martedì 1 maggio 2018

Cobalto

Il Cobalto (da www.xmasgrupsom.com)

Sommergibile di piccola crociera della classe Platino (712 tonnellate di dislocamento in superficie ed 865 in immersione). Durante la guerra effettuò solo tre missioni (due offensive ed una di trasferimento) prima di andare perduto, percorrendo complessivamente 1604 miglia nautiche in superficie e 636 in immersione.

Breve e parziale cronologia.

26 novembre 1940
Impostazione nei cantieri Odero Terni Orlando del Muggiano, La Spezia (numero di costruzione 265).
20 agosto 1941
Varo nei cantieri Odero Terni Orlando del Muggiano.

Il Cobalto appena varato (da “I sommergibili oceanici e di piccola crociera italiani nella seconda guerra mondiale” di Alessandro Turrini, su “Rivista Italiana di Difesa”, via Marcello Risolo e www.naviearmatori.net)

30 ottobre 1941 o 18 marzo 1942
Entrata in servizio. Stranamente, due fonti entrambe autorevoli ("Sommergibili italiani" di Alessandro Turrini ed Ottorino Ottone Miozzi, USMM, 1999, e "I sommergibili italiani" di Paolo Mario Pollina, USMM, 1963) indicano due date tanto distanti come entrata in servizio. Qui si ritiene più verosimile la seconda data, visto che la prima missione ebbe luogo solo nel luglio 1942 (sembra inverosimile che l’addestramento possa avere richiesto quasi nove mesi).
Dislocato ad Augusta; la fase di addestramento si protrae piuttosto per le lunghe.

Il Cobalto ed il gemello Acciaio in allestimento al Muggiano nel 1941 (Fondazione Ansaldo)

15 luglio 1942
Salpa da Cagliari alle 2.25 per la sua prima missione operativa, da svolgersi nella zona "K1" tra lo scoglio dei Cani e l’isola di La Galite.
Il Cobalto, insieme ai sommergibili Axum, Dessiè, Velella, Malachite, Dagabur e Bronzo (alcuni dei quali già presenti in zona ed altri, tra cui il Cobalto, inviati appositamente il 15 luglio nelle acque fra La Galite, l'Isola dei Cani, Capo Bon e Capo Kelibia in seguito alla notizia dell’imminente passaggio di un’unità veloce), deve cercare d’intercettare il posamine veloce britannico Welshman, inviato a Malta con un carico di rifornimenti urgenti.
Secondo una fonte i sommergibili, che formano uno sbarramento al largo di Capo Bon, avrebbero cercato anche di intercettare anche la Forza H britannica (portaerei Eagle, incrociatori antiaerei Cairo e Charybdis, cacciatorpediniere AntelopeIthurielVansittartWestcott e Wrestler) uscita in mare per l’operazione "Pinpoint", l’invio a Malta di caccia Spitfire decollati dalla Eagle; ma ciò sembra inverosimile, dato che questa forza si spinse solo a sud delle Baleari, e non fino a Capo Bon.
Nonostante l’invio dei sommergibili, il Welshman arriverà indenne a Malta il 16 luglio e ritornerà il 17, dopo aver consegnato il suo carico; dei sommergibili italiani schierati nell’area, solo l’Axum riuscirà ad avvistarlo, ma il suo attacco risulterà infruttuoso, anche a causa del mare grosso.
30 luglio 1942
Termina la missione rientrando a Cagliari alle 9.44, senza aver avvistato unità nemiche.
 
Il Cobalto nel 1942 (da “Gli squali dell’Adriatico. Monfalcone e i suoi sommergibili nella storia navale italiana” di Alessandro Turrini, Vittorelli Edizioni, 1999, via Marcello Risolo e www.naviearmatori.net)

