Il Malocello alla fonda davanti a La Goletta, Tunisia, il 20 marzo 1943 (g.c. STORIA militare) |
Cacciatorpediniere,
già esploratore, della classe Navigatori (dislocamento standard 2125
tonnellate, 2760 in carico normale, 2880 a pieno carico).
Durante gli anni
Trenta svolse intensa attività di squadra, prendendo parte alle principali
esercitazioni e svolgendo numerose crociere in tutto il Mediterraneo; partecipò
alla guerra d’Etiopia ed alla guerra civile spagnola.
Durante il secondo
conflitto mondiale effettuò complessivamente 156 missioni di guerra (54 di
scorta convogli, 13 di trasporto, 9 di posa di mine, 6 di caccia
antisommergibili, 5 di ricerca del nemico, 33 di trasferimento, 17 per
esercitazioni e 18 di altro tipo), percorrendo 62.072 miglia nautiche e
trascorrendo 3960 ore in mare.
Breve e parziale cronologia.
30 agosto 1927
Impostazione nei
Cantieri Ansaldo di Genova (numero di costruzione 284). È il primo dei dodici
esploratori classe Navigatori ad essere impostato, ma sarà soltanto il quinto
ad entrare in servizio, causa lavori di costruzione protrattisi più a lungo.
Due immagini del Malocello prima del varo (da www.kreiser.unoforu.pro). Nella foto in alto, in secondo piano si vedono la motonave Attilio Deffenu ed una sua gemella (Olbia o Caralis) in costruzione.
14 marzo 1929
Varo nei Cantieri Ansaldo
di Genova.
Durante le prove di
velocità, nel tragitto Punta Chiappa-Scoglio Ferale, il Malocello raggiunge la velocità massima di 39,18 nodi.
Il varo
del Malocello:
(da www.kreiser.unoforum.pro) |
(Fondazione Ansaldo) |
(da www.bagnirosita.it) |
Appena varato (da www.kreiser.unoforum.pro) |
18 gennaio 1930
Entrata in servizio, classificato
esploratore leggero. La sua costruzione è costata 20.750.000 lire.
Sopra: il
Malocello in allestimento presso l’Officina
Allestimento Navi al Molo Giano di Genova nel 1929, con accanto un posamine
classe Fasana; sotto: il Malocello
ancora incompleto (manca, tra l’altro, l’armamento principale) a Genova nel
1930 (Fondazione Ansaldo).
13 luglio-16 ottobre 1930
Dopo un primo breve
periodo di addestramento, il Malocello
viene mandato in cantiere per essere sottoposto ad un periodo di lavori di
modifica, in seguito alle prime esperienze. Per migliorare la stabilità, le
sovrastrutture vengono abbassate di un livello ed alleggerite, i fumaioli
vengono anch’essi leggermente abbassati e vengono eliminati alcuni serbatoi
laterali per il carburante, utilizzando al loro posto i doppi fondi (così riducendo
la riserva di nafta da 630 tonnellate a 533 tonnellate). Gli impanti
lanciasiluri trinati (ciascuno composto da un tubo lanciasiluri centrale da 450
mm e due laterali da 533 mm) vengono sostituiti, per lo stesso motivo, con
impianti binati da 533 mm.
Pur migliorando la
stabilità, questi provvedimenti non risolvono del tutto i problemi di tenuta
del mare dei “Navigatori”.
L’armamento
contraereo viene contestualmente potenziato con l’imbarco di due mitragliere
binate da 13,2/76 mm.
Terminati i lavori,
viene assegnato al II Gruppo della Divisione Leggera.
Il Malocello durante le prove in mare, nel
1930 (sopra: Fondazione Ansaldo; sotto: g.c. Nedo B. Gonzales via www.naviearmatori.net)
Dicembre 1930-Marzo 1931
Il Malocello è tra le unità adibite ad
appoggiare la crociera aerea transatlantica dall’Italia al Brasile di Italo
Balbo. Le navi, che compongono la Divisione Esploratori (o “Divisione navale
dell’Oceano”) al comando dell’ammiraglio di divisione Umberto Bucci (con
insegna sul Da Recco), sono
tutte unità della classe Navigatori: Malocello,
Leone Pancaldo ed Antonio Da Noli formano il II
Gruppo (del quale è capogruppo il Da Noli)
dislocato a Pernambuco, per l’assistenza nella zona americana dell’Atlantico,
mentre Nicoloso Da Recco, Luca Tarigo ed Ugolino Vivaldi costituiscono il I
Gruppo (dislocati alle Canarie ed assegnati all’Atlantico centrale) ed Emanuele Pessagno ed Antoniotto Usodimare formano il III
Gruppo (di competenza della parte africana dell’Atlantico).
Gli esploratori
salpano da La Spezia scaglionati per raggiungere le rispettive posizioni
assegnate, ed attendervi il passaggio degli idrovolanti; il II Gruppo parte il
30 novembre 1930, gli altri due il 1° dicembre 1930, seguendo itinerari
differenti.
Il Malocello ed il resto del II Gruppo
giungono ad Orano il 3 dicembre, poi fanno scalo a Ceuta il 6 dicembre, a
Casablanca l’8, a Dakar l’11 per poi attraversare l’Atlantico e raggiungere
Pernambuco, in Brasile, il 20 dicembre. Da qui i tre cacciatorpediniere si
separano e raggiungono le posizioni assegnate per la scorta; il Malocello, in particolare, lascia
Pernambuco il 31 dicembre 1930 e giunge il 3 gennaio 1931 a Porto Natal, da
dove l’indomani prosegue verso Fernando de Noronha, dove si ricongiunge col Da Noli, insieme al quale prosegue poi
verso la posizione di scorta assegnata.
Gli idrovolanti di
Balbo, undici Savoia Marchetti S. 55 (cui se ne aggiungeranno altri tre in
Africa), decollano da Orbetello il 17 dicembre, fanno tappa a Cartagena,
Kenitra, Villa Cisneros e Bolama e da qui decollano il 6 gennaio 1931, all’1.30
di notte, attraversando l’Atlantico e raggiungendo Porto Natal, in Brasile,
alle 19.30 dello stesso giorno, dopo 3000 km. In questa fase di verificano
varie avarie ed incidenti, che provocano la perdita di tre degli aerei. A Natal
il Malocello consegna una colonna
romana donata dal governo italiano a quella città brasiliana; la colonna (che
diverrà nota come “Colonna Capitolina”, dato che proviene dal Campidoglio) viene
inaugurata solennemente l’8 gennaio 1931 da Italo Balbo.
Dopo aver fatto tappa
a Bahia, gli S. 55 volano per altri 1400 km, arrivando infine in formazione su
Rio de Janeiro, davanti al Pan di Zucchero, alle 17 del 15 gennaio 1931,
insieme agli esploratori di scorta (la Divisione Esploratori al completo si è
riunita in unica formazione proprio il 15 gennaio), sotto gli occhi di un
milione di persone. Nell’ultimo tratto gli aerei sorvolano il Malocello, in attesa di ordini presso
Fernando de Noronha, che è carico di latte di benzina (è previsto che, qualora
gli aerei si trovassero nella necessità di rifornirsi di carburante, dovrebbero
ammarare nei pressi di Fernando de Noronha: non sarà comunque necessario) e
rolla fortemente nel mare agitato dal forte vento oceanico.
Il 7 febbraio, a
impresa aviatoria conclusa, la Divisione Esploratori inizia il viaggio di
ritorno, divisa in due gruppi: il Malocello
fa parte del I Gruppo, insieme a Tarigo, Pancaldo e Da Noli. Le navi attraversano l’Atlantico, facendo scalo a
Pernambuco, Dakar e Las Palmas (dove sono accolte con grandi festeggiamenti: lo
scalo non è scelto a caso, perché il navigatore genovese Lanzerotto Malocello –
dal quale la nave prende il nome – fu, nel 1312, il primo europeo a riscoprire
le Canarie dopo secoli di oblio, dando il suo nome all’isola di Lanzarote), ed
il 10 marzo raggiungono Ceuta, dove sostano brevemente.
Raggiunti a Ceuta
anche da Pessagno ed Usodimare (che ha a bordo l’ammiraglio
Bucci), gli esploratori salpano l’11 marzo, fanno tappa ad Algeri e giungono
infine a Gaeta il 18 marzo 1931.
Il Malocello al tempo della crociera di Italo Balbo (da Facebook-pagina “Classe Navigatori”) |
1° agosto 1931
Il Malocello ed i gemelli Leone Pancaldo, Emanuele Pessagno ed Antonio
Da Noli presenziano, a Genova, al varo del Rex, il più grande transatlantico italiano mai costruito.
8 dicembre 1931
Riceve a Genova la
bandiera di combattimento (offerta da Varazze, città natale del navigatore
eponimo), insieme ai gemelli Ugolino
Vivaldi, Alvise Da Mosto, Emanuele Pessagno, Antoniotto Usodimare, Nicoloso Da Recco, Leone Pancaldo ed Antonio Da Noli, nel corso di una grande
cerimonia cui partecipano anche il cardinale Carlo Dalmazio Minoretti, che
benedice le bandiere, il senatore Eugenio Broccardi (podestà di Genova) e
l’ammiraglio Bucci.
1932
Lavori di
sostituzione del timone.
13-14 agosto 1932
Il Malocello partecipa, con altre navi, ad
una rivista navale tenuta a Taranto alla presenza di Vittorio Emanuele III.
1932
Il Malocello parte da Taranto per una
crociera in Mar Egeo, passando per il Canale di Corinto.
22 aprile 1934
Il Malocello, inquadrato nella II
Squadriglia Esploratori insieme ai gemelli Emanuele Pessagno, Nicoloso
Da Recco e Giovanni Da
Verrazzano, ed unitamente alla I Squadriglia Esploratori (formata dai
gemelli Luca Tarigo, Ugolino Vivaldi, Antoniotto Usodimare ed Alvise Da Mosto) nonché alla IV
Squadriglia Cacciatorpediniere (Francesco
Crispi, Quintino Sella, Giovanni Nicotera, Bettino Ricasoli, Tigre, Francesco Nullo, Daniele
Manin) ed al posamine Dardanelli,
presenzia alla cerimonia per la consegna della bandiera di combattimento agli
incrociatori leggeri Alberico Da
Barbiano, Alberto Di Giussano, Giovanni delle Bande Nere, Bartolomeo Colleoni e Luigi Cadorna, nel bacino di San Marco a
Venezia.
28 giugno 1935
Durante un’esercitazione
notturna con attacco simulato, il Malocello
entra in collisione con il gemello Nicolò
Zeno. Entrambe le navi subiscono seri danni; sul Malocello ci sono cinque morti e sei feriti.
Il Malocello (a destra) e lo Zeno in bacino a Taranto dopo la collisione, il 29 giugno 1935 (foto Andrea Ponte, per g.c. della figlia Marina) |
1935
Al comando del
capitano di corvetta Costanzo Casana, il Malocello
è dislocato in Mar Rosso durante la Guerra d’Etiopia.
Il Malocello nel 1936 (da Facebook-pagina “Classe Navigatori”) |
16 agosto 1936
Nelle fasi iniziali
della guerra civile spagnola, il Malocello
viene inviato nelle Baleari per appoggiare l’operato delle forze nazionaliste
spagnole. All’inizio di agosto le isole di Formentera (7 agosto), Ibiza (8
agosto) e Cabrera (13 agosto), inizialmente in mano alle forze nazionaliste,
sono state conquistate con una serie di sbarchi dalle truppe repubblicane
provenienti dalla Catalogna; il 16 agosto i repubblicani sono sbarcati anche a
Maiorca, ma qui hanno incontrato maggiore opposizione da parte dei nazionalisti.
La situazione si risolve però in favore di questi ultimi soltanto con l’arrivo,
il 27 agosto, di decisivi aiuti mandati dal governo fascista dell’Italia, che
appoggia la fazione nazionalista: caccia e bombardieri della Regia Aeronautica per
controbattere le forze aeree repubblicane, nonché, quale “consigliere
militare”, la carismatica figura di Arconovaldo Bonacorsi, gerarca fascista che
riorganizza ed assume la guida delle truppe falangiste sull’isola. Il 5
settembre i repubblicani devono iniziare l’evacuazione delle loro truppe da
Minorca, che ritorna interamente in mano ai nazionalisti-fascisti il 12
settembre.
Il Malocello arriva a Maiorca proprio il 16
agosto, quando la battaglia per il controllo dell’isola è appena iniziata,
venendo dislocato a Palma; alcuni marinai del cacciatorpediniere verranno
utilizzati, insieme a volontari civili, per riattare ed ampliare il campo di
aviazione di Son San Juan, per renderlo idoneo ad ospitare i primi tre
bombardieri Savoia Marchetti S.M. 81 inviati dall’Italia (anche per caricare le
bombe su questi aerei, mancando gli armieri tra i loro equipaggi, si dovrà
impiegare personale specialista del Malocello).
La presenza stessa
del Malocello, in rappresentanza
dell’appoggio giunto dall’Italia, avrebbe avuto un ruolo non indifferente nel
risollevare il morale dei nazionalisti maiorchini; il suo comandante, capitano
di fregata Carlo Margottini, diviene il principale agente di collegamento a
Maiorca con le autorità italiane ed uno dei principali responsabili della
riorganizzazione militare delle forze nazionaliste nelle Baleari. È lui ad
esprimersi in favore dell’invio di rinforzi e aiuti, specialmente di aerei, per
i nazionalisti, giudicando che la situazione a Maiorca sia favorevole alla
vittoria dei nazionalisti, a patto di individuare delle figure carismatiche e
militarmente capaci in grado di condurli alla vittoria (Bonacorsi), ed
ottenendo l’invio degli aerei e degli aiuti militari col peso del suo parere di
militare esperto. Margottini sarà di fatto una delle principali “menti”, forse
anche più del sanguigno Bonacorsi (rispetto al quale è molto più astuto,
accorto, sottile), dietro la riconquista delle Baleari (una fonte spagnola descrive
Margottini e Bonacorsi come i “signori e padroni” di Maiorca in quel periodo).
Il 16 agosto il
capitano Alberto Bayo, comandante delle truppe repubblicane nelle Baleari, dichiara
il blocco navale delle Baleari ed invita tutte le navi straniere a lasciare
Palma di Maiorca, il cui porto verrà bombardato dal mare e dall’aria;
l’ammiraglio Ildebrando Goiran, comandante delle forze navali italiane nelle
Baleari, non riconosce a Bayo l’autorità di dichiarare il blocco. Ad ogni modo,
al Malocello viene ordinato di
imbarcare gli italiani che intendono allontanarsi dall’isola (17 in tutto, tra
cui il console Franchi) e lasciare Palma prima dell’ora stabilita per il
bombardamento. Così viene fatto; il Malocello
lascia Palma, nella strana compagnia delle altre due navi da guerra straniere
presenti, l’incrociatore britannico Galatea
e la “corazzata tascabile” tedesca Deutschland
(il comando di questa singolare forza navale internazionale viene assunto dal
contrammiraglio britannico James Somerville, ufficiale di grado più elevato
presente nella zona: una ben strana forza navale, se si pensa che solo quattro
anni più tardi Somerville comanderà la Forza H di Gibilterra in diverse
battaglie contro la Marina italiana, mentre il Galatea verrà affondato in Mediterraneo da un U-Boot tedesco), e
poi vi fa ritorno alle 18.30. Le successive minacce di Bayo non serviranno ad
indurre il Malocello ad andarsene da
Palma.
Il Malocello entra a Palma di Maiorca (Coll. F. Bargoni, via www.italie1935-45.com) |
27 agosto 1936
Arriva a Maiorca,
proveniente dall’Italia, il piroscafo Emilio
Morandi, avente a bordo un carico di munizioni, armi leggere e sei aerei
(tre caccia FIAT CR. 32 e tre idrovolanti Macchi M. 41); per mascherare l’invio
dall’Italia (che formalmente è neutrale nella guerra civile) di questi
rifornimenti per i nazionalisti, il Morandi
simula un’avaria e viene preso a rimorchio dal Malocello, che lo porta nel porto di Palma. L’equipaggio del Malocello partecipa poi al montaggio dei
CR. 32, che vengono assemblati in poche ore.
7 settembre 1936
Il Malocello (capitano di fregata Carlo
Margottini) scorta a Palma il piroscafo italiano Nereide, in arrivo da La Spezia con tre caccia FIAT CR. 32,
artiglierie e munizioni per le difese contraeree di Maiorca.
18 settembre 1936
Partito da Palma di
Maiorca con a bordo il comandante Margottini, Arconovaldo Bonacorsi ed il capo
dei falangisti maiorchini, marchese di Zayas, il Malocello effettua un giro di ricognizione attorno ad Ibiza e
Formentera, allo scopo di verificare la situazione nelle due isole, col
pretesto di recare aiuto agli italiani che vi si trovano. Avendo trovato che i
repubblicani non hanno preparato alcuna difesa e che le isole sono facilmente
riconquistabili, rientra a Palma per riferire.
19-20 settembre 1936
Il Malocello lascia Maiorca nella notte del
19 scortando il piroscafo spagnolo Ciudad
de Palma, requisito per trasportare il contingente incaricato di
riconquistare Ibiza: due compagnie della "Legione Maiorchina", due
compagnie della Falange ed un distaccamento di marinai spagnoli, nonché
Arconovaldo Bonacorsi.
Malocello e Ciudad de Palma
arrivano ad Ibiza il mattino del 20 e vi sbarcano le truppe, che riconquistano
agevolmente sia tale isola che Formentera, procedendo subito ad una brutale
repressione contro i repubblicani ed i loro simpatizzanti. Successivamente
verrà riconquistata anche Cabrera.
3 ottobre 1936
Con le Baleari ormai
saldamente in mano alle forze nazionaliste e fasciste (tranne Minorca, che
resterà ai repubblicani fino al 1939), il Malocello
ritorna in Italia e viene sostituito a Maiorca dal gemello Nicolò Zeno.
Un’immagine della nave nella sua configurazione originale, tra gennaio e luglio 1930 (Coll. Luigi Accorsi via www.associazione-venus.it) |
1937-1938
Il Malocello continua a partecipare alle
operazioni navali legate alla guerra civile spagnola.
5 settembre 1938
Riclassificato
cacciatorpediniere. Assegnato al gruppo cacciatorpediniere di riserva della IV
Divisione, viene dislocato a La Spezia fino al luglio 1939.
5 luglio 1939
Lascia La Spezia e si
trasferisce a Tangeri, dove è adibito al ruolo di stazionario.
Successivamente viene
inviato a Lero, nel Dodecaneso.
La nave nel 1939 (Coll. Luigi Accorsi via www.associazione-venus.it) |
2 gennaio-31 marzo 1940
Tornato in Italia,
viene sottoposto a grandi lavori di modifica nei cantieri Odero Terni Orlando
di Livorno. La prua viene completamente ricostruita con forma differente
(inclinata in avanti anziché dritta) e lo scafo viene allargato di un metro
(nella parte compresa tra il complesso binato prodiero ed il complesso
lanciasiluri poppiero), il che permette anche di ricavare spazio per ulteriori
serbatoi di carburante (così incrementando l’autonomia).
Il dislocamento
standard sale da 1935 a 2125 tonnellate, quello a pieno carico da 2580 a 2888;
la riserva di combustibile viene portata da 533 a 680 tonnellate.
L’aumento di
dislocamento provoca una diminuzione della velocità a circa 28 nodi, ma risolve
definitivamente i problemi di stabilità e tenuta del mare.
Viene anche
potenziato l’armamento (i due tubi lanciasiluri binati da 533 mm vengono
sostituiti con altrettanti tubi trinati dello stesso calibro, e vengono inoltre
aggiunge due mitragliere binate da 13,2/76 mm e due scaricabombe per bombe di
profondità); le ferroguide per il trasporto e la posa di mine vengono allungate
fino al castello, permettendo di imbarcare e posare 86 mine tipo P. 200, 94
mine tipo Elia o 104 mine tipo Bollo (mentre prima si potevano trasportare e
posare solo 54 mine tipo Elia o 56 tipo Bollo).
Terminati i lavori,
viene assegnato alla XV (o XIV) Squadriglia Cacciatorpediniere, alle dipendenze
della IV Divisione Navale (2a Squadra Navale).
Arrivo del Malocello a Genova con la salma dell’ammiraglio Bettolo, anni Trenta (foto Sangiorgi-Genova, via Nedo B. Gonzales e www.naviearmatori.net) |
10 giugno 1940
All’entrata
dell’Italia nella seconda guerra mondiale, il Malocello fa parte della XIV Squadriglia Cacciatorpediniere, con
base a Taranto, insieme ai gemelli Ugolino
Vivaldi (caposquadriglia, capitano di vascello Giovanni Galati), Leone Pancaldo ed Antonio Da Noli.
13 giugno 1940
In serata il Malocello ed il resto della XV
Squadriglia Cacciatorpediniere (Giovanni
Da Verrazzano, Antonio Pigafetta,
Nicolò Zeno), cui è stato
momentaneamente aggregato, salpa per effettuare un rastrello antisommergibili a
sud della congiungente Capo Colonne-Santa Maria di Leuca, dopo che la I
Divisione Navale, uscita nel Golfo di Taranto il giorno precedente, ha
segnalato ben cinque presunti avvistamenti di sommergibili al largo della costa
calabrese (dovuti verosimilmente alla presenza in zona del sommergibile
britannico Odin, poi affondato, anche
se è probabile che uno o più di essi fossero falsi allarmi, dovuti alle vedette
sovreccitate dopo la recentissima entrata in guerra). Nelle prime ore del
mattino la XV Squadriglia rientra in porto, senza aver avvistato niente.
7 luglio 1940
Alle 12.30 il Malocello, aggregato alla XV Squadriglia
Cacciatorpediniere (insieme ai gemelli Antonio
Pigafetta e Nicolò Zeno), lascia
Taranto scortando le corazzate Giulio
Cesare e Conte di Cavour, insieme
a tutta la I Squadra Navale: le Divisioni Navali IV (incrociatori leggeri Alberico Da Barbiano, Alberto Di Giussano, Luigi Cadorna, Armando Diaz) e VIII (incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi) e le Squadriglie
Cacciatorpediniere VII (Freccia, Dardo, Saetta, Strale), VIII (Folgore, Fulmine, Lampo, Baleno) e XVI (Nicoloso Da Recco, Emanuele Pessagno, Antoniotto Usodimare).
Le navi devono fornire
sostegno a distanza ad un convoglio di quattro mercantili salpati da Napoli
alle 19.45 del 6 e diretti a Bengasi. Il convoglio, formato dai trasporti
truppe Esperia e Calitea e dalle moderne motonavi da
carico Marco Foscarini, Vettor Pisani e Francesco
Barbaro, trasporta complessivamente 232 veicoli, 10.445 tonnellate di
materiali vari, 5720 tonnellate di carburante e 2190 uomini, ed ha la scorta
diretta della II Divisione Navale (incrociatori leggeri Giovanni delle Bande Nere e Bartolomeo Colleoni), della X
Squadriglia Cacciatorpediniere (Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco)
e di sei torpediniere (le moderne Orsa,Procione, Orione e Pegaso della
IV Squadriglia e le vetuste Rosolino
Pilo e Giuseppe Cesare Abba) e la scorta a distanza dell’incrociatore
pesante Pola, delle Divisioni
Navali I, III e VII e delle Squadriglie Cacciatorpediniere IX, XI, XII e XIII
(la 2a Squadra Navale, al comando dell’ammiraglio di squadra Riccardo
Paladini, imbarcato sul Pola),
partite da Augusta, Palermo e Messina.
Comandante superiore
in mare è l’ammiraglio di squadra Inigo Campioni, con bandiera sulla Cesare.
Alle 18.30, in
seguito all’avvistamento di un sommergibile, viene suonato sul Malocello il posto di combattimento
generale.
8 luglio 1940
Durante la giornata,
il Malocello naviga sempre in
formazione, a fianco delle corazzate. Alle 15 viene avvistata la costa della
Libia; essendo il convoglio ormai in acque sicure, la flotta inverte la rotta
per rientrare alle basi.
Alle 15.20, tuttavia,
a seguito dell’avvistamento di una formazione britannica – anche la
Mediterranean Fleet, infatti, è in mare a protezione di convogli – la 1a e
la 2a Squadra Navale dirigono per intercettare le navi nemiche (che si
teme dirette a bombardare Bengasi), con l’intento di impegnarle in
combattimento almeno un’ora prima del tramonto. La flotta britannica in mare,
al comando dell’ammiraglio Andrew Browne Cunningham, consiste in tre corazzate
(Warspite, Malaya e Royal
Sovereign), una portaerei (la Eagle),
cinque incrociatori leggeri (Orion, Neptune, Sydney, Liverpool, Gloucester) e 16 cacciatorpediniere (Nubian, Mohawk, Decoy, Hasty, Hero, Hereward, Stuart, Decoy, Hostile, Hyperion, Ilex, Dainty, Defender, Janus, Juno, Vampire e Voyager). Alle 16.20 viene suonato sul Malocello il posto di combattimento; alle 17.05 la II Squadra
Navale, per ordine di Supermarina, si congiunge con la I Squadra.
Alle 18.30 vengono
avvistati due aerei britannici che sganciano bombe contro la flotta; le navi, Malocello compreso, reagiscono con fuoco
contraereo. Alle 19.27 cessa il posto di combattimento, che viene tuttavia
ripreso quaranta minuti più tardi. Alle 20.13 compaiono nuovamente degli aerei
nemici, e nuovamente si spara contro di essi; alle 20.40 cessa, stavolta
definitivamente, il posto di combattimento.
Alle 19.20, intanto,
in seguito ad ordini di Supermarina (il comando della Regia Marina, che, a
differenza dell’ammiraglio Campioni ha avuto modo di apprendere, tramite la
crittografia, la reale consistenza e finalità dei movimenti britannici) la
flotta italiana accosta per 330° per rientrare alle basi, con l’ordine di non
impegnare il nemico. Alle 22 giungono invece nuovi ordini: Supermarina teme che
la Mediterranean Fleet intenda lanciare un attacco aeronavale contro le coste
italiane, perciò ordina alle forze in mare di riunirsi nel punto 37°40’ N e
17°20’ E, 65 miglia a sudest di Punta Stilo, entro le 14 del 9 luglio.
Nel corso della
giornata il Malocello ha sparato 710
colpi con le proprie mitragliere.
9 luglio 1940
Alle 2.59 della notte
viene ordinato il posto di combattimento generale, ma è un falso allarme.
In mattinata, alle
9.07, viene nuovamente ordinato il posto di combattimento, ma solo per pochi
minuti, fino alle 9.13.
Verso le 13, dopo una
mattinata di infruttuosi voli di ricognizione, un velivolo italiano avvista la
Mediterranean Fleet 80 miglia a nordest della V Divisione, ossia molto più a
nord di quanto previsto, ed in posizione adatta ad interporsi tra la flotta
italiana e la base di Taranto: l’ammiraglio Campioni inverte allora la rotta,
ed ordina a Paladini, che si trova più a sud e sta dirigendo per ovest-sud-ovest,
di fare altrettanto, accostando ad un tempo per riunire più rapidamente le due
Squadre.
Il Malocello, tuttavia, deve lasciare la
flotta per andare a rifornirsi a Messina, essendo a corto sia di acqua che di
nafta. Lo stesso devono fare parecchi altri cacciatorpediniere: per tutti
l’ordine è di rifornirsi e poi riprendere il mare per il previsto punto di
riunione delle forze navali italiane (37°40’ N e 17°20’ E, 65
miglia a sudest di Punta Stilo, con incontro previsto per le 14 od al
massimo, per i cacciatorpediniere distaccati a rifornirsi, per le 16).
Giunto nel porto
siculo alle 13.48, il Malocello si
ormeggia al molo Etiopia e si rifornisce; riprende il mare alle 18, per
riunirsi alla flotta, ma ormai la battaglia di Punta Stilo si è conclusa, senza
risultati decisivi per una parte o per l’altra. La flotta italiana sta
dirigendo verso la Sicilia per il rientro quando il Malocello la raggiunge; sul cacciatorpediniere viene nuovamente
ordinato il posto di combattimento alle 19.32, e sette minuti dopo viene aperto
il fuoco contro cinque velivoli britannici, che attaccano la nave sganciando
bombe incendiarie. Il tiro viene cessato alle 19.41, ma gli aerei avversari si
ripresentano alle 19.43 ed alle 20.02; alle 20.10 viene nuovamente aperto il fuoco
contro di essi. Alle 21.05 un aereo sgancia una bomba che cade a poppavia del Malocello. Alle 22 cessa il posto di
combattimento; nel corso della giornata il Malocello
ha sparato 1351 colpi con le sue mitragliere.
10 luglio 1940
Alle 2.51 il Malocello si ormeggia a Messina; entrano
nello stesso porto anche la Cesare
(danneggiata durante la battaglia), la III Divisione Navale (incrociatori
pesanti Trento, Trieste e Bolzano),
l’incrociatore leggero Luigi Cadorna
e l’VII Squadriglia Cacciatorpediniere. Alle 10.10 viene ordinato il posto di
manovra, ed alle 12.05 la nave lascia Messina, dove però fa ritorno dopo appena
un’ora. Alle 20.20 il Malocello salpa
nuovamente da Messina, ma nuovamente vi fa ritorno alle 22.30.
Tra il 7 ed il 10
luglio, il Malocello ha percorso un
totale di 1143 miglia marine.
11 luglio 1940
Alle 10.20, mentre il
Malocello è ancora a Messina, si
verifica un nuovo allarme aereo.
Il Malocello ormeggiato al Molo Mediceo di Livono nel 1940 (Coll. Luigi Fumarola, via www.naviearmatori.net) |
12 luglio 1940
Alle 19.30 viene
ordinato il posto di manovra, ed alle 20.18 il Malocello lascia Messina, insieme alla XI Squadriglia
Cacciatorpediniere, per scortare a La Spezia Cesare e Bolzano, là
inviati per effettuarvi le riparazioni dei danni subiti a Punta Stilo.
13 luglio 1940
Alle 20.44 il Malocello apre il fuoco contro un aereo
che vola verso la formazione, ma 20.52 il Bolzano
gli segnala di cessare il fuoco, perché il velivolo è italiano (contro di esso sono
stati sparati 173 colpi delle mitragliere). Alle 22.30 il Malocello si ormeggia alla boa a La Spezia. Ha percorso 564 miglia
dalla partenza da Messina.
30 luglio-1° agosto 1940
Il Malocello, temporaneamente aggregato
alla XV Squadriglia Cacciatorpediniere, salpa da Taranto alle 5.55 del 30
luglio insieme ai gemelli Pigafetta e
Zeno ed alla IV Divisione Navale
(incrociatori leggeri Alberico Da
Barbiano ed Alberto Di
Giussano), per fornire protezione a distanza ai convogli diretti in Libia
nell’ambito dell’operazione «Trasporto Veloce Lento» (T.V.L.). Allo stesso
scopo prendono il mare anche la I Divisione (incrociatori pesanti Zara, Fiume e Gorizia con
i cacciatorpediniere Ascari, Lanciere, Corazziere e Carabiniere
della XII Squadriglia ed Alfieri, Oriani, Gioberti e Carducci della
IX Squadriglia), la VII Divisione (incrociatori leggeri Eugenio di Savoia, Luigi
di Savoia Duca degli Abruzzi, Muzio
Attendolo e Raimondo
Montecuccoli con i cacciatorpediniere Granatiere, Bersagliere, Fuciliere ed Alpino
della XIII Squadriglia) e li incrociatori pesanti Pola (nave di bandiera dell’ammiraglio Riccardo Paladini, comandante
superiore in mare) e Trento.
