Il Galilea nel 1937 (da “Navi mercantili perdute” di Rolando
Notarangelo e Gian Paolo Pagano, USMM, Roma 1997)
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Piroscafo passeggeri
di 8052 tsl, 4566 tsn, 5940 (o 6843) tpl e 12.800 tonnellate di dislocamento,
lungo 131,06 metri, largo 16,15 e pescante 7,65. Appartenente alla Società
Anonima di Navigazione Adriatica, con sede a Venezia, ed iscritto con matricola
87 al Compartimento Marittimo di Trieste.
Era propulso da due
macchine a vapore a triplice espansione, che imprimevano a due eliche la
potenza di 4600 CV, consentendo una velocità massima di 13,5 nodi. In origine
aveva due fumaioli, il secondo dei quali era finto.
In tempo di pace,
poteva trasportare 434 passeggeri in tre classi (in origine erano invece 197,
di cui 150 in prima classe e 47 in seconda), ed aveva quattro stive da 4992
metri cubi ciascuna per il trasporto delle merci.
Nominativo
internazionale ICBZ; nome in codice fu, nel suo ultimo periodo di vita, «Sig.
Stagnaro» (dal nome del suo comandante).
Aveva un gemello, il Gerusalemme (già Cracovia), che si differenziava però da esso per la propulsione a
turbina e, nei primi anni di servizio, per il secondo fumaiolo.
Breve e parziale cronologia.
19 marzo 1914
Impostato nel
cantiere San Rocco di Muggia (numero di costruzione 30) per il Lloyd
Austriaco/Österreichischer Lloyd, per il servizio sulle linee per l’India e
l’Estremo Oriente.
5 maggio 1916
Varato come Pilsen nel cantiere San Rocco di Muggia.
23 dicembre 1916
Trasferito a Trieste,
presso l’Arsenale del Lloyd Austriaco, per l’allestimento.
Per via del primo
conflitto mondiale, rimarrà in disarmo per i due anni successivi.
Il Pilsna (da http://www.naviearmatori.net/ita/foto-83036-4.html,
g.c. utente mario_from_genoa)
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18 marzo 1919
Completato e consegnato
alla società proprietaria, che frattanto, con la dissoluzione dell’Impero
Austroungarico, ha cambiato ragione sociale in Lloyd Triestino. Ribattezzato Pilsna, batte bandiera interalleata
(Trieste non è ancora stata formalmente annessa all’Italia: per questo
occorrerà attendere il trattato di pace).
Il Pilsna nel 1919 (da www.naviearmatori.net,
utente mario_from_genoa)
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Luglio 1919
Posto in servizio
sulla linea Trieste-Venezia-Brindisi-Port
Said-Aden-Colombo-Penang-Singapore-Shanghai-Kobe-Yokohama.
La nave a Melbourne, intorno
al 1920 (g.c. Mauro Millefiorini via www.naviearmatori.net)
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Aprile 1921
Passa definitivamente
sotto bandiera italiana.
Settembre 1923
Lavori di modifica: i
bruciatori delle caldaie sono convertiti alla nafta, ed il secondo fumaiolo
viene eliminato.
1926
È in servizio sulla
linea Trieste-Venezia-Brindisi-Port Said-Suez-Aden-Bombay.
13 giugno 1928
Durante la
navigazione nell’Oceano Indiano, il Pilsna
avvista un serbatoio d’acqua alla deriva con cinque naufraghi scheletriti a
bordo: i cinque uomini, recuperati dal piroscafo, raccontano di essere gli
ultimi sopravvissuti dei 14 membri dell’equipaggio di una goletta affondata
tredici giorni prima in un ciclone, durante la navigazione da Bombay a
Cutchtuna. Un secondo serbatoio (la goletta non aveva scialuppe), con a bordo
sei uomini, è scomparso; su quello trovato dal Pilsna ve n’erano in origine otto (il comandante della goletta, i
suoi tre figli e quattro membri dell’equipaggio), ma due di essi (uno dei figli
del comandante ed un membro dell’equipaggio) sono morti durante i tredici
giorni alla deriva, ed un altro dei figli del comandante spira proprio mentre
sta venendo issato a bordo del Pilsna.
Agosto 1930
Il Pilsna trasporta dall’India
all’Inghilterra il giovane fisico indiano Subrahmanyan Chandrasekhar, diretto a
Cambridge per proseguire i propri studi. Anche durante le due settimane
del viaggio Chandrasekhar continua il suo lavoro: a bordo del Pilsna elabora una teoria sulla
struttura e l'evoluzione delle stelle che individuava il limite della massa al
di sopra del quale una nana bianca collassa in una stella di neutroni e in un
buco nero dopo essere esplosa come supernova.
Novembre 1931
Il Pilsna trasporta in Europa il medico,
sessuologo e scrittore Magnus Hirschfeld, di ritorno in Europa dopo un viaggio
in India.
Durante la sosta a
Suez, il 27 novembre, le autorità egiziane sequestrano 45 kg di hashish contrAbbandati da due membri dell’equipaggio,
Ettore Papa e Giovanni Cvitanovic, che intendevano consegnarli a Port Said
durante il viaggio di andata ma non vi sono poi riusciti per problematiche
successivamente sorte. Papa e Cvitanovic verranno processati dalla corte
consolare italiana e condannati ad otto mesi di carcere.
14-28 dicembre 1931
Il Pilsna trasporta da Brindisi a Bombay il
Mahatma Ghandi, che rientra in India dopo una visita in Italia, seguita alla
sua partecipazione alla seconda conferenza sulla questione dell’India a Londra.
In base ai suoi principi di estrema frugalità, Ghandi, pur essendo un
passeggero d’eccezione, viaggia in terza classe.
Sul Pilsna si trovano a viaggiare anche le
principesse turche Durru Shehvar e Niloufer, in viaggio di nozze; durante il
viaggio le due principesse avranno un incontro con Ghandi.
Giugno 1932
Trasferito sulla
linea per la Turchia (Italia-Istanbul).
1934
Lavori di modifica:
la capacità di passeggeri passa da 197 in due classi a 434 (o 440) in tre
classi (70 in prima, 150 in seconda e 214 o 220 in cameroncini di terza classe),
in modo da ampliare la capienza in vista del suo impiego sulle rotte dei flussi
migratori verso la Palestina.
16 febbraio 1935
Ribattezzato Galilea e trasferito sulla linea da
Trieste per la Palestina (Venezia-Fiume-Brindisi-Pireo-Rodi-Larnaca-Giaffa-Tel
Aviv-Haifa-Beirut-Alessandria d’Egitto). Lo stesso avviene per il gemello Cracovia, che diventa Gerusalemme.
Trasporta molti
emigranti diretti in Palestina.
Dipinto di Paolo Klodic
ritraente il Galilea con i colori del
Lloyd Triestino (da adriaticanavigazionevenezia.blogspot.com)
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Agosto 1935
Il Galilea trasporta a Brindisi 95 figli di
italiani residenti all’estero, precisamente a Beirut e Damasco, diretti nelle
colonie estive di Como, Feltre, Cattolica e Tirrenia.
La nave a metà anni Trenta (da www.naviearmatori.net, utente mario_from_genoa) |
1° gennaio 1937
Trasferito alla Adriatica
Società Anonima di Navigazione, con sede a Venezia; rimane in servizio sulla
rotta di prima, che per l’Adriatica è la linea numero 51,
Adriatico-Cipro-Palestina.
Un altro dipinto di Paolo
Klodic del Galilea, ora con la livrea
della società Adriatica (g.c. Giuseppe Boato, via www.naviearmatori.net)
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26 maggio 1938
Il Galilea sbarca un centinaio di emigranti
a Tel Aviv, in Palestina.
Essendo in servizio
sulla linea per la Palestina, durante i tardi anni Trenta il Galilea trasporterà in questa terra
molti ebrei europei (specie tedeschi) qui diretti per sottrarsi alla morsa del
nazismo.
La nave a fine anni ’30 (da
Vimeo)
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28 agosto 1939
Il Galilea, che dovrebbe partire da Rodi
per Cipro (e dovrebbe poi proseguire per la Palestina) con posta e passeggeri (tra
cui 300 emigranti ebrei diretti in Palestina per sfuggire alle persecuzioni dei
regimi nazista e fascista) da Trieste e Brindisi, viene trattenuto a Rodi in
attesa degli sviluppi della situazione internazionale. Il 1° settembre scoppierà
infatti la seconda guerra mondiale. La nave riceverà poi ordine di rientrare in
Italia.
Il Galilea ormeggiato al Molo Audace di Trieste nell’autunno del 1939
(g.c. mario_from_genoa, da www.naviearmatori.net)
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25 gennaio-10 aprile 1940
Posto in disarmo nel
porto di Trieste.
10 aprile-Novembre 1940
Noleggiato più volte
dal Lloyd Triestino e requisito da vari Ministeri, effettuando varie missioni
di trasporto per conto del governo.
19 agosto 1940
Requisito dalla Regia
Marina, senza essere iscritto nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato.
26 agosto 1940
Derequisito dalla
Regia Marina.
31 agosto 1940
Nuovamente requisito
dalla Regia Marina, sempre senza essere iscritto nel ruolo del naviglio
ausiliario dello Stato.
8 settembre 1940
Il Galilea ed il piroscafo Quirinale trasportano 2364 militari e
145 tonnellate di materiali da Bari a Durazzo, scortati dal cacciatorpediniere Carlo Mirabello, dalla torpediniera Solferino e dall’incrociatore ausiliario
Barletta.
10 settembre 1940
Galilea e Quirinale, insieme
al piroscafo Oreste, rientrano vuoti
da Durazzo a Bari, scortati dalle torpediniere Palestro e Solferino.
13 settembre 1940
Galilea e Quirinale
trasportano 2422 soldati e 289 tonnellate di materiali (comprese le
attrezzature di alcuni ospedali da campo) da Bari a Durazzo, scortati dalla
torpediniera Pallade e
dall’incrociatore ausiliario Capitano A.
Cecchi.
14 settembre 1940
Il Galilea, insieme alla motonave Maria ed al piroscafo Leonardo Palomba, rientra vuoto da
Durazzo a Bari, con la scorta del cacciatorpediniere Mirabello.
Un’altra immagine del Galilea (A. Duncan, via Nedo B. Gonzales
e www.naviearmatori.net)
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20 settembre 1940
Galilea e Quirinale
trasportano 2188 militari e 108 tonnellate di materiale da Bari a Durazzo,
scortati dal Barletta e dalla
torpediniera Partenope.
21 settembre 1940
Galilea e Quirinale lasciano
Durazzo scarichi e tornano a Bari, scortati dalla torpediniera Nicola Fabrizi.
25 settembre 1940
Galilea e Quirinale
trasportano da Bari a Durazzo 2195 soldati e 148 tonnellate di materiali (i
primi reparti della 29ª Divisione Fanteria «Piemonte»
trasferiti in Albania), con la scorta del Barletta
e delle torpediniere Solferino e Monzambano.
26 settembre 1940
Galilea e Quirinale tornano da
Durazzo a Bari, scortati da Solferino
e Monzambano.
29 settembre 1940
Galilea, Quirinale e la
motonave Puccini, scortati dal Capitano Cecchi e dalle torpediniere Pallade e Polluce, trasportano 2581 militari e 84 tonnellate di materiali da
Bari a Durazzo.
1° ottobre 1940
Galilea, Quirinale e Puccini, scortati da Pallade e Polluce, rientrano vuoti da Durazzo a Bari.
6 ottobre 1940
Nuovamente
derequisito.
9 novembre 1940
Il Galilea, insieme ai piroscafi Aventino e Milano ed alla motonave da carico Marin Sanudo, salpa scarico da Valona alle due di notte, con la
scorta della Solferino e del piccolo
incrociatore ausiliario Lago Zuai. Il
convoglio giunge a Brindisi alle 12.35.
15 ottobre 1940
Requisito una terza
volta dalla Regia Marina, di nuovo senza essere iscritto nel ruolo del naviglio
ausiliario dello Stato.
13 novembre 1940
Il Galilea, insieme ai piroscafi Firenze ed Italia ed alla motonave Città
di Marsala, salpa da Bari alle due di notte trasportando 1662 militari e 48
quadrupedi. Il convoglio, scortato dalle torpediniere Antares e Monzambano e
dall’incrociatore ausiliario Egeo,
arriva a Valona alle 16.20.
14 novembre 1940
Restituito
formalmente all’Adriatica, rimane requisito dalla Regia Marina ed impiegato nel
trasporto di truppe per l’Albania.
20 novembre 1940
Galilea, Città di Marsala e le
motonavi Donizetti e Città di Savona lasciano scarichi Valona
alle 11, scortati dalle torpediniere Antares
ed Andromeda. Il convoglio arriva a
Brindisi alle 19.
30 novembre 1940
Galilea, Puccini e la motonave
Verdi salpano da Bari alle 19,
scortati dalla Solferino e
dall’incrociatore ausiliario Francesco
Morosini, trasportando 2767 militari, 48 quadrupedi e 179 tonnellate di
materiali.
1° dicembre 1940
Il convoglio giunge a
Durazzo alle 11.45.
2 dicembre 1940
Galilea, Verdi e Puccini lasciano scarichi Durazzo alle
17.30, scortati dal Morosini.
3 dicembre 1940
Il convoglio giunge a
Bari alle nove del mattino.
8 dicembre 1940
Galilea, Aventino e
l’incrociatore ausiliario Arborea
salpano da Bari alle 00.30, con a bordo 2755 militari, 145 quadrupedi e 104
tonnellate di materiali. Il convoglio, scortato dall’incrociatore ausiliario Barletta e dalla torpediniera Castelfidardo, giunge a Durazzo alle
11.15.
10 dicembre 1940
Galilea, Verdi e Puccini lasciano Durazzo alle due di
notte diretti a Bari, scarichi e scortati dalla Castelfidardo. Le navi arrivano a destinazione alle 18.30.
15 dicembre 1940
Galilea, Verdi, Puccini ed Arborea salpano da Bari alle 00.00 diretti a Valona, trasportando
3936 soldati (il primo scaglione della 33ª Divisione Fanteria «Acqui»
inviata in Grecia) ed 80 tonnellate di materiali. Il convoglio, scortato dalla Castelfidardo e dall’incrociatore
ausiliario Brindisi, giunge a Valona
alle 13.
17 dicembre 1940
Galilea, Città di Savona, Verdi, Puccini ed il piroscafo Piemonte,
scarichi, lasciano Valona per Brindisi alle 8.30, scortati dalla Castelfidardo e dall’incrociatore
ausiliario Città di Genova. Il
convoglio giunge a Brindisi alle 16.45; qui viene lasciato il Piemonte, mentre le altre navi
proseguono fino a Bari (la Castelfidardo
è però costretta a rientrare a Brindisi dal mare avverso).
21 dicembre 1940
Galilea, Verdi, Puccini, Milano e la motonave Narenta
salpano da Bari all’1.30 scortati dalla torpediniera Francesco Stocco e dall’incrociatore ausiliario Barletta, diretti a Durazzo. La Narenta rimane a Brindisi; le altre
navi, aventi a bordo 3804 soldati, 182 quadrupedi e 360 tonnellate di
materiali, giungono a Durazzo alle 15.
22 dicembre 1940
Galilea, Milano, Verdi e Puccini lasciano Durazzo vuoti alle 12.30, scortati dalla Stocco.
23 dicembre 1940
Il convoglio giunge a
Bari alle 4.30.
26 dicembre 1940
Galilea, Verdi, Puccini e Milano salpano da Bari alle tre di notte, scortati dal Capitano Cecchi e dalla torpediniera Angelo Bassini, trasportando 3433
soldati, 157 quadrupedi e 608,5 tonnellate di materiali. Alle 4.30
sopraggiungono i cacciatorpediniere Folgore,
Fulmine e Baleno, che effettuano scorta a distanza fino alle 8, per poi
andarsene. Il convoglio raggiunge Durazzo alle 16.
27 dicembre 1940
Galilea e Marin Sanudo
lasciano scarichi Durazzo alle 20, scortati dalla Monzambano.
28 dicembre 1940
Le navi arrivano a
Bari alle 10.35; il Galilea, scortato
dalla Castelfidardo, riparte alle
10.36 per Brindisi, dove arriva alle 16.
31 dicembre 1940
Galilea e Piemonte salpano da
Brindisi alle 13.30, diretti a Valona, trasportando 3322 uomini e 82,5
tonnellate di artiglieria, vestiario e materiali vari (il primo scaglione della
7ª Divisione Fanteria «Lupi di Toscana» inviata sul fronte
greco-albanese). Il convoglio, scortato dall’incrociatore ausiliario Brindisi e dalla torpediniera Aretusa, giunge a Valona alle 18.30.
Il Galilea all’ormeggio, probabilmente durante il conflitto (da www.anrp.it)
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2 gennaio 1941
Galilea, Piemonte e la
motonave Vettor Pisani, scortati dal
cacciatorpediniere Vittorio Alfieri,
lasciano Valona alle 7 e giungono a Brindisi otto ore più tardi.
5 gennaio 1941
Galilea, Piemonte e la
motonave Argentina salpano da
Brindisi alle 7, trasportando 5345 uomini, 28 automezzi, quattro quadrupedi e
446 tonnellate di munizioni, provviste e materiali vari (il primo scaglione
della 58ª Divisione Fanteria «Legnano», inviata sul fronte
greco-albanese). Li scortano i cacciatorpediniere Vittorio Alfieri e Vincenzo
Gioberti, la torpediniera Andromeda
e l’incrociatore ausiliario Brindisi.
Il convoglio arriva a
Valona alle 13.45.
7 gennaio 1941
Galilea e Piemonte ripartono
vuoti da Valona alle 14, scortati dalla Castelfidardo,
giungendo a Brindisi alle 21.30.
12 gennaio 1941
Galilea ed Argentina partono
da Brindisi per Valona alle 6.40, scortati da Brindisi e Pallade,
trasportando 1778 militari e 309 tonnellate di materiali. Il convoglio giunge a
destinazione alle 14.
14 gennaio 1941
Galilea, Piemonte ed il
piroscafo da carico Tagliamento
lasciano scarichi Valona alle 13, scortati dall’Aretusa, e giungono a Brindisi alle 22.
19 gennaio 1941
Galilea e Piemonte partono da
Brindisi alle 8.15 trasportando 2839 soldati e 215 tonnellate di materiali,
scortati dal Brindisi e dall’Andromeda. Le navi arrivano a Valona
alle 14.30.
21 gennaio 1941
Il Galilea ed i piroscafi Aprilia e Monrosa, scarichi, lasciano Valona alle 13.45 e raggiungono
Brindisi dieci ore più tardi, scortati dall’Andromeda.
27 gennaio 1941
Galilea, Piemonte e la
motonave Piero Foscari salpano da
Brindisi per Valona alle 7.15, con a bordo 4365 soldati (il primo scaglione
della 2ª Divisione Fanteria «Sforzesca»), 14 automezzi e 550 tonnellate di
materiali. Li scortano l’incrociatore ausiliario Egeo e la torpediniera Calatafimi;
le navi raggiungono Valona alle 15.
30 gennaio 1941
Galilea (vuoto), Piemonte (che
trasporta dei feriti) e la motonave Città
di Agrigento lasciano Valona alle 13 diretti a Brindisi, dove giungono alle
22.45, con la scorta di Brindisi e Nicola Fabrizi.
1° febbraio 1941
Galilea, Piemonte e la
motonave Viminale, con la scorta di Brindisi ed Altair, salpano da Brindisi alle 5.50 trasportando 4389 militari,
33 veicoli e 438 tonnellate di materiali. Il convoglio giunge a destinazione
alle 16.
6 febbraio 1941
Galilea (con a bordo feriti da rimpatriare), Piemonte (anch’esso con feriti) e Viminale (vuota) lasciano Valona alle 10.30, scortati dagli
incrociatori ausiliari Brindisi ed Egeo e dalla torpediniera Generale Marcello Prestinari, e giungono
a Brindisi otto ore più tardi.
9 febbraio 1941
Galilea, Piemonte ed il
piroscafo Santa Maria, aventi a bordo
4480 soldati, 12 automezzi, 2711 tonnellate di provviste e 232 tonnellate di
munizioni e materiali vari, salpano da Brindisi alle 9.40, scortati da Fabrizi ed Egeo. Il convoglio raggiunge Valona alle 17.
10 febbraio 1941
Galilea (con a bordo feriti leggeri da portare in Italia), Città di Agrigento (anch’essa con
feriti) e Foscari (con prigionieri a
bordo) lasciano Valona alle 14.10, scortati da Egeo e Fabrizi. Le navi
arrivano a Brindisi alle 23.45.
12 febbraio 1941
Il Galilea compie un viaggio, scarico e
privo di scorta, da Brindisi a Trieste.
4 marzo 1941
Galilea, Viminale ed il
piroscafo Francesco Crispi partono da
Brindisi alle 2.50 diretti a Valona, trasportando 2881 soldati e 784 tonnellate
di munizioni, provviste, vestiario ed altri materiali. Il convoglio, scortato
dal Morosini e dalla torpediniera Giuseppe Cesare Abba, arriva a Valona
alle 10.
8 marzo 1941
Galilea, Crispi, Viminale e la piccola motonave
frigorifera Genepesca II ripartono da Valona alle 14.15, scarichi e con la
scorta di Morosini e Castelfidardo. Il convoglio giunge a
Brindisi alle 21.05.
11 marzo 1941
Galilea, Crispi e Viminale salpano da Brindisi alle 5.20,
scortati da Castelfidardo e Morosini, con 3305 militari, nove
veicoli e 325 tonnellate di materiali da trasportare a Valona. Qui le navi
giungono a mezzogiorno.
15 marzo 1941
Galilea, Crispi (tra tutt’e
due, i due piroscafi trasportano 552 feriti), Viminale (con 23 naufraghi e 85 prigionieri) e Città di Marsala lasciano Valona a mezzogiorno e giungono a
Brindisi alle 23.30, scortati da Abba
e Morosini.
18 marzo 1941
Galilea, Crispi e Viminale partono da Brindisi alle 8.30,
trasportando 3358 uomini e 217 tonnellate di materiali vari, con la scorta di Morosini e Prestinari.
I piroscafi giungono
a Valona alle 11 e scaricano truppe e materiali, poi ripartono alle 20.15,
scortati dal Mirabello.
19 marzo 1941
Il convoglio giunge a
Brindisi alle 3.15.
21 marzo 1941
Galilea, Viminale ed il
piroscafo Lauretta partono da
Brindisi alle 4.30 diretti a Durazzo, con a bordo 1989 militari, 984 tonnellate
di viveri e 22 tonnellate di materiali. Li scortano Morosini e Mirabello.
Il convoglio
raggiunge Valona alle 14.45; Galilea
e Viminale, dopo aver sbarcato uomini
e carico, ripartono alle 19.30 scortati dal Mirabello.
22 marzo 1941
Galilea, Mirabello e Viminale arrivano a Brindisi alle 3.50.
26 marzo 1941
Il Galilea ed i piroscafi Diana ed Ivorea trasportano 1168 soldati, 400 quadrupedi e 1449 tonnellate
di materiali da Brindisi a Valona, con la scorta di Barletta e Mirabello.
27 marzo 1941
Galilea, Argentina e Diana, scarichi lasciano Valona alle
12.15, scortati dall’Altair, e
giungono a Brindisi alle 19.
31 marzo 1941
Galilea ed Argentina partono
da Brindisi alle 2.20, scortati dalla Prestinari
e dall’incrociatore ausiliario Brioni,
trasportando 2278 uomini e 433 tonnellate di
materiali. Il convoglio giunge a Valona alle 9.
3 aprile 1941
Galilea, Argentina ed il
piroscafo Monrosa lasciano scarichi
Valona alle 7 e giungono a Brindisi alle 18.20, scortati dall’Abba.
5 aprile 1941
Il Galilea salpa da Brindisi ale 23.30 scortato
dall’Altair, diretto a Lagosta.
Foto aerea del Galilea in navigazione, scattata durante
la seconda guerra mondiale (Archivio Centrale dello Stato, via Giorgio Parodi e
www.naviearmatori.net)
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6 aprile 1941
Galilea ed Altair giungono a
Lagosta alle nove.
10 aprile 1941
Galilea ed Argentina partono
da Brindisi alle 3.10, scortati dal Brioni
e dalla torpediniera Curtatone,
trasportando 1954 uomini e 69 tonnellate di materiali.
11 aprile 1941
Galilea ed Argetina lasciano Valona alle 11.15, vuoti e scortati dal Brioni. Raggiungeranno Brindisi alle 19.
23 aprile 1941
Galilea, Crispi ed Ivorea partono da Brindisi alle 3.30,
scortati da Barletta e Solferino, trasportando 2365 militari,
67 quadrupedi, 1288 tonnellate di carne congelata e 205 tonnellate di materiali
vari. Il convoglio raggiunge Valona alle dieci.
24 aprile 1941
Galilea e Crispi salpano da
Valona alle 13.30, scarichi, e raggiungono Brindisi alle 20.40, scortati dalla Solferino.
3 maggio 1941
Il Galilea salpa da Brindisi alle 16.40
insieme Crispi ed Argentina, con la scorta del vecchio
incrociatore Bari (nave di bandiera
dell’ammiraglio di squadra Vittorio Tur, comandante della Forza Navale Speciale
ed incaricato degli sbarchi nelle Isole Ionie) e delle torpediniere Aretusa, Antares ed Altair, per
procedere all’occupazione dell’isola di Cefalonia, al termine della campagna di
Grecia. I tre piroscafi hanno a bordo 112 ufficiali e 2946 soldati della
Divisione «Acqui» (nonché reparti di fanti di Marina del Reggimento «San Marco»
e di camicie nere), oltre al relativo materiale divisionale, comprensivo di
automezzi e quadrupedi. A Cefalonia, la più importante delle Isole Ionie (per
via della presenza della base di Argostoli), sono già stati paracadutati dei
reparti di paracadutisti.
4 maggio 1941
Il convoglio giunge
ad Argostoli (Cefalonia) a mezzogiorno, e vi sbarca speditamente il corpo di
occupazione.
6 giugno 1941
Il Galilea, salpato da Brindisi con la
scorta della torpediniera Prestinari,
si unisce insieme ad essa ad un convoglio proveniente da Bari e composto dai
piroscafi Francesco Crispi e Città di Tripoli, scortati
dall’incrociatore ausiliario Brindisi.
Il convoglio, carico di truppe e materiali, raggiunge Valona.
