Il Fiume ormeggiato a Lero nel luglio 1942; sulla sinistra il piroscafetto Tarquinia (Archivio Centrale dello Stato, via Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net) |
Piroscafo passeggeri
di 662 (o 654) tsl, 386 tsn e 300 tpl, lungo 48,18 metri, largo 7,80 e pescante
5,30, con velocità di 10,5 nodi. Appartenente alla Società Anonima di
Navigazione Adriatica, con sede a Venezia, ed iscritto con matricola 308 al
Compartimento Marittimo di Venezia. Nominativo internazionale IBTM, nome in
codice "Festino".
Poteva trasportare 14
passeggeri in cabina ed aveva due stive della capienza di 246 metri cubi.
Adibito al traffico
locale tra le isole dell’Egeo, effettuava viaggi bisettimanali collegando tra
loro tutte le isole dell’arcipelago, trasportando sia civili che militari,
italiani e greci. Nave familiare a chiunque nel Dodecaneso, questo piccolo
piroscafo si guadagnò la fama di «cavallo da tiro dell’Egeo». Così Aldo
Cocchia, comandante militare di Lero dal giugno 1941 al marzo 1942, ricordò il Fiume nel suo libro "Convogli":
"…affollatissimo, infaticabile
vaporetto dell’«Adriatica», vero tranvai delle isole".
Non venne mai
requisito dalla Regia Marina, né iscritto nel ruolo del naviglio ausiliario
dello Stato, ma venne comunque armato con un cannone, alcune mitragliere e
bombe di profondità, a scopo difensivo. Ciò non servì ad evitarne la tragica
fine.
Breve e parziale cronologia.
1926
Costruito nei
cantieri Lübecker Maschinenbau Gesellschaft di Lubecca per la compagnia di
navigazione Brodarsko-akcijskog ''Boka'' di Cattaro (Jugoslavia), come
jugoslavo Prestolonaslednik Petar.
Impiegato sulle linee
regolari di trasporto merci e passeggeri lungo le coste della Jugoslavia, si
rivela del tutto inadeguato al servizio per cui è stato costruito (forse a
causa di un fraintendimento tra la compagnia proprietaria ed il cantiere
costruttore circa le caratteristiche della nave).
La nave nel suo originario aspetto come Prestolonaslednik Petar (da www.paluba.info) |
1928
Data la sua
inadeguatezza, la compagnia ''Boka'' vende il Prestolonaslednik Petar ad una compagnia italiana, la Società
Anonima ''Costiera'' di Fiume, con una perdita di oltre 3.000.000 di dinari
jugoslavi.
La nuova proprietaria
cambia il nome della nave da Prestolonaslednik
Petar a Calitea, la registra a Fiume
e la impiega inizialmente su linee brevi nell’Adriatico orientale (soprattutto
Venezia-Trieste-Fiume-Pola-Spalato).
Per altra versione,
il piroscafo sarebbe stato trasferito nel Dodecaneso già nel 1930, ed avrebbe
cambiato nome in Calitea in tale
occasione, allo scopo di reclamizzare il nuovo complesso termale aperto a
Calitea nel 1929.
Il Fiume a Simi nel 1929 (Facebook) |
4 aprile 1932
La società
''Costiera'' di Fiume, insieme ad altre compagnie di navigazione dell’Adriatico
(''San Marco'' di Venezia, ''Nautica'' di Fiume, ''Puglia'' di Bari, S.A.I.M.
di Ancona e Società di Navigazione Zaratina di Zara), confluisce nella nuova
Compagnia Adriatica di Navigazione S.A., con sede a Venezia.
Il Calitea passa pertanto alla flotta della
nuova compagnia; nello stesso anno, viene ribattezzato Fiume.
17 dicembre 1936
La Compagnia
Adriatica di Navigazione diventa Società Anonima di Navigazione Adriatica,
sempre con sede a Venezia.
Il porto di
registrazione del Fiume cambia da Fiume
a Venezia.
1937
Trasferito a Rodi ed
impiegato sulle rotte del Dodecaneso.
