giovedì 8 marzo 2018

Francesco Barbaro

La Francesco Barbaro a Trieste il 19 aprile 1941, dopo la ricostruzione della prua, lesionata da una mina (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net)

Motonave da carico di 6343 tsl, 3708 tsn e 10.318 tpl, lunga 134,11 metri, larga 18,44 e pescante 9,11, con velocità di 14,7 nodi. Appartenente alla Società Italiana di Armamento (SIDARMA) con sede a Fiume, iscritta con matricola 99 al Compartimento Marittimo di Fiume.
La Barbaro faceva parte di una serie di sei moderne motonavi gemelle ordinate dalla SIDARMA ai CRDA di Monfalcone alla fine degli anni Trenta, quando la società aveva aderito alla Legge Benni del 1938, un piano statale di incentivi agli armatori che mirava al rinnovamento della flotta mercantile italiana (obiettivo della legge era la costruzione, nel giro di dieci anni, di ben 2.500.000 tsl di naviglio mercantile). Le altre cinque erano Marco Foscarini, Vettor Pisani, Andrea Gritti, Pietro Orseolo e Sebastiano Venier, tutte battezzate con nomi di dogi ed altri notabili veneziani, e tutte poi perdute in guerra (anche se la Vettor Pisani venne successivamente recuperata e rimessa in servizio).

La SIDARMA era stata una delle prime compagnie italiane ad aderire alla Legge Benni (cosa che fecero poi tutte le principali società di navigazione del Paese), ed anche una di quelle che ordinarono più navi: ben nove motonavi da carico di 6300-6400 tsl (tra cui appunto la Barbaro e le cinque gemelle; le altre tre, completate nel 1943, erano anch’esse pressoché uguali alle prime sei, e ricevettero i nomi delle prime tre navi del gruppo originario ad essere affondate in guerra: Foscarini, Gritti e Venier) e tre motocisterne da 8400 tsl. Tra i tipi di navi di cui si proponeva la costruzione, per la Barbaro e le gemelle la SIDARMA aveva scelto il secondo tipo: navi per trasporto di merci varie con ampie stive e corridoi, grandi boccaporti, picchi di carico di elevata portata, verricelli elettrici e due bighi di forza per i colli pesanti; propulse da motori diesel FIAT a due tempi e doppio effetto e 6 cilindri che permettevano elevata potenza e velocità (circa 15 nodi, una buona velocità per una nave mercantile dell’epoca) e ridotti consumi.
La Barbaro e le gemelle, una volta completate, sarebbero state impiegate sulle linee commerciali per trasporto merci e passeggeri Genova-Napoli-Marsiglia-Cadice-La Guaira-Curaçao-L’Avana-Veracruz-New Orleans-Houston (o Galveston). La guerra, ovviamente, vanificò tali piani, dato che le moderne unità vennero immediatamente requisite per trasportare rifornimenti in Libia.

La breve vita della Francesco Barbaro fu caratterizzata da un particolare accanimento della sfortuna: per ben tre volte, quasi esattamente ad un anno di distanza l’una dall’altra (e sempre di settembre: nel 1940, nel 1941, nel 1942), venne colpita da mine o siluri, riportando danni gravissimi nei primi due casi, ed affondando nel terzo ed ultimo. In ventisette mesi di esistenza, la Barbaro fu di fatto in condizioni di navigare soltanto per sette od otto mesi complessivamente, passando il resto del tempo in cantiere per riparazioni.

Breve e parziale cronologia.