7 giugno 1941
Galilea, Crispi e Città di Tripoli rientrano da Valona a
Bari scortati dall’incrociatore ausiliario Zara
(che si ferma a Tripoli) e dalla torpediniera Giacomo Medici.
10 giugno 1941
Galilea ed Ivorea trasportano
personale e materiale di Commissariato del Regio Esercito da Bari a Durazzo,
scortati dalla Prestinari.
11 giugno 1941
Altro viaggio di Galilea ed Ivorea, con truppe e materiali, da Brindisi a Durazzo, ancora
scortati dalla Prestinari.
14 giugno 1941
Galilea e Crispi trasportano
truppe e materiali da Valona a Patrasso, scortati dall’incrociatore ausiliario Arborea e dal cacciatorpediniere Augusto Riboty.
26 giugno 1941
Il Galilea trasporta materiali, da solo e
senza scorta, da Bari a Durazzo.
28 giugno 1941
Il Galilea, insieme al Milano ed alla Città di
Marsala, trasporta personale e materiale delle forze armate da Durazzo a
Bari, scortato dal Barletta e dalla
torpediniera Francesco Stocco.
29 giugno 1941
Galilea e Crispi trasportano
personale e materiale militare da Bari a Durazzo, scortati dall’incrociatore
ausiliario Olbia e dalla torpediniera
Medici.
9 luglio 1941
Galilea e Crispi lasciano
Patrasso e raggiungono Taranto scortati da Olbia
e Riboty.
12 luglio 1941
Galilea, Rossini, Italia e Quirinale, scortati dalla Stocco,
trasportano truppe e materiali da Brindisi a Valona.
14 luglio 1941
Galilea e Città di Marsala
trasportano truppe rimpatrianti da Valona a Brindisi, con la scorta di Stocco e Zara.
15 luglio 1941
Galilea, Crispi, Argentina e Viminale, scortati da Antares
e Riboty, trasportano da Brindisi a
Patrasso truppe e personale militare vario italiano e tedesco, nonché
automezzi, rimorchi e materiali vari.
18 luglio 1941
Galilea, Crispi, Argentina e Viminale, scortati da Antares
e Riboty, trasportano truppe e
materiali da Valona a Patrasso.
La nave in tempo di pace (da www.ehemalige-synagoge-rexingen.de)
|
12 agosto 1941
Galilea e Crispi, scortati da Barletta ed Antares, trasportano da Brindisi a Patrasso personale militare con
destinazioni varie.
15 agosto 1941
Il Galilea trasporta truppe rimpatrianti da
Patrasso a Brindisi, scortato da Barletta
ed Antares.
29 agosto 1941
Galilea, Crispi e Viminale trasportano personale militare
da Brindisi a Patrasso, scortati dal Riboty
e dall’incrociatore ausiliario Città di
Napoli.
4 settembre 1941
Galilea, Viminale e Quirinale trasportano truppe rimpatrianti
da Patrasso a Brindisi, con la scorta di Medici
e Barletta.
10 settembre 1941
Galilea, Crispi e Piemonte trasportano personale e
materiale dell’Esercito e dell’Aeronautica da Brindisi a Patrasso, scortati da Olbia ed Altair.
15 settembre 1941
Galilea, Crispi e Piemonte, sempre scortati da Olbia ed Altair, rientrano da Patrasso a Brindisi trasportando truppe
rimpatrianti.
18 settembre 1941
Il Galilea, scortato da Stocco e Zara, trasporta truppe e materiali da Brindisi a Valona.
3 ottobre 1941
Galilea ed Aventino, scortati
da Brindisi e Stocco, trasportano truppe e materiali da Valona a Patrasso.
10 ottobre 1941
Galilea ed Aventino, scortati
da Brindisi e Riboty, lasciano Patrasso e raggiungono Bari trasportando
prigionieri e personale rimpatriante del Regio Esercito.
29 ottobre 1941
Galilea, Aventino, Italia ed il piroscafo misto Rosandra, scortati da Medici e Zara, trasportano truppe e materiali da Bari a Durazzo.
8 novembre 1941
Galilea, Aventino, Italia, Milano e Rosandra
trasportano 5300 militari rimpatrianti da Durazzo a Bari, con la scorta del
solo Riboty.
14 novembre 1941
Derequisito dalla
Regia Marina.
26 novembre 1941
Galilea, Piemonte e Viminale, scortati da Zara e Stocco, trasportano personale militare con destinazioni varie da
Bari a Patrasso.
12 dicembre 1941
Galilea, Piemonte e Viminale trasportano 4000 militari
rimpatrianti da Patrasso a Bari, con la scorta di Stocco e Zara.
24 dicembre 1941
Galilea, Piemonte e Viminale, scortati dal Riboty, effettuano un viaggio da Bari a
Patrasso.
3 febbraio 1942
Galilea, Piemonte e Viminale trasportano truppe rimpatrianti
da Durazzo a Bari, con la scorta di Brindisi,
Solferino e della torpediniera Generale Carlo Montanari.
11 febbraio 1942
Galilea e Viminale, cui si
uniscono poi la motonave Donizetti e
la cisterna tedesca Ossag
(provenienti da Brindisi), salpano da Bari con truppe e materiali, scortati
dall’Arborea e dalla torpediniera Calatafimi. Il convoglio raggiunge
Patrasso dopo uno scalo intermedio a Corfù.
13 febbraio 1942
Galilea, Viminale, Ossag e la cisterna militare Devoli salpano da Corfù e raggiungono
Patrasso, scortati da Arborea, Calatafimi e dalla torpediniera Rosolino Pilo.
4 marzo 1942
Galilea, Crispi, Piemonte e Viminale trasportano truppe rimpatrianti da Patrasso a Bari, via
Corfù. Li scortano il cacciatorpediniere Turbine
e le torpediniere Antonio Mosto e Generale Carlo Montanari.
11 marzo 1942
Galilea, Argentina, Crispi, Italia, Ivorea, Piemonte e Viminale trasportano truppe e materiali
da Bari a Patrasso, scortati dall’incrociatore ausiliario Città di Genova, dai cacciatorpediniere Euro e Sebenico e dalla
torpediniera Solferino.
Il Galilea in navigazione (g.c. Mauro Millefiorini via www.naviearmatori.net) |
Tragedia alpina in mare
Alle sette del
mattino del 27 marzo 1942 il Galilea,
ormeggiato già da qualche giorno nel nella rada di Lutraki (Canale di Corinto)
dov’era precedentemente giunto dal Pireo, iniziò l’imbarco di reparti alpini
della Divisione alpina «Julia», che rimpatriava dalla Grecia per essere inviata
sul fronte russo. Sul piroscafo salirono l’intero Battaglione «Gemona» dell’8°
Reggimento Alpini, gli ospedali da campo 629, 630 ed 814, l’8a
Sezione Sanità, l’8° Nucleo Sussistenza, l'Ufficio Riservato Ufficiali del
Comando 8° Alpini, l’aiutante maggiore in prima, alcuni ufficiali del Comando del
Reggimento ed altri due ufficiali della Divisione. (La presenza, tra i reparti
imbarcati, di tre ospedali da campo ha talvolta portato erroneamente alla
descrizione del Galilea come una
“nave ospedale”: in realtà il Galilea
non svolse mai il ruolo di nave ospedale, e mai fu classificato come tale.
Nessuna nave ospedale, per giunta, avrebbe potuto trasportare truppe, come
invece fece il Galilea nel suo ultimo
viaggio ed in tutti i viaggi precedenti).
I soldati venivano
traghettati dalla terraferma alla nave mediante dei pescherecci; via via che
gli alpini salivano sul piroscafo, si procedeva al loro conteggio per
controllare i ruolini d’imbarco, poi il comandante in seconda del Galilea li indirizzava nei locali
assegnati per il loro alloggio e pernottamento. Ogni alpino riceveva un
salvagente; il maestro di casa provvedeva ad istruire ciascun gruppo
sull’utilizzo del salvagente, nonché sulla necessità di tenere le scarpe
slacciate (per liberarsene agevolmente in caso di affondamento, perché in acqua
sarebbero state d’impaccio), di non avere addosso – in caso di affondamento –
abiti che potessero intralciare il movimento, e di non accendere fiammiferi o
sigarette sui ponti esterni o comunque in qualunque punto dal quale si potesse
essere visti dall’esterno. Non furono invece effettuate esercitazioni di abbandono
nave.
Il comandante del
battaglione «Gemona», il quarantacinquenne capitano teramano Carlo
D’Alessandro, fu uno degli ultimi a salire a bordo. La sua prima preoccupazione
fu di verificare personalmente le condizioni nelle quali erano alloggiati i
suoi uomini; accompagnato da un ufficiale per ogni compagnia, fece pertanto il
giro di tutti gli accantonamenti. Sia D’Alessandro che gli ufficiali che lo
accompagnavano avevano il salvagente indosso.
Le operazioni
d’imbarco furono completate verso le tre del pomeriggio; oltre agli uomini,
vennero imbarcati anche i materiali delle compagnie del Battaglione «Gemona» e
dei reparti minori. Altri repati della «Julia» s’imbarcarono sul piroscafo Francesco Crispi e sulla motonave Viminale, anch’essi ormeggiati in quella
rada.
Gli alpini non erano
i soli “passeggeri” in questo affollato viaggio: al Pireo, infatti, il Galilea aveva imbarcato anche 70
detenuti politici greci (64 uomini e 6 donne, queste ultime alloggiate in
cabina a loro riservata) ed un gruppo di detenuti militari italiani, inviati in
Italia a scontare la pena, scortati da un picchetto di carabinieri al comando
di un maresciallo. Oltre ad essi, erano saliti in quel porto anche numerosi
ufficiali e soldati isolati appartenendi ad unità varie, diretti in Italia per
periodi di licenza: fanti, artiglieri, autieri.
Il numero totale di
uomini imbarcati è stato oggetto di dibattito per lungo tempo. Secondo il primo
ufficiale del Galilea, Licinio Schivitz,
la nave aveva a bordo in tutto 1199 passeggeri (i militari delle varie armi ed
i prigionieri) nonché 99 membri dell’equipaggio civile e 16 membri
dell’equipaggio militare addetti alle artiglierie di bordo (normalmente sarebbero
dovuti essere, rispettivamente, 114 e 22, ma il loro numero era ridotto dalle
licenze e dai permessi). In tutto, quindi, 1314 persone.
Altre fonti parlano
di 1275 uomini a bordo, di cui 965 erano alpini, 97 membri dell’equipaggio, 80
carabinieri, 46 bersaglieri e 153 militari di varie formazioni.
L’ultimo e più
dettagliato studio sul disastro, il libro “La tragedia alpina del Galilea” di Paolo Montina (2013),
quantifica in 1329 il numero degli uomini imbarcati sul Galilea nel suo ultimo viaggio. 969 di essi erano alpini, dei quali
689 appartenevano al Battaglione «Gemona»; del «Gemona» non s’imbarcarono sul Galilea, per loro fortuna, soltanto le
salmerie e gli alpini ad esse addetti, che furono invece imbarcati sul più
capiente piroscafo Piemonte. Vi erano
poi l’equipaggio militare e civile, i detenuti politici greci e militari
italiani di cui si è detto, numerosi militari in licenza o congedanti del
Comando truppe di Eubea, più 46 bersaglieri del 2° Reggimento Bersaglieri
(anch’essi rientravano in Italia a scaglioni dopo aver partecipato alla
campagna di Grecia; questo plotone era comandato dal sottotenente Giovanni
Usai), 80 carabinieri (26, saliti a bordo fin dal 16 marzo, in servizio di
scorta ai prigionieri; tre a disposizione del Commissario Militare del Galilea; 51 che rimpatriavano per una
licenza) in gran parte del I e XXI Battaglione Carabinieri Reali mobilitati, ed
altri militari di vari corpi e reparti.
Responsabili della
nave e del suo carico umano erano il capitano di lungo corso Emanuele Stagnaro,
comandante civile, ed il tenente di vascello Spiridione Fido, comandante
militare. Stagnaro era un vecchio ed esperto lupo di mare: nato sessantaquattro
anni prima a Lavagna, in provincia di Genova (avrebbe compiuto il suo
sessantacinquesimo compleanno appena due giorni più tardi, il 31 marzo),
deteneva una Medaglia d’Oro di Lunga Navigazione, la Croce di Guerra 1915-1918
ed una Medaglia di Bronzo al Valor Militare; era già sopravvissuto ad un
affondamento nella prima guerra mondiale e poi, nell’agosto del 1941,
all’affondamento del piroscafo Esperia,
silurato dopo quasi cinquanta missioni di guerra. In quell’occasione,
nonostante il rapido affondamento della nave, la quasi totalità del personale
imbarcato aveva potuto essere tratto in salvo, essendo il fatto avvenuto in
pieno giorno, con condizioni di tempo e di mare favorevoli ed in prossimità di
un porto, olte che grazie al pronto soccorso da parte delle unità della scorta.
Con il Galilea, invece, sarebbe
accaduto l’esatto contrario.
I soldati della
«Julia» erano alloggiati nei saloni di prima e seconda classe, nelle
passeggiate dei ponti A e B e nei ponti di prua e di poppa. Sottocoperta, le
cabine del ponte A erano state assegnate agli ufficiali, mentre i sottufficiali
erano stati alloggiati nelle cabine del ponte B. Sotto il salone da pranzo, il
salone del ponte B era stato anch’esso convertito per l’alloggio della truppa.
Secondo alcune fonti, anche alcune stive furono adibite ad alloggio truppa, ma
di questo non si fa cenno nella relazione del tenente Giovanni Bernardinis
dell’8° Reggimento Alpini, 69a Compagnia, il più anziano dei pochi ufficiali
superstiti (in quanto tale, dopo il salvataggio dovette recarsi a Roma per
raccontare l’accaduto a Mussolini in persona).
Dopo la colazione, il
capitano D’Alessandro tenne a rapporto tutti gli ufficiali; su richiesta del
comandante Stagnaro, dispose un turno di servizio generale per il mantenimento
dell’ordine e della disciplina tra i militari, formato da un ufficiale di
guardia, un sottufficialie e dodici sentinelle; inoltre stabilì un servizio di
compagnia costituito da un ufficiale ed un sottufficiale in ogni
accantonamento, con turni di quattro ore (secondo la relazione del tenente
Erasmo Frisacco, prestavano servizio di vigilanza fra la truppa cinque
ufficiali e quattro sottufficiali per il battaglione «Gemona» ed un ufficiale e
un sottufficiale per ogni altro minore reparto). Assegnò infine a ciascuna
compagnia un punto di adunata per l’imbarco sulle lance di salvataggio, in caso
di sinistro.
Quanto ai mezzi di
salvataggio, per l’appunto, essi erano largamente inferiori alle necessità:
sulle dodici scialuppe di salvataggio del Galilea
(quattro su ogni lato appese ai paranchi, più tre collocate su morse situate
sul cassero centrale, ed una sul cassero di poppa) avrebbero potuto trovare
posto soltanto 520 uomini, ed altri 80 sulle quattro zattere “Carley” in
dotazione: meno della metà di quelli che viaggiavano sul piroscafo. C’erano
anche una sessantina di piccoli zatterini tipo “Bonis”; più che sufficienti i
salvagente, circa 1800, che però sarebbero serviti a poco nel caso di una
permanenza prolungata in acqua, date le ancor fredde temperature di fine marzo.
Ogni lancia avrebbe
dovuto avere un equipaggio di sei uomini; erano tutte in buono stato, e quelle
appese ai paranchi erano pronte ad essere calate in mare.
Alle otto di sera
suonò la mensa per gli ufficiali; quasi tutti si presentarono col salvagente
indosso, ed il maestro di casa ribadì di nuovo che era meglio restare senza
stivali, con le scarpe slacciate e senza vestiti che intralciassero i
movimenti, per utta la durata della navigazione.
Alle ore 21 il Galilea, il Crispi e la Viminale
salparono diretti a Patrasso, in linea di fila ed a luci spente. Da bordo del Galilea si notò il fuoco delle batterie
contraeree di Patrasso, evidentemente sotto attacco aereo; quando la nave
giunse nel porto greco, si venne a sapere che gli aerei attaccanti erano
aerosiluranti, e che uno di essi era stato abbattuto.
Mollati gli ormeggi a
mezzogiorno del 28 marzo, un’ora più tardi il Galilea salpò da Patrasso diretto a Bari, via Brindisi, in
convoglio con i trasporti truppe Piemonte
(capoconvoglio), Francesco Crispi, Viminale, Italia ed Aventino.
Questi ultimi due avevano a bordo militari in servizio nel Dodecaneso che
rientravano in Italia per la licenza; gli altri quattro, tra cui il Galilea, trasportavano invece truppe
della Divisione «Julia». In tutto, 8300 uomini viaggiavano sui sei trasporti.
La scorta del
convoglio era anch’essa numerosa: caposcorta l’incrociatore ausiliario Città di Napoli (capitano di fregata Luigi
Ciani); le altre unità erano il moderno cacciatorpediniere Sebenico, ex jugoslavo, e le anziane torpediniere Angelo Bassini, Antonio Mosto, Castelfidardo
e San Martino.
Al momento della
partenza, la scorta era costituita solo da Città
di Napoli, Bassini, Mosto e Castelfidardo. La formazione procedeva in linea di fila, con il Città di Napoli in testa, seguito
nell’ordine da Mosto, Castelfidardo, Viminale, Piemonte, Aventino, Galilea, Crispi, Italia e per ultima la Bassini, che chiudeva la fila. La
velocità era di 10 nodi.
Alle 14, oltrepassato
Capo Papas, Mosto e Castelfidardo si portarono in posizione
protettiva a dritta (Mosto) e
sinistra (Castelfidardo) del
convoglio.
Il Sebenico, salpato da Brindisi, si
aggregò alla scorta in mare aperto, alle 17.15, dopo il traverso di San Nicolò
d’Itaca (insieme ad esso giunsero anche alcuni dragamine che dovevano
accompagnare il convoglio fin oltre Capo Dukato), posizionandosi sulla sinistra
del convoglio.
La San Martino, dotata di ecogoniometro e
proveniente da Argostoli, passò invece il pomeriggio effettuando perlustrazione
antisommergibile da Capo Dukato per le prime 20 miglia della rotta che il
convoglio avrebbe poi dovuto percorrere. Tale ricerca da parte della
torpediniera non rilevò a nulla; d’altra parte, però, la San Martino era stata fatta partire frettolosamente da Argostoli
poco dopo esservi giunta al termine di un’altra missione, e non aveva fatto in
tempo a rifornirsi di carburante. Per questo motivo, dovendo conservare anche
il minimo di carburante necessario a seguire poi il convoglio per un tratto,
come da ordini, la San Martino non
poté eseguire la ricerca antisom con la completezza necessaria. Quando infine
essa si unì al convoglio, alle 19, si portò alla sua testa e riprese la ricerca
antisom, sempre con risultato negativo.
Nemmeno la ricognizione
aerea (era prevista copertura aerea dalle 15 al tramonto) avvistò sommergibili.
Sempre quale misura antisom, Marimorea aveva fatto salpare da Guiscardo (vicino
ad Argostoli) la motovedetta Caron
della Guardia di Finanza ed il motoveliero Regina
Vincitrice perché effettuassero ascolto idrofonico; ma le due minuscole
navi, a causa delle pessime condizioni del mare, dovettero tornare in porto
poco dopo la partenza, senza poter espletare il loro compito.
Per il primo tratto
della navigazione il convoglio si sarebbe trovato in una zona di mare
relativamente sicura, in quanto racchiusa dalle isole di Zacinto, Argostoli e
Santa Maura (Lefkàda); dopo le 20, doppiato Capo Ducato, sarebbe invece uscito
in mare aperto, avrebbe raggiunto le isole di Paxo ed Antipaxo ed avrebbe da lì
diretto verso l’Italia, facendo il punto dinanzi a Gagliano del Capo, doppiando
Capo d’Otranto verso le 8 del 29 marzo, e seguendo poi la costa fino a Bari.
Verso le 18.30, al
largo di Capo Dukato, si avvertì sul Galilea
un’esplosione verificatasi in mare, a qualche centinaio di metri dalla nave;
ciò provocò una certa confusione tra i soldati, ma fu spiegato loro che erano
bombe di profondità gettate dalle unità della scorta. Poco dopo questo primo
scoppio, infatti, si sentirono altre detonazioni: il convoglio era entrato
nella zona di agguato dei sommergibili; si eseguiva lancio di bombe a scopo
intimidatorio, dato che non si otteneva alcun reale contatto.
Il tempo, già
instabile per tutta la giornata (calma di mare e di vento, ma con cielo
coperto, e le previsioni parlavano di un peggioramento in arrivo dal secondo
quadrante), andò via via peggiorando: raffiche di vento e di pioggia presero a
sferzare le navi, che procedevano tra la foschia a tratti più o meno spessa.
Gli alpini che dormivano sui ponti scoperti, dopo il rancio serale, dovettero
stendere i teli per ripararsi dalla pioggia.
La cena, dopo lo
stato di pericolo, venne anticipata alle 18.30. Gli ufficiali di servizio nei
diversi locali adibiti all’alloggio delle truppe si assicuravano di continuo
che i soldati restassero nei locali assegnati, che nessuna luce potesse essere
vista all’esterno, e che nessun alpino girasse con sigarette accese sui ponti
scoperti. Gli ufficiali liberi dal servizio erano invece rimasti in sala da
pranzo.
Il convoglio uscì dal
passo di Capo Dukato senza che si verificassero inconvenienti; alle 19.12,
lasciato Capo Dukato di poppa al traverso, il Galilea ricevette ordine di accelerare: si cambiava formazione
dalla linea di fila a quella su quattro colonne, due interne di trasporti
truppe e due esterne di navi scorta, ed il Galilea
doveva prendere il posto di capofila della colonna di trasporti di dritta,
quella più vicina alla costa.
La colonna interna di
dritta, come detto, era guidata dal Galilea,
seguito dal Crispi al centro e dall’Italia in coda; la colonna interna di
sinistra era formata da Viminale (in
testa, a circa 600-700 metri di distanza dal Galilea), Piemonte (al
centro) ed Aventino (in coda); la
colonna esterna di dritta era costituita da Mosto
(in testa, sulla dritta del Galilea)
e Sebenico (dietro alla Mosto, all’altezza del Crispi), quella di sinistra da San Martino (all’altezza della Viminale) e Castelfidardo (all’altezza del Piemonte).
Il Città di Napoli apriva la
formazione, procedendo a proravia rispetto alle due colonne centrali (a
distanza più o meno uguale da entrambe), mentre la Bassini la chiudeva. Venne assunta rotta 330°, mantenendo una
velocità di 10 nodi.
Le navi della scorta
procedevano a zig zag. Sul cielo del convoglio volavano aerei da caccia ed
antisommergibili, che rimasero in volo fino all’imbrunire.
Per colmo di
sventura, la San Martino, col suo
prezioso ecogoniometro, fu costretta a rientrare ad Argostoli perché ormai il
carburante era quasi finito, così indebolendo la scorta. Ciò avvenne alle 21, e
portò ad alcune modifiche nella formazione del convoglio; mentre i trasporti
non variarono le loro posizioni, la Bassini
si portò sul fianco di dritta del convoglio, all’altezza dell’Italia, e la Castelfidardo indietreggiò di una posizione, portandosi all’altezza
dell’Aventino. Il Sebenico passò dal lato di dritta a
quello di sinistra, posizionandosi all’altezza della Viminale. Solo la Mosto
mantenne la sua posizione originaria sulla dritta del Galilea.
Alle 20 il primo
ufficiale del Galilea, Schivitz,
smontò dalla guardia e fu sostituito dal secondo ufficiale, Carlo Trovato. Dopo
aver cenato, Schivitz visitò gli alloggi dell’equipaggio e della truppa, allo
scopo di verificare che tutti avessero il salvagente e che i soldati avessero
slacciato le scarpe; controllò inoltre che oblòe finestrini fossero oscurati in
modo tale da non lasciar passare luce verso l’esterno, che nessuno stesse
fumando in coperta, e che le cabine dov’erano confinati i prigionieri greci
imbarcati al Pireo (in numero di 57, secondo il suo resoconto) fossero aperte.
Terminato questo giro d’ispezione, Schivitz riferì ai comandanti Stagnaro e
Fido che non aveva trovato al loro posto le sentinelle che sarebbero dovute
essere di guardia alle quattro scale d’accesso al ponte lance (tale servizio di
guardia era stato ordinato dal comandante militare Fido, per evitare che –
specie in caso di sinistro – persone non dell’equipaggio salissero subito sul
ponte lance); la questione venne affidata al commissario militare, capitano del
Regio Esercito Giuseppe Guarnieri. Alle 21.45, terminato il proprio compito,
Schivitz andò nella sua cabina per dormire; non prima di aver notato che, come
da previsioni, il vento ed il mare stavano aumentando, provenienti proprio dal secondo
quadrante.
Bruno Galet, alpino
della Compagnia Comando, si era inizialmente sistemato in un locale inferiore
per timore delle incursioni aeree, ma aveva poi deciso di avvicinarsi al ponte
di coperta, temendo un siluramento; il mare era in burrasca ed aveva cupi
presentimenti. Non era permesso lasciare i locali assegnati. Galet salì di
nascosto nel corridoio ove erano situate nel cabine ufficiali, e si stese lì
con altri alpini; un marinaio sopraggiunse e disse loro che non potevano
restare. Galet rispose che aveva un cattivo presentimento, che qualcosa di
brutto sarebbe accaduto quella notte; il marinaio lo rassicurò dicendogli di
aver già percorso molte volte quella rotta senza che fosse mai accaduto niente,
ma finì col permettere loro di restare. Erano le 20.45.
Membri
dell’equipaggio del Galilea dissero
ai soldati che la zona di maggiore pericolo si andava allontanando via via che
ci si avvicinava a mezzanotte; pertanto numerosi ufficiali si ritirarono,
intorno alle 22, nelle loro cabine, per dormire. Tra di essi vi erano il
capitano D’Alessandro, il tenente colonnello Costantino Boccalatte, il maggiore
Lorenzo Savorè, il capitano Carlo Angelo Cassinelli e numerosi tenenti e
sottotenenti. Pochi altri ufficiali, insieme a diversi membri dell’equipaggio,
erano invece rimasti nel salone ad ascolare la radio, che trasmetteva un atto
della “Traviata”.
Luciano Papinutto,
alpino di Buia, si sdraiò a dormire sul ponte, con un salvagente a mo’ di
cuscino, scherzando: “Se ci silurano, svegliatemi”.