I convogli in mare
per l’operazione T.V.L. sono tre: il n. 1 (lento, partito da Napoli alle 8.30
del 27 a 7,5 nodi di velocità) è formato dalle navi da carico Maria Eugenia, Gloria Stella, Mauly, Bainsizza, Barbaro e Col di
Lana e dall’incrociatore ausiliario Città di Bari (qui usato come trasporto) scortati dalle
torpediniere Procione, Orsa, Orione e Pegaso (poi
rinforzate dai cacciatorpediniere Maestrale, Grecale, Libeccio e Scirocco);
il n. 2 (veloce, partito da Napoli alle 00.30 del 29 alla velocità di 16 nodi)
è composto dai trasporti truppe Marco
Polo, Città di Napoli e Città di Palermo, scortati dalle
torpediniere Alcione, Aretusa, Airone ed Ariel;
il n. 3 (partito da Trapani) è composto dai piroscafi Bosforo e Caffaro,
scortati dalle torpediniere Vega, Perseo, Generale Antonino Cascino e Generale Achille Papa. Il gruppo che comprende la IV Divisione e la
XV Squadriglia è incaricato della protezione del convoglio “lento”, il numero
1.
Sempre a protezione
dei convogli, viene potenziato lo schieramento di sommergibili nel Mediterraneo
orientale ed occidentale, portandolo in tutto a 23 battelli, e vengono disposte
numerose ricognizioni aeree speciali con mezzi della ricognizione marittima e
dell’Armata Aerea (Armera).
A seguito della
notizia dell’uscita in mare sia del grosso della Mediterranean Fleet da
Alessandria, che da gran parte della Forza H da Gibilterra (incrociatore da
battaglia Hood, corazzate Valiant e Resolution, portaerei Argus ed Ark Royal), che si presume essere
dirette verso il Mediterraneo centrale, i convogli n. 1 e 2 vengono dirottati
l’uno a Catania e l’altro a Messina, dove giungono rispettivamente la sera del
28 ed alle 13.30 del 29.
Il 30 luglio i due
convogli, più il n. 3 che salpa solo ora, prendono nuovamente il mare per la
Libia, e salpa anche la forza navale di copertura che comprende il Malocello.
Alle 24 del 31
luglio, quando ormai i convogli hanno raggiunto una posizione tale da potersi
ormai considerare al sicuro da pericoli, il gruppo «Da Barbiano» dirige per il
rientro ad Augusta, dove giunge alle 10 del 1° agosto.
Tutti i convogli
raggiungono senza danni le loro destinazioni tra il 31 luglio ed il 1° agosto.
5 agosto 1940
Il Malocello (capitano di fregata Servadio
Cortesi), insieme ai gemelli Pigafetta
(capitano di vascello Paolo Melodia) e Zeno
(capitano di fregata Morra) ed agli incrociatori leggeri Alberico Da Barbiano (capitano di vascello Azzi; nave di bandiera
dell’ammiraglio di divisione Alberto Marenco di Moriondo, comandante superiore
in mare) ed Alberto Di Giussano
(capitano di vascello Maroni Ponti), dovrebbe partecipare alla posa del campo
minato «7 AN» tra Pantelleria e la Tunisia, posando 94 mine.
Durante
l’approntamento, tuttavia, il Malocello
subisce un’avaria alle valvole di manovra di una delle motrici, che lo
costringe a rinunciare alla missione e restare in porto. L’assenza del Malocello comporterà una riduzione del
numero delle mine dello sbarramento «7 AN» da 486 a 394.
Il Malocello nel 1940 (Coll. Luigi Accorsi via www.associazione-venus.it) |
5 settembre 1940
Malocello, Da Noli (caposcorta,
capitano di vascello Giovanni Galati) e Tarigo
(la XIV Squadriglia Cacciatorpediniere) salpano da Palermo alle 10, per
rilevare al largo di Trapani (nel punto a 5 miglia per 245° dal Faro di
Marettimo) le torpediniere Circe ed Aldebaran nella scorta di un
convoglio (piroscafo Marco Polo con
2000 ufficiali e soldati, motonave Francesco
Barbaro con 3000 tonnellate di
munizioni, provviste, carri armati, veicoli e materiale bellico) in navigazione
da Napoli a Tripoli.
I cacciatorpediniere
seguono rotte costiere fino al punto previsto per l’incontro; alle 14.25 Malocello e Tarigo mettono a mare i paramine, su ordine del Da Noli, ed alle 14.56 avviene la riunione
con i due mercantili. Malocello
e Tarigo si portano a proravia
del convoglio per effettuare dragaggio protettivo, mentre il Da Noli assume posizione di scorta
ravvicinata.
Il convoglio supera
le isole Egadi e segue le rotte costiere della Tunisia; alle 18 incontra un
convoglio di due piroscafi scortati dalla torpediniera Procione, ed alle 19.20 è già al traverso di Capo Bon.
7 settembre 1940
Alle 5.20, al
traverso della boa n. 3 di Kerkennah (posizione 34°57’30” N e 11°45’30” E), viene
avvistato un piroscafo che procede di controbordo. Alle 16 (al largo di
Sabratha) si avvistano ricognitori italiani.
Giunto nel punto
convenzionale «D» alle 17.35, il convoglio entra nel porto di Tripoli alle
17.45 (18.30 per altra versione).
8 settembre 1940
Malocello, Tarigo e Da Noli (caposcorta) ripartono da
Tripoli all’una di notte, scortando sempre Marco Polo e Barbaro dirette
ora a Bengasi. Il Da Noli procede in
testa, seguito dalle motonavi; la squadriglia di cacciatorpediniere si dispone
in posizione di scorta ravvicinata.
Alle due di notte
s’incrocia il piroscafo Pallade
diretto a Tripoli, ed alle 7.08 ha inizio lo zigzagamento di convoglio e
scorta, che proseguirà sino alle 19.18.
9 settembre 1940
Il convoglio
raggiunge il punto «D» di Bengasi alle 7.18, e poco dopo entra in porto,
ormeggiandosi al molo sottoflutto alle 8.15.
10 settembre 1940
Malocello, Tarigo e Da Noli (caposcorta) lasciano
Bengasi per Napoli alle 15.45 (16.30 per altra versione) scortando il Marco Polo, che ritorna vuoto in
Italia. Malocello e Tarigo sono i primi ad uscire dal porto,
seguiti dal Da Noli, che a sua volta
è seguito dal Marco Polo.
Alle 16.56 il Da Noli avvista una mina alla
deriva, che viene affondata a raffiche di mitragliera dal Tarigo.
11 settembre 1940
Alle 7.51 vengono
avvistati ricognitori italiani; alle 11.59 inizia di nuovo lo zigzagamento,
proseguito fino alle 16.42. Alle 17.40, davanti a Messina, la XIV Squadriglia
cede la scorta alla torpediniera Generale
Antonio Cantore, uscita da quel porto. Sarà la Cantore a scortare il Marco
Polo fino a Napoli; la XIV Squadriglia assume invece velocità 20 nodi e
raggiunge Palermo.
19 settembre 1940
Malocello, Tarigo e Da Noli sostituiscono a Trapani, in
mattinata, le torpediniere Generale
Antonio Cantore e Generale
Marcello Prestinari nella
scorta ai trasporti truppe Esperia e Marco Polo, partiti da Napoli e diretti
a Tripoli.
20 settembre 1940
Il convoglio
raggiunge Tripoli alle otto.
24 settembre 1940
Malocello, Tarigo e Da Noli ripartono da Tripoli alle
10 (o 19) scortando Esperia e Marco Polo di rientro scarichi a
Napoli, via Palermo.
25 settembre 1940
Il convoglio giunge a
Palermo alle 18.30. Da Trapani in poi si aggrega alla scorta anche la
torpediniera Giuseppe Dezza.
28 settembre 1940
Il convoglio giunge a
Napoli alle 16.
6 ottobre 1940
Il Malocello (capitano di fregata Del
Buono) insieme a Vivaldi (capitano
di vascello Galati, comandante superiore in mare), Tarigo (capitano di fregata De Cristofaro) e Da Noli (capitano di fregata Zoli),
lascia Palermo alle 8.25 per partecipare alla posa dello sbarramento di mine «M
3», a sud di Malta. I cacciatorpediniere imboccano lo stretto di Messina alle
14.20, dirigono per entrare nella rada di Augusta alle 17.25 e si ormeggiano a
Punta Cugno alle 18.40, indi si riforniscono ed imbarcano le mine.
7 ottobre 1940
Alle 18.20 i
cacciatorpediniere salpano da Augusta, ma alle 19.10 il Malocello comunica al capo
formazione di aver subito un’avaria al timone; alle 20.10 riferisce che è
impossibile riparare l’avaria in tempo utile per completare la missione,
pertanto, dieci minuti più tardi, riceve ordine da Galati di tornare in porto.
8 novembre 1940
Malocello, Vivaldi e Da Noli ricevono ordine di tenersi
pronti a muovere.
9 novembre 1940
Alle tre di notte il Malocello lascia Messina alla volta di
Augusta, dove arriva quattro ore più tardi, dopo aver percorso 72 miglia.
Giunge segnalazione di un convoglio nemico in mare, ma non l’ordine di uscire.
Si tratta della Forza
F britannica (corazzata Barham,
incrociatore pesante Berwick,
incrociatore leggero Glasgow,
cacciatorpediniere Gallant, Griffin e Greyhound), che sta trasportando 2000 soldati da Gibilterra a
Malta.
10 novembre 1940
Entra ad Augusta un
sommergibile che rivendica l’affondamento di una nave nemica; al suo arrivo,
l’equipaggio del Malocello lo saluta.
11 novembre 1940
Alle 3.30 il Malocello prende il mare per cercare tre MAS, salpati per attaccare le navi britanniche. Poco al largo, il Malocello incontra i MAS e dunque ritorna alla base, avendo passato in tutto sei ore in mare (116 miglia percorse).
Alle 3.30 il Malocello prende il mare per cercare tre MAS, salpati per attaccare le navi britanniche. Poco al largo, il Malocello incontra i MAS e dunque ritorna alla base, avendo passato in tutto sei ore in mare (116 miglia percorse).
16-18 novembre 1940
Il 16 novembre la XIV
Squadriglia (Malocello, Vivaldi, Da Noli e Tarigo)
salpa da Palermo per unirsi al resto della flotta italiana in un tentativo di
intercettazione di una formazione britannica diretta verso est. Si tratta della
Forza H dell’ammiraglio James Somerville (incrociatore da battaglia Renown, portaerei Argus e Ark Royal, incrociatori leggeri Sheffield, Despatch e Newcastle, otto cacciatorpediniere) uscita
da Gibilterra per l’operazione «White», che prevede l’invio a Malta di aerei
decollati dall’Argus per
rinforzarne le difese, un’azione di bombardamento di Alghero (velivoli dell’Ark Royal) ed il trasporto a Malta di
uomini e materiali della RAF sul Newcastle.
Oltre alla XIV
Squadriglia, prendono il mare le corazzate Vittorio Veneto e Cesare,
l’incrociatore pesante Pola come
nave comando della II Squadra, la I Divisione con gli incrociatori pesanti
Fiume e Gorizia (tutti da Napoli), la III
Divisione con gli incrociatori pesanti Trento, Trieste e Bolzano (da Messina) e le
Squadriglie Cacciatorpediniere IX (Alfieri, Oriani, Gioberti, Carducci),
XII (Ascari, Lanciere, Corazziere e Carabiniere)
e XIII (Bersagliere,Granatiere, Fuciliere, Alpino).
Le navi uscite da Napoli, prive di dati precisi sul nemico, dirigono verso sud
nel Basso Tirreno; nel pomeriggio del 16 la XIV Squadriglia raggiunge il resto
della formazione. La forza così riunita, sotto il comando dell’ammiraglio
Campioni, assume quindi rotta verso est verso l’8° meridiano, a sudovest della
Sardegna, procedendo a 18 nodi, ridotti a 14 nella notte del 17 per agevolare
la navigazione dei cacciatorpediniere, resa difficoltosa da un vento da
sudovest.
Per tutta la giornata
del 16 non si ricevono informazioni sulle forze nemiche; solo alle 10.15 del 17
queste vengono avvistate da ricognitori, che però non precisano né la rotta né
la velocità. Campioni dirige verso sud, in direzione di Bona, sperando di
riuscire ad intercettare le unità britanniche nel pomeriggio, se esse
proseguono verso est.
Raggiunto alle 16.30
un punto prestabilito 45 miglia a nord-nord-est di Ustica, la formazione
italiana dirige poi verso ovest ed alle 17.30 arriva 35 miglia a sudovest di
Sant’Antioco. Dopo aver navigato per un po’ in direzione dell’Algeria, nella
totale mancanza su dove sia il nemico e dove esso sia diretto, la squadra
italiana riceve l’ordine rientrare. Campioni rileverà che le condizioni del
mare – onde molto lunghe da sudovest – hanno causato forte rollio e beccheggio
in tutte le sue navi, corazzate comprese, tanto da impedire l’uso dei cannoni
se dirette verso sud. Durante il ritorno le navi italiane eseguono
esercitazioni di tiro contro la scogliera La Botte, a sud di Ponza.
Sempre durante il
ritorno, il Malocello viene
colto da un’avaria ad un timone, aggravata dalle avverse condizioni
meteomarine, che lo costringe a riparare a Cagliari assistito da Trento, Vivaldi e Da Noli
(nonché, nell’ultimo tratto, dal rimorchiatore Nereo); le altre navi italiane rientrano alle basi tra il mattino
ed il pomeriggio del 18 novembre.
Ancorché infruttuosa,
l’uscita in mare delle forze italiane ha contribuito al parziale fallimento
dell’operazione «White»: a seguito dell’avvistamento della squadra italiana da
parte dei ricognitori di Malta, infatti, Somerville ha fatto lanciare gli aerei
dall’Argus tenendo la portaerei
quanto più ad ovest possibile, cioè più lontana da Malta di quanto inizialmente
pianificato, prolungando di molto la distanza sulla quale gli aerei dovranno
volare. Il risultato sarà che su quattordici aerei decollati dall’Argus (dodici Hawker Hurricane e
due Blackburn Skua) solo cinque (quattro Hurricane ed uno Skua) giungeranno a
Malta: gli altri esauriranno il carburante e precipiteranno in mare a seguito
di errori di navigazione e stime sbagliate sugli effetti del vento.
14 dicembre 1940
Malocello, Tarigo, Vivaldi (caposcorta) e Da Noli lasciano Palermo alle 10.15
e sostituiscono le torpediniere Generale
Antonino Cascino ed Enrico
Cosenz nella scorta ai trasporti truppe Esperia, Conte Rosso e Marco Polo, provenienti da Napoli e
diretti a Tripoli. Il convoglio ha anche una scorta indiretta, assicurata dagli
incrociatori leggeri Giovanni delle
Bande Nere ed Alberto Di
Giussano e dai cacciatorpediniere Ascari e Carabiniere (questi
ultimi per scorta antisommergibile degli incrociatori).
Nei mesi a venire,
il Malocello ed il resto
della XIV Squadriglia Cacciatorpediniere (comandata dal capitano di vascello
Giovanni Galati, uno dei più capaci e competenti ufficiali della Regia Marina,
con bandiera sul Vivaldi),
verranno continuamente impiegati nella scorta a «convogli veloci» di grandi
navi passeggeri (Esperia, Conte Rosso e Marco Polo, nonché meno di
frequente Victoria, Neptunia, Oceania) adibite al trasporto di truppe, traversate che seguono
sempre uno schema più o meno eguale: all’andata, rotta lungo le secche di
Kerkennah; ritorno, rotte solitamente più ad est; scorta diretta, quasi sempre;
presenza, in caso di fondati timori di attacco da parte di forze navali di superficie,
di una Divisione di incrociatori per scorta a distanza. L’utilizzo in convoglio
sempre delle stesse navi permette, oltre ai vantaggi derivanti dall’impiego di
un gruppo di unità dalle caratteristiche omogenee, un maggiore affiatamento tra
di esse.
15 dicembre 1940
Il convoglio
raggiunge Tripoli alle 15.
19 dicembre 1940
Malocello, Vivaldi (caposcorta), Da Noli, Tarigo e la torpediniera Orione partono
da Tripoli per Napoli alle 10, scortando i trasporti truppe Esperia, Conte Rosso e Marco
Polo che rientrano vuoti in Italia.
20 dicembre 1940
Il convoglio giunge a
Napoli alle 20.30.
26 dicembre 1940
Malocello, Vivaldi (caposcorta), Da Noli, Tarigo e Cosenz partono
da Napoli alle 19 diretti a Tripoli, scortando Esperia, Conte Rosso e Marco Polo. La Cosenz lascia il convoglio a Napoli.
28 dicembre 1940
Le navi giungono a
Tripoli alle 11.30.
30 dicembre 1940
Malocello, Tarigo, Vivaldi (caposcorta) e Da Noli lasciano Tripoli per Napoli
alle 17.30, scortando ancora Esperia, Conte Rosso e Marco Polo. A Trapani i
cacciatorpediniere vengono sostituiti da un’unica torpediniera, la Sirio, che scorta i trasporti fino a
Napoli.
1940-1941
Nuovi lavori di
potenziamento dell’armamento; vengono eliminati i due cannoncini singoli
Vickers-Terni 1917 da 40/39 mm e le quattro mitragliere binate da 13,2/76 mm,
mentre vengono installate sette mitragliere Breda singole da 20/65 mm Mod. 1940.
7-8 gennaio 1941
Alle 22.20 del
7 Malocello (capitano di
fregata Del Buono), Vivaldi (capitano
di vascello Galati, caposquadriglia), Da
Noli (capitano di fregata Zoli) e Tarigo
(capitano di fregata De Cristofaro), unitamente alle torpediniere Vega (capitano di corvetta Fontana)
e Sagittario (tenente di
vascello Cigala Fulgosi), lasciano Trapani (in linea di fila, nell’ordine dal
primo all’ultimo Vivaldi, Malocello, Vega, Da Noli, Tarigo e Sagittario) per partecipare alla posa
degli sbarramenti di mine «X 2» ed «X 3», di 180 ordigni ciascuno, a nord di
Capo Bon (Canale di Sicilia). Supermarina ha ordinato il minamento di quella
zona a seguito dell’operazione britannica «Collar» e della conseguente
battaglia di Capo Teulada, durante le quali la Mediterranean Fleet è
ripetutamente transitata nel canale di Sicilia senza subire alcun danno,
proprio perché a nord di Capo Bon, dove essa è passata, non esistono campi
minati.
Una volta in mare la
formazione si dispone in linea di fila (nell’ordine, Vivaldi, Malocello, Vega, Da Noli, Tarigo e Sagittario) e fa rotta su Capo Bon,
avvistandone il faro all’1.53 dell’8 gennaio. Dopo aver ridotto la velocità a dodici
nodi, le navi iniziano la posa alle 4.02: per prima la Sagittario (estremità meridionale dell’X
2), poi Tarigo e Da Noli, che con la Sagittario assumono una rotta parallela alla linea X 2. Vega, Malocello e Vivaldi si
portano sull’estremo meridionale dell’X 2, dopo di che la Vega inizia la posa per prima alle 5.02, seguita dal Malocello ed infine dal Vivaldi che conclude alle 5.04.
Durante la posa
dell’X 3 esplode accidentalmente una delle mine posate dal Da Noli.
Terminata la posa
delle mine, i due gruppi assumono rotta per Marettimo e poi per Trapani,
navigando separatamente e giungendo nel porto siciliano tra le 10 e le 11 del
mattino. L’operazione, prevista in origine per una notte di novilunio o
comunque prossima ad essa (per maggior sicurezza), ha dovuto essere effettuata,
a causa dei rinvii (dovuti alla carenza di siluranti pronte per la posa,
essendo moltissime unità assorbite dalle missioni di scorta sulle rotte per la
Libia e per l’Albania, in quel momento in situazione particolarmente critica a
causa dell’andamento delle operazioni sul fronte greco), in una notte prossima
al plenilunio, ma non vi sono stati egualmente problemi.
Il Malocello ormeggiato a Trapani nel 1941,
carico di mine per una missione di posa nel canale di Sicilia (da “Cacciatorpediniere
classe Navigatori” di Maurizio Brescia, 1995, via Dante Flore e www.naviearmatori.net; e: Coll. Luigi
Accorsi, via www.associazione-venus.it)
12 gennaio 1941
Malocello, Vivaldi (caposcorta)
e Tarigo sostituiscono a
Trapani la torpediniera Cosenz nella
scorta ad Esperia, Conte Rosso, Marco Polo ed un altro trasporto truppe, la motonave Calitea, tutti partiti da Napoli e
diretti a Tripoli.
13 gennaio 1941
In serata si unisce
alla scorta anche il Da Noli.
14 gennaio 1941
Il convoglio arriva a
Tripoli alle 11.30.
15 gennaio 1941
Malocello, Vivaldi (caposcorta), Da Noli e Tarigo lasciano Tripoli alle 18.30, scortando ancora Esperia, Conte Rosso e Marco Polo.
A Trapani, i quattro
cacciatorpediniere della XIV Squadriglia sono sostituiti da due torpediniere di
Marina Sicilia per l’ultimo tratto della navigazione (fino a Napoli, dove
arriveranno il 17).
22 gennaio 1941
A Trapani Malocello, Vivaldi (caposcorta), Da
Noli e Tarigo sostituiscono
i cacciatorpediniere Freccia
e Saetta nella scorta
ad Esperia, Conte Rosso, Marco Polo ed alla motonave Victoria, provenienti da Napoli e diretti a Tripoli.
24 gennaio 1941
Il convoglio arriva a
Tripoli in mattinata.
9 febbraio 1941
Malocello, Tarigo, Freccia (caposcorta, capitano di
vascello Baldo) e Saetta e
la torpediniera Aldebaran
partono da Tripoli alle 18.30 scortando Esperia, Conte Rosso, Marco Polo e Calitea, che hanno imbarcato 5000
profughi civili (2000 per altra versione) in fuga dall’avanzata delle forze
britanniche (sta terminando l’operazione «Compass»: le forze britanniche hanno
conquistato l’intera Cirenaica ed annientato la X Armata italiana, e si teme
una loro avanzata anche in Tripolitania).
Durante la
navigazione, Calitea ed Aldebaran si separano dal resto del
convoglio, per raggiungere Palermo.
Alle 19.36 il sommergibile
britannico Usk (capitano di
corvetta Peter Ronald Ward) avvista due unità del convoglio a 3200-3660 metri
di distanza, al largo di Tripoli, e cinque minuti dopo lancia due siluri contro
la nave di testa. I siluri hanno corsa irregolare e mancano il bersaglio; l’Usk s’immerge poco dopo.
Poche ore dopo, alle
22.20, è un altro sommergibile britannico, il Truant (capitano di corvetta Hugh Alfred Vernon Haggard), ad
avvistare il convoglio italiano, in posizione 33°41’ N e 13°51’ E (una
sessantina di miglia a nordest di Tripoli), mentre procede su rotta 350°, a 7-8
miglia di distanza. Alle 23 il battello britannico lancia sei siluri, ma
nessuno di essi raggiunge il bersaglio, e le navi del convoglio non si
accorgono neanche dell’attacco.
11 febbraio 1941
Esperia, Conte Rosso, Marco Polo ed i cacciatorpediniere
arrivano a Napoli alle cinque. Calitea ed
Aldebaran vi giungeranno un giorno
più tardi.
20 febbraio 1941
Malocello, Tarigo (caposcorta) e
la torpediniera Rosolino Pilo lasciano
Tripoli per Napoli alle 9, scortando i piroscafi Caffaro, Istria e Beatrice Costa.
22 febbraio 1941
Il convoglio giunge a
Napoli alle 20.
5 marzo 1941
Malocello, Vivaldi
(caposcorta), Da Noli ed i
cacciatorpediniere Folgore e Lampo salpano da Napoli alle 17
scortando un convoglio formato dai mercantili tedeschi Ankara, Reichenfels, Marburg e Kybfels («Sonnenblume 7»), diretti
a Tripoli.
8 marzo 1941
Il convoglio deve
temporaneamente sostare a Palermo, dove arriva alle 7, perché la Mediterranean
Fleet si trova per mare.
9 marzo 1941
Rientrato il
pericolo, il convoglio lascia Palermo alle 4 e prosegue per la Libia.
10 marzo 1941
Raggiunto dalle
torpediniere Centauro e Clio, inviategli incontro da Tripoli, il
convoglio giunge a destinazione a mezzogiorno.
12 marzo 1941
Malocello, Vivaldi (caposcorta)
e Da Noli lasciano Tripoli alle 13
per scortare a Palermo e Napoli i quattro piroscafi del viaggio precedente.
13 marzo 1941
Alle 20 Ankara e Kybfels arrivano a Palermo.
14 marzo 1941
Alle 7 Marburg e Reichenfels giungono a Napoli.
16 marzo 1941
Malocello e Vivaldi (caposcorta)
partono da Napoli alle 20.30 scortando la motonave italiana Calitea e le tedesche Marburg e Reichenfels, dirette a Tripoli.
17 marzo 1941
Il convoglio sosta a
Trapani e ne riparte alle tre di notte, dopo che ad esso si sono uniti la
motonave Ankara, il Da Noli e le torpediniere Cigno e Polluce.
18 marzo 1941
Il convoglio giunge a
Tripoli alle 12.
20 marzo 1941
Malocello, Vivaldi (caposcorta)
e Da Noli, insieme alla vecchia
torpediniera Giuseppe La Farina,
ripartono da Tripoli alle 18 scortando Marburg,
Reichenfels e Kybfels.
21 marzo 1941
Il convoglio giunge a
Palermo alle 22.30, poi prosegue per Napoli.
22 marzo 1941
Le navi arrivano a
Napoli alle 7.30.
30 marzo 1941
Il Malocello salpa da Palermo per Tripoli
alle 3.30, scortando i mercantili tedeschi Ankara
e Reichenfels.
31 marzo 1941
All’alba Malocello, Ankara e Reichenfels si
uniscono ad un altro convoglio, proveniente da Napoli e diretto a Tripoli,
formato dai mercantili tedeschi Marburg
e Kybfels e dall’italiano Calitea scortati da Vivaldi (caposcorta) e Da
Noli.
Il convoglio così
riunito giunge a Tripoli alle 14.30.
Alcune ore prima
dell’arrivo a Tripoli, intorno alle 7 del mattino, le navi incrociano un
convoglio che procede in senso opposto, proprio mentre quest’ultimo viene
attaccato dal sommergibile britannico Upright,
che silura e danneggia il piroscafo tedesco Galilea.
Le navi del convoglio che comprende il Malocello
assistono così al siluramento del Galilea,
dopo il quale manovrano subito per allontanarsi dalla zona prima che il
sommergibile possa attaccare anche loro.
2 aprile 1941
Malocello, Vivaldi (caposcorta)
e Da Noli partono da Tripoli per
Napoli alle 11, scortando i piroscafi tedeschi Ankara, Reichenfels, Marburg e Kybfels e la motonave italiana Calitea.
3 aprile 1941
Poco prima del
tramonto, al largo di Ustica, il caposcorta nota della nafta e si rende conto
che essa è causata da una perdita di un sommergibile che sta manovrando per
attaccare il convoglio. I mercantili vengono fatti proseguire per la loro rotta
con la scorta del Da Noli, mentre il Vivaldi inizia subito la caccia antisommergibili,
lanciando in tutto 29 cariche di profondità; in un secondo momento si unisce
alla caccia anche il Malocello, che
esegue quattro corse lanciando in tutto 8 bombe di profondità da 50 kg e 6 da
100 kg, tutte dotate di ritardo pirico a balistite. Tre delle bombe di
profondità (una da 50 e due da 100 kg) non scoppiano.
Al termine
dell’azione, il caposcorta, vedendo emergere in abbondanza bolle di nafta sulla
superficie del mare, giudica che il sommergibile sia stato affondato: ma in
realtà, non è così.
Terminata la caccia, Malocello e Vivaldi si ricongiungono col convoglio.
4 aprile 1941
Il convoglio
raggiunge Napoli alle 7.30.
11 aprile 1941
Malocello, Vivaldi (caposcorta)
e Da Noli salpano da Napoli per
Tripoli alle 17.30, scortando Ankara,
Calitea, Reichenfels, Marburg e Kybfels.
12 aprile 1941
Alle 14.35 il
sommergibile britannico Upholder
(capitano di corvetta Malcolm David Wanklyn) avvista il convoglio del Malocello in posizione 37°07’ N e 11°11’
E. Avendo già esaurito tutti i siluri, l’Upholder
si trova nell’impossibilità di attaccare; conseguentemente, si limita a
lanciare il segnale di scoperta, che però non sembra venire ricevuto da
nessuno.
Alle 17.15 il
sommergibile britannico Ursula
(tenente di vascello Alexander James Mackenzie) avvista su rilevamento 350°, a
9150 metri di distanza, un cacciatorpediniere classe Navigatori; iniziata la
manovra d’attacco, alle 17.25 si rende conto che l’unità avvistata fa parte
della scorta di un convoglio, appunto il convoglio formato dal Malocello e dalle altre unità partite da
Napoli il giorno precedente. Alle 17.39, in posizione 36°40’ N e 11°12’ E (a
sud di Capo Bon), l’Ursula lancia
quattro siluri da una distanza di 2300 metri. Nessuna nave viene colpita; i
siluri mancando di poco il Reichenfels,
passando a distanze comprese tra i 10 e i 25 metri.
13 aprile 1941
Durante la notte tra
il 12 ed il 13 il convoglio viene ripetutamente attaccato da aerei, con lancio
di numerosi siluri. Grazie anche all’intervento dei velivoli da caccia di base
in Sicilia, tuttavia, tutti gli attacchi falliscono; due aerosiluranti Fairey
Swordfish dell’830th Squadron Fleet Air Arm (sottotenente di
vascello A. P. Dawson e primo aviere A. Todd; sergente pilota C. H. Wines e
primo aviere L. M. Edwards) vengono abbattuti.
Nella stessa notte, i
cacciatorpediniere britannici Jervis,
Janus, Nubian e Mohawk escono da
Malta per intercettare il convoglio, ma non riescono a trovarlo.
14 aprile 1941
Il convoglio,
raggiunto dalle torpediniere Circe e Generale Carlo Montanari (inviategli
incontro da Tripoli), giunge nel porto libico alle 10.
16 aprile 1941
Il Malocello, insieme a Vivaldi (capitano di vascello Giovanni
Galati, che assume la direzione dei soccorsi), Da Noli, Dardo, alle
torpediniere Clio, Centauro, Perseo, Partenope e Sirtori, alla nave ospedale Arno, alla nave soccorso Giuseppe Orlando ed ai piroscafi Capacitas ed Antonietta Lauro, partecipa alle operazioni di soccorso ai
naufraghi delle navi del convoglio «Tarigo», distrutto nella notte precedente
dai cacciatorpediniere britannici Jervis,
Janus, Nubian e Mohwak
(quest’ultimo affondato a sua volta dal Tarigo).
I cacciatorpediniere Luca Tarigo e Baleno ed i piroscafi Adana, Aegina, Iserlohn e Sabaudia sono stati affondati, il
cacciatorpediniere Lampo ed il
piroscafo Arta sono stati portati
all’incaglio con danni gravissimi.
Complessivamente
vengono tratti in salvo 1271 naufraghi, mentre le vittime sono circa 700 (altre
fonti parlano di 1800 vittime, ma sembrano basate su stime errate).
19 aprile 1941
Malocello, Vivaldi (caposcorta),
Da Noli ed il cacciatorpediniere Dardo lasciano Tripoli alle 16 per
scortare a Napoli Ankara, Calitea, Reichenfels, Marburg e Kybfels.
21 aprile 1941
Il convoglio giunge a
Napoli alle 14.
