglio in avvicinamento: si tratta di quello di cui fa parte
la Solferino. Francis identifica la
composizione del convoglio come due navi mercantili (Otto Leonhardt ed Hans Arp)
scortate da un “cacciatorpediniere” (la Solferino)
e da un piropeschereccio armato (la Cariddi,
che infatti è un ex piropeschereccio), ed apprezza che siano dirette verso Capo
Dukato, con rotta media 150°. Iniziata la manovra d’attacco, alle 9.10 il Proteus lancia cinque siluri contro il
mercantile di testa, che sembra a pieno carico (Francis ne valuta la stazza in
2500 tsl, sottostimandola), da una distanza di 1830 metri, dopo di che scende
in profondità ed inizia a ripiegare verso nord.
Due siluri vanno a
segno, colpendo l’Otto Leonhardt in
posizione 38°41’ N e 20°24’ (o 20°34’) E (ad ovest dell’isola di Santa Maura):
la Solferino reagisce prontamente
occultando la nave danneggiata con una cortina fumogena, per impedire ulteriori
attacchi tesi a finirla, dopo di che inizia a dare la caccia all’attaccante con
una torpedine da rimorchio, ma senza successo. Il Proteus conta anche l’esplosione di ben 51 bombe di profondità
(dell quali le prime tre esplose molto vicine) tra le 9.13 e le 9.53, ma non
subisce danni, ed alle 10.10 torna a quota periscopica, osservando la Solferino che incrocia avanti e indietro
nell’area dell’attacco (una successiva osservazione, alle 12.30, non rivelerà
invece alcuna nave in vista).
L’Otto Leonhardt, gravemente danneggiato,
potrà essere portato in salvo (ma non sarà mai riparato, venendo invece
impiegato come nave bersaglio per incursori).
5 giugno 1942
Secondo la citata
cronologia USMM, in questa data la Solferino
avrebbe scortato l’incrociatore ausiliario Città
di Palermo da Brindisi a Corfù. Deve però trattarsi di un errore, dal
momento che il Città di Palermo era stato
affondato nel gennaio 1942.
9 giugno 1942
Scorta scortò i
piroscafi Motia e Monstella da Bari a Patrasso, via
Prevesa.
14 giugno 1942
Scorta la nave
cisterna Rondine ed il
piroscafo Diocleziano da
Patrasso a Taranto.
18 giugno 1942
Scorta da Taranto a
Saseno il piroscafo Valverde.
24-25 giugno 1942
Secondo una fonte
tedesca, invece, in questa data la Solferino,
insieme ai cacciatorpediniere italiani Turbine
e Francesco Crispi, al
cacciatorpediniere tedesco ZG 3 Hermes ed alla torpediniera Castelfidardo, avrebbe scortato dal
Pireo a Creta un convoglio di sette navi mercantili. Ciò non risulta, tuttavia,
dalla cronologia USMM.
3 luglio 1942
Scorta il
piroscafo Valentino Coda da
Patrasso a Brindisi.
6 luglio 1942
La Solferino e la torpediniera Antonio Mosto scortano da Taranto a
Navarino il trasporto militare Enrichetta,
con dei dragamine a rimorchio.
1942
Lavori di modifica
dell’armamento: due dei quattro cannoni Schneider-Armstrong 1917 da 102/45 mm
dell’armamento principale vengono sbarcati, insieme ai due pezzi singoli
Ansaldo Mod. 1917 da 76/40 mm; al contempo viene invece potenziato l’armamento
contraereo, con l’installazione di 6 mitragliere singole Breda 1940 da 20/65
mm, e quello antisommergibili, con l’installazione di due lanciabombe per bombe
di profondità.
28 agosto 1942
Scorta la piccola
nave cisterna Abruzzi da Corinto
al Pireo.
La Solferino al Pireo il 3 settembre 1942,
fotografata da Aldo Fraccaroli (Coll. Maurizio Brescia, Luigi Accorsi e
Domenico Jacono, via www.associazione-venus.it)
18 settembre 1942
Scorta dal Pireo a
Suda il piroscafo tedesco Ardena, il
rimorchiatore italiano Vulcano e la
nave cisterna tedesca Ossag.
21 settembre 1942
La Solferino ed un cacciasommergibili
tedesco scortano da Suda al Pireo, la motonave Città di Alessandria ed i piroscafi Potestas e Tripoli.
29 settembre 1942
La Solferino salpa dal Pireo per
Tobruk alle 23.35, insieme alle torpediniere Sirio (caposcorta, capitano di corvetta Romualdo Bertone)
e Libra ed alla moderna
torpediniera di scorta Ciclone,
scortando il piroscafo Tagliamento (avente
a bordo 146 tra veicoli e rimorchi, 2246 tonnellate di munizioni e materiale
d’artiglieria, 680 tonnellate di materiali vari e 115 soldati) e la nave
cisterna Lina Campanella (avente
a bordo 4000 tonnellate d’acqua), provenienti da Brindisi. Il convoglio dovrà
fare scalo intermedio a Suda; inizialmente fanno parte del convoglio anche
altri piroscafi, per i quali Suda rappresenta la destinazione finale.
Durante la notte il
convoglio viene infruttuosamente attaccato da aerei.
30 settembre 1942
Alle sette del
mattino la Solferino lascia
il convoglio, che raggiungerà indenne Tobruk il 2 ottobre. (Per altra fonte, lo
avrebbe accompagnato fino all’arrivo a Suda, il 1° ottobre, dopo di che i
mercantili proseguirono per Tobruk insieme a Sirio, Libra e Ciclone).
7 ottobre 1942
La Solferino (tenente di vascello di
complemento Mirko Vedovato) e la più moderna torpediniera Sirio (capitano di corvetta Romualdo Bertone, caposcorta) salpano
da Salonicco alle 16 di scorta al convoglio «FF» (piroscafo Petrarca e motonave Tergestea), diretto a Tobruk con scalo intermedio al Pireo.
9 ottobre 1942
Alle 8.45 il
convoglio giunge al Pireo: qui Solferino
e Sirio vengono rilevate dalle
torpediniere Libra, Lira e Perseo per il prosieguo del viaggio.
Entrata in porto,
alle 11.30 la Solferino va ad
attraccare sottobordo alla motonave Donizetti,
temporaneamente adibita a nave appoggio, che le fornisce corrente elettrica.
11 ottobre 1942
In serata, durante
una manovra nel porto del Pireo, una bettolina va ad urtare contro la prua
della Solferino.
13 ottobre 1942
La Solferino e la Monzambano scortano dal Pireo a Candia le motonavi Città di Alessandria e Città di Savona ed il
piroscafo Re Alessandro.
14 ottobre 1942
Solferino e Monzambano scortano Città di Alessandria, Città di Savona e Re Alessandro di ritorno da Candia al
Pireo.
16 ottobre 1942
Solferino e Monzambano scortano
dal Pireo ad Iraklion Aventino e Re Alessandro.
17 ottobre 1942
Solferino, Monzambano e Barletta scortano Città di Alessandria, Aventino
e Re Alessandro da Iraklion al Pireo.
21 ottobre 1942
Solferino e Monzambano
(caposcorta, tenente di vascello Attilio Gamaleri) partono da Salonicco alle
16.10 di scorta al piccolo piroscafo tedesco Dora, alla nave cisterna italiana Cerere ed al piroscafo tedesco Burgas,
diretti al Pireo.
23 ottobre 1942
Alle 19.10 il piccolo
convoglio raggiunge il Pireo (il Dora
proseguirà poi per Tobruk, sua destinazione finale, aggregandosi ad un altro
convoglio).
25 ottobre 1942
La Solferino, la più moderna torpediniera Sirio ed il posamine ausiliario
tedesco Bulgaria scortano dal
Pireo ad Iraklion Città di Alessandria, Città di Savona, Re Alessandro ed il piroscafo
tedesco Thessalia.
27 ottobre 1942
Solferino e Sirio scortano Aventino e Re Alessandro da Iraklion al Pireo.
29 o 30 ottobre 1942
La Solferino lascia il Pireo scortando,
insieme alla similare Calatafimi ed
alla più moderna torpediniera Lira,
un convoglio composto dai piroscafi Galiola (italiano) ed Ardena (tedesco) e dalla
pirocisterna italiana Cerere.
31 ottobre 1942
Alle 9.40 il
sommergibile britannico Taku (tenente
di vascello Arthur John Wright Pitt) avvista su rilevamento 335° il fumo del
convoglio, poi due aerei e quindi, alle 10.11, le alberature del convoglio, del
cui arrivo è stato preavvisato. Alle 10.56 il Taku lancia tre siluri contro la Cerere (l’intenzione sarebbe
di lanciarne quattro, ma il battello perde l’assetto e sprofonda prima di poter
lanciare il quarto) da una distanza di 5950 metri, in posizione 37°30’ N e
24°03’ E (una decina di miglia a sud di Capo Sunio).
Nessuna nave viene
colpita; la scorta reagisce all’attacco con il lancio di cinque bombe di
profondità, che scoppiano lontane, ma il comandante del Taku decide comunque di scendere a
45 metri, sentendo dai rumori che le navi italiane sono piuttosto vicine.
Tornato a quota
periscopica alle 11.55, il Taku avvista
nuovamente il convoglio alle 12.05 e si pone a tutta forza al suo inseguimento
per una decina di minuti, ricaricando un tubo lanciasiluri; alle 12.37 il
sommergibile lancia altri due siluri (Pitt ha ordinato di lanciarne tre, ma c’è
un disguido nella trasmissione dell’ordine), che non vanno nemmeno essi a
segno. La scorta reagisce con il lancio di cinque pacchetti di due bombe di
profondità ciascuno; il terzo esplode piuttosto vicino al Taku, scuotendolo violentemente, ma
senza arrecare danni. Il sommergibile si sottrae alla caccia allontanandosi a
bassa velocità.
2 novembre 1942
La Solferino e le torpediniere Lira e Calatafimi scortano da Suda al Pireo i piroscafi Artemis Pitta, Ardena e Pugliola e
la nave cisterna Cerere.
5 novembre 1942
La Solferino scorta la petroliera Dora C. dal Pireo a Suda.
7 novembre 1942
Alle 14.30 la Solferino salpa da Tobruk per scortare
al Pireo la nave cisterna Lina Campanella.
9 novembre 1942
Solferino e Lina Campanella
arrivano a Suda alle 11.30.
10 novembre 1942
La Solferino scorta dal Pireo a Suda,
insieme ad un cacciasommergibili tedesco, i piroscafi Fouger e Pier Luigi.
11 novembre 1942
La Solferino ed il cacciatorpediniere
scortano da Brindisi a Patrasso i piroscafi Alba Julia, Mameli e Polcevera (quest'ultimo proseguirà poi per l’Egeo).
12 novembre 1942
Solferino e Lina Campanella
ripartono da Suda all’1.25.
13 novembre 1942
Alle 7.35 Solferino e Lina Campanella arrivano al Pireo, dopo una navigazione tranquilla.
Lo stesso giorno la Solferino riparte dal Pireo, insieme ad
un cacciasommergibili tedesco, e scorta ad Iraklion il piroscafo Pugliola e la nave cisterna Adriana.
16 novembre 1942
Assume il comando
della Solferino il tenente di
vascello Alfonso Carbonara: sarà l’ultimo ufficiale italiano a comandare questa
nave.
21 novembre 1942
Solferino, Monzambano ed il
cacciatorpediniere tedesco Hermes
scortano quattro navi mercantili da Salonicco al Pireo (tre di esse
proseguiranno poi per Iraklion, arrivandovi il 26). (Questo viaggio non compare
nella cronologia del volume USMM "La difesa del traffico con l’Albania, la
Grecia e l’Egeo").
26 novembre 1942
Solferino e Monzambano scortano
da Suda al Pireo i piroscafi Fougier, Vesta e Pier Luigi.
29 novembre 1942
Solferino e Calatafimi scortano Città di Savona, Città di Alessandria, Re Alessandro ed Ardena dal Pireo ad Iraklion.
1° dicembre 1942
Solferino e Calatafimi
scortano Città di Savona, Città di Alessandria, Re Alessandro ed Ardena di ritorno da Iraklion al Pireo.
Entrata al Pireo, la Solferino va ad attraccarsi sottobordo
alla motonave Donizetti.
2 dicembre 1942
La Solferino scorta dal Pireo a Salonicco i
piroscafi Pugliola e Fouger e la cisterna militare Stige.
5 dicembre 1942
Scorta la piccola
nave cisterna Alfredo da Salonicco al
Pireo.
13 dicembre 1942
La Solferino e l’Hermes scortano la nave cisterna Celeno dai Dardanelli al Pireo.
18 dicembre 1942
La Solferino ed il cacciatorpediniere Euro scortano dal Pireo a Salonicco il
piroscafo Fanny Brunner e la nave cisterna Celeno.
24 dicembre 1942
La Solferino ed il cacciatorpediniere
tedesco Hermes (per altra fonte,
avrebbe fatto parte della scorta anche l’Euro)
scortano la Celeno ed il
piroscafo Bulgaria da Salonicco
al Pireo (per altra fonte, dal Pireo a Salonicco).
28 dicembre 1942
Il capo cannoniere di
terza classe Giuseppe Frixa della Solferino,
di 50 anni, da Augusta, muore in territorio metropolitano.
30 dicembre 1942
Solferino ed Hermes scortano una
nave cisterna dal Pireo ai Dardanelli.
La Solferino durante la seconda guerra mondiale, con colorazione mimetica (da www.kreiser.unoforum.pro) |
1° gennaio 1943
Solferino ed Hermes scortano
un’altra nave cisterna dai Dardanelli al Pireo.