Mezzo Agosto

Dopo il sostanziale fallimento delle operazioni di rifornimento «Harpoon» e «Vigorous» nella battaglia aeronavale di Mezzo Giugno (12-16 giugno 1942), la situazione di Malta, assediata dalle forze aeronavali dell’Asse, si era fatta particolarmente grave: il cibo iniziava a scarseggiare (le razioni giornaliere garantivano solo 1690 e 1500 calorie, rispettivamente, per uomini e donne, contro un fabbisogno medio di 2600 e 2000), costringendo ad adottare varie misure di emergenza (iniziò la macellazione di massa di tutto il bestiame presente sull’isola, per ridurre la necessità di importare foraggio, e per trasformare i pascoli in campi coltivati), e le scorte di carburante per gli aerei di base nell’isola, secondo quanto riferito dal vice maresciallo dell’aria Keith Park (comandante delle forze aeree di Malta), non sarebbero durate più di qualche settimana. Se non fossero stati consegnate adeguate quantità di cibo, carburante e munizioni entro settembre, Malta si sarebbe dovuta arrendere.
I comandi britannici organizzarono quindi un nuovo tentativo per rifornire la stremata guarnigione e popolazione di Malta, che battezzarono Operazione «Pedestal». Questa volta, a differenza di due mesi prima, non ci sarebbero stati due convogli in partenza da Alessandria e da Gibilterra, bensì un unico grande convoglio che, radunato nel Regno Unito (da dove partì il 3 agosto 1942), avrebbe poi attraversato lo stretto di Gibilterra (9/10 agosto) per poi dirigere verso Malta.
Il convoglio era composto dalle navi da carico Almeria LykesMelbourne StarBrisbane StarClan FergusonDorsetDeucalionWairangiWaimaramaGlenorchyPort ChalmersEmpire HopeRochester Castle e Santa Elisa e da una nave grossa cisterna, la Ohio; la scorta diretta (Forza X, contrammiraglio Harold Burrough) contava su quattro incrociatori leggeri (NigeriaKenyaCairo e Manchester) e dodici cacciatorpediniere (AshantiIntrepidIcarusForesightDerwentFuryBramhamBicesterWiltonLedburyPenn e Pathfinder, della 6th Destroyer Flotilla), ed inoltre nella prima metà del viaggio, fino all’imbocco del Canale di Sicilia, il convoglio sarebbe stato accompagnato da una poderosa forza pesante (Forza Z, viceammiraglio Neville Syfret) composta da ben quattro portaerei (EagleFuriousIndomitable e Victorious), due corazzate (Rodney e Nelson), tre incrociatori leggeri (SiriusPhoebe e Charybdis) e dodici cacciatorpediniere (LaforeyLightningLookoutTartarQuentinSomaliEskimoWishartZetlandIthurielAntelope e Vantsittart, della 19th Destroyer Flotilla).
Da parte loro, i comandi italiani avevano ricevuto le prime notizie riguardo una grossa operazione in preparazione da parte dei britannici, che avrebbe avuto luogo nel Mediterraneo Occidentale, nei primi giorni di agosto. Alle 5 del 9 agosto Supermarina venne informata che un gruppo di almeno otto navi era passato a nord di Ceuta, diretto ad est (era la Forza B britannica); nelle prime ore del mattino dell’indomani giunse notizia che tra le 00.30 e le due di notte de 10 un totale di 39 navi avevano attraversato lo stretto di Gibilterra dirette in Mediterraneo, e che qualche ora dopo erano salpate da Gibilterra una decina di navi britanniche, compreso l’incrociatore antiaerei Cairo. Il mattino del 10 agosto, pertanto, sulla scorta delle informazioni pervenute fino a quel momento, Supermarina apprezzò che almeno 57 navi britanniche, provenienti da Gibilterra, fossero dirette verso est. Dato che queste navi comprendevano un numerosi grossi piroscafi in convoglio, venne ritenuto, giustamente, che obiettivo dell’operazione fosse il rifornimento di Malta; che il convoglio sarebbe stato protetto da una poderosa forza navale pesante; che probabilmente il convoglio avrebbe cercato di attraversare la zona di Pantelleria con il favore del buio. Si prevedeva che il convoglio sarebbe giunto presso Capo Bon (Tunisia) nel pomeriggio del 12 agosto. Non sembravano esserci segni che rivelassero un secondo convoglio in navigazione nel Mediterraneo Orientale, a differenza di giugno; il mattino del 12 un U-Boot tedesco segnalò in quelle acque una formazione di quattro incrociatori leggeri e 10 cacciatorpediniere apparentemente diretti verso Malta a 20 nodi, ma venne giustamente giudicato che si trattasse di un’azione diversiva (ed infatti era proprio così: l’operazione "M.G.3", un’operazione secondaria di "Pedestal", prevedeva infatti l’invio da Haifa e Port Said di un piccolo convoglio che doveva fingere di essere diretto verso Malta nel tentativo, non riuscito, di distogliere delle forze italiane dal vero convoglio).
I comandi italiani e tedeschi organizzarono dunque il contrasto all’operazione britannica: ricognizioni aeree in tutto il bacino occidentale del Mediterraneo; allerta dei sommergibili già in agguato a sud delle Baleari, invio di un secondo gruppo di sommergibili a sud della Sardegna (dove dovevano arrivare non più tardi dell’alba del 12), posa di nuovi campi minati offensivi nel Canale di Sicilia, invio di MAS e motosiluranti in agguato a sud di Marettimo, al largo di Capo Bon e se del caso anche sotto Pantelleria. Durante la navigazione nel Mediterraneo occidentale e centro-occidentale, il convoglio britannico sarebbe stato sottoposto ad una serie di attacchi di sommergibili; giunto nel Canale di Sicilia, sarebbe stato il turno di MAS e motosiluranti italiane e tedesche (quindici unità in tutto, che avrebbero attaccato col favore del buio). Per tutta la traversata, inoltre, le navi nemiche sarebbero state continuamente bersagliate da incessanti attacchi di bombardieri ed aerosiluranti (in tutto, ben 784 velivoli), sia della Regia Aeronautica che della Luftwaffe. Era anche previsto l’intervento (poi abortito) di due divisioni di incrociatori (la III e la VII) per finire quanto fosse rimasto del convoglio decimato dai precedenti attacchi aerei, subacquei e di mezzi insidiosi.