4 maggio 1941
Malocello, Vivaldi (caposcorta)
e Da Noli partono da Napoli per
Tripoli all’1.15, insieme alle torpediniere Pegaso,
Orione e Cassiopea, formando la scorta diretta di un convoglio (convoglio «Victoria»)
diretto a Tripoli e scortato dalle motonavi Victoria,
Andrea Gritti, Marco Foscarini, Sebastiano
Venier, Barbarigo, Ankara (tedesca) e Calitea.
Dal momento che a
Malta sono state avvistate unità leggere della Royal Navy, il convoglio gode
anche della scorta a distanza della VII Divisione Navale (ammiraglio di
divisione Ferdinando Casardi), con gli incrociatori leggeri Eugenio di Savoia, Muzio Attendolo ed Emanuele
Filiberto Duca d’Aosta, ed i cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco, Alvise Da
Mosto, Antonio Pigafetta, Giovanni Da Verrazzano e Nicolò Zeno. Queste navi prendono
posizione in testa al convoglio «Victoria» alle 20.03, a circa tre chilometri
di distanza, con i cacciatorpediniere in posizione di scorta avanzata. La
formazione di marcia notturna disposta da Casardi è così articolata:
cacciatorpediniere in scorta avanzata, seguiti dagli incrociatori in linea di
fila, seguiti dal convoglio disposto su tre colonne, con scorta laterale. Ciò
al fine di consentire alle navi della VII Divisione di reagire prontamente
contro unità di superficie che dovessero attaccare dai settori dove ciò appare
più probabile, senza essere intralciati nelle manovre da convoglio e scorta,
che avrebbe inoltre così modo di allontanarsi senza perdite. La scorta diretta,
secondo la valutazione dell’ammiraglio, dovrebbe bastare a proteggere il
convoglio da attacchi nei settori poppieri, che comunque sono poco probabili,
stante la velocità del convoglio e la posizione delle basi britanniche.
Fino al tramonto, il
convoglio fruisce di numerosa scorta aerea con velivoli sia da caccia che da
bombardamento.
5 maggio 1941
La navigazione
notturna si svolge senza inconvenienti.
Alle 5.45 la VII
Divisione si porta sulla congiungente Malta-convoglio, sulla quale poi si
mantiene zigzagando per tutta la giornata, tenendosi in vista del convoglio.
Alle 6.40 sopraggiungono i primi velivoli della scorta aerea (idrovolanti della
ricognizione marittima e bombardieri).
Alle 14.26 viene
avvistato un secondo convoglio, il «Marco Polo», in navigazione su rotta
opposta, e la VII Divisione passa a scortare quest’ultimo, mentre il «Victoria»
dirige su Tripoli.
Dopo un viaggio nel
quale il convoglio «Victoria», continuamente pedinato da ricognitori, ha subito
diversi infruttuosi attacchi aerei, le navi entrano a Tripoli alle 20.45.
12 maggio 1941
Malocello, Vivaldi (caposcorta),
Da Noli ed il cacciatorpediniere Saetta lasciano Tripoli alle 19.30
scortando Victoria, Gritti, Venier, Barbarigo ed Ankara che rientrano a Napoli.
Durante la
navigazione nel Canale di Sicilia, lungo la rotta che passa ad ovest di Malta
(nelle vicinanze delle Kerkennah), il convoglio fruisce della protezione a
distanza della IV Divisione (incrociatori leggeri Bande Nere e Cadorna,
cacciatorpediniere Scirocco, Maestrale ed Alpino) e dell’VIII Divisione (incrociatori leggeri Duca degli Abruzzi e Garibaldi, cacciatorpediniere Granatiere e Bersagliere), oltre che – nelle ore diurne – di una buona scorta
aerea.
Durante la
navigazione non si verniciano eventi di rilievo, eccezion fatta per problemi di
comunicazione all’interno del convoglio e tra le unità della scorta diretta e
le Divisioni di incrociatori.
14 maggio 1941
Il convoglio giunge a
Napoli alle 16.30.
10 giugno 1941
Il Malocello (caposcorta, capitano di
fregata Nicolò Del Buono) salpa da Napoli per Tripoli alle 5.30 insieme alle
torpediniere Procione, Orsa e Pegaso, scortando un convoglio formato dai piroscafi italiani Amsterdam, Ernesto e Tembien,
dal tedesco Wachtfels e
dalle motonavi italiane Giulia e Col di Lana. Le navi procedono a 10
nodi.
Al largo di Favignana
si aggregano al convoglio anche la nave appoggio sommergibili Antonio Pacinotti e la
torpediniera Clio, uscita da
Trapani alle 14.30.
11 giugno 1941
Alle 18.30, a sud di
Pantelleria, due bombardieri britannici Bristol Blenheim appaiono a poppavia
del convoglio, volando a bassissima quota, e si avventano sul Tembien, secondo mercantile della
colonna di sinistra, mitragliando e sganciando bombe. Prima dello sgancio,
tuttavia, il tiro contraereo di Tembien e Wachtfels colpisce uno dei due
aerei attaccanti: il Bombardiere
perde quota, urta l’albero del Tembien e
precipita in mare, incendiandosi. Il Malocello
apre il fuoco contro il secondo bombardiere, ma non può tirare col cannone
perché la Pegaso è nel piano di tiro,
e l’aereo vola a pochi metri dalla superficie. Eseguito lo sgancio delle bombe,
il velivolo si allontana inseguito da un Savoia Marchetti SM. 79 (che, al
momento dell’attacco, era l’unico velivolo dell’Asse in visto del convoglio, 5
km a proravia) e poi da due caccia della scorta aerea, nonché dal tiro delle
mitragliere della Pegaso (secondo
una fonte, sarebbe stato poi anch’esso abbattuto).
Il Tembien non viene colpito dalle
bombe e non subisce danni di rilievo, ma deve lamentare parecchi feriti per il
mitragliamento.
12 giugno 1941
Il convoglio arriva a
Tripoli tra le 19 e le 21.
21 giugno 1941
Alle 15 il Malocello (caposcorta, capitano di
fregata Del Buono) salpa da Tripoli insieme alle torpediniere Enrico Cosenz, Orsa, Procione, Pegaso e Clio, scortando il convoglio di ritorno composto ancora da Wachtfels, Amsterdam, Giulia, Ernesto, Tembien e Col di Lana.
22 giugno 1941
Alle 12.08 sei
bombardieri Bristol Blenheim, che volano a bassissima quota, vengono avvistati
sulla dritta del convoglio (che in quel momento ha una scorta aerea formata da
due caccia biplani FIAT CR. 42 e da un idrovolante antisommergibili CANT Z.
501). Il Malocello apre il fuoco con
le mitragliere per dare l’allarme, e poi, quando possibile, anche con i
cannoni; il CANT Z. 501 s’interpone tra i bombardieri ed i piroscafi, sparando
con le proprie mitragliere (tornerà poi in posizione di scorta al termine
dell’attacco). Anche le altre navi della scorta ed i mercantili aprono il
fuoco; la formazione nemica si divide in due gruppi di tre bombardieri
ciascuno, che attaccano uno la prima linea di piroscafi e l’altro la seconda. I
mercantili accostano in modo da volgere la poppa agli aerei; due o forse tre
dei velivoli vengono abbattuti (due colpiti dal tiro delle siluranti: uno cade
in mare, l’altro s’incendia in volo e poi precipita; un terzo è forse abbattuto
dai FIAT CR. 42 della scorta aerea) ed altri si allontanano scaricando le bombe
in mare, ma due riescono a portare a termine l’attacco, sganciando le loro
bombe su Tembien e Wachtfels.
Entrambi i piroscafi
riportano danni gravissimi, imbarcando molta acqua; solo grazie all’assistenza
prestata da Procione ed Orsa, che li prendono a rimorchio, i due
mercantili rimangono a galla. Proprio mentre le torpediniere stanno prestando
assistenza a Tembien e Wachtfels, viene localizzato un
sommergibile nemico probabilmente intenzionato ad attaccare i due piroscafi
immobilizzati e danneggiati: si tratta del britannico Unique (tenente di vascello Anthony Foster Collett), che alle
11.25, cinque minuti dopo aver avvistato fumi ed un aero su rilevamento 140°,
ha avvistato le navi del convoglio, della cui presenza era già stato
precedentemente informato. Alle 12.03 il sommergibile osserva il convoglio
accostare da 320° a 265°, e quattro minuti dopo Collett nota che le navi della
scorta sembrano avvicinarsi al suo battello: l’Unique è stato infatti avvistato da un aereo, e Pegaso (tenente di vascello Sironi), Orsa e Procione provvedono subito a dargli la caccia. Collett abbandona
l’attacco ed ordina subito di scendere in profondità.
La Pegaso, particolarmente attiva nel
contrattacco, effettua un primo lancio di bombe di profondità alle 12.54, per
poi vedere il sommergibile emergere parzialmente (si vedono tutto il fianco e
la parte superiore della torretta) e fortemente sbandato (circa 70° a dritta);
poco dopo il battello si immerge nuovamente. La quasi totalità dell’equipaggio
del Tembien, oltre a quello
della Pegaso, assiste
all’affioramento del sommergibile, che si ritiene agonizzante, celebrandolo con
applausi ed acclamazioni; il comandante del Tembien grida “Viva l’Italia”. Alle 12.59 la Pegaso effettua un secondo lancio
di bombe, per poi vedere grosse chiazze di nafta sulla superficie del mare. A
dispetto delle impressioni, tuttavia, l’Unique
è scampato al contrattacco senza subire danni, anche se ha sentito molte bombe
esplodergli vicine.
Verso le 16 l’Orsa recupera da un battellino tre
aviatori britannici di uno degli aerei abbattuti: il maggiore John
Davidson-Broadley ed i sergenti Stewart Carl Thompson e Leonard Felton,
quest’ultimo ferito gravemente.
Dopo alcune ore di
rimorchio, Tembien e Wachtfels riescono a riparare le
avarie ed a contenere le infiltrazioni d’acqua, così riuscendo a rimettere in
moto con le proprie macchine. Stante comunque la gravità dei danni, entrambi i
piroscafi devono raggiungere Pantelleria, scortati da Procione ed Orsa,
cui poi si aggiungono anche i cacciatorpediniere Maestrale e Grecale inviati
in loro soccorso da Palermo.
24 giugno 1941
Il resto del
convoglio, con i mercantili rimasti indenni, giunge a Napoli alle 3.30.
10 luglio 1941
Alle 16.30, a
Palermo, il Malocello si unisce alla
scorta (cacciatorpediniere Alpino e Fuciliere, torpediniere Orsa, Procione e Pegaso) di un
convoglio in navigazione da Napoli a Tripoli e composto dai piroscafi Nita, Nirvo, Castelverde, Ernesto ed Aquitania. Una volta unitosi al convoglio, il Malocello assume il ruolo di caposcorta.
14 luglio 1941
Il convoglio giunge a
Tripoli alle 6.
Alle 17 Malocello (caposcorta), Fuciliere, Alpino, Procione, Orsa e Pegaso lasciano Tripoli per scortare a Napoli le motonavi Rialto, Barbarigo, Andrea Gritti, Sebastiano Venier ed Ankara (tedesca); il convoglio è
denominato «Barbarigo».
Questo convoglio è il
primo ad essere oggetto con successo delle intercettazioni di “ULTRA”, che l’11
luglio 1941, tre giorni prima della partenza, apprende da messaggi decrittati
che un convoglio di sei mercantili di 5000 tsl, scortato da cacciatorpediniere,
lascerà Tripoli alle 16 del 14 luglio, procedendo a 14 nodi, passando a est
delle Kerkennah alle cinque del mattino del 15 luglio e poi ad ovest di
Pantelleria alle 14 del 15 luglio, probabilmente diretto a Napoli.
In seguito a
quest’informazione, i comandi britannici schierano uno sbarramento di
sommergibili (tra cui l’Union ed
il P 33) attorno a Pantelleria,
dove sanno che il convoglio dovrà passare nel primo pomeriggio del 15.
Vengono anche
lanciati diversi attacchi aerei tra il 14 ed il 15 luglio, ma i velivoli –
Fairey Swordfish decollati da Malta – non riescono a localizzare il convoglio
da attaccare.
15 luglio 1941
In mattinata il
convoglio viene localizzato da un ricognitore britannico, e nel pomeriggio si
verificano gli attacchi dei sommergibili.
Alle 11.20 le navi
giungono in vista di Pantelleria, su rilevamento 24°, ed accostano in tale
direzione, procedendo a zig zag; oltre ai cacciatorpediniere ed alle
torpediniere, è presente anche una scorta aerea, con due caccia e due
idrovolanti CANT Z. 501. Alle 14.07 il sommergibile britannico P 33 (tenente di vascello Reginald
Denis Whiteway-Wilkinson) avvista il convoglio nel punto 36°27’ N e 11°54’ E,
da una distanza di 10 km, si avvicina ed alle 14.39, da 2300 metri,
lancia quattro siluri.
Alle 14.41 il
convoglio si trova a 21 miglia per 209° da Punta Sciaccazza
(Pantelleria) quando l’Alpino riferisce
per radiosegnalatore «Scie di siluro a dritta», mentre uno dei velivoli della
scorta aerea (l’idrovolante CANT Z. 501/6 della 144a Squadriglia
della Regia Aeronautica) si getta in picchiata sul punto dove si presume essere
il sommergibile nemico, sganciando due bombe per poi inseguire e mitragliare le
scie dei siluri. L’Alpino ed
il Fuciliere riescono ad
evitarne uno e due siluri, ma la Barbarigo viene
colpita alle 14.43 ed inizia subito ad affondare di poppa.
Il Malocello ordina alla Pegaso di dare assistenza alla motonave
danneggiata (che affonderà ugualmente alle 15.10 nel punto 36°27’ N e 11°54’ E)
ed a Procione ed Orsa di dare la caccia al sommergibile. Intanto il Fuciliere, avendo visto le scie dei
siluri, contrattacca subito con 28 bombe di profondità, seguito dall’Alpino che ne lancia altre due; poi
i due cacciatorpediniere riassumono le loro posizioni nel convoglio, sostituiti
nella caccia da Procione ed Orsa, in cooperazione con l’idrovolante
CANT Z. 501 numero 2 della 144a Squadriglia.
La caccia prosegue fino
alle 16.05, con il lancio in tutto di 116 bombe di profondità. Solo una scarica
di bombe (attribuita da alcune fonti alla Procione) esplode vicina al P 33, limitandosi a mettere fuori uso alcune luci; il sommergibile
riporta però gravi danni proprio durante il tentativo di eludere la caccia,
perdendo il controllo dell’assetto e precipitando accidentalmente dai 21 metri
previsti a ben 94 metri di profondità, dove l’elevata pressione deforma lo
scafo resistente e causa vie d’acqua che costringeranno il P 33 ad interrompere la missione e
rientrare a Malta per le riparazioni.
Alle 15.26 l’Alpino, a 11,5 miglia per 130° da Punta
Sciaccazza (Pantelleria), segnala una scia di siluro sulla dritta; avvistato il
punto in cui esse iniziano, distante un migliaio di metri, si porta su tale
punto e vi lancia un segnale e due bombe di profondità, le ultime rimaste. Malocello, Fuciliere ed mercantili accostano immediatamente 90° a sinistra; il
Fuciliere, dopo aver avvistato a sua
volta tre scie di siluri, si porta nel punto di partenza delle scie (dove l’Alpino ha lanciato un segnale) e vi
getta 28 bombe di profondità. Arrivano intanto due MAS da Pantelleria.
Alle 16.15 tutte le
siluranti hanno riassunto le rispettive posizioni di scorta; il convoglio
prosegue per la sua rotta, lasciano i due MAS sul luogo del secondo attacco.
16 luglio 1941
Il convoglio arriva a
Tripoli alle 14.30.
30 luglio 1941
Malocello (caposcorta), Procione
e Pegaso partono da Napoli
per Tripoli alle 15, scortando Gritti, Rialto, Ankara e Pisani.
Da Trapani salpa anche l’Orione, che
va a rinforzare la scorta.
31 luglio 1941
Tra le 19.30 e le
20.45, al tramonto, il convoglio viene ripetutamente attaccato da aerei una
ventina di miglia a nordovest di Pantelleria; gli attaccanti sono sei
bombardieri Bristol Blenheim del 105th Squadron della RAF,
decollati dalla base di Luqa (Malta) e guidati dal maggiore George Goode.
Nessuna nave viene colpita, mentre uno degli aerei britannici viene abbattuto
dal Malocello (per altra
versione, danneggiato dal tiro del Malocello e
poi inseguito e colpito ancora dai biplani FIAT CR. 42 della scorta aerea); la
violenta reazione delle navi, anzi, induce i Blenheim a rinunciare all’attacco,
scaricando le bombe in mare e rientrando a Malta.
1° agosto 1941
Raggiunto nell’ultimo
tratto dalla torpediniera Partenope,
il convoglio arriva a Tripoli alle 13.30.
4 agosto 1941
Il Malocello, insieme ai cacciatorpediniere
Freccia (caposcorta, capitano di
fregata Giorgio Ghè), Dardo, Turbine e Strale ed alla torpediniera Pegaso,
parte da Tripoli alle 8 (o 9.30) scortando i piroscafi Amsterdam, Bainsizza e Maddalena Odero e la motonave Col di Lana (convoglio «Amsterdam», con velocità 10 nodi).
5-6 agosto 1941
Nella notte sul 6
agosto, al largo di Pantelleria, il convoglio viene attaccato da aerei. Il
caposcorta ordina l’emissione di nebbia artificiale, ma tale provvedimento si
rivela inefficace, perché rende più visibile la posizione del convoglio;
risulta inutile accostare verso i bengala, perché gli aerei ne lanciano su
entrambi i lati del convoglio. Ad ogni modo, nessuna nave viene colpita.
7 agosto 1941
Il convoglio
raggiunge Napoli alle 2.30 (o 7.30).
13 agosto 1941
Il Malocello lascia Napoli alle 17
insieme ai cacciatorpediniere Folgore, Fulmine, Strale e Vivaldi (caposcorta,
capitano di vascello Giovanni Galati) ed alla torpediniera Orsa, per scortare a Tripoli le
motonavi Rialto, Andrea Gritti, Francesco Barbaro, Vettor Pisani e Sebastiano
Venier.
Il convoglio viene
più volte attaccato da aerei e sommergibili, ma senza mai riportare danni.
Poco dopo la partenza
si verifica un presunto attacco di sommergibile, senza risultato (in realtà, si
tratta probabilmente di un falso allarme); la scorta reagisce prontamente.
14 agosto 1941
Poco dopo la partenza
(per altra fonte, durante un attacco aereo), un cannone da 120 mm del Vivaldi scoppia accidentalmente,
costringendo la nave al rientro a Napoli (al suo posto, assume il ruolo di
caposcorta il Folgore, al
comando del capitano di fregata Giuriati).
Poco dopo mezzanotte,
il convoglio viene attaccato da aerosiluranti che lanciano bengala, a sud di
Lampione. Nessuna nave viene colpita, grazie alla reazione della scorta.
15 agosto 1941
Il convoglio giunge a
Tripoli senza danni, alle 14.
16 agosto 1941
Malocello, Fulmine, Folgore (caposcorta), Orsa e Strale ripartono da Tripoli alle 20.20 per scortare a Napoli i
piroscafi scarichi Ernesto, Nirvo, Castelverde, Ninuccia ed Aquitania e la nave cisterna Pozarica.
Durante il viaggio
vengono avvistati aerei nemici ed anche sommergibili, cui viene data limitata
caccia (per non allontanare per troppo tempo le navi della scorta), ma non si
verificano eventi di rilievo.
20 agosto 1941
Il convoglio arriva a
Napoli alle 3.30.
Il Malocello e i gemelli ormeggiati a Napoli in tempo di pace (da www.italie1935-45.com) |
23 agosto 1941
Malocello, Vivaldi e Da Recco salpano da Napoli per unirsi
alla scorta delle corazzate Littorio e Vittorio Veneto, uscite in mare per
intercettazione di forze navali britanniche. È in corso l’operazione britannica
«Mincemeat», consistente nell’uscita da Gibilterra di parte della Forza H (la
portaerei Ark Royal, la
corazzata Nelson, l’incrociatore
leggero Hermione e cinque
cacciatorpediniere) con lo scopo di bombardare gli stabilimenti industriali ed
i boschi di sughero nella Sardegna settentrionale (con gli aerei dell’Ark Royal), posare mine al largo di
Livorno (con il posamine veloce Manxman)
e dissuadere, con tale dimostrazione di forza, la Spagna dall’entrare in guerra
a fianco dell’Asse. I veri obiettivi dell’azione britannica non sono comunque
noti a Supermarina, che pensa soprattutto ad un nuovo tentativo britannico di
inviare a Malta un convoglio di rifornimenti.
24 agosto 1941
Poco dopo le cinque
del mattino Malocello, Vivaldi e Da Recco si uniscono al largo di Capo Carbonara al gruppo «Littorio»
(corazzate Littorio e Vittorio Veneto della IX Divisione
e cacciatorpediniere Aviere e Camicia Nera della XI Squadriglia
e Granatiere, Bersagliere, Fuciliere ed Alpino della
XIII Squadriglia), salpato da Taranto alle 16; contemporaneamente, si aggregano
al gruppo anche Pigafetta e Da Verrazzano, inviati da Trapani.
Fanno parte della formazione anche la III Divisione (incrociatori pesanti Trento, Trieste, Bolzano e Gorizia) e la XII Squadriglia
Cacciatorpediniere (Lanciere, Ascari, Corazziere e Carabiniere),
partite da Messina, nonché i cacciatorpediniere Maestrale e Scirocco,
inviati da Palermo.
Le navi italiane
assumono una rotta che le conduca al centro del Tirreno. Tra le 6.30 e le
6.40 Littorio, Vittorio Veneto e Trieste catapultano i loro
idrovolanti da ricognizione, che tuttavia non riescono a trovare nulla; alle
11.15 è il Bolzano a
catapultare il suo ricognitore, ma con risultati non migliori.
La formazione
italiana, al comando dell’ammiraglio di squadra Angelo Iachino, ha l’ordine di
trovarsi per le otto del 24 trenta miglia a sud di Capo Carbonara, dato che la
Forza H è stata avvistata da un ricognitore alle 9.10 del 23, circa 90 miglia a
sud di Maiorca (il ricognitore ne ha stimato la composizione in una corazzata,
una portaerei, un incrociatore e quattro cacciatorpediniere, con rotta 270° e
velocità 14 nodi), ed alle 19.18 di quel giorno dei rilevamenti
radiogoniometrici hanno collocato la Forza H 145 miglia ad ovest di Capo
Teulada.
Intorno alle cinque
del mattino del 24, gli aerei dell’Ark
Royal attaccano la zona di Coghinas e Tempio Pausania con bombe e
spezzoni incendiari, causando però pochissimi danni (una casa distrutta ed un
soldato ucciso) nonostante la zona sia ricca di boschi di sughero, mentre alle
7.45 la squadra italiana viene avvistata a sud della Sardegna da un ricognitore
britannico, proprio mentre anche la Forza H viena a sua volta localizzata 30
miglia ad est di Minorca, con rotta 105° e velocità 20 nodi.
Sulla base di tale
avvistamento, Supermarina (che ha intercettato il segnale di scoperta del
ricognitore nemico, informando subito l’ammiraglio Iachino), ritenendo
improbabile che le forze italiane possano incontrare quelle britanniche entro
il 24, a meno di non uscire dal raggio di copertura della caccia aerea, ordina
a Iachino di tenersi ad est del meridiano 8° (salvo, per l’appunto, riuscire ad
incontrare la Forza H di giorno ed entro la zona protetta dalla caccia
italiana) e di rientrare nel Tirreno dopo aver appoggiato la ricognizione che
l’VIII Divisione è stata mandata a svolgere nelle acque di Capo Serrat e
dell’isola di La Galite; ordina poi alla III ed alla IX Divisione di trovarsi
alle dieci del mattino del 25 agosto a 28 miglia per 150° da Capo Carbonara,
per ripetere la manovra del 24. Alle 17.20 le forze britanniche vengono
avvistate da un altro ricognitore trenta miglia a sudest di Maiorca, il che
conferma che un incontro per il 24 non sarebbe possibile, mentre sarebbe
probabile il giorno seguente.
25 agosto 1941
In mattinata, dato
che la ricognizione aerea (che si spinge fino al 3° meridiano) non trova
traccia della Forza H, ed il traffico radio britannico sta tornando ai ritmi
usuali, Supermarina decide di far rientrare alle basi le proprie forze navali;
alle 13.35, di conseguenza, l’ammiraglio Iachino riceve ordine di rientrare a
Napoli. La sera del 25 si viene a sapere che all’alba la Forza H è stata
avvistata ormai già in acque spagnole, tra Sagunto e Valencia, prima con rotta
nord e poi diretta verso sud, accompagnata da numerosi velivoli. Più tardi è
stata vista a sud di Capo Sant’Antonio e si sono sentite molte cannonate,
probabilmente dovute ad esercitazioni di tiro.
Malocello, Pigafetta e Da Verrazzano raggiungono La Spezia.
12 ottobre 1941
Il Malocello salpa da Taranto alle
3.40, insieme a Duca d’Aosta, Eugenio di Savoia, Montecuccoli, Vivaldi, Pigafetta, Da Verrazzano e due altri cacciatorpediniere,
l’Aviere ed il Camicia Nera, per effettuare la posa
dello sbarramento di mine «B» al largo di Bengasi.
13 ottobre 1941
Alle 9.15 dei
ricognitori italiani avvistano una formazione britannica composta da due
corazzate, tre incrociatori e dieci cacciatorpediniere a 130
miglia da Alessandria, con rotta che la porterebbe ad intercettare la
squadra italiana. Si tratta della Mediterranean Fleet, uscita in mare con le
corazzate Valiant e Queen Elizabeth, gli incrociatori
leggeri Ajax, Hobart e Galatea ed i
cacciatorpediniere Jervis, Jaguar, Jupiter, Kandahar, Griffin, Hasty, Hotspur, Eridge, Decoy e Avon Vale; questa
forza navale è salpata da Alessandria d’Egitto il 12 ottobre per coprire
l’operazione "Cultivate", l’invio a Tobruk di alcune navi da guerra
(posamine veloce Abdiel,
cacciatorpediniere Nizam, Kipling e Hero) per il rifornimento di quella guarnigione assediata, e sta
già dirigendo per il rientro ad Alessandria quando, alle 13.15 del 13, viene
informata dell’avvistamento di tre incrociatori e sei cacciatorpediniere
italiani: ricevuto il quale, essa dirige verso ovest per intercettarli.
Supermarina ordina
pertanto alle navi di rientrare a Taranto; il successivo precipitare degli
eventi in Libia e sulle rotte dei convogli impedirà di ritentare la posa dello
sbarramento «B», che non sarà mai effettuato.
9 novembre 1941
Assume il comando del
Malocello, a Taranto, il capitano di
fregata Mario Leoni, il quale sostituisce il precedente comandante, che si è
ammalato.
19 novembre 1941
Malocello (capitano di fregata Mario Leoni) e Zeno (caposcorta, capitano di fregata Ollandini) salpano da Taranto
alle 14 scortando verso Bengasi gli incrociatori ausiliari Città di Palermo (capitano di fregata Filippo Ogno) e Città di Tunisi (capitano di vascello
Franzoni), in missione di trasporto e carichi complessivamente di 1453 militari
e 195 tonnellate di materiali di commissariato.
20 novembre 1941
Alle 15 convoglio
viene attaccato da tre bombardieri britannici; tre bombe cadono in mare a
poppavia del Città di Palermo, che
non subisce danni. Per il resto la navigazione procede senza accadimenti degni
di nota, ma nelle prime ore della sera il Città
di Tunisi viene colto da un’avaria ad un motore: deve così interrompere la
missione e puggiare a Suda, scortato dal Malocello.
21 novembre 1941
Malocello e Città di Tunisi
entrano a Suda alle 8.30, sostandovi per due giorni. Nell’entrare a Suda, il Malocello finisce sulle ostruzioni
retali, del quale non gli sono stati consegnati i piani, anche se riesce a
passare senza inconvenienti.
Durante la sosta, il Malocello si rifornisce di nafta
prelevata dai serbatoi dell’incrociatore britannico York, il cui relitto giace semiaffondato nella baia sin dalla presa
di Creta, avvenuta sei mesi prima.
23 novembre 1941
Riparata l’avaria dell’incrociatore
ausiliario, Malocello e Città di Tunisi ripartono da Suda a
mezzogiorno.
24 novembre 1941
Mentre Malocello e Città di Tunisi sono in navigazione da Suda a Bengasi, il
sommergibile Luigi Settembrini rileva
agli idrofoni, a 105 miglia per 125° da Malta, la Forza K britannica –
incrociatori leggeri Aurora e
Penelope e
cacciatorpediniere Lance e Lively – uscita in mare da Malta
per intercettare convogli italiani. Supermarina, avvisata dal Settembrini, ordina il dirottamento di
tutti i convogli in zona; fa eccezione proprio il convoglietto Malocello-Città di Tunisi, cui non viene dato ordine di dirottamento in
quanto Supermarina stima, a ragione, che la posizione e velocità delle due navi
siano tali che esse non possano comunque essere raggiunte ed attaccate dalle
navi nemiche (anche se l’intercettazione, da parte del Malocello, di un segnale di scoperta del Settembrini induce il comandante Leoni a ritenere diversamente,
tanto da richiedere l’intervento dell’aviazione da Bengasi).
A cadere vittima della
Forza K sarà invece il convoglio «Maritza», in navigazione dal Pireo a Bengasi,
con l’affondamento dei piroscafi tedeschi Maritza e Procida nonostante
la difesa opposta dalle torpediniere di scorta Lupo e Cassiopea.
Malocello e Città di Tunisi
arrivano infine a Bengasi alle 12.30. Dopo aver sbarcato truppe e materiali, il
Città di Tunisi imbarca 276
prigionieri britannici da trasportare a Tripoli. Tra sera e notte il porto è
sottoposto ad attacchi aerei che si protraggono per alcune ore; molte bombe cadono
sulla città e sulle banchine, ma nessuna sulle navi (una manca di poco il Malocello, cadendo in mare a poppa).
25 novembre 1941
Malocello e Città di Tunisi
lasciano Bengasi alle 17, diretti a Tripoli.
26 novembre 1941
Alle 15.15 le due
navi vengono attaccate da aerei nelle acque della Tripolitania: il Città di Tunisi viene colpito da una
bomba che ne squarcia l’opera morta in corrispondenza della sala macchine. Dopo
alcune ore di duro lavoro dell’equipaggio, tuttavia, la falla viene tamponata, ed
il bastimento è in grado di rimettere in moto a 10 nodi, senza che vi siano
state perdite tra l’equipaggio ed i prigionieri.
Alle 21 Malocello e Città di Tunisi arrivano a Tripoli. Durante la successiva sosta a
Tripoli si verificano vari attacchi aerei, ma il Malocello non subisce danni.
1° dicembre 1941
Alle 18 il Malocello salpa da Tripoli per ordine di
Supermarina, per andare ad unirsi al gemello Da Mosto nella scorta della nave cisterna Iridio Mantovani, in navigazione da Trapani a Tripoli con un
prezioso carico di 8629 tonnellate di carburante, che è stata attaccata e
colpita da aerei britannici, restando immobilizzata a 75 miglia dalla sua
destinazione. Qualche ora prima del Malocello
(che non era pronto per salpare prima anch’esso), sempre su ordine di Supermarina,
prendono il mare anche la torpediniera Generale
Marcello Prestinari (da Tripoli)
ed l rimorchiatore Ciclope (da Zuara)
anch’essi per scortare ed assistere la Mantovani.