Il Fiume con i colori della società Adriatica (da adriaticanavigazionevenezia.blogspot.it) |
1937-9 giugno 1940
In servizio alternato
sulle linee 61 (Rodi-Coo-Stampalia, quindicinale), 62 (Rodi-Castelrosso,
settimanale) e 63 (Rodi-Caso, settimanale o quindicinale), tra Rodi (capolinea)
e le altre isole del Dodecaneso.
In questo periodo
trasporta, tra l’altro, molti emigranti greci da Castelrosso e da altre isole
minori fino a Rodi, da dove poi s’imbarcheranno su altre navi dirette
soprattutto in Australia.
Il Fiume a Castelrosso nel 1938 (sopra: da www.shipfriends.gr; sotto: da Facebook-Rodostoxytes)
5 luglio 1939
Il piroscafo Rim (appartenente ad armatori greci, ma battente
bandiera panamese), proveniente da Costanza (Romania) e diretto in Palestina
con a bordo 814 profughi ebrei in fuga dalle persecuzioni nazifasciste (600
imbarcati a Costanza e 200 – ex cittadini italiani, cui è stata revocata la
cittadinanza a causa delle leggi razziali – a Rodi), s’incendia al largo di
Rodi (o di Simi).
Il Fiume, insieme ad una nave militare,
accorre sul posto per prestare soccorso; tutti i passeggeri del Rim vengono salvati, 450 dei quali dal Fiume, che li sbarca a Rodi. Qui i
profughi ebrei vengono provvisoriamente alloggiati in attendamenti militari
nello stadio cittadino (“L’arena del sole”); all’inizio del 1940 verranno
nuovamente imbarcati sul Fiume, che
li porterà in Palestina.
Il Fiume a Coo (Facebook-Rodostoxytes) |
16 giugno 1940
Sei giorni dopo
l’entrata dell’Italia nella seconda guerra mondiale, il Fiume viene armato con un cannone da 76/40 mm, quattro mitragliere
da 13,2 mm ed una numerosa dotazione di bombe di profondità. Viene inoltre imbarcato
personale militare addetto a tale armamento, ed il comandante del Fiume, capitano di lungo corso Armando
Pillon, viene militarizzato col grado di tenente di vascello.
Posto a disposizione
del Governo Autonomo di Rodi, durante la guerra il Fiume verrà impiegato sia nel servizio civile di linea che per
trasporti militari; non verrà requisito né militarizzato per disposizione dello
stesso Governo Autonomo, che spera così di evitare che esso venga attaccato, ma
viene ugualmente dotato dell’armamento difensivo sopra descritto.
Il comandante Pillon
viene informato della posizione dei campi minati nelle acque che la sua nave
deve attraversare, e verrà sempre aggiornato circa le notizie sulla presenza di
sommergibili nemici.
Il Fiume a Kolonna (Skala) (Facebook-Rodostoxytes) |
23 giugno-6 luglio 1940
Rimane inattivo a
Rodi.
Luglio 1940
Dopo il 6 luglio inizia
ad effettuare due collegamenti sulle linee 1 (Rodi-Coo-Calino-Lero) e 2
(Rodi-Scarpanto).
23 luglio 1940
Torna a navigare, di
volta in volta, verso le destinazioni necessarie, per mantenere i collegamenti
ed i rifornimenti tra le popolazioni civili ed i presidi militari del
Dodecaneso.
Quattro
immagini di un viaggio a bordo del Fiume
in tempo di guerra: militari delle varie armi, frammisti a qualche civile,
sistemati un po’ dappertutto nell’esiguo spazio disponibile a bordo della
piccola nave. Inverno del 1941-1942 (Archivio Centrale dello Stato).
1940-1942
Nelle condizioni
sopra descritte, per due anni il Fiume
effettua due viaggi settimanali tra le isole del Dodecaneso, in servizio civile
di linea (linee 61, 62 e 63), ma riceve anche talvolta missioni di natura
militare: in alcuni casi, a seguito dell’avvistamento di sommergibili, viene
inviato a dar loro la caccia; in alcune occasioni, riceve l’incarico di far
esplodere le mine avvistate lungo le rotte percorse, e durante le soste nel
porto di Rodi concorre alla difesa contraerea con il suo armamento. Il
comandante Pillon, per i suoi due anni di servizio a bordo del Fiume, svolgendo i compiti più svariati
in acque insidiose, riceverà una Medaglia di Bronzo al Valor Militare.