Complessivamente, ben 15 sommergibili italiani e due U-Boote tedeschi concorsero alla formazione di un poderoso sbarramento di sommergibili nel Mediterraneo occidentale; nella notte tra il 10 e l’11 agosto vennero inviati in agguato per il 12 undici sommergibili, dieci dei quali, Cobalto compreso (gli altri erano Alagi, Ascianghi, Avorio, Axum, Bronzo, Dandolo, Dessiè, Emo ed Otaria), dovevano prendere posizione in una zona a nord della Tunisia, tra i meridiani degli Scogli Fratelli e del Banco Skerki, ad est dell’isola di La Galite e fino agli approcci del Canale di Sicilia (a nord della congiungente Isola Galite–Banco Skerki, all’imbocco occidentale del Canale di Sicilia). Il Cobalto, in particolare, doveva formare uno sbarramento insieme ai gemelli Avorio e Granito. Gli ordini, per tutti, erano di agire col più deciso spirito offensivo, lanciando quanti siluri possibile contro qualsiasi nave, mercantile o militare, più grande di un cacciatorpediniere.

Un’altra immagine del Cobalto (Facebook)

L’11 agosto 1942, pertanto, a seguito dell’avvistamento di forze navali Alleate provenienti da Gibilterra e dirette verso est, tutti i sommergibili del Grupsom di Cagliari presero il mare per partecipare all’attacco contro il convoglio di «Pedestal».
Il Cobalto, al comando del tenente di vascello Raffaele Amicarelli, salpò da Cagliari alle 18, diretto in un settore d’agguato situato nel Canale di Sicilia.
Raggiunta tale zona all’alba del 12 agosto, il sommergibile s’immerse e si mise in attesa. Durante il mattino del 12 vennero ricevuti vari segnali di scoperta, dai quali il comandante Amicarelli dedusse che sarebbe entrato in contatto col nemico nella notte oppure all’alba dell’indomani. Intorno alle 9 il Cobalto ricevette un messaggio circolare di Maricosom (il Comando della Squadra Sommergibili), che il comandante Amicarelli lesse all’equipaggio con l’aggiunta di poche parole di circostanza. Il messaggio diceva: «Il nemico sta tentando di forzare il passaggio del Canale di Sicilia per raggiungere Malta assediata. Il nemico non deve passare. Il Paese fa affidamento sullo spirito aggressivo e sulla volontà di vittoria dei sommergibili. Attaccate col massimo impegno e senza limiti di zona».
Furono frattanto ricevuti ulteriori segnali di scoperta, dai quali si appresero maggiori particolari sulla consistenza e disposizione delle forze britanniche: esse erano ripartite in due gruppi, uno dei quali consisteva nel convoglio con la sua nutrita scorta, in navigazione verso il passaggio tra la costa e l’isola di La Galite, mentre l’altro, situato più a nord, era formato da corazzate, portaerei ed incrociatori con potente e numerosa scorta di siluranti. Tra le navi maggiori era indicata la presenza delle corazzate britanniche Rodney e Nelson (correttamente) e della portaerei statunitense Wasp (che invece non c’era).
Durante la notte il Cobalto aveva subito un’avaria ad un motore, e si era anche manifestato un funzionamento difettoso della girobussola; dato inoltre che all’alba il cielo coperto aveva impedito di eseguire osservazioni, Amicarelli era incerto circa la posizione del sommergibile. Ad ogni modo, il comandante del Cobalto concluse che se avesse assunto rotta verso ovest procedendo in superficie a tutta forza, la probabilità di incontrare uno dei due gruppi sarebbe stata elevatissima, pertanto alle 9.30 del 12 il battello emerse ed assunse rotta 280° e velocità massima.
Dopo un paio d’ore di navigazione, il Cobalto s’immerse per dieci minuti di ascolto; l’idrofono, con rilevamento statico, captò numerose sorgenti con forza 2-3 nei settori prodieri: turbine, motori e macchine alternative. Il Cobalto tornò quindi in superficie, riassumendo rotta e velocità precedenti, ma dopo circa mezz’ora un sommergibile classe “Emo” emerse improvvisamente a poche centinaia di metri di distanza. Venne subito effettuato il riconoscimento reciproco; inizialmente anche il nuovo arrivato seguì la stessa rotta del Cobalto, ma poi accostò verso sud. Il comandante Amicarelli cercò di portarsi a portata di voce per dirgli di seguirlo, essendo ormai certo di essere sulla buona strada per intercettare le forze avversarie; ma non vi riuscì.
Mentre l’altro sommergibile effettuava un’ampia accostata e si allontanava, venne avvistato un aereo verso sudovest, ed il Cobalto s’immerse immediatamente. Non avendo notato la presenza del battello italiano, il velivolo passò oltre; il Cobalto tornò a quota periscopica e gli idrofoni confermarono le stesse sergenti di prima, in gran numero, ora vicine.
Il primo avvistamento avvenne alle 13.45, quando su rilevamento polare 350° si materializzò un primo cacciatorpediniere; seguirono, nel giro di pochi secondi, altri undici cacciatorpediniere, distanti 18-20 km (secondo l’apprezzamento del comandante Amicarelli), che coprivano il settore dal rilevamento polare 350° al rilevamento polare 20°, con beta di 0°. Sembravano in linea di fronte, ma più probabilmente erano disposti ad arco di cerchio su un’area piuttosto ampia; eseguivano frequenti ed ampie accostate, in modo indipendente gli uni dagli altri. All’estremo limite dell’orizzonte erano visibili molti fumi. Il mare era una tavola, il cielo sereno con visibilità ottimale; si vedevano numerosi aerei nel cielo.
Amicarelli stimò la posizione del Cobalto come 30 miglia a nordest di La Galite; in considerazione della posizione delle navi avvistate, giudicò (a ragione) che fosse il gruppo navale che comprendeva le corazzate e le portaerei, e decise di tentare di attaccare una di esse. Il gruppo avvistato era proprio la Forza Z, che nelle ore precedenti aveva subito ripetuti attacchi aerei, che però avevano soltanto causato lievi danni alla portaerei Victorious; il giorno prima un’altra portaerei di quel gruppo, la Eagle, era stata invece affondata dal sommergibile tedesco U 73.
Portato il Cobalto a 50 metri di profondità, in modo da non essere visto dai ricognitori nemici, il comandante Amicarelli impartì gli ordini di approntamento, ed annunciò all’equipaggio che si andava all’attacco. Durante questa manovra, il sommergibile si portò a quota periscopica per due o tre volte; i cacciatorpediniere lanciavano bombe di profondità, ma non sembravano aver rilevato la presenza del Cobalto.
Verso le 14 venne avvertito rumore di eliche che si avvicinavano, scadevano verso poppa, si allontanavano e poi ritornavano, per poi allontanarsi nuovamente. Ormai gli idrofoni non davano più indicazioni specifiche, perché vi erano sorgenti di forza massima tutt’attorno, a 360°, tali da coprirsi vicendevolmente. Le sorgenti più intense, comunque, si trovavano a proravia dritta. Intenzione di Amicarelli era di passare tra lo schermo dei cacciatorpediniere ed attaccare le corazzate; si trovava già in buona posizione per un attacco.