Ma il pericolo non si
stava allontanando: si avvicinava, invece. Alle 21.20 il sommergibile
britannico Proteus (capitano di
corvetta Philip Stewart Francis) aveva avvistato numerose sagome scure in
posizione 38°55’ N e 20°21’ E, a cinque miglia di distanza, su rilevamento
200°. Virando per avvicinarsi e vedere di che cosa si trattasse, Francis vide
che le sagome appartenevano alle navi di un convoglio di sette navi mercantili,
scortate da due o più cacciatorpediniere. C’era troppa luce lunare per poter
attaccare in superficie, così alle 22.25 il Proteus
s’immerse per continuare l’avvicinamento. Alle 22.32 Francis vedeva cinque navi
attraverso il periscopio. Alle 22.42 il Proteus
lanciò due siluri contro un mercantile distante circa 1830 metri; un minuto
dopo il sommergibile lanciò altri quattro siluri contro due mercantili distanti
rispettivamente 915 e 1830 metri, che apparivano “sovrapposti” nel periscopio.
Subito dopo, il battello britannico scese in profondità (riemerse poi alle
00.40, avvistando la sua vittima immobilizzata a quattro miglia verso est, per
poi allontanarsi verso ovest per ricaricare le batterie ed i tubi di lancio).
In quel momento il
convoglio stava passando al largo delle isolette di Paxo ed Antipaxo (a sud di
Corfù): il Galilea era capofila della
colonna esterna rispetto alla posizione in cui si trovava il Proteus, e dunque era in posizione tale
da potere essere protetto dalla scorta meglio delle altre navi, eppure questo
non servì a salvarlo.
La notte era buia,
pioveva ed il mare era agitato: le navi della scorta non avvistarono le scie
dei siluri né tantomeno il sommergibile, mentre quest’ultimo era riuscito ad
avvistare il convoglio “grazie” alla massa dei grossi piroscafi che lo
componevano e forse anche a causa di qualche scintilla fuoriuscita dai
fumaioli, o di qualche luce accesa accidentalmente.
Verso le 22.45, in
posizione 39°03’ N e 20°06’ E (o 39°04’ N e 20°05’ E, nove miglia a sudovest di
Antipaxo), il Galilea venne colpito
da un siluro a prua: gli uomini a bordo avvertirono un urto seguito da una
tremenda esplosione, che fece tremare tutta la nave e mandò in frantumi tutti i
vetri e le lampadine del salone da pranzo. Tutti gli uomini che vi si trovavano
tentarono subito di uscire sulle passeggiate, e sulle scale s’imbatterono in
altri uomini che salivano dalle cabine e dal ponte B. Nel volgere di pochi
minuti, tutti gli uomini imbarcati sul Galilea
si trovarono all’aperto, sui ponti scoperti e sulle passeggiate.
Il lato della nave
colpito dal siluro è oggetto di discussione. Le fonti dell’epoca, e la storia
ufficiale dell’USMM, riportano che il siluro colpì il Galilea a prora sinistra; ricerche più recenti, basate soprattutto
su quanto visto dal sottotenente Amos Curtarelli (menzionato più sotto), ritengono
invece che il siluro colpì a prora dritta, e che in un primo momento il
piroscafo sbandò leggermente sulla dritta, prima di assumere il ben più
pronunciato sbandamento a sinistra.
Sul motivo
dell’inclinazione a sinistra, sebbene il siluro avesse colpito a dritta, è
stato ipotizzato lo spostamento della zavorra (circa mille tonnellate di sabbia
ed altro) sistemata nelle stive, causato appunto dallo scoppio del siluro. Lo
spostamento della sabbia avrebbe causato lo sbandamento sul lato opposto, ma al
contempo la sabbia avrebbe contribuito ad attutire l’effetto dell’esplosione
del siluro, consentendo al Galilea di
restare a galla per cinque ore.
Secondo la relazione
del tenente Bernardinis, il siluro colpì la nave nella stiva numero due,
situata sotto la plancia, aprendovi una falla di sei metri per sei; la nave
sbandò subito di 15° a sinistra, tanto che tutti gli uomini a bordo dovettero
aggrapparsi a qualcosa per restare in piedi. Le vittime subitanee del
siluramento erano state poche; secondo Bernardinis, probabilmente erano morti
sottocoperta alcuni cucinieri e le due sentinelle di guardia alla cucina, ed
all’esterno qualcuno che, sui ponti inferiori, era stato investito
dall’esplosione.
Il primo ufficiale
Schivitz stava dormendo in cabina quando il siluro colpì: svegliato di
soprassalto dall’esplosione, prese il salvagente e si recò in plancia, dove
trovò uno dei timonieri di vedetta, che gli spiegò che la nave era stata
colpita da un siluro in corrispondenza della stiva numero 2. In quel momento,
il Galilea cominciò a sbandare sulla
sinistra; Schivitz corse sull’aletta di dritta e riuscì a scorgere la terra in
quella direzione, concludendo che dovesse trattarsi di Paxo ed Antipaxo. Ordinò
al timoniere di mettere la barra a dritta (per tentare di raggiungere la costa),
cosa che il timoniere fece, ma senza che la nave rispondesse ai comandi;
Schivitz mise allora il telegrafo di macchina su “Ferma”, ma non ricevette
risposta.
Sebbene sbandato, il Galilea continuò ad avanzare, propulso
dalle proprie macchine, ancora per dieci o quindici minuti, andando via via
appruandosi: il comandante Stagnaro stava facendo un disperato tentativo di
portare la nave più vicina alla costa e se possibile condurla ad incagliarsi,
ma il mare grosso, l’instabilità della nave (che “minacciava di sfasciarsi
andando contro vento”, secondo Bernardinis) e la rottura dei cavi del timone
vanificarono questi sforzi.
Infine il piroscafo si
fermò a circa cinque miglia dalla costa, che secondo Bernardinis non si vedeva,
a causa del buio e della foschia (ma ciò contraddice quanto invece affermato da
Schivitz). Privo di governo, il Galilea
ruotò su sé stesso, finendo con il lato sinistro sopravvento.
Il mare era mosso,
con onde violente; pioveva e c’erano raffiche di vento. Di tanto in tanto la
luna spuntava dagli squarci tra le nubi, aumentando un poco la visibilità sul
mare circostante.
Dopo il siluramento,
tutte le navi del convoglio accostarono verso il lato esterno. Mosto e Castelfidardo, in base agli ordini diramati dal comandante del Città di Napoli prima della partenza, avrebbero
avuto l’incarico di restare sul posto per dare assistenza al Galilea: ma il Città di Napoli ripeté tale ordine, con i segnali, soltanto alla Mosto, così il comandante della Castelfidardo credette di non doversi
fermare anch’esso, ma di dover proseguire invece con il convoglio. Il primo dei
tanti errori di quella tragica notte.
Fu così che, mentre
il resto del convoglio proseguiva, soltanto la Mosto (capitano di corvetta Gerolamo Delfino) rimase ad assistere
il Galilea e le milletrecento anime
che si trovavano a bordo.
Il segnale di
avvistamento del sommergibile venne trasmesso a Marina Brindisi, ma non fu
ricevuto né a Corfù né a Prevesa, le due basi più prossime al luogo del
siluramento, da dove si sarebbero potuti rapidamente inviare sul posto dei
mezzi di soccorso.
Sul Galilea, molti alpini erano stati presi
dal panico all’atto del siluramento, e la perdita della corrente, che precipitò
la nave nell’oscurità, peggiorò la situazione. Gruppi sempre più folti di
alpini si affollarono sul ponte lance; parecchi, temendo che la nave, già molto
sbandata, stesse per affondare da un momento all’altro, si gettarono in mare. I
primi a tuffarsi furono i forti nuotatori, che volevano allontanarsi dalla nave
per sottrarsi all’eventuale vortice prodotto dal risucchio; ma dietro di loro,
trascinati dal loro “esempio”, si buttarono anche parecchi uomini che non erano
per niente nuotatori provetti. Molti di questi, gettatisi dai ponti superiori,
alti otto-dieci metri sull’acqua, furono sbattuti dalle onde contro le murate e
persero i sensi; altri, non abbastanza forti, non riuscirono ad allontanarsi
dalla nave ancora in moto e furono risucchiati dalle eliche. Il tenente Erasmo
Frisacco dell’8° Reggimento Alpini ritenne che duecento uomini fossero stati
risucchiati dalle eliche: nessuno di essi sopravvisse.
Una torma di soldati
in preda al panico, dopo aver travolto le sentinelle messe di guardia agli
accessi del ponte lance, prese d’assalto le scialuppe di sinistra ed iniziò
avventatamente ad ammainarle per conto proprio le scialuppe di sinistra, con
esiti disastrosi: alcune scialuppe si sfasciarono perché toccarono il mare con
la nave ancora in moto, altre precipitarono in mare sovraccariche. Il primo
ufficiale Schivitz si precipitò sulla passeggiata coperta del ponte A ma,
giunto sotto il ponte lance, si ritrovò in mezzo ad una folla terrorizzata:
tutti stavano accorrendo proprio lì, essendo la nave già fortemente sbandata a
sinistra; tutti gridavano e regnava il caos totale. Non esistavano più gradi ed
autorità, ognuno faceva per sé; la ressa era tale che i membri dell’equipaggio
incaricati dell’ammaino delle imbarcazioni non poterono raggiungere le
posizioni loro assegnate.
Schivitz vide una
scialuppa sovraccarica cadere in mare di colpo e sfasciarsi. Guardando sopra di
sé, vide un’altra lancia gremita di persone; mentre la fune di prua restava
fissa, qualcuno rilasciò o tagliò la fune di poppa, ed il risultato fu che la
scialuppa rimase appesa in posizione verticale, facendo precipitare in mare
tutti gli occupanti. Una terza scialuppa si trovava già in mare, danneggiata e
capovolta: era ancora legata alla nave da una fune, e sbatteva continuamente
contro la murata del piroscafo ancora in moto, schiacciando gli sventurati che
si trovavano tra essa e la nave.
Quando vide un gruppo
di militari che tentava di filare a mare la lancia numero 2, piena di persone,
con la nave ancora in moto per via del forte abbrivio, Schivitz tentò di fermarli,
ma venne minacciato fisicamente e dovette rinunciare. Come prevedibile, non
appena la lancia toccò il mare essa si capovolse, e tutti gli occupanti furono
risucchiati dalle eliche.
Vicino alla lancia
numero 1 Schivitz trovò il comandante Stagnaro, che tentava di arginare il
panico dei soldati e di dirigere la messa a mare delle lance di dritta. La
lancia numero 1 era rimasta appesa al proprio paranco con la prua: mentre stava
venendo filata in mare, era stata presa d’assalto da una torma di soldati ed il
paranco poppiero si era spezzato, così l’imbarcazione era rimasta appesa al
paranco prodiero e tutti gli occupanti erano stati rovesciati in mare.
Bruno Galet,
fermandosi a riflettere, aveva deciso di non tuffarsi subito, ma di restare
sulla nave il più a lungo possibile, per minimizzare la permanenza nell’acqua
fredda. Anche lui fu testimone del confuso ammaino delle scialuppe, tra il caos
totale, le grida, i pianti, le preghiere; vide molti perdere la calma e
buttarsi in mare per poi annegare rapidamente, mentre se fossero rimasti ed
avessero atteso che le scialuppe fossero pronte si sarebbero potuti salvare.
Galet si calò in una
grossa scialuppa con l’aiuto di una corda; il mare era molto agitato, e
l’imbarcazione non riusciva a staccarsi dalla murata del Galilea, mentre le onde la sbattevano violentemente contro di essa.
Temendo che la lancia non avrebbe retto a lungo, o che sarebbe stata
risucchiata dalla nave quando questa fosse affondata, Galet risalì sul ponte,
corse a centro nave e vide una scialuppa con almeno 20-25 uomini a bordo che
veniva ammainata; l’imbarcazione dondolò pericolosamente e poi si rovesciò,
facendo finire in mare tutti i suoi occupanti. Poi anche la scialuppa cadde in
acqua, proprio sopra agli uomini in mare.
Gli ufficiali degli
alpini facevano del loro meglio per riportare gli uomini alla calma; ovunque vi
fossero gruppi di alpini terrorizzati che urlavano ed imprecavano, qualche
ufficiale cercava di zittirli e di farli ragionare, usando “mezzi energici”
contro quelli che rischiavano di perdere il senno, e spiegando il modo migliore
per salvarsi e per non ostacolare le operazioni di messa a mare delle lance. Il
sottotenente degli Alpini Antonio Ferrante cercò di scuotere i soldati
terrorizzati ed indurli ad attivarsi per mettersi in salvo, anziché stare in un
angolo a pregare.
Altri ufficiali,
però, furono proprio tra gli uomini che si gettarono in mare per primi. Secondo
il sottotenente Ferrante, «nessuno degli ufficiali superiori si salvò avendo
tutti perso la testa, inclusi gli ufficiali di bordo».
In mezzo a tanta
confusione e panico, c’era comunque anche qualche uomo capace di ragionare
lucidamente e di aiutare gli altri: l’alpino Gino Bertoia, della 308a
Sezione di Sanità (8° Reggimento Alpini), cercò il suo ufficiale e si mise a
disposizione, collaborando al salvataggio di alcuni compagni. Il sergente
maggiore Bruno Pelizon, del «Gemona», soccorse diversi feriti e li portò alle
scialuppe.
L’alpino Onorino
Pietrobon sentiva della gente chiedere aiuto da sotto il ponte di coperta;
pensò che potessero essere naufraghi che, dopo essersi buttati in mare, erano
stati trascinati all’interno della stiva numero 2 attraverso la falla aperta
dal siluro (anche il tenente Erasmo Frisacco menzionò nella sua relazione che
«Molte persone sono state viste sparire nel vortice prodotto dall'acqua che
penetrava nell'interno della nave attraverso lo squarcio dovuto allo scoppio
del siluro»). Gli uomini, intrappolati, non riuscivano a salire e continuavano
a gridare.
Un altro alpino,
Giovanni Zuliani della 69a Compagnia, era proprio tra gli uomini
intrappolati: al momento dell’impatto del siluro, si trovava con due compagni
sotto una delle scalinate che portavano al ponte superiore, ed era rimasto
tramortito dall’esplosione del siluro, avvenuta poco lontano. Rinvenne quando
iniziò a “bere” acqua: ripresi i sensi, vide che il locale era allagato da due
metri d’acqua ed i suoi due compagni erano scomparsi. Attraverso una paratia
dilaniata penetrava un po’ di luce, e Zuliani vide che la scalinata non c’era
più; nuotò e poi si aggrappò a quel che gli capitava sottomano, finché dopo
molti sforzi riuscì, in un modo o nell’altro, ad arrampicarsi sul ponte
superiore. Insieme ad un altro militare qui incontrato, raggiunse una porta
stagna, che era chiusa; vano ogni sforzo di aprirla. I due si misero in cerca
di un’altra uscita; sentendosi in trappola, l’altro militare fu preso al panico
e si gettò contro una porta, aprendola di schianto. Zuliani si lanciò
attraverso la porta, ma nella foga di uscire batté la testa contro uno spigolo,
procurandosi una ferita in mezzo alla fronte dalla quale iniziò a sanguinare
copiosamente (gli rimase poi una lunga cicatrice). Riuscì comunque a salire in
coperta, dove trovò anche lui una situazione di completo caos; sentì il
comandante del Galilea gridare “Non
buttatevi in mare. Quelli che lo hanno fatto sono già tutti morti. Ho
telegrafato a tutte le unità che sono in questo tratto di mare e presto
arriveranno i soccorsi”.
Il comandante
Stagnaro, dopo aver sentito il parere di un ufficiale che si era calato nella
stiva colpita ed aveva così preso coscienza dell’entità del danno subito, aveva
ordinato di fermare le macchine e di mettere a mare le lance, incarico
quest’ultimo che aveva affidato a Schivitz. Quest’ultimo, avnedo chiesto
disposizioni a Stagnaro, ne ricevette l’ordine di ammainare prima tutte le
lance di sinistra e poi anche quelle di dritta. Parte degli alpini, compreso
infine che la nave non stava per affondare da un momento all’altro, si erano
calmati e si mostravano collaborativi. Erano intanto arrivati anche i due
secondi ufficiali di macchina, e venne ordinato loro di scendere in sala
macchine e chiudere le mandate del combustibile, così da fermare le motrici
principali.
L’ammaino delle lance
fu effettuato dapprima sottovento, sul lato dove la nave era stata colpita; gli
ufficiali ancora a bordo, assistiti da alcuni sottufficiali, disciplinarono
l’imbarco degli uomini sulle scialuppe.
Nessuna delle
scialuppe di dritta poté essere calata intatta: alcune furono fracassate dalle
onde contro la nave, altre finirono in acqua capovolte ed un’altra, sovraccarica
di soldati, precipitò in mare per la rottura dei tiranti. Alcune scialuppe, una
volta giunte in mare, vennero ripetutamente sbattute dal mare contro la murata,
subendo danni al fasciame, e si riempirono d’acqua (secondo la relazione del
tenente Erasmo Frisacco dell’8° Reggimento Alpini, «quattro [scialuppe] si sono
sfasciate al primo urto contro i marosi»).
Leggermente migliore
la situazione sul lato di sinistra, sotto la direzione di Schivitz; qui tre
delle quattro scialuppe appese alle gruette poterono essere manovrate da
personale pratico di bordo, che riuscì a metterle regolarmente in mare quando
l’abbrivio fu sufficientemente calato. Una scialuppa fu messa in mare intatta,
con 17 uomini a bordo. Una seconda scialuppa finì in mare capovolta, a causa
della rottura di un cavo, ma poté essere raddrizzata; soltanto pochi uomini,
tuttavia, riuscirono ad arrampicarvisi a bordo. Più a proravia, marittimi ed
alpini calarono un’imbarcazione più piccola che giunse in acqua integra, e
riuscì anche a raggiungere in breve tempo la Mosto.
Bruno Galet,
spostatosi sul lato del piroscafo più basso sul mare, vide una scialuppa carica
di alpini in mare, e si calò al suo interno. Nonostante gli sforzi fatti con i
remi, però, neanche questa imbarcazione riuscì ad allontanarsi dalla nave.
Galet sentì un leggero rantolo e vide un alpino in acqua, aggrappato alla
lancia ma troppo debole per arrampicarsi a bordo. Lo aiutò lui a salire;
l’alpino si chiamava Scianchi, era del sud Italia. Si sarebbe salvato anche lui
ed avrebbe rincontrato Galet qualche tempo più tardi, in un bar di Plezzo.
Quando un breve
sprazzo di luce lunare illuminò il mare, Galet avvistò un’altra lancia che
galleggiava vuota a soli 30-40 metri di distanza; era più piccola di quella
occupata da Galet, ed appariva perciò più manovrabile. Un suo amico friulano e
buon nuotatore, il medunese Giacomo Giordani, si tuffò in acqua per
raggiungerlo, mentre Galet gridava di non farlo perché la lancia era ancora
troppo lontana; Giordani non riuscì a raggiungerla, e scomparve per sempre nel
buio della notte.
A Galet non rimase
che continuare a controllare la posizione della lancia più piccola rispetto a
quella in cui si trovava: alla fine gli parve che fosse giunta abbastanza
vicina, così si gettò in acqua (era anche lui un buon nuotatore, soleva nuotare
nei fiumi fin da piccolo) e la raggiunse a nuoto. Dopo essersi ripreso un poco
dallo sforzo, prese i remi che si trovavano sulla scialuppa e raggiunse
l’imbarcazione dove si trovava prima, prendendo a bordo altri sette od otto
uomini. Remando, si allontanarono dal Galilea.
Anche le lance di
sinistra, comunque, furono sbattute dal mare contro il fianco della nave,
riportando seri danni. Quando passarono all’altezza del ponte di passeggiata,
molti militari si lanciarono al loro interno, intralciando le manovre da parte
dei marittimi imbarcati.
Conclusosi così
disastrosamente, a causa del mare e del panico, l’ammaino delle lance, gli
uomini ancora sul Galilea iniziarono
a gettare in mare zattere e mezzi di salvataggio di fortuna a cui aggrapparsi.
Il primo ufficiale
Schivitz ricevette l’ordine di gettare in mare tutte le zattere e gli zatterini
del lato sinistro; il mare attorno alla nave, però, era pieno di naufraghi su
entrambi i lati. Il comandante Stagnaro si recò sul lato dritto della plancia
insieme al commissario militare, al commissario di bordo, al direttore di
macchina ed ai due secondi ufficiali di macchina; qui lo raggiunse anche
Schivitz. Stagnaro riponeva le sue speranze in un rapido arrivo dei soccorsi;
riteneva che il buio della notte avrebbe reso improbabile un altro attacco, ma
era preoccupato dalla possibilità che qualche porta stagna potesse cedere e far
così precipitare la situazione. Riteneva inoltre necessario mantenere la calma
tra i soldati.
La Mosto rimase nei pressi del Galilea e si prodigò in ogni modo
immaginabile per salvare i naufraghi, ma contro di essa remavano la notte
oscurissima, la foschia, il freddo, il mare agitato (già prima del siluramento,
mare e vento da sudest erano forza 3, e poi peggiorarono ulteriormente). Prima
la torpediniera recuperò gli uomini che si erano gettati in mare, in preda al
panico, subito dopo il siluramento; poi quelli che arrivavano con le poche
scialuppe del piroscafo rimaste intatte; poi, di nuovo, gli uomini in mare che
si trovavano più vicini. Quasi tutte le lance del Galilea erano prive di remi, tutte erano danneggiate.
A mezzanotte il tempo
era sempre peggiore, con mare incrociato da sudest e da sudovest, piovaschi e
foschia.
Verso le 00.30 del 29
marzo la Mosto, che fino ad allora
era rimasta a distanza, si avvicinò a portata di voce del Galilea e riferì di aver lanciato via radio il segnale di soccorso,
raccomandando di mantenere la calma. Domandò inoltre quali fossero le
condizioni della nave e del personale a bordo; dal Galilea risposero che la nave stava inesorabilmente affondando, e
che lo sbandamento aveva raggiunto i 17 gradi. La Mosto si allontanò di nuovo, mentre lo sbandamento del piroscafo
aumentava ancora, fino a 19 gradi.
Schivitz si recò più
volte tra i soldati per infondere loro coraggio. Gli alpini, però, erano
passati dal panico alla disperazione ed alla disillusione: dopo aver visto
tanti compagni morire, si rifiutarono di abbandonare la nave, nonostante le
insistenze di diversi ufficiali e del comandante Stagnaro. Moltissimi degli
alpini, d’altronde, non sapevano nuotare; parecchi, avendo sempre vissuto nelle
loro valli alpine, avevano visto il mare per la prima volta durante il viaggio
di andada dall’Italia.
Data la vicinanza
della Mosto, Stagnaro ordinò il “Si
salvi chi può”, che fu ripetuto da tutti gli ufficiali del Galilea; solo pochi soldati, tuttavia, abbandonarono la nave, ed
alcuni ufficiali degli alpini salirono in plancia e chiesero a Stagnaro il
motivo di quell’ordine. Il comandante del Galilea
ribatté che la situazione era diventata estremamente grave, e che sperava in
soccorsi imminenti; revocò l’ordine, ma fece presente che, se lo sbandamento
fosse aumentato ancora, lo avrebbe ripetuto senza esitazione. Gli ufficiali
degli alpini tornarono tra i loro soldati; mentre i cappellani militari
impartirono la benedizione, alcuni ufficiali intonarono inni e canti alla
patria, al re, al duce ed alla «Julia».
All’1.45 lo
sbandamento del Galilea aveva
raggiunto i 22 gradi, ed il comandante Stagnaro fece ripetere l’ordine di abbandonare
la nave; ma nessuno si mosse. La luna era sparita tra le nubi, il cielo
erompeva continuamente in piovaschi.
Stagnaro, sceso dalla
plancia, ripeté l’ordine agli ufficiali degli alpini, invitandoli a
trasmetterlo ai loro sottoposti e raccomandando di filarsi dai penzoli con
calma. Per dare l’esempio, Stagnaro ordinò a Schivitz di scendere per primo.
Anche diversi
ufficiali e sottufficiali degli alpini, fallito ogni tentativo di convincimento
dei loro uomini, cercarono di indurli a tuffarsi dando l’esempio, ma alcuni
alpini furono irremovibili e rimasero a bordo, fino ad affondare con la nave,
alle 3.50 del 29 marzo.
Calandosi da un
tientibene, Schivitz notò che sulla passeggiata di dritta erano radunati almeno
400 uomini. Una volta che fu in mare, molti altri uomini iniziarono finalmente
a calarsi a loro volta.
Anche il sergente
maggiore Pelizon si calò in mare tra i primi, ed anche lui per dare l’esempio,
su ordine di un ufficiale, invitando molti alpini a seguirlo. In seguito lasciò
volontariamente una zattera, alla quale si era aggrappato, per salvare un
naufrago che, colto da un malessere, stava per annegare; fu decorato per questo
con la Medaglia di Bronzo al Valor Militare.
Alcuni degli uomini
buttatisi in mare riuscirono ad aggrapparsi alle zattere ed alle ciambelle di
sughero gettate in acqua in precedenza, ma i più, allontanati dal vento, si
ritrovarono in acqua senza nulla su cui salire, tenuti a galla dai salvagente. Le
onde erano divenute più alte, il vento più forte, le raffiche di pioggia più
violente; nelle ore della notte la temperatura calò ulteriormente, e molti di
quelli che erano in acqua persero i sensi e finirono con l’annegare, o
cedettero all’ipotermia.
Schivitz, una volta
in acqua, tentò dapprima di nuotare verso la terra, ma la corrente avversa gli
impedì di avanzare; allora si lasciò andare verso prua e s’imbatté nel
comandante Stagnaro, che chiamò chiedendogli “Comandante, siete voi?”. Questi
rispose affermativamente, poi esclamò “Mio Dio che brutta fine che facciamo!”.
Schivitz ebbe l’impressione di un uomo “sereno, ma già rassegnato”;
considerandolo “già da allora perduto”, si allontanò un poco “per non rimanere
impressionato”. Questa fu probabilmente l’ultima volta che qualcuno vide in
vita il comandante Emanuele Stagnaro.
