domenica 18 marzo 2018

Caterina Gerolimich

Il Caterina Gerolimich carica carbone alla calata di Wearmouth (Sunderland), sul Tyne (g.c. Pietro Berti via www.naviearmatori.net)

Piroscafo da carico di 5430 tsl, 3326 tsn e 7931 tpl, lungo 115,82 metri, largo 15,3 e pescante 7,95. Appartenente alla Società Anonima Impresa Navigazione Commerciale (INCSA), con sede a Roma, ed iscritto con matricola 156 al Compartimento Marittimo di Roma.

Breve e parziale cronologia.

1912
Impostato nel Cantiere San Rocco di Muggia (numero di costruzione 23).
Ottobre 1912
Varato nel Cantiere San Rocco di Muggia. Al varo del piroscafo, cui è stato dato il nome della madre degli armatori, presenziano tutti i componenti della famiglia Gerolimich.
28 novembre 1912
Nel pomeriggio, durante i lavori di costruzione del Caterina Gerolimich, un operaio del cantiere San Rocco, il trentaquattrenne Ludovico Cumina, rimane ucciso a seguito della rottura di un cavo, il cui carico gli precipita addosso.
15 dicembre 1912
Completato come Caterina Gerolimich per la Navigazione Generale Austriaca Gerolimich & Co. Società in Azioni di Trieste, con bandiera austroungarica (essendo Trieste parte dell’Impero asburgico).
In origine la stazza lorda e quella netta sono 5622 tsl e 3451 tsn.
1918 o 1919
Con l’annessione di Trieste al Regno d’Italia, a seguito della vittoria nella prima guerra mondiale e della dissoluzione dell’Impero Austro-Ungarico, la Navigazione Generale Gerolimich & Comp. S.i.A. diventa una compagnia italiana (perdendo ovviamente l’"Austriaca" del nome), ed anche il Caterina Gerolimich passa quindi sotto bandiera italiana. Porto di registrazione è sempre Trieste.
5 giugno 1928
Il Caterina Gerolimich rimorchia ad Algeri il traghetto Dee Why, proveniente dalla Scozia (dov’è stato costruito) e diretto a Sydney (dove prenderà servizio come traghetto portuale), in avaria a causa dello scoppio della tubatura principale del vapore al largo di Cap Caxine.
1930
Una causa tra la Navigazione Generale Italiana e la L. Hirshberg & Co. Inc. riguardo il danneggiamento di un carico di 10.000 cipolle egiziane, trasportate dal Caterina Gerolimich da Alessandria d’Egitto a New York, diventa un “caso legale” al quale poi si conformerà la giurisprudenza statunitense in merito a questo genere di contese.
1935
Acquistato dalla Imprese di Navigazione Commerciale (o Imprese di Navigazione e Commercio) Società Anonima (INCSA) di Roma, cambia il suo porto di registrazione, che diviene appunto Roma.
Febbraio 1937
Durante la guerra civile spagnola, il Caterina Gerolimich compie un viaggio per conto delle Ferrovie dello Stato, trasportando truppe e materiali del Corpo Truppe Volontarie. La nave (come altri trenta piroscafi), non essendovi grande disponibilità di mercantili noleggiabili per trasportare rifornimenti, effettua i due trasporti in Spagna nel corso di viaggi di andata, altrimenti scarica, verso l’Europa settentrionale: parte dall’Italia, scarica i rifornimenti in Spagna e prosegue in zavorra sino in Nordeuropa, dove imbarca carbone per conto dell’Azienda Monopolio Carboni. Per il viaggio sino in Spagna, vengono imbarcati alcuni uomini della Regia Marina per mantenere le comunicazioni e compiere le segnalazioni, ed il comando della nave viene assunto da un ufficiale di Marina; i piroscafi compiono il viaggio da soli od a coppie, con la scorta di incrociatori leggeri o cacciatorpediniere della II Squadra sino al meridiano di Malaga od allo stretto di Gibilterra, poi di navi da guerra del gruppo "Quarto" (esploratori Quarto ed Aquila, torpediniera Audace) basate a Tangeri, che vigilano sulle rotte di accesso a Cadice.
19 novembre 1939
A seconda guerra mondiale già in corso, mentre l’Italia è ancora “non belligerante”, il Caterina Gerolimich incontra alle 13.38 il sommergibile tedesco U 41, che gli consegna gli undici superstiti del piroscafo britannico Darino, da esso affondato tredici ore prima al largo di Cabo Ortegal (Spagna). Il Caterina Gerolimich porta i naufraghi a Dover, dove arriva dopo un angoscioso viaggio attraverso i campi minati, dei quali non dispone di mappe precise.
 