26 ottobre 1939
Impostata nei Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Monfalcone (numero di costruzione 1234).
6 aprile 1940
Varata nei Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Monfalcone.
23 giugno 1940
Completata per la Società Italiana di Armamento (SIDARMA) con sede a Fiume.
24 giugno 1940
Requisita a Trieste dalla Regia Marina, senza essere iscritta nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato.
7 luglio 1940
La Francesco Barbaro salpa da Catania a mezzogiorno diretta in Libia, nell’ambito dell’Operazione «TCM» (Terra, Cielo, Mare), con la scorta delle torpediniere Giuseppe Missori (per altra versione, Giuseppe Cesare Abba) e Rosolino Pilo.
Più tardi nello stesso giorno, la Barbaro e le due torpediniere si uniscono al convoglio principale, formato dai trasporti truppe Esperia e Calitea e dalle motonavi da carico Marco Foscarini e Vettor Pisani, scortate dalle torpediniere OrsaProcioneOrione e Pegaso della IV Squadriglia.
Mentre il convoglio si trova in Mar Ionio, Supermarina viene informato che alle otto del mattino dello stesso 7 luglio la Forza H britannica (portaerei Ark Royal, corazzate Valiant e Resolution, incrociatore da battaglia Hood, incrociatori leggeri ArethusaDelhi ed Enterprise, cacciatorpediniere FaulknorFoxhoundFearlessDouglasActiveVeloxVortingernWrestlerEscort e Forester) è uscita in mare da Gibilterra. Scopo di tale uscita (operazione «MA 5») è attaccare gli aeroporti della Sardegna, per distogliere l’attenzione dei comandi italiani da un traffico di convogli tra Alessandria a Malta (due convogli di mercantili per l’evacuazione di civili e materiali da inviare ad Alessandria, ed uno di cacciatorpediniere con alcuni rifornimenti per Malta), con l’appoggio dell’intera Mediterranean Fleet (corazzate Warspite, Malaya e Royal Sovereign, portaerei Eagle, incrociatori leggeri OrionNeptuneSydneyGloucester e Liverpool, cacciatorpediniere DaintyDefenderDecoyHastyHeroHerewardHyperionHostileIlexNubianMohawkStuartVoyagerVampireJanus e Juno); questo, però, non è a conoscenza dei comandi italiani, che decidono di fornire protezione al convoglio diretto a Bengasi, facendo uscire in mare l’intera flotta italiana.
La scorta diretta viene così rinforzata dalla II Divisione Navale, con gli incrociatori Bande Nere Colleoni, dalla X Squadriglia Cacciatorpediniere con MaestraleGrecaleLibeccio e Scirocco, e dalle torpediniere Pilo e Missori; quale scorta a distanza, escono in mare la 1a Squadra Navale con le Divisioni IV (incrociatori leggeri Alberico Da BarbianoAlberto Di GiussanoLuigi Cadorna ed Armando Diaz), V (corazzate Giulio Cesare e Conte di Cavour) e VIII (incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi) e le Squadriglie Cacciatorpediniere VII (Freccia, DardoSaettaStrale), VIII (FolgoreFulmineLampoBaleno), XIV (Leone PancaldoUgolino VivaldiAntonio Da Noli), XV (Antonio PigafettaNicolò Zeno) e XVI (Nicoloso Da ReccoEmanuele PessagnoAntoniotto Usodimare), e la 2a Squadra Navale con l’incrociatore pesante Pola (nave ammiraglia), le Divisioni I (incrociatori pesanti ZaraFiumeGorizia), III (incrociatori pesanti Trento e Bolzano) e VII (incrociatori leggeri Emanuele Filiberto Duca d’AostaEugenio di SavoiaRaimondo Montecuccoli e Muzio Attendolo) e le Squadriglie Cacciatorpediniere IX (Vittorio AlfieriAlfredo OrianiVincenzo GiobertiGiosuè Carducci), XI (AviereArtigliereGeniereCamicia Nera), XII (LanciereCarabiniereAscariCorazziere) e XIII (GranatiereBersagliereFuciliereAlpino). Pola, I e III Divisione, con le relative squadriglie di cacciatorpediniere (IX, XI e XII), si posizionano 35 miglia ad est del convoglio, per proteggerlo da un attacco navale proveniente da est, mentre la VII Divisione e la XIII Squadriglia, posizionate 45 miglia ad ovest, forniscono protezione da attacchi provenienti da Malta; il resto della flotta (IV, V e VIII Divisione, VII, VIII, XIV, XV e XVI Squadriglia) forma infine un gruppo di sostegno. Non è tutto: viene organizzata un’intensa ricognizione aerea con grandi aliquote dei velivoli della ricognizione marittima, il posamine ausiliario Barletta viene inviato a posare mine a protezione del porto di Bengasi, e vengono inviati in tutto 14 sommergibili in agguato nel Mediterraneo orientale.
L’avvistamento anche della Mediterranean Fleet, uscita da Alessandria nel pomeriggio del 7 – come si è detto – per proteggere i convogli con Malta, non fa che confermare la convinzione di Supermarina circa la necessità delle misure adottate.
Il convoglio, procedendo a 14 nodi, segue rotta apparente verso Tobruk fino a giungere in un punto situato 245 miglia a nordovest di Bengasi, quindi assume rotta verso quest’ultimo porto; dopo altre 100 miglia il convoglio si divide, lasciando proseguire a 18 nodi le più veloci Esperia e Calitea, mentre Barbaro, Foscarini e Pisani mantengono una velocità di 14 nodi.
8 luglio 1940
All’1.50 l’ammiraglio Inigo Campioni, comandante della flotta italiana, a seguito di avvistamenti della ricognizione che rivelano la presenza in mare della Mediterranean Fleet britannica (anch’essa uscita a tutela di convogli), ordina al convoglio, che si trova in rotta 147° (per Bengasi) di assumere rotta 180°, in modo da essere pronto ad essere dirottato su Tripoli in caso di necessità. Alle 7.10, appurato che la Mediterranean Fleet non può essere diretta ad intercettare il convoglio, Campioni ordina a quest’ultimo di tornare sulla rotta per Bengasi.
La Barbaro e le altre navi del convoglio entrano a Bengasi tra le 18 e le 22, così concludendo la traversata senza inconvenienti. In tutto, il convoglio porta in Libia 2190 uomini (1571 sull’Esperia e 619 sulla Calitea), 72 carri armati M11/39, 232 automezzi, 5720 tonnellate di carburante e 10.445 tonnellate di rifornimenti. Di questo quantitativo complessivo, la Barbaro ha trasportato 56 autoveicoli e 5720 tonnellate di carburanti e lubrificanti in fusti. A causa delle scarse capacità logistiche del porto di Bengasi, ci vorranno dieci giorni per scaricare le tre motonavi da carico.
Durante la navigazione di rientro alle basi, la flotta italiana si scontrerà con quella britannica, nell’inconclusivo confronto divenuto poi noto come battaglia di Punta Stilo.
19 luglio 1940
Alle sei del mattino BarbaroFoscariniPisani, Esperia e Calitea lasciano Bengasi per tornare in Italia. La scorta diretta è costituita ancora dalla XIV Squadriglia Torpediniere (caposcorta Procione, nonché OrsaOrione e Pegaso), poi rinforzata in mattinata dalla X Squadriglia Cacciatorpediniere (MaestraleGrecaleLibeccioScirocco) proveniente da Tripoli. Per scorta indiretta esce da Taranto l’VIII Divisione Navale (Duca degli Abruzzi e Garibaldi) con i relativi cacciatorpediniere, mentre la III Divisione si tiene pronta a Messina, per intervenire rapidamente in caso di necessità.
21 luglio 1940
Il convoglio arriva a Napoli alle 00.30, senza che si siano manifestati problemi.
27 luglio 1940
La Barbaro salpa da Napoli alle 5.30 diretta a Tripoli, in convoglio con i piroscafi Maria EugeniaBainsizza e Gloriastella e le motonavi MaulyCol di LanaCittà di Bari, nell’ambito dell’operazione «Trasporto Veloce Lento» (T.V.L.). Si tratta del convoglio lento, avente velocità 7,5 nodi, la cui scorta diretta consiste nelle torpediniere Procione (caposquadriglia), OrsaOrione e Pegaso della IV Squadriglia.
A protezione di questo e di un secondo convoglio diretto a Bengasi (quello veloce, che procede a 16 nodi: trasporti truppe Marco PoloCittà di Palermo e Città di Napoli, torpediniere AlcioneAironeAretusa ed Ariel) saranno in mare, dal 30 luglio al 1° agosto, gli incrociatori pesanti PolaZaraFiumeTrento e Gorizia (I Divisione), gli incrociatori leggeri Alberico Da Barbiano ed Alberto Di Giussano della IV Divisione e Luigi di Savoia Duca degli AbruzziEugenio di SavoiaRaimondo Montecuccoli e Muzio Attendolo della VII Divisione, e le Squadriglie Cacciatorpediniere IX (AlfieriOrianiGiobertiCarducci), XII (LanciereCorazziereCarabiniereAlpino), XIII (GranatiereBersagliereFuciliereAscari) e XV (PigafettaMalocelloZeno). Sempre a copertura di questi movimenti, viene anche ordinato di potenziare lo schieramento dei sommergibili nei due bacini del Mediterraneo (23 unità in tutto) e vengono disposte capillari ricognizioni con aerei della ricognizione marittima e dell’Armata Aerea.
L’operazione T.V.L., oltre ai due convogli citati, ne comprende anche un terzo (piroscafi Caffaro e Bosforo, torpediniere Vega, Perseo, Cascino e Papa) partito da Trapani e diretto a Tripoli.
28 luglio 1940
A seguito dell’avvistamento di notevoli forze navali britanniche uscite in mare sia da Alessandria (il grosso della Mediterranean Fleet) che da Gibilterra (l’incrociatore da battaglia Hood, le corazzate Valiant e Resolution e le portaerei Argus ed Ark Royal), i due convogli dell’operazione T.V.L. ricevono ordine da Supermarina di rifugiarsi immediatamente nei porti della Sicilia.
Il convoglio lento giunge a Catania in serata e vi sosta per due giorni.
30 luglio 1940
Passata la minaccia, il convoglio riparte in mattinata da Catania, con il rinforzo della X Squadriglia Cacciatorpediniere (MaestraleGrecaleLibeccio e Scirocco)
