Il Missori nel 1941 (da www.kreiser.unoforum.pro) |
Torpediniera, già
cacciatorpediniere, appartenente alla classe Rosolino Pilo (dislocamento in
carico normale 770 tonnellate, a pieno carico 806 tonnellate) della numerosa
serie detta dei “tre pipe”.
Nel corso della
seconda guerra mondiale effettuò principalmente missioni di scorta, tra
l’Italia e la Libia, nel Basso Tirreno, nell’Adriatico e nelle acque della
Sicilia, percorrendo complessivamente 59.271 miglia nautiche.
Breve e parziale cronologia.
19 gennaio 1914
Impostazione nei
cantieri Odero di Sestri Ponente.
20 dicembre 1915
Varo nei cantieri
Odero di Sestri Ponente.
7 marzo 1916
Entrata in servizio.
3 maggio 1916
Il Missori (capitano di corvetta Ferrero),
insieme al gemello Francesco Nullo
(comandante Biancheri) ed agli grandi esploratori Cesare Rossarol (capitano di fregata Rota) e Guglielmo Pepe (comandante Capon), salpa da Venezia per dare
appoggio ai cacciatorpediniere Fuciliere
e Zeffiro, inviati a posare un campo
minato al largo di Sebenico.
Al largo di Punta
Maestra, le unità italiane avvistano dei fumi, verso i quali si dirigono: sono
emessi da dieci unità austroungariche, quattro cacciatorpediniere classe
Velebit e sei torpediniere d’alto mare, in navigazione verso ovest per
appoggiare un’incursione aerea contro Ravenna e Porto COrsini. Le navi italiane si mettono al loro inseguimento, mentre
esse si dirigono verso Pola; la formazione viene attaccata da tre idrovolanti
austroungarici, ma li respinge e prosegue l’inseguimento. Alle 15.50, però,
vengono avvistati un incrociatore e due unità minori in uscita da Pola per
fornire appoggio alle siluranti austroungariche; a questo punto le navi
italiane, trovandosi in condizioni di netta inferiorità, interrompono
l’inseguimento.
Il Missori durante la prima guerra mondiale (da “Il martirio di Venezia durante la Grande Guerra e l’opera di difesa della Marina italiana” di Giovanni Scarabello) |
12 giugno 1916
Il Missori (capitano di corvetta Guido
Caprioli) ed il Nullo (capitano di
corvetta Domenico Biancheri) escono in mare a sostegno di un gruppo di unità
(cacciatorpediniere Zeffiro –
capitano di corvetta Costanzo Ciano; a bordo anche il comandante della
spedizione, capitano di vascello Pignatti Morano – e torpediniere costiere 30 PN e 46 PN, con i cacciatorpediniere Fuciliere
ed Alpino quale copertura
ravvicinata) incaricato di forzare il porto di Parenzo per distruggere una
stazione per idrovolanti di cui si ha avuto notizia. La formazione è scortata
fino agli sbarramenti dagli esploratori Pepe
(capitano di fregata Ettore Rota) e Rossarol
(capitano di fregata Roberto Guida) e da alcune torpediniere. Missori e Nullo si posizionano sulla congiungente Parenzo-Cortellazzo a 20
miglia da Parenzo, mentre Alpino e Fuciliere si portano anch’essi sulla
medesima congiungente, ma a 15 miglia dal porto istriano. Loro compito è di
intervenire in caso di uscita di unità avversarie da Pola.
Lo Zeffiro penetra indisturbato nel porto
istriano e cattura un gendarme di guardia sul molo, poi inizia a cannoneggiare
la posizione da questi indicata come sede dell’aviorimessa; le batterie
costiere reagiscono subito, e vengono subito controbattute dalle due
torpediniere in appoggio. Dopo una ventina di minuti, le navi interrompono il
bombardamento e dirigono per il rientro; durante la navigazione di ritorno la
formazione viene attaccata da dieci idrovolanti austroungarici e, nonostante la
reazione di tre aerei dell’Intesa (due idrovolanti italiani ed un caccia francese)
danneggiano alcune unità, provocando quattro morti ed alcuni feriti.
1-2 novembre 1916
Missori, Nullo, Pepe e Poerio (un altro esploratore) si tengono pronti a muovere per dare
eventuale appoggio alle unità incaricate di eseguire il forzamento del Canale
di Fasana (il MAS 20, con l’appoggio
della torpediniera costiera 9 PN) per
attaccarvi unità austroungariche lì ormeggiate. Il loro intervento non si
renderà comunque necessario; l’incursione non produrrà risultati a causa del
malfunzionamento degli acciarini tagliareti dei siluri del MAS, ma il mezzo
riuscirà ad allontanarsi senza destare reazione nemica.
Il Missori nel 1916 (g.c. Marcello Risolo via www.naviearmatori.net)
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19 ottobre 1917
Il Missori salpa da Brindisi insieme al
gemello Antonio Mosto, al
cacciatorpediniere italiano Indomito,
ai francesi Commandant Riviére, Bory e Bisson, agli esploratori Aquila
e Sparviero ed agli incrociatori
leggeri britannici Newcastle e Gloucester, parte da Brindisi per unirsi
ad altre navi italiane (esploratori Pepe
e Poerio, cacciatorpediniere Insidioso, Simone Schiaffino e Pilade
Bronzetti) partite alle 6.30 per inseguire una formazione austroungarica
(esploratore Helgoland,
cacciatorpediniere Lika, Triglaw, Tatra, Csepel, Orjen e Balaton) uscita da Cattaro per attaccare convogli italiani al largo
di Valona. L’Helgoland ed il Lika, non avendo trovato alcun
convoglio, si portano al largo di Brindisi allo specifico proposito di farsi
inseguire dalle unità italiane ed attirarle così nella bocca dei sommergibili U 32 ed U 40, che attendono in agguato al largo di Valona (il primo) e Saseno
(il secondo). Le altre unità nemiche, invece, si sono messe a cercare unità
dell’Intesa al largo di San Cataldo, di nuovo senza risultato.
La formazione partita
alle 6.30 avvista i sommergibili e ne comunica la presenza, permettendo così
che vengano attaccati da idrovolanti provenienti da Brindisi; il prolungato
inseguimento, nel quale anche degli aerei prendono parte agli attacchi sulle
unità austroungariche (e a duelli aerei con idrovolanti austroungarici
frattanto sopraggiunti da Kumber: un FBA4 viene anche danneggiato), non porta
però a nulla; le unità italiane, giunte sul parallelo delle foci del Drin senza
essere riuscite a portarsi a distanza balistica dalle navi nemiche, invertono
la rotta e rientrano tutte indenni alla base.
1-2 luglio 1918
Il Missori ed altri sei cacciatorpediniere,
Audace, Giuseppe La Masa, Francesco
Stocco, Giuseppe Sirtori, Giovanni Acerbi e Vincenzo
Giordano Orsini, danno appoggio a distanza alle torpediniere 64 PN, 65 PN, 66 PN, 40 OS, 48 OS, Climene e Procione (le ultime due d’alto
mare, con sola funzione d’appoggio alle altre, costiere) mentre procedono
lentamente tra Cortellazzo e Caorle bombardando le linee nemiche, simulando
inoltre uno sbarco (con le torpediniere 15 OS, 18 OS e 3 PN che rimorchiano alcuni finti
pontoni da sbarco) per distogliere l’attenzione delle forze nemiche e così
favorire l’avanzata di quelle italiane. I cacciatorpediniere italiani
s’imbattono inoltre negli austroungarici Csikós e Balaton e
nelle torpediniere TB 83F e
la TB 88F , partite da Pola nella
tarda serata del 1° luglio per supportare un’incursione aerea su Venezia e
giunte in zona dopo aver superato l’attacco di un MAS (che ha lanciato un
siluro contro il Balaton, che ha
una caldaia guasta) all’alba del 2 luglio. Le unità italiane avvistano quelle
nemiche alle 3.10 ed aprono il fuoco, dopo di che anche le siluranti
austroungariche iniziano a sparare: nel breve scambio di colpi le unità
nemiche, soprattutto il Balaton
(che si è portato nel colmo dello scontro, lasciando indietro le altre tre),
subiscono alcuni danni, ma anche lo Stocco viene
colpito, con alcuni morti e feriti tra l'equipaggio ed un incendio a bordo che
lo obbliga a fermarsi (dopo aver evitato due siluri con la manovra), e l'Acerbi si deve fermare per fornire
aiuto all’unità gemella. Il Balaton,
centrato più volte in coperta a prua, si porta in posizione più avanzata,
mentre Missori, Audace e La Masa combattono contro il Csikós e le due torpediniere, rimaste indietro: da entrambe le
parti si lanciano infruttuosamente siluri, mentre il Csikós viene colpito da un proiettile nel locale caldaie
poppiero ed anche le due torpediniere ricevono un colpo ciascuna. Dopo qualche
tempo le unità italiane si allontanano per riprendere il loro ruolo, mentre
quelle austroungariche tornano a Pola.
26 agosto 1918
Il Missori viene inviato, insieme a tre
idrovolanti, in aiuto del sommergibile Argo,
inviato ad attaccare le unità austroungariche che stanno tentando di recuperare
il sommergibile Pullino (affondato il
mese prima dopo essersi incagliato sulla costa istriana ed essere stato preso a
rimorchio da unità nemiche). Si ritiene che l’Argo sia sotto pesante caccia nemica, ma in realtà il sommergibile
si è allontanato indenne, dopo un’infruttuosa schermaglia con una torpediniera
austroungarica ed il lancio di siluri contro i pontoni da recupero. Il Missori, non avendo incontrato alcuna
unità nemica, rientra alla base al crepuscolo.
Il Missori fotografato probabilmente durante la Grande Guerra (da “I
cacciatorpediniere italiani”, di Giuseppe Fioravanzo, USMM, Roma 1969)
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3 novembre 1918
Durante l’offensiva
finale italiana, un giorno prima dell’annuncio dell’armistizio di Villa
Giusti, Missori, Stocco, La Masa, Pilo, Acerbi, Orsini, Audace (al
comando del capitano di corvetta Pietro Starita e con a bordo il capitano di
vascello Giobatta Tanca, comandante dei cacciatorpediniere dell’Adriatico, ed il
pilota Guido Tebaidi, esperto della navigazione tra Cortellazzo e Trieste) ed
un altro cacciatorpediniere, il Nicola
Fabrizi, lasciano Venezia diretti a Trieste, trasportando il generale Carlo
Petitti di Roreto (designato governatore di Trieste). Insieme a loro vi sono
anche le torpediniere d’altura Procione
e Climene (partite da Cortellazzo),
mentre li segue un convoglio per trasporto truppe (piroscafetti Istria, Cervignano e Friuli;
vaporetti Sant’Elena, Roma e Clodia ciascuno con 300 uomini; vaporetti lagunari 1, 4,
17, 29, 38, 40, SV1,
SV4 e San Secondo, con 1450 uomini in tutto) scortato dalle torpediniere
costiere 1 PN, 4 PN, 40 PN, 41 PN, 64 PN (con a bordo il generale Coralli, comandante della
spedizione, ed il capitano di vascello Cesare Vaccaneo), 13 OS e 46 OS (40 PN e 41 PN prendono anche a rimorchio Cervignano e Friuli,
unitisi all’ultimo momento, perché troppo lenti) e protetto anche dalle
torpediniere Pellicano e 113 S, dalle cannoniere Brondolo e Marghera e dai dragamine RD 1
e RD 2, che effettuano a coppie il
dragaggio della rotta.