Nei suoi viaggi di
linea bisettimanali, il Fiume parte
da Rodi e tocca tutte le isole dell’arcipelago, trasportando militari e civili
sia italiani che greci (dodecanesini). In molte delle isole (ad esempio,
Stampalia), mancando un porto vero e proprio, l’imbarco e sbarco dei passeggeri
dalla nave viene effettuato per mezzo di barche.
Aprile-Maggio 1941
Dopo l’intervento
tedesco nei Balcani e la resa della Grecia, il Fiume è tra le navi che trasportano i contingenti italiani inviati
ad occupare e presidiare le isole Cicladi e Sporadi.
L’affondamento
Alle 12.05 del 24
settembre 1942 il Fiume, al comando
del capitano Aldo Cantù, salpò da Rodi alla volta di Simi. A bordo, oltre a
81,5 tonnellate di provviste destinate ai diversi scali nella linea numero 1, si
trovavano 38 uomini di equipaggio (29 civili e 9 militari) e 249 passeggeri di
cui 94 erano civili e 155 erano militari. Questi ultimi erano principalmente
personale della Regia Aeronautica, di ritorno dalla licenza; c’erano anche, tra
gli altri, il maggiore Tronci della 6a Divisione Fanteria
"Cuneo" stanziata a Samo, il comandante Zino della Capitaneria di
Porto di Calino, ed il primo seniore (tenente colonnello) Aldo Billò, della
Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, nonché vari ufficiali e soldati
delle Divisioni "Cuneo" e "Regina" che presidiavano le
Cicladi ed il Dodecaneso. Tra i passeggeri civili vi erano diverse decine di
greci (forse una settantina), abitanti delle isole del Dodecaneso; ad esempio,
vi era un gruppetto di abitanti dell’isola di Nisiro. C’era anche il podestà
(italiano) di Nisiro, Sanna. Anche alcuni membri dell’equipaggio civile erano
greci, mentre gli ufficiali erano tutti italiani.
(Articoli di giornale
greci parlano di 300 o 400 militari italiani imbarcati sul Fiume, tra cui cinque alti ufficiali, diretti a Simi per
rinforzarne od avvicendarne la guarnigione, oltre che di un numero di civili
greci dodecanesini variabilmente indicato tra i 70 ed i 200; ma l’origine di
tali notizie sembra piuttosto dubbia, mentre i dati accennati più sopra
risultano dalla relazione ufficiale inviata il 12 ottobre 1942 alla società
Adriatica dal secondo ufficiale Silvio Kastelic, ritenuta assai più
attendibile).
Il capitano Cantù
aveva assunto il comando del Fiume da
appena dieci giorni, in sostituzione del capitano di lungo corso Armando
Pillon, che era stato al comando del Fiume
sin dal giorno dell’entrata in guerra dell’Italia, 10 giugno 1940, e che era
sbarcato per una breve licenza.
Cinque minuti dopo la
partenza, il Fiume passò al traverso
di Punta Sabbia, ed accostò assumendo rotta 287°. Il cielo era sereno, con
vento da maestrale forza 4-5 e mare lungo da tramontana, che non impedivano
comunque al piroscafo di navigare alla prevista velocità di 10 nodi abbondanti.
Il comandante Cantù
rimase sul ponte fin verso mezzogiorno e mezzo, poi andò in cabina,
raccomandando al personale di guardia sul ponte di fare attenzione alle mine
vaganti. In plancia restavano cinque uomini: il secondo ufficiale Silvio
Kastelic, due timonieri di guardia (uno dei quali sulla normale) e due vedette
della Regia Marina sulle due alette, una a dritta ed una a sinistra. La
navigazione procedeva tranquilla.