Il Caterina Gerolimich sotto bandiera irlandese, con il nome di Irish Cedar (da www.irishships.com)

Irlanda

Il 9 giugno 1940 il Caterina Gerolimich, proveniente dal Rio de la Plata al comando del capitano Antonio Sabini e con un equipaggio di 32 uomini, giunse a Dublino, nella Repubblica d’Irlanda.
Il giorno seguente, 10 giugno 1940, l’Italia dichiarò guerra al Regno Unito ed alla Francia, sancendo il proprio ingresso nella seconda guerra mondiale: il Caterina Gerolimich si vide così preclusa ogni possibilità di ritorno in Italia, dato che le forze britanniche controllavano lo stretto di Gibilterra, unico accesso del Mediterraneo. Trovandosi a due passi dal Regno Unito e dall’Irlanda del Nord che ne faceva parte, era prevedibile che se la nave avesse tentato di lasciare Dublino, quale che fosse stata la sua destinazione, sarebbe stata intercettata da navi da guerra britanniche non appena fosse uscita dalle acque territoriali irlandesi.
Non restava che farsi internare dalle autorità della neutrale Irlanda, come accadeva alle navi di Paesi belligeranti che sostavano per oltre ventiquattr’ore in un porto neutrale, ed attendere la fine della guerra.
Così avvenne. Il Caterina Gerolimich, rimasto a Dublino, venne trasferito in un ormeggio discosto oltre l’Alexandra Basin, sul fiume Liffey, appena dentro il frangiflutti orientale; una zona desolata nota agli abitanti del luogo come “Bengazi”, terra sottratta al mare ed abitata solo da sterne e conigli. Qui la nave languì inattiva per i tre anni successivi. L’equipaggio, durante questa lunga permanenza forzata, si venne anche a trovare in ristrettezze alimentari, tanto da doversi mettere a cacciare i conigli selvatici, molto numerosi nella zona, per arricchire le proprie modeste razioni.
Furono forse proprio le conseguenze della malnutrizione a provocare, durante questo periodo, la morte di due membri dell’equipaggio del Caterina Gerolimich: il giovanotto Michele Pisani, di Molfetta, morì il 1° luglio 1942; il nostromo Benedetto Peri, di La Spezia, morì il 26 ottobre 1942.

L’internamento del Caterina Gerolimich non fu del tutto privo di qualche fatto degno di essere narrato.
Nell’agosto 1940, il servizio informazioni britannico segnalò che il Caterina Gerolimich aveva richiesto l’invio di addetti della società Marconi per riparare il suo apparato radio, che era malfunzionante.
Un giorno, un giovane abitante di Ringsend (sobborgo di Dublino dove si trovava internato il Caterina Gerolimich), Johnnie Donnelly, e due suoi amici vennero avvicinati da una donna che domandò se potesse essere portata a bordo della nave italiana ormeggiata poco lontano. Quando i tre risposero che ciò non era possibile, la donna chiese allora che consegnassero per lei una lettera all’equipaggio del Caterina Gerolimich; Donnelly e compagni acconsentirono, in cambio di mezza corona. Due giorni dopo, però, un’automobile dello Special Branch della polizia irlandese – il ramo della polizia che si occupava di sicurezza nazionale – si presentò a Ringsend chiedendo di una lettera portata sul Caterina Gerolimich; Donnelly e compagni negarono di saperne alcunché.

