Profilo dello Stromboli (da www.anb-online.it)
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Il minuscolo
trasporto militare Stromboli nacque
nel cantiere Navalmeccanica di Castellammare di Stabia (numero di cantiere 421)
nel 1940, come un’anonima bettolina, con il prosaico nome di Betta N. 5 bis (bis, perché doveva
rimpiazzare la vecchia Betta 5,
risalente al 1894).
Lunga 41,9 metri,
larga 7,20 e pescante 2,60, con un dislocamento di 475 (per altra fonte 206)
tonnellate, la piccola nave vantò di essere la prima bettolina, nella storia della
Regia Marina, ad essere inclusa in un Almanacco Navale, quello del 1939 (nel
quale figurava tra le unità in ordinazione, non essendo ancora cominciata la
sua costruzione): più che altro per esasperazione e per “fare numero”, dato che
la carenza di acciaio per nuove costruzioni aveva fatto slittare in avanti gli
ultimi programmi navali, e l’Almanacco avrebbe altrimenti presentato troppi
imbarazzanti “vuoti”. Si era perciò deciso di includere ogni unità in
costruzione od in ordinazione, anche le più piccole (fino ad allora, era
consuetudine limitarsi a registrare le bettoline nei nuclei del naviglio
ausiliario locale). Per la Betta N. 5 bis,
comunque, questa inclusione si limitò all’ultima riga dell’ultima pagina
riservata alle navi trasporto, senza neanche – come invece per ogni altra unità
– un suo profilo.
Pur essendo poco più
che una bettolina, la nave non era affatto indifesa: a prua campeggiava infatti
un vecchio cannone da 76/40 mm, risalente al 1917, mentre ai lati della plancia
si trovavano due mitragliere singole da 13,2 mm (per altra fonte, da 8 mm).
Propulsa da una macchina alternativa a vapore della potenza di 500 HP, poteva
raggiungere una velocità di 12 nodi.
La Betta N. 5 bis venne varata il 7 aprile
1940 e, ancora in allestimento, venne notata da una “penna eccellente” del
giornalismo italiano: niente meno che Dino Buzzati, allora corrispondente di
guerra in Marina, che quello stesso anno le dedicò un articolo “di colore” che
intitolò «Il celebre caso della ‘Betta 5’». L’ufficio censura del Ministero
della Marina, tuttavia, rispedì il pezzo al mittente: troppo “leggero”, si
disse, e poi avrebbe potuto rivelare informazioni sensibili in merito ad una
navigazione di trasferimento della betta ed al progressivo potenziamento
logistico dei porti libici allora in corso.
La Betta N. 5 bis fu completata il 26
novembre 1941, e continuò ad avere una sorte singolare per una nave tanto
piccola e all’apparenza insignificante: a differenza delle tante bettoline che
l’avevano preceduta, infatti, qualcuno decise che era il caso di darle un nome
vero e proprio. La scelta cadde su un nome portato in precedenza da un
incrociatore e da una pirocorvetta, navi di ben altro valore bellico: un altro
dei tanti punti singolari della breve e bizzarra vita di questa navicella. Fu
così che la Betta N. 5 bis cambiò
nome in Stromboli.
Sulla sua vita
operativa, prima dell’affondamento, non sembra essersi conservato molto. Nel
1942 operò assiduamente nei porti e sulle rotte del Tirreno meridionale e del
Canale di Sicilia (movimentando sacchi di cemento, munizioni ed altri
rifornimenti), senza mai subire danni.
La sera del 17
gennaio 1943 lo Stromboli, al comando
del nocchiere di prima classe Leonardo Carofiglio, salpò da Trapani diretta a
Lampedusa, con un carico di benzina in fusti.
Verso le 2.45 del 19
gennaio la nave, giunta a 25 miglia da Lampedusa, si trovò improvvisamente
illuminata da proiettori, e subito dopo venne fatta oggetto di violento tiro
d’artiglieria: a sparare erano tre cacciatorpediniere della Forza K di Malta, i
britannici Nubian (capitano di
fregata Douglas Eric Holland-Martin) e Pakenham
(capitano di vascello Eric Barry Kenyon Stevens) ed il greco Vasilissa Olga (capitano di corvetta
Georgios Blessas).
Le tre navi erano
salpate da Malta il pomeriggio precedente per una puntata offensiva al largo
della costa tunisina, tra Capo Ras Caputia e l’isola di Kuriat; verso le due di
notte del 19, Nubian e Pakenham avevano localizzato lo Stromboli al radar, da una distanza di
tre miglia, e si erano avvicinati per attaccare. Il primo ad aprire il fuoco fu
il Pakenham, seguito dal Nubian; il Vasilissa Olga aprì il fuoco per ultimo, ma fu il primo a colpire
il bersaglio, con due salve consecutive di sei colpi da 120 mm.
Le salve dei
cacciatorpediniere erano sparate dal lato più buio rispetto alla nave italiana
(era una notte senza luna): per lo Stromboli
– armato con un cannone da 76 mm e due mitragliere da 13,2 contro un totale di
12 cannoni da 120 mm, 5 da 102 mm, uno da 76 mm, 8 mitragliere da 40 mm, 12 da
20 mm, 8 da 12,7 mm, e 12 tubi lanciasiluri da 533 mm – non c’era nessuna
speranza. Impensabile prevalere nel combattimento e nemmeno fuggire, con una
velocità massima che era un terzo di quella delle navi avversarie.