Intorno alle 14 il convoglio viene attaccato, circa 20 miglia a sud di Capo dell’Armi (ed a sudovest di Capo Spartivento), dal sommergibile britannico Oswald (capitano di corvetta David Alexander Fraser), che lancia alcuni siluri contro il Grecale e la Col di Lana: il cacciatorpediniere riesce però a schivare le armi, che mancano anche la motonave. (La data dell’attacco è tuttavia visibilmente incongruente con quella della partenza del convoglio da Catania: ad ora l’autore non ha trovato una spiegazione, se non che una delle due date dev’essere errata). L’Oswald lancia via radio un segnale di scoperta relativo al convoglio.
1° agosto 1940
Il convoglio raggiunge indenne Tripoli alle 9.45.
10 agosto 1940
La Barbaro ed il trasporto truppe Marco Polo lasciano Tripoli alle 21, diretti a Bengasi, con la scorta di due unità della XII Squadriglia Torpediniere.
11 agosto 1940
Barbaro, Marco Polo e scorta giungono a Bengasi alle 2.30.
18 agosto 1940
La Barbaro lascia Bengasi per Tripoli alle 20, scortata dalla torpediniera Centauro.
20 agosto 1940
Barbaro e Centauro arrivano a Tripoli alle 11.
24 agosto 1940
La Barbaro lascia Tripoli alle 6.25 insieme alla piccola motonave armata Lago Tana, diretta a Palermo, con la scorta della torpediniera Andromeda.
26 agosto 1940
Le tre navi arrivano a Palermo alle 18.30.
5 settembre 1940
La Barbaro, carica di 3000 tonnellate di munizioni, provviste, carri armati, automezzi ed altro materiale bellico, salpa da Napoli per Tripoli alle 22 insieme al Marco Polo (avente a bordo 2000 militari), scortati fino a Trapani dalle torpediniere Circe ed Aldebaran.
6 settembre 1940
Alle 14.56, al largo di Trapani (nel punto a 5 miglia per 245° dal Faro di Marettimo), i cacciatorpediniere Antonio Da Noli (caposcorta, capitano di vascello Giovanni Galati), Lanzerotto Malocello e Luca Tarigo della XIV Squadriglia sostituiscono Circe ed Aldebaran nella scorta a Barbaro e Marco Polo.
Malocello e Tarigo si portano a proravia del convoglio per effettuare dragaggio protettivo, mentre il Da Noli assume posizione di scorta ravvicinata.
Il convoglio supera le isole Egadi e segue le rotte costiere della Tunisia; alle 18 incontra un convoglio di due piroscafi scortati dalla torpediniera Procione, ed alle 19.20 è già al traverso di Capo Bon.
7 settembre 1940
Alle 5.20, al traverso della boa n. 3 di Kerkennah (posizione 34°57’30” N e 11°45’30” E), viene avvistato un piroscafo che procede di controbordo. Alle 16 (al largo di Sabratha) si avvistano ricognitori italiani.
Giunto nel punto convenzionale «D» alle 17.35, il convoglio entra nel porto di Tripoli alle 17.45 (18.30 per altra versione).
8 settembre 1940
Barbaro e Marco Polo ripartono da Tripoli per Bengasi all’una di notte, scortati sempre da Malocello, Tarigo e Da Noli (caposcorta).
Il Da Noli procede in testa, seguito da Marco Polo e Barbaro; la squadriglia di cacciatorpediniere si dispone in posizione di scorta ravvicinata.
Alle due di notte s’incrocia il piroscafo Pallade diretto a Tripoli, ed alle 7.08 ha inizio lo zigzagamento di convoglio e scorta, che proseguirà sino alle 19.18.
9 settembre 1940
Il convoglio raggiunge il punto «D» di Bengasi alle 7.18, e poco dopo entra in porto, ormeggiandosi al molo sottoflutto alle 8.15.
La Barbaro impiegherà otto giorni per scaricare il suo carico nel porto di Bengasi.
16 settembre 1940
Mentre la Barbaro si trova ancora ormeggiata a Bengasi, il comandante della Mediterranean Fleet, ammiraglio Andrew Browne Cunningham, decide di lanciare un attacco aereo contro quel porto, a seguito dell’avvistamento (il mattino del 15 settembre, da parte di un ricognitore Short Sunderland del 230th Squadron) di un convoglio italiano (piroscafi Maria Eugenia e Gloria Stella, torpediniera Fratelli Cairoli) in navigazione nel Golfo della Sirte e diretto appunto a Bengasi.
Alle 21.30 del 16 settembre quindici bombardieri Fairey Swordfish iniziano a decollare dal ponte di volo della portaerei Illustrious, salpata da Alessandria assieme alla corazzata Valiant, agli incrociatori leggeri OrionKentLiverpool e Gloucester ed a 9 cacciatorpediniere (HerewardHyperionHastyHeroNubianMohawk, WaterhenJervis e Decoy). La formazione, suddivisa in tre gruppi (Forza A, incaricata dell’attacco, con Illustrious ed Orion e 4 cacciatorpediniere, Forza B di scorta alla Forza A e composta dalla Valiant con 3 cacciatorpediniere, Forza C di sostegno con le altre unità 20-25 miglia più a sud del resto della formazione), è giunta alle 21 cento miglia a nordest di Bengasi, come previsto.
Nove degli Swordfish, appartenenti all’815th Squadron della Fleet Air Arm, hanno l’incarico di attaccare le navi in porto con bombe dirompenti da 227 e 114 kg ed incendiarie da 45 kg, mentre gli altri sei, dell’819th Squadron, devono posare ciascuno una mina magnetica Mk I da 680 kg all’imboccatura del porto.
Alle 21.15, in seguito ad un bombardamento aereo che ha colpito l’aeroporto di Benina, non lontano da Bengasi, viene dato l’allarme, ma non segue poi il preallarme della Difesa Contraerea Territoriale, che, non avendo potuto far partire i motopescherecci assegnati al servizio di vigilanza foranea, non è in grado di avvistare gli Swordfish che arrivano da nordest, dal mare.
17 settembre 1940
Alle 00.57, senza che nessuno li abbia precedentemente avvistati, gli aerei britannici (che sono giunti sul cielo di Bengasi già dalle 00.30, ed hanno sorvolato il porto per meglio individuare i loro bersagli) passano all’attacco, in due ondate.
Le bombe vanno a segno con tremenda precisione: nel primo passaggio, effettuato alle 00.57 da nordovest verso sudest, viene affondato il piroscafo Gloria Stella, la torpediniera Cigno viene danneggiata gravemente ed il rimorchiatore Salvatore Primo ed il pontone a biga Giuliana sono colpiti, sebbene senza riportare danni gravi; nel secondo passaggio, compiuto tre minuti dopo il primo, vengono affondati il cacciatorpediniere Borea ed il piroscafo Maria Eugenia.
L’incendio dei due piroscafi colpiti (che si propaga attraverso il carburante incendiato che galleggia sulla superficie del mare), che si trovano sopravvento rispetto alla Barbaro, minaccia seriamente di coinvolgere anche quest’ultima; con pronta ed abile manovra, che gli varrà la Medaglia di Bronzo al Valor Militare, il comandante della Barbaro, capitano di lungo corso Giulio Zagabria da Fianona d’Istria, riesce a portare la sua nave al di fuori della zona pericolosa, facendola poi ormeggiare in un altro e più sicuro punto del porto.
Nella confusione del bombardamento, nessuno a terra sembra fare troppo caso alle sagome scure dei sei Swordfish dell’819th Squadron che gettano le loro sei mine magnetiche a circa 75 metri dall’imboccatura del porto: solo il 18 settembre, ormai troppo tardi per evitare danni, si saprà che qualcuno aveva visto un aereo abbassarsi a posare delle mine nell’avamporto.
I devastati risultati del bombardamento hanno dimostrato la vulnerabilità di Bengasi, come in precedenza di Tobruk, agli attacchi aerei; inoltre, Maria Eugenia e Gloria Stella sono ancora in fiamme e circondati da un vero e proprio mare di nafta, che continua a costituire una minaccia per le altre navi: pertanto si decide subito di decongestionarne il fin troppo affollato porto trasferendo a Tripoli, ritenuta più sicura (in ragione della sua maggiore distanza dalle basi aeree britanniche), alcune delle navi rimaste indenni.
Nella mattinata del 17 settembre, di conseguenza, la Barbaro parte da Bengasi per trasferirsi a Tripoli con la scorta della vecchia torpediniera Generale Antonino Cascino (sono le prime navi a lasciare il porto cirenaico dopo il bombardamento), ma non appena è uscita dall’imboccatura del porto, alle 11.38, la motonave viene investita dall’esplosione di una delle mine magnetiche posate durante l’attacco dagli Swordfish dell’819th Squadron. I gravi danni alla parte prodiera dello scafo costringono a rimorchiare la nave nuovamente in porto, con l’assistenza di alcuni rimorchiatori, ed a portarla a poggiare con la prua su bassifondali nel bacino di ponente.
Nonostante una fuga di anidride carbonica minacci di asfissiarli tutti, il personale di macchina della Barbaro, guidato dal direttore di macchina Virgilio Iacobini, triestino (poi insignito della Croce di Guerra al Valor Militare), rimane al proprio posto e permette così di riportare in porto la nave gravemente danneggiata.
Muoiono per lo scoppio della mina due membri dell’equipaggio della Barbaro: il nostromo Giovanni De Vescovi, di 50 anni, da Rovigno, ed il marinaio Gaspare Zagabria, di 32 anni, da Fianona d’Istria, compaesano e quasi omonimo del comandante. Entrambi sono decorati con la Croce di Guerra al Valor Militare, alla memoria.
I feriti della Barbaro, come pure quelli delle altre navi affondate e danneggiate, vengono portati a bordo della nave ospedale California, presente anch’essa in porto.
Sulle mine posate dagli Swordfish, poche ore dopo il danneggiamento della Barbaro, affonderà anche il cacciatorpediniere Aquilone (anch’esso partito da Bengasi per trasferirsi a Tripoli, insieme al gemello Turbine), nonostante un attento dragaggio delle mine fatto eseguire dopo quanto accaduto alla Barbaro.
16 ottobre 1940
Riportata in condizioni di galleggiamento e sottoposta alle prime riparazioni provvisorie per rimetterla in grado di tenere il mare, la Barbaro lascia Bengasi a mezzogiorno insieme al piroscafo Pallade e con la scorta della torpediniera Pilo, per trasferirsi a Tripoli.
18 ottobre 1940
Barbaro, Pallade e Pilo entrano a Tripoli alle 7.
2 novembre 1940
La Barbaro e la motonave Marco Foscarini lasciano Tripoli alle 15.35 dirette a Palermo, con la scorta della torpediniera Generale Achille Papa.
4 novembre 1940
Barbaro, Foscarini e Papa arrivano a Palermo alle 8.30.