I siluri erano pronti, l’equipaggio ai posti di combattimento; il Cobalto si portò a quota periscopica, iniziando intanto ad accostare verso nord (secondo fonti britanniche, il sommergibile si stava portando in una posizione ideale per attaccare la portaerei Indomitable; per altra fonte l’obiettivo del suo attacco erano due corazzate, tra le quali la Rodney). Il comandante Amicarelli fece uscire solo il minimo di periscopio necessario, ma attraverso di esso vide un cacciatorpediniere che, distante appena 300 metri al traverso a dritta, aveva accostato bruscamente e gli stava dirigendo incontro. Amicarelli fece rientrare il periscopio; il Cobalto si trovava a 18 metri di profondità quando venne investito dalla prima salva, che esplose sopra lo scafo. La torretta sussultò come se si dovesse spezzare, ed il sommergibile venne spinto con violenza verso il basso; l’equipaggio riuscì ad arrestarne la caduta solo a 120 metri di profondità, ma anche ora il battello non rispondeva bene ai comandi. I timoni prodieri erano incatastati, ed il Cobalto, appesantitosi, continuava a sprofondare con un crescente appoppamento.
Il cacciatorpediniere visto da Amicarelli doveva essere il britannico Pathfinder (capitano di fregata Edward Albert Gibbs), che alle 16.16, dalla sua posizione a prua sinistra della formazione (posizione «C»), ottenne un contatto e diede inizio alla caccia, alla quale si unì anche un secondo cacciatorpediniere, lo Zetland (tenente di vascello John Valentine Wilkinson). Il Pathfinder (che gettò in rapida successione due pacchetti di bombe di profondità) e lo Zetland proseguirono la caccia contro il Cobalto fino alle 16.40, fin quando il convoglio non si venne a trovare con certezza al di fuori della sua portata.
Mentre il sommergibile continuava a salire e scendere senza rispondere ai comandi, nuove salve di bombe di profondità, nonché diverse bombe isolate, esplosero vicinissime. Dopo la seconda salva, il motore di dritta precipitò; presumendo che l’elica fosse stata colpita, Amicarelli diede ordine di fermarlo. Il Cobalto, intanto, sprofondava sempre più con un forte appoppamento. Il comandante si recò nella camera di lancio AD (cioè quella di poppa), dove però non si vedevano vie d’acqua (da altre fonti, tuttavia, risulterebbe che vi fossero delle infiltrazioni d’acqua a poppa, od anche veri e propri allagamenti, oltre a gravi danni agli organi di comando). L’acqua di dosaggio ormai era finita, ma il sommergibile era ancora pesante, e continuava a scendere appoppato; manovre d’acqua tentate allo scopo di stabilizzarlo risultarono vane. La pressione interna era ormai giunta ai limiti della soglia di sopportazione (secondo una fonte, diversi membri dell’equipaggio perdevano sangue dal naso e dalle orecchie); molte lampadine erano saltate, ed il locale manovra era fiocamente illuminato. Anche gli apparati radio erano a pezzi. Nonostante la situazione assai seria, l’equipaggio aveva mantenuto la calma.
Alle 16.45 Amicarelli ordinò al comandante in seconda, tenente di vascello Elio Giorguli, di prepararsi a mandare in torretta i serventi del cannone e delle mitragliere: sua intenzione era di tentare l’emersione ed ingaggiare combattimento in superficie, anche se l’esito appariva scontato (secondo “Uomini sul fondo” di Giorgio Giorgerini, Amicarelli sperava anche di poter usare i nuovi siluri elettrici in dotazione al Cobalto; va però notato che Amicarelli, nella sua relazione acclusa al volume U.S.M.M. “Le azioni navali – Tomo II – Dal 1° aprile 1941 all’8 settembre 1943”, non fa menzione di questo proposito). Il direttore di macchina, tenente del Genio Navale Giovanni Melosci, riferì al comandante che l’aria AP (alta pressione) era quasi esaurita: non restava altro da fare che attendere la fine.
Mario Giovanni Rota, detto “Vanni”, giovane marinaio di Valmadrera (Lecco) che svolgeva i compiti "maestrino di mensa" (cioè cameriere) ed ordinanza del comandante Amicarelli, nonché puntatore del cannone in caso di combattimento, avrebbe così descritto, in seguito, la drammaticità della situazione: “Fummo colpiti e iniziarono le infiltrazioni d'acqua. Lo scafo precipitò sino a 187 metri di profondità, la pressione subacquea faceva scricchiolare le lamiere, l'acqua ci arrivava ormai alle ginocchia”.