Le navi del convoglio
trasportano il 7° e l’11° Reggimento Bersaglieri (generale Felice Coralli), il
Battaglione "Golametto" del Reggimento Marina (capitano di corvetta
Cesare Repetto), la compagnia mitraglieri reggimentale FIAT (sottotenente di
vascello Mario Monti) del reggimento Marina (capitano di vascello Giuseppe
Sirianni) ed alcuni membri di reparti speciali. Scopo di queste truppe – 2600
uomini in tutto, oltre a 200 carabinieri imbarcati sull’Audace – è di procedere all’occupazione di Trieste: il 30 novembre,
infatti, è giunta a Trieste la torpediniera ex austroungarica TB 3, recante parlamentari triestini
(italiani ed alcuni jugoslavi) che hanno riferito che i rappresentanti delle
autorità dell’Impero Austro-Ungarico (in rapida disgregazione) hanno lasciato
Trieste, e che la città è governata da un comitato di salute pubblica. Il 1°
novembre, pertanto, il Comando in Capo del Dipartimento di Venezia ha ricevuto
disposizione di procedere all’occupazione della città, operazione che prende il
via appunto il 3 novembre.
Compito del gruppo
dei cacciatorpediniere, che precede il convoglio con le truppe, è di proteggere
quest’ultimo e dragarne la rotta; le mine, unico concreto pericolo della
navigazione (circola anche la notizia che tre sommergibili siano usciti da
Pola, ma essa è priva di fondamento), non provocano problemi (due sole vengono
dragate, al largo di Cortellazzo).
Nell'ultimo tratto
della navigazione, il convoglio è scortato anche da una coppia di idrovolanti:
L7 e L8 al mattino, M28 e M30 al pomeriggio.
Pilotate dalla TB 3, le navi italiane entrano a Trieste
alle 16.10, sbarcandovi 200 carabinieri ed il generale Petitti di Roreto.
Quest’ultimo, appena sceso a terra, prende possesso della città in nome del re
d’Italia, tra la folla festante. Alle 17 l’Istria
sbarca la compagnia mitraglieri, che prende possesso dell’Arsenale militare, ed
alle 18 attracca il resto del convoglio, che sbarca le truppe.
L’occupazione della
città non presenta problemi; sono presenti soltanto due torpediniere ex
austroungariche e personale del Comando Marina. Le truppe italiane provvedono
rapidamente a prendere possesso e dei principali edifici pubblici e militari,
oltre che al rimpatrio degli ex prigionieri italiani.
5 novembre 1918
Missori, Pilo, Abba, La Masa, la corazzata Ammiraglio
Saint Bon (con a bordo l’ammiraglio Umberto Cagni, comandante della
formazione), le torpediniere d’altura Procione,
Climene e Pellicano (che dragano la rotta davanti alla formazione), le
torpediniere costiere 2 PN, 3 PN, 4 PN, 10 PN, 16 OS, 41 PN e 64 PN, quattro
MAS ed un rimorchiatore-dragamine salpano da Venezia in mattinata dirette a Pola,
per procedere all’occupazione della città e piazzaforte già austroungarica. A
bordo delle navi sono imbarcate truppe da sbarco della Marina e dell’Esercito:
sui cacciatorpediniere, quattro compagnie da sbarco della Marina con alcuni
specialisti per le comunicazioni; sulla Saint
Bon, un battaglione di fanteria e 100 carabinieri. Il tempo non è dei
migliori: nebbia, nuvolaglia, vento di scirocco, piovaschi e mare lungo.
La formazione supera
gli sbarramenti di Venezia prima delle cinque del mattino, ed alle dieci la
formazione aumenta la velocità, mentre il tempo migliora, anche se non si vede
il sole; il mare si calma. A mezzogiorno, superata una zona minata, le navi
italiane passano davanti a Rovigno,
Alle 13.30 la
formazione entra nel canale di Fasana, e poco dopo l’ammiraglio Cagni dà ordine
sbarcare truppe a Fasana (a cinque chilometri da Pola): prima il capitano di
vascello Foschini, poi le compagnie da sbarco dei cacciatorpediniere, poi i
reparti della Saint Bon. Mentre le
prime compagnie da sbarco – personale del Reggimento Marina – prendono terra,
alle 13.50, Cagni ordina alla 4 PN
(tenente di vascello Paolo Maroni; a bordo anche il capitano di vascello
Alessandro Ciano) di precedere le altre navi a Pola, per preannunciare
l’occupazione della città. La torpediniera esegue l’ordine ed entra a Pola alle
14.20. La Missori e le altre navi entrano
a Pola alle 16, in linea di fila; in serata giungono anche truppe di terra.
Mentre la popolazione
della città – in maggioranza italiana – accoglie festosamente l’arrivo delle
truppe italiane, il considerevole numero di soldati e (soprattutto) marinai
jugoslavi presenti può presentare un problema per l’occupazione italiana.
L’ammiraglio Metodio
Koch, comandante della neonata flotta jugoslava (sorta il 30 ottobre a seguito
dell’unilaterale cessione della flotta austroungarica al Consiglio Nazionale
dei Serbi, Croati e Sloveni), inizialmente protesta e sostiene che la città di
Pola, le sue fortezze e la flotta già austroungarica appartengono ora alla
Jugoslavia; le clausole dell’armistizio di Villa Giusti, tuttavia, prevedono la
consegna della flotta e l’occupazione interalleata (mentre il Patto di Londra
parlava di occupazione italiana) delle installazioni militari e degli arsenali
e cantieri di Pola (sarà anche la Francia a prendere posizione contro
un’occupazione solamente italiana, anziché da parte delle forze congiunte
dell’Intesa), ma non vi è poi una sostanziale opposizione all’occupazione
italiana. Le fortezze vengono occupate il 6 novembre.
I circa 30.000
militari ex austroungarici presenti in città se ne vanno nei giorni successivi,
mentre l’ammiraglio Cagni assumerà pieni poteri il 7 novembre.
Il Missori (sigla MS), il Pilo
(PL), il La Masa (LM) ed il
cacciatorpediniere statunitense Kilty
(in primo piano) a Venezia nell’estate del 1919 (Coll. Guido Alfano via Giorgio
Parodi e www.naviearmatori.net)
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1919-1921
L’armamento
principale viene completamente sostituito: i sei cannoni da 76/40 mm che lo
costituiscono, infatti, vengono sbarcati e rimpiazzati da cinque più potenti
cannoni singoli da 102/35 mm, mod. Schneider 1914-1915. Viene inoltre
potenziato l’armamento contraereo, con l’imbarco di due pezzi singoli da 40/39
mm Vickers 1917 e due mitragliere singole Colt da 6,5/80 mm. Il dislocamento a
pieno carico aumenta da 806 a 900 tonnellate.
9 agosto 1920
Il Missori partecipa alla “Grande Serata a
Mare” festeggiata a Rimini.
25-26 dicembre 1920
Il Missori ed il gemello Abba, nei giorni del “Natale di Sangue”
a Fiume, vengono inviati a Zara, con altre navi, per porre fine all’occupazione
di quella città da parte dei legionari di D’Annunzio. Questi ultimi hanno
pianificato d’impadronirsi – con la complicità di quattro sottocapi che hanno
aderito alla causa dannunziana – dell’esploratore Marsala, all’ancora nel Canale di Zara, per puntarne le artiglierie
sulle truppe regolari italiane e costringerle a lasciar passare i legionari
asserragliati in due caserme nella città; indi imbarcare i legionari sul Marsala, e con esso raggiungere Sebenico
per unirsi ai legionari là presente ed organizzarvi un’ultima resistenza. Nella
notte tra il 25 ed il 26 trenta legionari, guidati dal capitano Calavalle e dal
tenente Grossi, s’impadroniscono del Marsala
come pianificato; trovano però i cannoni inutilizzabili perché privati degli
otturatori, e non riescono a mettere le caldaie in pressione. Scatta intanto
l’allarme, e Missori ed Abba affiancano subito il Marsala, costringendo gli assalitori
alla resa. Dopo alcune ore di combattimenti, anche i legionari rimasti a terra
si arrendono.
27 dicembre 1921
L’invio a Spalato
della Missori, nel quadro delle
tensioni in Dalmazia tra italiani e croati (due giorni prima, marinai italiani
a Sebenico e Spalato stessa sono stati insultati ed aggrediti da abitanti delle
due città, che protestano contro la presenza di navi da guerra italiane nelle
acque dalmate), spinge la popolazione di Spalato a chiedere al governo di
Belgrado di inviare immediatamente a Roma dei rappresentanti per chiedere
l’immediato ritiro di tutte le navi da guerra italiane presenti in porti della
Jugoslavia.
Il Missori al Molo Stocco di Fiume, probabilmente negli anni Venti (da
www.kreiser.unoforum.pro)
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Febbraio 1922
La Missori viene inviata a stazionare per
qualche tempo a Spalato, ove si sono verificate turbolenze tra la popolazione
croata e la minoranza italiana.
1925
È comandante in
seconda della Missori il tenente di
vascello Francesco Dell’Anno, futura Medaglia d’Oro al Valor Militare.
7-8 luglio 1928
Il Missori funge da scorta d’onore al
cacciatorpediniere Nazario Sauro per
la cerimonia della consegna della bandiera, che si tiene a Capodistria.
L’equipaggio ha anche occasione di visitare il Museo Civico di Capodistria.