La Barbaro, priva della prua, in bacino a Monfalcone nel 1940 (a sinistra). Sulla destra la nuova motonave Sabaudia, ex svedese Stockholm (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net)

Dicembre 1940
Rimorchiata a Monfalcone, torna nei Cantieri Riuniti dell’Adriatico, dov’è stata ultimata appena pochi mesi prima, per essere sottoposta a più estesi lavori di riparazione dei danni subiti a Bengasi il 17 settembre.
A causa dei gravissimi danni subiti dalle sue strutture prodiere, si decide di costruire ex novo una nuova prua, che verrà poi “attaccata” al resto dello scafo.
Marzo 1941
Ultimata la costruzione della nuova prua, si procede ad unirla al resto della nave.

La nuova prua realizzata per la Barbaro, fotografata a Monfalcone nel marzo 1941 (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net)

19 aprile 1941
I lavori di riparazione dello scafo e di unione della nuova prua vengono ultimati.
Maggio 1941
Ritorna in servizio.
30 giugno 1941
La Barbaro parte da Napoli per Tripoli alle 18 in convoglio con le motonavi BarbarigoRialto, Ankara (tedesca), Andrea GrittiSebastiano Venier, scortate dai cacciatorpediniere Freccia (caposcorta), DardoTurbine e Strale.
2 luglio 1941
Il convoglio giunge a destinazione alle 18.
27 luglio 1941
La Barbaro lascia Tripoli per Napoli a mezzogiorno, rimorchiando la torpediniera Antonio Mosto, diretta in Italia per le riparazioni dei gravi danni subiti quando, alcune settimane prima, un aereo britannico le è precipitato in coperta durante un bombardamento su Tripoli. Le scorta la torpediniera Clio.
28 luglio 1941
Alle 18.30 la Barbaro lascia la Mosto all’imboccatura del porto di Lampedusa, dove dovrà temporaneamente sostare, e prosegue da sola verso Napoli.
29 luglio 1941
Il convoglio giunge a Napoli alle 21.30.
13 agosto 1941
Barbaro, PisaniGrittiRialto e Venier partono da Napoli alle 17 dirette a Tripoli, scortate dai cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi (caposcorta, capitano di vascello Giovanni Galati), FolgoreStraleLanzerotto Malocello e Fulmine e dalla torpediniera Orsa. Poco dopo la partenza il convoglio viene attaccato da sommergibile, ma l’attacco viene sventato dalla scorta.
Poco più tardi, però, durante un allarme aereo, sul Vivaldi scoppia accidentalmente un proiettile in un cannone da 120 mm, costringendo la nave al rientro per via dei danni subiti e delle gravi condizioni di alcuni feriti. Al suo posto, il Folgore (capitano di fregata Giuriati) assume il ruolo di caposcorta.
14 agosto 1941
Dopo mezzanotte, a sud di Lampione, il convoglio viene attaccato da aerosiluranti, con lancio di bengala illuminanti. Di nuovo, la reazione della scorta vanifica l’attacco.
15 agosto 1941
Il convoglio giunge a Tripoli alle 14. Il caposcorta, nella sua relazione, segnalerà i problemi di comunicazione tra navi mercantili e scorta, possibili soltanto con la radio principale (non conveniente) o con segnalazioni luminose (troppo lunghe e troppo pericolose, potrebbero portare all’avvistamento da parte nemica), chiedendo che al più presto i mercantili vengano dotati di radiosegnalatori.
19 agosto 1941
Barbaro, GrittiPisaniRialto e Venier lasciano Tripoli alle 15, scortate dai cacciatorpediniere Freccia (caposcorta), Euro e Dardo e dalla torpediniera Procione.
21 agosto 1941
Lasciate a Palermo, dove giungono alle due di notte, Euro e Rialto, il resto del convoglio prosegue per Napoli, dove arriva alle otto del mattino.
1° settembre 1941
La Barbaro (comandante civile comandante capitano di lungo corso Giulio Zagabia, comandante militare capitano di fregata Luigi Martini), insieme a GrittiPisani, Rialto e Venier, salpa da Napoli per Tripoli alle 22 (per altra fonte alle 24), con la scorta dei cacciatorpediniere DardoFolgoreStrale e Nicoloso Da Recco (caposcorta, capitano di vascello Stanislao Esposito). Il convoglio attraversa lo Stretto di Messina ed imbocca la rotta di levante, per tenersi il più possibile al di fuori del raggio d’azione degli aerosiluranti di Malta.
2 settembre 1941
Durante la notte sul 2 settembre, nel Tirreno, il convoglio, informato della probabile presenza di un sommergibile nemico, devia dalla rotta, manovra che lo farà passare nello stretto di Messina con tre ore di ritardo. Passato lo stretto, il convoglio si divide in due colonne, con Rialto e Pisani a dritta, Barbaro e Gritti a sinistra, Venier più a poppavia, tra le due colonne, e la scorta tutt’intorno (Da Recco in testa, Freccia e Strale a dritta, Folgore e Dardo a sinistra). La deviazione compiuta in precedenza fa però sì che il convoglio si trovi in acque pericolose – nel raggio d’azione degli aerei britannici di base a Malta – in acque notturne (senza cioè poter fruire della scorta aerea italiana, che vi è solo di giorno), contrariamente alle previsioni iniziali. Al calare della notte, come al solito, la scorta aerea se ne va.
3 settembre 1941
Non appena in franchia dello stretto di Messina, il convoglio assume rotta 116° (mettendo la prua sulla Morea), cioè verso est, per uscire dal cerchio di raggio 160 miglia con centro su Malta (che corrisponde al raggio d’azione dei suoi aerei, che possono colpire nella zona dello stretto e fino a sud di Capo Spartivento, ma non più ad est) prima di assumere rotta sud. Il ritardo accumulato nello stretto di Messina fa sì che il convoglio si trovi nella zona pericolosa (entro il raggio d’azione degli aerei di Malta) nelle ore notturne, quando non è disponibile la scorta aerea.
Alle 00.25-00.30, a circa 26 miglia per 140° (a sud-sudest) di Capo Spartivento Calabro (nel punto 37°33’ N e 16°26 E), cioè mentre ancora si trova – per poche miglia – entro il raggio d’azione degli aerei di Malta, il convoglio viene attaccato da nove aerosiluranti Fairey Swordfish dell’830th Squadron F.A.A. decollati da Malta.
Gli aerei, provenienti dal lato sinistro, nonostante la reazione delle artiglierie contraeree delle navi (il Folgore abbatte un aerosilurante), colpiscono Gritti e Barbaro con un siluro ciascuna.
Sulla Barbaro – che in quel momento si trova nel punto stimato 37°35’ N e 16°23’ E (circa 24 miglia a sudest di Capo Spartivento) e sta seguendo rotta 116° – il comandante militare Martini avvista alle 00.25, nella luce lunare, un aereo sul lato sinistro; Martini assume immediatamente il comando della nave, fa aprire il fuoco contro l’aereo ed ordina al contempo di mettere tutto il timone a sinistra, ma nello stesso momento la motonave viene colpita dal siluro. L’arma colpisce la Barbaro all’estrema poppa, mettendo subito fuori uso gli apparati di propulsione e di governo e così immobilizzando la nave. Si sente una sorda esplosione e la nave viene percorsa da un violento scossone, mentre il tunnel dell’elica (chiuso da una porta stagna) e la vicina stiva numero 6 (nella quale sono state stivate soprattutto delle munizioni) vengono subito allagati dall’acqua riversatasi nella falla.
Al contempo, un altro aereo (o forse lo stesso di prima) appare d’ala a 45° dalla prua sulla dritta della Barbaro: il capitano di fregata Martini fa aprire il fuoco contro di esso; il tiro appare ben diretto, e l’aereo sembra essere colpito e sparisce subito alla vista. Verso sinistra, a poppavia del traverso, si vede che un’altra nave ha anch’essa aperto il fuoco, ma in un’altra direzione. Subito dopo, non molto distante dal punto in cui si trova la nave che ha aperto il fuoco, “si verifica sul mare una violenta esplosione accompagnata da un’altissima ed ampia colonna di terrificante vivido fumo rossastro con ricadenti scintille e sprazzi che determina un sinistro chiarore illuminante a giorno per circa tre minuti il mare e l’orizzonte annebbiati”: la Gritti è appena esplosa, uccidendo tutti i 349 uomini a bordo tranne due.
Meno grave la situazione della Barbaro: il comandante militare Martini, valutando l’assetto ed il comportamento della nave (che è rimasta immobilizzata, ma perfettamente in assetto), giudica che essa non stia per affondare da un momento all’altro, e che al contrario, salvo nuovi attacchi nemici, subitanei cedimenti strutturali od altri imprevisti che possano aggravare la situazione, sia possibile salvarla.
Il comandante civile Zagabia ed il comandante militare Martini convengono a riguardo e decidono di trasmettere con la radio di emergenza un marconigramma “Ditra” (Difesa traffico) a Marina Messina, per richiedere che tale Comando mandi rimorchiatori e soccorsi, ma all’1.05, prima che tale messaggio venga trasmesso, il Dardo (capitano di corvetta Ferdinando Corsi) si avvicina alla Barbaro per prestarle assistenza. Il resto del convoglio, intanto, prosegue per la sua rotta (arriverà a Tripoli l’indomani, senza subire altre perdite).
Il comandante militare Martini ed il comandante Corsi del Dardo si accordano per provvedere all’immediato trasbordo di tutto il personale di passaggio (9 ufficiali e 294 sottufficiali e soldati del Regio Esercito) e tale operazione ha inizio all’1.40, ma le condizioni del mare costringono a procedere con estrema lentezza e rendono il trasbordo molto pericoloso; verso le 3.30, pertanto, Martini, in vista del tramonto della luna (e pur ponderando l’eventualità che la nave sia attaccata ancora mentre è ferma e pressoché indifesa), decide di sospendere il trasbordo fino all’alba, dato che in quelle condizioni e con l’oscurità notturna sarebbe quasi certa la perdita in mare di uomini durante tale operazione.
Alle 5.15, con le prime luci dell’alba, il trasbordo viene ripreso, venendo finalmente ultimato intorno alle sette: in tutto, vengono trasbordati dalla Barbaro al Dardo 300 militari di passaggio – 9 ufficiali e 291 tra sottufficiali e soldati – e 95 uomini di equipaggio. Completata quest’operazione, la Barbaro passa al Dardo il suo migliore cavo di acciaio, ammanigliato su tre lunghezze di catena, dopo di che il cacciatorpediniere inizia a rimorchiare la motonave in direzione di Capo dell’Armi. Nel frattempo arriva sul posto anche il cacciatorpediniere Strale, che comunica col Dardo, trasborda del personale e poi si allontana a tutta forza verso sudest.
Verso le 7.30 giungono nel cielo della Barbaro due aerei da cacca e poco dopo anche un idrovolante, che ne assumono la scorta aerea.
Verso le 9 sopraggiungono i cacciatorpediniere Ascari e Lanciere, inviati ad assumere la scorta di Barbaro e Dardo; i due cacciatorpediniere iniziano subito un’alacre opera di protezione, zigzagando attorno a Barbaro e Dardo, che avanzano a stento (bassissima velocità) a causa delle condizioni della motonave, del vento e del mare avversi che intralciano il rimorchio.
Poco più tardi la scorta viene rafforzata dal cacciasommergibili Albatros e poi anche dal cacciatorpediniere Carabiniere, mentre nel pomeriggio sopraggiungono anche i rimorchiatori TitanoPorto Recanati, inviati a dare assistenza al Dardo nel rimorchio. Alle 16.30 la Barbaro, senza fermarsi, passa un cavo d’acciaio anche al Titano, permettendo di aumentare un po’ la velocità del rimorchio.
Alle 18.30 (o 19) la Barbaro e la sua nutrita scorta riescono infine a raggiungere la rada di Messina; il comandante militare Martini cede nuovamente il comando al comandante civile Zagabria. Nel siluramento e nelle successive operazioni per il salvataggio della nave non vi è stata alcuna vittima tra il personale imbarcato sulla Barbaro.
Sia il comandante civile Zagabria che il comandante militare Martini verranno decorati con la Medaglia di Bronzo al Valor Militare per essere riusciti a salvare la nave nonostante i gravi danni subiti e le avverse condizioni del mare.
Successivamente la Barbaro verrà nuovamente portata nei CRDA di Monfalcone, per nuovi lavori di riparazione dei gravi danni causati dal siluro, che le è esploso sotto l’estrema poppa.
Giugno-Settembre 1942
I lavori di riparazione hanno inizio solamente in giugno, ben nove mesi dopo il siluramento, e si protraggono fino ai primi di settembre.
 