Non era passata
neanche un’ora dalla partenza, quando alle 13.02 (13.10 per altra fonte; in
quel momento la nave si trovava a circa 9 miglia e mezzo da Punta Sabbia) il Fiume fu scosso da una violenta
esplosione a poppa. Era stato colpito da un siluro lanciato dal sommergibile
greco Nereus, al comando del capitano
di corvetta A. Rallis: questi aveva avvistato il Fiume ed identificato il suo bersaglio, sovrastimandone le
dimensioni (come spesso accadeva), in un bastimento di 1500 tsl adibito a
trasporto truppe. Aveva lanciato tre siluri: i primi due avevano mancato il
bersaglio, ma il terzo aveva fatto centro.
Il Nereus aveva già incontrato il Fiume due giorni prima, il 22 settembre,
nello stretto di Rodi, ma in quell’occasione Rallis aveva deciso di non
attaccare, onde evitare di rivelare la propria presenza nella zona
(evidentemente, Rallis non giudicava che valesse la pena di rivelare la propria
posizione per attaccare ad un bersaglio così piccolo). Questa volta, il Fiume non aveva avuto la stessa fortuna.
L’esplosione parve
sollevare dall’acqua la piccola nave, per poi farla ricadere in mare,
infilandovisi di poppa. Lo squarcio aperto dal siluro era a circa un terzo dal
traverso di poppa; e di poppa il Fiume
colò a picco, impennandosi improvvisamente verso il cielo, e poi inabissandosi
in posizione quasi verticale, a 7 miglia per 310° da Punta Sabbia di Rodi (cioè
sette miglia a sudovest dell’isola; il Nereus
indicò invece il luogo del siluramento come a 6 miglia per 130° da Capo Alupo).
Trascorsero appena 25 secondi tra il momento dell’impatto del siluro, e quello
in cui il Fiume scomparve per sempre
tra le acque dell’Egeo: la maggior parte delle persone a bordo non ebbe scampo,
e affondò con la nave. Altri si ferirono mortalmente precipitando lungo il
ponte fortemente inclinato, o vennero trascinati a fondo dal risucchio generato
dal bastimento che affondava.
Il comandante Cantù,
subito dopo il siluramento, venne visto mentre cercava di raggiungere il ponte
di comando ed intanto di indossare il giubbotto salvagente; l’improvvisa
impennata del piroscafo agonizzante, tuttavia, gli fece perdere l’equilibrio,
ed il comandante scivolò verso poppa. Non fu mai più rivisto.
Il marinaio timoniere
Giorgio Coti s’imbatté nel primo ufficiale, Emilio Vianello, mentre
quest’ultimo si precipitava fuori dalla sua cabina, chiedendo un giubbotto
salvagente. Coti gli diede il suo, poi si tuffò in mare; non lo rivide più. Il
corpo di Vianello fu tra quelli recuperati dai MAS; il secondo ufficiale
Kastelic, tratto in salvo dallo stesso mezzo, lo riconobbe e notò che aveva la
colonna vertebrale spezzata e diffuse emorragie da occhi, naso e bocca. Non
aveva fatto in tempo ad indossare il salvagente offerto da Coti: lo aveva
ancora attorcigliato attorno ai polsi. Suo figlio era nato nove giorni prima.
Uno dei due ufficiali
radiotelegrafisti, Tommasini, uscì dalla stazione radio e cercò di indossare il
giubbotto salvagente, ma ebbe la stessa sorte del comandante Cantù: perse
l’equilibrio e precipitò verso poppa. Il marinaio Albona della Regia Marina,
uno dei componenti dell’equipaggio militare, lo vide in mare, sanguinante da
una ferita alla testa; cercò di incoraggiarlo, assisterlo e sollevarlo con un
secondo giubbotto salvagente, ma Tommasini chiuse gli occhi e scomparve. Il suo
corpo fu tra quelli recuperati dai MAS.
L’altro ufficiale
radiotelegrafista, Gadaleta, uscì ferito dalla sua cabina e si diresse verso il
locale radio; l’ultimo a vederlo fu il comandante Zino della Capitaneria di
Porto di Calino, mentre Gadaleta cercava di restare aggrappato al parapetto
perdendo sangue da occhi, orecchie e bocca. Il suo corpo non fu mai ritrovato.