Prima che ciascuna
delle tre unità riesca a raggiungerla, tuttavia, la Mantovani viene colpita ancora da nuovi attacchi aerei e poi
attaccata anche dalla Forza K britannica (incrociatori leggeri Aurora e Penelope, cacciatorpediniere Lively),
che le dà il colpo di grazia ed affonda anche il Da Mosto, che aveva disperatamente tentato di difenderla.
Marina Tripoli,
informata dell’accaduto dai velivoli della scorta aerea, richiama in porto le
navi che aveva fatto partire, essendo ormai inutile il loro intervento. Alle 20
il Malocello, pertanto, riceve ordine
di tornare indietro.
5 dicembre 1941
Il Malocello salpa da Tripoli alle 18.45,
insieme al gemello Giovanni Da
Verrazzano.
6 dicembre 1941
Le due unità arrivano
a Trapani alle 10.
Qualche giorno dopo
il Malocello, insieme al gemello Usodimare ed al cacciatorpediniere Saetta, scorta la motonave Carlo Del Greco in navigazione di
trasferimento da Trapani a Messina.
13 dicembre 1941
Alle 11 il Malocello, il cacciatorpediniere Saetta (caposcorta) e la torpediniera Procione partono da Taranto scortando la
motonave tedesca Ankara, diretta a
Bengasi nell’ambito dell’operazione di traffico «M. 41».
Dopo le gravi perdite
subite dai convogli diretti in Libia nelle settimane precedenti, le forze
italo-tedesche in Nordafrica si trovano in situazione di grave carenza di
rifornimenti proprio mentre è in corso una nuova offensiva britannica,
l’operazione «Crusader», ed urge rifornirle. Con la «M. 41»,
Supermarina intende inviare a Tripoli e Bengasi tutti i mercantili già carichi
presenti nei porti dell’Italia meridionale, mobilitando per la loro protezione,
diretta e indiretta, pressoché tutta la flotta in condizioni di efficienza.
Sono previsti tre
convogli: l’«A», da Messina a Tripoli, formato dalle moderne motonavi Fabio Filzi e Carlo Del Greco scortate dai cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco ed Antoniotto Usodimare (poi dirottato su Taranto per unirsi da subito
all’«L» ma distrutto durante tale percorso dal sommergibile britannico Upright); l’«L», da Taranto per Tripoli,
formato dalle motonavi Monginevro, Napoli e Vettor Pisani scortate dai cacciatorpediniere Freccia ed Emanuele Pessagno (con a bordo il
contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone) e dalla torpediniera Pegaso; e l’«N», da Taranto ed Argostoli
per Bengasi, costituito da Malocello, Saetta, Procione ed Ankara cui
si devono aggiungere i piroscafi Iseo
e Capo Orso ed i cacciatorpediniere Turbine e Strale, provenienti da Argostoli.
Ogni convoglio deve
fruire della protezione di una forza navale di sostegno, che di giorno si terrà
in vista dei trasporti e di notte a stretto contatto con essi. Il gruppo
assegnato al convoglio «N» è composto dalla corazzata Andrea Doria e dalla VII Divisione (ammiraglio di divisione
Raffaele De Courten) con gli incrociatori leggeri Muzio Attendolo ed Emanuele
Filiberto Duca d’Aosta, mentre gli altri due convogli saranno protetti
dalla corazzata Duilio (nave
ammiraglia dell’ammiraglio di squadra Carlo Bergamini) e da un’eterogenea VIII
Divisione composta per l’occasione dagli incrociatori leggeri Giuseppe Garibaldi (nave di
bandiera dell’ammiraglio Giuseppe Lombardi, comandante della VIII Divisione)
e Raimondo Montecuccoli e
dall’incrociatore pesante Gorizia (con
a bordo l’ammiraglio di divisione Angelo Parona).
Infine, a tutela
dell’intera operazione contro un’eventuale uscita in mare delle corazzate della
Mediterranean Fleet, prende il mare la IX Divisione Navale (ammiraglio di
squadra Angelo Iachino, comandante superiore in mare) con le moderne
corazzate Littorio e Vittorio Veneto, scortate dalla XIII
Squadriglia Cacciatorpediniere (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino).
Queste navi si dovranno posizionare nel Mediterraneo centrale.
A completamento dello
schieramento, un gruppo di sommergibili viene dislocato nel Mediterraneo
centro-orientale con compiti esplorativi ed offensivi; è inoltre previsto un
imponente intervento della Regia Aeronautica.
Per via della carenza
di navi scorta e del tempo necessario a reperirne, l’operazione, inizialmente
prevista per il 12 dicembre, viene posticipata di un giorno.
Nel tardo pomeriggio
del 13, quando i convogli sono già in mare, la ricognizione aerea comunica a
supermarina che una consistente forza britannica, comprensiva di corazzate ed
incrociatori (in realtà sono solo quattro incrociatori leggeri: i ricognitori
hanno grossolanamente sovrastimato la composizione e potenza della forza
avvistata), si trova tra Tobruk e Marsa Matruh, diretta verso ovest. La somma
delle forze italiane in mare è complessivamente superiore, ma si trova divisa
in gruppi tra loro distanziati e vincolati a convogli lenti e poco manovrieri;
per questo, alle ore 20 Supermarina decide di sospendere l’operazione, ed i
convogli – compreso quello composto da Malocello,
Saetta, Procione ed Ankara, che è
il più avanzato sulla rotta – ricevono ordine di rientrare. Ciò non basterà ad
evitare danni: durante la notte, il sommergibile britannico Urge silurerà la Vittorio Veneto, danneggiandola
gravemente.
14 dicembre 1941
Alle 2.15 Malocello, Saetta, Procione ed Ankara invertono la rotta in seguito
all’ordine di Supermarina; a bordo circola voce che in mare “c’è tutta la
squadra inglese”. Alle 17 il convoglio arriva a Taranto; il Malocello si mette alla fonda, con il
timone incatastato. Alle 20.30 la nave si mette alla boa.
16 dicembre 1941
Dopo il fallimento
della «M. 41», viene rapidamente organizzata al suo posto l’operazione «M. 42»,
che prevede l’invio di quattro mercantili (Monginevro, Napoli, Vettor Pisani, Ankara:
le motonavi uscite indenni dalla «M. 41», non essendovene altre pronte) riunite
in un unico convoglio per gran parte della navigazione, ed inoltre l’impiego
delle Divisioni di incrociatori adibite alla scorta secondo la loro struttura
organica, a differenza che nella «M. 41». In tutto le quattro motonavi
trasportano 14.770 tonnellate di materiali e 212 uomini.
La scorta diretta è
costituita, oltre che dal Malocello,
dai cacciatorpediniere Vivaldi (caposcorta,
contrammiraglio Nomis di Pollone), Da
Recco, Da Noli, Pessagno, Zeno e Saetta e
dalla torpediniera Pegaso. L’ordine
d’operazione prevede che le navi procedano in formazione unica, a 13 nodi di
velocità, sino al largo di Misurata, per poi scindersi in due convogli: «L»,
formato da Monginevro, Napoli, Vettor Pisani ed i cinque “Navigatori” tra cui il Malocello, per Bengasi; «N», composto da
Ankara, Pegaso e Saetta
(caposcorta), per Tripoli.
I due convogli
partono da Taranto il 16 dicembre, ad un’ora di distanza l’uno dall’altro: alle
15 l’«N», alle 16 l’«L».
Da Taranto esce un
gruppo di sostegno composto dalla corazzata Duilio (nave di bandiera dell’ammiraglio Carlo Bergamini,
comandante del gruppo), dalla VII Divisione (incrociatori leggeri Emanuele Filiberto Duca d’Aosta, nave di
bandiera dell’ammiraglio De Courten, Raimondo
Montecuccoli e Muzio
Attendolo) e dai cacciatorpediniere Ascari, Aviere e Camicia Nera; i suoi ordini sono di
tenersi ad immediato contatto del convoglio fino alle 8 del 18, per poi
spostarsi verso est così da poter intervenire in caso di invio contro il
convoglio di forza di superficie da Malta.
Vi è anche un gruppo
di appoggio composto dalle corazzate Giulio
Cesare, Andrea Doria e Littorio (nave di bandiera
dell’ammiraglio Angelo Iachino, comandante superiore in mare), dagli
incrociatori pesanti Trento e Gorizia (nave di bandiera
dell’ammiraglio di divisione Angelo Parona, comandante della III Divisione) e
dai cacciatorpediniere Granatiere, Bersagliere, Corazziere, Fuciliere,
Carabiniere, Alpino, Oriani, Gioberti ed Usodimare, nonché ricognizione e scorta
aerea assicurata dalla Regia Aeronautica e dalla Luftwaffe, l’invio dei
sommergibili Topazio, Santarosa, Squalo, Ascianghi, Dagabur e Galatea in agguato nel Mediterraneo centro-orientale, e la
posa di ulteriori campi minati al largo della Tripolitania.
Già prima della
partenza, i comandi italiani e l’ammiraglio Iachino sono stati informati
dell’avvistamento alle 14.50, da parte di un ricognitore tedesco, di una
formazione britannica che comprende una corazzata. In realtà, di corazzate
britanniche in mare non ce ne sono: il ricognitore ha scambiato per corazzata
la nave cisterna militare Breconshire,
partita da Alessandria per Malta con 5000 tonnellate di carburante destinato
all’isola, con la scorta degli incrociatori leggeri Naiad, Euryalus e Carlisle e dei
cacciatorpediniere Jervis, Havock, Hasty, Nizam, Kimberley, Kingston, Kipling e
Decoy, il tutto sotto il comando
dell’ammiraglio Philip L. Vian. Comunque, Supermarina decide di procedere
egualmente con l’operazione, sia per via della disperata necessità di far
arrivare rifornimenti in Libia al più presto, sia perché la formazione italiana
è comunque molto più potente di quella avversaria. Convoglio e gruppo di
sostegno procedono dunque lungo la rotta prestabilita.
Poco prima di
mezzanotte, il sommergibile britannico Unbeaten avvista
parte delle unità italiane e ne informa il comando britannico (messaggio che
viene peraltro intercettato e decrittato dalla Littorio); quest’ultimo ne è in realtà già al corrente grazie alle
decrittazioni di “ULTRA”, che tra il 16 ed il 17 dicembre forniscono a più
riprese molte informazioni su mercantili, scorte dirette ed indirette, porti ed
orari di partenza e di arrivo. Il 16 dicembre “ULTRA” informa che è probabile
un nuovo tentativo di rifornimento della Libia con inizio proprio quel giorno,
dopo quello fallito di tre giorni prima. Il 17 dicembre “ULTRA” aggiunge
informazioni più precise: Monginevro, Pisani e Napoli, scortati da sei cacciatorpediniere tra cui il Vivaldi, dovevano lasciare Taranto a
mezzogiorno del 16 insieme all’Ankara,
scortata invece da due siluranti tra cui il cacciatorpediniere Saetta; arrivo previsto a Bengasi alle 8
del 18 per l’Ankara, a Tripoli alle
17 dello stesso giorno per le altre motonavi; presenza in mare a scopo di
protezione della Duilio, della
VII Divisione (“probabilmente l’Aosta e
l’Attendolo”) e forse anche di altre
forze navali, Littorio compresa.
Il 18 aggiungerà che le motonavi sono partite da Taranto alle 13 del 16 e che
sono scortate da 2 corazzate, 2 incrociatori e 12 cacciatorpediniere, più una
forza di supporto di 3 corazzate, 2 incrociatori e 10 cacciatorpediniere a
nordest.
I comandi britannici,
tuttavia, non si trovano in condizione di poter organizzare un attacco contro
il convoglio italiano.
17 dicembre 1941
Alle 16.25 il
convoglio viene avvistato da un ricognitore britannico.
Nel tardo pomeriggio
del 17 dicembre il gruppo «Littorio» si scontra con la scorta della Breconshire, in un breve ed inconclusivo
scambio di colpi chiamato prima battaglia della Sirte. Iniziato alle 17.23, lo
scontro si conclude già alle 18.10, senza danni da ambo le parti; Iachino,
ancora all’oscuro dell’invio a Malta della Breconshire e convinto che navi da battaglia britanniche siano
in mare, attacca gli incrociatori di Vian per tenerli lontani dal suo convoglio
(ritiene infatti che gli incrociatori britannici siano lì per attaccare i
mercantili italiani, mentre in realtà non vi è alcun tentativo del genere da
parte britannica) e rompe il contatto al crepuscolo, per evitare un
combattimento notturno, per il quale la flotta italiana non è preparata.
Alle 17.56, per
evitare un pericoloso incontro del convoglio con unità di superficie
britanniche (si crede ancora che in mare ci siano una o più corazzate
britanniche), il convoglio ed il gruppo di sostegno accostano ad un tempo ed
assumono rotta nord (in modo da allontanarsi dalla zona dove si trova la
formazione britannica), sulla quale rimangono fino alle 20 circa; poi, in base
a nuovi ordini impartiti da Iachino (e per non allontanarsi troppo dalla zona
di destinazione), manovrano per conversione di 20° per volta (in modo da
mantenere per quanto possibile la formazione, in una zona ad elevato rischio di
attacchi aerei) ed effettuano un’ampia accostata sino a rimettere la prua su
Misurata. Convoglio e gruppo di sostegno sono “incorporate” in un’unica
complessa formazione (i mercantili su due colonne, con Monginevro in posizione avanzata a
dritta, Pisani in posizione
avanzata a sinistra, seguite rispettivamente da Napoli ed Ankara,
il Vivaldi in testa, Da Noli e Malocello rispettivamente 30° di prora a dritta e sinistra
di Pisani e Monginevro, Zeno e Da Recco
70° di prora a dritta e sinistra di Pisani e Monginevro, Saetta a sinistra della Pisani e Pessagno a
dritta della Napoli; seguite dal
gruppo di sostegno su due colonne, con Duca
d’Aosta seguito da Attendolo e
Camicia Nera a sinistra, Duilio seguita da Montecuccoli ed Aviere a dritta, più Pigafetta a sinistra di Duca d’Aosta ed Attendolo e Carabiniere a dritta di Duilio e Montecuccoli), il che fa sì che occorra più del previsto perché la
formazione venga riordinata sulla rotta 210°: ciò accade alle 22 del 17.
Durante la notte il
convoglio, che avanza a 13 nodi, viene avvistato da ricognitori nemici, ma non
subisce attacchi.
18 dicembre 1941
Poco prima dell’alba
del 18, i cacciatorpediniere Granatiere e Corazziere entrano in collisione,
distruggendosi a vicenda la prua; gli incrociatori della VII Divisione prestano
loro soccorso. Alle 13 la Duilio si
riunisce al gruppo «Littorio», lasciando la VII Divisione a protezione
immediata dei mercantili. Frattanto, alle 12.30 (in posizione 33°18’ N e 15°33’
E), le navi mercantili si separano come previsto: il convoglio «N» dirige per
Bengasi, mentre il convoglio «L» prosegue per Tripoli con la scorta e diretta
e, fino al tramonto, anche quella della VII Divisione. Calato il buio, anche la
VII Divisione lascia il convoglio per rientrare a Taranto.
Il contrammiraglio
Nomis di Pollone ordina al convoglio «L» di dividersi in tre gruppi,
ognuno formato da una motonave e due cacciatorpediniere (Monginevro con Da
Recco e Malocello; Pisani con Vivaldi e Pessagno; Napoli con Da Noli e Zeno), in modo da rendere la formazione più maneggevole; i gruppi
devono distanziarsi di 4 miglia l’uno dall’altro.
L’ordine è in corso
d’esecuzione, ed i gruppi si sono già distanziati di 2-3 miglia, quando a
distanza si accendono i bengala che preannunciano un attacco aereo. Nomis di
Pollone ordina di emettere cortine fumogene, proseguendo la navigazione
seguendo all’ecometro la batometrica di 30 metri, cui corrisponde la rotta di
sicurezza.
Il gruppo Monginevro-Da Recco-Malocello viene
attaccato da un singolo velivolo, probabilmente un aerosilurante, che viene
abbattuto dal Da Recco.
Il gruppo della Pisani non subisce alcun attacco,
mentre ha meno fortuna quello della Napoli:
la motonave viene colpita all’estrema poppa, subendo pochi danni ma la messa
fuori uso del timone. Nella confusione, lo Zeno entra in collisione con la Napoli stessa e riporta una falla (anche se raggiungerà
ugualmente Tripoli con i propri mezzi).
Nella notte tra il 18
ed il 19 dicembre la Forza K britannica, uscita da Malta per cercare il
convoglio, finisce sui campi minati posati al largo di Tripoli: affondano
l’incrociatore leggero Neptune ed
il cacciatorpediniere Kandahar,
viene gravemente danneggiato l’incrociatore leggero Aurora e meno gravemente anche il gemello Penelope. La temuta Forza K ha cessato
di esistere.
19 dicembre 1941
Dato che Tripoli è
sotto bombardamento, Monginevro e Pisani ricevono ordine di mettersi
alla fonda presso Tagiura (che è già entro il sistema protettivo di
sbarramenti), a dieci miglia dal porto, per attendere che terminino il
bombardamento e poi il dragaggio magnetico dell’avamporto di Tripoli. Intanto, Malocello e Pessagno vengono inviati a dare assistenza alla Napoli, difendendola dai sommergibili
che frequentano, notoriamente, la zona in cui è stata colpita. Sopraggiungono
anche le torpediniere Perseo e Prestinari.
Infine, le navi
entrano a Tripoli alle 10.30. La danneggiata Napoli (il cui carico è però intatto), rimorchiata dal Ciclope, giungerà in porto alle 16,
preceduta di due ore da Malocello, Da Noli, Pessagno e Zeno.
L’operazione «M. 42» si conclude finalmente in un successo, con l’arrivo a
destinazione di tutti i rifornimenti inviati.
L’operazione «M. 42»
si conclude finalmente in un successo, con l’arrivo a destinazione di tutti i
rifornimenti inviati.
3 gennaio 1942
Il Malocello parte da Taranto alle 16
insieme ai cacciatorpediniere Maestrale, Scirocco, Oriani e Gioberti, agli
incrociatori leggeri Emanuele
Filiberto Duca d’Aosta (nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione
Raffaele De Courten), Muzio Attendolo, Raimondo Montecuccoli e Giuseppe Garibaldi ed alla nave da
battaglia Duilio (nave di
bandiera dell’ammiraglio di squadra Carlo Bergamini), formando il gruppo di
scorta per i tre convogli diretti a Tripoli da Messina, Taranto e Brindisi per
l’operazione di traffico «M. 43». Oltre ai tre convogli con le relative scorte
dirette ed al gruppo scorta di cui fa parte il Malocello (gruppo «Duilio»), è in mare anche un gruppo di
appoggio (gruppo «Littorio») con le corazzate Littorio (ammiraglio di squadra Angelo Iachino, comandante
superiore in mare), Doria
(ammiraglio di divisione Guido Porzio Giovanola) e Cesare, gli incrociatori pesanti Gorizia (ammiraglio di divisione Angelo Parona) e Trento ed i
cacciatorpediniere Aviere, Alpino, Geniere, Carabiniere, Ascari, Camicia Nera, Antonio
Pigafetta ed Antonio Da
Noli. Il gruppo di scorta, che navigherà per la prima volta ad immediato
contatto con il convoglio, sin quasi a formare un tutt’uno con esso
("scorta indiretta incorporata nel convoglio", ideata dall’ammiraglio
Bergamini), ha il compito di respingere eventuali attacchi da parte di
formazioni navali leggere (incrociatori leggeri e cacciatorpediniere) come la
Forza K, mentre il gruppo di appoggio si terrà pronto ad intervenire contro un
eventuale attacco con forze pesanti da parte della Mediterranean Fleet (che
comunque è rimasta senza più corazzate efficienti dall’incursione della X MAS
ad Alessandria del 19 dicembre, ma questo in Italia ancora non lo si sa).
Aerei impiegati in
compiti di ricognizione e bombardamento sulle basi aeree e navali di Malta e
della Cirenaica, nonché scorta da caccia, antiaerosilurante ed antisommergibile
sulle navi e sul porto di Tripoli, e sommergibili dislocati ad est di Malta e
tra Creta e la Cirenaica completano l’imponente dispiegamento di forze
predisposto a tutela dell’importante convoglio (il cui carico assomma a 15.379
tonnellate di carburante, 2417 tonnellate di munizioni, 10.242 tonnellate di
altri materiali, 144 carri armati, 520 automezzi e 901 uomini).
4 gennaio 1942
Il gruppo «Duilio»
raggiunge i tre convogli, che si sono frattanto riuniti come previsto in un
unico grande convoglio composto dalle moderne motonavi da carico Nino Bixio, Lerici, Monginevro, Monviso e Gino Allegri e dalla grande nave cisterna Giulio Giordani, scortate dai
cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi (caposcorta,
contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone), Nicoloso Da Recco, Antoniotto
Usodimare, Bersagliere, Freccia e Fuciliere e dalle torpediniere Castore, Orsa, Aretusa, Procione ed Antares.
Mentre il gruppo «Duilio»
si unisce al convoglio «Allegri» (Allegri, Freccia e Procione) la III Divisione (Trento e Gorizia) viene avvistata da un
ricognitore britannico; più tardi il convoglio viene avvistato anche da un
altro aereo avversario, ma la formazione aerea inviata da Malta ad attaccarlo
non riuscirà a trovarlo.
Al tramonto il gruppo
«Duilio» s’incorpora nella formazione; durante la notte le navi assumono rotta
per Tripoli, e poco dopo le tre di notte del 5 gennaio il gruppo «Duilio»
lascia il convoglio e si allontana a 22 nodi verso est. I mercantili
giungeranno in porto alle 12.30 dello stesso giorno, senza nemmeno essere stati
attaccati.
6 gennaio 1942
Il Malocello ed il resto del gruppo di
scorta indiretta rientrano a Taranto alle 4.20.
Il Malocello in una vecchia cartolina (da www.bagnirosita.it) |
22 gennaio 1942
Il Malocello salpa da Messina alle otto
insieme al resto del gruppo «Vivaldi» (formato da Vivaldi e Da Noli, che
col Malocello formano la XIV
Squadriglia, dai cacciatorpediniere Aviere, Geniere e Camicia Nera della XI Squadriglia e dalle torpediniere Orsa e Castore) cui è stata assegnatala scorta delle motonavi da
carico Monviso e Vettor Pisani, dirette a Tripoli
nell’ambito dell’operazione di traffico «T. 18», consistente nell’invio in
Libia di 15.000 tonnellate di rifornimenti, 97 carri armati, 271 autoveicoli e
1467 uomini.
Nello stretto di
Messina si uniscono al convoglio altre due moderne motonavi, la Monginevro e la Ravello, provenienti da Napoli; il
gruppo «Vivaldi» (al comando del contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone)
assume la scorta diretta delle quattro navi. Da Taranto escono in mare anche la
quinta nave del convoglio, il grande trasporto truppe Victoria, ed i due gruppi di scorta indiretta: l’«Aosta»
(ammiraglio di divisione Raffaele De Courten, partito alle 11) con gli
incrociatori leggeri della VII Divisione (Emanuele
Filiberto Duca d’Aosta, Raimondo Montecuccoli, Muzio Attendolo) e la XIII Squadriglia Cacciatorpediniere (Bersagliere, Carabiniere, Fuciliere, Alpino), ed il «Duilio» (ammiraglio di
squadra Carlo Bergamini, partito alle 17 insieme alla Victoria) con la corazzata Duilio e
la XV Squadriglia Cacciatorpediniere (Antonio
Pigafetta, Alfredo Oriani, Ascari, Scirocco).
A protezione
dell’operazione, nove sommergibili sono dislocati ad est di Malta e tra Creta e
l’Egitto; la Regia Aeronautica e la Luftwaffe danno il loro contributo con
aerei da caccia (sempre presenti, nelle ore diurne, sul cielo del convoglio),
da ricognizione ed antisommergibile.
Poco dopo la partenza
la Ravello, colta da avaria al
timone, è costretta a tornare in porto; il resto del convoglio prosegue e si
unisce al gruppo «Aosta» nel pomeriggio del 22.
23 gennaio 1942
Alle 15, con un certo
ritardo ma approssimativamente nel punto prestabilito, il convoglio si unisce
anche al gruppo «Duilio»; le motonavi si dispongono su due colonne e la Victoria, divenuta nave capo convoglio,
si pone in testa alla colonna sinistra, mentre il gruppo «Vivaldi» si posiziona
attorno ai mercantili ed i due gruppi «Duilio» e «Aosta» si dispongono sui
fianchi del convoglio.
Le navi seguono rotte
che passano a 190 miglia da Malta, distanza che dovrebbe essere maggiore del
raggio operativo degli aerosiluranti di base a Malta ed in Cirenaica, 180
miglia; la sera del 23 dovranno poi accostare verso Tripoli, mantenendo rotta
tangente al cerchio di 190 miglia di raggio con centro Malta. In realtà, 190
miglia sono divenute una distanza insufficiente, perché l’autonomia degli
aerosiluranti britannici è aumentata rispetto al passato e perché ora gli aerei
possono decollare da nuove basi cirenaiche, più avanzate di quanto ritenuto dai
comandi italiani, conquistate dai britannici con l’operazione «Crusader».
Già dal giorno
precedente, però, i comandi britannici sono a conoscenza dei movimenti
italiani: sommergibili in agguato nel golfo di Taranti hanno infatti segnalato
il passaggio del gruppo «Aosta», e nella serata e notte successive ricognitori
hanno individuato e pedinato il gruppo «Duilio».
Dopo la riunione, il
convoglio, che procede a 14 nodi sotto la protezione di nove Junkers Ju 88
della Luftwaffe, continua ad essere tallonato dai ricognitori: alle 15.50 uno
di essi viene avvistato 20.000 metri ad est della formazione. Ai ricognitori
seguono gli attacchi aerei: il primo si verifica alle 16.16, quando la Victoria viene mancata da alcune
bombe di piccolo calibro; poco dopo altre bombe di maggior calibro sono
sganciate contro il gruppo «Aosta» ma ancora senza risultato, grazie anche alla
rabbiosa reazione contraerea delle navi.
Su richiesta
dell’ammiraglio Bergamini, la scorta aerea viene rinforzata con altri tre Ju 88
del II Corpo Aereo Tedesco.
Alle 17.25 il
convoglio viene nuovamente attaccato da tre aerosiluranti, provenienti dalla
direzione del sole: le torpediniere (che si trovano su quel lato) aprono contro
di essi un intenso tiro, così che i velivoli, giunti a circa un chilometro
dalla scorta (e tre dalla Victoria),
scaricano in mare le loro armi, cabrano ed invertono la rotta (uno di essi sarà
poi abbattuto dagli Ju 88 della scorta aerea). Dapprima le navi italiane
pensano che i velivoli fossero bombardieri: solo quando il Vivaldi avvista le scie dei siluri
ci si accorge della realtà. Alle 17.31 la Victoria viene colpita a poppa da un siluro e rimane
immobilizzata. Aviere, Ascari e Camicia Nera si fermano per dare assistenza alla nave
danneggiata, mentre il resto del convoglio prosegue sulla sua rotta. Due nuovi
attacchi di aerosiluranti, alle 18.40 ed alle 18.45, daranno il colpo di grazia
alla Victoria, che affonderà
alle 19 con la perdita di 391 dei 1455 uomini a bordo.
Il resto del
convoglio continua scortato dai gruppi «Vivaldi» ed «Aosta»; a notte fatta il
gruppo «Duilio» si sposta invece a nord del 36° parallelo ed ad est del 19°
meridiano per proteggere il convoglio da eventuali attacchi di navi di
superficie provenienti dal Mediterraneo Orientale. A partire dalle 21.44 si
scatena un crescendo di nuovi attacchi aerei sul convoglio: le navi vengono
illuminate con bengala e fuochi galleggianti al cloruro di calcio, bombardate,
fatte oggetto del lancio di siluri, ma la reazione del fuoco contraereo, le
manovre evasive e l’emissione di cortine nebbiogene permettono di evitare tutti
i siluri e sventare ogni attacco senza danni.
24 gennaio 1942
Alle 7.30 il
convoglio viene raggiunto dalle torpediniere Calliope e Perseo,
venute ad esso incontro da Tripoli; cinque minuti dopo il gruppo «Aosta» lascia
la scorta come previsto, e dopo altri cinque minuti sopraggiunge la scorta
aerea con caccia e ricognitori della Regia Aeronautica.
Alle 8.24 il
sommergibile britannico P 36 (tenente
di vascello Harry Noel Edmonds) avvista prima gli alberi e poi le navi del
convoglio in posizione 32°50’ N e 14°20’ E (a nord di Homs, sulla costa
libica); avvicinatosi ad alta velocità fino a 4110 metri, lancia una salva di
quattro siluri contro i mercantili di testa, per poi scendere a 40 metri ed
allontanarsi su rotta opposta a quella del convoglio.
Alle 9 uno dei caccia
di scorta spara delle raffiche di mitragliera contro il mare, segnalando la
presenza del sommergibile 4-5 km a dritta del convoglio: il contrammiraglio
Nomis di Pollone ordina un’accostata d’urgenza sulla sinistra, che permette
alla Monviso di evitare di
pochissimo un siluro. Malocello
(capitano di fregata Mario Leoni), Geniere
(capitano di fregata Baslini) e Castore
(capitano di corvetta Congedo), insieme ad un ricognitore CANT Z. 501 della 196a
Squadriglia, contrattaccano con bombe di
profondità (una trentina in tutto); al termine della caccia si vedrà sulla
superficie una chiazza di nafta, ma in realtà nessuna bomba è esplosa vicina al
sommergibile, che non ha subito danni.
Alle 14.15 il
convoglio entra a Tripoli; alle 18 Malocello,
Vivaldi, Aviere, Geniere, Ascari e Camicia Nera ripartono per tornare in Italia.
21 febbraio 1942
Alle 17.30 il Malocello salpa da Messina insieme
ai cacciatorpediniere Ugolino
Vivaldi (nave ammiraglia del contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone,
caposcorta), Nicolò Zeno, Strale e Premuda ed alla torpediniera Pallade, scortando un convoglio (il numero 1) composto dalle
moderne motonavi Monginevro, Ravello ed Unione nell’ambito dell’operazione
di traffico «K. 7».
I convogli fruiscono
inoltre della scorta indiretta del gruppo «Gorizia» (ammiraglio di divisione
Angelo Parona; incrociatori pesanti Trento e Gorizia, incrociatore leggero Giovanni delle Bande Nere,
cacciatorpediniere Alpino, Alfredo Oriani ed Antonio Da Noli) e del gruppo «Duilio»,
formato dall’omonima corazzata (ammiraglio di squadra Carlo Bergamini) insieme
a quattro cacciatorpediniere (Aviere, Geniere, Ascari e Camicia
Nera).
Alle 23.15, la
divisione «Gorizia» si unisce al convoglio n. 1, che prosegue per Tripoli
seguendo rotte che passano a circa 190 miglia da Malta.
22 febbraio 1942
All’alba del 2 il
convoglio n. 1 viene raggiunto anche dal gruppo «Duilio», che lo segue a breve
distanza.
Intorno alle 12.45
(per altra versione, verso le dieci), 180 miglia ad est di Malta, il convoglio
numero 1 si congiunge con il convoglio numero 2 della «K. 7», proveniente da
Corfù e formato dalle motonavi Lerici e Monviso e dalla nave cisterna Giulio Giordani, con la scorta dei
cacciatorpediniere Antonio Pigafetta (caposcorta,
capitano di vascello Enrico Mirti della Valle), Emanuele Pessagno, Antoniotto
Usodimare, Maestrale e Scirocco e della torpediniera Circe.