6 agosto 1928
Il mattino del 6
agosto, il Missori (comandante
Rogadeo) lascia Pola (per altra fonte, Venezia) per partecipare ad
un’esercitazione che prevede l’impiego dei sommergibili F 14 ed F 15,
dell’esploratore Brindisi (ammiraglio
di divisione Antonio Foschini, comandante del Gruppo «Brindisi» che include tutte
le unità di superficie), dell’esploratore leggero Aquila e della V Flottiglia Cacciatorpediniere (sei unità in tutto,
compreso il Missori, divise nelle
Squadriglie «Abba» e «Sirtori»), con la simulazione di un attacco da parte dei
due battelli ai danni del Brindisi. Le navi di superficie, riunitesi ad ovest
di Parenzo, fanno rotta su Pola con il Brindisi e l’Aquila in linea di fila al centro (colonna centrale) scortati sui
fianchi (colonne laterali) dalle due squadriglie dei cacciatorpediniere della V
Flottiglia, anch’essi disposti in linea di fila, subendo dapprima il finto
attacco dell’F 15, e poi, alle 8.40 –
mentre il mare mosso va peggiorando con vento montante che gira improvvisamente
da Grecale a Scirocco; il cielo è sereno – quello dell’F 14. Alle 8.40, sette miglia ad ovest di San Giovanni in Pelago,
il cacciatorpediniere Giuseppe Cesare
Abba (caposquadriglia di dritta), che precede il Missori, avvista l’F 14
(a quota periscopica ed in via di emersione) a dritta al traverso, e lo segnala
alle altre navi; l’Abba avvista anche
il periscopio, la cui posizione indica che il sommergibile dista solo pochi
metri. Sul Missori, che segue l’Abba a breve distanza, l’equipaggio
controlla soprattutto la zona sulla dritta ritenuta come probabile zona di
provenienza dell’attacco, molto più in fuori rispetto alla reale posizione del
battello: la conseguenza è che il periscopio dell’F 14 viene avvistato solo quando il battello è giunto ad una
distanza di 160-180 metri, avendo scapolato la poppa dell’Abba nella sua scia. Il Missori
mette tutta la barra a dritta e le macchine indietro tutta per evitare la
collisione; l’F 14 tenta di accostare
a dritta, ma è quasi immobile ed in affioramento, così non riesce a coadiuvare
la propria manovra con quella del cacciatorpediniere. Non è possibile evitare
la collisione: pur avendo fortemente ridotto l’abbrivio, il Missori sperona l’F 14 perpendicolarmente alla poppa, poco a poppavia del portello
poppiero, aprendo una falla di 60 per 25 centimetri e facendolo affondare
rapidamente su un fondale di 40 metri (la prua dell’F 14 affiora per alcuni istanti in questo frangente, poi scompare),
sette miglia a ponente di San Giovanni in Pelago (Pola). 23 dei 27 membri
dell’equipaggio rimangono intrappolati, vivi, nel relitto del sommergibile,
rimasto in gran parte asciutto.
Le unità del gruppo
fermano le macchine, calano le imbarcazioni, gettano dei segnali nel punto in
cui il sommergibile è scomparso, marcato prima da grosse bolle d’aria e poi
anche da chiazze di nafta.
Nonostante gli sforzi
per recuperarlo il prima possibile, l’F
14 potrà essere riportato a galla, con l’ausilio di grossi pontoni, solo
alle 18 del 7 agosto, troppo tardi per salvare i superstiti.
Il Missori ha avuto nella collisione la
prua danneggiata; necessiterà di riparazioni in bacino.
Il Missori in bacino nell’agosto 1928, dopo la collisione con l’F 14 (Coll. Luigi Accorsi, via www.associazione-venus.it)
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1929
Il Missori, con i similari Giuseppe Cesare Abba, Giuseppe Dezza, Antonio Mosto e Fratelli Cairoli, forma la IX
Squadriglia Cacciatorpediniere, che, insieme X Squadriglia Cacciatorpediniere (Giovanni Acerbi, Giuseppe Sirtori, Francesco
Stocco, Ippolito Nievo) ed
all'esploratore Aquila, compone
la 5a Flottiglia della Divisione Speciale, che comprende anche
l'esploratore Brindisi, nave
comando.
1° ottobre 1929
Declassato a
torpediniera, come tutte le “tre pipe”.
1936-1938
Nell’ambito della
guerra civile spagnola, la Missori è
adibita a compiti di contrasto del contrabbando di armi per le forze
repubblicane spagnole, nel Canale di Sicilia.
La Missori con altre “tre pipe” a Venezia prima della guerra (Naval
History and Heritage Command)
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10 giugno 1940
All’entrata
dell’Italia nella seconda guerra mondiale, la Missori forma la VI Squadriglia Torpediniere (avente base a
Taranto), insieme alle similari Rosolino
Pilo, Giuseppe Sirtori e Francesco Stocco.
27-28 giugno 1940
Missori e Pilo effettuano una
missione di trasporto di 52 soldati ed un carico di rifornimenti da Taranto a
Tripoli.
7 luglio 1940
La Missori e la gemella Pilo salpano da Catania a mezzogiorno,
scortando la motonave Francesco Barbaro,
diretta in Libia nell’ambito dell’operazione «TCM». (La storia ufficiale
dell’USMM presenta una discrepanza: nel testo le torpediniere sono indicate
come Pilo e Missori, mentre nella cronologia sono indicati i nomi di Pilo ed Abba).
Più tardi nello
stesso giorno, Missori, Pilo e Barbaro si uniscono al convoglio principale (trasporti truppe Esperia e Calitea, motonavi da carico Marco
Foscarini e Vettor Pisani,
scortate dalle torpediniere Orsa, Procione, Orione e Pegaso della XIV
Squadriglia). Le navi mercantili trasportano in tutto 2190 militari, 232
automezzi, 5720 tonnellate di carburanti e lubrificanti e 10.445 tonnellate di
altri rifornimenti; il convoglio gode di un gruppo di scorta diretta costituito
dalla II Divisione Navale (incrociatori leggeri Giovanni delle Bande Nere e Bartolomeo
Colleoni) e dalla X Squadriglia Cacciatorpediniere (Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco) e della protezione a distanza dell’intera flotta
italiana: 35 miglia ad est, per scorta indiretta, vi sono l’incrociatore
pesante Pola, la I e III Divisione
con cinque incrociatori pesanti e le Squadriglie Cacciatorpediniere IX, XI e
XII con dodici unità in tutto; 45 miglia ad ovest vi sono i quattro
incrociatori leggeri della VII Divisione ed i quattro cacciatorpediniere della
XIII Squadriglia. In più vi è un gruppo di protezione/sostegno costituito
dall’intera 1a Squadra Navale, con le due corazzate della V Divisione (Cesare e Cavour), i sei incrociatori leggeri della IV e VIII Divisione ed i
tredici cacciatorpediniere della VII, VIII, XV e XVI Squadriglia.
Il convoglio,
procedendo a 14 nodi, segue rotta apparente verso Tobruk fino a giungere in un
punto situato 245 miglia a nordovest di Bengasi, quindi assume rotta verso
quest’ultimo porto; dopo altre 100 miglia il convoglio si divide, lasciando
proseguire a 18 nodi le più veloci Esperia
e Calitea, mentre le motonavi da
carico manterranno una velocità di 14 nodi.
8 luglio 1940
All’1.50 l’ammiraglio
Inigo Campioni, comandante della flotta italiana, a seguito di avvistamenti
della ricognizione che rivelano la presenza in mare della Mediterranean Fleet
britannica (anch’essa uscita a tutela di convogli), ordina al convoglio, che si
trova in rotta 147° (per Bengasi) di assumere rotta 180°, in modo da essere
pronto ad essere dirottato su Tripoli in caso di necessità. Alle 7.10, appurato
che la Mediterranean Fleet non può essere diretta ad intercettare il convoglio,
Campioni ordina a quest’ultimo di tornare sulla rotta per Bengasi.
Il convoglio «TCM»
arriva a Bengasi, dopo una navigazione tranquilla, tra le 18 e le 22.
14 ottobre 1940
La Missori parte da Palermo alle 19,
scortando la motonave Rosa e le
motocisterne Labor e Pro Patria, dirette a Tripoli. La Missori le scorta fino a Capo Bon, poi
viene rilevata da un’unità inviata da Tripoli, dove i mercantili giungeranno
alle 16 del 17 ottobre.
19 novembre 1940
La Missori salpa da Palermo alle 8.30,
scortando i piroscafi Iris e Multedo.
22 novembre 1940
Missori, Iris e Multedo giungono a Tripoli alle 9.
8 dicembre 1940
Parte da Bengasi alle
14 scortando i piroscafi Ascianghi e Capo Orso, diretti a Tripoli.
12 dicembre 1940
Le navi giungono a
Tripoli alle 9.45.
14 dicembre 1940
La Missori (caposcorta) e la torpediniera Castore partono da Bengasi per Tripoli
alle 19, scortando i piroscafi Bosforo
e Marocchino.
18 dicembre 1940
Il convoglio giunge a
Tripoli alle 17.30.
Il Missori fotografato verso la fine del 1940 (g.c. STORIA militare)
|
14 gennaio 1941
La Missori lascia Tripoli alle 19,
scortando la motonave Calitea,
diretta a Bengasi.
15 gennaio 1941
Missori e Calitea poggiano a
Ras Ramba.
16 gennaio 1941
Missori e Calitea arrivano a
Bengasi alle 9 e ripartono già alle 21.30, dirette a Tripoli.
18 gennaio 1941
Missori e Calitea raggiungono
Tripoli alle 15.30.
9 febbraio 1941
La Missori parte da Palermo (dov’è giunta
da Tripoli) a mezzanotte, insieme al cacciatorpediniere Turbine (caposcorta) ed alle torpediniere Orsa e Generale Antonio
Cantore, per scortare un convoglio proveniente da Napoli e formato dai piroscafi
tedeschi Ankara, Alicante ed Arcturus: si
tratta del primo convoglio tedesco con truppe dell’Afrika Korps, in corso di
trasferimento in Libia. Il convoglio fruisce anche di scorta aerea tedesca,
assicurata da velivoli del X. Fliegerkorps.
11 febbraio 1941
Le navi arrivano a
Tripoli alle 15, dopo un viaggio privo di eventi di rilievo.
Alle 23.30 la Missori ne riparte insieme all’incrociatore
ausiliario Attilio Deffenu, per
scortare a Palermo e Napoli un convoglio formato dai piroscafi Sabaudia, Motia e Bainsizza e dalla
nave cisterna Utilitas. Deffenu, Bainsizza e Sabaudia
erano partiti già alle 8.30, ma sono tornati a Tripoli a seguito di due (infruttuosi)
attacchi da parte del sommergibile britannico Truant.
(Secondo la
cronologia ufficiale USMM, la Missori
e l’Utilitas arrivano a Palermo alle
19 del 15 marzo, mentre il resto del convoglio prosegue per Napoli; ciò però
contrasta con il successivo viaggio, riportato dalla medesima cronologia).
14 marzo 1941
La Missori, le similari Rosolino Pilo e Giuseppe La Farina ed i cacciatorpediniere Freccia e Luca Tarigo
(caposcorta) salpano da Napoli per Tripoli alle 20.30, scortando i piroscafi
tedeschi Adana, Aegina, Heraklea e Galilea e l’italiano Beatrice Costa, con truppe e materiali
dell’Afrika Korps.