Non solo gli uomini del Caterina Gerolimich, ma l’Irlanda intera non se la passava molto bene, in quei difficili anni di guerra. Il giovane Stato irlandese, che aveva ottenuto l’indipendenza dal Regno Unito solo nel 1922, non aveva avuto tra le sue priorità la creazione di una Marina Mercantile nazionale, affidandosi per i commerci con l’estero a navi noleggiate da armatori stranieri (a causa della mancanza di investimenti, della crisi del 1929 e del disinteresse del governo, anzi, la flotta mercantile irlandese si era ridotta dalle 127 navi del 1923 alle 56 – perlopiù piccole navicelle per traffici costieri; non una sola nave irlandese era in grado di affrontare una traversata oceanica – del 1939, anno in cui solo il 5 % delle importazioni avveniva con navi battenti bandiera irlandese). Lo scoppio della seconda guerra mondiale, però, aveva portato ad un blocco dei noli, dato che il naviglio mercantile della maggior parte dei principali Paesi marittimi, ora belligeranti (ed in particolare quello britannico, cui si era appoggiato in prevalenza il commercio irlandese in tempo di pace), era stato assorbito dalle esigenze della guerra; pochissime navi rimanevano disponibili per i traffici tra l’Irlanda ed il resto del mondo (le navi statunitensi  erano all’epoca ancora neutrali, ma per ordine del loro Governo non potevano entrare nella “zona di guerra” delimitata dalla congiungente Spagna-Irlanda, toccando soltanto i porti del Portogallo), ponendo la nazione in una situazione di sostanziale “blocco navale” (come lamentato da Eamon de Valera, primo ministro irlandese, in un discorso del 1940) non già per espressi tentativi da parte di altri Paesi di bloccarne i collegamenti, bensì per semplice mancanza di bastimenti. La Norvegia, la Grecia e la Finlandia, che nel 1939-1940 erano state neutrali e le cui navi erano state disponibili per il commercio dell’Irlanda, nel corso del 1940 divennero belligeranti, facendo così cessare la disponibilità del proprio naviglio mercantile. Tra l’aprile 1941 ed il giugno 1942, soltanto sette navi straniere visitarono porti dell’Irlanda.
L’Irlanda era largamente autosufficiente dal punto di vista alimentare, tanto anzi da avere un surplus di produzione che alimentava esportazioni di derrate alimentari verso il Regno Unito, ma alcune tipologie di alimenti, quali il grano (circa metà del grano consumato in Irlanda era importato dal Canada), il tè e molti tipi di frutta (specialmente gli agrumi), non erano coltivabili in Irlanda, a causa delle sfavorevoli condizioni climatiche; era dunque necessario importarli. Inoltre, e soprattutto, l’Irlanda doveva importare dall’estero carbone e petrolio (soprattutto dal Regno Unito: nel 1944-1945, le importazioni di carbone erano ridotte ad un terzo di quelle del 1938-1939, e quelle di petrolio erano cessate quasi del tutto). Per la produzione alimentare irlandese, inoltre, erano indispensabili fertilizzanti e foraggio, che dovevano entrambi essere importati: le importazioni di fertilizzanti crollarono da 74.000 tonnellate nel 1940 a 7000 nel 1941, quelle di foraggio da 5 milioni di tonnellate nel 1940 ad un milione nel 1941 ed ancor meno in seguito.
Nel tentativo di risolvere una situazione che rischiava di degenerare in vera e propria emergenza, il governo irlandese, retto da Eamon de Valera, il 21 marzo 1941 creò una compagnia di navigazione statale, la Irish Shipping Limited. La compagnia, con sede a Dublino, era detenuta per il 51 % delle azioni dal Governo irlandese (precisamente, dal Ministero delle Finanze), per il 43 % dalla Grain Importers Ireland Ltd e per l’1,75 % da ciascuna delle tre principali compagnie armatoriali irlandesi (la Wexford Steamship Company, la Limerick Steamship Company e la Palgrave Murphy Ltd.), che avevano anche un rappresentante ciascuna nel consiglio d’amministrazione della società. Scopo dichiarato della Irish Shipping Limited era appunto l’acquisizione ed impiego di una flotta mercantile d’alto mare allo scopo di provvedere ai collegamenti tra l’Irlanda ed il resto del mondo nelle difficili contingenze della guerra, ed in particolare all’importazione dei beni necessari alla sopravvivenza dell’economia e della stessa nazione irlandese.