Ancora una volta la Solferino, entrata in porto al Pireo, va
ad attraccare accanto alla Donizetti
e si collega ai suoi generatori, per riceverne energia elettrica.
5-6 gennaio 1943
Solferino, Calatafimi ed Hermes scortano dal Pireo (da dove
partono alle nove del mattino del 5) a Suda Città di Alessandria, Città
di Savona ed il piroscafo tedesco Santa Fe, carichi di truppe.
14 gennaio 1943
Lo stesso convoglio
fa ritorno al Pireo. (Questo viaggio non compare nella cronologia del volume
USMM “La difesa del traffico con l’Albania, la Grecia e l’Egeo”).
23 gennaio 1943
La Solferino scorta da Salonicco a
Suda il piroscafo Pier Luigi.
30 gennaio 1943
Scorta la Città di Alessandria da Suda al
Pireo.
3 febbraio 1943
Alle due del
pomeriggio Solferino, Calatafimi ed i cacciatorpediniere Euro e Turbine partono dal Pireo per scortare a Rodi la motonave
italiana Donizetti, il piroscafo
italiano Argentina ed il
piroscafo tedesco Ardena (le
prime due cariche di truppe e materiali, il terzo posizionato in coda al
convoglio con funzioni di nave salvataggio naufraghi).
Tempo buono, con mare
poco mosso.
4 febbraio 1943
Il convoglio arriva a
Lero alle 7 (qui i mercantili sbarcano parte del carico), per poi ripartire
alle 20, diretto a Rodi. Mare mosso, cielo sereno.
5 febbraio 1943
Alle 6.50 un MAS
proveniente da Rodi raggiunge il convoglio, che si trova in un passaggio
obbligato e dunque particolarmente pericoloso. Le unità della scorta lanciano
bombe di profondità a scopo intimidatorio.
Il convoglio giunge a
Rodi alle 7. Giornata calda, nonostante sia febbraio.
6 febbraio 1943
Alle 17 Solferino, Calatafimi, Euro e Turbine lasciano Rodi per scortare Donizetti, Ardena ed Argentina di
ritorno al Pireo. La Donizetti ha
imbarcato militari che si recano in licenza, mentre sull’Argentina salgono civili italiani che sfollano da Rodi.
In serata, verso le
21.30, vengono visti fasci di luce e scie di proiettili traccianti verso Lero.
7 febbraio 1943
Il convoglio giunge a
Lero alle 5, ripartendone alle 16. Durante la sosta, la Donizetti imbarca altri militari in
licenza.
Nella notte, cielo
coperto, densa foschia, notte particolarmente buia; però vi è un’elevata
fosforescenza, che rende le scie delle navi particolarmente visibili.
8 febbraio 1943
Scortato anche da
dieci aerei (cinque da caccia e cinque antisommergibili) e raggiunto
nell’ultimo tratto da una vedetta antisommergibili, il convoglio raggiunge il
Pireo alle 8.30.
21 febbraio 1943
Alle 14 Solferino, Turbine (caposcorta) e Calatafimi
salpano dal Pireo per scortare a Rodi Donizetti,
Argentina ed Ardena (le prime due sono cariche di truppe, la terza procede in coda
al convoglio con il compito di recuperare naufraghi se qualche nave dovesse
essere silurata).
Calata la notte, c’è
la luna piena.
Il convoglio incontra
tempo pessimo, con forte vento e mare agitato da nord-nord-est in continuo
peggioramento, fino a forza 8, che mette in difficoltà soprattutto le siluranti
della scorta e l’Ardena: “Il Calatafimi dà l’impressione di infilarsi
sotto tutte le volte che le onde lo ricoprono”, scrive Widmer Lanzoni,
allievo ufficiale della Donizetti,
per il quale questo è il mare peggiore che abbia mai incontrato; il Turbine contatta la Calatafimi con segnalazioni ottiche e le chiede se sia in grado di
tenere il mare ed al contempo adempiere efficacemente ai propri compiti di
scorta, ricevendo risposta affermativa.
Sulla Donizetti, che rolla fortemente perché
vuota di carico, e sull’Argentina si
registrano invece parecchi casi di mal di mare tra la truppa imbarcata. Il
convoglio continua a dieci nodi, ma il tempo continua a peggiorare.
22 febbraio 1943
All’1.30 della notte,
prima di raggiungere il mare aperto al largo delle Cicladi, il caposcorta
decide di far invertire la rotta al convoglio per rientrare al Pireo: le
condizioni del mare sono troppo avverse per poter proseguire, le unità della
scorta – e specialmente Solferino
e Calatafimi – non sono in grado
di continuare la navigazione e garantire il servizio di scorta in queste
condizioni. La Calatafimi, la
nave più piccola del convoglio, riceve ordine di rifugiarsi a Sira, mentre il
resto del convoglio supera quest’isola e prosegue per il Pireo; alle 4.15,
tuttavia, siccome neanche Solferino e
Turbine riescono più a tenere il
mare, il caposcorta ordina a tutto il convoglio di invertire nuovamente la
rotta e dirige anch’esso su Sira, dove entra alle 6.30. Prime ad entrare in porto
sono le tre siluranti (che hanno più problemi a tenere il mare: Widmer Lanzoni
commenta che “Non ce l’avrebbero fatta a
restare ancora fuori”), seguite dai mercantili (prima la Donizetti, poi l’Ardena e per ultimo l’Argentina);
anche la manovra di ormeggio è difficoltosa, causa le forti raffiche di vento
freddo che soffia senza sosta.
Il convoglio sosta a
Sira, porticciolo tanto piccolo da risultare praticamente pieno con quelle sei
navi ormeggiate, per quattro giorni a causa del persistente mare agitato.
26 febbraio 1943
Alle 20.30 il
convoglio può finalmente lasciare Sira. Il mare è ora poco mosso, la
navigazione procede senza problemi.
27 febbraio 1943
Alle 6.30 la Solferino e le altre navi,
raggiunte da un MAS che si aggrega per un tratto alla scorta, arrivano a
Portolago, nell’isola di Lero; qui sostano fino alle 20.30, per poi ripartire
alla volta di Rodi, seguendo la costa turca.
28 febbraio 1943
Alle sei del
mattino il convoglio raggiunge Rodi, dove i mercantili sbarcano le truppe
per poi ripartire alle 16 per il Pireo, via Lero, sempre scortati da Solferino, Turbine e Calatafimi.
A Rodi fa caldo. La
navigazione da Lero a Rodi, salvo che per il maltempo, è stata tranquilla:
nessun allarme, e nelle ore diurne il convoglio è sempre stato sorvolato da
caccia e ricognitori della Regia Aeronautica che assicuravano la scorta aerea.
Una volta partite, le
navi fanno rotta per Rodi ad undici nodi.
1° marzo 1943
Il convoglio arriva a
Lero, entrando nella baia di Portolago. In serata le navi ripartono per il
Pireo.
2 marzo 1943
In mattinata il
convoglio entra nel porto del Pireo (San Nicolò).
4-5 marzo 1943
La Solferino scorta l’Argentina da Creta al Pireo; la navigazione è ostacolata dal tempo
pessimo (forte vento di tramontana ed anche nevischio), che danneggia l’albero
poppiero della torpediniera.
15 marzo 1943
Solferino, Hermes, Castelfidardo ed il posamine ausiliario
tedesco Drache partono dal Pireo
per scortare ad Iraklion Città di
Savona, Città di Alessandria, Donizetti ed Ardena.
Le navi iniziano ad uscire
dal porto verso le otto del mattino, ma la partenza dev’essere rinviata a causa
di un’avaria ai motori della Città
di Alessandria; solo alle 10 il convoglio può dirsi formato.
Alle 10.55, quando le
navi si trovano al traverso di Capo Turlo, ricevono ordine di tornare al Pireo
a causa di un allarme sommergibili.
Nei giorni
successivi, la partenza del convoglio viene rimandata a più riprese a causa del
persistente maltempo.
25 marzo 1943
Solferino, Euro, Hermes, Castelfidardo ed il cacciasommergibili tedesco UJ 2101 (per altra fonte, quest’ultimo si sarebbe unito alla scorta
soltanto ad Iraklion) partono finalmente dal Pireo alle 16.40 scortando Donizetti, Città di Alessandria, Città
di Savona, Ardena ed un altro
piroscafo tedesco, il Santa Fe,
diretti a Rodi, via Iraklion.
26 marzo 1943
In mattinata il
convoglio giunge ad Iraklion, dove sbarca il suo carico (alcuni dei trasporti,
sbarcati i militari italiani, imbarcano truppe tedesche dirette a Rodi); alle
18.30 tutto il convoglio, tranne il Santa
Fe (che ha preceduto in porto il resto del convoglio, separandosene e
venendo scortato nell’ultimo tratto dal Drache
e da una torpediniera), lascia Iraklion e prosegue per Rodi.
27 marzo 1943
Alle 13 il convoglio
raggiunge Rodi, dove i mercantili sbarcano le restanti truppe e merci che hanno
a bordo. Alle 18.30 il convoglio riparte senza l’Euro, il quale, avendo problemi alle macchine, lo raggiungerà in un
secondo tempo.
Alle 23.30 l’UJ 2101 lancia l’allarme sommergibili,
ed i cacciatorpediniere accorrono e lanciano bombe di profondità incrociando sul
punto indicato, mentre i mercantili si allontanano a tutta forza.
28 marzo 1943
Cessato l’allarme, il
convoglio si ricompone e prosegue. Il mare è calmo, il cielo sereno. A
mezzogiorno nuovo allarme antisom; l’Hermes e
l’UJ 2101 attaccano subito il
sommergibile, mentre il resto del convoglio prosegue a tutta forza per la sua
rotta.
Nel primo pomeriggio
il convoglio raggiunge Iraklion, dove sosta per alcune ore per poi ripartire
alle 18.30 diretto al Pireo. Ora si è riunito alla scorta anche l’Euro, mentre l’Hermes ne farà parte soltanto per un tratto; ci vogliono quasi due
ore per formare il convoglio.
29 marzo 1943
Dopo un viaggio
tranquillo, il convoglio arriva al Pireo.
31 marzo 1943
Solferino e Castelfidardo scortano
Città di Alessandria e Città di Savona dal Pireo a Suda.
1° aprile 1943
Solferino e Castelfidardo scortano
la motonave tedesca Sinfra da
Iraklion a Rodi.
7 aprile 1943
Alle 14 Solferino, Castelfidardo, Turbine ed
Euro salpano dal Pireo per
scortare a Rodi, via Lero, Donizetti,
Re Alessandro ed Ardena (quest’ultima adibita, ancora una
volta, al ruolo di nave salvataggio naufraghi).
Verso le 17.45
la Castelfidardo lancia
l’allarme antisommergibili; Donizetti e Re Alessandro accelerano subito e
accostano a dritta, per poi tornare sulla rotta dopo un quarto d’ora. Verso le
20 Euro e Castelfidardo, distaccate per dare la
caccia al sommergibile, si riuniscono al convoglio, che torna a procedere a
velocità normale.
8 aprile 1943
Alle 6.30 l’Euro avvista un aereo; dapprima si
pensa che si tratti di un velivolo della scorta aerea (che raggiunge il
convoglio ogni giorno all’alba), ma l’aereo non effettua i prescritti segali di
riconoscimento, pertanto l’Euro apre
il fuoco contro di esso, mettendolo in fuga. Poco più tardi sopraggiunge la
vera scorta aerea, mentre vento e mare rinfrescano.
Il convoglio giunge a
Portolago in mattinata; qui la Donizetti imbarca
donne e bambini che vengono evacuati da Lero (in massima parte mogli e figli di
militari italiani stanziati nell’isola), e sottufficiali che si recano in
Italia in licenza. Al momento di salpare, tuttavia, la partenza viene rimandata
per via del maltempo, e lo stesso accade il giorno seguente.
10 aprile 1943
Essendo il tempo in
lento miglioramento, il convoglio, ora ridotto ai soli Solferino, Turbine, Euro e Donizetti, lascia Lero alla volta di Rodi.
11 aprile 1943
Il convoglio entra
nel porto di Rodi poco dopo le cinque del mattino.
Poco prima delle
sette di sera iniziano le manove per uscire dal porto, ma le catene delle ancore
di Turbine, Euro e Donizetti si
aggrovigliano, ed occorrono alcune ore per liberarle: soltanto verso le dieci
il convoglio è in grado di mettersi in marcia.
12 aprile 1943
Nel corso della notte
il convoglio incontra mare cattivo di prua od al mascone, che costringe a
ridurre la velocità, ma tutte le navi arrivano regolarmente a Lero in
mattinata, entrando nella rada di Portolago. In serata il convoglio prosegue
per Lero.
13 aprile 1943
In mattinata il
convoglio arriva al Pireo.
29 aprile 1943
La Solferino scorta il
piroscafo Pugliola da Salonicco al Pireo.
9 maggio 1943
Solferino, Castelfidardo e Barletta scortano la motonave Donizetti, il piroscafo Re Alessandro e la nave
cisterna Elli dal Pireo a
Rodi.
11 maggio 1943
Il convoglio, la cui scorta
è stata rinforzata dal Turbine, fa
ritorno da Rodi al Pireo.
14 maggio 1943
Il capo cannoniere di
terza classe Giovanni Cherchi della Solferino,
di 47 anni, da Iglesias, rimane ucciso nel bombardamento di Civitavecchia (dove
probabilmente si trovava per una licenza).
15 maggio 1943
La Solferino scorta il Re Alessandro dal Pireo ad
Iraklion.
4 giugno 1943
La Solferino e due cacciasommergibili
tedeschi scortano da Salonicco al Pireo la Sinfra e la nave cisterna tedesca (ex greca) Petrakis Nomikos.