18 marzo 1941
Il convoglio
raggiunge Tripoli all’una.
15 marzo 1941
La Missori e le torpediniere Polluce e Cigno (caposcorta) partono da Tripoli per Napoli alle 16.30,
scortando le motonavi Andrea Gritti, Rialto e Sebastiano Venier; il convoglio giungerà a Napoli alle 8 del 17.
Ciò risulta però incompatibile con il viaggio del 14-18 marzo sopra riportato.
19 marzo 1941
Missori, Pilo, Freccia e Tarigo (caposcorta) ripartono da Tripoli per Napoli alle 7.30,
scortando Adana, Aegina, Heraklea e Galilea che ritornano scarichi.
21 marzo 1941
Il convoglio arriva a
Napoli alle 20.
28 marzo 1941
La Missori (tenente di vascello Carbonara)
lascia Palermo nella notte insieme ad un’altra anziana torpediniera, la Generale Antonio Chinotto (tenente di
vascello Lelio Campanella), per una missione notturna di ricerca
antisommergibile: un battello nemico – probabilmente il britannico Rorqual – è stato avvistato al largo di
Capo Gallo
Appena tre giorni
prima, e ad insaputa dei comandanti italiani, proprio il Rorqual (capitano di fregata Ronald Hugh Dewhurst), ha posato 50
mine tra Capo Gallo e Scoglio Asinelli, dividendole in tre sbarramenti (uno di
dieci mine quattro-cinque miglia a nordest di Capo Gallo, uno di 19 mine a
nordest dello Scoglio Asinelli ed il più grande, di 21 mine, a nordovest dello
stesso Scoglio Asinelli).
La missione di
ricerca intrapresa da Chinotto e Missori si rivela infruttuosa, pertanto
alle otto del mattino del 28 le due torpediniere – che si trovano nel punto tra
il meridiano di Capo San Vito ed il parallelo 38°20’ N – abbandonano la ricerca
e si avviano sulla rotta di rientro a Palermo, procedendo in linea di fila (Missori in testa, Chinotto che la segue nella scia) verso il punto prestabilito «A».
Il mare lungo da ovest-sud-ovest al giardinetto ostacola le manovre, e la densa
foschia “nera” peggiora la situazione. Con il procedere della navigazione le
condizioni di visibilità vanno ulteriormente deteriorandosi: alle 9.20, quando Missori e Chinotto, giunte sul punto «A», accostano per 110°,5 veri, la costa
risulta interamente coperta da una foschia nera.
Alle 9.35 inizia a
comparire alla vista la sommità di Capo Gallo, che dà al comandante Carbonara
l’impressione di essere leggermente spostato verso terra; Carbonara non se ne dà
comunque pensiero, perché poco tempo prima ha scortato in quelle stesse acque,
per due giorni, la posacavi Città di
Milano, e sa che verso terra, dalle rotte di sicurezza, non vi sono
pericoli sotto la superficie del mare.
Mentre le due
torpediniere si avvicinano alla costa siciliana, tuttavia, alle 9.40, la Chinotto urta una mina, o forse anche
due, dello sbarramento che il Rorqual
ha posato in quelle acque tre giorni prima: spezzata in due, la torpediniera
inizia ad affondare 4,5 miglia a nordest di Capo Gallo. Sulla Missori, alle 9.41 il comandante in
seconda, sottotenente di vascello Guido Suttora, esclama «il Chinotto affonda», ed il comandante
Carbonara, accorso sull’aletta sinistra di plancia, vede la nave sezionaria che,
quasi ferma ed apparentemente danneggiata all’altezza dell’alberetto poppiero,
comincia ad affondare. Temendo che la Chinotto
sia stata silurata da un sommergibile posizionato più al largo, Carbonara
ordina avanti tutta e tutta la barra a sinistra per portarsi nella presumibile
posizione del battello attaccante, ma, non vedendo scie di siluri o bolle di
lancio, riduce la velocità; in quel momento la Chinotto viene scossa dalla seconda esplosione, dopo di che scompare
rapidamente sotto la superficie. La Missori,
con battute telemetriche e rilevamento del semaforo (unico punto che risulti
visibile), determina la posizione come il limite sudorientale del Banco La
Barra.
Dopo otto-dieci
minuti dall’urto della Chinotto –
ormai affondata – contro la prima mina, la Missori,
il cui comandante ha ora compreso che vi sono probabilmente degli “impedimenti
subacquei” sul Banco La Barra, accosta a dritta per portarsi in fondali più
profondi, a sud del banco; poi, restando in movimento, invia dei mezzi a
recuperare i superstiti della torpediniera sezionaria e comunica l’accaduto a
Marina Palermo, che invia a sua volta mezzi di soccorso al comando del capitano
di corvetta Antonio Nervi. Sono comunque i mezzi della Missori a salvare i superstiti, 71 (di cui 31 feriti) su un
equipaggio di 119 uomini.
29 marzo 1941
Alle 3.08, al largo
di Kelibia, la Missori e la similare Giuseppe La Farina incontrano il
cacciatorpediniere Dardo, che sta
rimorchiando la motonave tedesca Ruhr,
silurata dal sommergibile britannico Utmost
al largo di Kuriat, durante la navigazione in convoglio da Napoli a Tripoli. Il
Dardo, che è scortato dalla
torpediniera Sagittario, ordina a Missori e La Farina di unirsi alla scorta; alle 7.30 arrivano anche alcuni
velivoli incaricati della scorta aerea.
30 marzo 1941
Alle 17.15, in
prossimità di Trapani, il Dardo dà
libertà di manovra alla Sagittario,
proseguendo con la scorta delle due “tre pipe”; il convoglio riduce
progressivamente la velocità ed alle 17.55 viene raggiunto da due
rimorchiatori, che alle 18.05 prendono a rimorchio la Ruhr, liberando così il Dardo
di tale incombenza. Il cacciatorpediniere entra così in porto, mentre la Missori riceve da esso l’ordine di
restare per fornire eventuale assistenza alla Ruhr, fino a quando essa non sia giunta in porto. La motonave entra
finalmente in porto alle 21.
2 aprile 1941
La Missori ed i cacciatorpediniere Folgore (caposcorta) e Strale lasciano Tripoli alle 21.30 per
scortare Adana e Samos che rientrano a Napoli.
3 aprile 1941
Causa allarme navale
nel Mediterraneo centrale, il convoglio viene fatto tornare a Tripoli.
4 aprile 1941
Il convoglio riparte
alle 20.30.
5 aprile 1941
Il convoglio giunge a
Napoli alle 12.30.
10 aprile 1941
La Missori e le torpediniere Perseo e Generale Carlo Montanari (caposcorta) partono da Palermo per
Tripoli alle 13.30, scortando un convoglio composto dai piroscafi Bosforo ed Ogaden e dalle navi cisterna Persiano
e Superga.
11 aprile 1941
I cacciatorpediniere
britannici Jervis (capitano di
vascello Mack), Janus, Nubian e Mohawk lasciano Malta per intercettare il convoglio italiano tra
Lampione e le Kerkennah, ma non ricevono un messaggio inviato dal sommergibile Unique che corregge la velocità del
convoglio, la cui stima iniziale è errata. Le unità britanniche non riescono
così a trovare quelle italiane, e devono rientrare a Malta.
Lo stesso giorno il
convoglio viene infruttuosamente attaccato dal sommergibile britannico Upholder al largo di Capo Bon.
12 aprile 1941
Alle 8.30, quando il
convoglio è 50 miglia a nord di Tripoli (per il Tetrarch, la posizione è 37 miglia per 340° dal faro di Tripoli) e
la scorta è stata rinforzata da un aereo, le navi vengono avvistate dal
sommergibile britannico Tetrarch
(capitano di corvetta Richard Micaiah Towgood Peacock) mentre procedono su
rotta 150° alla velocità stimata di 10 nodi.
Passato all’attacco, il
battello lancia quattro siluri contro la Persiano,
dalla distanza di 4115 metri: alle 8.50 (per altra versione 10.20) la Persiano viene colpita da un siluro 30
miglia a nordovest del faro di Tripoli. Incendiata a poppa, la petroliera viene
assistita dalle torpediniere Partenope
e Polluce, uscite da Tripoli, mentre
il resto del convoglio prosegue verso il porto, dove entra alle 15. Il Tetrarch viene sottoposto a caccia
antisommergibili per tre ore, con il lancio di nove bombe di profondità, ma non
subisce danni. Più tardi, alle 16.10, inizia un nuovo bombardamento con 15
cariche di profondità, ma anche queste esplodono troppo lontane per poter fare
danni.
La Persiano affonderà l’indomani mattina,
alle 10.30, nel punto 33°29’ N e 14°01’ E. L’equipaggio, eccetto tre uomini
rimasti uccisi, viene tutto recuperato dalle unità della scorta.
16 aprile 1941
Partecipa, con
numerose altre unità, al salvataggio dei naufraghi del convoglio “Tarigo”,
distrutto da quattro cacciatorpediniere britannici (gli stessi che pochi giorni
prima hanno infruttuosamente cercato il suo convoglio) presso le secche di
Kerkennah.
19 aprile 1941
La Missori, la torpediniera Clio ed il cacciatorpediniere Dardo (caposcorta) lasciano Tripoli alle
15, scortando le motonavi Barbarigo, Birmania, Rialto, Andrea Gritti e Sebastiano Venier, di ritorno a Napoli.
20 aprile 1941
Al largo di
Pantelleria, il convoglio viene attaccato da bombardieri britannici in più
ondate, ma soltanto la Clio è
colpita, subendo solo danni leggeri.
21 aprile 1941
Il convoglio giunge a
Tripoli alle 11.
1° giugno 1941
Salpa da Napoli alle
19.30, insieme ai cacciatorpediniere Aviere
(capitano di vascello Luciano Bigi, caposcorta), Dardo, Geniere e Camicia Nera, per scortare a Tripoli il
convoglio «Aquitania», formato dai piroscafi Beatrice C., Aquitania, Caffaro, Nirvo e Montello e dalla
moderna motonave cisterna Pozarica. Essendo
l’«Aquitania» uno dei più grandi convogli sino ad allora inviati in Libia, ed
in assoluto uno dei più grandi dell’intera battaglia dei convogli nordafricani,
è uscita da Palermo anche una potente forza di copertura a distanza,
consistente nell’intera VIII Divisione Navale (ammiraglio di divisione Antonio
Legnani) con i moderni incrociatori leggeri Luigi
di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe
Garibaldi ed i cacciatorpediniere Granatiere,
Bersagliere, Fuciliere ed Alpino.