La Barbaro a Monfalcone il 10 luglio 1942, durante i lavori di riparazione dei danni subiti nel settembre 1941 (g.c. STORIA militare)

L’affondamento

Terminate le nuove riparazioni, la Barbaro si preparò a tornare sulle rotte dei convogli per la Libia, ma la sfortuna che l’aveva accompagnata per tutta la sua vita non era intenzionata a lasciarla: il suo primo viaggio per la Libia dopo il completamento delle riparazioni fu anche l’ultimo.
Alle 12.30 del 26 settembre 1942 la Barbaro, dopo aver imbarcato 175 militari diretti in Libia ed un ingente carico di veicoli e rifornimenti per le forze operanti in Africa Settentrionale (21 carri armati, 151 tra automezzi e rimorchi, 547 tonnellate di nafta e carbone, 1217 tonnellate di munizioni e materiale d’artiglieria e 2334 tonnellate di materiali vari), partì da Brindisi alla volta di Bengasi, scortata dal cacciatorpediniere Lampo e dalle torpediniere Partenope e Clio. Comandava la motonave il capitano di lungo corso Leo Stelè.
Il carico della nave comprendeva, oltre ad alcuni mezzi corazzati tedeschi, anche tutto il materiale ed i mezzi da combattimento del Comando, dello Squadrone Comando e dello Squadrone Semoventi da 47/32 (5° Squadrone, II Gruppo Squadroni) del 15° Raggruppamento Esplorante Corazzato "Cavalleggeri di Lodi", del quale era in corso il trasferimento in Africa Settentrionale; a bordo erano tra l’altro tutti i semoventi L40 da 47/32 di quel Raggruppamento, i primi mezzi di questo tipo inviati in Nordafrica. Anche molti dei militari imbarcati di passaggio appartenevano ai Cavalleggeri di Lodi, che accompagnavano i loro mezzi nel viaggio per mare, mentre vi erano anche una cinquantina di soldati tedeschi.
Tutti i mezzi del Reggimento Cavalleggeri di Lodi ed il relativo personale di accompagnamento (il resto della truppa, invece, sarebbe stato trasferito per via aerea) erano stati avviati verso Brindisi e Taranto il 21 settembre, prendendo poi imbarco su tre diverse motonavi in partenza per l’Africa: oltre alla Barbaro, la D’Annunzio e la Valfiorita.
Il reparto di Cavalleggeri di Lodi che prese imbarco sulla Barbaro era comandato dal tenente Giacomo Pirzio Biroli. Una volta a bordo, a ciascun soldato venne consegnato un salvagente; il comandante della nave provvide poi a spiegare la procedura da seguire in caso di affondamento: salvagente sempre indosso, slacciare le scarpe, gettarsi in mare soltanto dopo l’ordine “Si salvi chi può”; dopo tale comando, i soldati si sarebbero dovuti radunare e si sarebbero dovuti tuffare avendo cura di chiudere le narici, per poi allontanarsi il più possibile dalla nave, per sottrarsi al risucchio generato dal bastimento in affondamento.
Nelle stive, i sacchi di farina che facevano parte del carico erano stati sistemati sui lati, in modo da attutire, almeno un poco, i danni causati dallo scoppio di siluri o proiettili di cannone che fossero giunti a segno.
Alle sette del mattino del 27 settembre la Barbaro e la sua scorta si unirono ad un altro gruppo, partito da Taranto e diretto anch’esso a Bengasi, formato dalla moderna motonave Unione scortata dal cacciatorpediniere Giovanni Da Verrazzano (capitano di fregata Carlo Rossi, caposcorta) e dalle torpediniere Aretusa e Lince; i due gruppi formarono così un unico convoglio (denominato appunto «Barbaro»), del quale era caposcorta il Da Verrazzano.
Procedendo a 14 nodi, il convoglio imboccò le rotte costiere della Grecia occidentale, ma fin dal mattino del 27 settembre iniziò ad essere tallonato da velivoli da ricognizione nemici.
La loro presenza non era casuale: già il 26 settembre l’organizzazione britannica “ULTRA” aveva intercettato e decifrato messaggi italiani dai quali aveva potuto apprendere che «L’Unione partirà da Taranto alle 20.30 del 26 e la Barbaro da Brindisi alle 22.30 del 26, per riunirsi in mare alle 06.00 del 27 e procedere per Bengasi dove giungeranno alle 16.00 del 28». Ne fu informato il sommergibile britannico P 35 (poi divenuto Umbra), al comando del tenente di vascello Stephen Lynch Conway Maydon.

Alle 15.40 del 27 settembre il P 35 avvistò un aereo che volava in cerchio a 8 miglia per 280° e, presumendo che si trattasse di uno dei velivoli della scorta aerea del convoglio segnalato da “ULTRA”, portò la velocità al massimo per portarsi in quella zona. Alle 16.02 il sommergibile avvistò infatti il convoglio, formato da due grossi mercantili scortati da cinque tra cacciatorpediniere e torpediniere più degli aerei, su rilevamento 285°. Alle 16.30 Maydon scelse come bersaglio il mercantile più vicino, ossia la Barbaro, della quale sovrastimò un poco la stazza, valutandola come compresa tra le 8000 e le 10.000 tsl. La distanza era di circa 5500 metri; il comandante britannico stimò rotta e velocità del convoglio come 150° e 14 nodi, e ritenne che vi fossero sei tra cacciatorpediniere e torpediniere a scortarlo.
Alle 16.33, in posizione 37°04’ N e 20°36’ E (35 miglia a sud di Capo Marathia sull’isola di Zacinto), il P 35 lanciò quattro siluri verso la Barbaro, da una distanza compresa tra i 7300 e gli 8300 metri.
I velivoli della scorta aerea avvistarono le scie dei siluri dopo il lancio, e vi si avventarono contro aprendo il fuoco con le mitragliatrici, nel tentativo di colpirli e farli esplodere prima che potessero raggiungere il bersaglio. Il secondo capo cannoniere Cosimo Calorì, di Gallipoli, 31 anni di cui 10 trascorsi in Marina, assisté alla scena da bordo della Barbaro:  alcuni dei siluri vennero colpiti prima di andare a segno, ma uno di essi colpì la Barbaro a prua, sul lato sinistro. Erano le 16.40 (o 16.42); la nave si trovava in quel momento a circa 60 miglia per 275° (ad ovest) da Navarino.
Si trovavano in coperta al momento dell’attacco anche molti dei Cavalleggeri di Lodi: gli equipaggi dei semoventi, perlopiù friulani, tra cui il tenente Pirzio Biroli, il cavalleggero Domenico Giacomuzzi (da Sedegliano, in provincia di Udine), Primo Macuglia, Anselmo Scruzzi, Luigi Pividori, Giuseppe Rosso ed altri. Anche loro videro il tentativo degli aerei della scorta di distruggere i siluri a colpi di mitragliatrice, e poi l’impatto di un siluro a prua, in un deposito di nafta.
L’acqua iniziò subito a riversarsi all’interno della falla aperta dal siluro, allagando alcuni locali di prua, mentre ne fuoriusciva del carburante contenuto nel deposito colpito. Sulla Barbaro si scatenarono la confusione ed il panico: molti uomini, credendo che la nave stesse per affondare, si precipitarono a poppa e cercarono convulsamente di mettere a mare le imbarcazioni per abbandonare la nave. Tra di essi Domenico Giacomuzzi e molti cavalleggeri suoi commilitoni, ed anche il capo cannoniere Cosimo Calorì con alcuni compagni dell’equipaggio. Quest’ultimo, con altri marinai, tentò di calare una scialuppa; la manovra, però, riuscì soltanto in parte, a causa del mare mosso che impedì alla lancia di staccarsi dalla nave. Ancora peggio andò ai tedeschi, che stavano anch’essi cercando di calare altre scialuppe: una lancia si capovolse a causa del mare mosso, sbalzando in mare i tedeschi che si trovavano a bordo; alcuni di essi rimasero impigliati e intrappolati nelle corde, altri furono risucchiati dall’elica, che ancora girava.
Vedendo queste scene, alcuni dei migliori nuotatori che si trovavano a bordo, anziché affidarsi all’incerta sicurezza delle lance, preferirono calarsi in mare lungo delle cime di fortuna, per poi tentare di allontanarsi a nuoto: tra di essi anche Cosimo Calorì, il quale, essendo un ottimo nuotatore, decise di calarsi in mare lungo una corda, indossando un salvagente, per cercare di allontanarsi a nuoto dalla nave. Con lui si calarono anche altri marinai; solo dopo parecchio tempo, lottando contro le onde, Calorì riuscì ad allontanarsi dalla Barbaro, ma si accorse di essere rimasto solo, mentre calava il buio della sera. La motonave era ancora in vista, ormai lontana, ed il marinaio gallipolino era convinto che sarebbe affondata nel giro di poco tempo.
Altri uomini, che avevano tentato anch’essi di calarsi in mare, vennero invece risucchiati dall’elica. Fra quanti avevano intrapreso questo tentativo vi era anche il tenente Pirzio Biroli dei Cavalleggeri di Lodi: assistendo alla tragica fine di alcuni dei suoi predecessori, preferì rinunciare e risalì a bordo, arrampicandosi lungo la cima.
Domenico Giacomuzzi, cavalleggero ventottenne imbarcato in accompagnamento ai semoventi, si trovava a poppa insieme ai commilitoni Anselmo Scruzzi e Luigi Pividori. Non avendo ancora sentito l’ordine “Si salvi chi può”, i tre decisero di restare uniti e di calarsi da un’altra parte, dove non ci fosse il rischio di essere risucchiati dall’elica. Così fecero, dopo di che iniziarono a nuotare; dopo diverse forti bracciate, Giacomuzzi non vide più i due compagni. Insieme ad altri naufraghi, Giacomuzzi riuscì a raggiungere una zattera gettata in mare dall’equipaggio della Barbaro, con la quale, remando con le braccia, raggiunsero una delle navi di scorta mentre iniziava a calare la sera. Anche Scruzzi e Pividori sarebbero sopravvissuti, salvati dopo tre o quattro ore da una motobarca messa a mare da una delle unità di scorta col preciso incarico di cercare i naufraghi che il mare aveva portato più lontano dalla motonave colpita.