Il convoglio n. 2 si
accoda – con una manovra piuttosto lenta – al convoglio n. 1. La formazione (di
cui è caposcorta l’ammiraglio Nomis di Pollone) assume rotta 184° e velocità 14
nodi; sin dalla prima mattina (e fino alle 19.45) volano sul suo cielo aerei
tedeschi Junkers Ju 88 e Messerschmitt Bf 110 decollati dalla Sicilia per la sua
scorta.
Dalle prime ore del
mattino (precisamente, dalle 7.25) compaiono anche ricognitori britannici, che
segnalano il convoglio agli aerei di base a Malta; tra le 14 e le 16 si
verifica un attacco aereo, che i velivoli della Luftwaffe respingono, abbattendo
tre degli aerei attaccanti ed impedendo agli altri di portare a fondo l’attacco
(tranne un Boeing B 17 che lancia delle bombe di piccolo calibro contro
la Duilio, senza colpirla).
Quando l’ammiraglio Bergamini chiede altri aerei mediante il collegamento radio
diretto, la richiesta viene prontamente soddisfatta.
La sera del 22, in
base agli ordini ricevuti, il gruppo «Duilio» lascia i convogli, che proseguono
con la scorta diretta ed il gruppo «Gorizia».
Nella notte seguente
il convoglio, che è rimasto diviso in due gruppi (cioè i convogli 1 e 2, che
procedono uno dietro l’altro ma separati), viene più volte sorvolato da dei
bengalieri nemici (tra le 00.30 e le 5.30 del 23 dei bengala si accendono sul
cielo dei convogli), ma non subisce danni, grazie alle manovre ed all’emissione
di cortine fumogene.
23 febbraio 1942
Poco dopo le otto del
mattino sopraggiungono due torpediniere inviate da Marilibia in rinforzo alla
scorta, cui l’ammiraglio Parona ordina di unirsi al gruppo «Vivaldi». La
foschia impedisce ai due convogli, distanti solo 8-9 miglia, di vedersi, ed
alla scorta aerea della Luftwaffe di trovare le navi; le trovano invece, ma
solo quelle del gruppo «Gorizia», i caccia italiani FIAT CR. 42 inviati
anch’essi per la scorta.
Alle 10.14 del
mattino, una novantina di miglia ad est di Tripoli ed al largo di Capo
Misurata, la Circe localizza
con l’ecogoniometro il sommergibile britannico P 38, che sta tentando di attaccare il convoglio (poco dopo ne
viene avvistato anche il periscopio, che però subito scompare poiché il
sommergibile, capendo di essere stato individuato, s’immerge a profondità
maggiore), e, dopo aver ordinato al convoglio di virare a dritta, alle 10.32 lo
bombarda con bombe di profondità, arrecandogli gravi danni. Subito dopo
il P 38 affiora in
superficie, per poi riaffondare subito: a questo punto si uniscono alla caccia
anche l’Usodimare ed il Pessagno, che gettano altre cariche di
profondità, e, insieme ad aerei della scorta, mitragliano il sommergibile.
L’attacco è tanto violento e confuso che un marinaio, su una delle navi
italiane, rimane ucciso dal tiro delle mitragliere, e la Circe deve richiamare le altre
unità al loro posto per poter proseguire nella sua azione. Dopo questi
ulteriori attacchi, la Circe effettua
un nuovo attacco con bombe di profondità, ed alle 10.40 il sommergibile affiora
di nuovo con la poppa, fortemente appruato, le eliche che girano all’impazzata
ed i timoni orientati a salire, per poi affondare di prua con l’intero
equipaggio in posizione 32°48’ N e 14°58’ E. Un’ampia chiazza di carburante,
rottami e resti umani marcano la tomba dell’unità britannica.
Intanto, alle 11.25,
il sommergibile P 34 (tenente
di vascello Peter Robert Helfrich Harrison) avvista su rilevamento 040° il
convoglio formato da Ravello, Unione e Monginevro e scortato da Malocello, Vivaldi, Strale, Zeno, Pallade e Premuda, che procede su rotta 250°. Alle
11.49, in posizione 32°51’ N e 13°58’ E (un’ottantina di miglia ad est di
Tripoli), il P 34 lancia
quattro siluri da 4150 metri di distanza; nessuna nave è colpita, e la scorta
inizia alle 11.58 un contrattacco nel quale sono lanciate 57 bome di
profondità, alcune delle quali esplodono molto vicine al sommergibile. Il P 34, in ogni caso, riesce ad
allontanarsi.
Nel frattempo, alle
10.30, lo Scirocco, come
stabilito in precedenza, lascia la scorta del convoglio numero 2 e si aggrega
al gruppo «Gorizia», che – essendo ormai il convoglio vicino a Tripoli, e non
presentandosi più rischi di attacchi di navi di superficie – si avvia sulla
rotta di rientro.
I convogli giungono
indenni a Tripoli tra le 16 e le 16.40 del 23.
Alle 18 Malocello e Vivaldi (caposcorta) lasciano Tripoli per Palermo, scorando la
motonave Vettor Pisani.
25 febbraio 1942
Le tre navi giungono
a Palermo alle 8. Qui termina la missione del Malocello, mentre Vivaldi
e Pisani proseguono per Napoli, dove
arriveranno il 27.
2-3 marzo 1942
Il Malocello (capitano di fregata Mario
Leoni) si trova ormeggiato a Palermo quando il porto e la città vengono
sottoposti ad un pesante bombardamento aereo britannico (16 bombardieri Vickers
Wellington del 37th Squadron R.A.F., decollati da Luqa, Malta, che
attaccano in due ondate), iniziato alle 22.29 del 2 marzo e terminato alle 4.45
del 3 marzo. Tra le navi ormeggiate in porto, oltre al Malocello, vi sono i cacciatorpediniere Freccia, Saetta
(ormeggiato vicinissimo al Malocello),
Vivaldi, Aviere e Camicia Nera, la
torpediniera Partenope ed otto navi
mercantili tra cui il piroscafo tedesco Cuma,
il cui carico comprende 480 tonnellate di benzina nonché munizioni e bombe
d’aereo. I comandi britannici hanno deciso il bombardamento, piuttosto
imponente in rapporto ai modesti mezzi disponibili a Malta in quel momento,
proprio perché il giorno precedente un ricognitore, pilotato dal capitano
Adrian Warburton, ha notato la notevole concentrazione di navi mercantili,
presumibilmente cariche di rifornimenti diretti in Libia, nel porto di Palermo.
L’allarme aereo viene
dato alle 21; al rumore degli aerei in avvicinamento segue l’apertura del fuoco
da parte delle mitragliere poste a difesa del porto, che faranno fuoco senza
interruzione fino alla fine dell’incursione.
Fino a mezzanotte i
bombardieri si susseguono incessantemente sulla città e sul porto: le bombe
cadono sia sul centro abitato che sul porto (quest’ultimo, con le navi ivi
ormeggiate, è l’obiettivo dell’incursione), dove una di esse colpisce la
torpediniera Partenope ed altre
mancano di poco il Freccia,
crivellandolo di schegge; altre ancora colpiscono il Cuma, scatenandovi violenti incendi ed esplosioni. Gli apparati di
annebbiamento avvolgono le navi in cortine di nebbia artificiale, ma diversi
cacciatorpediniere (non però il Malocello)
aprono il fuoco con l’armamento contraereo su iniziativa dei comandanti, senza
riuscire a colpire gli aerei (che non possono vedere) ma così rivelando la
propria posizione.
Nel complesso i
cacciatorpediniere hanno subito danni modesti, ma preoccupa la situazione del Cuma, sul quale le fiamme divampano
incontrollabili minacciando di causare l’esplosione del carico: sul Malocello vengono approntate le macchine
per tenersi pronti ad uscire dal porto (e così evitare di essere coinvolti
nell’eventuale esplosione del piroscafo), ma non si riesce a trovare un
rimorchiatore che possa rimuovere le reti parasiluri che circondano la nave, la
quale è così costretta a restare all’ormeggio. Una bomba cade vicino al Malocello, che viene colpito da tre
schegge (una sul fumaiolo, una sul proiettore ed una terza che trancia un cavo
d’acciaio) ma non subisce che danni lievissimi e nessun ferito tra l’equipaggio
(anche se il cane Buby, mascotte di bordo, viene gettato in mare dallo
spostamento d’aria e prontamente ripescato).
Terminata infine
l’incursione dopo le quattro del mattino, il comandante Leoni manda
l’equipaggio a riposarsi, ma tre ore dopo il Cuma esplode: lo spostamento d’aria dell’immane esplosione getta a
terra chiunque si trovi in piedi e fa sbandare paurosamente il Malocello, rompendone gli ormeggi; una
muraglia di fuoco alta forse venti metri, alimentata dalla benzina in fiamme
che galleggia sul mare, avanza verso il cacciatorpediniere, sul quale il
comandante Leoni ordina di tenersi pronti ad allagare i depositi munizioni ed a
gettare in mare siluri e bombe di profondità, autorizzando al contempo chiunque
lo desideri a scendere a terra (ma nessuno abbandona la nave). Tutto sembra
perduto, ma quando le fiamme sono giunte ormai a trenta metri dal Malocello, e Leoni sta per dare l’ordine
di allagare i depositi munizioni, la direzione del vento cambia, e le fiamme
iniziano ad essere spinte via: il Malocello
è salvo, e la sera stessa potrà riprendere il mare per una nuova missione di
scorta.
16 marzo 1942
Il Malocello parte da Messina alle 16
insieme ai gemelli Vivaldi (caposcorta,
capitano di vascello Ignazio Castrogiovanni), Pessagno e Zeno ed
alle torpediniere Pallade e
Giuseppe Sirtori (quest’ultima
poi rientrata a Messina), per scortare a Messina la motonave Vettor Pisani. È in corso l’operazione
di traffico «Sirio», che vede in mare una serie di convogli da e per la Libia
(motonavi Gino Allegri e Reginaldo Giuliani da Tripoli a
Palermo con le torpediniere Perseo e Circe; piroscafo Assunta De Gregori da Palermo a
Tripoli con il cacciatorpediniere Premuda e
la torpediniera Castore;
motonavi Nino Bixio e Monreale da Tripoli a Napoli con la
stessa scorta che ha scortato Pisani e
Reichenfels sulla rotta opposta)
fruenti della protezione a distanza dell’incrociatore leggero Emanuele Filiberto Duca d’Aosta (nave
di bandiera dell’ammiraglio di divisione Alberto Da Zara) e dei
cacciatorpediniere Grecale e Scirocco.
Nello stretto di
Messina Vettor Pisani e
scorta si uniscono ad un secondo gruppo proveniente da Napoli, composto dalla
motonave tedesca Reichenfels scortata
dalla torpediniera Lince (che
lascia quindi la scorta e raggiunge Messina).
Il convoglio così
formato procede verso Tripoli lungo la rotta che passa ad est di Malta, con la
protezione a distanza di Duca
d’Aosta, Scirocco e Grecale. Passato a circa 200 miglia
dall’isola insieme alla forza di protezione, il convoglio punta poi su Tripoli.
Alle 16.37, al largo
di Capo Bruzzano (Calabria, non lontano da Capo Spartivento), il sommergibile
britannico Unbeaten (capitano
di corvetta Edward Arthur Woodward) avvista la Pisani ed uno dei cacciatorpediniere della scorta, a 7 miglia
per 241°. Iniziata la manovra d’attacco, Woodward sovrastima la stazza del
bersaglio (11.000 tsl) e nota le altre due unità della scorta (in questo
momento la Pisani sta
procedendo con la scorta di Sirtori, Vivaldi e Malocello); alle 17.06 lancia quattro siluri da 3660 metri.
L’idrovolante assegnato alla scorta aerea, il CANT Z. 501 n. 4 della 184a
Squadriglia, avvista il siluro, stimandone la distanza di lancio dalle navi in
circa 2000 metri, e dà l’allarme, poi sgancia due bombe da 160 kg sul presunto
punto in cui si dovrebbe trovare il sommergibile. La Sirtori spara una salva per dare l’allarme, poi si dirige
verso il sommergibile, gettando quattro bombe di profondità; il Malocello inverte la rotta e lancia
a sua volta 16 bombe di profondità.
Nessuno dei siluri va
a segno, così come è infruttuoso il contrattacco della scorta (l’ultima bomba
di profondità viene gettata alle 18.25).
18 marzo 1942
Il convoglio,
raggiunto in mattinata dalla torpediniera Generale Marcello Prestinari (inviata
incontro da Tripoli), giunge a Tripoli alle 15.15.
Alle 19.30 Malocello, Vivaldi, Pessagno, Zeno e Pallade ripartono da Tripoli per scortare a Napoli le
motonavi Nino Bixio e Monreale. Il convoglio segue le rotte
del Canale di Sicilia.
19 marzo 1942
In serata Malocello e Vivaldi lasciano il convoglio, diretti a Trapani, dove
giungono alle 19. Il resto del convoglio arriverà regolarmente a Napoli
l’indomani.
8 aprile 1942
Malocello e Vivaldi vengono
dislocati a Trapani in preparazione della posa del campo minato «S 5» nel
Canale di Sicilia. Il piano di posa di tale sbarramento è stato più volte
modificato e ridimensionato, per via del mutare delle unità disponibili e delle
condizioni generali; alla fine, data la situazione favorevole in Mediterraneo
(Mediterranean Fleet ridotta al lumicino dopo la notte di Alessandria, Malta
ridotta allo stremo dai bombardamenti aerei) e l’avanzata ricominciata in
Nordafrica, che spingono a ritenere inopportuno distogliere troppe navi dalla
scorta ai convogli, si è optato per un totale di due linee di mine, composte da
180 ordigni ciascuna, posate da Malocello
e Vivaldi (90 mine ciascuno) in due
fasi successive.
11 aprile 1942
Malocello e Vivaldi salpano da
Trapani alle 9.15 per posare la spezzata «S 51» dello sbarramento «S 5»; la
posa avviene regolarmente tra le 11.15 e le 11.40, e già alle 15.30 le due
unità sono nuovamente a Trapani, dove imbarcano subito altre 180 mine.
12 aprile 1942
Caricate le mine, Malocello e Vivaldi ripartono da Trapani alle 4.55 per posare la spezzata «S
52». Le mine vengono posate tra le 7.12 e le 7.34, senza intoppi, dopo di che i
due cacciatorpediniere tornano a Trapani e ricevono ordine di prepararsi per
una nuova missione: la posa degli sbarramenti «M 5», «M 6» e «M 8» a sud di
Malta.
Il Malocello durante una missione di posa di mine, in una foto scattata dal Vivaldi (g.c. Adriano Pasqua) |
18 aprile 1942
Malocello e Vivaldi, dopo aver
caricato le 156 mine (96 tipo Elia e 60 tipo P 200) destinate allo sbarramento
«M 5», lasciano Trapani per eseguire la posa. Lasciata Trapani, le due navi
dirigono immediatamente per passare vicino a Pantelleria; da quell’isola,
invece di dirigersi subito verso la zona in cui posare le mine, fanno rotta per
Linosa, allo scopo di ridurre al massimo la navigazione stimata (da 140 miglia
a 80) e di sfruttare il faro di Linosa per determinare la posizione con
maggiore precisione.
19 aprile 1942
Intorno alle 00.04 Malocello e Vivaldi iniziano a vedere, verso Malta, accensione di proiettori,
bengala e scoppi di proiettili contraerei: si tratta di un’incursione aerea “di
disturbo” concertata con la Luftwaffe, che la esegue durante la posa. Terminata
la posa, gli uomini del Malocello
addetti all’operazione si radunano a centro nave, dove assistono allo
spettacolo dei proiettori di Malta che frugano vanamente il cielo. In
precedenza il comandante Leoni avvista sullo scoglio di Filfola un faro rosso
che ripete a più riprese, in codice morse, il segnale “HX”, ma non accade
null’altro.
Alle 2.26 i due
cacciatorpediniere, dispostisi in linea di rilevamento, iniziano a posare le
mine, su due file, con gli ordigni sfalsati; alle 2.55 la posa è regolarmente
conclusa e le due unità accelerano a 25 nodi, fanno rotta su Linosa e,
determinata con precisione la posizione, dirigono su Augusta, dove arrivano
alle 11.35.
20 aprile 1942
In mattinata Malocello e Vivaldi imbarcano ad Augusta le mine destinate allo sbarramento «M
7» (156 P 200, di cui 136 con antenna e 20 senza), ed alle 13.45 salpano per
effettuare la posa, deviando nuovamente verso Linosa per gli stessi motivi
della missione precedente.
21 aprile 1942
Alle 00.43 le due
navi avvistano un bombardiere Bristol Blenheim, proveniente da Malta, puntare
verso di loro volando a circa 250 metri, sorvolarla nel senso della rotta e poi
sparire in direzione di Malta. Subito dopo, sia il Malocello che il Vivaldi
intercettano diverse comunicazioni radio aventi tutta la medesima caratteristica,
e che ritengono dunque provenire dall’aereo: dato che con ogni probabilità esso
ha comunicato a Malta l’avvistamento, la rotta e la velocità delle due navi, la
segretezza necessaria alla riuscita della posa è del tutto sfumata. All’1.05,
pertanto, il comandante del Vivaldi
(capo formazione, capitano di vascello Mario Mezzadra) ordina d’invertire la
rotta e tornare ad Augusta, dove entrambi arrivano alle 10.25.
Sbarcate le mine, Malocello e Vivaldi ricevono l’ordine di trasferirsi, rispettivamente, a Napoli
e Messina.
La posa degli
sbarramenti «M 7» e «M 8» viene rimandata a data da definirsi, ma in realtà non
verrà più eseguita; lo sbarramento «M 5» finirà con l’essere l’ultimo campo
minato posato da navi italiane nelle acque di Malta.
26 aprile 1942
Malocello e Premuda (caposcorta)
partono da Napoli alle 3.30 per scortare a Tripoli le moderne motonavi Unione e Monreale.
Alle 4 il convoglio
si dispone in linea di fila nell’ordine Premuda-Unione-Monreale-Malocello, ma
alle 5.10 l’Unione viene colta da
un’avaria al timone; il guasto può comunque essere riparato, e la nave riprende
il suo posto nella formazione. Alle 5.35 il convoglio passa nella formazione in
linea di fronte, con da dritta a sinistra Premuda,
Unione (regolatrice), Monreale e Malocello.
Alle 10.15 vengono
avvistati cinque aerosiluranti italiani, che eseguono un attacco simulato
contro il convoglio a scopo di esercitazione.
Alle 16.40 raggiunge
il convoglio la torpediniera Castore,
inviata per rinforzare la scorta, che si pone in testa alla formazione. Alle
16.45 il caposcorta ordina di assumere la formazione in linea di fila, ma
durante la manovra l’Unione subisce
nuovamente un’avaria al timone ed accosta bruscamente a sinistra, rischiando la
collisione con la Monreale, che la
evita con pronta virata a dritta. Siccome l’Unione
continua a girare in tondo, non riuscendo a riparare l’avaria, il caposcorta
decide di dirottarla su Palermo, con la scorta della Castore; il resto del convoglio prosegue a 15 nodi.
Verso le 22.55 alcune
navi sentono rumore di aerei, ed alle 23.58 il caposcorta annuncia che alle
22.30 il convoglio è stato avvistato da un aereo nemico.
27 aprile 1942
Alle 2.50 ha inizio
il primo attacco aereo. In quel momento, il convoglio procede in linea di
fronte (Monreale al centro, Malocello a sinistra, Premuda a dritta) su rotta vera 166°; il
cielo è sereno, il mare quasi calmo, la visibilità ottimale. Un aereo sgancia
alcune bombe contro la Monreale (che
accosta a dritta per evitarlo), mancandola di poco e causando una leggera
avaria del timone, che però riprende subito a funzionare; al contempo, il Malocello inverte la rotta a sinistra e
comunica alla motonave “Aerei da levante”. Si sentono altri rumori di aerei da
est verso le 3.10, ma alle 3.26 l’attacco può dirsi concluso, praticamente
senza danni, ed il Premuda ordina di
riprendere la navigazione normale sulla rotta precedentemente seguita.
La luna tramonta alle
4.05, e due minuti dopo ha inizio un secondo attacco aereo: nel cielo attorno
al convoglio si accendono alcuni bengala, ed il Premuda si avvicina alla Monreale
per coprirla con cortine fumogene, come concordato in precedenza. Durante
l’attacco, la Monreale apre il fuoco
con le sue mitragliere e subisce un’avaria al timone, che però riprende a
funzionare dopo pochi minuti. Mentre altri bengala si accendono nel cielo, a
gruppi di quattro, andando a formare una cortina piuttosto estesa, Malocello e Premuda emettono cortine fumogene; nelle loro manovre, però,
finiscono con l’allontanarsi dalla motonave, che rimane al di fuori delle loro
cortine e deve rinunciare ad avvicinarsi ad essi in quanto, per farlo, dovrebbe
attraversare proprio la zona più illuminata dai bengala. La Monreale manovra invece per allontanarsi
da tale zona; in questa fase, a circa dieci minuti dall’inizio dell’attacco,
diversi bengala si accendono proprio sopra la cortina nebbiogena stesa dai
cacciatorpediniere, che essendo bianca risulta molto visibile. Alle 4.21 si
spegne l’ultimo bengala, e subito dopo un aerosilurante attacca
infruttuosamente il Premuda, che
reagisce con le mitragliere. L’attacco è concluso, ed il convoglio torna ad
assumere la formazione originaria per proseguire la navigazione.
Nelle ore successive,
la Monreale continua ad essere
tormentata da problemi al timone: questo va in avaria alle 5.15, poi riprende a
funzionare, poi fa nuovamente avaria a più riprese, per poi smettere di
funzionare definitivamente alle 5.30. Alle 5.37 la motonave passa al timone a
mano, sistema col quale proseguirà fino all’arrivo a destinazione.
Malocello, Premuda e Monreale entrano a Tripoli alle 20.45.
La Monreale porta a destinazione un
carico di 3898,682 tonnellate di rifornimenti, tra cui 137 automezzi (72
italiani e 65 tedeschi), 16 carri armati italiani, 6 cannoni (quattro italiani
e due tedeschi), munizioni, provviste, vestiario, olio minerale e materiali
vari.
30 aprile 1942
Malocello e Premuda (caposcorta)
lasciano Tripoli alle 19 per scortare a Napoli le motonavi Gino Allegri ed Agostino
Bertani.
2 maggio 1942
17 maggio 1942
Malocello e Pessagno
salpano da Napoli per Bengasi alle 9.30, scortando gli incrociatori
ausiliari Città di Napoli e Città di Tunisi.
Alle 16 si unisce
alla scorta la torpediniera Circe,
inviata da Messina, ed alle 23.45 sopraggiunge da Messina anche il Vivaldi, che diviene caposcorta.
19 maggio 1942
Il convoglio
raggiunge Bengasi alle 7.45. Lo stesso giorno, dopo aver sbarcato il loro
carico, Città di Napoli e Città di Tunisi ripartono per Napoli
(formando il convoglio «B») con la scorta di Malocello e Vivaldi
(caposcorta).
20 maggio 1942
Alle 7.40 si unisce
alla scorta la torpediniera Circe.
Alle 9.15 un sommergibile attacca infruttuosamente il convoglio con lancio di
siluri.
21 maggio 1942
Il convoglio arriva a
Napoli alle 6.
26 maggio 1942
Malocello, Vivaldi (caposcorta)
ed Usodimare partono da Napoli per
Bengasi alle 9.30, insieme alla torpediniera Lince, scortando il convoglio «F», composto dagli incrociatori
ausiliari Città di Genova, Città di Napoli ed al Città di Tunisi.
27 maggio 1942
A Messina, alle due
di notte, la Lince viene sostituita
dal cacciatorpediniere Turbine.
Il convoglio subisce
due attacchi di sommergibili, alle 18.40 ed alle 19, ma nessuna nave viene
colpita.
28 maggio 1942
Il convoglio «F»
arriva a Bengasi alle 10.30.
Malocello, Vivaldi (caposcorta), Usodimare e Turbine ripartono da Bengasi alle
10.40, sempre scortando le stesse tre navi del convoglio «F».
19 maggio 1942
Alle 10 il Turbine lascia il convoglio.
30 maggio 1942
Il convoglio «F»
raggiunge Napoli alle 13.30.
5 giugno 1942
Malocello e Vivaldi (capo
sezione) partono da Napoli per Tripoli alle 18.30 in missione di trasporto,
avendo a bordo un reparto organico del Regio Esercito composto in tutto da 600
uomini.
La torpediniera Cigno accompagna le due navi fino a
Lampedusa, poi viene avvicendata dalla gemella Polluce, uscita da Tripoli.
6 giugno 1942
Malocello e Vivaldi arrivano a
Tripoli alle 19.
7 giugno 1942
Malocello, Vivaldi (caposcorta)
e la torpediniera Polluce ripartono
da Tripoli per Napoli alle 22. 20 (o 23), di scorta alle motonavi italiane Rosolino Pilo e Lerici ed alla tedesca Reichenfels.
Le navi formano il convoglio «K».
8 giugno 1942
Alle 17.25 il
convoglio «K», al largo di Ras Iddah, ne incontra un altro proveniente da
Palermo e diretto a Tripoli, con il piroscafo Numidia e la nave cisterna Caucaso scortate dalle torpediniere Castore e Clio.
La Polluce, come prestabilito,
passa al convoglio nuovo arrivato, assumendone il comando, mentre il «K»
prosegue verso la sua destinazione.
9 giugno 1942
Il convoglio giunge a
Napoli a mezzogiorno (od alle 14.35).
13 giugno 1942
Il Malocello ed il resto della XIV
Squadriglia (Vivaldi e Zeno), per ordine dell’ammiraglio Luigi
Sansonetti (sottocapo di Stato Maggiore della Marina), lasciano Napoli alle 11 per
trasferirsi a Messina, dove devono arrivare alle 19. Successivamente viene loro
ordinato di raggiungere invece Palermo, dove danno fondo alle 17.
14 giugno 1942
In mattinata i
comandanti del Malocello e delle
altre unità della X e XIV Squadriglia Cacciatorpediniere e della VII Divisione
Navale vengono convocati a rapporto dall’ammiraglio di divisione Alberto Da
Zara sull’incrociatore leggero Eugenio di
Savoia, sua nave di bandiera. Le navi, al comando di Da Zara, dovranno
salpare in serata per attaccare un convoglio con rifornimenti in navigazione da
Gibilterra a Malta nell’ambito dell’operazione britannica «Harpoon».
Dopo che una
precedente operazione di rifornimento di Malta svoltasi nel marzo 1942 (e
sfociata nell’inconclusivo scontro navale della seconda battaglia della Sirte)
si è conclusa con la perdita, causata dagli attacchi aerei, di 24.000 delle
25.000 tonnellate di rifornimenti inviati, la situazione dell’isola è divenuta
molto critica: in maggio si è dovuto introdurre il razionamento dei viveri, e
le calorie fornite quotidianamente alla guarnigione sono state dimezzate (da
4000 a 2000) mentre per la popolazione civile la riduzione è stata ancora più
marcata (1500 calorie).
I comandi britannici,
pertanto, hanno programmato per metà giugno una duplice operazione di
rifornimento, articolata su due sotto-operazioni: “Harpoon”, il cui convoglio
partirà da Gibilterra, e “Vigorous”, che partirà invece da Alessandria. Quest’ultima
consiste nell’invio di un convoglio di undici navi mercantili, scortati da
sette incrociatori leggeri, un incrociatore antiaereo, 26 cacciatorpediniere, 4
corvette, due dragamine, quattro motosiluranti e due navi soccorso, in aggiunta
alla vecchia nave bersaglio Centurion,
una ex corazzata camuffata di nuovo, per l’occasione, da corazzata nel
tentativo – fallito – di far credere ai ricognitori italiani che la scorta
includa appunto anche una nave da battaglia. Contro “Vigorous” prenderà il mare
il grosso della flotta da battaglia italiana, al comando dell’ammiraglio di
squadra Angelo Iachino.
Il convoglio
dell’operazione “Harpoon”, partito da Gibilterra il 12 giugno, è invece
composto da sei navi mercantili: i piroscafi britannici Burdwan, Orari e Troilus, la motonave olandese Tanimbar, la motonave statunitense Chant e la nuovissima nave cisterna
statunitense Kentucky, che
trasportano in tutto 43.000 tonnellate di rifornimenti. La scorta diretta del
convoglio, denominata Forza X, consiste nell’incrociatore antiaerei Cairo (capitano di vascello Cecil
Campbell Hardy, comandante della Forza X), nei cacciatorpediniere di squadra Bedouin, Marne, Matchless, Ithuriel e Partridge (appartenenti alla 11th Destroyer Flotilla),
nei cacciatorpediniere di scorta (classe “Hunt”) Blankney, Badsworth, Middleton e Kujawiak (appartenenti alla 19th Destroyer Flotilla),
nei dragamine Hebe, Speedy, Hythe e Rye ed in sei
“motolance” impiegate per il dragaggio (ML-121,
ML-134, ML-135, ML-168, ML-459, ML-462). Tutte le unità della scorta sono britanniche con
l’eccezione del Kujawiak, che è Polacco.
In aggiunta alla scorta
diretta, nel primo tratto della navigazione (da Gibilterra fino a poco prima
dell’imbocco del Canale di Sicilia) il convoglio è accompagnato anche da una
poderosa forza di copertura, la Forza W del viceammiraglio Alban Curteis: la
compongono la corazzata Malaya, le
portaerei Eagle ed Argus, gli incrociatori leggeri Kenya (nave ammiraglia di Curteis), Charybdis e Liverpool ed i cacciatorpediniere Onslow, Icarus, Escapade, Wishart, Antelope, Westcott, Wrestler e Vidette.
Nella giornata del 14
giugno, le navi di “Harpoon” iniziano a subire i primi attacchi da parte degli
aerei dell’Asse: aerosiluranti Savoia Marchetti S.M. 79 “Sparviero” della Regia
Aeronautica affondano la motonave Tanimbar
e silurano l’incrociatore leggero Liverpool,
danneggiandolo gravemente e costringendolo a rientrare in porto. Il resto della
formazione prosegue fino all’imbocco del Canale di Sicilia; qui (alle 20.15),
come previsto, la Forza W di Curteis inverte la rotta e dirige per rientrare a
Gibilterra, lasciando proseguire verso Malta il convoglio con la scorta della
Forza X di Hardy.
Supermarina ha
ricevuto le prime notizie su “Harpoon” alle 7.55 del 12 giugno, quando
informatori di base nella zona di Gibilterra hanno comunicato la partenza da
Gibilterra di una poderosa squadra navale composta da Malaya, Eagle, Argus, almeno tre incrociatori e
numerosi cacciatorpediniere (la Forza W), diretta verso est, nonché il
passaggio nello stretto, a fanali spenti, di numerose navi provenienti
dall’Atlantico. Il Comando della Marina italiana ha correttamente ipotizzato
che sia dunque in navigazione da Gibilterra a Malta un grosso convoglio
proveniente dall’Atlantico, impressione confermata dai successivi avvistamenti
della ricognizione aerea. Per contrastare tale convoglio, Supermarina mette a
punto un piano che prevede: l’invio di un ampio schieramento di sommergibili
nel Mediterraneo occidentale; la dislocazione di torpediniere e MAS in agguato
nel Canale di Sicilia; la cooperazione con la Regia Aeronautica affinché il
convoglio sia pesantemente attaccato da aerei a sud della Sardegna,
indebolendone la scorta; e l’invio di una formazione navale leggera,
particolarmente adatta ad un combattimento in acque circoscritte ed insidiate,
per attaccare il convoglio a sorpresa all’alba del 15. Quest’ultimo compito è
appunto affidato alle navi dell’ammiraglio Da Zara.