Completa l’apparato difensivo la scorta aerea, fornita da due caccia FIAT CR.
42.
2 giugno 1941
Il convoglio, che
procede a non più di otto nodi (non molto), viene tuttavia avvistato già il 2
giugno sia da un sommergibile britannico (la cui presenza è segnalata al
convoglio, che esegue una diversione dalla rotta proprio il 2 mattina, per
evitarlo) che da un idroricognitore Short Sunderland, che comunicano quanto
visto: poco dopo mezzogiorno decollano quindi da Malta, per attaccare le navi
italiane, cinque bombardieri Bristol Blenheim (o Martin Maryland) della RAF.
Intorno alle 14 gli
aerei britannici avvistano il convoglio, ma, avendo visto anche i due CR. 42 della
scorta aerea, non attaccano subito e si tengono invece a distanza, volando
bassi sul mare, tallonando il convoglio in attesa di condizioni favorevoli per
l’attacco. Alle 14.15 anche le navi italiane avvistano i Blenheim, molto
lontani sulla dritta e bassi sul mare, con rotta quasi parallela a quella del
convoglio e direzione verso la Tripolitania; ma, dato che in questo periodo gli
attacchi aerei diurni non sono ancora divenuti molto frequenti, pensano che siano
bombardieri tedeschi Junkers Ju 88. In ogni caso, gli aerei vengono quasi
subito persi di vista.
Alle 14.30 (16.30 per
altra fonte) si avverano infine le aspettative degli attaccanti: i due CR. 42,
dovendo tornare alla base, lasciano il convoglio e vengono sostituiti da un
idrovolante antisommergibile CANT Z. 501, un velivolo lento, superato, poco
armato: inadatto a contrastare un attacco aereo (e difatti è impiegato nella
scorta antisommergibile). Il convoglio si trova in posizione 35°25’ N e 11°57’
E, circa venti miglia a nordest delle Isole Kerkennah e dodici miglia a nordest
della boa numero 1 delle secche di Kerkennah, al largo della Tunisia.
Il CANT Z. 501 si
posiziona a proravia del convoglio in funzione di ricognizione
antisommergibile, ed alle 14.45 i Blenheim passarono all’attacco: volando a 500
metri di quota, raggiungono il convoglio provenendo da poppavia e lo risalgono
dalla coda alla testa, sganciando le loro bombe.
In quel momento le
navi della scorta stanno procedendo ai lati del convoglio ed il sole è quasi
sceso sull’orizzonte; i Blenheim vengono avvistati sulla dritta (quasi
provenienti dalla direzione del sole), a circa 4 km di distanza, che si
avvicinano al convoglio volando in formazione a triangolo ad circa 50 metri di
quota. Il caposcorta dà subito l’avvistamento e chiede l’invio di aerei da
caccia; poi tutte le navi, sia i mercantili che le unità di scorta, aprono il
fuoco con le mitragliere, ma le navi scorta sul lato sinistro hanno il campo di
tiro ostruito dai mercantili stessi: dato che gli aerei volano molto bassi,
sono quasi coperti dai piroscafi. Una volta giunti in prossimità del convoglio,
gli aerei accostano leggermente alla loro sinistra, come per evitare le unità
di scorta; arrivano sopra i piroscafi di coda, risalgono la formazione e
sganciano le bombe sul convoglio, senza nemmeno tentare una minima cabrata.
Uno dei Blenheim
viene abbattuto (per una versione, dal fuoco contraereo delle navi del
convoglio, per un’altra dai CR. 42 dei tenenti Marco Marinone ed Antonio Bizio,
entrambi appartenenti alla 70a Squadriglia del 23° Gruppo Caccia Terrestre)
e precipita in fiamme, ma gli altri sganciano con precisione le loro bombe, che
vanno a segno; poi si allontanano verso est, sempre volando bassi, vanamente
inseguiti dal tiro contraereo delle navi.
Il Montello, carico di munizioni e di
benzina, si disintegra in una colossale esplosione, senza lasciare alcun
sopravvissuto; il Beatrice C. viene
anch’esso colpito ed incendiato e, dopo vani tentativi di salvataggio, dovrà
essere abbandonato dall’equipaggio e finito a cannonate dal Camicia Nera, alle sette del mattino del
giorno seguente. Missori e Geniere recuperano i naufraghi del Beatrice C.; la Missori (per altra fonte il Geniere)
recupera anche gli avieri britannici del Blenheim abbattuto, che vengono presi
prigionieri. Così un guardiamarina della Missori
descrive la fine del Montello:
"... si navigava ai due lati del convoglio per dare protezione; il sole
era prossimo all'orizzonte, quando all'improvviso un rombo di motori ci segnalò
l'arrivo di aerei bassi sul mare e controsole: pochi istanti e poi uno scoppio
terribile; il Montello era scomparso
in un pallone di fuoco; l'esplosione improvvisa delle munizioni di cui era
carica la nave fu così violenta che provocò la caduta di uno degli aerei
assalitori rimasto prigioniero del vortice e la caduta di una miriade di
schegge di ogni forma e dimensione che seppellirono colpendo tutte le navi del
convoglio sparse in tutto l'orizzonte. Tutti rimanemmo attoniti e sconvolti
dall'incredibile avvenimento: in meno di dieci secondi la nave era sparita,
letteralmente dissolta in aria e con la nave tutto il povero equipaggio".
4 giugno 1941
Alle 14.10 il resto
del convoglio raggiunge Tripoli.
8 giugno 1941
Missori (caposcorta) e Pilo
partono da Tripoli per Trapani alle 20, scortando la motonave Manfredo Camperio ed il rimorchiatore di
salvataggio Salvatore I, avente a
rimorchio il piroscafo San Luigi.
9 giugno 1941
Il piccolo convoglio
raggiunge Trapani alle 9.
24 luglio 1941
Alle 13.55 il
sommergibile britannico Upholder
(capitano di corvetta Malcolm David Wanklyn) avvista in posizione 38°06’ N e
12°33’ E la Missori ed il piroscafo Dandolo, da essa scortato. Le due navi
procedono verso est lungo la rotta di sicurezza; l’Upholder si avvicina a tutta forza ed alle 14.18, da 4570 metri,
lancia tre siluri contro il Dandolo.
Dopo quattro minuti il piroscafo viene colpito da uno dei siluri, in posizione
38°08’ N e 12°37’ E (2,5 miglia a nordovest di Punta Barone, in Sicilia). La Missori reagisce con il lancio di 17
bombe di profondità nelle due ore successive; anche un idrovolante CANT Z. 501,
il n. 2 della 144a Squadriglia della Regia Aeronautica, si unisce al
contrattacco, sganciando una bomba antisommergibili alle 18.15 ed un’altra alle
18.40. L’Upholder si ritira verso
nordovest a 45 metri di profondità, senza riportare danni. Il Dandolo può essere preso a rimorchio dai
rimorchiatori Ciclope, Liguria e Nettuno, che lo portano a Trapani; potrà essere riparato.
26 agosto 1941
La Missori viene inviata a dare la caccia,
in cooperazione con aerei ed il cacciasommergibili Albatros, al sommergibile
britannico Triumph (capitano di
fregata Wilfrid John Wentworth Woods), che ha silurato e danneggiato
l’incrociatore pesante Bolzano
all’imbocco dello stretto di Messina. La Missori
perde la propria torpedine da rimorchio e ritiene che essa sia finita contro il
sommergibile, affondandolo; ma in realtà il Triumph
è lontano, e non subisce danni.
14 ottobre 1941
La Missori ed unità del III Gruppo
Antisommergibili vengono inviate a dare la caccia al sommergibile britannico Unique (tenente di vascello Anthony
Foster Collett), che ha infruttuosamente attaccato l’incrociatore ausiliario Adriatico e la nave cisterna Cassala, con lancio di siluri, a sud del
Golfo di Napoli. Né la Missori né i
mezzi del III Gruppo Antisommergibili riescono però a trovare il sommergibile.
9 novembre 1941
La Missori, la gemella Pilo ed una terza vecchia torpediniera, l’Audace, salpano da Trieste alle 7 per scortare a Venezia la
corazzata Roma, in corso di
allestimento. Si tratta del primo viaggio effettuato dalla Roma con le proprie macchine, anziché a rimorchio. Il viaggio
procede a velocità comprese tra 13 e 17 nodi; alle 12.21 le navi superano gli
sbarramenti del Lido ed alle 13.08 la Roma
si ormeggia alle boe davanti all’arsenale.
Una sequenza di sei immagini
della Missori nel porto del Pireo,
scattate nel dicembre del 1941 da Aldo Fraccaroli (Coll. Domenico Jacono, via www.associazione-venus.it):
1941-1942
Lavori di modifica dell’armamento;
vengono eliminati tre dei cinque pezzi da 102/35 mm, i due cannoncini Vickers
da 40/39 mm e due dei quattro tubi lanciasiluri singoli da 450 mm, per fare
spazio ad un potenziamento dell’armamento contraereo (sei mitragliere singole
Breda 1940 da 20/65 mm) ed antisommergibili (due scaricabombe di profondità).
22 gennaio 1942
Alle 11.45, la Missori salpa da Brindisi insieme alle
torpediniere Audace e Giuseppe Dezza per scortare a Venezia la
corazzata Impero, gemella della Roma, anch’essa in corso di allestimento
e propulsa dalle sue macchine. Il gruppo di scorta della Impero (sotto il comando del capitano di vascello Adone Del Cima),
oltre alle tre torpediniere, include il cacciatorpediniere Emanuele Pessagno, i sommergibili Otaria e Tito Speri (incaricati
di eseguire ascolto idrofonico lungo la rotta), ed i rimorchiatori Instancabile, Marettimo e Lido, che
dovranno fornire assistenza all’Impero
in caso di necessità. È prevista anche scorta aerea con aerei da caccia ed
idrovolanti in funzione antisommergibili.
L’Impero, inizialmente assistita per la
manovra dai rimorchiatori Porto Torres,
Porto Pisano, Porto Conte e Pantelleria,
supera il Canale Pigonatti alle 12.24 e, superate le ostruzioni esterne, lascia
i rimorchi e procede con le proprie macchine, preceduta da Missori e Pessagno (che
hanno messo a mare l’attrezzatura per il dragaggio di mine) e seguita dalla Dezza. Alle 14.45, in procinto di
superare il Gargano, le navi assumono la formazione prevista per il
trasferimento: Audace e Pessagno a proravia dell’Impero, a 1200 metri per 60° a dritta e
sinistra, e Missori 500 metri a
poppavia. La velocità dell’Impero
raggiunge i 10 e poi i 15 nodi; il mare ed il vento vanno progressivamente
peggiorando, fino a forza 5-6, ed alle 15.30 la Missori segnala che non riesce a mantenere la rotta ordinata ad una
velocità superiore a 11 nodi, e lascia temporaneamente la formazione.