Per la creazione della propria flotta, data la scarsità di naviglio mercantile liberamente disponibile legata alle esigenze della guerra, che impegnavano la maggior parte delle flotte mercantili dei vari Paesi europei, la Irish Shipping Ltd. dovette accettare navi delle provenienze più disparate, senza guardare troppo all’età ed alle dimensioni: in tutto vennero messe insieme 14 navi, tra greche, jugoslave, estoni, danesi, finlandesi, panamensi, palestinesi, cilene e statunitensi (queste ultime, le migliori del gruppo, erano due, concesse dal presidente statunitense Roosevelt nel maggio 1941).
La Irish Shipping Ltd. non poteva non fare caso ad un piroscafo italiano, forse vecchiotto ma ancora valido, che giaceva inattivo da anni proprio sotto il suo naso, a Dublino: gli occhi della compagnia irlandese si posarono inevitabilmente anche sul Caterina Gerolimich, che divenne oggetto di prolungate ed estenuanti trattative, che si protrassero per più di due anni. Diverse le questioni sul tavolo: in primo luogo, da parte italiana si voleva il rimpatrio dell’equipaggio del piroscafo; il governo britannico acconsentiva a permettere che ciò avvenisse senza interferire, ma soltanto a condizione che un eguale numero di marittimi britannici venissero rilasciati dall’internamento in Italia. Alla fine non se ne fece nulla, e gli uomini del Caterina Gerolimich rimasero in Irlanda fino alla fine del conflitto. In secondo luogo, gli armatori italiani volevano che le autorità irlandesi rinunciassero all’esazione delle tasse portuali per tutto il periodo che il piroscafo aveva trascorso internato a Dublino, ma l’Irish Shipping Ltd. replicò che questa era una faccenda che riguardava le autorità portuali, al di fuori del proprio controllo. Infine, erano sorte discussioni riguardo al prezzo da pagare per il noleggio, prezzo che sarebbe stato legato al tonnellaggo della nave: gli irlandesi calcolavano la portata del Caterina Gerolimich in 7950 tonnellate, basandosi sulla “tonnellata lunga” (long ton) prevista dal sistema imperiale di misurazione in vigore nei Paesi anglosassoni, che equivaleva a 1016 chilogrammi; gli italiani, di converso, usavano la tonnellata del sistema metrico decimale, equivalente a 1000 chilogrammi, e calcolavano dunque una portata di 8077 tonnellate.