Il Malocello (capitano di fregata
Mario Leoni) salpa pertanto da Palermo alle 19.24 insieme al resto della XIV
Squadriglia Cacciatorpediniere (Ugolino
Vivaldi e Nicolò Zeno), alla
X Squadriglia (Alfredo Oriani, Vincenzo Gioberti ed Ascari) ed alla VII Divisione Navale
(incrociatori leggeri Raimondo
Montecuccoli ed Eugenio di
Savoia, al comando dell’ammiraglio Da Zara, imbarcato sull’Eugenio), per partecipare alla battaglia
aeronavale di Mezzo Giugno.
Nelle ore successive si
unirà alla formazione anche il cacciatorpediniere Premuda, proveniente da Trapani.
Gli ordini per il
gruppo dell’ammiraglio Da Zara sono di trovarsi alle 5 del mattino del 15
giugno cinque miglia a sud di Pantelleria, in modo da attaccare il convoglio
dopo che esso sarà passato nel Canale di Sicilia, evitando di impegnarsi con
forze superiori.
Subito dopo la
partenza del gruppo da Palermo, tuttavia, Zeno
e Gioberti subiscono avarie di
macchina non riparabili con i mezzi disponibili, e sono dunque costretti a
tornare indietro; il numero dei cacciatorpediniere viene così ridotto da sette
a cinque (compreso il Premuda,
aggregatosi poco dopo). Le navi sono scortate da una sezione di caccia FIAT CR.
42. I due incrociatori procedono in linea di fila, Eugenio in testa e Montecuccoli
in coda, con Malocello e Vivaldi sulla dritta, Premuda sulla sinistra ed Ascari e Oriani a proravia della formazione.
Alle 20.25, al largo
di Palermo, il gruppo di Da Zara viene avvistato da un ricognitore britannico,
che tuttavia non riesce a seguirlo per verificare quale debba essere la sua
definitiva direttrice di marcia. L’ammiraglio Ralph Leatham, comandante della
base navale di Malta, stima erroneamente che le navi di Da Zara siano dirette
verso est per ricongiungersi con il grosso delle forze italiane (corazzate Littorio e Vittorio Veneto, incrociatori pesanti Trento e Gorizia,
incrociatori leggeri Emanuele Filiberto
Duca d’Aosta e Giuseppe Garibaldi
e dieci cacciatorpediniere della VII, XI e XIII Squadriglia) uscite da Taranto
e dirette contro l’altro convoglio britannico diretto a Malta, «Vigorous»,
proveniente da Alessandria. Di conseguenza, si limita ad inviare aerei a
pattugliare lo Stretto di Messina ed a preparare a Malta un reparto di aerosiluranti,
da far decollare qualora la formazione venisse ritrovata dai ricognitori.
L’ammiraglio Curteis,
che sta navigando verso Gibilterra, viene a sapere dell’avvistamento (proprio
da Letham) alle 22.15. Dopo aver valutato la possibilità di dover rinforzare la
Forza X, che conta soltanto su di un incrociatore contraereo e nove
cacciatorpediniere, Curteis decide di non mandare rinforzi, perché anche lui
non pensa che le navi di Da Zara intendano far rotta verso ovest per attaccare
il convoglio di notte, né che intendano entrare nella zona in cui esso verrà a
trovarsi all’alba, in quanto crede che le navi italiane ne rimangano alla larga
per restare fuori del raggio degli aerei di Malta. Considerando che in
precedenza (prima e seconda battaglia della Sirte) formazioni di consistenza
non molto maggiore della Forza X avevano saputo tenere gruppi italiani di
maggior potenza lontani dai convogli, Curteis decide di non distaccare alcun
incrociatore per rinforzare la Forza X anche perché così facendo indebolirebbe
la sua Forza W nel momento in cui questa verrebbe a trovarsi nel raggio
d’azione dell’aeronautica della Sardegna.
Contrariamente alle
aspettative di Letham e Curteis, il gruppo di Da Zara è invece diretto verso
ovest proprio con l’intento di attaccare il convoglio di «Harpoon» alle luci
dell’alba. La navigazione notturna delle navi italiane si svolge senza che si
verifichino eventi di rilievo; alle 23.50 l’ammiraglio Da Zara viene informato
che la corazzata e le portaerei (la Forza W) hanno invertito la rotta al
tramonto, ed alle 23.52 Supermarina precisa la composizione del convoglio in
4-6 mercantili, scortati da 1-2 incrociatori e 10 cacciatorpediniere.
15 giugno 1942
Alle due di notte
appaiono in cielo due bengala, che illuminano il mare con la loro luce
rossastra. Il mare è calmissimo, con atmosfera limpida e cielo stellato. Alle
2.52 Supermarina informa Da Zara che il convoglio potrebbe essere in leggero
anticipo.
Alle tre di notte,
superata Marettimo, vengono viste delle campe di cannonate in direzione di Capo
Bon: le unità della Forza X, di scorta al convoglio di “Harpoon”, stanno
infatti sparando contro illusori avvistamenti di MAS e torpediniere italiane,
dirette ad attaccare il convoglio, che credono di vedere nel buio della notte.
In realtà, nessuna unità italiana di alcun tipo si trova nei pressi del
convoglio: il cacciatorpediniere Ithuriel
cannoneggia quella che ritiene una torpediniera italiana ma si rivela poi
essere il relitto incagliato del cacciatorpediniere britannico Havock, qui arenatosi il precedente 6
aprile; il dragamine Rye ed altre
unità sparano contro immaginarie motosiluranti italiane, ma non è altro che uno
scherzo giocato ai marinai britannici dall’effetto combinato della tensione e
dell’oscurità (caso non isolato nella guerra sul mare).
Alle quattro del
mattino appare all’orizzonte Pantelleria, e mezz’ora dopo gli equipaggi
italiani passano dal posto di combattimento notturno al posto di combattimento
generale. Vengono alzate le bandiere di combattimento.
Alle 4.35, con
l’approssimarsi della zona in cui è ritenuto probabile l’incontro col nemico,
l’ammiraglio Da Zara dispone la X Squadriglia Cacciatorpediniere (Oriani, Ascari e Premuda) a
proravia degli incrociatori, e la XIV Squadriglia (Malocello e Vivaldi) a
poppavia. Ciò perché le navi della XIV Squadriglia sono le meno veloci della
formazione: di conseguenza, Da Zara pensa di utilizzarli per attaccare i lenti
mercantili, mentre gli incrociatori e la X Squadriglia impegneranno la scorta.
Alle 4.40 viene assunta rotta 180°, ed alle 5.05 la velocità viene portata a 24
nodi.
Il convoglio
britannico, nel mentre, procede con i mercantili disposti su due colonne
precedute dal Cairo, con i cinque
cacciatorpediniere di squadra della 11th Destroyer Flotilla (Bedouin in testa) in posizione di scorta
sulla dritta, ed i quattro cacciatorpediniere di scorta della 12th Destroyer
Flotilla (Blankney in testa) sulla
sinistra, mentre tutti i dragamine sono a poppavia della formazione.
Poco dopo, le navi
italiane vengono avvistate da un caccia Bristol Beaufighter, decollato da Malta
e diretto incontro alla Forza X per assumerne la scorta aerea, il quale alle
5.20 comunica al Cairo che due
incrociatori e quattro cacciatorpediniere sono a 15 miglia di distanza, al
traverso a sinistra. In quel momento il convoglio si trova 25 miglia a sudovest
di Pantelleria e procede a 12 nodi su rotta 130°. Pochi minuti dopo, anche il Cairo avvista in direzione 75° le navi
italiane, identificandole come due incrociatori leggeri tipo “Condottieri” e
cinque cacciatorpediniere, distanti dieci miglia e con rotta stimata 150°. Alle
5.31 l’incrociatore britannico comunica l’avvistamento al resto del convoglio,
e dà al Bedouin libertà di movimento
per attaccare la formazione italiana con gli altri cacciatorpediniere di squadra.
Con questa mossa, Hardy intende tenere a distanza le navi italiane e guadagnare
tempo mentre il Cairo e gli “Hunt”
coprono i mercantili con cortine nebbiogene e li dirottano verso la costa della
Tunisia (alle 5.45, infatti, il convoglio riceve ordine di accostare verso la
costa). La posizione rispetto al sole, che sta sorgendo alle spalle delle navi
italiane, è favorevole ai britannici, in quanto questi ultimi sono ancora
protetti da una relativa oscurità, mentre le sagome delle unità di Da Zara si
stagliano contro il sole che sorge.
Da parte italiana, la
VII Divisione viene raggiunta dalla prima pattuglia di aerei da caccia alle
5.20, e dieci minuti dopo avvista la Forza X su rilevamento 270°, ad una
distanza stimata di 20 km. Da Zara stima la composizione del convoglio nemico
in 6 piroscafi, 12 tra cacciatorpediniere e corvette e due incrociatori;
portata la velocità da 24 a 28 nodi alle 5.36, Eugenio e Montecuccoli
aprono il fuoco alle 5.39. In realtà i due “incrociatori” sono i due
cacciatorpediniere di testa della 11th Flotilla, Bedouin e Partridge, che le loro grosse dimensioni e la distanza hanno tratto
in inganno l’ammiraglio Da Zara.
Mentre la 11th
Flotilla si porta a proravia del convoglio e va all’attacco, il Cairo e la 12th Flotilla
rispondono al fuoco solo alle 5.50, perché i loro cannoni (sono armati con
pezzi da 102 mm, contro i 152 della VII Divisione) non hanno una gittata
sufficiente per poter rispondere prima in modo efficace.
Alle 5.44
l’ammiraglio Da Zara, avendo ulteriormente accelerato fino a 32 nodi alle 5.38,
accosta verso il convoglio per ridurre le distanze e sparare più efficacemente.
Bersaglio principale del tiro italiano sono il Bedouin (capitano di fregata Bryan Gouthwaite Scurfield,
capoflottiglia della 11th Flotilla) e gli altri caccia della 11th
Flotilla che stanno andando al contrattacco.
Alle 5.48 il Vivaldi (capitano di vascello Ignazio
Castrogiovanni, caposquadriglia della XIV Squadriglia) comunica a Da Zara –
come del resto gli aveva già riferito la sera precedente, prima di partire –
che la XIV Squadriglia non può superare i 28 nodi di velocità, il massimo che
il Malocello riesca a raggiungere (secondo
alcune fonti, ciò sarebbe dovuto ad un’avaria di macchina del Malocello, ma più probabilmente è dovuto
al logorio dell’apparato motore, causato dall’intenso servizio di scorta e di
posa mine e dal continuo rinvio dei lavori di manutenzione), e sta scadendo di
poppa agli incrociatori; l’ammiraglio, non volendo ridurre la velocità di tutta
la sua formazione proprio mentre è in corso l’attacco della 11th
Flotilla, ordina pertanto a Vivaldi e
Malocello, alle 5.50, di attaccare le
navi mercantili, come aveva già pianificato. Con le altre sue navi, Da Zara si
propone di tagliare la rotta al nemico, aggirarlo ed attaccare il convoglio
sull’altro lato.
La decisione di Da
Zara di accelerare a 32 nodi, facendo così scadere i cacciatorpediniere
rispetto agli incrociatori, e quella conseguente di distaccare Malocello e Vivaldi dal resto della sua formazione per attaccare direttamente il
convoglio, saranno in seguito oggetto criticate dall’ammiraglio Iachino,
superiore di Da Zara, che considererà inopportuna tale divisione delle forze
subito prima dell’attacco. Anche il comandante Leoni, nelle sue memorie
pubblicate nel dopoguerra (“Sangue di marinai”), criticherà il comandante della
VII Divisione, accusandolo in sostanza di aver cercato per sé la gloria lanciandosi
contro la scorta per affondare qualche nave da guerra, e lasciando ai due soli
cacciatorpediniere della XIV Squadriglia il compito, più importante ai fini
dell’obiettivo finale, di attaccare il convoglio, compito ineseguibile data la
disparità di forze tra i due cacciatorpediniere della XIV Squadriglia ed i
quattro “Hunt” appoggiati anche dai dragamine (occorre però dire che Da Zara
aveva sovrastimato la composizione della scorta, scambiando alcuni dei grossi
cacciatorpediniere classe “Tribal” per incrociatori, e che la sua decisione di
affrontare prima la scorta era legata alla necessità di neutralizzare prima
quella che riteneva essere una grave minaccia per la VII Divisione).
Malocello e Vivaldi si dirigono
subito verso i fumi del convoglio, aprendo il fuoco da 18.000 metri contro le
sagome dei mercantili che appaiono saltuariamente in mezzo alla nebbia
artificiale; diversi colpi cadono in mezzo al convoglio ed inquadrano la
motonave statunitense Chant, cadendo
molto vicini ad essa ma senza colpirla. Alle 5.54 i quattro “Hunt” rimasti a
proteggere il convoglio (Blankney, Badsworth, Middleton e Kujawiak, i
primi tre britannici ed il quarto polacco), spuntati all’improvviso dalla
cortina nebbiogena, avvistano i due cacciatorpediniere italiani in
avvicinamento; le due unità britanniche in posizione più avanzata aprono subito
il fuoco da 16.500 metri (la gittata massima dei loro cannoni), ma il loro tiro
risulta corto ed inefficace. Si uniscono poi al tiro anche gli altri due
“Hunt”, ed al contempo (sempre alle 5.54) anche due dei cacciatorpediniere di
squadra, il Marne ed il Matchless, pur continuando a dirigere
incontro alla VII Divisione, spostano di propria iniziativa il tiro sulle unità
della XIV Squadriglia, ritenute una minaccia più immediata per le navi del
convoglio. Il Marne tira contro il Malocello, il Matchless contro il Vivaldi,
entrambi da circa 16.500 metri di distanza. Vivaldi
e Malocello, che stanno tentanto di
aggirare il convoglio da sud, si vengono così a trovare sotto il fuoco di ben sei
cacciatorpediniere britannici (secondo il volume dell’U.S.M.M. sulle azioni
navali in Mediterraneo dall’1.4.1941 all’8.9.1943, di ben nove
cacciatorpediniere, perché avrebbero aperto il fuoco contro di essi anche tutte
le unità della 11th Flotilla); ciononostante, proseguono in
direzione del convoglio.
Alle 5.58 Malocello e Vivaldi sparano a loro volta contro gli “Hunt”, che sbarrano loro
la strada, ritenendo a torto di aver colpito con un proiettile la terza unità
della formazione (il Badsworth), che
viene vista accostare, seguita per imitazione in tale manovra dal Kujawiak (quarto ed ultimo “Hunt” della
formazione, segue il suo capo sezione senza aver ancora potuto aprire il fuoco;
alcuni colpi cadono nei suoi pressi, ma senza colpirlo). Innumerevoli colpi
esplodono tutt’attorno al Malocello,
sollevando colonne d’acqua che ricadono in coperta, ma la nave non subisce
danni.
Alle 5.59, essendo
violentemente bersagliati da Marne e Matchless e non ritenendo possibile
serrare ulteriormente le distanze col convoglio, che sta dirigendo verso la
costa tunisina, Malocello e Vivaldi lanciano ciascuno
rispettivamente uno e due siluri contro il convoglio, da circa 5800 metri di
distanza. Il Malocello lancia il suo
siluro contro una nave apparsa nella nebbia, che ritiene essere un
cacciatorpediniere: è infatti il Kujawiak,
che cinque minuti dopo eviterà il siluro con la manovra.
Dopo il lancio, le
due navi della XIV Squadriglia continuano a sparare sui mercantili, quando
questi appaiono in mezzo alla nebbia, e contro i cacciatorpediniere britannici,
che per parte loro seguitano a bersagliarli con un fuoco molto intenso e
centrato.
Successivamente gli
“Hunt” vengono richiamati dal Cairo,
il cui comandante ordina loro di raggiungerlo a tutta forza, e si allontanano
verso sud, così Malocello e Vivaldi alternano il loro tiro tra i
mercantili ed il Marne.
Alle 6.05 le navi
italiane vedono un’alta fiammata ed una colonna di fumo al di là della cortina
fumogena, ritenendo di conseguenza che uno dei mercantili sia stato silurato; in
realtà uno dei bastimenti è stato effettivamente colpito, ma da bombe sganciate
dagli aerei (probabilmente si tratta del Chant,
anche se vi sarebbe qualche incongruenza relativa all’orario).
Alle 6.07 il Vivaldi viene colpito da un proiettile del
Matchless nella sala macchine
prodiera: la nave subisce gravi danni, ed a bordo si scatena rapidamente un
violento incendio, che alle 6.15 diventa pressoché incontrollabile,
costringendo il Vivaldi a ridurre di
molto la velocità, mentre il Malocello
riduce a sua volta la velocità a 7 nodi e stende cortine nebbiogene per
proteggerlo. Nel mentre, alle 6.10, i due caccia della XIV Squadriglia vedono
un’esplosione su un cacciatorpediniere britannico, che inverte la rotta facendo
fumo: un proiettile del Premuda è
appena scoppiato vicinissimo al cacciatorpediniere Ithuriel, danneggiandolo in modo lieve. Nella confusione del
momento, tuttavia, gli equipaggi di Malocello
e Vivaldi credono di essere stati
loro a colpire l’unità nemica.
Alle 6.20 il vento fa
uscire Malocello e Vivaldi dalla cortina fumogena da essi
stesa; il capoflottiglia degli “Hunt” (capitano di fregata P. F. Powlett, del Blankney) ordina allora a Badsworth e Kujawiak – che sono rimasti arretrati a causa dell’accostata in
fuori eseguita mentre erano inquadrati dal tiro della XIV Squadriglia – di
dirigersi contro di essi, considerandoli pericolosi per il convoglio. Dato che
il Vivaldi sta per fermarsi,
tuttavia, entrambe le unità italiane ripiegano di nuovo all’interno della
cortina nebbiogena, e poco dopo (6.22) il Vivaldi
rimane effettivamente immobilizzato, con un violento incendio a bordo ed anche
il timone in avaria.
Badsworth e Kujawiak abbandonano
allora la manovra di attacco e riprendono a navigare verso il Cairo, ma alle 6.30 le navi della XIV
Squadriglia avvistano l’Ithuriel in
avvicinamento da una parte, seguito dal Cairo
e dal Matchless, e dall’altra parte
il Bedouin (che si trova
immobilizzato dopo essere stato colpito dal tiro della VII Divisione) ed il Partridge.
Alle 6.37, Ithuriel, Cairo e Matchless aprono
il fuoco contro Vivaldi e Malocello, che rispondono al fuoco; i
cacciatorpediniere avversari si avvicinano fino a 4500 metri, concentrandosi
sul Vivaldi in difficoltà. Otto colpi
cadono in mare tutti insieme a soli trenta metri dalla prua del Malocello (il quale, essendo il Vivaldi nascosto dalla cortina fumogena,
è divenuto il bersaglio principale, ma continua a non essere colpito). Il
caposquadriglia Castrogiovanni, del Vivaldi,
ordina al comandante Leoni del Malocello
di abbandonarlo e disimpegnarsi con la sua nave («Abbandonatemi et
allontanatevi alt Vivaldi»), ma il Malocello invece evoluisce intorno al
caposquadriglia immobilizzato per nasconderlo con ulteriori cortine fumogene,
continuando intanto a fare fuoco sul nemico, dopo di che va al contrattacco,
lanciando due siluri da 7000 metri contro un incrociatore e sparando coi
cannoni contro un cacciatorpediniere. Secondo la ricostruzione di Enrico
Cernuschi in un suo articolo su “Storia Militare” n. 205 e 206, l’incrociatore
oggetto del lancio del siluro sarebbe stato il Cairo, ed il cacciatorpediniere contro cui il Malocello sparò era l’Ithuriel
(che tre minuti dopo evitò un siluro con la manovra); Vincent P. O’Hara, nel
suo libro “In Passage Perilous” ritiene invece che il contrattacco del Malocello non sia stato diretto contro Cairo ed Ithuriel, bensì contro Blankney,
Badsworth, Middleton e Kujawiak,
emersi in quel momento da una cortina nebbiogena.
(Nel suo rapporto
telegrafico, inviato a Supermarina alle 18.20, Da Zara stimerà erroneamente che
il Malocello abbia silurato un
incrociatore ed un cacciatorpediniere durante la battaglia).
Il comandante Hardy
del Cairo, ritenendo che Vivaldi e Malocello costituiscano una minaccia per il convoglio, ordina che
quest’ultimo si allontani verso nordovest, manovra però che porterà a notevole
perdita di tempo.
Malocello e Vivaldi hanno poi
uno scambio di cannonate con Bedouin
e Partridge: alle 6.45 il Malocello concentra il suo tiro sul Bedouin, ed il Partridge comunica per errore al Cairo che esso sta attaccando il convoglio; pertanto, alle 6.48 il
comandante Hardy ordina ai quattro “Hunt” di invertire la rotta e tornare presso
il convoglio, per difenderlo dal ritorno dei due cacciatorpediniere della XIV
Squadriglia.
Sia il Vivaldi che i cacciatorpediniere
britannici lanciano due siluri gli uni contro gli altri, mancando in tutti i
casi; il comandante del Vivaldi,
credendo che la nave sia perduta, comunica «Combatterò fino all’ultimo. Viva il
re!», ma poco dopo le navi britanniche abbandonano il loro attacco e si
allontanano verso sud. Il Vivaldi è
salvo: rimessa faticosamente in moto, alle 6.46, la motrice poppiera, inizia a
navigare a bassa velocità verso Pantelleria, scortato dal Malocello. Castrogiovanni chiede a Leoni di mandare sul Vivaldi tutti gli estintori disponibili,
e di prendere a bordo del Malocello i
feriti del Vivaldi.
Nel frattempo,
infuria il combattimento tra le altre navi di Da Zara e la scorta britannica al
comando di Hardy. Eugenio e Montecuccoli ricevono un colpo ciascuno,
ma con danni lievissimi; il Cairo
viene anch’esso colpito una volta in modo non grave, mentre subiscono seri
danni Bedouin e Partridge, che rimangono immobilizzati. Il Marne, il Matchless e l’Ithuriel subiscono modesti danni da
schegge per colpi caduti vicini. Alle 6.18 l’ammiraglio Da Zara, informato
della critica situazione del Vivaldi
(che in quel momento è ancora immobilizzato e sotto l’attacco di almeno quattro
cacciatorpediniere nemici, difeso dal solo Malocello),
decide di inviare in suo soccorso tutta la X Squadriglia (capitano di vascello
Riccardo Pontremoli dell’Oriani),
mentre prosegue l’azione con i soli incrociatori.
Alle 7.55 (per altra
fonte, le 7.15) Oriani, Ascari e Premuda raggiungono il Vivaldi
ed il Malocello; alle 9.05 Da Zara
ordina a Pontremoli di riunirsi alla VII Divisione con le sue unità,
lasciandone una a cooperare con il Malocello
nella scorta ed assistenza al Vivaldi.
Alle 9.30, pertanto, Oriani ed Ascari tornano a ricongiungersi con la
VII Divisione, lasciando sul posto il Premuda
(capitano di fregata Mario Bartalesi) che, non essendosi potuto rifornire a
Trapani, è a corto di carburante.
Nel frattempo, il convoglio
britannico è attaccato anche dai velivoli dell’Asse, che approfittano del fatto
che buona parte della sua scorta ha dovuto lasciarlo sguarnito per affrontare
le navi di Da Zara: aerei italiani e tedeschi affondano il mercantile Chant e danneggiano la nave cisterna Kentucky, che viene presa a rimorchio
dal dragamine Hebe. Il Partridge, che è riuscito a rimettere in
moto, ha preso a rimorchio il Bedouin.
Un successivo attacco aereo immobilizza anche un altro mercantile, il Kentucky.
Gli incrociatori di Da
Zara, perso il contatto col convoglio alle 8.15 (avvolto nelle cortine
nebbiogene, si è allontanato verso nord), aggirano da sud lo sbarramento di
mine 7 AN e poi ritornano verso ovest per intercettare le navi britanniche;
alle 11.23 avvistano i fumi degli incendi delle navi colpite dagli aerei, e si
dirigono verso di esse. Alle 13.25 un aerosilurante italiano S.M. 79
“Sparviero” affonda l’immobilizzato Bedouin,
mentre Burdwan e Kentucky vengono finiti dall’azione combinata di Oriani ed Ascari e da altri attacchi aerei; il dragamine Hebe viene colpito dal tiro italiano. Le navi di Da Zara tentano
d’inseguire il Partridge, ma alle
14.20 abbandonano l’inseguimento, dato che le distanze non accennano a
diminuire ed anzi aumentano. Ha così termine il combattimento; i due mercantili
britannici superstiti, Orari e Troilus, e la loro scorta riusciranno a
raggiungere Malta, non prima però di essere finiti su un campo minato (posato
tempo addietro da MAS italiani e da S-Boote tedesche), subendo la perdita del
cacciatorpediniere polacco Kujawiak
ed il danneggiamento dell’Orari,
dell’Hebe e dei cacciatorpediniere Matchless e Badsworth.
Quanto alla XIV
Squadriglia, alle 6.55 escono da Pantelleria quattro MAS inviati dal comandante
di tale Zona Militare Marittima, contrammiraglio Amilcare Cesarano, per fornire
protezione a Vivaldi, Malocello e Premuda. In un secondo momento lo stesso ammiraglio Cesarano si
reca sul posto con altri due MAS, per verificare di persona la situazione ed i
provvedimenti da prendere. Il comandante Leoni, ritenendo inutile la presenza
dei MAS, suggerisce loro di andare ad attaccare il convoglio, ma essi
rispondono che i loro ordini sono di fornire scorta antisommergibili a Vivaldi e Malocello.
A bordo del Vivaldi, gli incendi divampano furiosamente,
nonostante gli sforzi dell’equipaggio per contrastarli; alle 8.30 un MAS si
porta sottobordo a Malocello e Premuda per imbarcare tutti gli
estintori disponibili sulle due unità e portarli sul Vivaldi, che ha esaurito i suoi. Intanto vengono trasferiti sul Malocello i feriti gravi del Vivaldi, che, mancando una vera e
propria infermeria, vengono adagiati sul pavimento della centrale di tiro. I
più sono terribilmente ustionati dalle fiamme e dal vapore e, nonostante le
cure prestate con i pochi mezzi disponibili a bordo (per le quali viene
totalmente esaurito il materiale medico di bordo: le iniezioni di morfina
vengono praticate fin quasi al raggiungimento della dose di tossicità, ma
spesso questo non è sufficiente), molti di essi, sbarcati a Pantelleria nel
pomeriggio, moriranno durante la notte seguente.
Alle 8.50 il Malocello cerca di prendere a rimorchio
il Vivaldi, ma il cavo si spezza. Ci
prova allora il Premuda (per altra
fonte, il Premuda avrebbe preso a
rimorchio il Vivaldi fin dalle 7.57),
ma alle 9.36 la formazione viene attaccata da quattro aerosiluranti Fairey
Albacore (altre fonti parlano, erroneamente, di Fairey Swordfish) dell’828th
Squadron della Fleet Air Arm, decollati da Malta insieme a due Bristol Beaufort
del 217th Squadron R.A.F. e guidati dal capitano di corvetta A. J.
J. Roe. Malocello e Premuda manovrano prontamente per
evitare i siluri e girano intorno al Vivaldi,
occultandolo con cortine nebbiogene: difatti nessuna delle tre navi viene
colpita, benché il Vivaldi sia
immobile. Proprio il Malocello è il
bersaglio principale dell’attacco: il comandante Leoni vede gli aerosiluranti,
provenienti da est, aprirsi a semicerchio (con un angolo di 45° tra ciascuno di
essi) in modo da attaccare da direzioni diverse per massimizzare la probabilità
di colpirlo, pertanto ordina di mettere le macchine avanti a tutta forza e di
aprire il fuoco con tutte le armi di bordo. Gli aerei sganciano i siluri da
circa 2000 metri di distanza, ma il Malocello
(che ne vede le scie), con rapide manovre a tutta forza, riesce a schivarli
tutti: prima accosta verso il primo aereo che ha lanciato, poi – avvistato un
secondo siluro sulla dritta – accosta a dritta (uno dei due siluri passa lungo
il lato di dritta, così vicino che Leoni può distinguerne chiaramente la
testata, dipinta di verde chiaro), infine – avvistati altri due siluri, uno a
dritta ed uno a sinistra – mette le macchine indietro tutta. L’ultimo siluro
passa a pochi metri, dopo di che l’equipaggio erompe in un applauso per lo
scampato pericolo. Le scie dei siluri formano una sorta di stella, il cui
centro dista poco più di trenta metri dalla prua del Malocello.
Il rabbioso tiro
contraereo di tutte le unità, MAS compresi, ha un ruolo notevole nello sventare
l’attacco. (Per altra versione, il Malocello
cerca di prendere il Vivaldi a
rimorchio alle 9.25, ma il tentativo è in corso quando, alle 9.30, avviene
l’attacco degli aerosiluranti: il Malocello,
bersaglio principale dell’attacco, deve allora accelerare rapidamente,
strappando i cavi di rimorchio – non c’è stato il tempo di mollarli – ed evitando
con rapide manovre i quattro siluri. Arriva poi il Premuda, che prende il Vivaldi
a rimorchio).
Alle 9.50 si verifica
un secondo attacco da parte di sette bombardieri, che sganciano circa 30 bombe
da 1500 metri di quota: tutti gli ordigni cadono in mare, a circa un chilometro
dal Vivaldi. (In realtà, si saprà in
seguito, non sono sette bombardieri ma nove e, soprattutto, sono italiani: nove
Savoia Marchetti S.M. 84, che li hanno scambiati per navi nemiche. Già alle
6.30 un bombardiere dell’Asse, in quel caso uno Junkes Ju 88 tedesco del KG 54,
aveva sganciato le sue bombe contro il Vivaldi,
facendo fortunatamente cilecca anche in quel caso).
Alle 10.15 il Premuda riesce finalmente a prendere il Vivaldi a rimorchio, e dirige a lento
moto verso Pantelleria; sul Vivaldi,
intanto, gli incendi continuano ad estendersi, e si verificano ripetuti scoppi.
Alle 12.18 si uniscono alla formazione due dragamine mandati da Pantelleria,
che a loro volta mandano tutti i loro estintori sulla nave in fiamme. Alle 14
le navi giungono nel porticciolo di Scauri, sulla costa sudoccidentale di
Pantelleria; l’incendio del Vivaldi
ha ormai assunto proporzioni tali da far dubitare della possibilità di salvare
la nave, ma alle 16 sopraggiunge un’attrezzatissima bettolina dei pompieri
proveniente da Pantelleria.
Alle 16.20 Malocello e Premuda ricevono ordine dall’ammiraglio Da Zara di riunirsi alla
VII Divisione ed alla X Squadriglia, che stanno passando in quelle acque mentre
rientrano alla base; la loro presenza non è più necessaria. Alle 16.40 anche il
comandante Castrogiovanni del Vivaldi
conferma a Malocello e Premuda
l’ordine di lasciare la zona. Le fiamme sul Vivaldi
verranno infine completamente domate verso le 21.
16 giugno 1942
Malocello, Oriani, Ascari, Eugenio e Montecuccoli
arrivano a Napoli alle 11. Il Premuda,
su ordine di Supermarina, ha invece raggiunto Trapani.
All’arrivo a Napoli,
la folla radunata sulle banchine applaude gli equipaggi del Malocello e delle altre navi; il capo di
Stato Maggiore della Marina, ammiraglio Arturo Riccardi, porta loro il saluto
ed il ringraziamento del governo e del Paese, e si reca poi a bordo di ciascuna
delle navi che hanno partecipato alla battaglia.
Durante tutta la
“battaglia di Pantelleria” (nome attribuito allo scontro navale combattuto
attorno al convoglio di “Harpoon” durante la battaglia di Mezzo Giugno), il Malocello ha sparato in tutto 329 colpi
da 120 mm e lanciato tre siluri.