8 giugno 1943
Solferino, Euro e due
cacciasommergibili germanici scortano dal Pireo a Rodi la Donizetti e la nave cisterna Helli.
14 giugno 1943
La Solferino ed il cacciatorpediniere Francesco Crispi scortano la Sinfra da Rodi a Salonicco.
26 giugno 1943
La Solferino scorta la nave cisterna Firus dai Dardanelli al Pireo.
29 giugno 1943
Solferino e Barletta scortano l'Helli dal Pireo a Salonicco.
4 luglio 1943
Solferino e Barletta scortano da
Salonicco al Pireo il piroscafo Elsa.
7 luglio 1943
Solferino e Calatafimi scortano Ardena e Re Alessandro da Iraklion al Pireo.
11 luglio 1943
Solferino, Crispi e Calatafimi scortano dal Pireo a Rodi i piroscafi Hermada, Ginetto, Ezilda Croce, Dubac e Goggiam.
15 luglio 1943
Solferino, Crispi e Calatafimi scortano la Sinfra dal Pireo a Salonicco, con scalo
intermedio a Lero.
18 luglio 1943
Solferino e Calatafimi scortano
il Re Alessandro dal Pireo
a Mudros.
19 luglio 1943
Solferino e Calatafimi scortano
il Re Alessandro da Mudros
a Salonicco.
20 luglio 1943
Solferino e Calatafimi scortano
il Re Alessandro da
Salonicco a Mudros.
23 luglio 1943
Solferino e Calatafimi scortano
il Re Alessandro da Mudros
a Rodi.
28 luglio 1943
Solferino ed Euro scortano
il Re Alessandro da
Salonicco a Rodi (per altra versione, da Rodi a Salonicco); durante la
navigazione un sommergibile nemico lancia un siluro contro il Re Alessandro 20 miglia a nord-nord-est
di Skiros, senza riuscire a colpirlo.
30 luglio 1943
Solferino ed Euro scortano
il Re Alessandro da Rodi al
Pireo.
5 agosto 1943
Solferino, Crispi e Calatafimi scortano Donizetti ed Ardena dal Pireo a Rodi.
8 agosto 1943
Solferino, Crispi e Calatafimi scortano Donizetti ed Ardena di ritorno da Rodi al Pireo.
12 agosto 1943
La Solferino scorta la nave cisterna Cerere da Sira a Lero.
24 agosto 1943
La Solferino e la nave scorta ausiliaria Morruha scortano la Cerere da Lero al Pireo.
28 agosto 1943
Solferino, Calatafimi e due
cacciasommergibili tedeschi scortano la pirocisterna Celeno dai Dardanelli al Pireo.
3 settembre 1943
Il marinaio cannoniere
Luigi Gilormo, 21 anni, da Paduli, muore a bordo della Solferino nel Mediterraneo centraele.
4 settembre 1943
La Solferino scorta la Donizetti dal Pireo a Suda, con scali intermedi a Milo ed a
Scarpanto.
Settembre 1943
La Solferino fa parte della XVI Squadriglia
Torpediniere, alle dipendenze del Comando Militare Marittimo "Morea"
(con sede a Patrasso), insieme alle similari San Martino, Castelfidardo,
Calatafimi e Monzambano.
(g.c. Marcello Risolo via www.naviearmatori.net) |
Epilogo in Egeo
Il fatidico 8
settembre 1943, giorno dell’annuncio al mondo dell’avvenuta firma
dell’armistizio tra l’Italia e gli Alleati, la Solferino (tenente di vascello Alfonso Carbonara) si trovava in rada
a Suda, nell’isola di Creta, insieme alla similare Castelfidardo, alla motosilurante MS 43, ai cacciasommergibili ausiliari AS 44 S. Francesco d’Assisi II ed AS 52 Marcomeni ed a due mercantili. In porto, insieme a queste
navi italiane, si trovavano anche alcune motosiluranti tedesche.
La notizia
dell’armistizio non avrebbe potuto trovare la Solferino in una posizione più infelice: Suda, infatti, era sotto
controllo tedesco, al pari dei due terzi dell’intera isola di Creta, nella
quale le truppe tedesche avevano consistenza numerica più che doppia rispetto a
quelle italiane. Il comando delle forze di occupazione di Creta era parimenti
tedesco, il che facilitò non poco l’azione avviata dai tedeschi, subito dopo
l’annuncio dell’armistizio, per sopraffare gli ex alleati italiani.
Il Comando Marina
italiano di La Canea (retto dal capitano di corvetta di complemento Domenico Da
Novi), nella cui giurisdizione ricadevano i porti di Suda e di Iraklion, era di
fatto un semplice ufficio di collegamento con le autorità navali tedesche
nell’Egeo, tanto da essere denominato Maricolleg La Canea (Maricolleg era la
denominazione che contraddistingueva gli uffici di collegamento, piuttosto che
i Comandi Marina). Operativamente non dipendeva da Marisudest (il Comando
Gruppo Navale Egeo Settentrionale, retto dal capitano di vascello Umberto Del
Grande ed avente sede ad Atene), bensì dal locale Comando Marina tedesco
(Seekommandant); i rapporti con Marisudest erano di natura prettamente
disciplinare, oltre che di collegamento con i tedeschi.
Maricolleg La Canea
intercettò la comunicazione che annunciava l’armistizio la sera dell’8
settembre, ed il capitano di corvetta Da Novi la ritrasmise subito al locale
Seekommandant tedesco: ma questi, sostenendo di non esserne a conoscenza,
rispose che poteva trattarsi di propaganda angloamericana. Da Novi, ad ogni
modo, si premurò di andare a Suda e recarsi a bordo di Solferino e Castelfidardo,
dando disposizioni perché le due torpediniere si preparassero quanto prima alla
partenza e, qualora non fosse stato possibile salpare, a sabotarsi per non
cadere intatte in mano tedesca (in questo senso andavano anche gli ordini
impartiti in quelle ore da Marisudest, che però non poterono essere trasmessi a
La Canea).
Fatto lo stesso anche
con alcune motosiluranti italiane che si trovavano a La Canea, il capitano di
corvetta Da Novi fece ritorno alla sede di Maricolleg, dopo di che si recò
nuovamente a parlare col Seekommandant: ma stavolta, il suo superiore tedesco
gli disse che doveva scegliere: accettare con tutte le sue navi di proseguire
la guerra a fianco della Germania, oppure far sbarcare gli equipaggi e
consegnare le unità alla Marina tedesca. Ma a Creta, i tedeschi non stettero
neanche ad aspettare la risposta: mentre Da Novi stava parlando con il
Seekommandant, reparti tedeschi, cogliendo di sorpresa gli italiani prima che
questi potessero eseguire gli ordini di Da Novi, s’impadronirono di tutte le
navi italiane presenti nei porti dell’isola. Da Novi fu di fatto tenuto
segregato fino alle 4.10 del 9 settembre, per impedirgli di comunicare con i
suoi sottoposti; quando venne rilasciato, non poté che prendere atto che Solferino, Castelfidardo e le altre unità italiane erano ormai in mano
tedesca, e che era in corso lo sbarco degli equipaggi italiani. Alle 6.30 un
plotone tedesco prese possesso della sede di Maricolleg e della relativa
stazione radio, ma quest’ultima venne data alle fiamme dallo stesso Da Novi,
che fu per questo arrestato e minacciato di morte (portato dal Seekommandant,
fu da questi rilasciato, per poi essere trasferito al Pireo il 16 settembre e
da lì essere mandato in prigionia in Germania).
La Solferino fu così catturata dai
tedeschi, a Suda, nella notte tra l’8 ed il 9 settembre 1943. (Secondo il
racconto di un marinaio della Castelfidardo,
le due torpediniere si ritrovarono preclusa ogni via di fuga, avendo i tedeschi
chiuso le ostruzioni all’uscita del porto ed inquadrato le due navi con i loro
proiettori; dopo alcune ore di indecisione i due comandanti accettarono di
consegnare le loro unità, e furono sbarcati insieme agli equipaggi. Il diario
del Comando navale tedesco dell’Egeo – KTB
Admiral Ägäis –, stranamente, indica come data della cattura di Solferino e Castelfidardo il 14 settembre, ed aggiunge che le due navi alzarono
la bandiera tedesca il 16 settembre).
La Solferino (a destra) ed il Crispi a Suda dopo la cattura, nel
settembre 1943 (da www.kreiser.unoforum.pro
e da “Kampf um die Ägäis” di Peter Schenk, via Francesco De Domenico)
Sbarcati dalle loro
unità sotto scorta armata tedesca, i 250 uomini che componevano gli equipaggi
di Solferino e Castelfidardo furono trasferiti il 14 settembre, con un piroscafo
sovraccarico, da Suda al Pireo, dove già si trovavano prigionieri gli equipaggi
delle navi italiane che l’armistizio aveva sorpreso in quel porto (cacciatorpediniere
Francesco Crispi e Turbine, torpediniere Calatafimi e San Martino, incrociatore ausiliario Francesco Morosini, oltre a varie unità minori e navi mercantili). In
pochi riuscirono a scappare, nascondendosi od unendosi ai partigiani greci. Il
19 settembre la Solferino, armata
adesso da un equipaggio tedesco, venne a sua volta trasferita al Pireo (secondo
il diario del comando navale tedesco dell’Egeo, invece, la Solferino e la Castelfidardo
avrebbero lasciato Suda già il 16 settembre, giungendo al Pireo alle quattro
del pomeriggio di quello stesso giorno).
Il trasferimento del
personale di Marina destinato a terra e di quello imbarcato sulle navi
mercantili verso i campi di prigionia del Terzo Reich, con la falsa promessa
del rimpatrio in Italia, era già iniziato; non pochi marinai, diffidando – a
ragione – delle promesse tedesche, riuscirono a fuggire prima della partenza,
trovando rifugio presso famiglie greche od unendosi alla Resistenza ellenica.
Gli equipaggi delle
navi da guerra rimasero invece in un primo momento al Pireo, in quanto era
intenzione dei tedeschi di trattenerli, forse per tornare ad armare le unità ex
italiane per le quali vi era penuria di personale tedesco. Il 14 ottobre 1943,
tuttavia, venne deciso che al Pireo sarebbero rimasti soltanto una settantina
di specialisti, che avrebbero dovuto aiutare il personale della Kriegsmarine a
familiarizzare con le navi italiane; gli altri sarebbero partiti a loro volta
per la prigionia in Germania. Insieme ad essi rimasero in un primo momento al
Pireo anche cinque ufficiali, due dei quali – il capitano di fregata Ferdinando
Calda, vice comandante di Marisudest, ed il maggiore del Genio Navale Guglielmo
Giani, capo dell’Ufficio Recuperi Medio Oriente – furono arrestati il 1°
ottobre.
Nonostante le
pressioni tedesche per la continuazione della guerra a fianco dell’Asse, la
quasi totalità del personale italiano rimase fedele al governo legittimo; gli
specialisti rimasti al Pireo dopo la partenza del restante personale furono
sottoposti ad un’intensa campagna propagandistica, volta a spingerli ad aderire
alla causa tedesca, che vide la partecipazione di quattro ufficiali italiani
passati con i tedeschi (tra di essi il capitano di fregata Luigi Pilosio, già
comandante di un gruppo di batterie della Marina a Creta), ma tutti o quasi
tutti rimasero fermi nel loro rifiuto.
Il 25 settembre 1943
gli equipaggi di Solferino, Castelfidardo, Crispi, Turbine, Calatafimi e Morosini furono caricati su un treno formato da carri bestiame e
carri scoperti. Comandante del personale italiano sul treno era il capitano di
fregata Verzocchi, ufficiale di grado più elevato rimasto dopo che Del Grande
era stato già imbarcato su un aereo diretto in Germania. (Secondo il menzionato
reduce della Castelfidardo,
l’equipaggio di questa nave, quello della Solferino
ed una ventina di soldati di fanteria furono caricati su una colonna di
autocarri che li portò a Salonicco, dove furono fatti salire su un treno).
Il treno lasciò la
stazione di Larissa (Atene) alle sei di sera; il comandante superiore tedesco
aveva detto agli scettici ufficiali italiani che la destinazione del convoglio
era l’Italia settentrionale, ma in realtà il treno li portava verso la
prigionia in Germania. Per giustificare l’arzigogolato percorso seguito dal
treno, fu detto agli equipaggi italiani che il viaggio sarebbe stato più lungo
del normale a causa degli attacchi dei partigiani jugoslavi, che avevano
distrutto numerosi ponti lungo il percorso.
Gli equipaggi
italiani ormai prigionieri affrontarono così un lungo carosello per tutta l’Europa orientale: il treno fece scalo a
Salonicco, poi Skopje in Macedonia, Nic, Sofia, Filippopoli, Sciumla e Provadia
in Bulgaria; il 3 ottobre attraversò il Danubio a Cornovada e poi fece scalo a
Galaz (Bessarabia, Romania). Alcuni prigionieri riuscirono a fuggire durante il
viaggio, saltando a terra in momenti in cui il convoglio rallentava. Il 5
ottobre il convoglio transitò per Fetosta e Tandarei in Transilvania, poi entrò
in Ungheria, toccando Varadino, Seghedino e Nagykanizza; il 10 entrò in Austria
e sostò a Matterburg, dove salirono a bordo soldati tedeschi armati che
assunsero la scorta degli italiani. Furono toccate Vienna e Linz e infine si
entrò in Germania: Norimberga, Iena ed il 12 ottobre Bad Sulza, in Turingia, a
sud di Lipsia.
Qui le sorti degli
italiani si divisero: le vetture ov’erano sistemati gli ufficiali furono
infatti staccate, e venne impedito ogni contatto tra ufficiali e marinai, al
punto che l’attendente di un ufficiale venne colpito da una fucilata alla spalla
per aver cercato di salutarlo.