Uno dei passeggeri
greci, un diciassettenne di nome Gabriel Margaritis, viaggiava sul Fiume con la madre Maria: erano di Simi,
ma si erano recati a Rodi per un’operazione di appendicite, della quale Gabriel
avevano bisogno (a Simi non c’era un ospedale); la madre lo aveva accompagnato.
Si erano imbarcati sul Fiume per
tornare nella loro isola. Quando il Fiume
fu silurato e rapidamente affondò, la madre precipitò lungo il ponte e
scomparve, mentre Gabriel, finito in mare, venne trascinato sott’acqua per tre
o quattro metri dal gorgo generato dal piroscafo in affondamento. Risalito in
superficie, si aggrappò ad alcuni rottami.
Il venticinquenne
Antonio Di Donna, soldato del 10° Reggimento Fanteria (50a Divisione
Fanteria "Regina"), era salito sul Fiume per tornare all’isola di Coo, ov’era stanziato, tornando da
una licenza di convalescenza. Quando il siluro colpì la nave, Di Donna si
trovava su una piattaforma con altri soldati; la piattaforma venne lanciata in
mare e Di Donna perse i sensi, per poi rinvenire tra le braccia dei
soccorritori (che erano, nella sua memoria, turchi). Sopravvisse, ma una ferita
alla spalla, provocata da una scheggia di metallo, lo avrebbe reso invalido per
il resto della vita.
Tra i passeggeri
greci c’erano anche Vassilios Pharmakidis, con la moglie ed i tre figli: la
madre dei bambini cercò di salvarli facendoli salire su un rottame
galleggiante, ma qualcuno lo fece capovolgere, ed i tre figli annegarono.
Pharmakidis sarebbe stato tratto in salvo, soltanto per morire sei giorni dopo.
Il capo stiva greco
Manolis Charalambis (il suo collega italiano, Luca Cuculaci, al momento del
siluramento si trovava nella cala di poppa, intento a preparare la pittura per
i ritocchi al fuoribordo: non fu mai più rivisto) si arrampicò sulla prua estrema
mentre la nave affondava, e da lì precipitò in mare; in acqua, si aggrappò
all’estremità di un remo che galleggiava in superficie. All’estremità opposta
si trovava un altro naufrago (che il figlio di Charalambis, ripetendo i
racconti del padre a decenni di distanza, menzionò poi come “il capitano”; ma
sembra strano che questi potesse essere il comandante Cantù, che nessun
superstite risulterebbe aver visto in acqua).
Non c’era stato,
naturalmente, il tempo di calare alcuna imbarcazione; otto zatterini,
liberatisi dalle ritenute, emersero tra i naufraghi, che vi si poterono
aggrappare in attesa che arrivasse aiuto.
Il Comando Marina,
presumibilmente informato dell’accaduto dal personale delle batterie costiere,
che avevano certamente visto il Fiume
affondare, provvide ad inviare rapidamente i soccorsi. Per primi, subito dopo
l’affondamento, giunsero sul posto due idrovolanti della Croce Rossa; ma uno di
essi, tentando di ammarare, s’impuntò sui pattini e si ribaltò. Per colmo di
sfortuna, parte dell’ala del velivolo cappottato cadde proprio sul remo cui
erano aggrappati Manolis Charalambis e l’altro naufrago; quest’ultimo fu
colpito dall’ala ed ucciso sul colpo, mentre Charalambis sopravvisse.
Il secondo
idrovolante, un CANT Z. 506 con a bordo, tra gli altri, il tenente medico
Evaldo Angeloni, raccolse i pochi naufraghi che poteva prendere a bordo, poi
decollò nuovamente.
Tre quarti d’ora dopo
sopraggiunse da Rodi una squadriglia di MAS, al comando del tenente di vascello
Giusto Riavini (il quale da civile, prima di essere chiamato alle armi, era
stato anch’egli ufficiale della società Adriatica, la stessa cui apparteneva il
Fiume), che salvarono tutti i
naufraghi che erano ancora in vita.