Nuotando, Schivitz incontrò
dapprima i sottotenenti Zanelli e Bonicelli, filatisi da bordo, e poi uno
zatterino. I tre vi si arrampicarono sopra. Dopo circa mezz’ora, alle 2.40
della notte, lo zatterino venne raggiunto dalla Mosto; Schivitz, Zanicelli e Bonicelli vennero portati a bordo
della torpediniera, e subito fraternamente assistiti. Schivitz, sfinito, perse
i sensi; si riprese molto più tardi nella cuccetta del comandante in seconda
della Mosto, che gli fornì degli
indumenti. Salito sulla plancia della torpediniera, Schivitz fu informato dal
comandante Delfino che il Galilea era
affondato alle 3.40 (leggera discrepanza rispetto all’orario solitamente
indicato, le 3.50).
Uno degli ultimi
uomini ad Abbandonare il Galilea ed a poterlo raccontare fu il
sottotenente Amos Curtarelli, del 42° Reggimento Fanteria. Quando Curtarelli
decise di abbandonare la nave, questa era ormai quasi completamente abbattuta sul lato sinistro; per
raggiungere l’acqua, il giovane ufficiale si trovò quasi a camminare sulla
murata destra divenuta pressoché orizzontale, e nel farlo vide una falla a
forma di triangolo equilatero e “di ampiezza tale da permettere il passaggio di
una locomotiva” proprio sotto il ponte di comando, con l’apertura situata circa
tre metri sotto la linea di galleggiamento. Lo squarcio aveva angoli
rotondeggianti e spigoli rivolti verso l’interno.
La scialuppa di Bruno
Galet aveva avvistato la Mosto già
una prima volta nella notte, ma la torpediniera, nonostante le grida degli uomini
sull’imbarcazione, non li aveva notati: li vide solo al secondo passaggio,
quando ormai era quasi mattina, ed a quel punto si avvicinò per soccorrerli.
Issando a bordo gli occupanti della lancia, i marinai della Mosto li incoraggiarono dicendo “Bravi alpini,
bravi”.
Giovanni Zuliani fu
un altro di coloro che abbandonarono la nave all’ultimo momento, quando erano
rimasti – per quanto poteva vedere – solo una ventina di uomini. Rimase
cosciente fino alle sette del mattino, aggrappato a qualche oggetto galleggiante,
poi la sua vista iniziò ad annebbiarsi: iniziò a pregare, poi perse i sensi. Si
sarebbe svegliato verso le tre di quel pomeriggio a bordo di un’unità
soccorritrice; nell’ospedale di Prevesa, più tardi, un marinaio gli disse che
era vivo per miracolo: l’avevano trovato aggrappato a due tavole con gli occhi
chiusi e la tesa piegata e l’avevano creduto morti, decidendolo di lasciarlo
dov’era; poi avevano cambiato idea.
Malintesi e
malfunzionamenti nei mezzi di comunicazione fecero perdere ore vitali. Soltanto
alle 2.12 di notte del 29 marzo – tre ore e mezza dopo il siluramento – il
Comando Militare Marittimo della Morea (Marimorea) venne a sapere dalla Mosto che il Galilea era stato silurato, che era ancora a galla e che
abbisognava di assistenza. A questo punto Marimorea ordinò a Marina Prevesa di
mandare sul posto dei dragamine (partirono in due, l’Antonia Madre e l’Avanguardista,
entrambi motopescherecci convertiti) ed il MAS
518, l’unico presente in quella base, ed a Marina Argostoli di inviare i
dragamine e mezzi antisommergibile di Fiscardo (Cefalonia). Sperando che il Galilea continuasse a galleggiare,
Marimorea ordinò anche che il rimorchiatore Teseo
accendesse le caldaie per accorrere sul posto e che il rimorchiatore Tenax, alla fonda a Capo Papas,
cooperasse con esso nel tentativo di rimorchio del piroscafo; ma alle 3.50 il Galilea s’inabissò, vanificando ogni
preparativo in questo senso.
L’alpino Adelmo
Ravazzoni vide il Galilea inabissarsi
di prua, in posizione quasi verticale rispetto alla superficie del mare; «e
parecchie colonne di acqua si alzavano da quel gorgo come un segnale di
vittoria».
Molti uomini, rimasti
a bordo – vinti dallo sconforto o dal fatalismo – fino alla fine o non
allontanatisi a sufficienza dalla nave in affondamento, furono inghiottiti dai
vortici prodotti dal risucchio.
Marimorea, informata
dalla Mosto che il Galilea era affondato, ordinò a Teseo e Tenax di sospendere l’approntamento, ormai inutile, ed inviò invece
sul posto l’incrociatore ausiliario Zara
(capitano di fregata Luigi Martini), che avrebbe dovuto scortare un altro
convoglio che doveva partire a breve. Lo Zara
lasciò Patrasso all’alba del 29 marzo.
In mare, i naufraghi
lottavano per sopravvivere. Mosè Casonato, del Battaglione «Gemona», si trovava
su una zattera di sughero con altri sette uomini, nel mare infuriato e sotto la
pioggia: uno dopo l’altro, i sette compagni cedettero all’assideramento ed alla
violenza del mare, e scomparvero nella notte. Il mattino successivo Casonato
avvistò suo fratello, anche lui del «Gemona», a bordo di un’altra zattera; non
riuscirono però ad avvicinarsi. Diverse ore più tardi, Casonato venne
recuperato da una scialuppa; uno degli uomini a bordo, nell’accostarsi alla
zattera, gli disse “Va a ramengo, vien su, mòvete, se te sì ancora vivo”. Anche
suo fratello fu salvato, due ore più tardi.
L’alpino Mario Bearzi
vide in acqua un uomo che annaspava con un braccio solo; l’altro era stato
troncato di netto. L’uomo mormorò “Mandi, pais”, poi sparì sotto la superficie.
Bearzi aveva ancora il cappello da alpino in testa quando fu recuperato da un
marinaio, che scherzò al riguardo, “Ci tenevi proprio, vedo. Te lo sei mica
incollato in testa?”. I due si sarebbero incontrati di nuovo a trent’anni di
distanza, a Camogli (senza riconoscersi inizialmente, salvo poi iniziare a
raccontare ricordi di guerra, il che avrebbe riportato a galla la storia
dell’alpino col cappello).
Alle cinque del
mattino la Mosto dovette richiamare a
bordo la piccola lancia ammainata per i soccorsi, a causa del mare in
peggioramento.
Alle 6.58 la Mosto comunicò a Marimorea che stava
recuperando gli ultimi naufraghi (ne aveva recuperati più di duecento); in
realtà ce n’erano ancora in mare alcune decine, quando i mezzi di Prevesa
giunsero sul posto.
Per primo, verso le
7.45, giunse il MAS 518, che
attraversò per due volte la zona dell’affondamento e recuperò in tutto 44
sopravvissuti. Poco dopo, non appena le condizioni meteorologiche migliorarono
a sufficienza da permettere il decollo, furono inviati da Prevesa degli aerei
per agevolare l’avvistamento ed il salvataggio degli ultimi naufraghi ancora in
vita. Alle 8.08 sopraggiunse così un idrovolante CANT Z. 506 della Croce Rossa,
decollato da Brindisi, che però si cappottò nel tentativo di ammarare. Fu però
possibile trarre in salvo tutti i membri del suo equipaggio.
Verso le 9.45 un aereo
segnalò alla Mosto due scie, ed il MAS 518 avvistò un periscopio e gettò in
mare otto-dieci bombe di profondità, vedendo poi emergere piccole bolle d’aria
e tracce di nafta, che indussero a pensare di aver danneggiato un sommergibile.
Questo falso allarme sommergibili provocò una momentanea interruzione delle
operazioni di salvataggio, che contribuì ad accrescere ancora il grave
bilancio.
Alle 10.30 arrivarono
sul posto anche l’Avanguardista e l’Antonia Madre, cui la Mosto indicò la zona dove ancora vi
erano naufraghi in vita; le due piccole navicelle recuperarono così 33
sopravvissuti. Oltre ai naufraghi, esse recuperarono anche 47 cadaveri.
I mezzi inviati da
Fiscardo non giunsero nemmeno sul posto, ostacolati dal mare avverso.
Lo Zara, salpato alle 5.53, si era diretto
a tutta forza verso Capo Papas e poi verso Capo Dukato, dov’era giunto alle
10.26; aveva quindi iniziato le ricerche, avvistando alle 12.20 due aerei (uno
dei quali con le insegne della Croce Rossa) che perlustravano il mare nel luogo
del disastro, oltre ad un piccolo veliero proveniente da Paxo e diretto verso
il largo. Alle 12.35 lo Zara avvistò
la Mosto; venti minuti dopo incontrò,
in rapida successione, l’Antonia Madre
e l’Avanguardista, che, insieme alla Mosto, stavano incrociando nell’area
dov’era affondato il Galilea.
I primi rottami, lo Zara li avvistò alle 13.37, in posizione
39°04’ e 20°05’ E; poco dopo apparvero anche i primi cadaveri, tenuti a galla
dai salvagente. La Mosto, con la
coperta gremita di naufraghi, si avvicinò a portata di voce e riferì di aver
recuperato tutti i sopravvissuti, domandando se vi fossero ordini per essa;
quando lo Zara rispose che non ce
n’erano, la torpediniera comunicò che avrebbe raggiunto Prevesa per sbarcare i
naufraghi. Lo Zara chiese quanti
fossero i superstiti tratti in salvo, e la Mosto
rispose che erano 220, compresi i 33 recuperati dall’Antonia Madre e dall’Avanguardista
(quest’ultimo aveva recuperato anche 49 corpi senza vita); aggiunse che aveva
già ispezionato tutta la zona, e che non c’era più nessuno da salvare.
Mosto
e motopescherecci si allontanarono verso Prevesa (anche il MAS 518, terminate le ricerche verso le 14, aveva diretto per il
rientro in questa base, mentre alla stessa ora giungevano sul posto i dragamine
ausiliari Saetta e Luigi III ed altre unità minori), mentre
lo Zara proseguì nella sua ricerca,
setacciando il mare a nord del punto dell’affondamento. Anche l’aereo della
Croce Rossa era scomparso dalla vista.
Mosto,
MAS 518, Antonia Madre ed Avanguardista
sbarcarono tutti i naufraghi a Prevesa; qui i sopravvissuti ricevettero le
prime cure dall’Ospedale da Campo 183, che diede loro ricovero, medicò i feriti
e fornì a tutti abiti asciutti.
Lo Zara incontrò dapprima le lance n. 4 e
n. 6 del Galilea, entrambe vuote, poi
tre zatterini Carley sparsi, parecchi altri zatterini e poi ancora la scialuppa
n. 5 del Galilea, anch’essa vuota. In
acqua, sempre più corpi privi di vita, inutilmente sorretti dai salvagente.
Alle 14.03, in
posizione 39°10’ N e 19°58’ E, si materializzò alla vista un altro zatterino: a
differenza di quelli visti in precedenza, non era vuoto. Su di esso era steso
bocconi quello che sembrava il cadavere di un alpino; nudo dalla cintola in
giù, aveva però indosso la giubba della divisa ed il cappello da alpino.
Totalmente immobile, sembrava morto, ma lo Zara
si avvicinò comunque con cautela per investigare; fu a questo punto che il
“cadavere” emise una richiesta di aiuto. Fu il secondo capo cannoniere Giuseppe
Toscano a notare per primo che l’uomo era ancora in vita.
Il mare da Scirocco
complicava i soccorsi, ma lo Zara
calò immediatamente un’imbarcazione per recuperare il naufrago: alle 14.09, lo
stremato alpino venne recuperato dall’imbarcazione dello Zara. Era l’ultimo sopravvissuto del Galilea ad essere tratto in salvo, ore dopo che le speranze di
trovare qualcuno vivo erano svanite, e fu l’unico superstite raccolto dallo Zara.
Il nome del
“miracolato” era Ugo Pittin, figlio di Giuseppe e Buttazzoni Angelina, nato a
Povolazzo di Comeglians (Udine) il 15 agosto 1921, soldato dell’8° Reggimento
Alpini, 69ª compagnia. Il mattino del 31 marzo, quando si fu sufficientemente
ripreso, Pittin raccontò la sua storia ai soccorritori.
Riferì che il siluro
aveva colpito il Galilea alle 22.45,
sul lato sinistro, quasi all’altezza del boccaporto numero 1; che dopo il
siluramento il comandante della nave avrebbe voluto proseguire, ma che dopo
circa mezz’ora aveva visto che il piroscafo aveva iniziato a sbandare sul lato
sinistro. Verso le 00.15 del 29 marzo Pittin e compagni avevano ricevuto ordine
di abbandonare la nave, ma molti, in preda al panico, si erano già gettati in
mare in precedenza, con la nave ancora in moto. Pittin era salito su uno zatterino,
sul quale, prima di scostare dal bordo della nave, aveva issato anche un altro
naufrago, ormai stremato. Lo zatterino si era allontanato dal Galilea e Pittin aveva chiesto al suo
compagno di sventura la sua identità; questi aveva risposto di essere un
capitano e poi era sprofondato nell’apatia, senza più rispondere alle
successive domande di Pittin. A giorno fatto, Pittin aveva chiesto all’altro
naufrago che ora fosse, e questi aveva rotto il suo silenzio per rispondere che
erano le 7.45; pochi minuti più tardi, tuttavia, si era lasciato rotolare in
mare, privo di sensi, ed era scomparso.
Soltanto venti minuti
prima, la Mosto (che Pittin aveva
riconosciuto grazie alle iniziali dipinte sulla prua) era passata ad appena una
ventina di metri dallo zatterino che ospitava i due naufraghi, ma non li aveva
visti; invano Pittin aveva gridato per chiedere aiuto. Scomparsa la Mosto e scomparso anche il capitano,
Pittin aveva perso ogni speranza e si era addormentato. Qualche ora più tardi
era sopraggiunto un aereo, che l’aveva avvistato ed aveva fatto due giri
intorno allo zatterino, lanciando un razzo bianco ed uno rosso; mezz’ora dopo
era arrivato lo Zara.
La guerra non sarebbe
stata clemente verso Ugo Pittin: sopravvissuto in mare oltre ogni speranza, tra
i pochi alpini del Galilea a rivedere
la terraferma, aveva soltanto rinviato il suo appuntamento con la morte.
Rimessosi in forze e tornato in servizio nell’8° Reggimento Alpini, fu inviato
in Russia con il resto della «Julia» e ne seguì il tragico destino durante la
ritirata del 1943, risultando disperso il 26 gennaio, giorno della battaglia di
Nikolajewka. Come i suoi commilitoni scomparsi in mare, non ebbe una tomba.
Dopo aver recuperato
Pittin, lo Zara riprese le ricerche,
manovrando per evitare i tanti rottami e cadaveri che costellavano il mare.
Venne avvistato l’aereo della Croce Rossa che era caduto in mare tentando di
ammarare: ne affiorava la carlinga, avente la coda ed i timoni di profondità
rotti. Alle 14.27 l’incrociatore ausiliario giunse nei pressi del relitto e
vide che esso recava il numero 45255
ed aveva la porta spalancata; non si vedevano cadaveri. Il comandante Martini
avrebbe voluto prenderlo a rimorchio, ma alla fine decise di abbandonare l’idea
per proseguire le ricerche, oltre che per via del mare avverso. Lo Zara proseguì le ricerche in ogni
direzione, spostandosi via via verso nord; alle 14.34 passò accanto alla lancia
numero 9 del Galilea, che si rivelò
vuota, e subito dopo anche alla numero 10, che era capovolta. Poco più in là
una terza scialuppa semisommersa, che affiorava a tratti seguendo il moto delle
onde; impossibile capire se vi fossero corpi. La nave continuò a cercare
avanzando tra innumerevoli rottami, zatterini e salme, finché giunse nel punto
39°15’ N e 20°00’ E, il limite di ricerca; oltre tale punto non si vedevano più
rottami, imbarcazioni, zattere o corpi nemmeno cercandoli col cannocchiale,
pertanto lo Zara invertì la rotta per
ricontrollare la zona appena esplorata.
Alle 15.12 la nave si
avvicinò alla lancia numero 3 del Galilea,
allagata ed avente a bordo tre cadaveri; il medico di bordo li esaminò e
determinò che erano morti per annegamento. Poco più in là, in posizione 39°08’
N e 20°02’ E, si trovava la lancia di servizio del Galilea, vuota e più alta sull’acqua di tutte le altre viste dallo Zara fino a quel momento; Martini
ritenne che essa segnasse il limite di maggior deriva che fino a quel momento
avevano raggiunto i rottami lasciati dall’affondamento. Lo Zara proseguì ancora nella sua esplorazione in ogni direzione,
raggiungendo un’ampia chiazza di nafta, a macchie dense che in alcuni punti
stavano ancora affiorando come bolle; Martini notò che nelle chiazze di nafta
c’erano molti più cadaveri che altrove. Anche questi avevano tutti indosso il
salvagente, ma questo non li aveva salvati.
La nave uscì dalla
chiazza di nafta alle 15.24; non vedendo altre salme, il comandante Martini
ordinò all’equipaggio di tributare il saluto ai caduti, poi proseguì le
ricerche verso sud. Alle 15.58, in posizione 39°04’ N e 20°05’ E, di nuovo la
nave si trovò a passare in una zona dove i cadaveri erano particolarmente
numerosi, cercando di manovrare per avvicinarsi ad essi senza danneggiarli.
Nello stile preciso ed impersonale dei rapporti, Martini annotò che, mentre i
corpi avvistati fino ad allora si presentavano in genere con capo e gambe
sommerse, questi erano in maggioranza ritti in acqua e col viso appena
affiorante. Alcuni di essi avevano sul viso l’espressione di chi sembrava
essere stato strangolato, mentre altri sembravano riposare, quasi apparendo
ancora vivi.
Si decise pertanto di
calare una lancia per verificare se ci fosse qualcuno ancora in vita,
nonostante vento e mare fossero aumentati in modo preoccupante; l’imbarcazione
fu messa a mare alle 16, ed il capo carpentiere di seconda classe militarizzato
Vincenzo Gaudosio ed i marinai militarizzati Giovanni Cassano, Gaetano
Capriati, Francesco Capriati e Sergio Annese si offirono volontari per armarla.
Furono loro ad esaminare diversi corpi in un raggio di 800 metri, ma poterono
soltanto constatare che erano tutti morti. Proprio mentre questa operazione era
in corso, alcuni corpi che galleggiavano vicinissimi alla murata dello Zara diedero l’impressione ancora più forte
di essere ancora in vita; si chiese al medico di bordo un parere sulla
veridicità di questa impressione, ma nel mentre il sergente torpediniere Mario
Ritossa, non riuscendo più a contenersi, si gettò in mare di propria
iniziativa, ancora vestito, per recuperare un corpo che galleggiava sotto la
poppa, e che più degli altri dava impressione di vita. Un gesto purtroppo
inutile: l’uomo era morto; il cadavere fu portato a bordo ed ispezionato.
Esattamente come Ugo Pittin, era sprovvisto di piastrina di riconoscimento,
così non fu possibile identificarlo; indossava soltanto una maglietta ed una
giacca, nelle cui tasche furono rivenuti una penna stilografica, una nota di
spese fatte per l’acquisto di giornali e di bolli per ufficiali e sottufficiali,
ed un preservativo.
Alle 16.27 lo Zara incontrò un MAS che procedeva di
controbordo; più lontano erano in vista anche tre pescherecci. Verso le 18.30
la nave era in procinto di rientrare a Patrasso, quando ricevette disposizione
di proseguire le ricerche. Martini fece notare a Marimorea che lo Zara era a poche miglia da Patrasso e
che aveva a bordo 37 militari che doveva riportare in Italia e che, per la
fretta di partire, non erano potuti sbarcare; alle 21.55, tuttavia, giunse
conferma dell’ordine di continuare a cercare.
Fu così che lo Zara continuò a setacciare la zona del
disastro per tutto il 30 marzo, sempre con tempo avverso. Alle 10.30 venne
avvistato di nuovo il relitto dell’aereo della Croce Rossa schiantatosi il
giorno prima: affiorava ancora, ma già meno del giorno precedente. Poco dopo
apparve alla vista un largo graticcio di legno color cenerino, sull’orlo del
quale giaceva bocconi e penzolante in acqua il cadavere di un soldato,
cianotico e tumefatto, nudo dalla cintola in giù.
La visibilità fu
scarsa per tutto il giorno, e dopo le 17 divenne, a tratti, pressoché nulla;
alle 19.06, infine, giunse l’ordine di rientrare a Patrasso. Qui la nave giunse
alle 9.24 del mattino del 31 marzo.
Il mattino del 31 non
rimase che abbandonare ogni ulteriore speranza: gli aerei da ricognizione non
avvistavano più nulla in un raggio di 50 miglia da Capo Kefali. Le ricerche
furono sospese.
Il numero delle
vittime e dei sopravvissuti varia a seconda delle fonti, ma ne traspare
comunque una delle più grandi tragedie che colpirono la marineria italiana
durante la seconda guerra mondiale. Secondo fonti datate ed usualmente citate i
sopravvissuti furono 284 (tra cui 15 ufficiali e 19 sottufficiali delle varie armi),
mentre i morti furono 991 o 995; altra fonte parla di 1041 morti. Secondo il
più recente e dettagliato studio di Paolo Montina, le vittime furono 1050,
mentre i superstiti furono 279.
Tra gli alpini
imbarcati, i superstiti furono 141: nove ufficiali, tre sottufficiali e 129
alpini. Il battaglione «Gemona» fu pressoché sterminato: di 689 uomini
imbarcati, morirono in 651. Si salvarono solo due ufficiali su 23, nove
sottufficiali su 27 e 27 graduati e soldati su 639. Morirono, tra gli altri,
tutti gli ufficiali più alti in grado degli alpini: il tenente colonnello
Boccalatte, il maggiore Savorè, i capitani D’Alessandro e Cassinelli.
Dei 115 militari e
civili che componevano l’equipaggio del Galilea,
i sopravvissuti furono 39. Non era tra essi il comandante Stagnaro, la cui
salma, recuperata durante le successive ricerche, fu sepolta nel cimitero di
Prevesa (da lì venne rimpatriata al paese natio nel 1954). In una famiglia di
marinai come la sua, la morte in mare era sempre stata possibilità tutt’altro
che remota: anche il padre di Stagnaro, Cesare, armatore e comandante di
velieri, era morto in un naufragio nel Golfo del Leone, nel 1893.
Tra i corpi
recuperati anche quello del direttore di macchina, Vladimiro De Mirkovich. Risultò invece tra i dispersi il comandante militare Fido.
Dei 46 bersaglieri
presenti sulla nave ne morirono 33; degli 80 carabinieri imbarcati si salvarono
solo in sette, mentre le salme recuperate ed identificate furono 13.
La maggior parte
delle vittime non venne mai ritrovata, dispersa dal mare; molti corpi vennero
invece portati dalla risacca sulle coste della Grecia (Prevesa e Corfù),
dell’Albania (Saseno) e persino della Puglia.
La salma dell’alpino
Giuseppe Sella, di Valdagno, fu adagiata dal mare sulla spiaggia di Phanos,
nell’isola di Corfù: a seppellirla furono dei suoi compaesani della Divisione
«Acqui», di presidio sull’isola e destinata anch’essa a divenire protagonista,
due anni e mezzo più tardi, di una terribile tragedia.
In tutto, 56 salme
vennero recuperate durante le operazioni di soccorso, mentre altre 150 circa
vennero ritrovate nei giorni e nei mesi seguenti (il 14 aprile 1942 risultavano
recuperati 172 corpi, ma altri furono trovati ancora fino a maggio); le ultime,
a quasi due mesi dal disastro. Alcune vennero sepolte nell’isola di Saseno e da
lì, molti anni dopo, furono traslate al Sacrario dei Caduti Oltremare di Bari,
dove riposano tuttora.
Più di ottocento
uomini non ebbero una tomba.
Alcuni furono
recuperati, ma senza che le loro famiglie lo venissero mai a sapere: è il caso
dell’alpino Adolfo Della Marina, di Artegna, il cui corpo fu rinvenuto sulla
spiaggia di Santa Maria di Leuca ad un mese dalla tragedia, il 28 aprile 1942,
insieme ad altre due salme. Della Marina fu identificato e sepolto nel cimitero
di Castrignano del Capo e del suo ritrovamento e sepoltura furono informati sia
il Comando dell’8° Reggimento Alpini (nel maggio 1942) che, molti anni più
tardi (nel 1956), lo stesso Comune di Artegna, ma la famiglia non ne venne mai
messa al corrente: a scoprire la verità, quasi per caso, fu un nipote di Della
Marina, a settantadue anni di distanza. Per quel tempo, però, il cimitero di
Castrignano del Capo aveva subito pesanti modifiche, così i resti di Della
Marina risultarono irrintracciabili, probabilmente finiti nell’ossario comune.
Le vittime:
(elenco tratto dal libro
"La tragedia alpina del Galilea" di Paolo Montina; l’asterisco (*) indica le vittime di cui fu
recuperato ed identificato il corpo)
Arnaldo Abbate, carabiniere XXI Battaglione
Carabinieri Mobilitati (*)
Vincenzo Accardi, caporale maggiore 630°
Ospedale da Campo, da Campobello di Mazara
Gino Adami, soldato 71a Compagnia
Alpini, da Lauco (*)
Aroldo Agnesini, caporale 69a
Compagnia Alpini, da Sorgnano
Romano Agnesot, soldato 308a
Sezione di Sanità, da Ponte San Martino
Alberto Agolfi, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Nibbiano
Giovanni Aimonot, soldato 308a
Sezione di Sanità, da San Pietro
Carlo Aita, caporale maggiore 69a
Compagnia Alpini, da Buia
Renzo Albonisco, soldato 814° Ospedale da
Campo, da Grandate
Renato Alcenio, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Rigoso di Monchio
Basilio Alfenore, soldato 308a
Sezione di Sanità, da Provolone
Longo Allera, soldato compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Donato Biellese (*)
Ottorino Alloi, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Majano
Domenico Alviano, artigliere, da Frosinone (*)
Paride Amati, soldato 308a Sezione
di Sanità, da Migliarino
Giuseppe Amato, caporale 2° Reggimento
Bersaglieri, da Belvedere
Libero Ambrosini, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Carrara
Edoardo Amalberti, soldato compagnia comando
8° Rgt. Alpini, da Bordano (*)
Giuseppe Anaro, soldato 630° Ospedale da
Campo, da Monopoli
Bruno Ancillotti, soldato, da Siena
Giuseppe Andalucco, soldato
Ilario Andreani, sergente 70a
Compagnia Alpini, da Avenza
Egidio Andreussi, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Artegna
Luigi Domenico Andreutti, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Ragogna
Giobatta Anfosso, soldato 69a
Compagnia Alpini, da San Biagio Cima
Salvatore Annarelli, soldato 630° Ospedale da
Campo, da Foggia
Domenico Annese, soldato 308a
Sezione di Sanità, da Alberobello
Bruno Antoniali, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Cinto Caomaggiore (*)
Adalberto Antonietti, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Olivola
Giuseppe Arato, soldato compagnia comando 8° Rgt. Alpini, da
Buttigliera (*)
Melchiorre Ardillo, maresciallo 8° Rgt.