Alla fine, le trattative andarono in porto, ed il Caterina Gerolimich venne noleggiato alla Irish Shipping Ltd. Il 25 maggio 1943 il piroscafo lasciò l’ormeggio dov’era rimasto immobile per quasi tre anni e venne rimorchiato nell’Alexandra Basin dai rimorchiatori Coliemore e Ben Eadar, dopo di che fu immesso in un bacino di carenaggio (il Liffey Dockyard) e sottoposto alla pulizia della carena: operazione di cui aveva disperatamente bisogno, dopo tre anni in cui era rimasto fermo, e che si protrasse fino al 20 giugno. Tra il 19 giugno ed il 16 agosto 1943 vennero concordati i dettagli sulle condizioni di noleggio della nave ("Navi mercantili perdute" dell’U.S.M.M. parla di acquisto da parte del governo irlandese, anziché noleggio, datandolo al 16 agosto 1943, e di successivo riacquisto da parte italiana a guerra finita; ma ciò sembra erroneo).
Da Belfast, un gruppo di ufficiali della Royal Navy venne invitato a Dublino per dare una consulenza in merito all’imbarco sul bastimento di attrezzature per la smagnetizzazione antimine; giunti però alla passerella, gli ufficiali britannici si rifiutarono di salire sul Caterina Gerolimich finché la bandiera italiana non fosse stata abbassata, ed il ritratto di Mussolini non fosse stato tolto dalla sala mensa.
Nel frattempo, sorgevano altri problemi dal lato opposto della barricata: nel giugno 1943 il governo tedesco annunciò infatti che si rifiutava di riconoscere il cambio di bandiera della nave da italiana ad irlandese, dato che le clausole del noleggio prevedevano tra l’altro che, in caso di armistizio, il bastimento avrebbe dovuto essere restituito all’Italia entro un periodo compreso tra i tre ed i sei mesi. Il timore da parte tedesca era che, se l’Italia avesse firmato un armistizio con gli Alleati (come i tedeschi, correttamente, stavano ormai prevedendo), tutto il naviglio mercantile italiano sarebbe stato requisito dagli Alleati, ed il Caterina Gerolimich sarebbe dunque finito in mani britanniche. La Irish Shipping Ltd. ritenne pertanto necessario tenere la nave in porto per sei mesi dopo gli accordi per il noleggio, in attesa di ricevere dalla Germania delle garanzie sulla sicurezza del piroscafo. Al contempo, si cercarono garanzie anche da parte del governo statunitense, per evitare che la nave venisse catturata o confiscata dalle autorità degli Stati Uniti nonostante il cambio di bandiera; la garanzia americana fu data, ma a condizione che non più del 12 % del prezzo di noleggio del Caterina Gerolimich venisse messo a disposizione del Governo italiano in un singolo anno. Dato che le minacce da parte tedesca continuavano, le autorità irlandesi inviarono al Governo tedesco una lettera di protesta, nella quale spiegavano che, se non fosse stato loro permesso di utilizzare il Caterina Gerolimich, avrebbero potuto trovarsi nella necessità di razionare il pane, circostanza che avrebbe portato a dure critiche verso la Germania e sarebe giunta all’attenzione del Parlamento, costringendo potenzialmente il Governo irlandese, sull’onda dell’opinione pubblica, “a riconsiderare l’intera questione delle relazioni con la Germania”: in altre parole, si adombrava anche la possibilità della cessazione della neutralità irlandese. In risposta a questa lettera il 16 ottobre 1943 il Ministro tedesco in Irlanda, Eduard Hempel, fece sapere che il Governo tedesco non avrebbe obiettato all’utilizzo del Caterina Gerolimich, sotto bandiera irlandese, per il trasporto di grano destinato all’Irlanda; tuttavia il consenso tedesco all’impiego della nave non significava che la Germania riconosceva le condizioni di noleggio, in particolare la clausola che prevedeva la restituzione della nave all’Italia entro sei mesi dall’armistizio (che, intanto, era effettivamente avvenuto).

Il noleggio del Caterina Gerolimich alla Irish Shipping Ltd. ebbe effettivamente inizio il 5 settembre 1943 (secondo alcune fonti, le trattative per il suo noleggio sarebbero effettivamente iniziate solo dopo l’armistizio tra l’Italia e gli Alleati, ma ciò sembra strano, se si considera che i lavori di riattamento della nave avevano avuto inizio già diversi mesi prima); riverniciato di colore nero, con le grandi insegne irlandesi dipinte sulle murate per renderlo identificabile come nave neutrale, il piroscafo venne ribattezzato Irish Cedar ed affidato in gestione alla Wexford Steamship Company. Si trattava della quindicesima ed ultima nave ad entrare a far parte, durante la guerra, della flotta della Irish Shipping Ltd.
Il governo britannico, indispettito dalla scelta dell’Irlanda di restare neutrale ed in particolare dal rifiuto irlandese di concedere alla Royal Navy l’utilizzo di tre basi navali situate sulle coste dell’Irlanda, esigé però una contropartita: in cambio del rilascio di un «navicert» (certificato che attestava che una nave di un Paese neutrale non era dedita al trasporto di merci belliche per un Paese belligerante, così evitando visite di controllo in alto mare e dirottamenti nei porti britannici) che di fatto consentiva all’Irlanda di utilizzare l’Irish Cedar, le autorità britanniche requisirono al contempo un altro piroscafo della Irish Shipping Ltd., l’Irish Hazel (ex panamense Noemijulia), una decrepita nave che era stata inviata in un cantiere del Galles per essere pressoché ricostruita dopo il suo acquisto da parte della Irish Shipping. Requisito dal Ministry of War Transport, l’Irish Hazel, ribattezzato Empire Don, avrebbe navigato sotto bandiera britannica fino al settembre del 1945, venendo restituito alla Irish Shipping proprio quando quest’ultima terminò il proprio noleggio del Caterina Gerolimich.