Benché gravemente danneggiata, la Barbaro continuò a galleggiare ancora per parecchie ore, tanto da far sperare di poterla salvare ancora una volta: per ordine del caposcorta, il Lampo prese a rimorchio la motonave danneggiata ed iniziò a trainarla verso Navarino, mentre Partenope e Clio davano dapprima la caccia al sommergibile britannico, assumendo poi la scorta di Barbaro e Lampo. L’Unione, col resto della scorta, proseguì invece per la sua rotta.
Frattanto il P 35, dopo aver lanciato, era sceso in profondità, aveva assunto rotta 300° ed aveva fatto uno “scatto” a tutta forza per cinque minuti, allo scopo di allontanarsi dal convoglio prima che iniziasse la reazione della scorta.
Questa ebbe inizio alle 16.43, quando una bomba di profondità scoppiò piuttosto vicina al sommergibile; quest’ultimo accostò allora per 270°, ma seguirono altre bombe d’aereo, dieci in tutto, l’ultima delle quali alle 17.57. Alle 17.06, tra un attacco e l’altro, il P 35 ebbe modo di tornare a quota periscopica e di osservare il proprio bersaglio, che si trovava ora su rilevamento 176°: la Barbaro era leggermente appoppata ed appariva immobilizzata, con un cacciatorpediniere nei pressi; si levava da essa parecchio fumo nero. Essendovi aerei tutt’intorno, Maydon scese a 15 metri ed assunse rotta 200°, ed alle 17.13 iniziò a ricaricare i tubi lanciasiluri per tentare un nuovo attacco. Alle 17.33, vedendo che dalla motonave non si levava più del fumo, il P 35 accostò per 240°, ma alle 17.34 ebbe inizio un pesante contrattacco da parte della scorta, che costrinse il sommergibile a scendere a 60 metri ed a manovrare per sottrarsi alla caccia. Ne uscì comunque di nuovo indenne, ed alle 17.52 rilevò il bersaglio su rilevamento 155°, notando dopo cinque minuti che c’erano tre cacciatorpediniere o torpediniere in un raggio di 3660 metri.
Alle 18.25 il P 35 tornò a quota periscopica: avvistato un cacciatorpediniere o torpediniera a poppavia, distante 1370 metri, diretto verso di lui ed in avvicinamento, Maydon se ne tornò a 60 metri. La nave italiana lanciò undici bombe di profondità, che esplosero piuttosto vicine, arrecando alcuni lievi danni al P 35; alle 19.03 seguirono altre sei bombe di profondità, esplose molto vicine al sommergibile, che tuttavia proseguì nella manovra di attacco. Alle 19.36 il battello britannico accostò per 250° per portarsi ad ovest prima di sferrare l’attacco, in modo da godere del vantaggio dato dalla luna che sorgeva; venne ultimato il ricaricamento dei tubi lanciasiluri. Alle 20.06 il P 35 riemerse nel punto 37°06’ N e 20°28’ E; la Barbaro appariva ancora a galla ma sempre ferma, su rilevamento 070°, ad una distanza di circa quattro miglia. Tre tra cacciatorpediniere e torpediniere le giravano intorno in cerchio, ad un distanza di un paio di miglia. Nelle due ore seguenti il P 35 si mantenne in contatto visivo col bersaglio, per attaccare col favore del buio una volta calata la notte, e ridusse le distanze procedendo in superficie, per poi tornare ad immergersi alle 22.25. Cinque minuti dopo, in posizione 37°09’ N e 20°27’ E, il sommergibile lanciò due siluri contro l’immobile Barbaro da una distanza compresa tra i 5500 ed i 7300 metri, per poi scendere subito dopo a 36 metri di profondità, mettendo tutta la barra a dritta.
Maydon avvertì un’esplosione dopo dieci minuti, molto più tardi di quanto da lui calcolato in base alla distanza stimata: in realtà, questa volta nessun siluro era giunto a segno.
Alle 23.10 il P 35 avvistò quattro navi su rilevamenti compresi tra 079° e 061°, l’ultima delle quali (rilevamento 061°) era la Barbaro. Maydon fece ricaricare gli altri due tubi lanciasiluri, ed alle 00.34 del 28 settembre assunse rotta 360°, allo scopo di portarsi nuovamente in posizione favorevole rispetto alla luna; alle 00.45 avvistò due cacciatorpediniere o torpediniere su rilevamenti 044° e 058°, e cinque minuti dopo riemerse in posizione 37°07’ N e 20°21’ E. La motonave italiana appariva ancora a galla, ma avvolta da un “velo” di fumo, con le navi scorta che continuavano a girarle intorno. Il P 35 si trattenne in zona, senza per il momento lanciare nuovi attacchi.

Il secondo attacco del P 35 non aveva prodotto risultati, ma il rimorchio della Barbaro verso Navarino non fu comunque coronato da successo: l’incendio scoppiato a bordo dopo il primo siluramento, infatti, si rivelò incontenibile, ed alle 4.41 del 28 settembre le fiamme raggiunsero le munizioni che facevano parte del carico (altra versione parla di un’esplosione verificatasi durante la notte all’interno della stiva colpita dal siluro ed incendiata), e la Francesco Barbaro esplose ed affondò punto approssimato 37°15’ N e 19°55’ E, una cinquantina di miglia a sudovest di Capo Marathia nell’isola di Zacinto.
Cosimo Calorì, tutto questo, lo venne a sapere soltanto molto tempo dopo: mentre il Lampo lottava vanamente per portare in salvo la Barbaro ed il P 35 cercava in ogni modo di finirla, lui si trovava da solo in mezzo al mare, alla deriva, circondato soltanto dal buio della notte.
Si mise a pregare la Madonna del Canneto, che le madri gallipoline pregavano per la salvezza dei loro figli pescatori, e smise di nuotare, ormai esausto, lasciando che fosse il salvagente a tenerlo a galla. Pensò alla famiglia, alla figlia appena nata che non aveva ancora potuto vedere, al paese natio, agli amici, alla prospettiva della morte imminente; mentre il freddo iniziava a fargli perdere la sensibilità di gambe e braccia, perse i sensi.
Riprese conoscenza per un breve momento quando si accorse di essere sollevato dall’acqua da uomini dalle facce abbronzate, con barbe incolte; poi svenne di nuovo. Si sarebbe risvegliato soltanto alcuni giorni più tardi, avvolto in una coperta ed adagiato accanto alla caldaia di una nave, indolenzito ma vivo. Portato in Grecia, rimase ricoverato per parecchio tempo; sarebbe sopravvissuto alla guerra, vivendo fino all’età di 95 anni.
Anche Domenico Giacomuzzi e gli altri Cavalleggeri di Lodi sopravvissuti vennero portato in Grecia, nel Peloponneso. Al momento dello sbarco, molti cavalleggeri si misero a baciare la terra, per la gioia di esserne usciti vivi. Il tenente Pirzio Biroli fece l’appello dei superstiti, esprimendo il suo dispiacere per quanti erano scomparsi. I cavalleggeri superstiti sarebbero rientrati in treno a Savona dopo circa un mese, per poi essere nuovamente mandati in Africa.

Su un totale di 278 uomini (223 italiani e 55 tedeschi), tra equipaggio e militari di passaggio, che erano imbarcati sulla Francesco Barbaro, 248 vennero tratti in salvo. In 30 persero la vita, morti o dispersi in mare; tra di essi 15 uomini del Raggruppamento Esplorante Corazzato "Cavalleggeri di Lodi" e sette membri dell'equipaggio civile.
I sopravvissuti, recuperati da Lampo, Partenope e Clio (secondo documenti consultati da Platon Alexiades, risulterebbe che 125 furono salvati dalla Clio e 123 dal Lampo, mentre non si parla della Partenope), vennero da esse sbarcati a Navarino alle 10.30 dello stesso 28 settembre.