Alpini, da Catenanuova
Domenico Arduino, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Bolossola
Mario Arioli, soldato 814° Ospedale da Campo,
da Milano
Luigi Armenti, timoniere (equipaggio civile),
da Bari
Ernesto Arnaud, soldato 70a Compagnia
Alpini, da Borgone Susa
Pietro Arnoldi, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Trucazzano (*)
Enea Aroldo, soldato compagnia comando 8° Rgt.
Alpini, da Milano
Amorino Artieri, soldato 597° Ospedale da
Campo
Giuseppe Artuso, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Zuliano
Luigi Asselle, caporale 308a
Sezione di Sanità, da Torino
Giobatta Azzaro, sottocapo cannoniere
puntatore scelto Regia Marina, da Sestri Levante
Giovanni Maria Azzetti, capo manipolo XXXVIII
Battaglione Camicie Nere, da Avio
Primo Azzolini, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Pallanzano (*)
Sebastiano Badano, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Finale Borgo
Mario Baldi, soldato 71a Compagnia
Alpini, da Provazzano
Giuseppe Balestrini, soldato 308a
Sezione di Sanità, da Gangi
Pietro Bancalari, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Migliarina (*)
Lorenzo Barazzutti, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Forgaria (*)
Giuseppe Barbarino, caporale 69a
Compagnia Alpini, da Resia
Severino Barbieri, soldato 814° Ospedale da
Campo, da Bettola Vacito
Daniele Barcella, soldato compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Chiuduno
Marcello Bardi, marittimo equipaggio civile,
da Gallipoli
Marcello Bardi, secondo capo cannoniere Regia
Marina (equipaggio militare), da Lecce (*)
Aldino Bardini, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Filafiera
Adelmo Bariuzzi, caporale 69a
Compagnia Alpini, da Neviano degli Arduini
Angiolino Baron, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Studena Bassa
Gabriele
Barone, soldato VIII Nucleo Sussistenza, da Lago
Mario Baroni, tenente compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Milano
Antonio Basso, soldato 70a
Compagnia Alpini, da San Vito al Tagliamento (*)
Giuseppe Basso, soldato 71a
Compagnia Alpini, da San Giorgio della Richinvelda
Battista Bastico, marinaio servizi vari Regia
Marina, da Castello Alfieri
Gino Bazzana, caporale maggiore 71a
Compagnia Alpini, da Colloredo di Monte Albano
Domenico Bazzara, soldato 69a
Compagnia Alpini, da San Daniele del Friuli
Gino Beacco, soldato 70a Compagnia
Alpini, da Castelnuovo
Ferruccio Beccaro, caporale compagnia comando
8° Rgt. Alpini, da Spilimbergo
Luigi Belfio, soldato compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Forgaria
Elvise Bellan, vicebrigadiere I Battaglione
Carabinieri Mobilitati, da Contarina
Giuseppe Belli, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Verano
Giuseppe Bellussi, marittimo equipaggio
civile, da Pisino
Pietro Benedetti, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Valvasone
Arturo Benvenuto, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Sesto al Reghena
Giovanni Bergero, soldato 1° Battaglione
Movimento Stradale, da Millesimo
Agostino Bernardi, caporale 630° Ospedale da
Campo, da Bologna
Giuseppe Bernardi, soldato 630° Ospedale da
Campo, da Sambiase Stradella (*)
Giuliano Berruto, soldato 308a
Sezione di Sanità, da Chivasso (*)
Luigi Berrutto, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Arignano
Guerino Bertarelli, soldato VIII Nucleo
Sussistenza, da Tempio Pausania
Gaudenzio Berteri, carabiniere I Battaglione
Carabinieri Mobilitati, da Corte Brugnatella
Bruno Bertero, caporale maggiore 69a
Compagnia Alpini, da Asti
Bruno Bertinelli, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Lesignano de’ Bagni
Arturo Berti, soldato 308a Sezione
di Sanità, da Vercelli
Giovanni Bertoia, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Fiume Veneto (*)
Narciso Bertoia, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Valvasone
Serafino Bertola, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Pruneto
Giuseppe Bertoli, marittimo equipaggio civile
Gian Franco Bertolini, capitano 8° Rgt.
Alpini, da Vigevano
Decimo Bertolissi, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Ragogna
Porthos Bertolucci, marinaio segnalatore Regia
Marina (equipaggio militare), da Viareggio
Giuseppe Bertorelli, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Albereto
Callisto Bevilacqua, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Flaibano
Angelo Bezzio, soldato compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Scandaluzzo (*)
Ermes Biacca, soldato 71a Compagnia
Alpini, da Noceto (*)
Armando Bianchi, soldato, da Sant’Ambrogio
Valpolicella (*)
Paolo Bianchi, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Corniglio (*)
Luca Bianco, soldato 630° Ospedale da Campo,
da Putignano
Antonio Biasutti, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Morsano al Tagliamento (*)
Pietro Biavardi, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Mozzano (*)
Giuseppe Bidinot, caporale 69a
Compagnia Alpini, da Chions
Diletto Bidoli, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Tramonti Campone
Giuseppe Bidoli, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Tramonti di Sotto (*)
Giuseppe Bidoli, cameriere (equipaggio
civile), da Trieste
Michele Biondi, soldato 9° Reggimento
Artiglieria
Fermino Biscaglia, soldato 8° Rgt. Alpini, da
Treppo Grande
Modesto Rocco Bizzotto, carabiniere nucleo
scorte, da Mussolente
Pietro Blasina, marittimo equipaggio civile,
da Albona
Giovanni Boano, soldato 8° Rgt. Alpini, da
Scorsolengo
Giovanni Boano, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Rocca Ciliè
Costantino Boccalatte, colonnello 8° Rgt.
Alpini, da Finale Ligure
Antonio Bocchini, caporale 346° Autoreparto
Alberto Boisco, sergente maggiore compagnia
comando 8° Rgt. Alpini, da Feltre
Pietro Boito, caporale maggiore VIII Nucleo
Sussistenza, da San Mauro
Battista Bombardella, soldato 308a
Sezione di Sanità, da San Vito al Tagliamento
Michele Bonello, capitano compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Torino
Giovanni Bonesso, capitano medico 629°
Ospedale da Campo, da Ponzano Veneto (*)
Angelo Pietro Giovanni Bono, carabiniere
nucleo scorte, da Carrodano
Giuseppe Bono, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Fossano (*)
Felice Bonzani, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Medesano
Vittorio Boreaniz, soldato Btg. Alpini
“Cividale”, da Tarcento (*)
Luigi Bornia, caporale 69a
Compagnia Alpini, da Zeri
Gelindo Boschi, caporale 69a
Compagnia Alpini, da Tizzano
Sincero Bottarelli, caporale 69a
Compagnia Alpini, da Medesano
Pietro Boraschi, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Polanzano
Bruno Borchini, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Lesignano
Nando Borchini, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Langhirano
Primo Bordi, soldato 69a Compagnia
Alpini, da Borgo Taro
Pietro Borellini, soldato 814° Ospedale da
Campo, da Casalpusterlengo
Michele Boretto, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Savigliano
Francesco Borgo, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Gibo
Oreste Bortolussi, soldato 70a Compagnia
Alpini, da Clauzetto
Angelo Borzoni, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Borgo Taro
Luigi Boschi, soldato 2° Reggimento
Bersaglieri, da Castelnuovo di Garfagnana
Serafino Boscolo, marinaio Regia Marina
(equipaggio militare), da Chioggia (*)
Andrea Bosero, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Forgaria
Roberto Bosio, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Neive (*)
Giuseppe Bozzer, soldato 70a
Compagnia Alpini, da San Giorgio della Richinvelda
Alessandro Bragadin, caporale compagnia
comando 8° Rgt. Alpini, da San Vito al Tagliamento
Renato Brambilla, soldato 308a
Sezione di Sanità, da Velate (*)
Bernardino Brao, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Valdieri (*)
Giuseppe Breda, soldato 2° Reggimento
Bersaglieri, da Turri Valignani
Renato Brezzani, cameriere (equipaggio civile),
da Trieste
Antonio Briglione, soldato, da Moncalieri (*)
Antonio Brignone, soldato 308a
Sezione di Sanità, da Moncalieri
Vincenzo Brun, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Chions
Michele Brunati, soldato 308a
Sezione di Sanità, da Vercelli
Celestino Bruno, caporale 70a
Compagnia Alpini, da Caiola (*)
Paolo Bruno, caporale maggiore 70a
Compagnia Alpini, da Ritana
Luigi Bruseghini, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Cavedine
Alfredo Brussolo, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Sesto al Reghena
Francesco Budica, operaio (equipaggio civile),
da Trieste
Domenico Buffa, soldato 630° Ospedale da
Campo, da Vita
Albino Bulfon, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Moggio Udinese
Augusto Bulfon, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Moggio Udinese
Mario Bullia, soldato 308a Sezione
di Sanità, da Trezzano Rosa
Antonio Bussani, fuochista, da Lussinpiccolo
Gabriele Buttazzoni, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Ragogna
Vito Buttiglione, cameriere (equipaggio
civile), da Gioia del Colle (*)
Angelo Buzzi, caporale maggiore 308a
Sezione di Sanità, da Monza (*)
Dario Buzzi, caporale 69a Compagnia
Alpini, da Cattabiano di Langhirano (*)
Silvio Buzzi, soldato 71a Compagnia
Alpini, da Pontebba
Giacomo Caccia, soldato, da Villa d’Ogna
Emilio Cadrobbi, soldato compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Paselga Pinè
Sabino Cafagna, soldato, da Barletta
Vincenzo Caffaro, soldato 630° Ospedale da
Campo, da Capodichino
Angelo Cagliendo, soldato (*)
Paolo Calassi, soldato 814° Ospedale da Campo,
da Compiano Gerbanova
Aldo Caldarini, soldato 308a
Sezione di Sanità, da Milano
Guerino Calzone, caporale VIII Nucleo
Sussistenza, da Bologna
Salvatore Camedda, carabiniere I Battaglione
Carabinieri Mobilitati, da Cabras
Nicola Cameati, soldato 630° Ospedale da
Campo, da Altamura
Mario Camera, caporale compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Bordighera
Umberto Campeis, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Pinzano
Tommaso Campese, sottotenente compagnia
comando 8° Rgt. Alpini, da Fondi (*)
Natale Pietro Canavese, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Pamparato
Giuseppe Cancian, soldato compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Spilimbergo (*)
Guido Cancian, caporale 70a
Compagnia Alpini, da San Giorgio della Richinvelda
Mario Canesi, soldato 71a Compagnia
Alpini, da Bollano
Giovanni Cannella, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Castel San Giovanni
Giovanni Cantarelli, soldato compagnia comando
8° Rgt. Alpini, da Fornovo di Taro
Antonio Canton, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Porcia (*)
Giusto Caparraro, caporale maggiore 70a
Compagnia Alpini, da Sondrio
Carlo Capezzuto, soldato, da Casigliano (*)
Giuseppe Domenico Caponi, soldato 2°
Reggimento Bersaglieri, da Barletta (*)
Raffaele Cappanera, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Bagnone
Giuseppe Cappella, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Borgo Taro
Ferdinando Cappuccini, carabiniere III
Battaglione Carabinieri, da Bagnoregio
Samuele Caprotti, soldato 308a
Sezione di Sanità, da Monza
Sebastiano Carbone, carabiniere XXI
Battaglione Carabinieri Mobilitati, da Spinazzola (*)
Virginio Carestiato, carabiniere nucleo
scorte, da Preganziol
Lino Caroli, soldato 70a Compagnia
Alpini, da Fornovo (*)
Giovanni Carrara, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Erto-Casso
Fiorentino Carrer, sergente 69a
Compagnia Alpini, da Vicenza (*)
Vito Carrieri, soldato 630° Ospedale da Campo,
da Ripanadiana
Vito Carrisi, marittimo equipaggio civile, da
Bari
Marco Cartosio, sottotenente 630° Ospedale da
Campo, da Genova
Giovanni Caruco, caporale maggiore 1°
Battaglione Movimento Stradale
Francesco Caruso, soldato VIII Nucleo
Sussistenza, da Girdinello
Lindo Casagrande, soldato 308a
Sezione di Sanità, da Vittorio Veneto
Luciano Casanova, sottotenente 630° Ospedale
da Campo, da Bologna
Arturo Caser, carabiniere I Battaglione
Carabinieri Mobilitati, da Canal San Bovo
Giovanni Casiraghi, soldato 308a
Sezione di Sanità, da Truggio
Amedeo Casnaghi, caporale maggiore 308a
Sezione di Sanità, da Milano
Francesco Cassardo, soldato 308a
Sezione di Sanità, da Trofarello
Carlo Angelo Cassinelli, capitano 8° Rgt.
Alpini, da Casale Monferrato
Antonio Castagna, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Bagnolo Piemonte
Davide Castellan, soldato 71a Compagnia
Alpini, da Valvasone
Osvaldo Castellan, caporale compagnia comando
8° Rgt. Alpini, da Valvasone
Lucio Castellano, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Flaibano
Beniamino Castellarin, soldato compagnia
comando 8° Rgt. Alpini, da Casarsa della Delizia (*)
Osvaldo Castellarin, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Casarsa della Delizia
Paolo Castelli, soldato 814° Ospedale da
Campo, da Milano
Riccardo Castelli, soldato 308a
Sezione di Sanità, da San Lorenzo
Salvatore Catanzaro, secondo capo nocchiere
Regia Marina, da Patti
Ettore Cattani, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Corniglio
Antonio Cavalli, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Begonia
Giulio Cavalli, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Corniglio
Ferdinando Ceccarelli, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Pariana
Giovanni Cecchini, cameriere (equipaggio
civile), da Trieste
Umberto Cecile, soldato 308a
Sezione di Sanità, da Bardonecchia
Antonio Cecon, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Dogna
Giacomo Cedolin, soldato compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Vito d’Asio (*)
Alcide Celotti, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Majano (*)
Guglielmo Celso, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Neive
Antonio Centis, soldato compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da San Vito al Tagliamento
Lino Centis, soldato 70a Compagnia
Alpini, da San Vito al Tagliamento (*)
Michele Centis, caporale 70a
Compagnia Alpini, da San Vito al Tagliamento
Tarcisio Centis, soldato 70a
Compagnia Alpini, da San Vito al Tagliamento (*)
Giuseppe Ceresini, soldato 2° Reggimento
Bersaglieri, da Castelli
Emidio Cesare, soldato compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Chiusaforte
Silvio Cesca, soldato 69a Compagnia
Alpini, da Castelnuovo
Marino Cherubini, carabiniere XXI Battaglione
Carabinieri Mobilitati, da Appianano di Macerata
Danilo Chiarelli, tenente 308a
Sezione di Sanità, da Grosseto
Alfredo Chiavuzzo, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Sesto al Reghena
Tullio Chioldi, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Casola
Luciano Chiole, carpentiere (equipaggio
civile), da Cherso (*)
Davide Cicuto, caporale 69a
Compagnia Alpini, da Cordovado
Aniello Cimino, artigliere, da Racale
Giuseppe Cimolino, soldato compagnia comando
8° Rgt. Alpini, da Dignano
Francesco Cincinnato, elettricista (equipaggio civile), da Savona
Michele Cirillo, cuoco (equipaggio civile), da
Bari
Guglielmo Cisco, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Chiampo
Giacomo Citron, carabiniere XXI Battaglione
Carabinieri Mobilitati, da Conegliano
Pietro Cividino, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Majano
Paolo Clara, soldato 8° Rgt. Alpini, da
Chivasso
Sante Colaprico, soldato 629° Ospedale da
Campo, da Monopoli
Dante Coletti, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Forgaria
Romeo Collino, soldato 8° Rgt. Alpini, da
Forgaria (*)
Ernesto Colombe, soldato 814° Ospedale da
Campo, da Milano
Carlo Colombo, soldato VIII Nucleo
Sussistenza, da Castano Primo
Innocente Colonnello, soldato compagnia
comando 8° Rgt. Alpini, da Meduno (*)
Edmondo Colugnatti, cameriere (equipaggio
civile), da Trieste
Alessandro Colussi, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Casarsa della Delizia
Giuseppe Colussi, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Casarsa della Delizia
Osvaldo Colussi, soldato compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Casarsa della Delizia
Orazio Comandatore, carabiniere 683a
Sezione Carabinieri, da Gela (*)
Amelio Comessatti, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Dignano
Attilio Commenducci, brigadiere XXI
Battaglione Carabinieri Mobilitati
Giobatta Concina, soldato compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Clauzetto
Giuseppe Concordia, artigliere, da Popoli
Olivo Contardo, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Buia
Valentino Contardo, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Majano (*)
Igino Coppi, soldato 69a Compagnia
Alpini, da Corniglio
Lino Giuseppe Corazza, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Chions
Michele Cornacchia, soldato 629° Ospedale da
Campo, da Altamura
Attilio Corradini, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Pontremoli (*)
Matteo Corrado, soldato 629° Ospedale da
Campo, da Bancina
Antonio Cortese, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Neive
Mario Antonio Coruzzi, soldato compagnia
comando 8° Rgt. Alpini, da Felino
Marino Cossina, fuochista (equipaggio civile),
da Trieste (*)
Alberto Coutandin, soldato 308a
Sezione di Sanità, da Perosa Argentina
Giuseppe Cova, soldato 814° Ospedale da Campo,
da Milano
Massimo Covoni, soldato 629° Ospedale da
Campo, da Dodici Morelli
Primo Cozzarin, soldato 308a
Sezione di Sanità, da Cordenons
Francesco Cracogna, caporale maggiore 70a
Compagnia Alpini, da Tenzone (*)
Pietro Creola, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Caru Mondovì
Ettore Crippa, soldato 308a Sezione
di Sanità, da Lissone
Francesco Crisciani, marittimo equipaggio
civile, da Trieste
Marcello Crismani, cameriere (equipaggio
civile), da Trieste
Antonio Cristofoli, caporale 71a
Compagnia Alpini, da Sequals
Francesco Cucimato, marittimo equipaggio
civile, da Trieste
Luigi Curelli, appuntato dei Carabinieri, da
Aritzo (*)
Oreste Da Campo, soldato 629° Ospedale da
Campo, da Volpago
Michele Daghero, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Cumiana (*)
Giuseppe D’Agostinis, soldato compagnia
comando 8° Rgt. Alpini, da San Giorgio della Richinvelda (*)
Attilio D’Alberto, soldato VIII Nucleo
Sussistenza, da Feltre
Carlo D’Alessandro, capitano 8° Rgt. Alpini,
comandante interinale Btg. “Gemona”, da Teramo
Amleto D’Alessio, soldato, da Roma
Lillo D’Alessio, soldato, da Roma (*)
Bruno Dalla Corte, soldato 308a
Sezione di Sanità, da Servo Sovra Monte (*)
Erminio Dall’Alba, caporale maggiore 70a
Compagnia Alpini, da Tretto
Ezio Dal Ri, soldato 71a Compagnia
Alpini, da Nanno (*)
Giuseppe D’Andrea, caporale compagnia comando
8° Rgt. Alpini, da San Giorgio della Richinvelda (*)
Guglielmo D’Andrea, soldato compagnia comando
8° Rgt. Alpini, da San Giorgio Della Richinvelda (*)
Giuseppe Danelon, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Cordovado (*)
Severino Danelon, soldato compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da San Vito al Tagliamento (*)
Mario Daniele, soldato, da Larino
Emilio Dardani, soldato compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Fornovo di Taro
Evaristo Dariotti, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Chions
Afro Dazzi, soldato 69a Compagnia
Alpini, da Calestano
Luigi De Bona, caporale compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Belluno
Nicola De Bonis, mitragliere, da Roma (*)
Aldo De Cecco, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Trasaghis
Andrea De Cecco, soldato compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Trasaghis
Galliano De Cecco, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Tenzone
Vincenzo Deffeso, soldato 630° Ospedale da
Campo, da Terlizzi
Gino De Filippi, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Artegna
Giuseppe De Flavis, marconista (equipaggio
civile), da Bisenti
Cesare De Giorgi, soldato 814° Ospedale da
Campo, da Cologno al Sesia
Francesco Del Bianco, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Valvasone
Dante Del Bono, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Lesignano de’ Bagni
Paride Del Bono, soldato compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Lesignano (*)
Ortensio Del Degano, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Flaibano
Renato Del Gallo, soldato compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Travesto
Luigi Del Gobbo, secondo capo meccanico Regia
Marina, da Udine
Antonio Del Greco, soldato, da Busso
Giacomo Dellafior, caporale radiotelegrafista
5a Div. Alpina "Pusteria", da Ora (*)
Angelo Della Francesca, soldato 629° Ospedale
da Campo, da Milano
Adolfo Della Marina, caporale maggiore
compagnia comando 8° Rgt. Alpini, da Artegna (*)
Gino Dell’Amico, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Carrara
Giovanni Della Piana, caporale maggiore 70a
Compagnia Alpini, da Neive (*)
Gino Della Picca, soldato compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Dignano
Tullio Della Rosa, sergente maggiore 2°
Reggimento Bersaglieri, da Roma
Attilio Della Vedova, soldato 308a
Sezione di Sanità, da Parabiago
Mario Dell’Oca, soldato 814° Ospedale da
Campo, da Lipomo
Sergio Del Padrone, caporale compagnia comando
8° Rgt. Alpini, da Carrara
Luigi Del Piero, soldato compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Clauzetto
Calisto Del Pup, soldato 308a
Sezione di Sanità, da Cordenons
Gerardo Del Puppo, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Cordenons
Mario Del Rizzo, caporale 71a
Compagnia Alpini, da Chions
Michele Del Rosso, piccolo di camera (equipaggio civile)
Giuseppe Del Santo, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Zurlano
Erminio Del Zotto, soldato 308a
Sezione di Sanità, da Cordenons
Orazio De Michele, marinaio cannoniere Regia
Marina (equipaggio militare), da Messina
Vladimiro De Mirkovich, direttore di macchina
(equipaggio civile), da Trieste (*)
Lorenzo De Robertis, soldato
Leonardo D’Errico, tenente 69a
Compagnia Alpini, da Torino
Francesco De Stasio, soldato, da Napoli
Francesco De Stasio, marittimo equipaggio
civile, da Napoli
Romeo De Stefani, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Povo
Giovanni De Vincentis, sottocapo cannoniere
Regia Marina, da Gallico
Ferruccio De Vittor, soldato 70a
Compagnia Alpini, da San Vito al Tagliamento
Pietro Dezzani, soldato 308a
Sezione di Sanità, da Monte Grosso d’Asti
Giacomo Di Doi, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Trasaghis
Giuseppe D'Ignazio, sottocapo furiere Regia
Marina, da Monsampaolo del Tronto
Alfredo Di Giulio, soldato 2° Reggimento
Bersaglieri, da Colle Ranesca
Luigi Di Giuseppe, carbonaio (equipaggio civile), da Brindisi
Carmine Di Lauro, caporale maggiore, da Napoli
(*)
Aldo Di Lenardo, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Resia
Giulio Di Lenardo, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Resia
Giuseppe Di Lenardo, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Resia
Rocco Di Lollo, soldato, da Macchiagodena
Aurelio Di Marco, soldato 71a
Compagnia Alpini, a Dignano
Antonio Di Matteo, carabiniere I Battaglione
Carabinieri Mobilitati, da Ginosa
Donato Antonio D'Imperio, maresciallo dei
Carabinieri – nucleo scorte, da Montagano (*)
Alberto Di Nardo, soldato, da Tocco da
Casauria
Giacomo Dini, soldato 71a Compagnia
Alpini, da Corniglio
Antonio Di Nuzzo, soldato
Pietro Di Pancrazio, soldato 2° Reggimento
Bersaglieri, da Masciano
Giovanni Di Qual, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Rigolato (*)
Domenico Di Sabatino, soldato 2° Reggimento
Bersaglieri, da Teramo
Guido Di Sabatino, soldato 2° Reggimento
Bersaglieri, da Giulianova
Giovanni Di Salvatore, carabiniere 683a
Sezione Carabinieri, da Catania
Lino Di Sopra, carabiniere nucleo scorte, da
Forni Avoltri (*)
Vincenzo Di Terlizzi, soldato 630° Ospedale da
Campo, da Ruvo di Puglia
Angelo Di Tommaso, soldato, da Pescorocchiano
Bramante Di Santolo, caporale maggiore 70a
Compagnia Alpini, da Trasaghis
Gustavo Di Valle, soldato 8° Rgt. Alpini, da
Forni Avoltri
Natale Dolce, tenente 69a Compagnia
Alpini, da Codroipo
Oreste Domenico, carabiniere XXI Battaglione
Carabinieri Mobilitati
Enrico Donato, soldato 630° Ospedale da Campo,
da Ripa Candida
Angelo Doret, soldato 70a Compagnia
Alpini, da Sesto al Reghena
Giovanni Dorigo, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Tramonti di Sotto
Guerrino D’Orlando, soldato 629° Ospedale da
Campo, da Cazzaso di Tolmezzo (*)
Arnaldino Dreosti, soldato compagnia comando
8° Rgt. Alpini, da Majano
Roberto Driutti, soldato 69a Compagnia
Alpini, da Colloredo di Monte Albano
Leonardo Dulbecco, marinaio cannoniere
armaiolo Regia Marina (equipaggio militare), da Imperia
Giordano Duplancic, marinaio cannoniere Regia
Marina, da Spalato
Giuseppe Duretto, soldato compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Asti
Carlo Giovanni Ercoli, soldato, da Verona
Millo Erredi, soldato 814° Ospedale da Campo,
da Lugagnano
Giuseppe Evandri, soldato 2° Reggimento
Bersaglieri, da Montegilberto
Valentino Durisotti, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Buia
Matteo Duso, soldato 69a Compagnia
Alpini, da Lugo Vicentino
Giovanni Fabbro, caporale 71a
Compagnia Alpini, da Montereale Valcellina (*)