Due immagini dell’Irish Cedar (sopra: da homepage.eircom.net; sotto: Cork Archives/www.corkarchives.net). Nella seconda immagine sono evidenti le vistose insegne di neutralità verniciate sullo scafo per evitare attacchi.




I preparativi per il primo viaggio sotto bandiera irlandese dell’Irish Cedar ebbero inizio il 23 ottobre 1943, e la nave salpò tre giorni dopo alla volta del Canada, al comando del capitano W. Gore-Hickman. Nel frattempo l’Italia non era più nemica degli Alleati: l’8 settembre 1943 era stato annunciato l’armistizio di Cassibile, ed il 13 ottobre, dinanzi al fatto compiuto dell’occupazione tedesca dell’Italia, il governo italiano insediatosi a Brindisi aveva dichiarato guerra alla Germania.
Per il suo viaggio dall’Irlanda al Canada l’Irish Cedar navigò isolata, come facevano tutte le navi irlandesi durante la guerra: preferendo evitare di unirsi ai convogli Alleati, dove i rischi di essere coinvolti in eventuali attacchi tedeschi superavano i vantaggi offerti dalla protezione delle navi da guerra Alleate (come avevano confermato diverse esperienze negative nei primi anni di guerra, durante i quali vari mercantili irlandesi erano stati danneggiati od affondati mentre navigavano in convoglio con navi Alleate), i bastimenti irlandesi si affidavano alla propria neutralità, navigando da soli e disarmati, con tutte le luci accese e grandi insegne irlandesi dipinte sui ponti e sulle murate. Ciò non sempre bastava: alcune navi irlandesi, nonostante le loro insegne di neutralità, rimasero ugualmente vittima degli U-Boote tedeschi (e talvolta furono attaccate anche da aerei Alleati).
Non fu però questo il caso dell’Irish Cedar, che attraversò più e più volte l’Atlantico senza mai subire un graffio. Dopo la partenza da Dublino, il piroscafo si rifornì di carbone per la traversata atlantica a Port Talbot (Galles), dopo di che fece rotta per St. John, New Brunswick (Canada), dove giunse il 22 novembre 1943 e caricò un carico di grano e merci varie da portare a Dublino. Qui arrivò il 5 febbraio 1944, dopo un viaggio funestato non da eventi bellici, ma da un’avaria all’apparato di governo, che costrinse a ricorrere al controllo manuale dei timoni. Dopo aver sbarcato il carico, l’Irish Cedar fu sottoposto ai lavori di riparazione dell’avaria nel Liffey Dockyard, dopo di che ripartì da Dublino il 12 febbraio 1944. Ritornato dal nuovo viaggio transatlantico il 3 aprile, ripartì il giorno stesso e fece poi ritorno il 25 maggio; tre giorni dopo l’Irish Cedar lasciò Dublino per un altro lungo viaggio, tornando nella capitale irlandese solo dopo diversi mesi, il 24 febbraio 1945. Il 3 marzo ne partì di nuovo per poi tornare il 29 aprile, ripartire il 3 maggio, tornare il 13 giugno (nel frattempo la guerra in Europa era finita) e salpare di nuovo il 16 giugno. Il 27 luglio 1945 l’Irish Cedar rientrò a Dublino ponendo fine al suo ultimo viaggio sotto bandiera irlandese. Complessivamente, tra l’ottobre 1943 e l’ottobre 1945 il bastimento effettuò quinidici viaggi transatlantici per la Irish Shipping Ltd.
Durante la seconda guerra mondiale, le quindici navi della Irish Shipping Ltd. trasportarono in tutto 712.000 tonnellate di grano, 178.000 tonnellate di carbone, 63.000 di fosfati (fertilizzanti), 24.000 di tabacco, 19.000 di carta per giornati, 10.000 di legna e 105.000 di altre merci, subendo la perdita di due piroscafi, affondati dagli U-Boote.