Si verificò un’altra esplosione, che risultò tuttavia più lontana delle altre nonché a quota maggiore. Inesplicabilmente, il Cobalto rallentò la propria discesa verso l’abisso, si fermò e poi iniziò a risalire verso la superficie, dapprima con una lentezza esasperante, poi con un graduale incremento della velocità, sbandando al contempo sulla sinistra (secondo “Vanni” Rota, il Cobalto iniziò a risalire dopo che una delle bombe di profondità fu esplosa sotto di esso, anziché sopra, sospingendolo verso la superficie con la forza della sua detonazione). Il direttore di macchina Melosci cercò di raggiungere lo sfogo d’aria di dritta, ma l’enorme sbandamento raggiunto – almeno 60° – gli impediva anche solo di camminare; lo sbandamento stava per raggiungere i 90° (praticamente rovesciato su un fianco) quando bruscamente il Cobalto si raddrizzò. Era riemerso.
Qualche minuto prima, alle 16.49, una vedetta a bordo di un terzo cacciatorpediniere britannico, l’Ithuriel (che occupava la posizione «I», a poppa sinistra della formazione), aveva avvistato il periscopio e parte della torretta di un sommergibile a proravia dritta, a 1370 metri di distaza: era il Cobalto che stava per affiorare. Subito l’Ithuriel, ottenuto un contatto ASDIC a 820 metri di distanza, lanciò l’allarme sommergibili, accelerò a 24 nodi, mise tutta la barra a dritta ed andò all’attacco, aprendo il fuoco col cannone (la torretta del sommergibile rimase affiorante per almeno una decina di secondi, prima di tornare ad immergersi); aveva eseguito un primo passaggio lanciando cinque bombe di profondità regolate per scoppiare a 15 metri (dopo il quale era affiorato in superficie del carburante), e stava accostando per un effettuare un secondo passaggio, quando il sommergibile apparve in superficie. Sarebbero state queste bombe, secondo la valutazione britannica, a far emergere il Cobalto.
(A questo proposito, si nota che l’Ufficio Storico della Marina Militare, nella cronologia degli eventi di Mezzo Agosto contenuta nel volume “Le azioni navali – Tomo II – Dal 1° aprile 1941 all’8 settembre 1943”, sembra ritenere che solo l’attacco iniziato dall’Ithuriel alle 16.49 fosse diretto contro il Cobalto, e non anche quello precedente di Zetland e Pathfinder; tutta la sequenza di eventi narrata da Amicarelli, con l’avvistamento al periscopio del cacciatorpediniere, la successiva immersione, il bombardamento e la riemersione in seguito ai danni subiti, avrebbe avuto inizio alle 16.49. Ciò non sembra compatibile con quanto riportato da Amicarelli nella sua relazione – riportata in fondo allo stesso volume – dalla quale si desume che alle 16.45, cioè prima che l’Ithuriel desse inizio al suo attacco, il Cobalto era già sotto attacco da qualche tempo e seriamente danneggiato. Sullo svolgimento dell’attacco sembra dunque più attendibile la versione britannica: il Cobalto venne localizzato alle 16.16 dal Pathfinder, che insieme allo Zetland gli diede la caccia fino alle 16.40, arrecandogli gravissimi danni che lo costrinsero a riemergere; alle 16.49, mentre riemergeva, il sommergibile venne avvistato ed attaccato dall’Ithuriel, che portò a termine il “lavoro” iniziato dai “colleghi” Zetland e Pathfinder).
I portelli erano deformati; con molta fatica e molti sforzi, il guardiamarina Stelio Romito riuscì ad aprire il portello della torretta. I serventi del cannone, già pronti in torretta, saltarono in plancia e corsero ad armare il cannone; il comandante Amicarelli, seguendoli, vide però che a distanza di 300-500 metri al traverso a dritta c’era un cacciatorpediniere britannico – era l’Ithuriel – che gli stava dirigendo incontro a tutta forza con l’evidente intento di speronare il Cobalto, aprendo al contempo il fuoco con cannoni e mitragliere. Il tiro dell’Ithuriel colpì a morte il marinaio elettricista Mario Volpe, che si stava precipitando al proprio posto di combattimento nonostante l’intenso tiro avversario (venne decorato, alla memoria, con la Medaglia di Bronzo al Valor Militare).
 