Nel campo di Bad
Sulza gli ufficiali ricevettero il loro numero di matricola di prigionieri, e
dovettero consegnare il denaro che avevano; un ufficiale tedesco li esortò di
nuovo a proseguire la guerra a fianco delle forze tedesche, ma ottenne un
compatto rifiuto.
Il 14 ottobre il
treno con gli ufficiali ripartì, con scorta armata e senza più il capitano di
fregata Verzocchi, ed attraversò Lipsia, Dresda, Open per poi entrare in
Polonia: Cracovia, Tarnow e la destinazione finale, Leopoli, dove giunse il 20
ottobre. In questi sei giorni di viaggio i prigionieri non ricevettero alcun
cibo.
Sottufficiali e
marinai rimasero a Bad Sulza, nello Stalag IX C. Questo campo, dal quale
dipendevano ben 1700 sottocampi (Arbeitskommando) sparpagliati per una vasta
area della Turingia, era stato creato nel febbraio 1940 in quello che fino ad
allora era stato un ostello della gioventù hitleriana, ed aveva inizialmente
ospitato prigionieri polacchi catturati durante l’invasione del loro Paese; ad
essi si erano aggiunti, quattro mesi dopo, numerosi prigionieri belgi e
francesi catturati durante la conquista tedesca delle rispettive nazioni, ed a
fine 1940 erano arrivati anche soldati britannici catturati a Dunkerque,
seguiti nell’aprile del 1941 da prigionieri jugoslavi e poi da altri britannici
e canadesi catturati in Nordafrica, Italia (1943) ed Olanda (ottobre 1944). Per
ultimi, nel dicembre 1944, arrivarono soldati statunitensi catturati durante
l’offensiva delle Ardenne. I prigionieri, in tutto 50.000 (oltre alle
nazionalità già citate, ed agli italiani arrivati dopo il settembre 1943,
c’erano anche prigionieri sovietici), lavoravano in varie fabbriche della
regione e nelle miniere di potassio di Mühlhausen. Nel campo sede del comando,
a Bad Sulza, si trovavano soprattutto prigionieri francesi e serbi, mentre gli
altri erano divisi in tre sottocampi principali: gli italiani a Molsdorf, i
sovietici a Langen Salza ed i britannici e statunitensi a Mühlhausen. Dipendevano
dallo Stalag IX C anche due ospedali: il grande Reserve-Lazaret IX-C(a) di
Obermassfeld ed il piccolo Reserve-Lazaret IX-C(b) di Meiningen.
La prima notte dopo
il loro arrivo a Bad Sulza, i prigionieri di Marina italiani giunti dal Pireo
la passarono all’addiaccio; il mattino successivo ricevettero delle patate
cotte per il pasto, dopo di che vennero radunati, ed un ufficiale che parlava
italiano pose loro una scelta: restare nel campo di prigionia; arruolarsi nella
Wehrmacht; o lavorare nelle fabbriche. La maggioranza scelse la terza opzione;
i prigionieri vennero pertanto divisi in gruppi ed inviati a lavorare in
fabbrica in varie località della Turingia, attività che continuarono a svolgere
fino alla loro liberazione, nelle ultime settimane della guerra.
Un gruppo di marinai della
Solferino e della Castelfidardo, ad esempio, venne inviato
a lavorare in una fabbrica nei pressi della città di Gera, in Turingia, dove
furono alloggiati in una mansarda adattata a camerine con 26 letti a castello
doppi, tavoli, sedie ed una ventina di lavandini con acqua calda e fredda.
C’erano solo tre piccole finestre, e per accedere ai servizi, situati al
pianterreno, occorreva chiedere il permesso ai soldati tedeschi di guardia; ma
nel complesso le condizioni erano abbastanza buone.
La giornata dei
prigionieri impiegati in fabbrica iniziava con la sveglia alle 6.30; si beveva
te o caffè, poi si cominciava a lavorare dalle 7 e si lavorava fino alle 19,
con una pausa di mezz’ora a mezzogiorno. Verso le 9 chi lavorava riceveva un
panino, mentre agli altri era dato solo del brodo; a sera, finito di lavorare,
ci si lavava, si era passati in rivista da un caporale, e poi si mangiava.
Oltre agli italiani, altri lavoratori stranieri erano impiegati nella fabbrica:
francesi, belgi e polacchi, sia uomini che donne.
Furono poi istituiti
turni di undici ore, di giorno o di notte; i lavoratori del turno diurno
lavoravano anche di sabato, fino alle 17. La domenica mattina tutti gli uomini
venivano dapprima condotti alla stazione a scaricare vagoni merci, lavoro che
si protraeva per circa tre ore, poi si faceva una doccia, e di pomeriggio si
faceva corsa in giardino o passeggiate nelle colline circostanti. La vita non
era comunque facile; durante questo periodo alcuni uomini morirono di stenti e
di malattie, ed altri rimasero uccisi durante dei bombardamenti.
Dopo circa sette
mesi, a seguito di un accordo tra Mussolini e Hitler, lo status dei prigionieri
italiani venne mutato da quello di “internati militari” a quello di civili, ed
a ciò seguì un certo miglioramento nelle condizioni di vita.
Nei mesi finali della
guerra, le incursioni aeree Alleate andarono intensificandosi: se colti al
lavoro dai bombardamenti, gli internati correvano in un tunnel ricavato sotto
una vicina collina (ci voleva una decina di minuti per raggiungerlo) e vi si
rifugiavano. Non sempre si faceva in tempo a raggiungere il rifugio: il 15
aprile 1945 quattro prigionieri vennero feriti dallo scoppio di una bomba
subito prima di poter entrare nel rifugio, ed uno di essi, nonostante
l’amputazione di una gamba, morì pochi giorni dopo.
Verso fine aprile
1945 alcuni dei prigionieri lasciarono Gera, ormai prossima a cadere in mano
Alleata, durante l’ultimo attacco aereo. Si incamminarono diretti verso sud,
prima seguendo le strade principali e poi attraverso le campagne;
cacciabombardieri statunitensi sfrecciavano nel cielo, ma non attaccavano gli
uomini che camminavano per i campi. Dopo aver marciato per una ventina di
chilometri ed aver dormito vicino ad un bosco, i prigionieri sostarono in una
borgata dove ricevettero delle scatolette di pesce, prelevate da altri da un
automezzo civile; al pesce aggiunsero anche delle patate raccolte in un campo
nelle vicinanze. Una pattuglia di SS passò e sparò contro delle finestre alle
quali erano state stese delle lenzuola bianche in segno di resa. Pochissimo
tempo dopo, sopraggiunsero dei carri armati statunitensi: dopo aver controllato
i documenti degli italiani, i soldati americani rifornirono di provviste. Gli
ormai ex prigionieri ritornarono a piedi fino a Gera, dove rimasero per una
settimana presso la fabbrica dove avevano lavorato, finché gli statunitensi
provvidero a trasferirli in una caserma in attesa del rimpatrio. Proprio in
quella caserma, toccò in sorte ad alcuni di quegli uomini di morire quando la guerra
era finita, ed il ritorno a casa ormai in vista: un ex prigioniero jugoslavo
azionò accidentalmente un ordigno bellico, scatenando una serie di esplosioni
che uccisero una decina di uomini e ne ferirono altrettanti.
Il giorno seguente,
gli ex prigionieri furono trasferiti in un vecchio stabilimento trasformato in
provvisorio campo per ex internati, con letti, armadi e cucine, nel quale
furono sistemati circa 500 uomini. Dopo tre mesi, la zona in cui si trovavano
venne assegnata all’area di occupazione sovietica, pertanto gli ex prigionieri
vennero trasferiti ad Eisenach, più ad ovest, in area lasciata sotto il
controllo delle truppe statunitensi. Alla fine, dopo tanta attesa, poterono
finalmente tornare in Italia.
Del gruppo di 50
uomini assegnati alla fabbrica di Gera (dei quali 4 sottufficiali e 19 marinai
erano ex membri degli equipaggi di Solferino
e Castelfidardo, mentre gli altri 25
erano militari dell’Esercito della guarnigione di Creta), quattro erano morti
durante la prigionia a Gera.
Il 29 marzo 1945 lo
Stalag IX C venne evacuato dinanzi all’avanzata statunitense: parte dei
prigionieri furono costretti a marciare per quattro settimane prima di essere
liberati da truppe statunitense. I prigionieri rimasti al campo furono liberati
dalla 6a Divisione corazzata statunitense (facente parte della 3a
Armata del generale Patton) l’11 aprile 1945.
Altri marinai della Solferino finirono invece nello Stalag
III D, situato a Lichterfelde, sobborgo di Berlino. Questo campo era sorto nel
1938 come accampamento per 1400 lavoratori delle ferrovie tedesche originari
dei Sudeti; l’anno successivo parte dell’accampamento era stato affittato dalla
Wehrmacht, che ne fece un campo di prigionia, inviandovi un primo gruppo di
2600 prigionieri. La denominazione di Stalag III D venne attribuita al campo
nell’agosto 1940; i primi prigionieri erano polacchi, mentre con l’invasione
della Francia il gruppo più numeroso divenne quello dei francesi (nel gennaio
1941 questi ultimi erano 18.160, su un totale di 18.172 prigionieri dello
Stalag III D). In totale lo Stalag III D “ospitò” fino a 58.000 prigionieri:
oltre agli italiani, anche belgi, britannici, francesi, jugoslavi, sovietici,
polacchi, cecoslovacchi e statunitensi. Caratteristica abbastanza insolita di
questo campo era che un vero e proprio campo principale non esisteva, se non
come unità amministrativa: i prigionieri erano suddivisi in una miriade di
sottocampi (Zweiglager) e campi di
lavoro (Arbeitskommando) situati in
varie zone di Berlino o nei dintorni della città, venendo adibiti alla
realizzazione di rifugi antiaerei od al lavoro nelle fabbriche di armamenti od
in altre ditte minori della zona. I principali sottocampi erano a Falkensee,
Zossen (Groß Schulzendorf), Friesack (Wutzetz, Damm I, Damm II), Neuruppin (Wustrau
I, Wustrau II), Zietenhorst e Kirchhain/Niederlausitz. Il campo era servito da
due ospedali, i Reservelazarett 119
di Neukölln e 128 di Berlino-Biesdorf.
Con l’armistizio di
Cassibile e l’operazione "Achse" per la neutralizzazione delle forze
armate italiane, furono gli italiani a diventare il gruppo più numeroso allo
Stalag III D: nel dicembre 1943, infatti, erano 30.519 gli “internati militari
italiani” registrati presso questo campo; più tardi il loro numero salì a
38.000. Venivano impiegati nell’industria bellica e nella rimozione delle
macerie causate dai bombardamenti; molti morirono per malnutrizione e malattie.
Altri prigionieri
vennero trasferiti da Bad Sulza nello Stalag XI B di Fallingbostel, in Bassa
Sassonia. Questo campo era sorto nel 1937 come villaggio di baracche destinate
ad alloggiare gli operai impegnati nella costruzione della nuova base militare
di Bergen; nel settembre 1939, con lo scoppio della guerra, le baracche erano
state circondate con del filo spinato e la struttura era stata così trasformata
un campo di prigionia. Primi “ospiti”, verso la fine del 1939, erano stati
prigionieri polacchi, seguiti nel 1940 da belgi e francesi; entro la fine del
1940 i prigionieri dello Stalag XI B erano già diventati 40.000, di cui però soltanto
2500 erano effettivamente alloggiati nel campo principale, mentre gli altri
erano dispersi nei numerosi sottocapi di lavoro (Arbeitskommando) sparpagliati
nella regione circostante. All’apice dell’attività, sarebbero stati ben 1500
gli Arbeitskommando dipendenti dallo Stalag XI B: in parte i prigionieri erano
adibiti a lavori agricoli, in parte nell’industria, comprese – benché fosse
vietato dalla Convenzione di Ginevra – le fabbriche di munizioni. Il servizio
di guardia era espletato dai militi del Landesschützen-Bataillon 461,
appartenenti alle classi anziane o comunque considerati inadatti al servizio di
prima linea. Nel luglio del 1941, con l’invasione dell’Unione Sovietica, era
sorto un secondo campo denominato Stalag XI D (o Stalag 321), destinato
esclusivamente ai prigionieri sovietici: questi ultimi, dei quali era
pianificato lo sterminio, non disponevano di baracche, e dovevano dormire in
buche scavate nel terreno, ricevendo al contempo razioni di cibo ampiamente
insufficienti anche per la sola sopravvivenza (queste furono leggermente
aumentate a inizio 1942, in modo da mettere i prigionieri almeno in condizione
di lavorare, ma rimasero ancora largamente inferiori al necessario, ed i
prigionieri continuarono a morire, adesso di sfinimento). Ben presto i
sovietici iniziarono a morire a decine al giorno, di fame, di malattie e, più
tardi, anche di freddo. Altri 10.000 prigionieri sovietici vennero imprigionati
nello Stalag XI B, dove nel novembre 1941 vennero finalmente costruite alcune
baracche. Sul finire del 1941 gli ufficiali superiori, i funzionari del Partito
Comunista e gli ebrei vennero separati dagli altri prigionieri e trasferiti nei
campi di concentramento di Sachsenhausen e Neuengamme, dove furono uccisi
mediante fucilazione o nelle camere a gas; in novembre scoppiò in entrambi gli
Stalag di Fallingbostel un’epidemia di tifo, protrattasi fino al febbraio 1942,
che incrementò il già elevato tasso di mortalità dei prigionieri sovietici:
fino ad un centinaio di morti al giorno, di fame e di freddo, durante l’inverno
1941-1942. Nel luglio 1942 lo Stalag XI D venne soppresso, ed i prigionieri
superstiti furono trasferiti nello Stalag XI D.