Italico Fabbro, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Majano
Giovanni Fabris, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Forni di Sotto
Francesco Faccini, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Corniglio
Giulio Faggi, caporale 71a
Compagnia Alpini, da Sesto Cornilio
Alessandro Falcomer, caporale maggiore 71a
Compagnia Alpini, da San Vito al Tagliamento
Bruno Faleschini, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Pontebba (*)
Franco Familume, artigliere, da Ancona
Giovanni Fanelli, caporale 2° Reggimento
Bersaglieri, da Casalvieri
Quinzio Fanfoni, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Fellegara
Giuseppe Fanizzi, caporale maggiore
d’artiglieria, da Bari (*)
Raffaele Fanizzi, soldato 630° Ospedale da
Campo, da Fusignano
Giuseppe Fant, caporale 69a
Compagnia Alpini, da Belluno
Gino Fantini, soldato 308a Sezione
di Sanità, da Feltre
Domenico Farina, soldato 308a
Sezione di Sanità, da Mottola
Michele Farina, soldato 814° Ospedale da
Campo, da Bergamo
Enrico Fasoli, caporale maggiore 814° Ospedale
da Campo, da Castelleone
Ileano Fassi, caporale maggiore 2° Reggimento
Bersaglieri, da Milano
Provino Fassone, soldato 8° Rgt. Alpini, da
Quarto (*)
Desiderio Federico, caporale 71a Compagnia
Alpini, da Chions
Giuseppe Fedolfi, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Traversatolo (*)
Ferruccio Ferfoglia, marittimo equipaggio
civile, da Trieste
Pietro Ferragotto, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Trasaghis
Remo Ferrari, soldato, da Mori
Terenzio Ferrari, caporale 71a
Compagnia Alpini, da Sasso
Giuseppe Francesco Ferraudi, soldato, da
Torino
Luigi Ferri, sergente 814° Ospedale da Campo,
da Milano
Mario Ferri, soldato 69a Compagnia
Alpini, da Salsomaggiore
Severino Ferroli, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Tramonti di Sotto
Spiridione Fido, tenente di vascello di
complemento Regia Marina (comandante militare), da Venezia
Andrea Filaferro, soldato compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Moggio Udinese
Camillo Filaferro, caporale 71a
Compagnia Alpini, da Pontebba
Luigi Filippazzi, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Trebozzo (*)
Angelo Filosi, caporale 31a
Compagnia Lavoratori, da Terracina
Ugo Finocchi, soldato 69a Compagnia
Alpini, da Salsomaggiore
Guido Finzi, soldato, da Verona
Giuseppe Fiorentino, soldato VIII Nucleo
Sussistenza, da Bagnolo del Salento
Giuseppe Fiori, soldato 2° Reggimento
Bersaglieri, da Curti
Giovanni Fioridi, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Cordovado
Carlo Florio, soldato 630° Ospedale da Campo,
da Napoli
Antonio Foladore, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Resia (*)
Francesco Follio, marittimo equipaggio civile (*)
Domenico Fontana, capitano 814° Ospedale da
Campo, da Milano
Vincenzo Formisani, soldato 308a
Sezione di Sanità, da Palermo
Francesco Fornari, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Neviano degli Arduini
Giuseppe Fornari, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Langhirano
Claudio Fortuna, cuoco (equipaggio civile), da
Trieste
Rocco Fortuna, carabiniere XXI Battaglione
Carabinieri Mobilitati, da Martina Franca (*)
Giuseppe Bernardo Fossati, carabiniere nucleo
scorte, da Pietrabruna
Onorato Frà, soldato 308a Sezione
di Sanità, da Brugliasco
Angelo Fracas, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Fontanafredda
Dante Franceschini, soldato compagnia comando
8° Rgt. Alpini, da Madrignano (*)
Ottavio Franceschini, soldato 69a
Compagnia Alpini, da San Daniele del Friuli
Luigi Francescutti, caporale compagnia comando
8° Rgt. Alpini, da Casarsa della Delizia
Sebastiano Francescutti, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Casarsa della Delizia (*)
Egidio Franchino, carabiniere I Battaglione
Carabinieri Mobilitati, da Rubiana
Giacobbe Frase, soldato 629° Ospedale da
Campo, da Fregona
Giacinto Franzin, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Neviano
Mario Freccia, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Caniparola
Ottavio Fria, soldato 630° Ospedale da Campo,
da Crotone
Vincenzo Fruscio, carabiniere XXI Battaglione
Carabinieri Mobilitati, da Amantea
Tiberio Furlani, fuochista (equipaggio
civile), da Trieste
Iconio Fusca, carabiniere I Battaglione
Carabinieri Mobilitati, da Cessaniti
Costantino Fuscettu, soldato 630° Ospedale da
Campo, da Assemini
Athos Gabelloni, caporale 69a
Compagnia Alpini, da Carrara
Francesco Gaffrè, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Vernante
Davide Gaiardo, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Morsano al Tagliamento
Antonio Gaio, soldato 630° Ospedale da Campo,
da Lamon (*)
Mario Galante, sergente compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Clauzetto
Galeazzo Galeazzi, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Monchio delle Corti
Gino Galeazzi, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Comano
Pietro Galiano, soldato 308a
Sezione di Sanità, da Bricherasio (*)
Pietro Galizia, caporale 71a
Compagnia Alpini, da Moggio Udinese
Rino Galizia, caporale 71a
Compagnia Alpini, da Moggio Udinese
Ugo Galli, soldato 308a Sezione di
Sanità, da Sesto San Giovanni
Alcide Gallina, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Neviano degli Arduini
Renato Gallina, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Neviano
Enrico Galvagni, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Lamon di Trento
Secondo Gambarotta, soldato, da Treviso (*)
Leonildo Gambarotto, soldato 308a
Sezione di Sanità, da San Pelagio
Pierino Gaspari, soldato 2° Reggimento
Bersaglieri, da Cannaro
Orlando Gasparri, soldato 2° Reggimento
Bersaglieri, da Albano Laziale
Domenico Gasperot, soldato 629° Ospedale da
Campo, da Pordenone
Bartolomeo Gastaldi, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Genoa (*)
Giobatta Gatti, soldato compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Ala
Gino Gazzanti, soldato VIII Nucleo
Sussistenza, da Fuori Porta a Mare
Giobatta Gerometta, soldato compagnia comando
8° Rgt. Alpini, da Vito d’Asio
Santino Generoni, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Fossala
Vincenzo Genna, soldato 630° Ospedale da
Campo, da Marsala
Giuseppe Gentili, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Avenza
Giuseppe Gesualdo, carabiniere XXI Battaglione
Carabinieri Mobilitati, da Barletta
Lorenzo Ghigo, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Fossano
Otello Ghillani, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Calestano
Giovanni Ghione, tenente 71a
Compagnia Alpini, da Cannelli (*)
Francesco Giacinto, marinaio Regia Marina, da
Patti
Emilio Giacomello, carabiniere I Battaglione
Carabinieri Mobilitati, da Padova
Giuseppe Giacosa, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Neive
Pierino Giana, soldato 308a Sezione
di Sanità, da Vanzaghello
Carlo Giannandrea, caporale maggiore 69a
Compagnia Alpini, da Aversa
Fiore Giannarelli, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Follo
Giovanni Giargia, caporale compagnia comando
8° Rgt. Alpini, da Aliano d’Asti
Nestore Gibtu, soldato VIII Nucleo
Sussistenza, da Cavarrese
Giacomo Giordani, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Meduno
Italo Giovannelli, caporale maggiore 71a
Compagnia Alpini, da Avenza
Celso Girardi, caporale maggiore 70a
Compagnia Alpini, da Cordovado
Giuseppe Giraudo, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Vignolo
Francesco Girolamo, soldato 629° Ospedale da
Campo, da Albarello (*)
Marino Giudici, soldato 630° Ospedale da
Campo, da Gorizia
Ermes Giuffredi, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Langhirano
Alfonso Goldoni, soldato 2° Reggimento
Bersaglieri, da Modena (*)
Daniele Gortan, soldato 8° Rgt. Alpini, da
Paularo
Giovanni Gottoio, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Uccea di Resia
Ernesto Granzotto, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Susegana
Antonio Grassi, soldato 630° Ospedale da
Campo, da Gravina
Santino Grassi, soldato 308a
Sezione di Sanità, da Bragagna
Ottavio Grazioli, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Rovere della Luna
Giovanni Grechi, soldato 630° Ospedale da
Campo, da Montefiore (*)
Antonio Gri, caporale compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Valvasone
Luigi Grotta, soldato 2° Reggimento
Bersaglieri, da Teramo
Matteo Lauro Grotto, soldato 629° Ospedale da
Campo, da Salerno
Paolo Guadagnini, caporale 308a
Sezione di Sanità, da Torino
Giuseppe Guarnieri, capitano dell’Esercito,
Regio Commissario Militare di bordo (*)
Ugo Guazzelli, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Villafranca
Antonio Iacovini, soldato
Egone Illicher, ufficiale di coperta
(equipaggio civile), da Trieste
Umberto Infanti, soldato compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Sesto al Reghena (*)
Pietro Innocente, soldato compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Mosano al Tagliamento
Adolfo Iori, soldato 71a Compagnia
Alpini, da Canazei (*)
Battista Isoardi, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Salnazzo (*)
Aldo Iuvenal, soldato compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Fenestrelle
Vito Ivone, milite della Regia Guardia di
Finanza di Trieste, da Monopoli
Mario Kjuder (o Kinder), cameriere (equipaggio
civile), da Trieste (*)
Nevio Lago, cuoco (equipaggio civile), da
Trieste
Gerolamo Lancini, carabiniere XXI Battaglione
Carabinieri Mobilitati, da Erbusco (*)
Salvatore La Barca, soldato 308a
Sezione di Sanità, da Palermo
Mario Larger, caporale 71a
Compagnia Alpini, da Castello di Fiemme
Lino Larini, soldato 69a Compagnia
Alpini, da Solignano
Marcello Lattanzi, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Carrara
Raffaele Laurino, soldato 308a Sezione
di Sanità, da Tito Potenza
Giacomo Lazzari, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Felino
Giuseppe Lazzaroni, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Bergamo (*)
Antonio Legari, marinaio servizi vari Regia
Marina (equipaggio militare), da Tricase
Antonio Carlo Giuseppe Legge, artigliere, da
Fagnano Alto
Amedeo Lello, soldato 2° Reggimento
Bersaglieri, da Monte Granaro
Carlo Lemmo, sottotenente 814° Ospedale da
Campo, da Milano
Pietro Lencini, soldato compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Langhirano (*)
Giovanni Leon, caporale 69a
Compagnia Alpini, da Zanè (*)
Giovanni Leone, soldato compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Valvasone
Libero Leone, carabiniere I Battaglione
Carabinieri Mobilitati, da Bonifati
Nelson Leveroni, secondo macchinista
(equipaggio civile), da Genova
Alcide Lizzi, soldato 71a Compagnia
Alpini, da Majano
Lino Lodi, vicebrigadiere XXI Battaglione
Carabinieri Mobilitati
Pietro Lo Galbo, marinaio fuochista Regia
Marina, da Palermo (*)
Ettore Londero, sergente compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Gemona
Silvio Londero, soldato compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Gemona
Antonio Lopez, giovanotto (equipaggio civile), da
Bari
Chiaffredo Lorenzati, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Ostana
Valentino Lorenzi, soldato 8° Rgt. Alpini, da
Claut (*)
Silvio Lorenzi, soldato compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Avio
Daniele Lorenzini, soldato compagnia comando
8° Rgt. Alpini, da Vito d’Asio
Vittorio Lori, soldato compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Langhirano
Nicola Lo Russo, panettiere (equipaggio civile), da Bari
Angelo Losa, soldato 308a Sezione
di Sanità, da Arluno
Gino Lo Stuzzo, soldato compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Buia
Giuseppe Lo Vecchio, carabiniere nucleo
scorte, da Modugno
Alessandro Lovezzi, soldato 1° Battaglione
Movimento Stradale
Nicola Lovino, soldato 2° Reggimento
Bersaglieri, da Ruvo di Puglia
Luigi Lucca, soldato 69a Compagnia
Alpini, da Chions
Eugenio Lucchese, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Caneva di Sacile
Vincenzo Luche, soldato 814° Ospedale da
Campo, da Nuoro
Antonio Lumettini, caporale 69a
Compagnia Alpini, da Fivizzano
Eber Lunghi, soldato 2° Reggimento
Bersaglieri, da Ferrara (*)
Nicola Lunesu, soldato 814° Ospedale da Campo,
da Oratelli
Egisto Lupi, maresciallo XXI Battaglione
Carabinieri Mobilitati
Antonio Macasso, soldato 308a
Sezione di Sanità, da Sant’Odorico al Tagliamento
Quinto Macor, soldato 71a Compagnia
Alpini, da Pontebba (*)
Mario Madotto, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Oseacco di Resia
Torello Maggi, soldato 159° Autoreparto (*)
Luigi Maggiani, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Carrara
Ettore Maggini, carabiniere XXI Battaglione
Carabinieri Mobilitati, da Livorno (*)
Secondo Maggiorotto, soldato compagnia comando
8° Rgt. Alpini, da Asti
Ugo Magni, sergente 308a Sezione di
Sanità, da Milano
Vittorio Malagutti, soldato VIII Nucleo
Sussistenza, da Nicena Due Pezzi
Isaia Mallegni, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Poggialo
Arnaldo Malmassari, caporale 69a
Compagnia Alpini, da Palanzano (*)
Pietro Malpeli, caporale compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Pellegrino Parmense (*)
Giovanni Malusardi, caporale 71a
Compagnia Alpini, da Milano Lidraga
Icilio Manara, soldato 32a
Compagnia Artieri, da Langhirano (*)
Angelo Mandrile, soldato compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Asti
Gino Manfredi, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Albereto
Enzo Mangolino, soldato VIII Nucleo
Sussistenza, da Voghenza
Euripide Mangini, soldato 629° Ospedale da
Campo, da Affile
Clemente Manici, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Tizzano
Alfredo (o Pietro) Mannella, camicia nera, da
La Spezia
Remo Mansutti, carabiniere nucleo scorte, da
Tricesimo (*)
Giovanni Marafatti, caporale 71a
Compagnia Alpini, da Villafranca in Lunigiana
Mario Marcante, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Zugliano
Angelo Marchet, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Ramoscello (*)
Antonio Marchi, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Domanins
Pasquale Marchisio, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Savigliano (*)
Ego Marcolin, caporale 71a
Compagnia Alpini, da Chions
Albino Marcon, soldato 70a
Compagnia Alpini, da San Vito al Tagliamento
Aldo Marcon, soldato, da Chiusaforte
Adolfo Margaritta, soldato compagnia comando
8° Rgt. Alpini, da Travesio
Prospero Marini, secondo nostromo (equipaggio
civile), da Lesina
Giuseppe Marinoni, soldato 814° Ospedale da
Campo, da Milano
Luigi Maronese, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Pravisdomini
Vittorio Martelli, cameriere (equipaggio
civile), da Trieste
Giuseppe Martin, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Valvasone
Giuseppe Martini, soldato compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Gemona
Umberto Martoni, carabiniere I Battaglione
Carabinieri Mobilitati, da Portogruaro
Vittorio Marzin, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Morsano
Tarcisio Mattiussi, caporale compagnia comando
8° Rgt. Alpini, da Artegna
Luigi Maronese, sergente compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Pravisdomini (*)
Gino Marozzi, soldato 2° Reggimento
Bersaglieri, da Folignano
Marco Masera, soldato 70a Compagnia
Alpini, da Frosasco
Umberto Masini, caporale maggiore 69a
Compagnia Alpini, da Forgaria
Francesco Alfredo Masnaghi, carabiniere I
Battaglione Carabinieri Mobilitati, da Lonate Ceppino
Michele Massa, caporale 71a
Compagnia Alpini, da Lequio Berria
Sebastiano Massaroni, soldato 2° Reggimento
Bersaglieri, da Villa Santo Stefano
Lino Massello, soldato
Paolo Massello, sergente maggiore 69a
Compagnia Alpini, da Monterosso Grana (*)
Leonardo Massilia, soldato 308a
Sezione di Sanità, da Celio
Mario Maugeri, soldato 308a Sezione
di Sanità, da Niscemi
Vincenzo Mauro, soldato 630° Ospedale da
Campo, da San Ciufa
Roberto Mazzetti, caporale 2° Reggimento
Bersaglieri, da Pianoro
Luca Mazzillis, soldato 308a
Sezione di Sanità, da Cavalicco (*)
Amedeo Mecci, caporale 70a
Compagnia Alpini, da Varsi
Egidio Medda, soldato 629° Ospedale da Campo,
da Nuragos
Luciano Melchior, caporale maggiore 70a
Compagnia Alpini, da Fagagna
Gelindo Menardi, soldato compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Sesto al Reghena
Giovanni Meschi, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Tornolo
Ciro Miani, soldato 70a Compagnia
Alpini, da Rive d’Arcano
Gaetano Micchio, soldato 630° Ospedale da
Campo, da Palo del Colle
Lino Micelli, caporale 70a
Compagnia Alpini, da Resia
Giacomo Micheli, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Begonia
Giovanni Michelon, soldato compagnia comando
8° Rgt. Alpini, da Fora
Aldo Michelutti, soldato 308a
Sezione di Sanità, da Rodeano Basso
Riccardo Micheluz, soldato 308a
Sezione di Sanità, da Rorai Grande
Giuseppe Milandri, carabiniere 682a
Sezione Carabinieri, da Cesena (*)
Lino Minisini, caporale 69a
Compagnia Alpini, da San Daniele del Friuli
Eugenio Miniutti, caporale maggiore 70a
Compagnia Alpini, da Tramonti di Sotto
Natale Miniutti, soldato 69a Compagnia
Alpini, da Tramonti di Sotto (*)
Giovanni Minold, soldato 71a
Compagnia Alpini, da San Giovanni al Natisone
Alberico Mior, soldato compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da San Vito al Tagliamento
Gino Mior, soldato 70a Compagnia
Alpini, da Tramonti di Sotto
Rocco Miranda, carabiniere XXI Battaglione
Carabinieri Mobilitati, da Tolve (*)
Bruno Miraz, cameriere (equipaggio civile), da
Trieste
Davide Misnetti, soldato
Guido Missori, cameriere (equipaggio civile),
da Trieste (*)
Giovanni Mistrali, soldato 71a Compagnia
Alpini, da Langhirano
Giuseppe Modolo, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Polcenigo
Giovanni Moglia, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Calice di Bedonia
Vittorio Moglia, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Bedonia
Pietro Molinari, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Varsi
Pietro Molinaro, soldato 629° Ospedale da
Campo, da Forgaria
Silvio Molinaro, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Forgaria (*)
Cosimo Moliterno, soldato 630° Ospedale da
Campo, da Monopoli (*)
Mario Montanini, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Traversatolo
Ermenegildo Montico, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Chions
Giobatta Morandini, caporale 71a
Compagnia Alpini, da Predazzo
Gaetano Morelli, piccolo di cucina (equipaggio civile), da Bari
Francesco Morello, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Olmiana (*)
Federico Moretti, caporale 69a
Compagnia Alpini, da Pravisdomini
Marino Moretti, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Chions
Severino Moretti, caporale 70a
Compagnia Alpini, da Moggio Udinese (*)
Albino Moro, soldato 71a Compagnia
Alpini, da Artegna
Ottavio Moroni, soldato 629° Ospedale da
Campo, da Milano
Giovanni Moscon, soldato compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da San Michele Adige (*)
Giulio Mostallino, soldato 308a
Sezione di Sanità, da San Gavino
Bruno Mosti, soldato 70a Compagnia
Alpini, da Massa
Venanzio Moznich, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Resia
Giovanni Muccignat, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Fratina
Stefano Muraro, caporale maggiore compagnia
comando 8° Rgt. Alpini, da Schio
Luigi Nadalin, sergente 70a
Compagnia Alpini, da Morsano al Tagliamento
Ugo Nadalin, soldato 70a Compagnia
Alpini, da Morsano
Dario Nadalutti, sergente maggiore 71a
Compagnia Alpini, da Cividale
Giuseppe Nallino, soldato 70a
Compagnia Alpini, da San Biagio di Mondovì (*)
Alberto Nardi, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Marano Vicentino
Primo Nardo, soldato 70a Compagnia
Alpini, da Giovo
Salvatore Nasigrosso, fuochista (equipaggio civile), da Brindisi
Giovanni Nato, soldato 814° Ospedale da Campo,
da Cefalù
Antonio Natolino, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Majano
Alessandro Nebiolo, caporale maggiore 71a
Compagnia Alpini, da Loreto
Dino Nelli, soldato 2° Reggimento Bersaglieri,
da Salina di Volterra
Stefano Netto, soldato 630° Ospedale da Campo,
da Cappella Maggiore
Giobatta Nicolli, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Calvene
Leonardo Nicoloso, aiutante di battaglione 8°
Rgt. Alpini, da Udine (*)
Guglielmo Nocent, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Spilimbergo
Isidoro Nosella, soldato compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da San Vito al Tagliamento
Giuseppe Nulli, caporale compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Iseo
Lidio Oberti, cuoco (equipaggio civile), da
Trieste
Carlo Oblach, dispensiere (equipaggio civile),
da Trieste
Aldo Odorico, soldato 70a Compagnia
Alpini, da Sesto al Reghena
Alfredo Odorico, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Sesto al Reghena
Edoardo Odorico, soldato compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Sequals (*)
Pietro Oiello, caporale maggiore 1°
Battaglione Movimento Stradale
Lino Oliviero, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Langhirano (*)
Angelo Ortu, soldato 308a Sezione
di Sanità, da Grissini
Luigi Pagnotta, soldato VIII Nucleo
Sussistenza, da San Biagi
Tommaso Palanca, marinaio Regia Marina, da
Porto Recanati
Costantino Panero, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Fossano
Giuseppe Paolucci, soldato 2° Reggimento
Bersaglieri, da Onna
Gino Papais, soldato 71a Compagnia
Alpini, da Pravisdomini
Girolamo Papais, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Sesto al Reghena
Filiberto Paris, vicebrigadiere III
Battaglione Carabinieri, da Rieti
Battista Parodi, soldato VIII Nucleo
Sussistenza, da Acquasesia
Pietro Parrini, carabiniere I Battaglione
Carabinieri Mobilitati, da Scarperia
Egidio Pasani, secondo capo meccanico Regia
Marina, da Pallanza
Angelo Pascoli, sergente compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Ragogna
Francesco Pasquale, caporale 1° Battaglione
Movimento Stradale, da Val di Nizza
Sante Passarello, soldato 308a
Sezione di Sanità, da Mistretta
Ciro Pastore, marinaio cuoco Regia Marina, da
Napoli
Giacomo Pastorino, caporale maggiore 70a
Compagnia Alpini, da Nuse
Alessandro Pastrè, sergente compagnia comando
8° Rgt. Alpini, da Fenestrelle
Olinto Patatti, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Tolmezzo (*)
Carlo Paternolli, cameriere (equipaggio
civile), da Trieste
Armando Patterlini, brigadiere XXI Battaglione
Carabinieri Mobilitati, da Parma
Vincenzo Pavan, soldato compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Valvasone (*)
Gualtiero Pavani, primo cameriere (equipaggio
civile), da Trieste
Gino Paveglio, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Navarons
Giannino Pedretti, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Salsomaggiore
Francesco Pellegrini, soldato 629° Ospedale da
Campo, da Pravisdomini
Gaetano Pepe, carabiniere nucleo scorte, da
Acquarica del Capo
Luigi Pepe, carabiniere 68a Sezione
Mista Carabinieri, da Acquarica del Capo
Mario Perin, caporale 69a Compagnia
Alpini, da Sossano
Alberto Perini, soldato compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Grumes
Giobatta Perla, soldato 70a Compagnia
Alpini, da Cesana Torinese
Ernesto Peroncini, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Coce di Marinasco
Giulio Peroni, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Brentonico (*)
Ermenegildo Peruzzo, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Chions
Rino Pesamosca, soldato 71a Compagnia
Alpini, da Chiusaforte
Nando Pesci, soldato 69a Compagnia
Alpini, da Medesano (*)
Francesco Pesolo, carabiniere nucleo scorte,
da Foggia
Erimo Petacchi, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Fordinovo (*)
Carlo Petragno, soldato 814° Ospedale da
Campo, da Acquaviva
Ettore Petrasso, soldato VIII Nucleo
Sussistenza, da Montaldo Fugo
Fiore Petraz, soldato 70a Compagnia
Alpini, da Cordovado
Angelo Petrelli, carabiniere a disposizione
del Commissario militare di bordo, da Lizzanello
Livio Petrini, soldato 2° Reggimento
Bersaglieri, da Roma
Sergio Petrocchi, marinaio cannoniere Regia
Marina, da Genova
Nello Petronelli, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Neviano
Giovanni Petruccelli, caporale 630° Ospedale
da Campo, da San Severo
Antonio Pezzetta, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Colloredo di Monte Albano
Ettore Pezzetta, caporale maggiore 71a
Compagnia Alpini, da Ragogna
Enrico Piazza, caporale 71a
Compagnia Alpini, da Valli del Pasubio (*)
Annibale Picco, caporale 71a
Compagnia Alpini, da Bordano
Riccardo Picozzo, soldato, da Padova (*)
Arturo Piemonte, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Buia (*)
Vito Pierpaoli, marinaio cannoniere puntatore
mitragliere Regia Marina (equipaggio militare), da Ostra (*)
Carlo Pievani, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Scanzo
Luciano Pighin, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Majano (*)
Salvatore Pillia, soldato 308a
Sezione di Sanità, da San Sepolcro
Oreste Pillin, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Castelnuovo
Sebastiano Pinto, fuochista (equipaggio
civile)
Carlo Pippan, fuochista (equipaggio civile),
da Trieste