Per la sua strenua
difesa del Vivaldi contro forze
nemiche preponderanti, il Malocello
diverrà uno dei due soli cacciatorpediniere (l’altro è proprio il Vivaldi) decorati di Medaglia d’Argento
al Valor Militare “alla bandiera”.
Il 18 giugno 1942, pochi giorni dopo la battaglia di Mezzo Giugno, il comandante Leoni, un sottufficiale e due marinai del Malocello, insieme ad analoghe rappresentanze degli equipaggi delle altre navi che avevano partecipato alla battaglia, vennero invitati dalla principessa di Piemonte, Maria José di Savoia (moglie del principe Umberto), nella sua villa di Posillipo. Uno di questi marinai era il sottocapo S.D.T. Guglielmo Menichetti, di 23 anni, da Lerici, che così descrive l’incontro nelle pagine del suo diario qui riportate (si ringrazia il cugino Eraldo Burgay). Guglielmo Menichetti, come la maggior parte dell’equipaggio del Malocello, avrebbe trovato la morte pochi mesi dopo, nell’affondamento della nave.
Il 18 giugno 1942, pochi giorni dopo la battaglia di Mezzo Giugno, il comandante Leoni, un sottufficiale e due marinai del Malocello, insieme ad analoghe rappresentanze degli equipaggi delle altre navi che avevano partecipato alla battaglia, vennero invitati dalla principessa di Piemonte, Maria José di Savoia (moglie del principe Umberto), nella sua villa di Posillipo. Uno di questi marinai era il sottocapo S.D.T. Guglielmo Menichetti, di 23 anni, da Lerici, che così descrive l’incontro nelle pagine del suo diario qui riportate (si ringrazia il cugino Eraldo Burgay). Guglielmo Menichetti, come la maggior parte dell’equipaggio del Malocello, avrebbe trovato la morte pochi mesi dopo, nell’affondamento della nave.
26 giugno 1942
Il Malocello e le altre navi che hanno
partecipato alla “battaglia di Pantelleria” (meno il Vivaldi, avviato ai lavori di riparazione per i gravissimi danni
riportati), radunate a Napoli, vengono visitate da Benito Mussolini, che
consegna poi personalmente le decorazioni individuali e collettive conferite ai
componenti dei loro equipaggi.
Il Malocello con l’equipaggio schierato a terra, a Napoli, in attesa dell’arrivo di Mussolini, 26 giugno 1942 (da Facebook) |
15 luglio 1942
A seguito
dell’avvistamento del posamine veloce britannico Manxman, segnalato nella rada di Philippeville con rotta verso est
(è in navigazione da Gibilterra a Malta con un carico di carburante), il Malocello, che si trova a Trapani,
riceve ordine di prendere il mare per intercettarlo. Gli ordini prevedono che
la nave si trovi alle ore 20 una ventina di miglia a nord di Capo Bon, dove,
congiuntasi col Gioberti, dovrebbe
incontrare il Manxman.
Alle 17.30 il Malocello lascia Trapani e fa rotta a
tutta forza verso Capo Bon, ma dopo aver scapolato le isole Egadi incontra mare
sempre più mosso, che lo costringe a ridurre la velocità. C’è però un fonte
vento di sudovest, che mantiene il cielo limpido ed agevola l’avvistamento di
navi nemiche.
Alle 20 il Malocello è nella posizione prevista al
largo di Capo Bon, quando gli viene comunicato che il Gioberti non arriverà, causa un’avaria. Il mare si fa sempre più
grosso, tanto da strappare dal suo alloggiamento il motoscafo del Malocello (al quale, come a tutte le
altre imbarcazioni, sono state tolte le rizze per ordine del comandante Leoni,
in vista dell’imminente combattimento); il Manxman
non si fa vedere, e poco dopo le 21 arriva l’ordine di rientrare a Trapani.
A mezzanotte, quando
il Malocello sta ormai arrivando in
porto, arriva un telegramma PAPA di
Supermarina che gli ordina di trovarsi entro le 6 dieci miglia a sud di
Pantelleria, dove – in cooperazione con alcuni MAS – dovrà intercettare il Manxman, che sarebbe stato colpito da una
bomba d’aereo con conseguente riduzione della velocità.
16 luglio 1942
Durante la
navigazione verso Pantelleria, il mare diviene sempre più grosso, tanto da
costringere il Malocello a procedere
a velocità ridotta. Riesce comunque a raggiungere in orario la zona assegnata,
ma non avvista né il Manxman né i
MAS; alle 9 arriva l’ordine di tornare in porto: il Manxman non è stato colpito da nessuna bomba, ed ha raggiunto Malta
proprio mentre il Malocello giungeva
nei pressi di Pantelleria.
18 luglio 1942
In mattinata il Malocello imbarca a Trapani 104 mine
destinate ad uno sbarramento da posare nel Canale di Sicilia, al largo di Capo
Bon, insieme alla nave cisterna-posamine Volturno
(che imbarca 122 mine). Supermarina ha deciso di posare tale sbarramento dopo
che il convoglio di “Harpoon”, durante la battaglia di Mezzo Giugno, è riuscito
a passare nel Canale di Sicilia senza subire danni sui campi minati già
presenti: questo perché esiste un passaggio ampio circa quattro miglia tra la
costa della Tunisia e l’estremità della spezzata «S 11», la più vicina alla
costa. Proprio lì è passato il convoglio britannico a mezzo giugno: è stata
allora presa la decisione di minare anche tale passaggio.
Alle 11.30 Malocello e Volturno, insieme alla torpediniera Centauro (incaricata della loro scorta e della ricognizione della
costa), lasciano Trapani per eseguire la posa; ma alle 14.45, improvvisamente,
ricevono ordine di invertire la rotta e tornare a Trapani.
Il motivo del
contrordine è legato ad una comunicazione dell’ufficiale di collegamento della
Kriegsmarine in Italia, ammiraglio Eberhard Weichold, il quale ha riferito che
Berlino, pur non intendo interferire nell’attività della Marina italiana, “non
potrebbe associarsi alla responsabilità politica derivante da operazione [di
posa dello sbarramento]”, a meno che esso non fosse posato “soltanto quando
manifestatosi serio urgente pericolo” e che avesse soltanto “carattere
temporaneo”. Lo sbarramento, infatti, dovrebbe essere posato nelle acque
territoriali della Tunisia, controllata dalla Francia di Vichy, formalmente
“neutrale”, ed andrebbe a contrastare con le condizioni di armistizio con la
Francia, che Hitler desidera rispettare a tutti i costi.
Fatte rientrare le
navi in porto, Supermarina modifica così interamente il piano dello
sbarramento, che da «S 6» viene ribattezzato «S.t. 1» (cioè «Sbarramento
temporaneo 1»): esso sarà composto, anziché dalle normali mine usate
comunemente, da mine a temporaneo galleggiamento, per la precisione 110 mine
V.E. dotate di congegni di autoaffondamento, che verranno regolati in modo da
farle affondare 48 ore dopo la posa, rendendole così inoffensive. Lo
sbarramento dovrà essere posato soltanto quando si avrà la certezza
dell’imminente tentativo di transito nel Canale di Sicilia da parte di
importanti gruppi navali o convogli nemici.
Agosto 1942
Il comandante Mario
Leoni lascia il comando del Malocello,
venendo sostituito dal capitano di fregata Pierfrancesco Tona.
10 agosto 1942
A seguito di vari
avvistamenti di ricognitori, Supermarina apprezza che almeno 57 navi
britanniche, provenienti da Gibilterra, siano dirette verso est: viene
correttamente giudicato che si tratti di un nuovo tentativo britannico di
rifornire Malta mediante l’invio di un grosso convoglio, scortato da una poderosa
formazione navale. E difatti è proprio così: i britannici hanno organizzato
l’operazione «Pedestal», ed hanno inviato verso Malta un convoglio di 14 navi
mercantili (13 navi da carico ed una nave cisterna, l’Ohio) con la scorta diretta di 4 incrociatori leggeri e 11
cacciatorpediniere (Forza X) ed un gruppo di appoggio, che accompagnerà il
convoglio fino al Canale di Sicilia, composto da ben 2 corazzate, 3 portaerei,
3 incrociatori leggeri e 15 cacciatorpediniere (Forza Z). L’insieme delle
operazioni di contrasto dell’Asse a “Pedestal” prenderà il nome di “battaglia
di Mezzo Agosto”, la più grande battaglia aeronavale mai combattuta nel
Mediterraneo.
L’invio del convoglio
di “Pedestal” fornisce proprio l’occasione di “serio urgente pericolo”
necessario a giustificare la posa dello sbarramento temporaneo «S.t. 1»: e nel
quadro delle operazioni di contrasto a tale convoglio, insieme agli agguati di
sommergibili e motosiluranti ed all’invio di due divisioni di incrociatori,
Supermarina include anche la posa di tale campo minato da parte del Malocello.
11 agosto 1942
Il Malocello (capitano di fregata
Pierfrancesco Tona) salpa da Trapani alle 16.20 per eseguire la posa dello
sbarramento «S.t. 1». Dopo circa un’ora, il Malocello
si congiunge con la torpediniera Climene
(capitano di corvetta Cerqueti), incaricata della sua scorta e protezione
durante la navigazione e la posa.
Alle 21.45, arrivati
nelle acque di Capo Bon, il Malocello
dà alla Climene libertà di manovra,
affinché esegua il pendolamento protettivo come ordinato.
Alle 22.20, a circa 6
miglia per 154° da Capo Bon, il Malocello
avvista delle ombre (per altra fonte, luci oscurate) a proravia sinistra, verso
sud-sudest (mentre sulla sua dritta si trovano i MAS 552 e 553, inviati
sul posto per agevolare l’individuazione del punto di posa mediante l’emissione
di segnali luminosi per orientare il Malocello);
non essendo in grado di sostenere un combattimento, avendo le mine già
innescate (con cappellozzi tolti e rizze in buona parte già mollate) e pronte
alla posa, la cui presenza impedisce peraltro l’uso dei tubi lanciasiluri e dei
complessi binati da 120 mm del centro e di poppa, accosta verso ovest per
avvicinarsi alla costa, e riduce la velocità a 12 nodi per diminuire la
possibilità di essere avvistato. Poco dopo, le ombre vengono identificate come
tre navi e due siluranti che procedono con rotta nord; il comandante Tona
ritiene che si tratti di un convoglio italiano o francese, non indicato tra gli
incontri previsti. Ad ogni modo, essendo il compito primario del Malocello la posa dello sbarramento, il
comandante Tona decide di proseguire, cercando di non farsi vedere, per portare
a termine la missione; le navi sconosciute non sembrano vedere il Malocello nemmeno quando questi passa al
traverso dell’ultima di esse, ma alle 22.25, quando ormai tale silurante si
trova nei quartieri di poppa del Malocello,
essa spara una salva di due colpi, che scoppiano circa 400 metri a poppavia del
traverso.
In realtà, le navi
avvistate non sono né italiane né francesi, bensì britanniche: si tratta dei
due mercantili superstiti di “Harpoon”, Orari
e Troilus, che stanno rientrando da
Malta a Gibilterra, scortati dai cacciatorpediniere Badsworth e Matchless (le
quattro navi costituiscono la Forza Y), con l’operazione “Ascendant”, una delle
operazioni secondarie di “Pedestal” (per cercare di ridurre il pericolo di
attacchi aerei italo-tedeschi, gli equipaggi britannici hanno dipinto sulle
prue delle navi le strisce di riconoscimento bianche e rosse in uso sulle unità
della Regia Marina). Il Badsworth ed
il Matchless erano due delle navi che
il Malocello ha affrontato nella
battaglia di Pantelleria, quasi esattamente due mesi prima: ora questi
avversari s’incontrano di nuovo, ma resteranno tutti reciprocamente all’oscuro
delle rispettive identità.
Le navi procedono
nell’ordine Matchless-Orari-Troilus-Badsworth; alle
22.25 il Matchless (capitano di
corvetta J. Mowlam) ha notato il Malocello
– del quale però non conosce l’identità – a 40° di poppa sinistra, accostando
pertanto a dritta e sparando contro di esso i due colpi, ordinando al contempo
al convoglio di virare verso est per allontanarsi dalla potenziale minaccia.
Il Malocello risponde immediatamente al
fuoco col complesso prodiero da 120 mm, l’unico utilizzabile; vi è un breve ed
infruttuoso scambio di colpi. La silurante che ha aperto il fuoco accende il
proiettore dopo la prima salva, illumina in pieno la bandiera del
cacciatorpediniere italiano e poi, dopo pochi secondi, spegne il proiettore e
prosegue per la sua rotta: ha scambiato la bandiera italiana del Malocello per quella francese, ed ha
erroneamente concluso che la nave incontrata sia un dragamine francese classe
Élan. Il comandante del Matchless,
che ha anche sparato alcuni proiettili illuminanti per vederci meglio, crede
anche di vedere l’altra nave effettuare dei segnali di riconoscimento
corrispondenti a quelli della Marina francese.
L’azione di fuoco ha
brevissima durata, dopo di che la Forza Y accosta verso est e sparisce. Il Malocello, intanto, ha portato la velocità
a 20 nodi ed ha accostato a sinistra in modo da tenere il convoglio nel campo
di tiro dell’impianto binato di prua (per altra fonte, allo scopo di mettere in
campo tutti e tre gli impianti da 120: ma ciò non dovrebbe essere stato
comunque possibile, per i motivi sopra accennati); dopo lo spegnimento del
proiettore da parte dell’unità britannica, tuttavia, non vede più alcuna
traccia delle altre navi. Dato che entrambi i comandanti hanno una missione da
compiere, per la quale sarebbe meglio evitare uno scontro con unità nemiche, da
ambo le parti si decide di non indugiare oltre, e di proseguire nelle
rispettive missioni.
Alle 22.45, al largo
di Capo Bon, una volta giunto su fondali di 15 metri (allo scopo, viene
eseguito scandagliamento ultrasonoro), il Malocello
può finalmente iniziare la posa della linea «a» dello sbarramento «S.t. 1», che
completa alle 23; quindici minuti dopo ultima anche la posa della linea «b». Le
due linee, composte da 52 mine ciascuna (con un intervallo di 50 metri tra ogni
ordigno), presentano un’angolazione di 120° tra loro e di circa 60°
sull’allineamento Ras Iddah-Ras el Mirh. In tutto vengono posate 104 mine tipo
V.E., dotate di meccanismo di autoaffondamento e di rampino antidragante,
regolate per tre metri di profondità; la posa avviene senza intoppi, dopo di
che la nave fa rotta su Trapani, passando vicino alla costa sudoccidentale di
Pantelleria.
12 agosto 1942
Il Malocello arriva a Trapani alle 10.
Nessuna delle navi di «Pedestal» capiterà sulle mine dello sbarramento «S.t. 1»,
mentre molte verranno affondate da aerei, sommergibili e motosiluranti (quattro
mercantili e l’Ohio, però,
riusciranno a raggiungere Malta ed a consegnare abbastanza rifornimenti da
permettere la sopravvivenza dell’isola). Uno dei cacciatorpediniere della
scorta del convoglio britannico, l’Ashanti,
vedrà bensì due mine ad antenna, galleggianti in superficie, passargli lungo la
murata ad appena tre metri di distanza; i loro cavi di ormeggio sono stati
probabilmente tranciati dai divergenti dei cacciatorpediniere che effettuano
dragaggio a proravia del convoglio.
Scadute le
quarantott’ore, tutte le mine si autoaffonderanno, come programmato, rendendo
la zona nuovamente navigabile (come confermato da un dragaggio esplorativo
eseguito a fine agosto da tre unità della XVIII Flottiglia Dragamine).
14 agosto 1942
Mentre la battaglia
di Mezzo Agosto volge al termine, il Malocello
esce nuovamente da Trapani alle 2.15 per intercettare un mercantile
danneggiato, che – in base a segnalazioni fatte – dovrebbe trovarsi a sud di
Pantelleria. Il presunto mercantile non viene trovato; alle 6.40 il Malocello localizza quello che ritiene
essere sommergibile e gli dà la caccia per qualche tempo, poi riprende la sua
ricerca ed alle 11.02 avvista un’ampia chiazza di nafta e rottami 35 miglia a
sud di Pantelleria. Ad un velivolo della ricognizione marittima, che lo
accompagna, il Malocello ordina di
perlustrare una vasta zona, ma l’aereo torna alle 13 comunicando di non aver
visto nulla. A questo punto il Malocello
dirige per il ritorno a Trapani, ove arriva alle 19.30. Per tutta la durata
della navigazione è stato scortato da pattuglie di caccia della Regia
Aeronautica e della Luftwaffe.
18 agosto 1942
Il Malocello ed il cacciatorpediniere Maestrale salpano da Trapani in mattinata
per andare a soccorrere i naufraghi della motonave Rosolino Pilo, affondata dal sommergibile britannico United dopo
essere stata immobilizzata da un attacco aereo sulla rotta Trapani-Tripoli.
Viene inviato sul posto, da Pantelleria, anche il rimorchiatore Montecristo; tra tutti e tre, Malocello, Maestrale e Montecristo riescono
a trarre in salvo tutto il personale imbarcato sulla Pilo, tranne un membro dell’equipaggio civile.
Agosto 1942-Gennaio 1943
Verso fine agosto il Malocello passa in riserva e viene
mandato a La Spezia per un lungo periodo di grandi lavori in Arsenale,
necessari dopo l’incessante e prolungata attività bellica che ha svolto, che si
protrarranno per quattro mesi.
Durante questi
lavori, nel dicembre 1942, viene dotato di un ecogoniometro e di un radar per
la direzione del tiro di produzione tedesca “De.Te” (a seconda delle fonti, tipo Fu.Mo 21/39, o Fu.Mo
21/40 G, o Fu.Mo 24 GW, o Fu.Mo 26/40 G, o Fu.Mo 31/42 G, con antenna “Veltro”).
Viene inoltre
sbarcato uno degli impianti lanciasiluri trinati da 533 mm, mentre vengono
imbarcate due mitragliere singole Breda 1939 da 37/54 mm.
Agli inizi del 1943
verrà installato anche un apparato tedesco “Metox” per la rilevazione delle
emissioni radar provenienti da altre unità.
Gennaio 1943
Conclusi i lavori a
La Spezia, il Malocello torna
operativo.
24 gennaio 1943
Il Malocello (capitano di fregata Carlo
Rossi) parte da Napoli alle 00.20 per trasferirsi a Trapani, dove giunge alle
11.50, ed iniziare la sua partecipazione alle missioni di trasporto truppe
verso la Tunisia.
Alle 5.35, in
posizione 39°12’ N e 13°12’ E (circa 35 miglia a nord di Ustica), il Malocello localizza il sommergibile
britannico P 211 (poi Safari, capitano di fregata Benjamin
Bryant), che si è portato a quota periscopica per attaccarlo, e contrattacca
col lancio di 17 bombe di profondità in tre passaggi (anche se sul P 211 vengono contate le esplosioni di
32 bombe), prima di perdere il contatto a causa del malfunzionamento del sonar.
Il P 211 non subisce danni.
Sempre durante la navigazione
di trasferimento, il Malocello si
trova a passare nella zona in cui, alcune ore prima, è stato affondato da aerei
il piroscafo Verona; il
cacciatorpediniere trova tre naufraghi del piroscafo, tra i quali il suo
comandante (capitano di lungo corso Giusto Panfili), e li trae in salvo,
sbarcandoli poi a Trapani.
28 gennaio 1943
Il Malocello (caposquadriglia) ed i
cacciatorpediniere Ascari e Corazziere salpano da Trapani per Tunisi
alle 3.30 in missione di trasporto truppe. Hanno a bordo, complessivamente, 990
militari.
Giunti a Tunisi alle
10.30, i tre cacciatorpediniere sbarcano le truppe, imbarcano 500 rimpatrianti
dalla Tripolitania e ripartono alle 12.40 per Trapani, dove arrivano alle
22.10.
Il Malocello, primo a destra, con (procedendo verso sinistra) Da Noli, Zeno, Corazziere ed un’altra unità (forse il Legionario) a metà gennaio 1943 (Coll. N. Siracusano, via M. Brescia e www.associazione-venus.it) |
1° febbraio 1943
Malocello, Zeno, Da Noli, Corazziere e Legionario
(caposquadriglia) salpano da Trapani per Tunisi alle 6.30, trasportando 1700
militari nonché un carico di materiali vari.
Alle 13.30 i
cacciatorpediniere vengono infruttuosamente attaccati da aerei all’imboccatura
di La Goletta; approdati a Tunisi mezz’ora dopo, mettono a terra truppe e
carico e poi ripartono alle 15.45, trasportando 470 rimpatrianti. Alle 19
vengono nuovamente attaccati da aerei, ma non subiscono danni, ed arrivano a
Trapani alle 23.30.
5 febbraio 1943
Malocello (nave ammiraglia), Da Noli,
Zeno e Corazziere partono da Trapani per Tunisi all’una di notte,
trasportando 920 soldati e materiali vari. Arrivano a Tunisi alle 9.45,
sbarcano truppe e carico e ripartono alle 11.15, giungendo a Trapani alle
20.30.
Durante la
navigazione, nei pressi di Kelibia, il Malocello
tocca leggermente il fondo, ma non subisce danni.
8 febbraio 1943
Malocello, Pigafetta, Da Noli, Zeno ed i più moderni cacciatorpediniere Mitragliere e Legionario
caricano a Trapani le mine destinate alla spezzata «S 62», da posare sulla
linea Capo Bon-Marettimo con duplice scopo antinave ed antisommergibili, per
insidiare le unità nemiche che tentassero di attaccare il naviglio dell’Asse
sulla rotta di sicurezza per Trapani.
Il Malocello, al pari del Pigafetta, imbarca 29 mine ad antenna
tipo EMC e 52 mine magnetiche tipo EMF, mentre Da Noli e Zeno caricano
ciascuno 34 EMC e 52 EMF, e Mitragliere
e Legionario 50 P 200.
Per far sì che lo
sbarramento sia efficace sia contro unità di superficie che contro
sommergibili, le mine dovranno essere posate a sei profondità diverse, comprese
tra i 3 ed i 50 metri: Malocello e Pigafetta, in particolare, devono
regolare le loro EMC per 35 metri di profondità, e le EMF per 15 metri. Le mine
delle diverse file saranno sfalsate.
Alle 11.35 i sei
cacciatorpediniere, al comando dell’ammiraglio Lorenzo Gasparri (imbarcato sul Pigafetta), salpano da Trapani, e dopo
un’ora vengono raggiunti da tre MAS, che li scorteranno durante l’intera
missione, nonostante il mare mosso.
La posa ha inizio alle
13.18, a 14 nodi di velocità; affinché le mine siano sfalsate tra le file, il Pigafetta lancia la prima, poi lo Zeno lancia la prima delle sue dopo 9
secondi, il Malocello (in sezione col
Pigafetta) dopo 10 secondi, il Legionario dopo 11, il Da Noli dopo 18 secondi ed il Mitragliere dopo 24. Malocello e Pigafetta posano le loro mine ad intervalli di 19 secondi,
lasciando 140 metri tra una mina e quella successiva. Le file, andando da
destra verso sinistra, sono posate nell’ordine da Da Noli, Zeno, Pigafetta, Malocello, Legionario e Mitragliere. La distanza tra le file è
di 400 metri, eccetto che tra quelle di Legionario
e Mitragliere, dove è solo di 200
metri.
La rotta di posa
iniziale è 181; alle 13.40, dopo 4,9 miglia, tutti i cacciatorpediniere accostano
ad un tempo di 35° a dritta. A Mitragliere
e Legionario, che hanno posato tutte
le mine, viene data libertà di manovra per raggiungere Palermo, mentre i
“Navigatori” continuano la posa sulla nuova rotta, 216°, per altre 7 miglia,
fino alle 14.11, quando ultimano la posa delle ultime mine magnetiche. A questo
punto si dispongono in linea di fila e fanno rotta per Trapani a 20 nodi.
Durante la posa sono esplose prematuramente tre mine.
Malocello, Pigafetta, Da Noli e Zeno entrano a Trapani alle 16.
21 febbraio 1943
Malocello ed Alpino salpano da
Trapani per Tunisi alle 5.30, in missione di trasporto truppe.
In mare aperto Malocello ed Alpino si uniscono ai cacciatorpediniere Da Noli, Pigafetta
(caposquadriglia) e Zeno, provenienti
da Palermo; in tutto, i cinque cacciatorpediniere trasportano 2100 uomini.
Arrivate a Tunisi a
mezzogiorno, le unità sbarcano le truppe e ripartono alle 13.50, arrivando a
Trapani alle 21.30 (meno l’Alpino,
che raggiunge invece Palermo).
27 febbraio 1943
Malocello, Pigafetta (capitano
di vascello Rodolfo Del Minio, caposquadriglia), Da Noli, Zeno ed il
cacciatorpediniere Alpino salpano da
Trapani all’1.45 con le mine destinate allo sbarramento «S 101», da posare a
sud di Pantelleria per proteggere le rotte verso la Tunisia da attacchi di navi
di superficie aventi base a Malta. I “Navigatori” trasportano 86 mine EMF
ciascuno, l’Alpino 50 P 200.
Alle 3.17 i
cacciatorpediniere portano la velocità a 22 nodi e si dirigono verso
Pantelleria; all’alba vengono raggiunti da quattro MAS, che ne assumono la
scorta, nonché da cinque velivoli della Luftwaffe, tra cui tre caccia.
La posa ha inizio
alle 6.49; le file parallele, sfalsate tra loro, sono posate nell’ordine, da
sinistra verso dritta, da Da Noli, Zeno, Pigafetta, Malocello ed Alpino. Le file sono distanziate tra
loro di 400 metri, la rotta di posa è 197° e la lunghezza totale delle file di
16,3 miglia. Tutte le EMF sono regolate per 15 metri di profondità, e
distanziate tra loro di 350 metri.
Alle 7.29 l’Alpino termina la posa delle sue mine ed
inizia a zigzagare, mentre il Malocello
e gli altri “Navigatori” lanciano l’ultima mina poco dopo le 7.59 (per primo il
Pigafetta, alle 7.59, ed in
successione Malocello, Zeno e Da Noli). Dodici mine esplodono prematuramente, tra la mezz’ora
prima della fine della posa e la mezz’ora dopo.
Mentre i
cacciatorpediniere manovrano per tornare in linea di fila ed iniziare la
navigazione di rientro, uno dei velivoli della scorta aerea segnala un
sommergibile nei pressi; i MAS vengono inviati a dargli la caccia, riassumendo
le posizioni di scorta alle 8.20.
I cacciatorpediniere
si dirigono verso Pantelleria a 22 nodi. Alle 9.34, due miglia ad ovest di Capo
Sideri, il Pigafetta avvista la scia
di un siluro; tutte le navi accostano d’urgenza a sinistra, tornando sulla
rotta dopo due minuti.
Nel corso della fase
conclusiva di questa manovra, tuttavia, il Da
Noli subisce un’avaria al timone e sperona lo Zeno: la prua del Da Noli
viene in gran parte dilaniata dalla collisione, mentre lo Zeno riporta un grosso squarcio nel fianco.
Benché i danni siano
gravi, entrambi i cacciatorpediniere mantengono la loro galleggiabilità; Malocello, Pigafetta ed Alpino
girano intorno a loro fino a quando non risulta possibile appurare le loro
condizioni. Alcuni uomini, caduti in mare a seguito della collisione, vengono
recuperati, e tre feriti gravi vengono trasferiti su un MAS, che li porta
immediatamente a Pantelleria.
Una volta che si è
verificato che sia Da Noli che Zeno sono in grado di navigare a 12
nodi, viene ripresa la navigazione; i due cacciatorpediniere danneggiati
avanzano in linea di fila, con Malocello
e Pigafetta sui lati, mentre l’Alpino, dovendo raggiungere Palermo,
viene lasciato libero. Alle 18.15 Malocello,
Pigafetta, Da Noli e Zeno
raggiungono Trapani.
Il grave danneggiamento
di Da Noli e Zeno, due delle poche unità dotate di ferroguide adatte per la posa
di mine tedesche (ormai usate in prevalenza rispetto a quelle italiane), ha
effetti nefasti sulle operazioni di posa delle mine, riducendo drasticamente il
già ridotto numero di unità disponibili per simili missioni; pochi giorni dopo,
la situazione peggiorerà ulteriormente con la perdita del Geniere, affondato da un bombardamento a Palermo il 1° marzo, e con
la necessità di avviare il logorato Pigafetta
ai lavori, il 13 marzo. I comandi, inoltre, decideranno di dare la priorità
alle missioni di trasporto truppe, rispetto a quelle di posa di mine.
Di conseguenza, l’«S
101» sarà l’ultimo campo minato posato da unità italiane nel Canale di Sicilia:
gli altri quattro che, nei piani di Supermarina, avrebbero dovuto comporre
insieme all’«S 101» lo sbarramento «S 10» non verranno infatti mai posati, a
causa del precipitare della situazione.
1° marzo 1943
Malocello, Pigafetta
(caposquadriglia) e Premuda salpano
da Trapani per Tunisi alle 7.20, in missione di trasporto truppe.
Dopo le Egadi si
uniscono alla formazione anche i cacciatorpediniere Fuciliere ed Alpino,
partiti da Palermo; in tutto, le cinque unità trasportano 1930 militari.
Alle 13.25 i
cacciatorpediniere entrano a Tunisi, ed alle 14.30, dopo aver celermente
sbarcato le truppe, ne ripartono: Malocello,
Pigafetta (caposquadriglia) e Premuda verso Trapani, Fuciliere ed Alpino verso Palermo.
2 marzo 1943
Malocello, Pigafetta e Premuda arrivano a Trapani alle 3.20.
19 marzo 1943
Il Malocello ed il gemello Leone Pancaldo salpano da Napoli per
Tunisi alle 19, in missione di trasporto truppe.
Il Malocello alla fonda davanti a La
Goletta (Tunisi) il 20-21 marzo 1943, per sbarcare le truppe tedesche che ha
portato in Tunisia (sopra: da “Mussolini’s Navy” di Maurizio Brescia; sotto: g.c.
STORIA militare)
20 marzo 1943
Arrivati a Tunisi
alle 10, Malocello e Pancaldo sbarcano le truppe e ripartono
dopo appena 55 minuti.
Alle 15.50, in
posizione 38°02’ N e 11°47’ E, il sommergibile britannico Saracen (tenente di vascello Michael Geoffrey Rawson Lumby) avvista
Malocello e Pancaldo in avvicinamento da ovest, con rotta a zig zag e continuo
mutamento della velocità; proprio l’impossibilità di determinare la velocità
dei bersagli induce il comandante del Saracen
a rinunciare ad attaccare, benché le due navi passino a soli 1370 metri di
distanza. Malocello e Pancaldo non si accorgono della presenza
del sommergibile.
21 marzo 1943
I due cacciatorpediniere
giungono a Napoli alle 2.45.
Una foto aerea del Malocello scattata durante le prove di macchina, nel 1930 (g.c. Carlo Di Nitto via www.naviearmatori.net) |
Mine
Alle 18.40 (per altra
fonte, le 19.40) del 23 marzo 1943 il Malocello,
al comando del capitano di fregata Carlo Rossi, salpò da Pozzuoli insieme al
gemello Leone Pancaldo (capitano di
fregata Antonio Raffai) per una nuova missione di trasporto truppe verso la
Tunisia.
Sul Malocello, oltre ai 241 uomini
dell’equipaggio, si trovavano 359 tra ufficiali e soldati tedeschi con il loro
armamento: in tutto, pertanto, esattamente 600 uomini.