Questa era la
situazione quando sul finire del 1943 arrivò a Fallingbostel un nuovo numeroso
gruppo di prigionieri, gli “internati militari” italiani: sottoposti a
maltrattamenti, ebbero il secondo più elevato tasso di mortalità tra i vari
gruppi di prigionieri del campo, superato soltanto da quello dei sovietici. I
malati ed i moribondi erano confinati in una baracca a parte: “Alla mattina v'era sempre qualcuno che
purtroppo non si muoveva più. Il poveretto veniva preso, messo in una “finta
cassa” da morto e quindi trasportato fuori con un carretto. Distante dalle
baracche c'era una grande fossa, la cassa veniva posta su un binario, quindi il
fondo della stessa veniva sfilato, il corpo cadeva e subito gli veniva versata
sopra della calce in polvere. Il carretto tornava con la cassa, vuota, pronta
per un altro cadavere, e così via”.
Gli italiani furono
alloggiati in grandi baracche suddivise in dodici locali, ognuno dei quali
conteneva dodici letti a castello a tre piani, senza materassi: si dormiva sul
legno. Il pasto giornaliero consisteva in un mestolo di acqua e rape, un chilo
di pane ed un etto di margarina da dividere in otto.
Anche gli italiani,
dopo l’arrivo a Fallingbostel, furono smistati nei numerosi Arbeitskommando
della regione, andando a svolgere i lavori più disparati. Le condizioni di vita
e di lavoro degli I.M.I. potevano variare sensibilmente a seconda della propria
destinazione: in alcuni sottocampi, come l’Arbeitskommando 6008 di Hilkerode
(frazione di Duderstadt nella Bassa Sassonia), la vita era molto dura: servizi
igienici inesistenti, pidocchi, cibo insufficiente (una tazza di caffè d’orzo a
colazione, un mestolo di acqua e rape, pane e margarina da dividere in otto per
cena: un artigliere alpino fu picchiato a morte per aver rubato, spinto dalla
fame, delle bucce di patate gettate in un bidone), maltrattamenti sia da parte
del personale di guardia che dei civili tedeschi; dissenteria, tubercolosi ed
altre malattie dilagavano a causa dello stato di indebolimento fisico dei
prigionieri, che non ricevevano alcuna cura medica. Su 450 “internati militari
italiani” dell’Arbeitskommando 6008, almeno 51 morirono durante la prigionia.
Altri sottocampi,
come quello di Neuhaus (Hildesheim), erano viceversa caratterizzati da
condizioni nettamente migliori: questo piccolo Arbeitskommando era composto da
poco più di una trentina di soldati italiani, sorvegliati da un caporale
tedesco zoppo che, a differenza dei suoi commilitoni di Hilkerode, era di buon
carattere, al punto di non chiudere il cancello neanche di notte. Anche qui i
prigionieri erano adibiti al lavoro in fabbrica (in questo caso, dedicata alla
produzione di mattonelle di catrame), ma il rancio era più abbondante – due
pasti al giorno, cucinati da civili belgi: oltre a pane e margarina, la razione
comprendeva anche delle patate bollite – e sui letti a castello c’erano
materassi di paglia. L’orario lavorativo era di nove ore al giorno: dalle otto
del mattino a mezzogiorno e poi dall’una del pomeriggio alle sei di sera. Anche
qui giunsero fascisti italiani a sollecitare l’adesione alla R.S.I., ed anche
qui non ebbero successo.
A metà 1944 i prigionieri
di Fallingbostel erano 98.380: 25.277 sovietici e 79.928 di altre nazionalità,
in maggioranza distaccati nei vari Arbeitskommando. Nel settembre 1944 venne
creato, nell’area in cui era esistito lo Stalag XI D, un nuovo campo di
prigionia, lo Stalag 357 (qui trasferito da Thorn, in Polonia): alla sua
costruzione furono adibiti i prigionieri italiani, mentre gli “ospiti” furono
principalmente soldati del Commonwealth, ma anche sovietici, jugoslavi,
francesi, polacchi e statunitensi. In tutto 17.000 uomini, con una media di 400
per baracca (ma con cuccette soltanto per 150 a baracca), in condizioni dunque
di notevole sovraffollamento; a inizio 1945 la carenza di vitto e medicinali
venne aggravata dall’arrivo di centinaia di prigionieri statunitensi catturati
nelle Ardenne, che dovettero essere alloggiati in tende. Nell’aprile 1945,
dinanzi all’avanzata Alleata, 12.000 prigionieri dello Stalag 357 in buone
condizioni fisiche vennero evacuati verso nordest con marce forzate, in colonne
di 2000 uomini; giunti a Gresse, ad est dell’Elba, dopo una marcia di dieci
giorni, furono qui mitragliati da caccia britannici che li avevano scambiati
per truppe tedesche, con diverse decine di morti. Un sergente della RAF
convinse l’ormai ex comandante del campo 357, il colonnello Hermann Ostmann, a
mandarlo verso ovest per prendere contatto con le truppe britanniche, in modo
da arrendersi a queste ultime invece che ai sovietici; così avvenne il 3 maggio
1945. I prigionieri rimasti a Fallingbostel, in tutto 17.000, vennero liberati
ancor prima: il 16 aprile 1945, infatti, lo Squadrone "B" dell’11°
Reggimento Ussari e lo squadrone da ricognizione dell’8° Reggimento Ussari
britannici liberarono lo Stalag XI B e lo Stalag 357: proprio la sezione del
campo in cui erano rinchiusi gli italiani fu la prima ad essere raggiunta dai
reparti britannici al loro arrivo.
Nel dopoguerra, con
un tocco di giustizia poetica, l’ex Stalag XI B venne adibito dai britannici
all’internamento dei membri dell’ormai disciolto Partito Nazista, prima di essere
impiegato come campo profughi.
In totale, circa
30.000 prigionieri morirono nei campi di Fallingbostel durante la seconda
guerra mondiale: nella quasi totalità si trattava di prigionieri sovietici,
mentre 734 erano di altre nazionalità, cioè italiani, francesi, polacchi,
britannici, belgi, statunitensi, jugoslavi, olandesi, sudafricani, slovacchi e
canadesi. Tutti i prigionieri sovietici, e 273 di quelli di altre nazionalità,
riposano oggi nel “Cimitero dei Senza Nome” di Oerbke.
Questa fu dunque la
sorte dei sottufficiali e marinai italiani catturati al Pireo ed a Creta.
Quanto agli ufficiali, separati dalla “bassa forza” a Bad Sulza e trasferiti
più ad est, una volta giunti a Leopoli vennero perquisiti ed alloggiati nella
cittadella, dove rimasero fino all’inizio del gennaio 1944, tranne gli
ufficiali superiori, i quali furono trasferiti tra fine ottobre e inizio
novembre a Tschenstochau (Polonia). Nel campo, destinato ai soli ufficiali (ve
n’erano 3500, con 150 soldati) vennero organizzati dei corsi di lingue,
ingegneria, architettura e diritto e conferenze a tema scientifico o
letterario; con i libri in possesso degli ufficiali venne creata una
biblioteca. Gli ufficiali prigionieri elessero come loro fiduciario ed anziano
del campo (in sostanza, comandante dei prigionieri) il tenente di vascello
Giuseppe Brignole, già comandante della Calatafimi,
Medaglia d’Oro al Valor Militare per aver attaccato con la sua nave, sola, una
preponderante formazione navale francese che stava bombardando Genova, nel giugno
1940.
Vi furono varie
visite di ufficiali italiani che avevano aderito alla Repubblica Sociale
Italiana (dapprima il colonnello degli Alpini Bracco e successivamente il
maggiore Vaccari, anch’egli degli Alpini, ex prefetto di Napoli), i quali
invitarono i loro “colleghi” a fare altrettanto (Vaccari, per la verità, li
esortò a rientrare comunque in Italia e poi decidere il da farsi una volta
rimpatriati, il che portò alla sua destituzione da parte tedesca); solo il 12 %
accettò. Il 2 gennaio gli ufficiali in servizio permanente effettivo, censiti
dal comando tedesco, vennero separati dagli altri e trasferiti nel campo di Ari
Lager a Deblin, distaccamento dello Stalag 307 di Deblin Irina, a sud di
Varsavia (tra di essi era anche il tenente di vascello Brignole, che anche nel
nuovo campo mantenne l’incarico di “Anziano” fino all’agosto 1944, quando lo
cedette al colonnello Angiolini, da poco arrivato da un altro campo). A Deblin
Irina si trovavano circa 6000 ufficiali prigionieri, 1250 erano ad Ari Lager; sia
a Leopoli che a Deblin i prigionieri erano sistemati in caserme in muratura con
riscaldamento sufficiente, ma questa era l’unica nota positiva. Il cibo infatti
scarseggiava, a svantaggio soprattutto di giovani e malati, che deperivano
senza possibilità di recupero; i medicinali erano completamente assenti, e sia
all’arrivo che durante la permanenza al campo gli ufficiali furono più volte
perquisiti dalla Gestapo, venendo denudati, tenuti all’aperto nella neve per
diverse ore (con temperature di 5-10 gradi sotto zero), e sistematicamente
derubati di ogni oggetto di valore o di utilità (macchine fotografiche,
binocoli, strumenti nautici, vestiario, posate che sembravano d’argento, denaro
e oggetti preziosi): persino le fodere delle giacche e le suole delle scarpe
venivano scucite, nell’eventualità che i prigionieri vi avessero nascosto
qualche oggetto di valore. Anche in queste condizioni, vennero organizzate
conferenze culturali e patriottiche ed intrattenimenti musicali, per tenere
alto il morale.
La popolazione
polacca cercò generosamente di aiutare i prigionieri italiani, anche a rischio
della vita: nonostante la presenza di sentinelle tedesche armate che colpivano
chi si avvicinava col calcio del fucile, civili polacchi gettarono in più
occasioni pane e mele (ed anche sigarette) ai prigionieri, sia lungo la
ferrovia percorsa dai treni che li trasportavano (un treno, grazie alla
cessione di vestiario da parte degli ufficiali e di tabacco da parte dei
polacchi, poté essere interamente rifornito di provviste dopo tre giorni in cui
ne ne erano state fornite dai tedeschi), sia per le vie di Leopoli che
all’interno del campo di Deblin.
Gli ufficiali
rimasero prigionieri a Deblin dal 5 gennaio al 12 marzo 1944, quando iniziò il
loro trasferimento nello Stalag X-B di Sandbostel, in Germania (precisamente,
in Bassa Sassonia), che fu completato il 19 marzo. Un giovane guardiamarina,
avendo tentato di nascondersi in una soffitta per scappare, venne scoperto,
picchiato, privato delle scarpe, spogliato e rivestito con inadeguati abiti di
tela (una volta giunto a Sandbostel, fu condannato a due settimane di carcere
duro in isolamento, a pane e acqua). Tutti gli ufficiali, prima della partenza,
furono denudati e tenuti in questo stato (e senza cibo) per 12 ore in locali non
riscaldati, a temperatura di –10° C. Di nuovo furono derubati di tutti gli
oggetti ritenuti “non leciti”, comprese cinghie per pantaloni, oggetti da
toilette, coltelli sia da tasca sia da tavola, rasoi di sicurezza, penne
stilografiche e sigarette; poi, dopo essere stati tenuti ad aspettare a lungo
sotto la pioggia battente, furono chiusi in carri bestiame privi di
illuminazione e riscaldamento e sporchi per i precedenti trasporti, e portati
così – i vagoni venivano aperti una sola volta al giorno, per la distribuzione
del cibo – fino a Bremerforde, a 14 km dallo Stalag X-B, dopo di che dovettero
percorrere a piedi, sotto la pioggia, l’ultimo tratto del percorso.
Una volta nel nuovo
campo, gli ufficiali vennero nuovamente ispezionati, indi sistemati provvisoriamente
in baracche senza infissi, riscaldamento, illuminazione, posti letto od anche
solo paglia; dopo la disinfezione (i bagagli, aperti per questa operazione,
vennero poi gettati alla rinfusa nel piazzale, sotto la neve ed esposti al
vento) ed una doccia, furono trasferiti in nuove baracche non compartimentate,
con posti letto ad alveare, dov’erano ammassati mediamente in 280 in una
baracca di 22 metri per 11. Poco cibo, molti pidocchi e temperature rigide
debilitarono di molto i prigionieri; nell’aprile 1944 i malati in gravi
condizioni erano almeno un migliaio, con un elevato tasso di mortalità. Le
sentinelle del campo avevano il grilletto facile, e tra marzo e agosto almeno
cinque ufficiali caddero sotto i loro colpi.
Nel maggio 1944 il
campo fu visitato da funzionari della Croce Rossa Italiana (dottor De Luca e
signora Muzi Falcone), il che portò ad un lieve miglioramento delle condizioni
di vita (venne distribuita un po’ di paglia per i giacigli); in agosto,
tuttavia, quando gli ufficiali si rifiutarono di lavorare per i tedeschi (in
base alla Convenzione di Ginevra, gli ufficiali prigionieri non potevano essere
costretti a lavorare: ma le autorità tedesche avevano classificato gli italiani
«intenati militari», anziché «prigionieri di guerra», proprio per eludere tali
regole), le condizioni peggiorarono nuovamente.