Il Cobalto, sulla destra, poco prima di essere speronato dall’Ithuriel, a sinistra (Imperial War Museum)

Non restava più niente da fare: per evitare che l’equipaggio venisse inutilmente massacrato, il comandante Amicarelli ordinò di aprire gli sfoghi d’aria (per autoaffondare il sommergibile: l’ordine, però, non raggiunse il comandante in seconda Giorguli, perché l’interfonico era fuori uso ed il portavoce stagno era bloccato) e di abbandonare la nave.
L’equipaggio salì ordinatamente in coperta, passando dai portelli di prua e della torretta; la prua del Cobalto era alta sul mare, mentre dalla torretta verso poppa il suo scafo, che stava riempiendosi d’acqua, era già sommerso. Una cannonata da 120 mm dell’Ithuriel passò la torretta da parte a parte, lasciandovi un enorme squarcio (per errore, i marinai britannici avevano caricato il cannone prodiero con proiettili perforanti, anziché esplosivi).
Attorno ad uno dei boccaporti c’era una certa ressa per uscire; “Vanni” Rota ricordò poi che un altro marinaio suo amico, di Torre del Greco, lo fermò e gli infilò addosso il salvagente.
Il comandante dell’Ithuriel, che aveva inizialmente ordinato di mettere le macchine avanti tutta per lo speronamento, poco prima dell’impatto ordinò “indietro tutta”, per ridurre la velocità a circa 12 nodi ed evitare che l’impatto fosse troppo violento, e causasse gravi danni anche al cacciatorpediniere.
L’Ithuriel cessò il fuoco e speronò il Cobalto ad alta velocità, impattando con un angolo di 60° sul lato di dritta, al traverso, subito a poppavia della torretta (oppure, secondo il rapporto del comandante britannico, a metà strada tra la torretta e la poppa).
Molti uomini del sommergibile vennero sbalzati in mare dall’estrema violenza della collisione; anche il comandante Amicarelli, che si trovava in piedi sul battente della plancia (allo scopo di sincerarsi che nessuno si trovasse nel punto in cui sarebbe avvenuto lo speronamento), venne lanciato in mare, mancando di stretta misura lo scafo. Riaffiorando in superficie, Amicarelli si trovò a pochi metri dal suo sommergibile, pertanto tornò subito a bordo.
Per diversi secondi, Ithuriel e Cobalto rimasero incastrati l’uno nell’altro; in questo breve lasso di tempo, tre marinai italiani si arrampicarono a bordo della nave britannica, mentre al contempo quattro marinai dell’Ithuriel, equipaggiati di tutto punto, si lasciarono cadere sulla torretta del Cobalto. Tra di essi vi era il sottotenente di vascello James Francis Tait, che aveva fatto così dopo aver sentito il suo comandante gridare dalla plancia “abbordatelo”; cercarono di entrare nella torretta per impadronirsi dei codici segreti presenti a bordo del sommergibile, ma non ci sarebbero riusciti (per una versione, il comandante di questo piccolo drappello d’abbordaggio sarebbe riuscito ad entrare all’interno del Cobalto, ma non a prelevare i codici segreti).
La camera di manovra era già piena d’acqua, e solo pochi metri dello scafo e mezza torretta del sommergibile emergevano ancora dal mare. Il tenente di vascello Giorguli, il comandante in seconda, fu l’ultimo a salire in coperta; quando Amicarelli gli chiese se avesse aperto gli sfoghi d’aria (ordine che non aveva ricevuto, per le circostanze sopra accennate), fece per correre nuovamente di sotto per eseguire l’ordine, ma venne fermato dal suo comandante: ormai era un provvedimento del tutto superfluo. Qualche secondo più tardi, alle 17.02 del 12 agosto 1942, il Cobalto si mise in posizione verticale ed affondò nel punto 37°39’ N e 10°0’ E (a sud della Sardegna ed a nord di Biserta; fonti britanniche indicano anche 37°41’ N e 10°0’ E, altre ancora 37°50’ N e 09°20’ E).
L’Ithuriel aveva intanto calato alcune imbarcazioni, che provvedevano ora al salvataggio dei naufraghi; il comandante Amicarelli aiutò un paio di uomini a raggiungere dei salvagente lanciati dal cacciatorpediniere, poi nuotò fin sottobordo all’Ithuriel, sul quale salì quando le lance furono rientrare.
Un marinaio britannico lanciò a “Vanni” Rota, in acqua con altri marinai, una cassetta della frutta per aiutarlo a restare a galla; i naufraghi venivano raccolti dal cacciatorpediniere, issati a bordo e fatti sedere contro la murata. Quando salì a bordo, Rota si trovò davanti un marinaio britannico col mitra spianato; temette che gli avrebbe sparato, ma quello gli lanciò invece una sigaretta.
 
Il Cobalto subito dopo lo speronamento, visto dal lato sinistro dell’Ithuriel: le due unità sono ancora pressoché “attaccate”. Sulla destra si nota il gran numero di uomini del Cobalto gettatisi in mare (da www.ww2today.com)


La torretta squarciata del Cobalto, poco prima dell’affondamento (Imperial War Museum e www.historyofwar.org)