Le vittime:

Alessio Anelli, cavalleggero Rgt. "Cavalleggeri di Lodi"
Francesco Bianchi, cavalleggero Rgt. "Cavalleggeri di Lodi"
Armando Cabrini, cavalleggero Rgt. "Cavalleggeri di Lodi"
Ernesto Calcich, carpentiere, da Fiume
Armando Cesena, cavalleggero Rgt. "Cavalleggeri di Lodi"
Giovanni Chituzzi, ingrassatore, da Venezia
Antonio Curma Picione, caporale Rgt. "Cavalleggeri di Lodi"
Michele Farelli, garzone di cucina, da Torre del Greco
Luigi Ferrandi, cavalleggero Rgt. "Cavalleggeri di Lodi"
Luigi Gilardi, cavalleggero Rgt. "Cavalleggeri di Lodi"
Alberto Gonsalvi, cavalleggero Rgt. "Cavalleggeri di Lodi"
Adriano Kececi, sergente maggiore Rgt. "Cavalleggeri di Lodi"
Giuseppe Maiori, cavalleggero Rgt. "Cavalleggeri di Lodi"
Attilio Marcato, marinaio R. Marina, da Megliadino S. Fidenzio
Pietro Marcio, secondo cuoco, da Brindisi
Romano Massaferro, cavalleggero Rgt. "Cavalleggeri di Lodi"
Bruno Mazzeri, cavalleggero Rgt. "Cavalleggeri di Lodi"
Antonio Muscoli, marittimo civile, da Fiume
Walter Pagliani, sergente Rgt. "Cavalleggeri di Lodi"
Giovanni Riccio, marinaio, da Mola di Bari
Giuseppe Rosso, caporale Rgt. "Cavalleggeri di Lodi"
Andrea Saglietto, caporale Rgt. "Cavalleggeri di Lodi"
Marco Solazzo, piccolo di camera, da Brindisi
Antonio Zircovich (o Zivcovich), nostromo, da Trieste

Risultano mancare ancora sei nomi, probabilmente uomini appartenenti all'equipaggio militare o militari tedeschi.


Verbale di scomparizione relativo ai membri dell’equipaggio civile morti nell’affondamento della Francesco Barbaro (g.c. Michele Strazzeri)



Il P 35, che era rimasto nell’area dopo il secondo attacco, sentì poco prima delle cinque il rumore di una nave che affondava, e quando tornò a quota periscopica, poco dopo le sei del mattino, non avvistò più nulla.
“ULTRA”, decrittando ulteriori messaggi italiani il 28 ed il 29 settembre, poté informare i comandi britannici del successo ottenuto.


L’affondamento della Francesco Barbaro nel ricordo del cavalleggero Domenico Giacomuzzi (tratto da “Reggimento Cavalleggeri di Lodi (15°) 1859-1995” del Gen. Dario Temperino, che si ringrazia per la concessione, su www.tempiocavalleriaitaliana.it):

 “Dopo alcuni giorni, lo Squadrone veniva caricato sulla nave da trasporto Francesco Barbaro per destinazione ignota. In attesa della partenza, un compagno, che con me aveva prestato servizio di leva a Codroipo e che, nel frattempo, era di servizio nel porto di Brindisi, dopo le effusioni dell’incontro, mi proponeva una festicciola brindando al felice incontro insieme ai commilitoni Scruzzi e Pividori. Il mio amico, nelle reciproche confidenze ci augurava di tutto cuore una libera traversata, soggiungendo che forse gli Alleati avevano già avuto sentore della nostra partenza e presumeva che stessero predisponendo l’attacco al nostro convoglio quando fosse stato in mare aperto. Nonostante questa infausta confidenza, la serata trascorreva in allegria: eravamo giovani e spensierati ! ! ! All’indomani sulla nave, ad ognuno di noi veniva dato il salvagente. Quindi il Comandante (civile, come tutto l’equipaggio) volle darci le istruzioni nel caso la nave fosse affondata: il salvagente sempre addosso, le scarpe slacciate, gettarsi a mare solamente all’ordine: “ Si salvi chi può”, indi chiuderci le narici, ammucchiarsi e tuffarsi , allontanandosi il più lontano possibile, al fine di evitare d’essere risucchiati dai gorghi della nostra stessa nave. Sulla ‘Francesco Barbaro’, nave da carico di 13.000 tonnellate, erano stati caricati carri armati italiani e tedeschi, autocarri vari, le dotazioni personali, oltre a tonnellate di esplosivi e munizioni. Tra il cospicuo contingente di rifornimento viveri, vi erano numerosi sacchi di farina, opportunamente disposti in punti strategici per attutire i danni da eventuali squarci provocati da colpi nemici. Dopo la partenza, ci eravamo uniti in convoglio con una nave sorella salpata da Taranto, con tutte le garanzie di offesa e difesa: palloni frenanti, sei cacciatorpediniere di scorta, apparecchi sonar, ecc…, oltre a formazioni di caccia italiane e tedesche. All’indomani, verso le quindici del 27 o 28 settembre, eravamo in coperta, gli equipaggi dei semoventi, in maggioranza friulani, Macuglia Primo, Scruzzi Anselmo, Pividori Luigi, Ballaben di Gorizia, Rosso Giuseppe, il sottoscritto, compreso il nostro Comandante Pirzio Biroli, quand’ecco giungere a turbare la nostra tranquillità la caccia italiana e tedesca che si lanciava in picchiata con raffiche di mitraglia verso i siluri nemici diretti alla nostra nave, siluri che si potevano intravedere dalla scia e che venivano colpiti prima di raggiungere il bersaglio. Il momento era inquietante e tragico. . . . Purtroppo, dopo interminabili tentativi nemici, si sentì un grande boato: la nave era stata colpita a prua nel deposito della nafta. Dallo squarcio fuoriusciva il carburante ed entrava l’acqua, dando così inizio all’affondamento del trasporto. Subito ci portavamo in poppa: in questi tragici, angosciosi momenti, si cercava di raggrupparci per concertare una manovra d’emergenza e salvare le nostre vite. Io ed il gruppo di commilitoni a me vicino, ci sentivamo travolti dal caos, scoraggiati e sgomenti. Nella confusione determinatasi, i tedeschi iniziavano dalla loro parte a staccare le scialuppe e vedevo una di queste ribaltarsi ed i tedeschi in mare, alcuni aggrovigliati dalle corde contorte e pensavo che tra qualche istante avrei potuto trovarmi anch’io in quella condizione, se non peggiore. E’ indescrivibile l’angoscia, il terrore che provavo in quei momenti. Alcuni italiani cercavano di sganciare una scialuppa, riuscendovi in parte: il mare, però, era mosso ed impediva alla barca di staccarsi dalla nave. Vedendo questi tentativi dall’esito incerto, i migliori nuotatori si calavano in mare mediante corde di fortuna, ma le eliche in funzione ne risucchiavano alcuni nei loro vortici. . . . Fra questi vi era anche il nostro Comandante, il quale, intuita la pericolosità della manovra, istintivamente si aggrappava alla corda e risaliva a bordo. Da questo momento ho perso con lui ogni contatto. Presumo si sia salvato con altra scialuppa. Non udendo il ‘si salvi chi può’, io, Pividori e Scruzzi, decidemmo di tenerci uniti e, calatici da un’altra parte, iniziavamo a nuotare. Dopo poderose e parecchie bracciate, voltandomi non vidi più i miei due amici. Loro trovandosi in una posizione più lontana, dopo tre o quattro ore sono stati presi a bordo da una motobarca di una nostra cacciatorpediniera adibita alla ricerca dei naufraghi lontani, mentr’io, unitamente ad altri sventurati, raccolta una zattera lanciata dall’equipaggio della nostra nave e, remando con le braccia, abbiamo raggiunto la cacciatorpediniera, mentre sopraggiungevano le ombre della sera. All’indomani, dopo questa tragica disavventura, durata interminabili ore, siamo stati sbarcati nel Peloponneso (Grecia) e, lasciatemelo dire, ho visto molti compagni baciare la terra, felici per lo scampato pericolo. Il Comandante Pirzio Biroli, ritrovandosi fra noi scampati, ha fatto l’appello dei rimasti, formulando profondo dispiacere per i militari mancanti. Dopo circa un mese siamo rientrati in ferrovia al nostro Reggimento in Savona.“ Fin qui il racconto del reduce che, sia pure con qualche diversità, non si discosta nella sostanza a quanto racconta il cavalleggero Gabriele Cadeddu di Pinerolo, anch’esso sfortunato passeggero di quella nave. Il Barbaro, infatti, si era inabissato il 28 settembre con tutto il materiale ed i mezzi da combattimento del Comando, dello squadrone comando, dello squadrone semoventi 47/ 32. I superstiti sarebbero stati tratti in salvo dopo molte ore di angosciante attesa nelle scure acque del Mediterraneo. Quattordici i dispersi di cui non si seppe più niente.”