Nell’estate-autunno
del 1944 l’erogazione dell’acqua, non potabile, venne ridotta a poche ore al
giorno, talvolta poche decine di minuti (in dodici mesi i prigionieri poterono
fare una sola doccia calda di cinque minuti); tutte le coperte sane vennero
confiscate per essere distribuite alle truppe territoriali tedesche,
recentemente formate. La razione di cibo non forniva neanche le calorie
necessarie per un uomo a completo riposo, provocando molte malattie da
denutrizione (a seguito delle proteste, la razione fu portata a 500 g di patate
al giorno, ma in agosto, dopo il rifiuto di lavorare, fu nuovamente diminuita).
La quantità di cibo disponibile veniva leggermente incrementata con le verdure
di orticelli coltivati dagli internati e dai pacchi di viveri inviati dalle
famiglie in Italia.
A fine agosto 1944
scoppiò un’epidemia di tipo petecchiale; il campo fu posto in quarantena, ma
non vennero forniti medicinali. Vitto e clima provocavano un’elevata incidenza
di infezioni intestinali, e le latrine erano mal fatte e del tutto
insufficienti (una ogni 50 uomini); si diffuse anche la tubercolosi.
Il servizio postale
era lentissimo, a causa dei tempi della censura (in media occorrevano 40 giorni
perché una lettera dall’Italia settentrionale fosse consegnata, ma si arrivava
anche a 75); molte lettere venivano distrutte senza neanche essere state
controllate, per ridurre il lavoro dei censori. Non era possibile scrivere ad
autorità diplomatiche, consolari o governative, né a parenti in Germania che
non fossero di primo grado, e meno che mai alla Croce Rossa Internazionale, con
la quale era proibito ogni contatto. I prigionieri potevano ricevere pacchi
dalle famiglie (non più di due al mese, per un peso complessivo di 9 kg), ma il
loro invio dall’Italia settentrionale (sotto controllo tedesco) subiva
frequenti sospensioni, mentre le spedizioni dall’Italia meridionale (sotto
controllo angloamericano) divennero possibili solo a partire dal novembre 1944;
in tutto, soltanto un terzo dei pacchi spediti raggiunse i destinatari. Il
Servizio Assistenza Internati della Repubblica Sociale Italiana inviò a sua
volta delle provviste; complessivamente, durante la permanenza al campo ogni
internato ricevette da tale Servizio 3 kg di riso, 2 kg di galletta, due
scatole di latte condensato, 500 grammi di zucchero ed altrettanti di
marmellata. Verso la fine del 1944 la tabella alimentare subì forti riduzioni,
di 500-600 grammi giornalieri. Per cuocere il cibo c’era un pentolino ogni sei
uomini e poco carbone, la cui razione giornaliera fu ridotta nell’autunno del
1944 a 676 grammi a persona (compreso anche quello destinato al riscaldamento).
Esistevano
all’interno dei campi degli spacci che vendevano matite, dentifricio, lamette
da barba, ma non generi alimentari; i prigionieri potevano farvi compere con il
Lagergeld, una valuta che aveva corso esclusivamente all’interno dei campi di
prigionia, della quale ricevevano periodicamente somme che variavano a seconda
del grado.
Alla fine del gennaio
1945 la maggior parte degli ufficiali fu trasferita nello Stalag X-D di
Wietzendorf, sempre in Bassa Sassonia, dove si trovavano in tutto circa 3000
ufficiali italiani, 700 dei quali troppo debilitati per poter essere
trasferiti. Un migliaio di ufficiali, ritenuti irriducibili, vennero invece
inviati nello Stalag XI-B di Fallingbostel (dove fu di nuovo il tenente di
vascello Brignole a ricevere la carica di fiduciario, mentre quella di anziano
fu ricoperta dal tenente colonnello Alberto Guzzinati). Il 15 febbraio 1945 una
nuova ingiunzione di lavorare, con la minaccia in caso contrario della condanna
ai lavori forzati, fu respinta; venne progettato di trasferire allora i
prigionieri nel campo di concentramenti di Buchenwald, ma fortunatamente tale
piano non poté essere messo in atto poiché le truppe tedesche nella regione,
compreso il campo di Fallingbostel, furono rinchiuse in una sacca dalle forze
Alleate, e nel pomeriggio del 16 aprile 1945 lo Stalag XI-B venne liberato da
reparti della 15ª divisione corazzata britannica. Tre giorni prima era stato
liberato anche lo Stalag X-D di Wietzendorf.
I prigionieri
italiani liberati dai campi della Germania settentrionale furono concentrati
dai britannici nel campo di Munsterlager, nella zona di Hannover (dove di nuovo
il comando dei prigionieri andò al tenente di vascello Brignole: questi li
divise in nove compagnie e ripristinò molte abitudini militari, tra cui adunate
generali, rapporto giornaliero, controllo della libera uscita, servizio di guardia
ai cancelli, alza e ammaina bandiera e punizioni per le infrazioni
disciplinari), da dove il 30 agosto 1945 ebbe inizio il viaggio di rimpatrio,
prima su camion fino a Brunswich, poi in treno fino in Italia.
Quattro uomini
dell’equipaggio della Solferino non sopravvissero
alla prigionia nei campi del Terzo Reich.
Il marinaio furiere
Andrea Cuomo, 33 anni, da Ercolano, internato nello Stalag III D, fu dichiarato
disperso in prigionia in Germania l’11 aprile 1944 (per altre fonti,
addirittura già il 9 settembre 1943, ma ciò appare inverosimile, dato che in
quella data doveva essere ancora a Creta). Luogo e circostanze della sua morte
e sepoltura rimangono ignote.
Il marinaio fuochista
Bruno Pedrolli, di 23 anni, da Trento, internato nello Stalag XI B di
Fallingbostel ed assegnato all’Arbeitskommando 6133 di Sarstedt (dove si
trovava una fabbrica d’armi), morì per tubercolosi cerebrale ad Hildesheim
(Bassa Sassonia) il 30 maggio 1944; i suoi resti, sepolti inizialmente nel
cimitero centrale di Hildesheim, riposano oggi nel Cimitero Militare Italiano
d’Onore di Amburgo, insieme ad altri 5839 militari e civili italiani morti in
prigionia in Germania.
Il sottocapo
torpediniere Orlando De Santis, ventunenne, da Barete, internato nello Stalag
IX C ed assegnato dapprima all’Arbeitskommando 1404 di Bleicherode (ove i
prigionieri erano adibiti al lavoro in una miniera di sale) e successivamente
all’Arbeitskommando 1180, morì per malattia in Germania il 14 ottobre 1944.
Sepolto inizialmente a Gerstungen, riposa oggi nel Sacrario dei Caduti
Oltremare di Bari.
Il marinaio Elio
Mantovani, anch’egli ventunenne, da Argenta, impiegato presso la fabbrica Leo
Gottwald (situata a Düsseldorf, produceva gru), morì il 21 aprile 1945. Il
luogo del suo decesso, stranamente, non è una località della Germania, bensì Milano;
forse era stato rimpatriato per le sue deteriorate condizioni di salute, come
avvenne per alcuni I.M.I., e queste condussero alla sua morte poco dopo il
rimpatrio. Sepolto inizialmente al campo 12 del cimitero di Musocco, riposa
oggi nel cimitero comunale di Portomaggiore.
Orlando De Santis nella “foto segnaletica” scattata dopo la cattura (da www.alboimicaduti.it) |
Tra chi invece fece
ritorno dalla Germania era il sottocapo S.D.T. Luigi Cavallo, di 33 anni, da
Ostuni (già decorato di Croce di Guerra al Valor Militare per il suo ruolo in
un’azione antisommergibili della Solferino,
nel 1942: «Di vedetta in controplancia su
torpediniera, di scorta a convoglio, avvistava la scia di due siluri lanciati
da sommergibile nemico e ne effettuava immediata segnalazione al Comandante,
contribuendo col suo gesto tempestivo alla reazione che portava
all’affondamento dell’unità subacquea avversaria»). Liberato dagli Alleati
il 17 aprile 1945, fu trattenuto in Germania per tre mesi prima di poter
iniziare il viaggio di rimpatrio; attraversato il Brennero il 30 luglio 1945,
arrivò a Maricentro Verona, dove fu inviato in licenza di rimpatrio. Terminata
la licenza, Maridepo Brindisi lo pose in congedo illimitato il 31 dicembre
1945: terminava così per lui la guerra, dopo quasi sei anni e mezzo (era stato
richiamato nell’agosto del 1939).
Tutte le siluranti
italiane catturate intatte a Suda ed al Pireo furono subito rimesse in servizio
dalla Kriegsmarine come “Torpedoboote Ausland” (TA), torpediniere d’origine
straniera, ma proprio la Solferino
fece eccezione: forse perché in condizioni peggiori delle altre (la sua
velocità massima non superava ormai i 25 nodi, rispetto agli originari 32, e
l’autonomia era ridotta a 600 miglia a 20 nodi), venne invece accantonata
(secondo una fonte, a Suda) e destinata in un primo tempo ad essere
“cannibalizzata” per ricavarne parti di ricambio per la gemella San Martino, che invece era entrata
subito in servizio sotto bandiera tedesca.
Soltanto nel 1944 si
decise di riparare e rimettere in servizio anche la Solferino; il 25 luglio 1944 l’ormai ex Solferino entrò in servizio nella Kriegsmarine con il nome di TA 18 (nominativo che inizialmente era
stato assegnato alla San Martino, poi
ribattezzata TA 17), armata da un
equipaggio tedesco ed assegnata alla 9. Torpedobootflottille (9a
Flottiglia Torpediniere). Suo primo, ed unico, comandante fu il tenente di
vascello Günter Werner Schmidt.
Quella sopra
riportata, quanto meno, è la versione più diffusa, riferita da varie fonti
anche autorevoli (tra di esse lo storico Erich Gröner, autorità nel campo della
storia della Kriegsmarine). Da vari documenti tedeschi dell’epoca, rintracciati
dallo storico greco Dimitris Galon, emerge tuttavia una versione differente: la
tardiva entrata in servizio della TA 18
non fu dovuta ad una iniziale decisione di usarla come fonte di parti di
ricambio; semplicemente, essendo il suo apparato motore in pessime condizioni
(problemi alle Turbine ed alle due
caldaie di sinistra), furono necessari lunghi lavori di riparazione per poterla
mettere in condizioni di efficienza, lavori che per di più dovettero essere a
lungo rimandati a causa del sovraccarico di lavoro di tutti i cantieri ed
arsenali della Grecia.
Già il 17 settembre
1943, il giorno successivo al suo trasferimento al Pireo, la Solferino aveva ricevuto un nuovo nome assegnatole
di sua iniziativa dal comandante superiore navale tedesco in Egeo, quello di Agamemnon; tre giorni dopo, insieme a Castelfidardo (ora Odysseus), Calatafimi
(ora Achilles), San Martino, Crispi e Turbine, era entrata a far parte della
neocostituita 9. Torpedobootflottille. Tra l’11 ed il 13 ottobre 1943 l’Agamemnon aveva effettuato delle prove
di collaudo sotto la supervisione del tenente Walter Junge, suo nuovo direttore
di macchina, per verificarne le condizioni di efficienza; al termine delle prove
il tenente Junge aveva giudicato che l’ex Solferino
necessitasse della sostituzione di due caldaie, e scriveva nel suo rapporto
sulle condizioni della nave che sarebbe stato necessario immetterla in bacino
di carenaggio per le riparazioni, che sarebbero state svolte dalla società
Deutsche Werke Kiel AG nell’Arsenale di Salamina. Difatti, poco dopo la
torpediniera ex italiana fu inviata a Salamina.
Tuttavia, dai
medesimi documenti risulta anche che nell’ottobre 1943 (più precisamente, tra
il 19 ed il 27 ottobre) due caldaie della Solferino
vennero rimosse ed installate su altre due unità tedesche, la K 1 e la K 2, dunque la nave fu effettivamente “cannibalizzata” in un primo
momento (anche se non risulta la rimozione di alcuna altra componente, a parte queste
due caldaie, né risulta che parti della Solferino
siano state utilizzate per riparare la San
Martino o le altre “Torpedoboote Ausland”).
Il 25 ottobre 1943,
per ordine del Comando in capo della Kriegsmarine, tutte le unità della 9.
Torpedobootflottille ricevettero nuovi nomi, o piuttosto nominativi
alfanumerici, abbandonando i pittoreschi nomi ispirati all’epica greca: l’ex Solferino, da Agamemnon, divenne TA 19,
nome che dopo qualche settimana venne cambiato in TA 18 (mentre la sigla TA 19
fu assegnata alla Calatafimi,
precedentemente ribattezzata TA 15;
la sigla TA 15 passò al Crispi, che era stato inizialmente
denominato TA 17, sigla che fu
assegnata alla San Martino,
inizialmente ribattezzata appunto TA 18.
Il motivo di questo contorto cambio di nomi, che ha comprensibilmente generato
non poca confusione circa l’impiego iniziale di queste unità, non è molto
chiaro).
L’armamento
contraereo della nave fu sensibilmente potenziato, con l’installazione di
mitragliere singole da 37 mm e quadruple (Flakvierling) da 20 mm. Secondo www.navypedia.org, invece, sarebbero state
installate quattro mitragliere singole da 20/65 mm M1940, ed inoltre sarebbe
stato completamente modificato l’armamento silurante, sbarcando i due impianti
lanciasiluri binati da 450 mm e sostituendoli con uno solo, anch’esso binato,
da 533 mm (questi lavori sarebbero stati effettuati a fine 1943). Secondo lo
storico tedesco Erich Gröner, infine, l’armamento della TA 18 nel 1944 era composto da tre pezzi da 102/65 mm, dieci
mitragliere da 20/65 mm e quattro tubi lanciasiluri, mentre il sito www.german-navy.de parla di tre pezzi da
102/65 mm, una mitragliera da 37 mm, sei da 20 mm e quattro tubi lanciasiluri
da 450 mm.