Inizialmente le tre
unità nemiche identificarono il loro bersaglio, visibile alla luce dei
proiettili illuminanti, come un piropeschereccio d’altura (trawler); in effetti
le dimensioni dello Stromboli
coincidevano approssimativamente con quelle dei piropescherecci, ed anche la
sua sagoma presentava abbastanza somiglianze con essi da poter trarre in
inganno.
Quando però lo Stromboli – subito dopo essere stato
attaccato – aprì il fuoco a sua volta col suo cannoncino da 76 mm, i
cacciatorpediniere Alleati ritennero che dovesse invece essere una corvetta (tipo
di nave di dislocamento doppio o triplo, sebbene dalla sagoma forse non troppo
dissimile). Il tiro delle navi anglo-elleniche colpì lo Stromboli dapprima a poppa, scatenando l’incendio della benzina
trasportata, e poi nella zona della plancia; nondimeno, la navicella italiana
continuò a rispondere ostinatamente al fuoco, tanto che gli attaccanti
pensarono, nel loro pregiudizio sulla combattività degli italiani, che dovesse
trattarsi di una nave scorta tedesca.
Un proiettile da 76
mm dello Stromboli riuscì anche a
colpire a centro nave il Nubian, capo
flottiglia, uccidendo due uomini. La sorte dell’unità italiana era comunque
segnata: ridotta ad un relitto in fiamme, la piccola nave colò a picco in un
quarto d’ora.
Dei 33 uomini che
componevano l’equipaggio dello Stromboli,
10 vennero recuperati dai cacciatorpediniere prima di rientrare a Malta. Fu
così che gli anglo-ellenici appresero che la nave che avevano affondato non era
tedesca ma italiana; dato che il suo nome non figurava nel Jane’s Fighting
Ships (l’equivalente britannico, ma con copertura mondiale, dell’Almanacco
Navale), i britannici si sentirono tuttavia riconfermati nell’errata
impressione che la Stromboli dovesse
essere «una delle corvette di nuova costruzione italiane» della classe
Gabbiano, anziché una ben più modesta bettolina armata.
La torpediniera di
scorta Ciclone, che passò nella zona
dell’affondamento otto ore più tardi (alle 10.30 del 19), recuperò altri sei
sopravvissuti, tra cui il comandante Carofiglio, ferito.
I dispersi furono 17.
I loro nomi:
Nicola Amoroso, sottocapo cannoniere, da Bari
Daniele Badesso, capo meccanico di seconda
classe, da Paese
Ignazio Carrara, marinaio fuochista, da
Palermo
Osvaldo Castriconi, sergente nocchiere, da
Monte Argentario
Pasquale Ferrigno, marinaio fuochista, da
Portici
Salvatore Gambacorta, marinaio cannoniere, da
Giardini Naxos
Andrea Guida, marinaio fuochista, da Maddaloni
Lattanino Ionta, sergente musicante, da Sessa
Aurunca
Dante Liguori, marinaio radiotelegrafista, da
Napoli
Giuseppe Mancuso, marinaio, da Gela
Francesco Maniglia, marinaio fuochista, da
Porto Empedocle
Arvedo Moro, sergente elettricista, da Venezia
Luigi Palumbo, marinaio cannoniere, da
Molfetta
Giuseppe Romeo, sergente cannoniere, da
Giardini Naxos
Cleofino Vicino, secondo capo meccanico, da
Villorba
Luigi Vitiello, marinaio nocchiere, da Ponza
Il medesimo disegno di prima,
con i colori che lo Stromboli doveva
avere nel 1943 (da www.marinaiditalia.com).
Non sembrano esistere immagini fotografiche di questa nave.
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Grazie per aver raccontato la storia di mio nonno, Sabrina (nipote di Cleofino Vicino)
RispondiEliminaGrazie per aver raccontato la storia di mio nonno, che, purtroppo, nè mio padre nè io abbiamo avuto l'opportunità di conoscere. Sabrina (nipote di Cleofino Vicino)
RispondiEliminaGrazie per aver raccontato la storia del cugino di mio padre, Salvatore Gambacorta, da Giardini (Naxos, ME). In precedenza era venuto in licenza al paese, ma, spossato, era stato quasi tutto il tempo ritirato in famiglia, forse presagendo il sacrificio imminente
RispondiEliminagrazie per aver raccontato la vicenda dello Stromboli sul quale era imbarcato mio padre Badesso Daniele
RispondiEliminaciao possiamo sentirci?
Eliminabuonasera , dopo 80 anni ho saputo esattamente come e dove è morto mio padre andrea. mi stupisce che nessuno dei 17 sopravvissuti si sia attivato nel tempo per rintracciare i parenti delle vittime innocenti. Se qualcuno conosceva mio papà e lo ricorda, modica come è morto e cosa ha detto quella notte su questa chat. grazie
RispondiEliminaho 80 anni. sono la figlia di andrea guida. etna prima volta che conosco questa storia ed ho pianto . se conoscevate mio padre contattatemi
RispondiEliminaCari ragazzi, morti nell’esercizio del loro dovere senza se e senza ma, fino all’estremo sacrificio 🥲
RispondiEliminasono la nipote di andrea guida , mio nonno è morto portando con sé un grande segreto e devo capire cos è accaduto tanto tempo fa … contatemi
RispondiElimina