Giuseppe Pippo, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Valvasone
Giovanni Pisano, tenente 51a
Divisione Fanteria "Siena", da Napoli
Italo Pischiutta, soldato compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da San Daniele del Friuli
Mosè Pittaro, soldato 69a Compagnia
Alpini, da Valvasone (*)
Pietro Pittatore, caporale maggiore 70a
Compagnia Alpini, da Barolo
Rino Pittino, soldato 71a Compagnia
Alpini, da Dogna
Sebastiano Pittino, caporale 71a
Compagnia Alpini, da Dogna
Alfonso Pitruzzella, carabiniere nucleo
scorte, da Valguarnera Caropepe (*)
Gaetano Piva, soldato VIII Nucleo Sussistenza,
da Torri di Quartesolo
Pietro Pivotto, soldato 346° Autoreparto, da
Marostica
Giulio Pizzuti, sergente 2° Reggimento
Bersaglieri, da Roma
Romeo Poegliano, soldato 629° Ospedale da
Campo, da Paderno di Bolzano
Vittorio Polesello, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Majano
Pietro Poletto, soldato compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Mombaruzzo (*)
Pasquale Ponteduro, marinaio cannoniere Regia
Marina, da Zara
Mario Pozzani, soldato 814° Ospedale da Campo,
da Lecco
Matteo Pozzani, cameriere (equipaggio civile),
da Cattaro
Adolfo Pozzoni, soldato 308a
Sezione di Sanità, da Como
Michele Pracca, soldato 308a
Sezione di Sanità, da Volpera
Giacomo Pradella, caporale 69a
Compagnia Alpini, da Longarone
Dante Pranzi, sergente 308a Sezione
di Sanità, da Torino
Daniele Praturlon, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Sesto al Reghena
Antonio Pregarc, panettiere (equipaggio
civile)
Mario Presenti, soldato, da Cortona
Cirillo Primus, soldato 69a Compagnia
Alpini, da Paluzza
Salvatore Puggioni, carabiniere nucleo scorte,
da San Vero Milis
Pietro Pullara, soldato 629° Ospedale da
Campo, da San Giuseppe
Antonio Puppone, carabiniere I Battaglione
Carabinieri Mobilitati
Luigi Quaglia, soldato 308a Sezione
di Sanità, da Torino
Francesco Quagliozzi, appuntato I Battaglione
Carabinieri Mobilitati, da Napoli
Giacomo Quatrocchi, secondo capo cannoniere
puntatore scelto Regia Marina, da Mezzano
Marino Querin, soldato 629° Ospedale da Campo,
da Casarsa della Delizia
Giuseppe Querin, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Casarsa della Delizia
Giordano Quai, caporale maggiore 69a
Compagnia Alpini, da San Daniele del Friuli
Severino Quai, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Majano
Salvatore Raciullo, soldato 308a
Sezione di Sanità, da Napoli
Agostino Ragazzi, soldato 814° Ospedale da
Campo, da Caboletto Cossadano
Giorgio Raggi, commissario di bordo
(equipaggio civile), da Trieste
Agostino Raineri, soldato compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Fossano
Basilio Ranieri, artigliere, da Guardiagrele
Stefano Ranzani, caporale 308a
Sezione di Sanità, da Milano
Lamberto Ravazzoni, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Milano
Francesco Ravello, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Trezzo Tinella
Carlo Ravetti, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Asti
Aldo Re, sottotenente 71a Compagnia
Alpini, da Morbegno
Giuseppe Rediconda, soldato VIII Nucleo
Sussistenza, da Cordenons
Pietro Renna, soldato 629° Ospedale da Campo,
da Manduria
Giulio Resta, carabiniere nucleo scorte, da
Palagiano
Guido Restori, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Pellegrino Parmense
Silvio Ricciadi, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Massa
Francesco Paolo Ricevuto, carabiniere nucleo
scorte, da Trapani
Albino Richiero, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Bruino
Franco Riddei, soldato 629° Ospedale da Campo,
da Rojo Piano
Angelo Rivolta, soldato 308a
Sezione di Sanità, da Vanzaghello
Arminio Rivolta, soldato 308a
Sezione di Sanità, da Macchesio
Anello Rizzi, soldato VIII Nucleo Sussistenza,
da San Pietro Vara
Giovanni Rizzo, soldato 629° Ospedale da
Campo, da Torre di Pordenone
Rosario Rocchetta, soldato 2° Reggimento
Bersaglieri, da Sciara
Giovanni Rolandelli, sergente 2° Reggimento
Bersaglieri, da Genova (*)
Giuseppe Rolleri, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Bedonia (*)
Antonio Secondo Roia, soldato compagnia
comando 8° Rgt. Alpini, da Prato Carnico (*)
Primo Ros, soldato 70a Compagnia
Alpini, da Sesto al Reghena
Angelo Rosa, caporale 70a Compagnia
Alpini, da Casarsa della Delizia
Savio Rossetti, soldato 814° Ospedale da
Campo, da Padova
Antonio Rossi, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Pinzano
Domenico Rossi, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Palanzano
Galliano Rossi, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Interneppo
Matteo Rossi, soldato 69a Compagnia
Alpini, da Tizzano
Francesco Rossit, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Pravisdomini
Domenico Rubini, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Tizzano
Vittorio Ruffinato, soldato 8° Rgt. Alpini, da
Cumiana
Antonio Ruina, secondo macchinista (equipaggio
civile)
Luigi Sacchet, soldato 8° Rgt. Alpini, da
Castellavazzo
Giuseppe Saggese, ufficiale radiotelegrafista
(equipaggio civile), da Rodi Garganico
Aldo Salmi, soldato 71a Compagnia
Alpini, da Valmozzala (*)
Pietro Salmi, soldato 70a Compagnia
Alpini, da Salsomaggiore Terme (*)
Benvenuto Salvetti, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Carrara (*)
Dino Sanelli, soldato compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Solecchio (*)
Vincenzo Sanfilippo, marinaio segnalatore
Regia Marina (equipaggio militare), da Catania
Vittorio Sanfilippo, cameriere (equipaggio
civile), da Trieste
Vitalio Sanna, soldato 630° Ospedale da Campo,
da San Gavino Monreale
Giuseppe Sansevero, soldato 629° Ospedale da
Campo, da Filetto
Olindo Santarini, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Carrara
Primo Santarossa, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Pordenone
Nicola Santi, soldato 2° Reggimento
Bersaglieri, da Sulmona
Giuseppe Santoro, artigliere, da Calvello
Francesco Santucci, caporale 70a
Compagnia Alpini, da Marina di Massa
Giuseppe Sapone, soldato 2° Reggimento
Bersaglieri, da Barletta
Giuseppe Sarcinella, fuochista (equipaggio civile), da Mola di Bari (*)
Aurelio Sardo (Sardozk), giovanotto di camera
(equipaggio civile), da Trieste
Aldo Sarpellon, sottotenente 71a
Compagnia Alpini, da Osoppo
Gino Sartori, sottotenente 71a
Compagnia Alpini, da Trento
Nicolò Sartori, soldato compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da San Vito al Tagliamento
Ferruccio Sava, sergente 71a
Compagnia Alpini, da Buia
Renato Savi, soldato 629° Ospedale da Campo,
da Cerchiano
Lorenzo Savorè, maggiore 8° Rgt. Alpini, da
Pinerolo (*)
Luigi Sbaizero, caporale 70a
Compagnia Alpini, da Rive d’Arcano
Pietro Sblattero, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Travesio
Domenico Scabio, caporale compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Spilimbergo (*)
Gaetano Scaco, soldato 308a Sezione
di Sanità, da Scordia
Efisio Scanu, carabiniere I Battaglione
Carabinieri Mobilitati
Salvatore Scapato, carabiniere nucleo scorte (*)
Vincenzo Scarano, soldato, da Palagiano
Silvio Scarola, soldato 308a
Sezione di Sanità, da Monale d’Asti
Giovanni Scarpelli, carabiniere 682a
Sezione Carabinieri Motorizzata, da Palazzuolo sul Senio
Donato Scattarella, fuochista (equipaggio civile), da Bari
Andrea Scauri, caporale 71a
Compagnia Alpini, da Fugazzolo
Nicolò Scebba, soldato 629° Ospedale da Campo,
da Monreale (*)
Pasquale Schiavino, soldato 630° Ospedale da
Campo, da Altamura
Mario Schiavon, tenente VIII Nucleo
Sussistenza, da Venezia
Attilio Sciabel, soldato 71a
Compagnia Alpini, da San Vito al Tagliamento (*)
Stefano Sciacca, marinaio Regia Marina, da
Barcellona Pozzo di Gotto (*)
Angelo Scodeller, soldato 70a
Compagnia Alpini, da San Vito al Tagliamento
Roberto Scolari, tenente 70a
Compagnia Alpini, da Torino
Alessandro Scruzzi, soldato compagnia comando
8° Rgt. Alpini, da Majano (*)
Otello Secchioni, milite 35° Battaglione
Camicie Nere, da Massa Marittima
Carlo Segale, capitano 69a
Compagnia Alpini, da Milano (*)
Dino Segalla, soldato 71a Compagnia
Alpini, da Lenzunno
Giuseppe Sella, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Valdagno (*)
Angelo Serafino, soldato compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Bagnasco
Primo Serati, soldato 71a Compagnia
Alpini, da Pontremoli
Carlo Serena, soldato 629° Ospedale da Campo,
da Picciche
Luigi Severini, caporale maggiore 630°
Ospedale da Campo, da Montebelluna
Jonello Giuseppe Sgarzi, carabiniere 682a
Sezione Carabinieri Motorizzata, da Granarolo dell’Emilia
Antonio Sgoifo, soldato 70a
Compagnia Alpini, da San Daniele (*)
Antonio Sgringella, soldato 630° Ospedale da
Campo, da Corato
Dante Sillari, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Corniglio
Nando Simazzoni, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Parma (*)
Enea Simeone, soldato 71a Compagnia
Alpini, da Dignano
Vito Lorenzo Simeone, carabiniere I
Battaglione Carabinieri Mobilitati, da Conca della Campania
Gelindo Simon, caporale compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Sesto al Reghena (*)
Roberto Simoncelli, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Filatiera
Antonio Simonetti, cameriere (equipaggio
civile), da Monfalcone (*)
Pietro Sina, soldato 69a Compagnia
Alpini, da Tramonti di Sotto
Paolo Sinacori, soldato 630° Ospedale da
Campo, da Castelvetrano
Lorenzo Sirolli, soldato 629° Ospedale da
Campo, da L’Aquila (*)
Lino Sisti, soldato 71a Compagnia
Alpini, da Fivizzano (*)
Pietro Soldi, artigliere, da Avigliano
Giuseppe Solito, soldato 629° Ospedale da
Campo, da Volturara
Carlo Sonego, soldato 629° Ospedale da Campo,
da Azzano Decimo (*)
Beniamino Spadoni, soldato 71a Compagnia
Alpini, da Casola Lunigiana
Giovanni Spamu, soldato 630° Ospedale da
Campo, da Semestone
Massimiliano Spazian, soldato, da Legnago
Giuseppe Speranza, marinaio Regia Marina, da
Molfetta (*)
Aldo Spessot, cameriere (equipaggio civile),
da Trieste
Domenico Spinelli, soldato 629° Ospedale da
Campo, da Turci
Giuseppe Spolaort, caporale maggiore 630°
Ospedale da Campo, da Spinea
Ernesto Spollero, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Colloredo di Monte Albano
Giovanni Spollero, caporale 69a
Compagnia Alpini, da Colloredo di Monte Albano
Dante Stabile, brigadiere dei Carabinieri –
nucleo scorte, da Pontecagnano Faiano
Emanuele Stagnaro, comandante civile, da
Lavagna (*)
Domenico Stefanutti, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Trasaghis (*)
Libero Stefanutti, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Trasaghis
Valentino Stefanutti, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Trasaghis (*)
Giuseppe Sternativo, soldato 629° Ospedale da
Campo, da Francavilla Fontana
Luigi Sterni, cameriere (equipaggio civile),
da Trieste
Francesco Stivanello, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Cagollo (*)
Egildo Stracuzzi, carabiniere I Battaglione
Carabinieri Mobilitati, da Pagliara
Domenico Strossillo, soldato 629° Ospedale da
Campo, da Altamura
Ernesto Sut, soldato 71a Compagnia
Alpini, da Sesto al Reghena
Pacifico Taboga, caporale 69a
Compagnia Alpini, da Colloredo di Monte Albano
Francesco Taddei, sergente 308a
Sezione di Sanità, da L’Aquila
Beniamino Talamonti, brigadiere XXI
Battaglione Carabinieri Mobilitati, da Altidona
Attilio Talmon, soldato 308a Sezione
di Sanità, da Perosa Argentina
Nicolò Tambosco, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Forgaria
Siro Tami, sottotenente 70a
Compagnia Alpini, da Mestre
Pietro Tamiozzo, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Brendola
Dante Tardella, sergente 69a
Compagnia Alpini, da Pontecimato
Angelo Tassan Musset, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Marsure
Pietro Tassan Nadalin, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Marsure
Dante Tavasci, caporale maggiore 71a
Compagnia Alpini, da Montagna Valtellina
Giuseppe Taverna, caporale 69a Compagnia
Alpini, da Fornovo di Taro (*)
Arduino Tedeschi, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Pian di Molina
Innocente Teli, soldato
Alessandro Tellan, soldato 308a
Sezione di Sanità, da Pasiano di Pordenone
Giuseppe Teobaldo, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Rocca (*)
Fortunato Terrile, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Uscio (*)
Pietro Tessariol, soldato compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Montebelluna (*)
Paolo Tesserato, soldato compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Bergamo Taleggio
Cesare Testa, soldato 70a Compagnia
Alpini, da Moncalvo (*)
Ferdinando Testa, soldato 629° Ospedale da
Campo, da Sant’Elia a Pianisi
Nazareno Testa, soldato 2° Reggimento
Bersaglieri, da Viterbo
Marco Thiella, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Santorso
Alfeo Tissino, soldato compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da San Daniele del Friuli (*)
Raffaele Todaro, caporale VIII Nucleo
Sussistenza, da San Donato
Domenico Toffolo, soldato compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da San Giorgio della Richinvelda
Lino Tomada, soldato 71a Compagnia
Alpini, da Susans di Majano
Giovanni Tomasin, caporale 69a
Compagnia Alpini, da Casarsa della Delizia
Espedito Tomasini, capitano 630° Ospedale da
Campo, da Fermo
Egidio Tommasi, caporale compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Ala
Giobatta Tommasini, marinaio cannoniere Regia
Marina (equipaggio militare), da San Benedetto del Tronto (*)
Vittorio Toneguzzo, caporale 69a
Compagnia Alpini, da Cordovado
Virginio Tonello, caporale maggiore compagnia
comando 8° Rgt. Alpini, da Valvasone (*)
Bruno Toni, soldato, da San Benedetto Po
Alfredo Toniutti, sergente 71a
Compagnia Alpini, da Ragogna
Pietro Toniutti, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Ragogna (*)
Bruno Tonti, marittimo equipaggio civile
Giuseppe Torchio, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Alba
Guido Torrero, soldato 308a Sezione
di Sanità, da Sebastiano Po
Amedeo Torri, soldato 70a Compagnia
Alpini, da Palanzano
Giordano Torti, caporale compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Milano (*)
Teodoro Tortorini Ferrari, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Langhirano
Franco Tosi, sottotenente 8° Rgt. Alpini, da
Verona
Mario Toso, soldato 71a Compagnia
Alpini, da Scandeluzza (*)
Gino Tosoni, caporale 70a Compagnia
Alpini, da Resia
Ernesto Tracanelli, soldato 69a
Compagnia Alpini, da San Vito al Tagliamento (*)
Elio Tradotti, sergente 69a
Compagnia Alpini, da Ragogna
Cleto Travaglini, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Bagnone (*)
Marino Trevisan, soldato 70a
Compagnia Alpini, da San Vito al Tagliamento
Placido Trevisan, caporale 70a
Compagnia Alpini, da San Vito al Tagliamento (*)
Gino Trinzato, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Campo Longo Maggiore
Carlo Trovato, secondo ufficiale (equipaggio
civile), da Aci Bonaccorsi
Giuseppe Trupia, soldato 814° Ospedale da
Campo, da Palma di Montechiaro
Gianantonio Tullio, sottotenente VIII Nucleo
Sussistenza, da Foligno
Gino Tura, soldato 308a Sezione di
Sanità, da Rocca Pietore
Alfredo Turatto, carabiniere nucleo scorte, da
Ospedaletto Euganeo
Adelmo Ultrosi, soldato compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Sant’Andrea Bagni
Giovanni Urban, soldato 70a Compagnia
Alpini, da Trasaghis
Giobatta Urban, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Osoppo
Giovanni Vana, soldato 308a Sezione
di Sanità, da Settimo Torinese
Carlo Vanini, sottotenente 69a
Compagnia Alpini, da Milano
Silvio Vascon, terzo macchinista (equipaggio
civile), da Trieste (*)
Gaetano Veneziano, soldato, da Riesi (*)
Mirco Venir, soldato compagnia comando 8° Rgt.
Alpini, da Majano
Osvaldo Venturini, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Tizzano
Armidoro Verdoni, soldato 2° Reggimento
Bersaglieri, da Capestrano
Alessandro Verga, caporale 630° Ospedale da
Campo, da San Severo
Narcisio Vergerio, soldato VIII Nucleo
Sussistenza, da Busto Arsizio
Battista Vescovi, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Neviano degli Arduini
Vincenzo Vespa, vicebrigadiere dei Carabinieri
– nucleo scorte, da Golferenzo
Carmine Vettese, soldato 3° Reggimento
Artiglieria Contraerea, da San Biagio Saracinisco
Enzo Vettoni, soldato compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Fornovo di Taro
Cesare Vidotto, cameriere (equipaggio civile), da Trieste
Pietro Vidotto, marinaio (equipaggio civile),
da Rovigno
Edoardo Viezzi, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Majano
Giobatta Viganò, soldato 308a
Sezione di Sanità, da Macchesio
Francesco Vigneri, soldato 308a
Sezione di Sanità, da Torino
Guerrino Vignuda, soldato compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da San Daniele del Friuli
Martino Villa, soldato 308a Sezione
di Sanità, da Agrate Brianza
Pierino Vitali, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Lesignao
Ferdinando Villot, soldato compagnia comando
8° Rgt. Alpini, da Pragelato
Leonardo Volpatti, caporale compagnia comando
8° Rgt. Alpini, da Valvasone (*)
Alessandro Volpe, soldato 71a
Compagnia Alpini, da San Giorgio della Richinvelda
Gioacchino Vuano, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Susans di Majano
Alessandro Vuerich, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Pontebba (*)
Giuseppe Vuerich, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Studena Alta (*)
Oscar Zacchi, cuoco (equipaggio civile), da
Trieste (*)
Gino Zambellini, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Corniglio
Emilio Zambo, soldato VIII Nucleo Sussistenza,
da Milano
Giuseppe Zambon, soldato 71a Compagnia
Alpini, da Budoia
Aristide Zamolo, caporale 71a
Compagnia Alpini, da Tenzone
Primo Zampa, caporale 70a Compagnia
Alpini, da Colloredo di Monte Albano
Adolfo Zanelli, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Varsi (*)
Luigi Zanelli, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Bardi
Giobatta Zanier, soldato compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Clauzetto (*)
Giuseppe Zanon, soldato 70a
Compagnia Alpini, da Lugo
Ennio Zanoni, soldato 71a Compagnia
Alpini, da Carrara
Mariano Zecchini, carabiniere nucleo scorte,
da Bologna
Armando Zerbini, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Varano Melegari
Silvano Zilli, sergente 70a
Compagnia Alpini, da Sequals
Zefferino Ziveri, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Palanzano (*)
Sereno Zocca, soldato, da Vicenza (*)
Mario Zolli, soldato 70a Compagnia
Alpini, da Dignano
Gaetano Zongoli, fuochista (equipaggio
civile), da Brindisi (*)
Bernardo Zonta, soldato 346° Autoreparto
Pesante, da Cittadella (*)
Rodolfo Zoppè, cameriere (equipaggio civile),
da Pola
Oreste Zuccheri, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Salsomaggiore
Pietro Zucchiatti, soldato 69a
Compagnia Alpini, da Majano
Mario Zucco, carabiniere nucleo scorte, da
Fonzaso
Mario Zuffelato, soldato 71a
Compagnia Alpini, da Montebello
Riccardo Zumin, capitano compagnia comando 8°
Rgt. Alpini, da Trieste
Elio Zuttion, soldato 71a Compagnia
Alpini, da Rive d’Arcano
Mancano in questo elenco i nomi dei
prigionieri greci, che non è stato possibile rintracciare.
Il capitano di lungo corso Emanuele Stagnaro, nato a Lavagna il 31 marzo 1877, ultimo comandante del Galilea (g.c. Franco Lena, via www.naviearmatori.net) |
Il capitano Carlo D’Alessandro (da “La tragedia alpina del Galilea”, di Paolo Montina) |
Il capitano Gianfranco Bertolino (da “La tragedia alpina del Galilea”, di Paolo Montina) |
Il maggiore Lorenzo Savorè (da “La tragedia alpina del Galilea”, di Paolo Montina) |
L’alpino Daniele Barcella, 25 anni, da Chiuduno, disperso sul Galilea (da “Chiuduno, storia e cronaca” di Lionello Gaspari, via Rinaldo Monella/www.combattentibergamaschi.it) |
Il soldato Paolo Esposito Tesserato, da Taleggio, morto sul Galilea (g.c. Rinaldo Monella/www.combattentibergamaschi.it) |
Il soldato Innocente Teli, da Romano di Lombardia, morto sul Galilea (da “Soldati, storie di combattenti romanesi tra Ottocento e Novecento”, di Rinaldo Monella ed Anna Maria Calegari) |
Tra i tanti morti del
Galilea vi fu anche Paolo Guadagnini,
ultimo discendente di una rinomata stirpe di maestri liutai (lui stesso era
liutaio nella vita civile, con una ventina di violini realizzati ed una
carriera promettente davanti a sé): con lui morì una dinastia il cui fondatore
aveva rivaleggiato con Stradivari.
Un’altra delle tante vittime dell’affondamento fu il sergente Angelo Pascoli della «Julia», originario di Bassignana: sarebbe morto in guerra anche suo fratello Giovanni, lui pure alpino ma nella Divisione «Cuneense», catturato durante la ritirata di Russia e morto in prigionia nel campo di Tambov il 19 febbraio 1913. Una simile sorte sarebbe toccata anche a diversi superstiti del Galilea: tra di essi anche Ugo Pittin, come già detto.
Tra i superstiti vi fu invece il sergente Giovanni Bergoglio, astigiano: era cugino di secondo grado dell’argentino Jorge Maria Bergoglio (figlio di emigranti piemontesi), che all’epoca aveva sei anni, e che sarebbe divenuto il futuro Papa Francesco. Bergoglio si salvò insieme ad un altro sergente, suo fraterno amico, Roberto Macagno.
Superstite “miracolato” fu il sergente Agostino Vaccari, appartenente ad un ospedale da campo. Dopo aver passato la notte aggrappato a dei rottami, fu raccolto da alcuni pescatori dediti al recupero dei cadaveri galleggianti, che lo deposero sulla spiaggia insieme alle altre salme. Fu allora che si accorsero che era ancora vivo.
Secondo il ricordo di alcuni anziani abitanti di Paxos, un alpino giunse su una spiaggia di Antipaxos ancora vivo, aggrappato ad un rottame; diceva di chiamarsi Bruno e di appartenere al Battaglione «Val di Fassa» (facente parte della Divisione Alpina «Alpi Graie», all’epoca stanziata in Montengro). Secondo racconti locali, l’alpino fu curato e nascosto dagli isolani e si stabilì sull’isola, dove si sposò, visse a lungo e morì, venendo infine sepolto nel cimitero di Castanida.
Un altro sopravvissuto, tra i pochi ufficiali scampati, fu il cappellano degli Alpini don Marciano Ercolini: recuperato dopo lunga permanenza in acqua, riportò danni irreparabili alle corde vocali, tanto da restare con la voce rauca per il resto della vita.
Il disastro del Galilea indusse a disporre che il resto della Divisione «Julia» e le altre Divisioni Alpine destinate a formare l’ARMIR rientrassero in Italia via terra, in treno attraverso la Jugoslavia occupata, anziché via mare come in precedenza previsto. Rientrarono così via terra anche gli alpini sopravvissuti all’affondamento del Galilea, aggregati al 9° Reggimento Alpini.
Tra coloro che rimpatriarono in treno vi fu anche Bruno Galet; tornato al proprio paese, fruì di un mese di licenza, poi dovette ripresentarsi al proprio reparto. Per sua “fortuna”, dopo l’affondamento aveva sviluppato un esaurimento nervoso, ragion per cui venne stanziato a Monfalcone e non partecipò alla campagna di Russia.
L’affondamento del Galilea seminò una scia di lutto tra centinaia di famiglie del Friuli, terra da cui proveniva la maggior parte degli alpini del «Gemona». Agli alpini della «Julia» imbarcati sulle altre navi del convoglio (tutte giunte a destinazione), quando essi transitarono in treno nelle zone di reclutamento del «Gemona», la gente chiedeva notizie dei propri parenti: mentendo pietosamente, gli alpini rispondevano che si trovavano nelle tradotte successive.
Molti villaggi friulani persero cinque, dieci e più cittadini nell’affondamento del piroscafo. Il bilancio più luttuoso fu quello di San Vito al Tagliamento, centro di meno di 12.000 abitanti: furono ben diciannove i soldati originari di quel paese a perdere la vita sul Galilea. Anche peggiore, in rapporto alla popolazione, fu la tragedia che colpì Majano, che contò diciassette vittime a fronte di una popolazione che era la metà di quella di San Vito. Sesto al Reghena, di analoghe dimensioni, ebbe tredici vittime, così come Valvasone, che di abitanti ne aveva meno di tremila; Chions e Casarsa della Delizia contarono undici morti ciascuno, Resia dieci. Forgaria nel Friuli e Trasaghis persero nove figli sul Galilea, Ragogna, San Giorgio della Richinvelda e San Daniele del Friuli otto. Sette alpini originari di Colloredo di Monte Albano e sette di Tramonti di Sotto non fecero più ritorno, così come sei di Pravisdomini ed altrettanti di Moggio Udinese, Dignano, Buia e Cordovado. Il Galilea portò con sé cinque paesani di Clauzetto, cinque di Cordenons, cinque di Morsano al Tagliamento, cinque di Pontebba, cinque di Artegna.
Anche fuori dal Friuli ci furono paesi che persero più abitanti sul Galilea: soprattutto in Emilia, nelle valli dell’Appennino parmense, altro territorio di reclutamento dell’8° Reggimento Alpini. Lo sfortunato piroscafo divenne la tomba di dieci uomini di Langhirano, otto di Corniglio, sette di Neviano degli Arduini, cinque di Tizzano Val Parma, cinque di Fornovo di Taro, cinque a Lesignano de’ Bagni. Più a nord, Avio, in Trentino, pianse sette suoi cittadini inghiottiti dall’Adriatico. All’altro capo delle Alpi, nelle Langhe cuneesi, Neive lamentò sette caduti.