I MAS lanciavano
salvagente ai naufraghi in mare per aiutarli a restare a galla, intanto che
provvedevano a raccoglierli; Gabriel Margaritis, il giovane passeggero greco,
si avvicinò a nuoto ad uno dei MAS ma, indebolito dall’operazione di
appendicite (che aveva subito solo sei giorni prima) e dal tempo passato in
acqua, non riuscì ad afferrare la cima che gli era stata lanciata, e sprofondò
sott’acqua per un paio di metri. Pregò allora l’arcangelo Michele di salvarlo,
promettendo di dedicare la sua vita alla Chiesa; in quel momento, nel suo
ricordo, si sentì spingere dal basso e riemerse. Gridò per richiamare
l’attenzione dei marinai italiani, che lo videro e lo issarono a bordo. Avrebbe
mantenuto la parola; presentatosi al monastero di San Giovanni a Patmo, divenne
in seguito un novizio e poi un monaco presso il monastero di Panormitis a Simi,
restandovi poi per fino alla sua morte, avvenuta all’età di 81 anni. La salma
di sua madre Maria fu una delle poche che poterono essere ritrovate e
seppellite.
I naufraghi raccolti
dai MAS vennero portati a Rodi, dove furono sistemati provvisoriamente
nell’ufficio della dogana.
Su 287 persone che si
trovavano a bordo del Fiume, soltanto
73 sopravvissero all’affondamento: 10 membri dell’equipaggio civile, 8
dell’equipaggio militare e 55 passeggeri (20 civili e 35 militari). Morirono 19 membri dell’equipaggio civile, uno dell’equipaggio militare (il marinaio cannoniere Pietro Cattarin, di 29 anni, da Padova), 74 passeggeri civili e 120 passeggeri militari.
Delle 214 vittime, 194 non furono mai ritrovate. (Circola su Internet anche la cifra di 333 vittime totali, ma non viene indicata alcuna fonte a sostegno di tale asserzione; di nuovo, si considerano come accurate le informazioni contenute nella relazione di Kastelic).
Delle 214 vittime, 194 non furono mai ritrovate. (Circola su Internet anche la cifra di 333 vittime totali, ma non viene indicata alcuna fonte a sostegno di tale asserzione; di nuovo, si considerano come accurate le informazioni contenute nella relazione di Kastelic).
Tra gli ufficiali del
Fiume, soltanto il secondo ufficiale
Kastelic era sopravvissuto; erano periti con la nave il comandante Cantù, il
primo ufficiale Vianello, i radiotelegrafisti Tommasini e Gadaleta ed il
direttore di macchina Giorgio Modonese (che al momento del siluramento era
probabilmente nella sua cabina, e che non fu visto da alcuno dopo l’impatto del
siluro). Tra i passeggeri superstiti vi erano il maggiore Tronci ed il
comandante Zino, mentre furono tra gli scomparsi il primo seniore Billò della
M.V.S.N. ed il podestà Sanna di Nisiro.
I pochi corpi
recuperati – 17 passeggeri e tre membri dell’equipaggio civile – vennero
sepolti con un funerale solenne il 25 settembre 1942, nel cimitero monumentale
di Rodi.
Le vittime tra l'equipaggio civile:
Tommaso Autiero (od Antiero), fuochista, da Napoli (o Bari)
Aldo Cantù, comandante, da Spoleto
Michele Caragiorgio, carpentiere, da Castelrosso
Bruno Cortivo, operaio meccanico, da Venezia
Luca Cuculati, marinaio
Giorgio Cumneno (o Cucumneni), cameriere, da Nichita
Nicola De Santis, fuochista (*)
Nicola De Santis, piccolo di camera, da Mola di Bari (*)
Stamatio Fentuco, garzone di camera, da Piscopi
Giuseppe Gadaleta, ufficiale radiotelegrafista, da Molfetta
Ciriaco Magripli, garzone di camera (**)
Evangelo Magripli, piccolo di camera (**)
Giorgio Modenese, direttore di macchina, da Venezia
Michele Nicoletto, carbonaio, da Simi
Giovanni Sacri, fuochista, da Simi
Vittorio Seberini, fuochista, da Fiume
Giovanni Sorri, fuochista
Stavo Stavinidri, fuochista, da Simi
Arturo Tomasini, ufficiale radiotelegrafista, da Treviso
Gino Tosoni, maestro di casa, da Venezia
Emilio Vianello, primo ufficiale, da Venezia
(*) Non è chiaro se si tratti di un caso di omonimia, o se si tratti in realtà della stessa persona il cui nome è ripetuto due volte (il documento usato come fonte indica diversa paternità).