23 gennaio 1942
Nella tarda
mattinata, giunta la formazione a poche miglia a sud di Venezia, si unisce ad
essa la cannoniera Zagabria, con
compiti di pilotaggio; alle 12.46 l’Impero
supera gli sbarramenti del Passo di Lido, ed alle 14.54 entra in bacino.
4 marzo 1942
Scorta da Brindisi a
Patrasso, via Corfù e Prevesa, i piroscafi Aprilia
e Pontinia, aventi come destinazione
finale Rodi.
15 marzo 1942
La Missori sala da Taranto alle 22.50,
scortando il piroscafo Bosforo,
diretto a Bengasi con un carico di rifornimenti (2121 tonnellate di provviste e
materiali vari, 481 tonnellate di carburanti e lubrificanti, 103 tonnellate di
munizioni e materiale d’artiglieria, un automezzo con rimorchio, una pirobarca
ed una bettolina).
Al largo di Santa
Maria di Leuca, la torpediniera viene sostituita dal cacciatorpediniere Strale per il resto della navigazione.
2 dicembre 1942
Scorta da Brindisi a
Patrasso i piroscafi Ginetto e Lauretta, diretti a Rodi.
1943
Assegnata al III
Gruppo Torpediniere del Dipartimento Militare Marittimo «Ionio e Basso
Adriatico», unitamente alle similari Giuseppe
Sirtori, Francesco Stocco, Giuseppe Cesare Abba, Enrico Cosenz e Giuseppe Dezza.
27 febbraio 1943
La Missori e l’incrociatore ausiliario Brindisi scortano da Bari a Durazzo il
piroscafo Quirinale, carico di truppe
e materiali.
6 marzo 1943
Missori, Brindisi e
l’incrociatore ausiliario Lazzaro Mocenigo scortano da Durazzo a Bari i
piroscafi Zeila, Milano e Quirinale, che
trasportano personale militare rimpatriante.
12 marzo 1943
Missori, Brindisi e Mocenigo scortano Milano e Quirinale da
Bari a Durazzo.
Il Missori a Venezia con colorazione mimetica, durante il conflitto (da
“I cacciatorpediniere italiani”, di Giuseppe Fioravanzo, USMM, Roma 1969)
|
21 marzo 1943
Dapprima la Missori scorta da Durazzo a Bari, insieme
a Brindisi e Mocenigo, Milano e Quirinale; poi, nella stessa giornata,
scorta i piroscafi Cesco ed Acilia da Bari a Valona.
31 marzo 1943
Missori e Brindisi scortano il
Milano da Bari a Durazzo.
18 aprile 1943
La Missori e l’incrociatore ausiliario Olbia scortano da Bari a Durazzo i
piroscafi Milano e Quirinale, carichi di truppe e
materiali.
24 aprile 1943
Missori ed Olbia scortano il Quirinale da Durazzo a Bari.
25 aprile 1943
La Missori scorta il piroscafo Cesco da Valona a Bari.
2 maggio 1943
Missori ed Olbia scortano il Quirinale da Bari a Durazzo.
6 maggio 1943
Missori, Olbia e la
torpediniera Giuseppe Dezza scortano
da Durazzo a Bari Milano e Quirinale, carichi di truppe
rimpatrianti.
13 maggio 1943
Missori, Brindisi e
l’incrociatore ausiliario Francesco
Morosini scortano Milano e Quirinale, con truppe e materiali, da
Bari a Durazzo.
18 maggio 1943
La Missori scorta il Cesco da Bari a Valona.
19 maggio 1943
Scorta il piroscafo Rosandra da Valona a Bari.
29 maggio 1943
Missori e Brindisi scortano da Bari a Durazzo Milano e Quirinale, con
truppe e materiali.
4 giugno 1943
La Missori e la torpediniera Enrico Cosenz scortano da Bari a
Patrasso la pirocisterna Alberto Fassio.
11 giugno 1943
La Missori scorta da Bari a Valona il
piroscafo Cesco.
12 giugno 1943
La Missori viene inviata da Marina Bari a
dare la caccia, insieme al dragamine ausiliario B 296 San Nicola ed alla motobarca 23, al sommergibile britannico Tactician
(capitano di corvetta Anthony Foster Collett), che tra le 12.20 e le 12.34 ha
cannoneggiato il veliero Bice cinque
miglia a nordest del faro di Bari, danneggiandolo gravemente.
14 giugno 1943
La Missori e l’incrociatore ausiliario Arborea scortano da Bari a Durazzo Milano e Quirinale, carichi di truppe e materiali.
16 giugno 1943
Missori ed Arborea scortano Milano e Quirinale nel viaggio di ritorno da Durazzo a Bari.
17 giugno 1943
Missori ed Arborea scortano Milano e Quirinale, con truppe e materiali, da Bari a Durazzo.
19 giugno 1943
Missori ed Arborea scortano il
Quirinale da Durazzo a Bari.
28 giugno 1943
La Missori scorta da Valona a Brindisi il piroscafo Capo Pino e la motonave Città di La Spezia.
2 luglio 1943
Missori ed Arborea scortano il
Milano da Brindisi a Durazzo.
10 luglio 1943
La Missori scorta da Bari a Patrasso la
nave cisterna rumena Balcic.
13 luglio 1943
Missori e Brindisi scortano la motonave Città di Alessandria da Bari a
Durazzo.
14 luglio 1943
Missori e Brindisi scortano la
Città di Alessandria di ritorno da
Durazzo a Bari. La Missori viene poi
inviata a dare la caccia, insieme a velivoli di Aeroalbania, al sommergibile
britannico Trooper (tenente di
vascello Guy Stewart Chetwode Clarabut), che ha attaccato con cannone e siluro
il piroscafo Cherso al largo di Capo
Rodoni (Durazzo). Il Trooper riesce
tuttavia a sottrarsi alla caccia.
21 luglio 1943
La Missori scorta il Cesco da Valona a Bari.
23 luglio 1943
La Missori scorta il piroscafo Palermo e la pirocisterna Alberto Fassio da Bari a Valona.
25 luglio 1943
Alle quattro del
mattino la Missori (capitano di
corvetta Mandini) salpa da Valona per scortare a Patrasso la nave cisterna Alberto Fassio, carica di benzina per
aerei.
Marina Valona ha
fissato l’ora della partenza del convoglio in modo che le due navi transitino
nel Canale di Santa Maura (Isole Ionie) prima di notte, dato che la navigazione
nei pressi di Capo Dukato (sull’Isola di Santa Maura) è vietata di notte;
tuttavia la Fassio, nonostante i
richiami della Missori, non segue con
precisione la torpediniera sulla rotta prestabilita, alle 17.30 s’incaglia
sulle secche di Capo Mitikas, a cinque miglia dall’entrata del porto di
Prevesa.
A causa di continui
disturbi atmosferici, che ostacolano le trasmissioni radio, il comandante
Mandini della Missori riesce a
comunicare l’accaduto al Comando Militare Marittimo della Grecia
Occidentale (Marimorea, avente sede a Patrasso) solo dopo aver ripetuto molte
volte il segnale radio; il risultato è che solo intorno alle 20.00 vengono
fatte partire delle unità per assistere la petroliera, ma alle 21.40 la Fassio riesce a disincagliarsi da sola,
usando le sue macchine.
Il comandante Mandini
chiede allora disposizioni a Marimorea, e nel mentre, scartate sia la
possibilità di atterrare su Prevesa (l’ingresso sarebbe difficoltoso, e per
giunta è stato riportato che nella zona vi è una mina magnetica) che quella di
tornare indietro ed attendere le luci dell’alba, decide di pendolare sulla
rotta aspettando ordini. Il pendolo dura a lungo perché, per i soliti disturbi
atmosferici, la Missori non riesce a
contattare né Marimorea né il comando di Brindisi. Come se non bastasse, la Fassio ha ripreso a non seguire con
precisione la Missori nelle sue
inversioni di rotta.
26 luglio 1943
Alle 3.27 (o 3.25) di
notte la Fassio urta una mina
appartenente ad uno sbarramento italiano e viene scossa da due esplosioni di
grande violenza: avvolta dalle fiamme, la cisterna affonda a 13 km da Prevesa, portando
con sé trenta uomini. I sopravvissuti vengono recuperati da mezzi inviati da
Prevesa e Santa Maura.
28 luglio 1943
Scorta il piroscafo Cagliari da Patrasso a Brindisi.
3 settembre 1943
La Missori, l’Arborea e la torpediniera Rosolino
Pilo scortano da Bari a Durazzo i piroscafi Italia ed Argentina, con
truppe e materiali.
6 settembre 1943
Missori, Pilo ed Arborea scortano Italia ed Argentina da
Durazzo a Bari.
Successivamente le
tre navi tornano a Durazzo.
Il Missori durante la seconda guerra mondiale (da www.kreiser.unoforum.pro) |
Durazzo
L’annuncio
dell’armistizio tra l’Italia e gli Alleati, l’8 settembre 1943, trovò la Missori (al comando del capitano di
corvetta Wolfango Mandini) a Durazzo, sede del Comando Militare Marittimo
dell’Albania (ammiraglio di divisione Manlio Tarantini).
Difesa da tre
batterie della Marina (una da 120 mm e due da 76 mm) e da cinque battaglioni
dell’Esercito (tre presidiari e due costieri, il tutto sotto il comando del
generale Emilio Peano) con otto batterie di vario calibro ed una dozzina di
mitragliere fisse, al momento dell’armistizio Durazzo era piuttosto affollata
di navi: oltre alla Missori si
trovavano ormeggiate in porto la gemella Pilo,
l’incrociatore ausiliari Arborea,
sette piroscafi e due motonavi, oltre a due rimorchiatori ed ad alcuni
motovelieri convertiti in dragamine; fuori del porto erano inoltre ancorate le
moderne corvette Sfinge e Scimitarra. Missori, Pilo ed Arborea avrebbero dovuto assumere la
scorta dei piroscafi, i quali, giunti da Bari la sera del 4 settembre, avevano
scaricato le loro merci ed erano in attesa di tornare in convoglio in Italia
(la partenza era stata più volte rimandata per l’avvistamento di sommergibili
nemici nel Basso Adriatico).
Quando seppe
dell’armistizio (alle 20.30 dell’8 settembre, quando fu trasmesso il proclama
Badoglio), l’ammiraglio Tarantini pensò inizialmente di far partire il
convoglio; dopo consultazioni col comandante del Comando Militare Marittimo di
Brindisi, ammiraglio Rubarteli, Tarantini decise però di trattenere le navi a
Durazzo, nonostante i comandanti delle unità destinate alla scorta insistessero
invece perché il convoglio partisse. Una decisione in questo senso avrebbe, con
ogni probabilità, salvato le navi. Invece partirono soltanto, alle cinque del 9
settembre, la Sfinge e la Scimitarra, per ordine diretto di
Supermarina.