Zefferino Tomè, friulano di Casarsa che aveva perso molti amici alpini sul Galilea, scrisse (con l’aiuto di Albano Bianchet, amico di famiglia ed organista cieco della parrocchia) una marcia-inno sulla tragedia, che intitolò “Battaglion Gemona”. Tomè mandò testo e musica alla sede dell’EIAR di Roma, ma la risposta fu, sostanzialmente, che erano già giunte fin troppe manifestazioni di cordoglio per l’affondamento. La propaganda di regime non gradiva che si parlasse troppo di un disastro nel quale avevano perso la vita mille uomini, così “Battaglion Gemona” finì nel dimenticatoio. Fu il figlio Riccardo a riscoprirlo quasi per caso, settant’anni dopo, tra le carte del padre.
Lo stemma del Battaglione «Gemona» venne modificato: per commemorare la tragedia, caso unico nelle truppe alpine, vi fu inserita anche una (stilizzata) immagine del mare, che aveva inghiottito tanti suoi uomini.
Diversi monumenti dedicati alle vittime della tragedia sorsero in seguito in numerosi paesi del Friuli. Il più grande venne eretto nella frazione di Muris del comune di Ragogna (Udine); su di esso sono iscritti i nomi di tutti gli alpini del «Gemona» periti nell’affondamento. Vi si tiene ogni anno una commemorazione della tragedia, cui partecipano alcuni dei sempre più sparuti superstiti; per molti anni prese parte alla cerimonia anche il comandante della Mosto, il capitano di corvetta Delfino, cui la maggior parte dei naufraghi doveva la vita (molti lo chiamavano “secondo papà”).
Un’altra delle tante vittime dell’affondamento fu il sergente Angelo Pascoli della «Julia», originario di Bassignana: sarebbe morto in guerra anche suo fratello Giovanni, lui pure alpino ma nella Divisione «Cuneense», catturato durante la ritirata di Russia e morto in prigionia nel campo di Tambov il 19 febbraio 1913. Una simile sorte sarebbe toccata anche a diversi superstiti del Galilea: tra di essi anche Ugo Pittin, come già detto.
Tra i superstiti vi fu invece il sergente Giovanni Bergoglio, astigiano: era cugino di secondo grado dell’argentino Jorge Maria Bergoglio (figlio di emigranti piemontesi), che all’epoca aveva sei anni, e che sarebbe divenuto il futuro Papa Francesco. Bergoglio si salvò insieme ad un altro sergente, suo fraterno amico, Roberto Macagno.
Superstite “miracolato” fu il sergente Agostino Vaccari, appartenente ad un ospedale da campo. Dopo aver passato la notte aggrappato a dei rottami, fu raccolto da alcuni pescatori dediti al recupero dei cadaveri galleggianti, che lo deposero sulla spiaggia insieme alle altre salme. Fu allora che si accorsero che era ancora vivo.
Secondo il ricordo di alcuni anziani abitanti di Paxos, un alpino giunse su una spiaggia di Antipaxos ancora vivo, aggrappato ad un rottame; diceva di chiamarsi Bruno e di appartenere al Battaglione «Val di Fassa» (facente parte della Divisione Alpina «Alpi Graie», all’epoca stanziata in Montengro). Secondo racconti locali, l’alpino fu curato e nascosto dagli isolani e si stabilì sull’isola, dove si sposò, visse a lungo e morì, venendo infine sepolto nel cimitero di Castanida.
Un altro sopravvissuto, tra i pochi ufficiali scampati, fu il cappellano degli Alpini don Marciano Ercolini: recuperato dopo lunga permanenza in acqua, riportò danni irreparabili alle corde vocali, tanto da restare con la voce rauca per il resto della vita.
Il disastro del Galilea indusse a disporre che il resto della Divisione «Julia» e le altre Divisioni Alpine destinate a formare l’ARMIR rientrassero in Italia via terra, in treno attraverso la Jugoslavia occupata, anziché via mare come in precedenza previsto. Rientrarono così via terra anche gli alpini sopravvissuti all’affondamento del Galilea, aggregati al 9° Reggimento Alpini.
Tra coloro che rimpatriarono in treno vi fu anche Bruno Galet; tornato al proprio paese, fruì di un mese di licenza, poi dovette ripresentarsi al proprio reparto. Per sua “fortuna”, dopo l’affondamento aveva sviluppato un esaurimento nervoso, ragion per cui venne stanziato a Monfalcone e non partecipò alla campagna di Russia.
L’affondamento del Galilea seminò una scia di lutto tra centinaia di famiglie del Friuli, terra da cui proveniva la maggior parte degli alpini del «Gemona». Agli alpini della «Julia» imbarcati sulle altre navi del convoglio (tutte giunte a destinazione), quando essi transitarono in treno nelle zone di reclutamento del «Gemona», la gente chiedeva notizie dei propri parenti: mentendo pietosamente, gli alpini rispondevano che si trovavano nelle tradotte successive.
Molti villaggi friulani persero cinque, dieci e più cittadini nell’affondamento del piroscafo. Il bilancio più luttuoso fu quello di San Vito al Tagliamento, centro di meno di 12.000 abitanti: furono ben diciannove i soldati originari di quel paese a perdere la vita sul Galilea. Anche peggiore, in rapporto alla popolazione, fu la tragedia che colpì Majano, che contò diciassette vittime a fronte di una popolazione che era la metà di quella di San Vito. Sesto al Reghena, di analoghe dimensioni, ebbe tredici vittime, così come Valvasone, che di abitanti ne aveva meno di tremila; Chions e Casarsa della Delizia contarono undici morti ciascuno, Resia dieci. Forgaria nel Friuli e Trasaghis persero nove figli sul Galilea, Ragogna, San Giorgio della Richinvelda e San Daniele del Friuli otto. Sette alpini originari di Colloredo di Monte Albano e sette di Tramonti di Sotto non fecero più ritorno, così come sei di Pravisdomini ed altrettanti di Moggio Udinese, Dignano, Buia e Cordovado. Il Galilea portò con sé cinque paesani di Clauzetto, cinque di Cordenons, cinque di Morsano al Tagliamento, cinque di Pontebba, cinque di Artegna.
Anche fuori dal Friuli ci furono paesi che persero più abitanti sul Galilea: soprattutto in Emilia, nelle valli dell’Appennino parmense, altro territorio di reclutamento dell’8° Reggimento Alpini. Lo sfortunato piroscafo divenne la tomba di dieci uomini di Langhirano, otto di Corniglio, sette di Neviano degli Arduini, cinque di Tizzano Val Parma, cinque di Fornovo di Taro, cinque a Lesignano de’ Bagni. Più a nord, Avio, in Trentino, pianse sette suoi cittadini inghiottiti dall’Adriatico. All’altro capo delle Alpi, nelle Langhe cuneesi, Neive lamentò sette caduti.
Zefferino Tomè, friulano di Casarsa che aveva perso molti amici alpini sul Galilea, scrisse (con l’aiuto di Albano Bianchet, amico di famiglia ed organista cieco della parrocchia) una marcia-inno sulla tragedia, che intitolò “Battaglion Gemona”. Tomè mandò testo e musica alla sede dell’EIAR di Roma, ma la risposta fu, sostanzialmente, che erano già giunte fin troppe manifestazioni di cordoglio per l’affondamento. La propaganda di regime non gradiva che si parlasse troppo di un disastro nel quale avevano perso la vita mille uomini, così “Battaglion Gemona” finì nel dimenticatoio. Fu il figlio Riccardo a riscoprirlo quasi per caso, settant’anni dopo, tra le carte del padre.
Lo stemma del Battaglione «Gemona» venne modificato: per commemorare la tragedia, caso unico nelle truppe alpine, vi fu inserita anche una (stilizzata) immagine del mare, che aveva inghiottito tanti suoi uomini.
Diversi monumenti dedicati alle vittime della tragedia sorsero in seguito in numerosi paesi del Friuli. Il più grande venne eretto nella frazione di Muris del comune di Ragogna (Udine); su di esso sono iscritti i nomi di tutti gli alpini del «Gemona» periti nell’affondamento. Vi si tiene ogni anno una commemorazione della tragedia, cui partecipano alcuni dei sempre più sparuti superstiti; per molti anni prese parte alla cerimonia anche il comandante della Mosto, il capitano di corvetta Delfino, cui la maggior parte dei naufraghi doveva la vita (molti lo chiamavano “secondo papà”).
La relazione del tenente Giovanni Bernardinis al comando dell’8° Reggimento
Alpini:
“Secondo superiori
disposizioni il battaglione "Gemona", gli ospedali da campo 629, 630,
814, l'8 sezione Sanità Nucleo sussistenza, l'Ufficio Riservato ufficiali del
Comando 8° Alpini, l'Aiutante maggiore in 1, alcuni ufficiali del Comando e 2
ufficiali della Divisione, dovevano imbarcarsi la mattina del 27 marzo dal
porto di Poseidonia (Canale di Corinto) sulla nave "Galilea" che da alcuni giorni era
ferma nella rada a Lutraki, proveniente dal Pireo.
L'imbarco avvenne regolarmente a mezzo peschereggi [sic] e durò dalle ore 7
alle ore 15 circa.
Furono pure imbarcati materiali delle varie compagnie del Battaglione e dei
reparti minori.
A bordo si trovavano già militari e ufficiali isolati di vari reggimenti che
erano stati imbarcati al Pireo e che venivano in Italia per un periodo di
licenza.
Vi era pure un contingente di detenuti politici greci (64 più 6 donne) e
detenuti militari italiani, inviati in patria a scontare la loro pena.
Di scorta ad essi un picchetto di reali Carabinieri al Comando di un
maresciallo.
Contemporaneamente sui piroscafi "Crispi"
e "Viminale" procedevano
pure le oprazioni di imbarco di altri reparti della Divisione.
Mano a mano che i militari salivano a bordo venivano contati per il controllo
dei ruolini d'imbarco e poi inviati a cura del secondo ufficiale di bordo, nei
locali adibiti al soggiorno e al pernottamento della truppa.
A ciascun militare venne distribuito il salvagente ed a ogni gruppo fatte le
raccomandazioni da parte del maestro di casa, sull'uso di esso, sulle necessità
di tenere le scarpe slacciate, di non avere addosso, in caso di naufragio
indumenti che potessero impedire o vincolare i movimenti, sulla necessità di
non accendere fiammifferi o sigarette sulle passeggiate esterne o in posti ove
potessero essere visti dall'esterno.
Il capitano D'ALESANDRO, Comandante del Battaglione, salì a bordo fra gli
ultimi.
Sua prima cura fu di rendersi conto di persona ove erano alloggiati i suoi
uomini e, con un ufficiale per compagnia fece il giro di tutti gli
accantonamenti; egli e tutti gli ufficiali che lo seguivano avevano indossato
il salvagente.
Gli alloggi per la truppa erano costituiti: dai saloni di I e II classe, dalle
passeggiate dei ponti A e B e dai ponti di prua e di poppa.
Nell'interno della nave, sul ponte A le cabine degli ufficiali e su quello B
quelle dei sottufficiali.
Il salone del ponte B, sottostante il salone da pranzo, era pure adibito ad
allogio truppa.
Dopo colazione il Comandante del battaglione tenne rapporto a tutti gli
ufficiali; stabilì, oltre un turno di servizio generale, composto da un
ufficiale di guardia, un sottufficiale, 12 sentinelle, richiesto dal comandante
della nave, per la disciplina e l'ordine fra i militari, un servizio di
compagnia formato da un ufficiale e un sottufficiale nell'interno di ogni
accantonamento, per la durata di ore 4.
Fissò pure per ogni compagnia il punto di adunata pel l'afflusso alle scialuppe
di salvataggio in caso di sinistro.
Alle ore 20 suonò la mensa per gli ufficiali.
Quasi tutti si presentarono con il salvagente; il maestro di casa rinnovò a
tutti le raccomandazioni di stare, per il periodo della navigazione, senza
stivali, con le scarpe slacciate e senza indumenti che impedissero i movimenti.
Alle ore 21 le 3 navi, in linea di fila, salparono verso Patrasso, nessuna luce
visibile dall'esterno a bordo.
In navigazione fu notata la reazione contraerea che Patrasso offriva ad un
attacco aereo inglese.
Al nostro arrivo nel porto si seppe che si era trattato di aereosiluranti, uno
dei quali era stato abbattuto.
A Patrasso fu formato il convoglio che alle ore 13 del giorno 28 si mise in
movimento direzione ovest.
Il convoglio era così formato: incrociatore ausiliario, piroscafi "Viminale", "Piemonte", "Ardenza" [sic
– in realtà Aventino], "Galilea", "Crispi", "Italia", 4
torpediniere di scorta; aerei da ricognizione e da caccia sorvegliavano la
rotta.
La navigazione procedè regolarmente, colle torpediniere che pattugliavano il
mare e col capo convoglio che mutava continuamente rotta zigzagando.
Gli aerei rimasero sul cielo del convoglio fino all'imbrunire.
All'altezza di Capo Ducati, ore 18,30 circa, una esplosione avvenuta a qualche
centinaio di metri dalla nave, provocò un senso di stupore e di confusione a
bordo, fu spiegato che le navi di scorta stavano lanciando bombe di profondità:
alla prima esplosione seguirono a breve distanza altri scoppi, siamo nella zona
ove di solito sono in agguato i sommergibili.
Il tempo era stato incerto tutta la giornata, incominciò a peggiorare; raffiche
di vento e di pioggia, foschia a tratti più o meno densa.
Gli alpini che dormivano sui ponti allo scoperto, dopo il rancio serale,
avevano provveduto a stendere i teli per ripararsi dalla pioggia.
Verso le ore 19 dalla formazione in fila le navi passarono a quella di doppia
fila ed il "Galilea" venne
a trovarsi in prima riga affiancato sulla sinistra dal "Viminale".
Distanza fra le due navi 600-700 metri.
Dopo lo stato di pericolo la cena era stata anticipata alle ore 18,30.
Ufficiali di servizio nei vari alloggiamenti continuamente assicuravano che le
truppe rimanessero nei locali ad esse assegnati e che nessuna luce trapelasse
all'esterno, che nessun alpino circolasse con sigarette accese sui ponti o
passeggiate scoperte.
Gli ufficiali liberi dal servizio si erano trattenuti in sala da pranzo; dato
che la zona di maggior pericolo, a detta dei marittimi, si andava allontanando
mano a mano che si avvicinava la mezzanotte, parecchi ufficiali si erano
ritirati, verso le 22, nelle proprie cabine per riposare.
Fra questi il ten. col. BOCCALATTE, il magg. SAVORE', il cap. D'AlESSANDRO, il
cap. CASSINELLI, e vari tenenti e sottotenenti.
Un esiguo numero, unitamente a personale di bordo, era rimasto nel salone ad
ascoltare la radio che trasmetteva un atto della "Traviata".
Verso le 22,45 un urto, seguito immediatamente da uno scoppio volentissimo,
fece tremare la nave, infranse tutti i vetri e le lampadine nel salone da
pranzo.
Ognuno dei presenti cercò immediatamente di uscire nelle passeggiate,
incontrandosi per le scale con altri che affluivano dalle cabine e da
sottostante ponte B.
In breve tempo tutto il personale era all'aperto sulle passeggiate e sui ponti.
Lo scoppio del siluro avvenne nella stanza n. 2, quella immediatamente
sottostante il ponte di comando, provocando una falla di metri 6x6 circa.
La nave colpita si inclinò subito sulla sinistra di 15 gradi.
Era necessario stare aggrappati a qualche cosa per poter rimanere in piedi.
Vittime eventuali dello scoppio possono essere stati solamente qualche
cucinieri e le due sentinelle a guardia della cucina, nell'interno, all'esterno
alcuni dei ponti inferiori investiti dalla fiammata dello scoppio.
La nave, quantunque sbandata, continuava la sua corsa. E
Eravamo all'altezza delle isole di Passo ed Antipasso, a sud di Corfù, a circa
5 miglia dalla costa, che però non era visibile data l'oscurità e la foschia.
Onde violente, raffiche di vento; pioggia; a tratti il chiarore lunare, uscendo
fra gli squarci delle nubi aumentava la visibilità sul mare circostante.
Un tentativo del Comandante per portare la nave a terra e possibilmente
arenarla, fallì, per il mare grosso, per la instabilità della nave (che
minacciava di sfasciarsi andando contro vento) e sopra tutto per la
rottura dei cavi del timone.
Appena avvenuto il siluramento, come da ordine in caso di sinistro, tutte le
navi del convoglio si sono allontanate verso un nuovo punto di adunata; le
torpediniere pattugliavano intensamente il mare e gettarono pure alcune bombe
di profondità.
Una di esse [la Mosto] rimase a
guardia ed a portare soccorso alla nave colpita.
Lo scoppio del siluro provocò un'ondata di panico fra gli alpini; panico
aumentato dall'oscurità in cui la nave era piombata.
A gruppi sempre più numerosi si precipitarono sul ponte di barche ove erano
tutti i mezzi di salvataggio.
Parecchi nel timore che la nave, dato lo sbandamento si inabissasse immediatamente,
si buttarono in mare.
Certamente i primi furono ottimi nuotatori che, fidando nei propri mezzi
tentarono portarsi lontano dalla nave per non essere attratti nel vortice del
risucchio, ma dietro ad essi e sul loro esempio, si buttarono pure in mare
altri che non possedevano doti di nuotatori.
Molti di essi lanciatisi da ponti superiori (altezza acqua m. 8/10) perchè
non fecero in tempo ad allontanarsi dalla nave in moto o perchè privi di sensi
furono dalle ondate sbattuti contro i fianchi o finirono direttamente sotto le
eliche.
Nessuno di questi si trova fra i superstiti.
Intanto a bordo gli ufficiali si prodigavano per ristabilire la calma.
In tutti i punti ove gruppi di alpini in preda allo spavento imprecavano ed
urlavano ivi era un ufficiale che con tutti i mezzi, talvolta pure energici nei
confronti di qualcuno che minacciava di uscire di ragione, tentava di farli
tacere e di ragionare illustrando loro il modo migliore di salvarsi e di non
intralciare la manovra per calare in mare i mezzi di salvataggio.
Il Comandante della nave, fallito il tentativo di portarla a terra o di
arenarla, sentito il 1° Ufficiale di bordo che si era personalmente calato
nella stiva colpita, constatando l'entità del danno subito, decideva di far
fermare le macchine, ordine immediatamente eseguito, e di calare in mare
scialuppe affidandone l'incarico al 1° Ufficale.
La manovra fu iniziata sotto vento, dalla parte dove la nave era stata colpita.
Dalle scialuppe si sinistra nessuna giunse in mare; alcune si sono sfasciate
contro i marosi mentre un'altra precipitava dall'alto carica di truppe forse
perchè troppo gremita o per la rottura dei cavi di sostegno.
Dalle scialuppe di destra una giunse finalmente in mare ed il numero di uomini
che con essa si salvarono furono di 17.
Un'altra giunse capovolta per la rottura di un cavo fu raddrizzata ma
pochissimi furono quelli che si salvarono con essa.
Un'imbarcazione più piccola, calata in mare da prua da marinai e da alpini
giunse pure bene in acqua e riuscì a raggiungere poco dopo la torpediniera
rimasta a portare soccorso ai naufraghi.
Gli ufficiali rimasti a bordo (alcuni si sono buttati secondo le
testimonianza di superstiti fra i primi in mare) regolarono l'afflusso
degli uomini nelle scialuppe, coadiuvati da alcuni sottufficiali.
Terminata la calata in mare delle scialuppe con esito purtroppo disastroso a
causa del mare, fu previsto di buttare in acqua zattere e mezzi di salvataggio
di circostanza onde quelli che ancora rimanevano sulla nave potessero attaccarsi
una volta calati in mare.
Un senso di sconforto si era intanto impadronito degli alpini che avevano
assistito alla morte di tanti compagni e malgrado l'insistenza di vari
ufficiali e del Comandante della nave, non volevano Abbandonare la medesima per calarsi in mare.
Fu giocoforza dare l'esempio da parte di vari ufficiali e sottufficiali onde
indurre gli uomini ad Abbandonare il
piroscafo.
Alcuni malgrado ogni insistenza rimasero a bordo ed affondarono verso le 3,50
del 29 marzo con la nave medesima.
Fra gli uomini calatisi in mare alcuni riuscirono ad avvicinarsi ed attaccarsi
a mezzi di salvataggio precedentemente buttati in mare (zattere e
ciambelle di sughero) ma la massa, essendosi la nave continuamente
spostata a causa del vento, rimasero in acqua e col solo ausilio del
salvagente.
Le onde si erano fatte più alte e il vento più violento, le raffiche di pioggia
più insistenti, la temperatura nelle prime ore del mattino si era pure Abbassata.
In queste condizioni col corpo umano immerso completamente in acqua molti
finirono per perdere i sensi per esaurimento ed annegare.
La torpediniera rimasta si prodigò alla raccolta di quanti ad essa erano più
vicini ma dovette per tutta la notte e le prime ore del mattino stare in
guardia in quanto il sommergibile non si era molto allontanato dalla zona e
poteva da un momento all'altro tentare di silurare pure essa.
Fu costretta perciò a rimanere sempre in movimento spostandosi da uan zona all'altra
sul luogo del disastro.
La mattina verso le 8,30 giunsero altri mezzi si soccorso giunti dalla base navale
più vicina, quella di Prevesa: il MAS n. 516 e due dragamine.
Apparve pure, poco dopo, un idrovolante della croce Rossa proveniente da
Brindisi.
L'opera di soccorso venne quindi intensificata ma berso le ore 9,45 l'aereo
segnalò alla torpediniera una doppia scia ed il MAS, individuando il
periscopio, butto in mare 8-10 bombe di profondità.
Lievi bolle d'aria e tracce di nafta segnalarono che il sommergibile doveva
essere stato danneggiato.
Il salvataggio continuò fino alle ore 14 per il MAS che con un carico di 47
uomini si avviò alla base di Prevesa.
Sul luogo era pervenuto verso le ore 14 proveniente da Patrasso, l'incrociatore
ausiliario "Zara" che non
potè raccogliere che un naufrago vivo e numerosi morti.
La torpediniera ed i due dragamine, esaurito il loro compito, la prima con 200
uomini circa ed i secondi con una quarantina di vivi ed una cinquantina di
morti si avviarono pure verso la base di Prevesa donde erano partiti.
A Prevesa le prime curono furono apprestate ai naufraghi dall'Ospedale da Campo
183 che provvide al loro ricovero, alla medicazione di vari infortunati ed alla
loro completa vestizione.
Firmato Tenente Giovanni BERNARDINIS”
L’affondamento del Galilea nel giornale di bordo del Proteus (da Uboat.net):
“2120 hours - When in
position 38°55'N, 20°21'E sighted several dark objects bearing 200°, range 5
nautical miles. Turned stern on to investigate. The objects were identified as
a convoy made up of seven merchant vessels escorted by two or more destroyers.
Due to moonlight a surface attack was out of the question.
2225 hours - Dived to
attack.
2232 hours - Five
ships could be seen through the periscope.
2242 hours - Fired
two torpedoes at one of the merchant vessels from a range of about 2000 yards.
2243 hours - Fired
four torpedoes at two of the merchant vessels that were overlapping. Ranges
were 1000 and 2000 yards. Proteus
then went deep. It is thought that two hits were obtained.
2253 hours - Three
depth charges were dropped but they were not close. It is also thought that a
ship was heard breaking up.
0040 hours/29 - On
surfacing a merchant vessel was sighted stopped in the position of the attack,
four nautical miles to the eastward. Proteus
retired to the westward to charge the batteries and reload the torpedo tubes.”
Il Galilea in navigazione negli anni Trenta, con i colori del Lloyd Triestino (da www.naviearmatori.net, utente mario_from_genoa)
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Grazie per questa precisa documentazione, mio nonno paterno era pure a bordo del Galilea ed è stato dato per disperso, se non ricordo male era un pompiere a bordo. Mi piacerebbe sapere se da qualche parte risulta qualcosa. Grazie
RispondiEliminaE' possibile che vi siano maggiori informazioni nel libro "La tragedia alpina del Galilea", che purtroppo non possiedo.
EliminaMio nonno era imbarcato come personale civile di bordo. Si chiamava Luigi Sterni. Esiste da qualche parte un elenco ? Grazie
RispondiEliminaProbabilmente nel libro "La tragedia alpina del Galilea" di Paolo Montina, e quasi sicuramente negli archivi dell'Ufficio Storico della Marina Militare a Roma.
EliminaBuongiorno, sono il nipote di un disperso del Galilea e volevo segnalare il libro che ho pubblicato in seguito a ricerche effettuate su questo episodio. Mi permetto di fare questa segnalazione perchè ho notato che molti cercano notizie sull'argomento. Il libro è : L'Affondamento del Galilea - Storia di una nave, dei suoi uomini e di un'inchiesta, di Carlo Capobianco, edito da Youcanprint. C'è anche l'elenco nominativo delle vittime e dei superstiti. Spero di essere stato utile. Carlo Capobianco
RispondiEliminaVedo ora l'elenco degli scomparsi sul Galilea e vorrei segnalare che i nominativi di Azzaro GiovanBattista, Bastico Battista, Bertolucci Giuseppe, Giacinto Giordano, Pastore Ciro, Petrocchi Sergio, Ponteduro Pasquale e Quatrocchi Giacomo, indicati come appartenenti alla Regia Marina, non compaiono negli elenchi della Marina stessa tra i marinai caduti nella II guerra mondiale. Inoltre Duplancich Giordano risulta scomparso nell'affondamento del C.T. Da Mosto l'1.12.1941. Quindi qualcosa non quadra...
RispondiEliminaVerificherò, grazie...
EliminaBuongiorno. dove sono sepolti i caduti del Galilea?
RispondiEliminaBuongiorno, i corpi che fu possibile recuperare furono sepolti a Valona, nelle Isole Ionie ed in altre località della costa greco-albanese ed anche di quella pugliese, dove furono ritrovati. Da qui molti vennero successivamente traslati, in alcuni casi nei cimiteri dei rispettivi paesi, in altri nel Sacrario dei caduti oltremare di Bari dove riposano tutt'ora.
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