(**) Non è chiaro se si tratti di due persone diverse (magari imparentate) o della stessa persona, il cui nome è ripetuto due volte e sbagliato in un caso.
Come spesso accade
nel caso di affondamenti in guerra di piccole navi passeggeri, difficilmente
percepibili come obiettivo militare, con un elevato numero di vittime civili,
anche sulle circostanze dell’affondamento del Fiume sono circolate – in Grecia – le voci più disparate. Secondo
alcuni, la nave sarebbe stata affondata perché trasportava truppe italiane, ed
il Nereus ne era stato informato
dallo spionaggio greco; il nuovo comandante, inoltre, avrebbe commesso l’errore
di comunicare l’esatto orario di partenza da Rodi, mentre il precedente
comandante forniva sempre orari falsi, allo scopo di ridurre le probabilità di
essere intercettati da sommergibili greci, informati da qualche spia tra la
popolazione greca di Rodi. Ancora, si è puntato il dito contro il cannone di
cui il Fiume era dotato: gli Alleati
ed i greci avrebbero sollecitato gli italiani a rimuoverlo, essendo la nave
adibita al trasporto di passeggeri, e la presenza dell’armamento avrebbe reso
il piroscafo un obiettivo militare.
In realtà, le ragioni
sopra indicate assomigliano molto alle “leggende” e dicerie popolari che
sorgono spesso, per sentito dire, dopo tragedie del genere; non sembra che vi
siano fonti ufficiali che confermino queste notizie, che d’altra parte sono in
larga parte confutabili. Sembra infatti difficile che gli Alleati potessero
attribuire al piccolo Fiume una tale
importanza da chiedere ai comandi italiani di non armarlo “perché trasportava
passeggeri”, il che peraltro non lo avrebbe in alcun modo protetto dall’offesa
nemica: non esistevano, all’epoca, convenzioni internazionali che proteggessero
le navi passeggeri di nazioni belligeranti, anche se adibite esclusivamente al
servizio civile di linea (solo le navi ospedale e le navi di Paesi neutrali
erano protette). Per quello che un comandante di sommergibile od un pilota
d’aereo ne poteva sapere, qualsiasi nave passeggeri nemica poteva avere a bordo
truppe (e spessissimo, difatti, ciò avveniva, anche su navi in servizio di
linea che non erano specificamente adibite al trasporto di truppe: è proprio
questo il caso del Fiume) e dunque
rappresentava un bersaglio legittimo. Di norma, che la nave fosse armata o
meno, si sceglieva sempre di attaccare, nella supposizione che a bordo potesse
avere militari o materiale bellico; morirono così migliaia di civili di tutte
le nazionalità, in tutti i mari del mondo. Nessuna legge puniva l’attacco ad
una nave passeggeri disarmata, e nessuna Marina ordinava ai suoi comandanti di
risparmiarle.
Di conseguenza, il
fatto che il Fiume fosse armato
c’entra ben poco col suo affondamento. Lo stesso si può dire sulla presenza a
bordo di 155 militari italiani: non era certo la prima volta che il Fiume ne trasportava, anzi, in quel
tempo di guerra in cui nel Dodecaneso erano stanziati 55.000 militari italiani
delle tre armi (in pratica, c’era più di un militare italiano ogni tre civili
residenti nell’arcipelago), questi ultimi erano tra i passeggeri più assidui
del Fiume, che nei suoi viaggi
trasportava tra un’isola e l’altra sia militari che civili, senza distinzione.
Anche la storia dello spionaggio greco che avrebbe avvisato il Nereus del “carico” del Fiume sembra quindi difficilmente
credibile, dato che il piroscafetto trasportava militari, frammisti a civili,
praticamente in ogni suo viaggio.
L’affondamento del Fiume non è che uno degli innumerevoli,
tragici episodi della guerra totale sul mare.