L’equipaggio italiano del Caterina Gerolimich, sbarcato e sostituito da uno irlandese, rimase internato in Irlanda fino alla fine della guerra.
Oltre a Benedetto Peri e Michele Pisani, ancora un altro uomo del Caterina Gerolimich morì in Irlanda durante il conflitto, senza aver potuto rivedere la propria casa e la propria famiglia: il fuochista Giuseppe Cavallino, di Genova, deceduto il 1° dicembre 1944.
Qualcun altro, invece, non sarebbe tornato in Italia per scelta: il macchinista Bartolomeo Scalzo decise di rimanere a vivere Irlanda, stabilendosi a Dublino con la propria famiglia, navigando dal 1958 in poi proprio con la Irish Shipping Limited, la compagnia che aveva noleggiato il Caterina Gerolimich durante la guerra. Anche alcuni altri ex membri dell’equipaggio del Caterina Gerolimich decisero di restare in Irlanda.
Nonostante la difficile situazione dell’internamento e la carenza di provviste, l’equipaggio del Caterina Gerolimich strinse relazioni molto amichevoli con la popolazione di Dublino, come attestò il comandante Sabini al momento di lasciare l’Irlanda, nell’ottobre 1945, nel ringraziare dell’ospitalità ricevuta: in una lettera all’«Irish Press», Sabini scrisse "Lasciando l’Irlanda per l’Italia dopo cinque anni, con i miei ufficiali ed il mio equipaggio, desidero esprimere la mia più profonda gratitudine verso questa terra ed il suo amabile popolo. Ovunque in questa nazione abbiamo incontrato gentilezza ed amichevolezza, e ciò ci ha aiutato molte volte a dimenticare la tristezza di essere costretti alla lontananza dalle nostre case. Non dimenticheremo mai gli irlandesi. Hanno un posto nei nostri cuori".

Definitivamente conclusa la seconda guerra mondiale con la resa del Giappone, l’Irish Cedar lasciò Dublino il 31 ottobre 1945 diretta a Napoli, per essere restituito all’INCSA: delle tredici navi superstiti della flotta Irish Shipping (due erano state affondate), essa fu la prima ad essere restituita ai suoi armatori. A bordo, in quest’ultimo viaggio sotto bandiera irlandese, il comandante irlandese Gore-Hickman era affiancato dal suo vecchio collega italiano, il capitano Antonio Sabini, al comando del quale il Caterina Gerolimich era arrivato a Dublino oltre cinque anni prima; l’equipaggio era di nuovo quello italiano, ridotto però a 24 uomini, dei 32 che originariamente ne avevano fatto parte quando la nave era arrivata in Irlanda cinque anni prima. Oltre ad essi, erano a bordo anche cinque irlandesi, ossia il comandante Gore-Hickman e quattro ufficiali, in rappresentanza della Irish Shipping Ltd. (Gore-Hickman era incaricato della formale restituzione della nave ai suoi armatori italiani). Il 1° novembre, il piroscafo fece scalo a Cork, dove imbarcò aveva un carico di 2000 tonnellate di provviste, regalo del governo irlandese all’Italia devastata dalla guerra.
Dopo quasi un mese di navigazione, la nave raggiunse finalmente Napoli il 26 novembre 1945, e qui venne formalmente restituita all’INCSA l’8 dicembre 1945, tornando ad assumere il suo originario nome di Caterina Gerolimich. Al momento del commiato, il comandante Gore-Hickman consegnò al comandante Sabini una bandiera irlandese, che la nave avrebbe dovuto issare ogni volta che avesse visitato un porto irlandese.
Il Caterina Gerolimich non poté, tuttavia, tornare subito in servizio per l’INCSA, in quanto all’atto stesso della restituzione – l’8 dicembre 1945 – venne immediatamente requisito dalla Regia Marina; questa requisizione si protrasse però per meno di due mesi, ed il 25 gennaio 1946 il pirocafo venne derequisito e finalmente riconsegnato ai suoi armatori.
Sotto bandiera italiana il vecchio bastimento, uno dei pochi superstiti della Marina Mercantile d’anteguerra, navigò ancora per cinque anni; nell’aprile del 1950, la sua esistenza ebbe fine quando entrò nei Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Monfalcone per esservi demolito.
 
(g.c. Pietro Berti)

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