L’affondamento della Francesco Barbaro nel ricordo del secondo capo cannoniere Cosimo Calorì (da www.monterotondesi.it): 

“Dopo aver caricato il materiale destinato alle truppe italiane dislocate in Africa, composto di viveri di vario genere, sacchi di farina messi all’interno lungo le fiancate della nave per attutire eventuali colpi nemici, carri armati, autocarri, carburante oltre a grosse quantità di munizioni ed esplosivi, attendiamo l’imbarco di una parte del Reggimento Cavalleggeri di Lodi proveniente dal nord Italia.
Dopo aver atteso e rinviato la partenza, alle ore 21,30 si salpa. A bordo c’è una discreta euforia, ma siamo in guerra ed avendo avuto la sensazione che gli inglesi conoscono i nostri spostamenti, l’animo non è dei più sereni !
Il convoglio si forma definitivamente in mare aperto, con l’aggiunta di un’altra motonave proveniente da Taranto e sei cacciatorpediniere di scorta munite di apparecchiature di rilevamento.
Si naviga nel silenzio, a luci spente, dormendo come si dice, con un occhio solo, sempre attenti alla propria salvezza!
La serata trascorre tranquillamente: è il momento del riposo dopo una giornata piuttosto faticosa.
C’è da spiegare che ad ogni marinaio al momento dell’imbarco, viene assegnato un codice numerico, inciso su una targhetta metallica, dal quale si comprende tutto quello che è relativo ad ogni membro dell’equipaggio, cioè: a quale squadra e reparto appartiene, il rancio, la branda, l’armadietto,  il turno di doccia, la franchigia, il posto di combattimento in navigazione di guerra, in difesa antiaerea, in fase di antincendio, il salvagente da indossare, su quale zattera andare, le manovre da eseguire prima dell’abbandono della nave.
Al mattino lo squillo della tromba ci richiama all’inizio delle attività.
Ci vestiamo rapidamente, arrotoliamo le brande nascondendole  nei cassonetti ( in termini navali vengono detti, bastingaggi) per avere più spazio.
Consumiamo in fretta  la colazione e con l’alzabandiera inizia la giornata.          
La mattinata trascorre abbastanza tranquilla, ma a metà pomeriggio accade quello che tutti noi pregavamo che non accadesse mai!
All’improvviso il finimondo.
I caccia italiani e tedeschi lanciandosi in picchiata, tentano di colpire con raffiche di mitragliatrice i siluri nemici diretti alla nostra nave. Intravediamo i siluri dalla loro scia, alcuni vengono colpiti prima di raggiungere il bersaglio.
All’improvviso udiamo un grande boato: la Francesco Barbaro, alle ore 16,40, a 50 miglia nautiche a sud-ovest di Capo Marathia dell’isola di Zacinto in posizione 37º15'N, 19º55'E, dopo un secondo attacco del sommergibile inglese “HMS Umbra”, è stata colpita da un siluro a prora sinistra.         
Dallo squarcio comincia ad entrare l’acqua e a fuoriuscire  il carburante, provocando così l’allagamento di alcuni locali di prua.
Il momento è drammatico.
Travolti dalla confusione ci spostiamo a poppa: è inimmaginabile l’angoscia e il terrore che pervade i nostri corpi, in questo clima si cerca la salvezza.
Iniziano le convulse  manovre d’emergenza per tentare di  salvare le nostre vite.
Con altri marinai cerco di sganciare una scialuppa, ma la manovra non riesce completamente; anche alcuni militari  tedeschi iniziano a staccare le scialuppe ma a causa del mare mosso, vedo una di queste ribaltarsi ed i tedeschi sono sbalzati in mare.
Alcuni di loro, rimasti intrappolati dalle corde sono risucchiati dai vortici dell’elica rimasta ancora in funzione.
Atterrito dalla visione di queste scene ed essendo un eccellente nuotatore, (non per niente sono un gallipolino!) mi calo in mare insieme ad altri marinai con una corda di fortuna ed inizio a nuotare aggrappato al mio salvagente. Cerco di allontanarmi dalla nave ma la difficoltà è notevole a causa della forza delle onde che me lo impedisce.
Dopo un tempo infinito e dopo poderose bracciate riesco nell’intento, ma sopraggiunge l’oscurità e  mentre tento di calmarmi e riposarmi un poco cerco di intravedere se altri compagni sono nelle mie vicinanze. Non vedo né sento più nessuno, sono rimasto solo!
La Francesco Barbaro è ormai lontana e penso che affonderà in breve tempo.
Mi sento un uomo morto.
Riecheggiano nella mia mente le suppliche che le mamme gallipoline fanno alla Madonna del Canneto per la salvezza dei figli pescatori, i loro pianti. Prego anche io.
Mi abbandono stremato, affidandomi al salvagente, ma il pensiero torna sempre alla mia famiglia, alla mia prima figlia Cleonice appena nata e che non ho mai abbracciato, mi riecheggia nel cervello il suo nome, è tutto un turbinio di immagini, il sole della mia città, gli amici, la paura della morte, le lacrime si mescolano all’acqua del mare.
Fa freddo, comincio a non avere la sensibilità alle gambe ed alle braccia, le acque del Mediterraneo forse nasconderanno per sempre il mio corpo.
Perdo i sensi.
All’improvviso apro gli occhi: intravedo per un momento delle facce abbronzate con barbe incolte che mi stanno intorno e  mi sollevano.
Non capisco nulla, ma ho la sensazione, non la certezza, di essere ancora vivo, perdo di nuovo conoscenza.
Mi risveglio soltanto dopo qualche giorno. Mi trovo disteso vicino alla caldaia di una nave, avvolto in una coperta, con le ossa e i muscoli tutti indolenziti.
Finalmente sono sicuro di essere ancora nel mondo dei vivi!          
La mia vita ricomincia da qui.
Mi portano in Grecia dove resto ricoverato per diverso tempo.
Soltanto in seguito ho saputo che la motonave Francesco Barbaro non affonda subito, ma dopo il tentativo di rimorchio a Navarino. Infatti  alle ore 04.41 del giorno 28 settembre un incendio, seguito da un'esplosione nella stiva segnano la fine della nave che si inabissa con tutto il materiale a 37° 15' Nord - 19° 55' Est;  altri superstiti sarebbero stati tratti in salvo dopo molte ore di penosa attesa nelle acque del Mediterraneo.
Quattordici sono i dispersi di cui non si è saputo più niente [in realtà i morti e i dispersi furono trenta, n.d.a.].”


L’affondamento della Francesco Barbaro nel giornale di bordo del P 35 (da Uboat.net):

27 September 1942
1540 hours - Sighted aircraft circling bearing 280°, range about 8 nautical miles. Assumed this to be part of the escort of the expected convoy. Increased to full speed to get into that area.

1602 hours - Sighted 2 large merchant vessels escorted by 5 destroyers / torpedo boats and aircraft bearing 285°. Started attack.
1630 hours - The nearest merchant vessel was chosen as the target. She was 8000 to 10000 tons in size. Range was estimated as being 6000 yards. It was thought that six destroyers / torpedo boats were escorting this convoy. Enemy course was 150°, speed 14 knots.
1633 hours - In position 37°04'N, 20°36'E fired four torpedoes from 8000 - 9000 yards. One hit was obtained. After firing Umbra went deep, changed course to 300° and made a burst at full speed for 5 minutes.
1643 hours - A bomb exploded fairly close. Altered course to 270°. More aircraft bombs, about 10 in total, followed up to 1757 hours.
1706 hours - Returned to periscope depth. The target was seen bearing 176°. She was making much black smoke and slightly down by the stern. She appeared to be stopped with a destroyer nearby. As aircraft were all around went to 50 feet and proceeded on course 200°.
1713 hours - Started reloading the torpedo tubes.
1733 hours - The target was no longer smoking. Altered course to 240°.
1734 hours - A serious counter attack was started by the enemy. P 35 went to 200 feet and took evasive action.
1752 hours - Target was now bearing 155°.
1757 hours - Three destroyers / torpedo boats were now within 4000 yards.
1825 hours - Returned to periscope depth. One destroyer / torpedo boat was 1500 yards astern and coming towards. Went to 200 feet again. 11 Depth charges were dropped quite close causing some minor damage.
1903 hours - Six depth charges were dropped very close.
1936 hours - Altered course to 250° to get to the Westward in order to have advantage of the rising moon. Completed the reload of two torpedo tubes.
2006 hours - Surfaced in position 37°06'N, 20°28'E. The target was still afloat laying stopped bearing 070°, range about 4 nautical miles. Three destroyers / torpedo boats were circling her about 2 miles off. P 35 kept within visual range to attack during the night if possible.
2225 hours - After having closed on the surface, dived to attack again.
2230 hours - In position 37°09'N, 20°27'E fired two torpedoes from 6000 to 8000 yards at the stationary target. Upon firing P 35 went to 120 feet and altered course hard to Starboard. One explosion was heard after almost 10 minutes giving a much greater range.
2252 hours - The three destroyers / torpedo boats were seen to the North-East about 5 miles away.
2310 hours - Ships were sighted bearing 079°, 073°, 067° and 061°. The last was the target. Reloaded the other two torpedo tubes.
28 September 1942
0034 hours - Altered course to 360° to get down moon again.

0045 hours - Sighted two destroyers / torpedo boats bearing 044° and 058°.
0050 hours - Surfaced in position 37°07'N, 20°21'E. The target was still afloat but was enveloped in a veil of smoke. The escorts were still circling her. P 35 remained in the area. Shortly before 0500 hours a ship was heard sinking. When P 35 returned to periscope depth shortly after 0600 hours nothing was in sight.”
 
Una immagine della Barbaro a Tripoli nel 1941, mentre viene scaricata da mezzi del Genio tedesco (stefsap.wordpress.com)


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