Dell’equipaggio del Cobalto mancarono all’appello due uomini: il marinaio elettricista Mario Volpe, ucciso dal tiro dell’Ithuriel a bordo del sommergibile, e l’ufficiale di rotta, sottotenente di vascello di complemento Giovanni Gardella, scomparso in mare. Gardella, genovese, aveva ventinove anni; Volpe, di Bogliasco (provincia di Genova), ne aveva ventidue.
Erano annegati, trascinati a fondo dal peso del loro equipaggiamento, anche due dei quattro marinai dell’Ithuriel che erano saltati sul Cobalto dopo lo speronamento. Sì salvò, invece, il tenente di vascello Tait. (Secondo un’altra versione, tuttavia, l’Ithuriel avrebbe recuperato tutti i membri della propria squadra d’abbordaggio, senza vittime).
Giuseppe Guglielmo, un «uomo Gamma» della X Flottiglia MAS catturato dai britannici nel maggio 1942 (era stato sbarcato a Malta da un MTSM per effettuare alcuni sopralluoghi in vista del previsto, e mai attuato, sbarco, ed era poi rimasto bloccato sull’isola), avrebbe in seguito incontrato durante la sua prigionia un sottufficiale del Cobalto, il quale, raccontanto l’affondamento del suo sommergibile, gli avrebbe parlato di una cassetta con i codici segreti che fu contesa, mentre il battello stava affondando, tra un ufficiale italiano ed un ufficiale britannico: presi dalla lotta, i due nemici avevano entrambi trovato la morte in mare. Probabilmente, Giovanni Gardella era l’ufficiale italiano di cui parlava il sottufficiale.
Tutti i sopravvissuti del Cobalto, 4 ufficiali (Amicarelli, Melosci, Giorguli e Romito) e 38 tra sottufficiali e marinai, vennero recuperati dall’Ithuriel.
Il Cobalto, affondato alla sua seconda missione operativa, fu il primo sommergibile della classe Platino ad andare perduto in guerra.
 
Naufraghi del Cobalto a bordo dell’Ithuriel (Imperial War Museum)

A bordo dell’Ithuriel, il comandante Amicarelli venne ricevuto «con correttezza militare». Separato dagli altri naufraghi del Cobalto, venne sistemato in una cabina per ufficiali, ove ricevette la visita del comandante in seconda dell’Ithuriel, il quale gli consegnò una cavalleresca lettera del suo comandante, capitano di corvetta David Hugh Maitland-Makgill-Crichton, nel quale questi si complimentava con il comandante italiano per il tentato attacco, e porgeva le proprie condoglianze per la perdita del sommergibile e dei suoi uomini. La lettera terminava dicendo che Amicarelli e gli altri superstiti del Cobalto dovevano considerarsi «ospiti, non prigionieri».
Dopo circa un’ora e mezza l’Ithuriel, con a bordo i naufraghi del Cobalto, si riunì al resto della formazione; aveva la prua seriamente danneggiata (era stato necessario puntellare la paratia prodiera e tamponare alcune falle prima di rimettere in moto), in conseguenza dello speronamento del sommergibile. Alle 17.50, mentre manovrava per ricongiungersi alla formazione, il cacciatorpediniere venne attaccato con bombe da otto caccia FIAT CR. 42 della Regia Aeronautica; fortunatamente per i loro compatrioti prigionieri a bordo dell’Ithuriel (i quali, sistemati in coperta, osservavano gli attacchi con non poca apprensione), i piloti non riuscirono a colpirlo. Più tardi l’Ithuriel, in conseguenza dei danni subiti nello speronamento (non poteva superare i 20 nodi di velocità, ed aveva il sonar fuori uso), venne distaccato per rientrare a Gibilterra, insieme ad altre navi danneggiate dagli attacchi aerei (la corazzata Rodney e la portaerei Indomitable; le tre unità erano scortate dai cacciatorpediniere Antelope, Amazon, Westcott, Wishart e Zetland).
Tre giorni dopo, il 15 agosto, il comandante Amicarelli ebbe modo di incontrare e parlare di persona con il comandante Maitland-Makgill-Crichton; questi gli confermò che il Cobalto era stato localizzato dall’ASDIC e che, dopo la prima salva di bombe di profondità, aveva perso copiose quantità di nafta. Quella stessa sera, l’Ithuriel arrivò a Gibilterra, dove i naufraghi del Cobalto vennero sbarcati.
Il comandante Maitland-Makgill-Crichton sarebbe poi stato criticato dall’ammiraglio Syfret, responsabile dell’Operazione "Pedestal", per la sua decisione di speronare il Cobalto: secondo la valutazione di Syfret, il sommergibile era già spacciato quando era emerso, ergo lo speronamento era stato superfluo ed anche controproducente, dato che aveva comportato il serio danneggiamento dell’Ithuriel (che necessitò poi di riparazioni protrattesi fino alla fine di ottobre), indebolendo lo schermo protettivo dei cacciatorpediniere e privando poi la scorta di un’unità, dato che l’Ithuriel era stato infine costretto a rientrare a Gibilterra (“Il sommergibile, quando venne in superficie dopo essere stato bombardato con cariche di profondità, era ovviamente fuori combattimento, ed ho ritenuto il dispendioso metodo scelto dal comandante [dell’Ithuriel] per affondarlo piuttosto superfluo. Inoltre, sono rimasto disturbato dalla quantità di tempo che egli perse per recuperare i superstiti, e dalla sua assenza dalla scorta quando era imminente un attacco aereo”).
L’arrivo a terra segnò un netto mutamento nell’atteggiamento britannico. Prima di essere rinchiuso nella fortezza di Gibilterra, il comandante Amicarelli venne interrogato da un capitano di fregata della Royal Navy che si ostinava a voler sapere quale fosse la sua provenienza, senza riuscirvi. Amicarelli rifiutò di dire qualsiasi cosa che non fossero i suoi dati personali, e di discutere con l’inglese la situazione politica in Italia; il colloquio tra i due ufficiali nemici fu pertanto assai teso. Nella fortezza di Gibilterra, il comandante italiano venne rinchiuso in una cella situata allo stesso piano di forzati e detenuti civili; le sue proteste a questo proposito furono tali che l’Ammiragliato decise di imbarcarlo sulla prima nave in partenza per il Regno Unito.
“Vanni” Rota, il marinaio lecchese attendente di Amicarelli, aveva invece un ricordo migliore del suo interrogatorio: l’ufficiale britannico incaricato di interrogarlo gli parlò in dialetto lecchese, menzionando gli alberghi di Varenna e Bellagio, dov’era stato.