Il dislocamento
risultò di 925 tonnellate standard, e 1160 a pieno carico. La nave venne anche
dotata di un radar modello Fu.Mo. 28.
Il 28 luglio 1944 la TA 18 effettuò le prime prove in mare,
ed il giorno stesso lasciò Salamina per trasferirsi a Suda (secondo una fonte,
già durante questa navigazione di trasferimento avrebbe svolto la sua prima
missione di scorta).
La decisione di
rimettere in servizio la TA 18 era
stata probabilmente motivata dal progressivo assottigliamento della 9. Torpedobootflottille,
decimata dalla crescente superiorità aeronavale Alleata: delle cinque unità (TA 14, Turbine; TA 15, ex Francesco Crispi; TA 16, ex Castelfidardo; TA 17, ex San Martino; TA 19, ex Calatafimi) che la componevano al
momento della sua costituzione, nel settembre 1943, tre erano già andate
perdute (la TA 15, affondata da un
attacco aereo l’8 marzo 1944, la TA 16,
affondata da un attacco aereo a Candia il 2 giugno 1944, e la TA 19, silurata il 9 agosto dal
sommergibile greco Pipinos al largo
di Samo) e le altre due (TA 14 e TA 17) si trovavano in lunghi lavori di
riparazione in seguito ai danni causati da mine adesive piazzate da incursori
britannici mentre si trovavano a Lero nel giugno 1944. Al momento della sua
entrata in servizio, pertanto, la TA 18
si ritrovò ad essere l’unica unità efficiente della 9. Torpedobootflottille.
Pur entrando
ufficialmente in servizio il 25 luglio 1944, soltanto il successivo 31 agosto
la TA 18 divenne effettivamente
operativa; quello stesso giorno la torpediniera prese il mare per la sua prima
missione sotto bandiera tedesca, scortando il trasporto militare tedesco Erpel dal Pireo ad Iraklion (in un primo
momento la destinazione sarebbe dovuta essere Suda, ma il convoglietto fu
dirottato durante la navigazione). Entrambe le navi versavano in condizioni di
efficienza tutt’altro che ottimali: l’Erpel
non riusciva a sviluppare una velocità superiore ai sette nodi, a causa di
problemi alle macchine, ed anche la motrice di dritta della TA 18 dava noie. Alle 16 del 1° settembre
il sommergibile britannico Vox
(tenente di vascello John Martin Michell) avvistò il fumo emesso dal
convoglietto, del cui arrivo era stato preavvisato, ed alle 16.09 avvistò le
navi (quattro, secondo Michell, che alle 16.16 le identificò come un trasporto
tipo KT, ossia l’Erpel, scortato da
un cacciatorpediniere, cioè la TA 18,
e da due “imbarcazioni EMS”, queste ultime sul lato rivolto verso il mare
aperto; probabilmente si trattava di due cannoniere tipo GK inviate da Suda per
rinforzare la scorta). Alle 16.38, in posizione 35°26’ N e 24°57’ E (al largo
della costa settentrionale di Creta), il Vox
lanciò quattro siluri contro l’Erpel
da una distanza di 1200 metri: la nave tedesca, tuttavia, riuscì ad avvistare
ed evitare il primo siluro, ed anche gli altri mancarono il bersaglio. Tre dei
siluri (dopo il primo, l’Erpel
avvistò anche le scie di altri due) esplosero contro la costa di Creta. Durante
il lancio, il Vox aveva
inavvertitamente rilasciato una grossa bolla d’aria, che ne aveva segnalato la
posizione, ed aveva momentaneamente perso il controllo dell’assetto, risalendo
per quasi sette metri verso la superficie; di conseguenza, Michell cercò subito
di ridiscendere in profondità, ma il contrattacco consisté unicamente in una
singola bomba di profondità, lanciata alle 16.48 senza causare danni.
Tra il 15 ed il 16
settembre la TA 18 scortò da Lero a
Salonicco il posamine Zeus (cioè l’ex
Francesco Morosini), ed il 18
settembre lasciò Salonicco carica di truppe da trasportare a Lemno, dove giunse
l’indomani; il 20 settembre ripartì da Lemno scortando lo Zeus, col quale giunse a Salonicco il 21, ed il 25 le due navi
lasciarono Salonicco alla volta del Pireo, dove arrivarono due giorni dopo.
Nel frattempo, se la TA 18 era riuscita fino a quel momento
ad evitare danni, aumentavano le perdite della 9. Torpedobootflottille. Né la TA 14 né la TA 17, infatti, avrebbero mai completato le riparazioni: il 15
settembre 1944, la prima fu affondata da un bombardamento aereo statunitense
sull’Arsenale di Salamina, e quattro giorni più tardi la seconda fu a sua volta
colpita da aerei e danneggiata così gravemente da essere giudicata come non più
riparabile. L’ex Solferino veniva
così ad essere l’unica sopravvissuta della 9a Flottiglia
Torpediniere della Kriegsmarine.
I Comandi tedeschi
decisero allora di trasferire in Egeo dall’Alto Adriatico, per rimpinguare
quella flottiglia ridotta ad una sola unità, tre nuove torpediniere della
classe Ariete, completate poche mesi prima dai CRDA di Trieste: la TA 37 (ex Gladio), la TA 38 (ex Spada) e la TA 39 (ex Daga). Il
trasferimento, eseguito a tutta velocità e denominato operazione “Odysseus”,
filò liscio; tutte e tre le torpediniere raggiunsero indenni il Pireo, andando
così ad affiancare la vecchia TA 18
nelle sue missioni di scorta convogli e posa di mine in Egeo.
Il 2 ottobre 1944 la TA 18, insieme alle navi scorta
ausiliarie GD 97 e GK 92, salpò dal Pireo (per altra fonte,
da Trikeri) per scortare a Salonicco la nave cisterna Berta ed il piroscafo Zar
Ferdinand, carichi complessivamente di circa 1300 soldati tedeschi in corso
di evacuazione dal Pireo a Salonicco. Poche ore dopo la partenza, il convoglio
incappò nel sommergibile Curie
(tenente di vascello Pierre-Jean Chailley), della Francia Libera: questo
battello, in agguato a sud del Canale di Skiathos, si stava apprestando ad
attaccare un convoglio di piccole unità che aveva avvistato alle 19.45, quando
alle 20.26 rilevò rumore di motori e vide TA
18, Berta e Zar Ferdinand emergere dallo stretto; inizialmente la prima nave avvistata
venne identificata come “una chiatta tipo Danubio di circa 400 tonnellate”, ed
essendo questa di dimensioni maggiori rispetto alle unità del convoglio
precedentemente avvistato, Chailley decise di rivolgere ad essa le sue
attenzioni, mettendosi all’inseguimento in superficie alle 20.57. Alle 21 la
vedetta di sinistra del Curie avvistò
delle sagome verso sudovest, e poco dopo venne avvistato a 2700 metri di
distanza l’intero convoglio: un “cacciatorpediniere” (probabilmente la TA 18) seguito da un mercantile di circa
2000 tsl (lo Zar Ferdinand) e poi da
una nave cisterna di 2000 tsl, correttamente identificata come la Berta, con un’altra unità di scorta. La
rotta del convoglio era 340°, la velocità di otto nodi. Alle 21.04 il Curie, stando in superficie, lanciò
contro Berta e Zar Ferdinand (che in quel momento si “sovrapponevano” nel suo
periscopio) una salva di quattro siluri, da 2300 metri di distanza. Dopo una
breve corsa, due dei siluri lanciati andarono a segno, colpendo lo Zar Ferdinand a prua e sotto la plancia;
in dodici minuti il piroscafo s’inabissò in posizione 39°20’ N e 23°20’ E, 10 o
19 miglia a nordovest dell’isola di Skiathos e 6 miglia ad ovest della penisola
di Pelion. Dopo aver osservato, alle 21.05, il siluro a segno sullo Zar Ferdinand, il Curie s’immerse alle 21.06.
La TA 18 aveva avvistato il Curie a 900 metri di distanza, quando
questo era ancora in superficie, due minuti prima che i siluri colpissero lo Zar Ferdinand: dopo l’esplosione dei
siluri, la torpediniera mise la prua sul sommergibile francese ed aprì il
fuoco, ma quando le distanze furono calate a 600 metri vide il battello
avversario sparire lentamente sotto la superficie. La TA 18 passò allora alla caccia antisommergibili, con il lancio di
due (per altra fonte, tre) salve di bombe di profondità; dopo l’esplosione
della seconda salva, l’equipaggio della nave tedesca percepì una “detonazione
rimbombante” che si protrasse per diversi secodi, e vide una “fontana d’acqua”
alta circa 30 metri e larga 100, nonché chiazze scure nell’acqua smossa. Una
vasta chiazza di nafta apparve in superficie e fu perso il contatto sonar, il
che convinse il comandante Schmidt di avere affondato l’attaccante, anche se
per maggior sicurezza fece lanciare altre due salve di bombe di profondità. Terminata
la caccia, la TA 18 si occupò del
salvataggio dei superstiti: ne recuperò dal mare 270, che trasbordò poi sulla Berta. Gli altri naufraghi dello Zar Ferdinand vennero recuperati dalle
due navi scorta ausiliarie e dai cacciasommergibili UJ 2102 e UJ 2144,
appositamente inviati sul posto.
Contrariamente a
quanto apprezzato dal comandante Schmidt, il Curie non aveva riportato alcun danno (tra le 21.09 e le 21.15
contò gli scoppi di dieci bombe di profondità, lanciate da due navi diverse,
nessuna delle quali particolarmente vicina); anzi, dopo soltanto un’ora fu in
grado di riemergere e lanciare due segnali di scoperta relativo al convoglio, il
secondo dei quali fu intercettato da un altro sommergibile in agguato poco
lontano, il britannico Unswerving
(tenente di vascello Michael Dent Tattersall).
Alle 00.35 del 3
ottobre, in posizione 39°48’5” N e 23°26’5” E (al largo di Capo Kassandra), l’Unswerving avvistò TA 18 e Berta su
rilevamento 235°, a 9150 metri di distanza, con rotta nord; dopo aver stimato
la rotta e velocità delle due navi in 360° e 9 nodi, il comandante britannico
s’immerse per attaccare (c’era infatti la luna piena) alle 00.40, ed all’1.13
lanciò tre siluri (nelle intenzioni avrebbero dovuto essere quattro, ma il
quarto si rivelò difettoso) da una distanza di 5000 metri. Una delle armi,
quattro minuti più tardi, andò a segno colpendo a poppa la Berta, che affondò all’1.35 una decina di miglia (per altra fonte,
quattro miglia) a sud della penisola di Kassandra (40 miglia a nord di Skiathos,
nelle Sporadi settentrionali; per altra fonte, invece, cinque miglia ad ovest
di Kassandra), mentre l’Unswerving si
allontanava indisturbato a 45 metri di profondità su rotta 175°.
Alla TA 18 (che non riuscì a localizzare il
sommergibile attaccante), ai cacciasommergibili ed alle unità minori dei gruppi
di scorta costiera non rimase che recuperare i naufraghi. In totale, furono
tratti in salvo 1190 uomini, su circa 1300 (1174 soldati tedeschi, più gli
equipaggi) che erano imbarcati su Berta
e Zar Ferdinand; 240 di essi,
recuperati inizialmente dalla Berta
dopo l’affondamento dello Zar Ferdinand,
erano stati affondati per due volte nel giro di quattro ore. La TA 18 recuperò, di nuovo, 270 naufraghi.
L’indomani, alle
14.25 del 4 ottobre, un altro sommergibile britannico, l’Untiring (tenente di vascello Robert Boyd), appena arrivato per
avvicendare il Curie nel suo settore
d’agguato a sud di Salonicco, avvistò del fumo su rilevamento 165°, al largo
della penisola di Kassandra; tre minuti più tardi avvistò anche le alberature e
la plancia di una nave che Boyd identificò come un cacciatorpediniere. Si
trattava della TA 18, rimasta ormai
sola: alle 14.47 il battello britannico lanciò contro di essa quattro siluri (muniti
di acciarini magnetici tipo CCR, regolati in modo da esplodere senza dover
colpire il bersaglio), dalla distanza di 915 metri, in posizione 39°49’ N e
23°23’ E (sei miglia a sud di Capo Cassandra), per poi scendere in profondità.
A dispetto di un’esplosione avvertita sull’Untiring
55 secondi dopo il lancio (probabilmente un siluro esplose prematuramente),
nessuno dei siluri andò a segno, e la TA
18 proseguì per la sua rotta. Fonti tedesche collocano l’orario
dell’attacco alle 15.23.
Verso metà ottobre la
TA 18, insieme al posamine Zeus, effettuò una missione di posa di
mine al largo di Kassandra Huk.