L’ammiraglio
Tarantini radunò il personale di Marina Durazzo; raccomandò calma e disciplina,
fece intensificare la vigilanza e rafforzare i picchetti, ed ordinò tenersi
pronti a tutto.
In considerazione
della forte presenza del Regio Esercito (l’intera Divisione fanteria
«Brennero», che dopo l’annuncio dell’armistizio aveva approntato un reparto
corazzato) nella zona di Durazzo, e della scarsissima consistenza delle truppe
tedesche nella stessa area (circa 400 uomini con tre batterie da 88 mm e
diverse mitragliere semoventi da 20 e 37 mm, anche se vi era notizia di altre
truppe tedesche in marcia verso la città), Tarantini riteneva improbabile un
attacco a sorpresa da parte delle forze tedesche, e non era preoccupato per le
navi ormeggiate in porto.
Il 9 settembre
trascorse tranquillo fino alle 18: a quell’ora il maggiore Göb, comandante del
presidio tedesco di Durazzo, si presentò all’ammiraglio Tarantini assieme a due
suoi ufficiali, riferendo che il generale suo comandante ingiungeva a Tarantini
di non permettere ad alcuna nave italiana di lasciare il porto; in caso
contrario, i tedeschi avrebbero impiegato ogni mezzo per impedire che le navi
partissero. L’ammiraglio rispose che gli italiani avrebbero risposto
immediatamente a qualsiasi azione ostile tedesca, ed il maggiore Göb si fece
accordare tre ore per riferire la risposta al suo generale e portare poi a
Tarantini la decisione definitiva da parte di questi.
L’ammiraglio ordinò
che le navi si preparassero a partire entro due ore dall’ordine, e dispose
inoltre che sia le navi che le batterie della Marina si tenessero pronte ad
entrare in azione; poi andò a chiedere al generale Carlo Spatocco, comandante
del IV Corpo d’Armata, che l’Esercito collaborasse alla difesa di Durazzo in
caso di attacco tedesco. Qui Tarantini apprese notizie inquietanti: colonne
tedesche, provenienti da più direzioni, erano in marcia anche verso Valona; a
Tirana i comandi italiani stavano già trattando con quelli tedeschi.
Alle 21, come
pattuito, il maggiore Göb tornò con la risposta del suo generale: le navi
italiane non dovevano lasciare il porto.
L’atteggiamento
attendista del generale Lorenzo Dalmazzo, comandante la 9a Armata a
Tirana, certo non aiutava, ma l’ammiraglio Tarantini riuscì a strappare al
generale Spatocco l’ordine di schierare le batterie del IV Corpo d’Armata in
posizione tale da controbattere quelle tedesche da 88 mm, in previsione di un
attacco tedesco contro il porto di Durazzo; Spatocco inviò inoltre un nutrito
gruppo di carri armati della Divisione «Brennero» ed un gruppo mobile di
cannoni da 105, pronti ad intervenire contro eventuali attacchi tedeschi.
Sempre su richiesta di Tarantini, il generale Peano inviò una compagnia di
mitraglieri a rafforzare la guardia agli accessi ai moli, e fece ostruire tali
varchi di accesso con pesanti rimorchi di camion.
Alle 22.30 un reparto
armato tedesco, guidato da un ufficiale, raggiunse il porto con l’intenzione di
occuparlo; Tarantini e Peano si precipitarono sul posto, e l’ammiraglio, per
guadagnare tempo e convincere i tedeschi ad andarsene, diede – su richiesta
dell’ufficiale tedesco – la sua parola d’onore che nessuna nave avrebbe tentato
di fuggire o di sabotarsi. Nondimeno, i tedeschi non si fidarono gran che, e
per tutta la notte illuminarono il porto con i proiettori.
Dopo una serata ed
una notte di tensione, i combattimenti scoppiarono infine all’alba del 10
settembre. Poco prima delle sei del mattino, infatti, un forte reparto tedesco,
guidato dal generale Gramm, giunse dinanzi ai varchi che portavano alle
banchine; Gramm prese a parlare al tenente colonnello italiano che comandava i
reparti incaricati di difendere tali varchi, ma, nel mentre, i soldati tedeschi
aggredirono alle spalle l’ufficiale italiano, sopraffecero e disarmarono i
mitraglieri, colti di sorpresa, e dilagarono nel porto.
La Missori e la Pilo, ormeggiate alla banchina, non tardarono a rispondere:
entrambe aprirono immediatamente il fuoco sugli attaccanti tedeschi, e fecero
lo stesso anche il piroscafo armato Marco
ed una batteria da 76 mm della Marina, quella situata sulla spiaggia antistante
il porto. I marinai del distaccamento addetto ai servizi della base navale si
unirono anch’essi ai combattimenti, mentre la batteria da 120 mm della Marina
non poté fare molto perché tenuta sotto tiro da una batteria tedesca, che si
trovava in posizione defilata rispetto a quella italiana.
Un gruppo di soldati
tedeschi, guidati da un ufficiale, si slanciò verso la passerella che collegava
la Missori alla banchina, con
l’intento di abbordare la torpediniera; il guardiamarina Giorgio Tafuro reagì
ed uccise l’ufficiale tedesco, poi fu ucciso a sua volta da una raffica di
mitra in fronte, mentre tentava di gettare in mare la passerella per impedire
ad altri tedeschi di salire a bordo. Alla sua memoria fu conferita la Medaglia
d’Argento al Valor Militare.
I combattimenti tra
le forze tedesche ed il personale della Marina proseguirono in tutta l’area
portuale, ma divenne presto evidente che le esigue forze della Marina non
avrebbero potuto tener testa da sole agli attaccanti. Contrariamente a quanto
promesso e pattuito, non giunse alcun aiuto da parte dell’Esercito: nella notte
precedente, infatti, il comando della 9a Armata aveva ordinato ai
reparti stanziati a Durazzo di non prendere nessuna iniziativa e di non opporsi
ai movimenti delle forze tedesche, in attesa che le trattative giungessero al
termine; tenere il porto, ma evitando conflitti.
Preso atto che la
situazione era insostenibile, l’ammiraglio Tarantini ordinò di cessare la
resistenza.
Gli scontri erano
durati circa un’ora; i morti tra il personale della Marina erano stati otto
(cinque sulle torpediniere, due tra gli artiglieri della batteria da 76 mm ed
uno tra quelli della batteria da 120 mm) oltre a decine di feriti, sulle
torpediniere, sul Marco e tra il
personale delle due batterie. Dell’equipaggio della Missori, erano morti il marinaio cannoniere Gaetano Fondacaro ed il
guardiamarina Giorgio Tafuro (altra fonte parla invece di quattro morti: il
guardiamarina Tafuro e tre marinai). Tra i feriti vi fu anche il comandante
della Missori, capitano di corvetta
Mandini.
Terminati i
combattimenti, furono presi accordi con i comandanti tedeschi affinché: fossero
restituite le armi ai militari italiani presenti nel porto; questi ultimi
lasciassero il porto, fatta eccezione per quelli addetti ai servizi essenziali,
lasciando navi e porto sotto totale controllo tedesco.
Le trattative ancora
in corso a Tirana, insieme all’arrendevolezza dei comandi dell’Esercito nei
Balcani, compromisero definitivamente la situazione. Il 10 settembre, il
comando della 9a Armata accettò di cedere navi e batterie alle forze
tedesche; anche le armi individuali sarebbero state consegnate. Tra le 3 e le 4
di notte dell’11 settembre, il generale Ezio Rosi, comandante del Gruppo
d’Armate Est, firmò con il generale tedesco Bessel un accordo che permetteva ai
soldati italiani di tenere le armi portatili, obbligandoli a consegnare tutto
il resto; i soldati presenti nei Balcani sarebbero stati inoltre trasferiti in
Nord Italia.
L’11 settembre,
mattina, il maggiore tedesco Weiss assunse il comando a Durazzo, e l’ammiraglio
Tarantini divenne sostanzialmente un prigioniero. In quello stesso momento,
paracadutisti tedeschi catturavano a Tirana l’intero Comando della 9a
Armata.
Trovandosi nella
necessità di sgomberare le truppe italiane presenti in Albania e Jugoslavia,
per minimizzare i tempi i comandi tedeschi decisero di utilizzare le navi
catturate a Durazzo, compresa la Missori,
per i traffici lungo la sponda orientale dell’Adriatico. Le navi mantennero gli
equipaggi italiani, probabilmente perché non vi era sufficiente personale della
Kriegsmarine per poterle armare; per evitare però che potessero tentare fughe
una volta in mare aperto, su ognuna di esse – militare o mercantile – venne
imbarcato un picchetto di una decina di soldati tedeschi muniti di fucili
mitragliatori, col compito di sorvegliare l’equipaggio.
Fu in queste
condizioni che, alle 19 del 25 settembre 1943, la Missori, la Pilo e l’Arborea lasciarono Durazzo per Trieste. Scortavano
un convoglio di cinque piroscafi carichi di truppe (l’intera Divisione
«Brennero», ormai disarmata, che i tedeschi avevano deciso di trasferire via
mare a Trieste), come avrebbero dovuto fare qualche settimana prima; ma ora i
piroscafi erano diretti a Trieste, le navi sotto controllo tedesco, le truppe –
a loro insaputa – avviate alla prigionia. Tutte le navi avevano a bordo
picchetti armati tedeschi, per impedire tentativi di fuga verso l’Italia; sulla
Missori e sulla Pilo erano stati imbarcati anche i soldati della III Batteria del
558° Gruppo Semovente, per i quali non c’era Abbastanza spazio sui piroscafi.
I cinque piroscafi
(tra i quali l’Italia e l’Argentina) erano preceduti dall’Arborea, che procedeva in testa, mentre
le due torpediniere erano sui lati: verso la costa, la Missori; verso il mare aperto, la Pilo.
Durante la
navigazione, a mezzanotte, l’equipaggio della Pilo riuscì a sopraffare gli otto tedeschi armati di guardia a
bordo: quattro furono scaraventati in mare, gli altri quattro disarmati e
catturati; così liberatasi, la torpediniera abbandonò il convoglio e raggiunse
felicemente Brindisi, in mani italiane.
Non andò così per le
altre navi; rimaste sotto controllo tedesco, raggiunsero Trieste come previsto.