Sono la nipote di un artigliere disperso in seguito all'affondamento del piroscafo Fiume.Poche cose ha saputo la famiglia in merito non avendo rintracciato nessun sopravvissuto. Nel 1961 è sata dichiarata la morte presunta a seguito del lavora di una apposita commissione che risulta trascritta nel comune di nascita(Mercatello sul Metauro- PU).Le notizie apprese mi risultano di grande interesse e continuerò le ricerche per mantenere la memoria di un giovane ventenne che è venuto a mancare alla sua mamma e alla sua famiglia senza che abbia potuto piangerlo in una tomba. Ora anche noi nipoti siamo già in età avanzatama vorrei lasciare ai successori una traccia di memoria. Grazie infinite
RispondiEliminaHo le memorie di mio padre sopravissuto miracolosamente all'affodamento della moto nave Fiume.Con dati molto precisi di ora e numero di imbarcati.Se posso essere utile a disposizione.Enzo Carone Polignano Bsri
EliminaDesidererei conoscere l'elenco degli imbarcati sul piroscafo Fiume affondato il 24 settembre 1942 a Rodi per verificare la presenza di Simoncini Domenico nato a Mercatello -Pesaro il 24 ottobre 1922.So che risulta tra i dispersi ma vorrei sapere se era imbarcato anche qualche altro militare della zona .Grazie anticipatamente.
RispondiEliminaBuongiorno, purtroppo non possiedo tale elenco. Potrebbe provare a scrivere scrivere all'Ufficio Storico della Marina Militare, è possibile che loro lo abbiano.
EliminaPodestà dell isola di Nisiro fu il maresciallo Maggiore dei carabinieri Antonio pollezel disperso al mare il 24 settembre 1942 a seguito dell' affondamento del piroscafo "Fiume".
RispondiEliminaBuonasera, ne è sicuro? Mi sembra strano che il podestà, quindi il sindaco, fosse un sottufficiale dei carabinieri. Non era piuttosto il comandante del locale presidio di carabinieri, magari?
Eliminabuonasera, io sono il pronipote di uno dei superstiti, l'ho scoperto trovando in casa di mia madre una cassetta con i libricini scritti dal mio bisnonno. Da quello che scrive lui, a quello che c'è scritto qui dell'affondamento, ho trovato delle discrepanze, sia sul numero dei passeggeri, che sulla posizione e l'orario della partenza. Come posso controllare la cosa?
RispondiEliminaBuonasera, potrebbe magari aggiungere qualche dettaglio? Suo bisnonno faceva parte dell'equipaggio?
EliminaComplimenti per l'articolo, però vorrei chiedere: le fotografie indicate come provenienti dall'Archivio Centrale dello Stato, in quale fondo, serie, fascicolo si trovano? Grazie.
RispondiEliminaLuca Pignataro
Grazie,
Eliminale foto si trovano sul sito dedicato alle raccolte fotografiche della seconda guerra mondiale dell'Archivio Centrale dello Stato: http://dati.acs.beniculturali.it/SecondaGuerraMondiale/
Buonasera, mettendo a posto vecchi documenti di famiglia, ho trovato il resoconto dell'attacco scritto dal mio bis-nonno, Capo Cannoniere di II classe della Regia Marina, imbarcato sul Fiume nel viaggio del siluramente, ovviamente con la descrizione del naufragio e di tutto quello che ne seguì e da lui vissuto in prima persona.
RispondiEliminaBuonasera,
Eliminase me ne volesse inviare copia a lorcol94@gmail.com avrei piacere di inserirlo in questa pagina.
Buonasera sto trascrivendo il tutto, appena fatto glielo invio con piacere. Grazie Stefano
EliminaBuonasera, Il mio prozio era imbarcato e peri’ sulla motonave Fiume alle ore 13:30 del 24 settembre 1942, era il capitano della compagnia della RGF per le isole greche dell’Egeo di stanza a Rodi e si stava recando con un sottufficiale e due finanzieri ad ispezionare un plotone sull’isola di Samo,di lui conservo una foto in divisa ed i ricordi raccontatimi da mia nonna.
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