In quell’ottobre del
1944, la presenza tedesca in Egeo andava ormai tramontando: temendo di restare intrappolate
dall’offensiva sovietica verso la Jugoslavia, le forze tedesche in Grecia (Gruppo
Armate “E” del generale Alexander Löhr) stavano ormai ripiegando verso nord,
abbandonando per sempre quel Paese. Mentre le forze tedesche evacuavano gli
arcipelaghi dell’Egeo e la Grecia meridionale, i Comandi britannici avevano
dato il via all’Operazione “Manna”, avente lo scopo di occupare le isole
dell’Egeo ed i territori della Grecia continentale abbandonati dai tedeschi: la
sua esecuzione era stata affidata al Task
Group dell’ammiraglio Thomas Hope Troubridge, composto da sette portaerei
leggere (Hunter, Stalker, Attacker, Emperor, Searcher, Pursuer e Khedive), tre incrociatori leggeri,
quattro incrociatori antiaerei e 19 cacciatorpediniere (12 britannici, 6 greci
ed uno polacco). Nelle settimane successive, le forze aeronavali britanniche
bombardarono le posizioni costiere tedesche, effettuarono sbarchi nelle isole
ed ostacolarono l’evacuazione delle truppe tedesche, infliggendo pesanti
perdite di naviglio (oltre sessanta unità di tutti i tipi, nel giro di meno di
due mesi). Via via che i reparti tedeschi si ritiravano dalle isole, quelli
britannici venivano sbarcati per assumerne il controllo, a distanza di pochi
giorni. Tra il 6 ed il 12 ottobre le ultime navi tedesche in condizioni di
efficienza furono trasferite dal Pireo a Salonicco; il 12 ottobre l’evacuazione
del Pireo poteva dirsi completata, e quattro giorni dopo la squadra
dell’ammiraglio Troubridge vi sbarcò le prime truppe britanniche (due brigate, precedute,
due giorni prima, dal lancio di reparti di paracadutisti presso Atene). Anche
Mudros fu occupata, mentre a Milo e Piscopi, ancora in mano tedesca, i primi
tentativi britannici furono respinti. La squadra dell’ammiraglio Troubridge
rastrellava l’Egeo a caccia di naviglio tedesco impegnato nelle operazioni di
evacuazione (operazione “Cablegram”); gli aerei della RAF abbattevano i
velivoli da trasporto tedeschi impegnati nell’evacuazione di Creta. Il 18
ottobre, il governo greco fece ritorno ad Atene. In tutto, 67.000 soldati
tedeschi furono evacuati dagli arcipelaghi dell’Egeo, dei quali 37.000 via mare
(con la perdita di 380 uomini durante l’evacuazione) e 30.000 per via aerea; la
maggior parte delle isole venne prontamente rioccupata dagli Alleati, mentre a
Rodi, Lero, Coo, Creta ed alcune altre rimasero dei presidi tedeschi (in totale
33.000 uomini, compresi 10.000 italiani aderenti alla RSI), isolati ed
assediati, che avrebbero resistito fino alla fine della guerra.
Anche la 9.
Torpedobootflottille si ritrovava ancora una volta ridotta all’osso: il 7
ottobre, infatti, la TA 37 fu
affondata dai cacciatorpediniere britannici Termagant
e Tuscan, ed il giorno seguente la TA 38 fu messa fuori uso da un attacco
aereo (venne poi autoaffondata il 13 ottobre al largo di Volo). Il 16 ottobre,
infine, la TA 39 perse la poppa su
una mina, al largo di Capo Dermata, e dovette essere autuoaffondata: per la
seconda volta in pochi mesi, la TA 18
si ritrovava ad essere l’unica superstite della 9. Torpedobootflottille, nonché
la più “potente” nave da guerra tedesca nell’Egeo. E stavolta non sarebbe più
giunto nessun rimpiazzo.
Il 18 ottobre, la TA 18 venne inviata a Volo (Volos),
insieme a due motodragamine, per scortare il naviglio incaricato di evacuare
verso Salonicco le truppe tedesche in ripiegamento da quel porto.
La notte seguente la
torpediniera venne nuovamente inviata a Volo per recuperare un centinaio di
militari tedeschi naufragati ad Argyronesos (Aryironisos), un’isoletta situata
all’imboccatura della baia di Volo, il cui imbarco, previsto per la notte del
18, era stato rimandato di ventiquattr’ore a causa di un disguido nelle
comunicazioni radio; quando però giunse al largo dell’isola di Sciato (Skiathos,
ad ovest dell’imbocco del Golfo di Salonicco), la sera del 19 ottobre 1944, la TA 18 s’imbatté nei cacciatorpediniere
britannici Termagant (capitano di
fregata John Percival Scatchard) e Tuscan
(capitano di fregata Ernest Norman Wood), facenti parte della squadra
dell’ammiraglio Troubridge ed impegnati in un rastrello a caccia di naviglio
impegnato nell’evacuazione delle truppe tedesche dalla Grecia (pochi giorni
prima, questi due cacciatorpediniere avevano già affondato la TA 37, oltre a varie unità minori). I
due cacciatorpediniere colsero la torpediniera di sorpresa e la investirono con
un tiro intenso ed accurato; al termine di un breve quanto impari combattimento,
la TA 18 fu ridotta ad un relitto e
costretta ad incagliarsi sulla spiaggia di Damouchari, a sud di Volo ed undici
miglia a nordovest di Skiathos, in posizione 39°22’ N e 22°57’ E (altre fonti
indicano come posizione 37°45’ N e 26°59’ E, ma si tratta di un errore: queste
sono infatti le coordinate di Vathy, nell’isola di Samo). Secondo una fonte
greca, il comandante della TA 18
tentò dapprima di portare la nave ad arenarsi sulla spiaggia di Fakistra, ma
senza successo, ed alla fine la torpediniera s’incagliò sugli scogli di
Paliokastro. I due cacciatorpediniere britannici continuarono a sparare sul
relitto incagliato fino a quando, alle 23.40, non ritennero di averlo
completamente distrutto (secondo altre fonti, invece, il relitto della TA 18 sarebbe stato autodistrutto dal suo
stesso equipaggio dopo l’incaglio).
Per l’affondamento di
TA 18 e TA 37 il capitano di fregata Scatchard, comandante del Termagant, avrebbe ricevuto la sua terza
Distinguished Service Cross.
Il relitto semiaffondato della TA 18 a Damouchari (da www.scubadive.gr) |
Quando i Comandi
tedeschi si resero conto che la TA 18
non era rientrata, né rispondeva più alle chiamate radio, provvidero ad
organizzare delle ricerche, compiute da mezzi da sbarco (Pionierboote) armati da personale della 12. R-Flottille partiti da
Salonicco, che proseguirono fino al 22 ottobre: ma della torpediniera non fu
trovata traccia. A dispetto dell’annuncio da parte della radio britannica
dell’affondamento di un cacciatorpediniere tedesco (appunto la TA 18) ad opera di due
cacciatorpediniere britannici, al largo di Salonicco (nel Golfo Termaico),
nella notte del 19 ottobre, l’ammiraglio comandante le forze navali tedesche
nell’Egeo ritenne più probabile che la perdita della TA 18 fosse stata causata da una mina, forse nel Canale di Trikeri;
si credette infatti che l’annuncio britannico si riferisse all’affondamento
della TA 37 (che infatti era andata
perduta in circostanze identiche a quelle della TA 18). L’intero equipaggio venne considerato disperso. In data 22
ottobre 1944 il diario operativo (KTB) del comando navale tedesco dell’Egeo
riportava che “la TA 18 deve essere
considerata perduta. Cause sconosciute. Probabilmente mine”, aggiungendo
che si trattava di “una perdita
estremamente dolorosa” ed ipotizzando che il comandante Schmidt, pur
essendo considerato un ufficiale estremamente qualificato, potesse aver
trasgredito le disposizioni che consigliavano di non imboccare il canale di
Skiathos, dov’erano appena stati posati dei nuovi campi minati i cui ordigni si
sarebbero attivati nella notte tra il 19 ed il 20 ottobre. La realtà era ben
diversa.
Con la perdita della
sua ultima unità, cessò per sempre anche la travagliata esistenza della 9.
Torpedobootflottille, e di fatto anche la presenza della Kriegsmarine in Egeo.
L’equipaggio della TA 18 era composto da tre ufficiali e 127
o 129 tra sottufficiali e marinai: durante il combattimento rimase ucciso tutto
il personale del locale caldaie numero 3, nonché altri uomini uccisi dai colpi
giunti a segno in altre parti della nave. Una volta sbarcati sulla terraferma,
i naufraghi furono bersagliati ancora dai cannoni di Termagant e Tuscan, che
continuarono a sparare ancora per parecchio tempo, ed al tempo stesso attaccati
dai partigiani greci dell’ELAS: parecchi rimasero così uccisi, dal
cannoneggiamento britannico o dai partigiani. Questi ultimi consistevano in due
squadre del 2° distaccamento (con base ad Ai Giannis) della 4a Squadra
dell’ELAN (al comando di Evangelos Economou “Atalenios”, e facente parte della
13a Divisione dell’ELAS, attiva nella penisola di Pelion), braccio
“navale” dell’ELAS; li guidavano Solon Katafygiotis e Stathis Alexiou. Dopo la
fine dello scontro, un’imbarcazione della 4a Squadra dell’ELAN
abbordò il relitto, e tre partigiani, saliti a bordo, prelevarono tutte le armi
ancora utilizzabili ed ogni altro oggetto che potesse risultare utile.
Secondo una
testimonianza di parte greca, l’equipaggio della TA 18 s’imbarcò su dei battellini di gomma con i quali cercò di
allontanarsi verso il mare aperto, nella speranza di essere raccolto da qualche
altra nave tedesca che sarebbe successivamente giunta in suo soccorso;
tuttavia, i battellini furono raggiunti e circondati da tre imbarcazioni armate
dell’ELAN, che fecero prigioniero l’equipaggio. Due o tre marinai tedeschi,
rimasti a bordo della torpediniera, rifiutarono la resa e continuarono a
sparare con una mitragliatrice contro i partigiani attestati sulla costa fino
al giorno seguente, quando dovettero arrendersi a loro volta.
I sopravvissuti della
TA 18, 110 secondo fonti greche, vennero
catturati dai partigiani greci (che secondo qualche fonte tedesca ne fucilarono
alcuni, mentre secondo fonti greche – in particolare il libro “Άγνωστες πτυχές Κατοχής και Αντίστασης 1941-44” di Nitsa Koli – le uniche vittime
furono nel combattimento tra i partigiani ed i naufraghi, mentre dopo la
cattura i prigionieri furono trattati correttamente), portati al quartier
generale del gruppo partigiano ed imprigionati dapprima a Volo, dove rimasero
per tre settimane in pessime condizioni, e poi nel campo di Larissa, dove altri
morirono per malattia o per esecuzioni sommarie, ed in varie altre località. Alcuni
specialisti vennero adibiti alla riparazione e manutenzione del bottino di
guerra tedesco catturato dai partigiani.
Secondo un affidavit inviato nel dopoguerra al
tribunale di Norimberga da Helmut Hagelauer, ufficiale dell’esercito tedesco
prigioniero a Larissa dal dicembre 1944 al gennaio 1945, in questo campo si
trovavano prigionieri in quel periodo due ufficiali ed un’ottantina di
sottufficiali e marinai della TA 18,
insieme a circa settanta altri militari tedeschi (tra cui un solo altro
ufficiale). I prigionieri erano alloggiati in baracche nei pressi
dell’aeroporto di Larissa, circondate da filo spinato e vigilate da partigiani
del battaglione “Mecanicos Olympos” dell’ELAS (in massima parte ragazzi
adolescenti); le baracche erano prive di riscaldamento (i prigionieri avevano
realizzato delle stufe di fortuna, che alimentavano con legname che andavano
furtivamente a rubare), illuminazione e coperte, ed infestate dai pidocchi. Quasi
tutti i prigionieri erano privi di calzature (le avevano dovute forzatamente
consegnare ai loro carcerieri) ed indossavano soltanto le ormai logore uniformi
che portavano al momento della cattura. La razione individuale giornaliera
consisteva in 625 grammi di pane ed un po’ di sale, e quella “collettiva” (da
dividere in 150) in 7-8 kg di legumi al giorno e 1250 grammi di olio d’oliva
alla settimana; la carne (25 kg complessivamente) fu distribuita in un’unica
occasione, quando il campo fu visitato da un rappresentante della Croce Rossa
Internazionale. Era presente un medico, nella persona di un ufficiale medico
italiano, ma sprovvisto di qualsiasi medicinale ed attrezzatura medica; date
anche le pessime condizioni igieniche, gran parte dei prigionieri versavano in
pessime condizioni di salute.
Secondo una fonte, parte
dei naufraghi della TA 18 venne
utilizzata dai partigiani greci per operazioni di “sminamento”: alcuni di essi,
compresi il comandante Schmidt ed il direttore di macchina Josef Fey, non fecero
più ritorno. Secondo l’affidavit di Helmut Hagelauer, invece, Schmidt e Fey
furono prelevati dal campo di Larissa il 6 dicembre 1944, insieme a tre
sergenti ed un caporale, e caricati su un camion; qualche tempo dopo Heinz Gerd
Fengler, unico superstite del gruppo, raccontò ad Hagelauer che Schmidt, Fey e
gli altri erano stati fucilati l’8 dicembre nella Valle di Tempe.
Altri uomini della TA 18 prigionieri a Larissa, tra cui
l’aspirante Dieter Linnekogel ed i sergenti Meier e Wagner, riuscirono a
fuggire dopo tre mesi di detenzione e si consegnarono alle truppe britanniche
frattanto giunte in zona, sperando in un trattamento migliore.
Successivamente, quando
anche Larissa fu occupata dalle truppe indiane dell’esercito britannico (nel
corso della prima fase di scontri tra i partigiani comunisti dell’ELAS e le
truppe britanniche che appoggiavano il governo regio, preludio alla guerra
civile che sarebbe divampata in Grecia tra il 1946 ed il 1949), tutti i
superstiti della TA 18 passarono
sotto custodia britannica, venendo trasferiti in Egitto, ove furono dispersi in
vari campi di prigionia.
La Marina italiana
radiò formalmente la Solferino dai
quadri del proprio naviglio il 27 febbraio 1947. Secondo una fonte greca, il
relitto della vecchia torpediniera non sarebbe mai stato recuperato, e
giacerebbe ancor oggi nello stretto di Trikeri, a 27 metri di profondità.
La nave in una foto scattata intorno alla metà degli anni Venti (g.c. Giorgio Parodi, via www.naviearmatori.net) |
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