Dopo questo viaggio,
la Missori continuò ancora per un
paio di settimane a navigare con equipaggio italiano, ma sotto controllo
tedesco. Il 6 ottobre 1943, tuttavia, durante una missione nelle acque del
Quarnaro, l’equipaggio riuscì ad eludere la sorveglianza tedesca e sabotare la
nave. Secondo il volume dell’USMM relativo agli avvenimenti successivi
all’armistizio, le avarie provocate dall’equipaggio furono gravi e la nave –
trasferita alla Kriegsmarine e riparata a Trieste – tornò in servizio a fine
gennaio 1944, con equipaggio tedesco ed il nuovo nome di TA 22. Ciò però contrasta con quanto riferito dal saggio “La guerra
aeronavale tra il Golfo di Venezia e la costa dalmata dopo l’8 settembre 1943”
di Gabriele Faggioni, pubblicato sul bollettino d’archivio dell’USMM: in base a
quanto riportato, sulla scorta del diario della Kriegsmarine, la Missori doveva essere tornata in
servizio già pochi giorni dopo il sabotaggio, dato che già il 15 ottobre 1943 (pur
non avendo ancora ricevuto il nuovo nome di TA
22, ma con ogni probabilità aveva un equipaggio tedesco: improbabile che il
personale italiano fosse stato tenuto a bordo dopo il sabotaggio) appoggiò col
tiro dei suoi cannoni l’avanzata dell’esercito tedesco sulla costa ad est di
Fiume, attraversò il Canale di Morlacco ed effettuò una missione di
ricognizione nelle acque di Veglia. Cannoneggiata ripetutamente dall’artiglieria
dei partigiani jugoslavi, ebbe alcune perdite tra l’equipaggio, che si rivelò
“nonostante la sua buona volontà, inefficiente in qualsiasi situazione seria”. Non
essendo in condizioni di efficienza, la nave dovette essere portata a Trieste.
Successivamente la
nave venne sottoposta a lavori e cambiò nome in TA 22, entrando ufficialmente a far parte della Kriegsmarine; il 14
dicembre 1943, terminati i collaudi, entrò nell’11a Flottiglia di
sicurezza (11. Sicherungsflotille). (Per altra fonte, nella 2. Geleitflotille,
2a Flottiglia di scorta).
Tre giorni dopo, di
sera, la TA 22 salpò da Trieste (o
Pola) insieme alla torpediniera TA 20
(ex italiana Audace) ed al vetusto
incrociatore Niobe, per appoggiare lo
sbarco e riconquista di Curzola da parte delle forze tedesche (Operazione
Herbstgewitter II). La TA 20 dovette
tornare indietro per avaria (si ricongiunse con esse dopo aver riparato il
problema), le altre navi proseguirono e, la sera del 18, incontrarono presso
Pasman un altro gruppo di navi tedesche, tra le quali la torpediniera TA 21 (ex italiana Insidioso) che si unì al gruppo; vennero però informate che
l’operazione era rimandata, causa mancanza di sufficiente copertura aerea. TA 21 e TA 22, più veloci, diressero per proprio conto verso Pola, mentre
il Niobe, più lento, rimase indietro
con la scorta della TA 20. Durante la
navigazione, il 19 dicembre, il Niobe
s’incagliò presso l’isola di Selvo; non poté più essere disincagliato.
Il 6 gennaio fu
deciso di inviare la TA 22 a
soccorrere il posamine Pasman,
incagliatosi il 31 dicembre in territorio controllato dai partigiani jugoslavi
e da essi catturato con i 28 uomini del suo equipaggio (24 tedeschi e 4 croati
ustascia); il 7 e l’8 gennaio, tuttavia, il maltempo impedì alla torpediniera
di prendere il mare, e quando essa poté finalmente raggiungere il luogo
dell’incaglio, il 9 gennaio, trovò il Pasman
incagliato ed abbandonato (non vi fu tentativo di disincaglio) e poté solo
rilevare che l’equipaggio era scomparso.
Nella notte fra il 25
e il 26 gennaio 1944 la TA 22
pattugliò la costa tra Ugliano e Pasman.
Agli inizi del 1944,
la TA 22 venne sottoposta a lavori di
modifica dell’armamento: vennero rimossi uno dei due restanti cannoni da 102/35,
quello prodiero, ed i due tubi lanciasiluri da 450 mm rimasti, per sostituire
questi ultimi con un tubo lanciasiluri binato da 533 mm (per altra fonte i due
tubi lanciasiluri vennero rimossi per migliorare la stabilità in alto mare, e
non furono rimpiazzati da altri tubi lanciasiluri) e potenziare ulteriormente
l’armamento contraereo (con l’aggiunta di quattro mitragliere singole da 20/65
mm Mod. 1940).
Il 25 giugno 1944 la TA 22, mentre era in mare per dei
collaudi, venne gravemente danneggiata da un attacco aereo a sud di Trieste
(per altra fonte, al largo di Pirano). L’attacco fu effettuato dal 332nd
Fighter Group dell’USAAF, un’unità interamente composta da piloti di colore
(una delle prime, insieme al 99th Fighter Squadron che era stata la
prima in assoluto) noti come “Tuskegee Airmen”. Venti cacciabombardieri
Republic P-47D “Thunderbolt”, appartenenti a tale reparto, decollarono a metà
mattina dall’aeroporto di Ramitelli, in Molise, con la missione di mitragliare
truppe tedesche avvistate lungo le strade costiere nell’Adriatico
nordorientale; giunti nell’area prestabilita, si divisero in cinque gruppi di
quattro aerei ciascuno, ma nessuno di essi trovò l’obiettivo designato. Tre dei
gruppi, allora, attaccarono altri obiettivi minori lungo la costa, mentre gli
otto velivoli che componevano gli altri due gruppi s’imbatterono nella TA 22: attaccarono per primi il tenente
Wendell O. Pruitt ed il sottotenente Gwynne W. Peirson, poi anche i tenenti
Laurence D. Wilkins e Freddie E. Hutchins. Vedendo gli aerei statunitensi, la
torpediniera iniziò una serie di manovre evasive, ma una delle sue virate ebbe
effetto contrario: permise infatti a tutti i P-47 di colpirla
contemporaneamente sullo stesso lato. Gli aerei erano sprovvisti di bombe o
razzi, quindi poterono soltanto mitragliare la TA 22 (ogni Thunderbolt era armato con otto mitragliatrici da 12,7
mm); ciononostante, i danni da essa riportata furono estremamente gravi. I piloti
statunitensi (due dei quali, Pruitt e Peirson, tornarono ad effettuare un
secondo passaggio di mitragliamento dopo l’attacco iniziale) riferirono di aver
visto un’esplosione sulla nave tedesca, il che fu confermato anche dalle
immagini scattate da una macchina fotografica situata sull’ala dell’aereo di
Peirson (il quale vide i proiettili delle sue mitragliatrici entrare attraverso
un boccaporto lasciato aperto): forse i colpi di mitragliatrice fecero
esplodere i tubi lanciasiluri od un deposito munizioni. L’esplosione fu
estremamente violenta, tanto da far ritenere ai piloti – a torto – di aver
affondato la nave; l’affondamento venne accreditato a Peirson, che aveva
effettuato il passaggio decisivo.
Fonti tedesche
riferirono dell’esplosione di due bombe, oltre che di mitragliamento aereo; ma
in realtà, di bombe, gli aerei del 332nd Fighter Group non ne
avevano e non ne sganciarono. Gravi le perdite tra l’equipaggio della TA 22: morirono 16 uomini, ed altri 39
rimasero feriti.
Verso le 14
sopraggiunsero le torpediniere TA 38
e TA 39 (rispettivamente ex Spada e Daga, due unità italiane della classe Ariete catturate in
costruzione e completate per la Kriegsmarine) e la corvetta UJ 202 (ex italiana Melpomene della classe Gabbiano, anch’essa catturata in costruzione
e completata per la Kriegsmarine); quest’ultima prese la TA 22 a rimorchio, mentre le altre due fornirono protezione
antiaerea alla piccola formazione.
Risultò possibile
rimorchiare la nave fino a Trieste, al cantiere San Marco, ma i danni riportati
furono giudicati pressoché irreparabili, pertanto l’11 agosto 1944 la torpediniera
fu messa in disarmo. Fu poi spogliata di tutto ciò che potesse essere
riutilizzato; l’8 novembre 1944 la TA 22
fu ufficialmente radiata dai quadri della Kriegsmarine.
La TA 22 gravemente danneggiata e sbandata dopo l’attacco dei “Tuskegee Airmen”: affiancata è l’UJ 202 (da www.kreiser.unoforum.pro) |
Il 1° maggio 1945, poco
prima della resa delle forze tedesche a Trieste (altre fonti indicano invece il
3 maggio come data dell’autoaffondamento; altre ancora il 5 febbraio 1945, ben
prima della resa), la ormai ex TA 22
si autoaffondò nel vallone di Muggia.
Il relitto,
recuperato nel 1949, venne avviato alla demolizione.
Caduti in guerra tra
l’equipaggio della Missori:
Gino Castaldi, marinaio, deceduto in
territorio metropolitano il 14 luglio 1946
Salvatore Chirico, sottocapo furiere, deceduto
in territorio metropolitano il 2 agosto 1944
Gaetano Fondacaro, marinaio cannoniere,
deceduto in combattimento a Durazzo il 10 settembre 1943
Luciano Nicoletti, secondo capo segnalatore,
deceduto in territorio metropolitano il 22 marzo 1943
Vincenzo Perretta, secondo capo nocchiere,
deceduto in territorio metropolitano il 12 febbraio 1944
Didino Serrati, marinaio cannoniere, deceduto in
territorio metropolitano il 9 ottobre 1943
Giorgio Tafuro, guardiamarina, deceduto in
combattimento a Durazzo il 10 settembre 1943
Mio padre BETTONI BRUNO GIUSEPPE 2° Capo categ. Meccanico motorista navale, fu imbarcato in quel periodo di guerra sulla MISSORI " TRE PIPE. Sono in possesso di diverse foto qualora potessero interessare tel. al n.3332417257. Bettoni Luciano ex sergente M.M. CAT. MECCANICO ARMAROLO inbarcato su incrociatore lanciamissili G. Garibaldi.
RispondiEliminaGentile signor Bertoni, la ringrazio per il contatto; mi farebbe piacere, se possibile, pubblicare qualcuna di quelle foto su questa pagina. Può scrivermi a lorcol94@gmail.com?
EliminaLo faro' senzaltro appena possibile, ora sono fuori casa, al rientro vedro' di poterle pubblicare. SALUTI L.B.
EliminaBuonasera, nella quintultima foto è sicuramente il TA 22 ex MISSORI, nella terzultima foto ci sono: a sx il TA 20 ex AUDACE e a dx il TA 21 ex INSIDIOSO con la nuova mimetizzazione
RispondiEliminaBuonasera, grazie per la segnalazione; provvedo a correggere.
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