Il 19 agosto Amicarelli venne imbarcato sulla portaerei Furious, che arrivò a Glasgow il 27. Da lì l’ormai ex comandante del Cobalto ed il resto del suo equipaggio, contemporaneamente ma separatamente, vennero trasferiti a Newmarket, campo provvisorio adibito agli interrogatori. Durante la permanenza in questo campo, nel corso di una perquisizione effettuata nell’alloggio di Amicarelli mentre questi non era presente, vennero “requisiti” diversi suoi oggetti personali; fu fatta sparire anche la lettera scritta dal comandante dell’Ithuriel dopo l’affondamento del sommergibile.
Per gli uomini del Cobalto aveva inizio la prigionia: furono portati ad Edimburgo, e qui rimasero per quattro anni, potendo tornare in Italia soltanto nel 1946.
Il comportamento britannico nei confronti dei prigionieri, nel ricordo di “Vanni” Rota, fu sempre corretto, eccetto che in un’occasione; per quanto riguardava il vitto, la situazione era altalenante, con cibo talvolta abbondante e talvolta scarso. Tra i prigionieri c’era chi si rassegnò e chi cercò invece di fuggire, ma venne ricatturato a causa della delazione di un compagno; chi accettò infine di collaborare con i britannici e chi invece continuò a rifiutare anche dopo l’armistizio tra l’Italia e gli Alleati, convinto che avrebbe vinto la Repubblica Sociale Italiana.
Un giorno, il comandante Amicarelli mostrò al suo attendente Rota una copia del “Times” nella quale figuravano alcune fotografie scattate dai britannici durante l’azione che aveva portato all’affondamento del Cobalto. Una in particolare richiamò l’attenzione di Rota: vi si vedevano dei marinai italiani in mare con dietro il Cobalto agonizzante; uno dei marinai era più vicino all’Ithuriel (dal quale era scattata la foto) ed accanto a lui c’era una cassetta di frutta. Il marinaio era proprio Rota, e la cassetta gli era stata lanciata da un marinaio dell’Ithuriel perché potesse aggrapparvisi per restare a galla.
In Italia, intanto, si era sviluppato un legame anche tra la fidanzata del comandante Amicarelli e la madre di Rota, sua ordinanza: la fidanzata di Amicarelli, una contessa piemontese, si recava da Torino fin sul lago di Como per incontrare la madre di Rota ed incoraggiarla. Si asciugavano vicendevolmente le lacrime, aspettando il ritorno del fidanzato e del figlio.
Quando, in seguito, il comandante Amicarelli venne trasferito negli Stati Uniti, prima di partire provvide a ritagliare le foto del “Times” che mostravano l’affondamento del Cobalto ed a consegnarle a Rota, con la raccomandazione di non perderle e di nasconderle, onde evitare che venissero sequestrate. Per nascondere le foto, Rota scucì le scarpe ed infilò i ritagli del giornale nelle suole; pur di non rovinare le foto, rinunciò ad indossare quelle scarpe, che erano le migliori che aveva, accontentantosi di altre scarpe in condizioni molto peggiori. Avrebbe conservato quelle immagini per il resto della sua vita.
“Vanni” Rota poté rientrare dalla prigionia nell’agosto del 1946, dopo di che, tornato alla vita civile, divenne muratore. Sul Cobalto, quando il sommergibile stava sprofondando verso l’abisso sotto il martellamento delle bombe di profondità, aveva pregato prima sua madre e poi la Madonna di Valmadrera, della quale teneva un’immaginetta nel portafogli; da allora, per il resto della sua vita, Rota si sarebbe recato ogni anno al santuario della Madonna di San Martino, insieme a tutta la famiglia, per portare il suo ringraziamento. Fece anche dipingere, appena tornato a casa, un quadro come ex voto.

Il Cobalto (secondo da sinistra) a La Spezia, probabilmente nella primavera del 1942, insieme ad altri sommergibili: da sinistra a destra, Francesco Rismondo, Cobalto, H 2, Antonio Bajamonti e Marcantonio Colonna (g.c. STORIA militare)


1 commento:

  1. Buonasera, complimenti ancora per il lavoro.
    Vanni Rota era partito con mio zio Valsecchi Pietro perito col Neghelli, io mia madre e mio padre lo conoscevamo , lo andavamo a trovare ogni tanto, lui aveva una memoria perfetta e si ricordava benissimo do mio zio che aveva poi trovato ad Augusta prima della guerra quando lui era sul Folgore ed in altre occasioni, grazie.
    Pierino Valsecchi

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