Pochi giorni prima
della partenza (come ricordò Mario Leoni, che per sua fortuna era stato da
tempo destinato ad altro incarico, nelle sue memorie), si era verificato un
episodio cui la tradizionale superstizione dei marinai avrebbe potuto
attribuire un significato di cattivo auspicio: la scomparsa della mascotte di
bordo, uno scotch terrier nero di nome Buby. Questo cane era imbarcato sul Malocello fin dall’inizio della guerra,
nel 1940; aveva “partecipato” a tutte le missioni della nave, da quelle di
scorta convogli e di posa mine alla battaglia di Pantelleria, e nonostante il
suo terribile carattere (aggrediva rabbiosamente, abbaiando e mordendo,
chiunque osasse salire a bordo e non fosse un membro dell’equipaggio, compreso
il caposquadriglia Galati, e dava una caccia senza quartiere al gatto di bordo)
era benvoluto dall’equipaggio perché si credeva che portasse fortuna: cosicché
i marinai di ritorno dalla franchigia gli portavano sempre delle caramelle in
regalo, e durante le soste in porto lo portavano a prendere il gelato o persino
al cinema. Forse questa credenza era dovuta al fatto che in quei quasi tre anni
d’intensa attività il Malocello, caso
più unico che raro, non era praticamente mai stato danneggiato. In
un’occasione, Buby aveva morso due giovani ufficiali di complemento appena
imbarcati sul Malocello, mandandoli
all’ospedale; il cane era stato di conseguenza rinchiuso nel locale canile
municipale ed il locale Comando Marina aveva preteso che non tornasse mai più a
bordo, ma l’equipaggio del cacciatorpediniere, dichiarando di “non fidarsi più”
ad andare per mare senza di lui, si era offerto di pagare danni e spese ed
aveva infatti pagato 2000 lire di multe, ottenendo la liberazione ed il
reimbarco della bestiola “portafortuna”. Sul Malocello, Buby aveva persino una propria piastrina di
riconoscimento ed un salvagente “personale”. Pochi giorni prima del 23 marzo,
dopo tre anni di permanenza a bordo, Buby scese a terra e non tornò mai più a
bordo del Malocello. Non se ne ebbero
più notizie.
Alle 20 del 23 marzo Malocello e Pancaldo vennero raggiunti da un terzo cacciatorpediniere, il Camicia Nera (capitano di fregata Mario
Trabucchi), proveniente da Gaeta (era partito alle 17.40).
Alle 5.50 si unì al
gruppo anche il cacciatorpediniere Ascari
(capitano di fregata Mario Gerini), partito da Palermo alle 22.50 del giorno
precedente, che assunse il comando della formazione.
Tutti e quattro i
cacciatorpediniere erano carichi di truppe tedesche, con le relative armi: in
tutto circa 1300-1400 uomini della Wehrmacht, equamente distribuiti (circa
300-350 per nave). La destinazione era Tunisi.
Le navi procedevano
nel canale in linea di fila, zigzagando a 27 nodi di velocità: apriva la
formazione il Malocello (e proprio
questa, con ogni probabilità, fu la ragione della sua fine), seguito dal Pancaldo, mentre l’Ascari era in terza posizione ed il Camicia Nera chiudeva la fila.
Alle 6.44 venne
cessato temporaneamente lo zigzagamento in modo da poter accostare, e la
formazione assunse rotta 201°, che avrebbe dovuto portarla a passare tra gli
sbarramenti italiani X 2 e S 73, con direzione su Zembretta.
Alle 7.05 venne
avvistato un gruppo di unità distante circa 12 km, su rilevamento 160° (cioè
sulla sinistra), ed il Malocello
ordinò il posto di combattimento per cinque minuti; alle 7.25 fu avvistato un
secondo gruppo di navi, distanti una quindicina di chilometri, sempre su
rilevamento 160°, ma entrambi i gruppi vennero poi identificati come convogli
italiani provenienti dalla Tunisia.
La tragedia ebbe
inizio alle 7.28 del 24 marzo, quando, circa 28 miglia a nord di Capo Bon, il Malocello urtò una mina a centro nave,
sul lato di dritta, e rimase immobilizzato, fermandosi e sbandando sulla dritta,
avvolto in una nube bianca.
I cacciatorpediniere
erano capitati su un campo minato posato il precedente 8 marzo dal posamine
veloce britannico Abdiel: 160 mine
divise in due spezzate, all’incirca a metà strada tra Biserta e le isole Egadi.
Sul momento, tuttavia, non ci si rese conto che il Malocello aveva urtato una mina: si pensò invece ad un siluramento
(era ben difficile capire se un’esplosione subacquea fosse causata da mine o
siluri), ed infatti il Malocello
stesso comunicò alle altre navi «siluro a dritta», dopo di che gli altri tre
cacciatorpediniere accostarono a sinistra.
Inizialmente vi fu
qualche momento d’indecisione sul da farsi, causato dal fatto che le navi si
erano riunite in mare aperto, partendo da porti diversi, ed i loro comandanti
non avevano quindi potuto concordare alcunché su cosa fare in circostanze
impreviste: alcuni dei comandanti, ad esempio, non sapevano chi fosse imbarcato
sul Malocello e chi fosse il
comandante del Pancaldo.
Poco dopo il capo
formazione, Gerini (che era alla sua prima missione di questo tipo), ordinò a Pancaldo e Camicia Nera di proseguire per Tunisi (ove entrambi giunsero
intorno alle 10.30), mentre col suo Ascari
rimase sul posto ad assistere la nave danneggiata. Sul Malocello, equipaggio italiano e soldati tedeschi aspettavano
ordinati e silenziosi. Alcuni uomini erano in mare, tuffatisi o gettati
dall’esplosione.
A dispetto del mare
molto agitato (forza 3-4 da Scirocco),
che certo non favoriva una manovra del genere, l’Ascari riuscì ad affiancarsi sul lato sinistro del Malocello, con l’intento di trasbordarne
il personale non necessario; ma non appena le due navi furono affiancate
l’apparato «T.A.G.» dell’Ascari (uno
strumento di produzione tedesca, da poco installato, che serviva a rilevare e
segnalare siluri in movimento) segnalò un siluro sulla sinistra, costringendo
il cacciatorpediniere a tagliare i cavi d’ormeggio che già erano stati tesi tra
Ascari e Malocello, mettere le macchine avanti tutta ed effettuare un ampio
giro sulla sinistra, lanciando otto bombe di profondità. L’equivoco continuava:
si andava rafforzando l’impressione che le navi fossero sotto attacco da parte
di un sommergibile, anziché in un campo minato (probabilmente, l’errore del
«T.A.G.» fu determinato dal mare grosso).
Terminata l’azione
antisommergibili, l’Ascari accostò
per affiancarsi nuovamente al Malocello,
ma proprio durante questa manovra urtò a sua volta una mina, che gli troncò l’intera
prua. Ora la vera natura della minaccia era divenuta evidente.
A bordo del Malocello, intanto, il comandante Rossi
dirigeva gli sforzi per tentare di salvare la nave, ma combatteva una battaglia
persa; il primo direttore del tiro, tenente di vascello Adolfo Gregoretti, si
faceva in quattro per garantire il salvataggio dei suoi uomini. Gregoretti era
già sopravvissuto, nel dicembre 1941, all’affondamento dell’incrociatore Alberto Di Giussano, meritandosi per il
suo comportamento in tale frangente una Medaglia di Bronzo al Valor Militare;
ora, sul Malocello, scese dalla
controplancia in plancia e cercò faticosamente di riportare ordine tra la massa
di uomini che affollava il cacciatorpediniere danneggiato. Non pago, si prodigò
personalmente per salvare quanti più uomini possibile: si calò dapprima in un
locale munizioni e ne riemerse portando in salvo uno dei suoi cannonieri, dopo
di che si calò nuovamente da un boccaporto nel locale macchine dove era
scoppiata la mina, invaso dal vapore surriscaldato che rendeva l’ambiente
invivibile e pericolosissimo, e ne uscì portando sulle spalle un fuochista
gravemente ferito, unico sopravvissuto tra gli occupanti di quel locale (gli
altri erano stati tutti uccisi dall’esplosione o dal vapore surriscaldato).
Distrusse poi le
carte nautiche e la documentazione segreta, per evitare che potesse cadere in
mano nemica, chiudendole nelle apposite cassette che gettò poi in mare.
Circa un’ora dopo
l’urto contro la mina, il Malocello,
che fino a quel momento era sembrato in grado di reggere abbastanza bene i
gravi danni che aveva riportato, iniziò ad affondare. Alle 8.35 il comandante
Rossi diede l’ordine di abbandonare la nave. Il tenente di vascello Gregoretti,
in piedi accanto a lui, disciplinò l’abbandono della nave facendo dare la
precedenza ai feriti sulle zattere di salvataggio; diede anche il suo giubbotto
salvagente ad un marinaio ferito, che non lo aveva. Oltre a diverse zattere, venne
calata in mare almeno una scialuppa, ma la violenza del mare la fece
capovolgere.
Il tenente di
vascello Gregoretti, non volendo abbandonare la nave finché c’erano ancora
altri uomini a bordo (e ce n’erano ancora molti), tornò in plancia e si mise in
attesa sull’aletta di plancia di sinistra, a braccia incrociate. Aveva fatto
tutto quello che era umanamente possibile per salvare altre vite; ora non
voleva lasciare il Malocello e gli
uomini che ancora si trovavano a bordo. Era ancora sull’aletta di plancia
quando la nave affondò, e non fu mai più rivisto. Alla sua memoria venne
conferita la Medaglia d’Oro al Valor Militare.
Alle 8.45, infine
(altra fonte parla delle 8.30), il Malocello
concluse la propria agonia spezzandosi in due ed affondando lentamente, senza
generare risucchio (per una fonte, di attendibilità incerta, la nave si sarebbe
anche rovesciata nell’affondare). Scomparve in mare anche il comandante Rossi,
che fino alla fine si era preoccupato di mettere in salvo il suo equipaggio,
senza pensare a sé stesso; sarebbe stato decorato alla memoria con la Medaglia
d’Argento al Valor Militare.
Il tenente di vascello Adolfo Gregoretti (da www.movm.it) |
La situazione dell’Ascari, pur seria, era meno grave; la
nave manteneva una buona galleggiabilità e, soprattutto, la piena funzionalità
dell’apparato motore e degli organi di governo, tanto da potersi permettere di
calare in mare l’unica imbarcazione rimasta intatta (che subì qualche danno
nella fase di messa a mare) per soccorrere i naufraghi del Malocello.
Per cinque lunghe ore
l’imbarcazione dell’Ascari, lottando
contro il mare agitato, si fece in quattro per salvare quanti più uomini
possibile: si portava nel punto in cui era affondato il Malocello, ne recuperava quanti più naufraghi possibile e li
portava a bordo dell’Ascari, poi
tornava sul luogo di affondamento del Malocello
per soccorrerne altri, in un instancabile via vai. Il mare, intanto,
allontanava i superstiti, disperdendoli per oltre un chilometro. L’Ascari avvistò un MAS di passaggio e gli
chiese di raccogliere altri naufraghi; passarono nel cielo due idrovolanti, ma
le condizioni del mare impedirono loro di ammarare. Altri aerei lanciarono in
mare degli zatterini, ma il vento li portò lontano.
Ma il peggio doveva
ancora venire. Intorno alle 13, mentre l’Ascari
manovrava a marcia indietro per raggiungere alcune zattere cariche di naufraghi
del Malocello, la nave urtò una
seconda mina, che questa volta le asportò la poppa. Ora l’Ascari non era niente più che un povero troncone in balia delle
onde, senza più prora né poppa: alle 13.20, andando alla deriva, urtò una terza
mina sotto la plancia, e s’inabissò nel giro di qualche secondo.
Centinaia di uomini
erano ora in balia di un mare che intanto si era ulteriormente ingrossato,
diventando forza 4-5, ed era per giunta cosparso di nafta fuoriuscita dai
serbatoi delle due navi, e che ostacolava ora la vista ed i movimenti dei
naufraghi. Molti uomini del Malocello,
in acqua già da ore, cedettero al freddo e allo sfinimento, e ancor più il mare
mieté vittime tra i soldati tedeschi, meno abituati al mare, molti dei quali
non sapevano nuotare e furono presi dal manico, morendo in massa.
Da Biserta, da Tunisi
e dalla Sicilia furono inviati immediatamente diversi MAS per i soccorsi, ma
solo quattro ore dopo l’affondamento dell’Ascari
i primi di essi poterono giungere sul luogo della catastrofe: il Malocello era affondato da quasi nove
ore. Molti dei suoi naufraghi erano rimasti in acqua per tutto questo tempo,
altri erano stati recuperati dall’Ascari
solo per subire un secondo affondamento nel giro di poche ore.
Su 1133 uomini che
erano a bordo di Malocello ed Ascari, soltanto 139 furono recuperati
in vita: 95 componenti degli equipaggi (42 del Malocello e 53 dell’Ascari)
e 44 soldati tedeschi. La maggior parte furono salvati da due MAS di Biserta e
da alcuni MAS di Pantelleria.
I morti furono 994,
forse il più grave bilancio di vite umane nella storia della guerra di mine sul
mare.
Dei 600 uomini
imbarcati sul Malocello, i
sopravvissuti furono soltanto 80: 42 membri dell’equipaggio (alcune fonti
indicano un numero ancora minore, 38) e 38 militari tedeschi.
Erano morti in 520, dei
quali 199 erano membri dell’equipaggio del Malocello
e 321 erano militari tedeschi imbarcati su di esso.
Tra le vittime vi
erano anche il comandante Rossi, il comandante in seconda capitano di corvetta
Felice Masini (che già era sopravvissuto ad altri due affondamenti) e tutti gli
altri ufficiali del Malocello.
I caduti tra l’equipaggio del Malocello:
Ugo Acco, marinaio fuochista, deceduto
Gaspare Adelfio, sergente cannoniere, disperso
Salvatore Adinolfi, sottocapo cannoniere,
disperso
Guglielmo Alemanno, sottocapo cannoniere,
disperso
Cesare Antonioli, secondo capo silurista,
disperso
Albino Arieti, sottocapo meccanico, deceduto
Vincenzo Artiano, marinaio nocchiere, disperso
Roberto Aumiller, marinaio nocchiere, disperso
Mario Azzi, marinaio fuochista, deceduto
Angelo Bacchia, marinaio fuochista, disperso
Francesco Baldini, marinaio silurista,
disperso
Salvatore Balistreri, marinaio cannoniere,
deceduto
Bruno Barbariol, marinaio motorista, disperso
Silvio Bartolomei, sergente S.D.T., disperso
Matteo Basile, marinaio cannoniere, deceduto
Gino Battaglioli, capo silurista di seconda
classe, deceduto
Guglielmo Belli, marinaio cannoniere, disperso
Francesco Bernardini, sottocapo
radiotelegrafista, disperso
Giacomo Berta, sergente meccanico, deceduto
Terzo Bertoni, sergente S.D.T., deceduto (per
ferite?) in territorio metropolitano il 10/4/1943
William Bigliardi, marinaio silurista,
disperso
Luigi Bini, marinaio cannoniere, deceduto
Rodrigo Biolcati, marinaio, disperso
Tommaso Boatta, sergente cannoniere, deceduto
Francesco Boffola, marinaio fuochista,
deceduto
Guido Bonfiglioli, sottocapo silurista,
deceduto
Mario Bonfiglioli, marinaio fuochista,
disperso
Armando Bonin, marinaio, disperso
Antonio Bova, marinaio, deceduto
Ernani Brugia, marinaio fuochista, disperso
Marco Bruto, marinaio cannoniere, deceduto
Damiano Calò, marinaio S.D.T., disperso
Salvatore Cambria, marinaio, disperso
Tirio Cannucciari, marinaio fuochista,
disperso
Giuseppe Caravella, marinaio cannoniere, deceduto
Gervasio Carelli, marinaio fuochista, disperso
Enrico Carletti, marinaio, disperso
Giovanni Carlevarino, marinaio fuochista,
disperso
Rolando Casali, marinaio cannoniere, deceduto
Alberto Casalino, marinaio, disperso
Luigi Centemeri, sottocapo S.D.T., deceduto
Amedeo Cervone, sottotenente del Genio Navale,
disperso
Giuseppe Cervone, marinaio fuochista, disperso
Gino Ciarrocca, marinaio fuochista, deceduto
Calogero Cipriano, capo radiotelegrafista di
seconda classe, disperso
Pasquale Colucci, secondo capo meccanico,
deceduto
Giuseppe Corigliano, marinaio, deceduto
Angelo Corso, marinaio cannoniere, disperso
Pietro Crosariol, sottocapo cannoniere,
deceduto
Giuseppe Cucinotta, marinaio nocchiere,
disperso
Vito Curcio, sergente cannoniere, deceduto
Giuseppe Currò, marinaio, disperso
Elia Da Prato, sottocapo cannoniere, disperso
Sante Danielli, marinaio cannoniere, disperso
Orlando De Carolis, marinaio, disperso
Alceste De Donno, secondo capo
radiotelegrafista, disperso
Salvatore Del Tufo, marinaio fuochista,
deceduto
Salvatore Di Giorgio, sergente cannoniere,
disperso
Antonio Di Grazia, marinaio fuochista,
disperso
Antonio Di Iorio, marinaio segnalatore,
disperso
Vincenzo Di Leo, marinaio, disperso
Gildo Di Lorenzo, marinaio cannoniere,
disperso
Baldassare Di Maio, marinaio cannoniere,
disperso
Mario Di Mario, marinaio S.D.T., disperso
Antonio Di Pinto, marinaio cannoniere,
disperso
Giovanni Donini, marinaio, disperso
Goffredo Ducati, marinaio radiotelegrafista,
disperso
Pietro Enrico, marinaio, deceduto
Antonio Esposito, marinaio cannoniere,
disperso
Voglio Fantuz, sottocapo fuochista, disperso
Egidio Favetta, marinaio fuochista, disperso
Giuseppe Ferrandino, marinaio S.D.T., deceduto
Francesco Fidanza, sottocapo nocchiere,
disperso
Mario Filotti, marinaio, disperso
Alessandro Fontana, marinaio fuochista,
disperso
Gino Fortis, marinaio fuochista, disperso
Nagaro Franchi, marinaio cannoniere, deceduto
Giovanni Frangipane, capitano medico, deceduto
Davide Fratti, marinaio cannoniere, disperso
Sante Freschi, sottocapo cannoniere, deceduto
Saverio Galeandro, marinaio nocchiere,
deceduto
Marino Gargagliano, marinaio S.D.T., disperso
Santino Gassino, marinaio S.D.T., deceduto
Franco Gensini, marinaio fuochista, disperso
Plinio Giannesini, sottocapo S.D.T., disperso
Luciano Giorgi, sottocapo cannoniere, disperso
Armando Giorgini, sergente meccanico, deceduto
Emanuele Giovagnoli, sottocapo nocchiere,
disperso
Marcello Giunti, marinaio cannoniere, disperso
Luigi Granata, marinaio fuochista, disperso
Gaetano Granese, marinaio S.D.T., disperso
Pietro Grassi, marinaio cannoniere, deceduto
Adolfo Gregoretti, tenente di vascello,
disperso
Ferruccio Gregori, sottotenente di vascello,
disperso
Giovanni Felice Grosso, sergente cannoniere,
deceduto
Giovanni Guaita, marinaio furiere, deceduto
Mario Guidazzi, sottocapo cannoniere, disperso
Silvano Guidotti, marinaio elettricista,
disperso
Aldo Gurioli, sottocapo S.D.T., deceduto
Wagner Guzzinati, marinaio fuochista, disperso
Oronzo Iacovazzi, marinaio cannoniere,
deceduto
Augusto Iari, marinaio elettricista, deceduto
Carmine Ingrosso, marinaio, disperso
Guido Insalaco, secondo capo cannoniere,
disperso
Raffaele Laezza, marinaio fuochista, disperso
Federico Laudati, marinaio, disperso
Vitonofrio Lazzizzera, marinaio cannoniere,
deceduto
Salvatore Lo Giudice, capo meccanico di terza
classe, disperso
Giuseppe Lo Piccolo, marinaio, disperso
Loris Lombardi, capo meccanico di seconda
classe, disperso
Alberto Longobardo, capitano del Genio Navale
(direttore di macchina), disperso
Armando Macario, marinaio cannoniere, deceduto
Antonino Maccarone, marinaio, disperso
Carmelo Maccora, marinaio cannoniere, deceduto
Dante Madonna, guardiamarina, disperso
Ofelio Mainardi, sergente furiere, disperso
Giulio Manfredi, marinaio fuochista, disperso
Domenico Marà, marinaio, deceduto
Silvano Marigliani, marinaio nocchiere,
disperso
Alessandro Marletta, marinaio segnalatore,
disperso
Guido Marucci, capo nocchiere di seconda
classe, disperso
Felice Masini, capitano di corvetta
(comandante in seconda), disperso
Ferdinando Massarella, marinaio
radiotelegrafista, disperso
Giuseppe Mavelli, marinaio, deceduto
Antonio Medico, capo meccanico di prima
classe, deceduto
Orazio Meli, marinaio cannoniere, disperso
Bruno Melotto, marinaio silurista, deceduto
Guglielmo Menichetti, sottocapo S.D.T.,
disperso
Gino Mercuri, sottocapo radiotelegrafista,
disperso
Filippo Micheli, marinaio cannoniere, deceduto
Renato Moglia, marinaio fuochista, deceduto
Giacomo Mondini, marinaio fuochista, deceduto
Giovanni Moretto, marinaio cannoniere,
disperso
Giuseppe Motta, sottocapo meccanico, disperso
Mario Muratori, secondo capo meccanico,
disperso
Enrico Musso, marinaio elettricista, deceduto
Romano Negrini, marinaio fuochista, deceduto
Diego Neri, sottocapo torpediniere, disperso
Francesco Antonio Nicoterese, marinaio,
deceduto
Michele Nola, sottocapo elettricista, disperso
Domenico Nossa, marinaio fuochista, disperso
Nello Novelli, sottocapo nocchiere, deceduto
Carlo Oprandi, marinaio motorista, deceduto
Mario Pace, marinaio fuochista, disperso
Mario Padovan, tenente del Genio Navale,
disperso
Benigno Pala, sottocapo silurista, deceduto
Agostino Panzarotto, marinaio, deceduto
Federico Parigi, secondo capo cannoniere,
disperso
Dante Parrini, capo meccanico di terza classe,
deceduto
Lucio Perna, marinaio fuochista, deceduto
Luigi Perna, marinaio fuochista, deceduto
Fiorenzo Perucca, capo meccanico di seconda
classe, disperso
Giovanni Profumo, marinaio fuochista, disperso
Carmelo Rao, sottocapo elettricista, disperso
Amelio Raso, marinaio cannoniere, disperso
Mario Riccardi, capo elettricista di terza
classe, deceduto
Marcello Rohr, capo segnalatore di seconda
classe, disperso
Attilio Romano, sottocapo radiotelegrafista,
deceduto
Mario Rosati, marinaio cannoniere, deceduto
Carlo Rossi, capitano di fregata (comandante),
deceduto
Giuseppe Sabaini, marinaio elettricista,
disperso
Carlo Sacchi, guardiamarina, disperso
Nerio Santamaria, marinaio fuochista, deceduto
Vincenzo Sarcinelli, sottocapo S.D.T.,
disperso
Arcangelo Saullo, marinaio cannoniere, deceduto
Antonino Scaglione, marinaio fuochista,
disperso
Pasquale Scagliusi, marinaio, disperso
Adriano Scaramuzza, marinaio, disperso
Nicola Scarfi, marinaio, disperso
Aldo Scarsi, marinaio elettricista, deceduto
Oreste Scassillo, sergente cannoniere, deceduto
Nicola Scattarelli, marinaio fuochista,
disperso
Torino Severi, marinaio fuochista, deceduto
Domenico Sibona, sergente cannoniere, deceduto
Sebastiano Sinone, marinaio furiere, disperso
Raul Somaruga, marinaio motorista, disperso
Enzo Sorbelli, sottocapo meccanico, disperso
Amerigo Spadon, secondo capo meccanico,
disperso
Mauro Squeo, marinaio, disperso
Eugenio Sternini, capo cannoniere di prima
classe, disperso
Mario Tani, marinaio S.D.T., disperso
Tarquinio Tarquini, sergente furiere, disperso
Fortunato Tessiore, sottotenente di vascello,
disperso
Francesco Testa, marinaio elettricista,
deceduto
Amelio Tinacci, secondo capo cannoniere,
disperso
Sole Tognon, marinaio fuochista, disperso
Ernesto Torricelli, sottocapo cannoniere,
disperso
Domenico Traggiai, secondo capo
radiotelegrafista, deceduto
Tullio Traini, marinaio cannoniere, deceduto
Elio Valerio, capo meccanico di seconda
classe, deceduto
Leonardo Vecchiotti, marinaio fuochista,
disperso
Filiberto Verardi, sottocapo
radiotelegrafista, disperso
Francesco Viscovo, marinaio fuochista,
disperso
Alberto Volpini, marinaio fuochista, disperso
Giuseppe Vulcano, marinaio, deceduto
Carlo Zaffaroni, marinaio cannoniere, disperso
Giovanni Zambetta, marinaio S.D.T., disperso
Luigi Zanetti, marinaio, disperso
Caduti o dispersi tra l’equipaggio del Malocello in altre circostanze:
Remo Ferri, sottocapo silurista, deceduto in
prigionia (?) in Eritrea (?) il 3/7/1942
Stefano Mourglia, marinaio S.D.T., deceduto
nel Mediterraneo Centrale il 31/7/1943 (?)
Filippo Ribaudo, marinaio, deceduto in
territorio metropolitano il 30/9/1942
Nelle settimane successive alla tragedia, il mare depositò sulle coste siciliane decine di corpi di marinai italiani e soldati tedeschi morti nell'affondamento dei due cacciatorpediniere. Tre poterono essere identificati come membri dell'equipaggio del Malocello: il fuochista Salvatore Del Tufo ed il capo meccanico Dante Parrini, entrambi trovati sulla spiaggia di Santa Lucia-Finale il 9 aprile 1943 e sepolti a Cefalù il giorno seguente, ed il marinaio Francesco Antonio Nicoteresa, sepolto a Cefalù il 10 maggio 1943. Un sergente di Marina, rimasto senza nome, venne rinvenuto sulla spiaggia di Cefalù e sepolto nel locale cimitero il 10 maggio; un altro marinaio italiano non identificato, di circa 25-30 anni di età, fu trovato sulla spiaggia di Gangiotto (Cefalù) l'11 aprile, mentre il 9 aprile un altro italiano non identificato era stato gettato dalle onde sulla spiaggia di Santa Lucia-Finale (stesso luogo e data del ritrovamento dei corpi di Dante Parrini e Salvatore Del Tufo) venendo sepolto l'indomani nel cimitero di Cefalù.
Oltre ad essi, tra il 10 aprile ed il 10 giugno 1943 vennero raccolti sulla spiaggia di Cefalù undici corpi attribuiti a militari italiani, non identificabili per mancanza d'indumenti, e ben 65 salme di soldati tedeschi. Tutti furono sepolti nel cimitero di Cefalù, dove riposano tutt'ora nell'ossario comune, come evidenziato da ricerche condotte dalla cefaludese Maria Serio.
L’inchiesta sul
disastro, condotta dall’ammiraglio di divisione Enrico Accorretti (comandante
della IX Divisione Navale, che consegnò la propria relazione il 21 maggio
1943), giudicò che probabilmente, al momento dell’urto contro la prima mina, il
Malocello e gli altri
cacciatorpediniere dovevano essere scartati di alcune miglia verso ovest
rispetto alla rotta prevista, e che per via di tale scarto erano finiti sul
campo minato sul quale erano già affondati, il precedente 7 marzo, il piroscafo
tedesco Henry Estier e la
torpediniera di scorta Ciclone.
Questo sbarramento, di 160 mine, era stato posato dall’Abdiel il 5 marzo e la sua posizione era nota proprio a seguito
della perdita di quelle due navi, ma non aveva ancora potuto essere dragato a
causa della carenza di dragamine d’altura. Lo scarrocciamento verso ovest (cioè
sulla dritta rispetto alla rotta prevista) era ritenuto spiegabile col carico
straordinario costituito dalle truppe imbarcate (il cui peso poteva essere
stimato in circa 30 tonnellate per nave), il vento ed il mare grosso da
levante-scirocco e lo zigzagamento effettuato durante tutta la notte precedente
il disastro.
In realtà, secondo
quanto riferito nel volume "La guerra di mine" dell’U.S.M.M.,
pubblicato nel 1988, appare oggi più probabile che Malocello ed Ascari siano
capitati non sullo sbarramento posato dall’Abdiel
il 5 marzo, bensì su quello che la stessa nave posò nella notte tra il 7 e l’8
marzo, otto miglia a nord del precedente.
Malocello ed Ascari furono le
ultime di una lunga serie di navi da guerra italiane perdute sulle mine nel
Canale di Sicilia in meno di tre mesi: tra il 9 gennaio ed il 24 marzo 1943
colarono a picco in circostanze simili i cacciatorpediniere Corsaro e Saetta (un terzo, il Maestrale,
ebbe la poppa asportata e non poté essere riparato prima dell’8 settembre), le
torpediniere Ciclone, Uragano e Prestinari e la corvetta Procellaria,
con la perdita complessiva di 593 uomini, oltre ai 994 scomparsi con Malocello ed Ascari. Metà delle navi perdute erano affondate nel tentativo di
soccorrere l’altra metà. In tutto, quasi 1600 uomini erano scomparsi in mare
senza che si fosse sparato un solo colpo, a lugubre testimonianza della
terribile efficacia della guerra di mine.
La motivazione della
Medaglia d’Oro al Valor Militare conferita alla memoria del tenente di vascello
Adolfo Gregoretti, nato ad Apuania (Carrara) il 25 febbraio 1915:
“Direttore del Tiro di cacciatorpediniere irrimediabilmente colpito da offesa
subacquea, si prodigava con calma e perizia nelle operazioni di abbandono della
Nave. Nel nobile intento di assistere i propri marinai si calava
coraggiosamente in locali allagati ed invasi dal vapore, portando in salvo
personale ferito. Distrutti i documenti segreti e le carte nautiche, dimentico
di sé, si dedicava al salvataggio della gente, reso difficoltoso dall’infuriare
del mare, e generosamente passava la propria cintura di salvataggio a marinaio
che ne era sprovvisto. Nell’imminenza dell’affondamento, rifiutava di
abbandonare il proprio posto prima di avere la certezza che tutto l’equipaggio
lo avesse preceduto e spariva con la Nave tenendo fede fino all’ultimo
all’ideale che aveva costantemente animato la sua vita di uomo d’arme e di mare,
quello di essere sempre il primo nel dovere e nel sacrificio.
Mediterraneo
Occidentale, 24 marzo 1943.”
(foto tratta da www.marinaidigemona.it) |
Grazie, sempre molto interessante. Ho scorso rapidamente ed ho notato nelle foto questa inesattezza riguardante una didascalia: "Un’altra immagine della nave nel 1936 (Coll. Luigi Accorsi via www.associazione-venus.it)". Dalla particolare sovrastruttura originale direi che si tratta del 1930 (tra gennaio e luglio) invece che 1936. Cordiali saluti
RispondiEliminaLa ringrazio, provvedo a correggere.
EliminaBuonasera, mi chiamo Alessandro Perucca, nipote di Fiorenzo Perucca capo meccanico di seconda classe sulla nave Malocello, ho trovato un po’ di informazioni su mio nonno ma non ho mai trovato una fotografia e ci terrei tanto. Qualcuno gentilmente sa se esiste un archivio fotografico e come poterlo consultare? Grazie per la cortesia.
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