La nave fotografata con il suo originario nome di Sara, a Copenhagen (foto Knud Fredfeldt, g.c. Maritime Museum of Denmark/billedarkiv.mfs.dk) |
Piroscafo da carico
di 1522,51 tsl e 886 tsn, lungo 73,6 metri, largo 11 e pescante 4, con velocità
di 9 nodi. Appartenente alla Federazione Italiana Consorzi Agrari, con sede a
Piacenza, ed iscritto con matricola 1395 al Compartimento Marittimo di Genova;
nominativo di chiamata IMMX.
Breve e parziale cronologia.
25 marzo 1904
Varato nei cantieri
Howaldtswerke A.G. di Kiel, in Germania, come danese Sara (numero di costruzione 404).
10 maggio 1904
Completato come Sara per la compagnia A/S
Dampskibselsskabet Torm di Copenhagen. La sua costruzione è costata 369.000
corone danesi.
Caratteristiche
originarie 1573 tsl, 988 tsn, 2380 tpl; nominativo di chiamata NMSL.
Ottobre 1914
Fermato e sequestrato
da navi da guerra tedesche durante la prima guerra mondiale.
12 aprile 1915
Viene pagata una
cauzione per il suo rilascio.
18 giugno 1915
Rilasciato dalle
autorità tedesche.
22 aprile 1926
Acquistato per 8250
lire dalla Federazione Italiana dei Consorzi Agrari, con sede a Piacenza, e ribattezzato
Emilio Morandi.
31 agosto 1927
L’Emilio Morandi, in procinto di partire
per Trieste, subisce un’avaria di macchina nel porto di Brindisi.
24 aprile 1928
Altro incidente,
nelle acque di Gallipoli, durante un viaggio da Fiume a Barletta.
1929
Il Morandi è impiegato sulla linea
Tirreno-Egeo per conto della Società Italiana Servizi Marittimi (pur restando
di proprietà della Federazione Italiana Consorzi Agrari) e sulla linea di
cabotaggio Adriatico-Sicilia-Tirreno a noleggio della Società di Navigazione a
Vapore "Adria".
26 settembre 1932
Altro incidente od
avaria durante un viaggio da Kalamate (Grecia) a Gallipoli.
30 aprile 1933
Trasporta un carico
di merci da Haifa a Giaffa, in Palestina.
3 giugno 1935
Il Morandi trasporta un carico di merci da
Trieste a Tel Aviv (Palestina).
27 luglio 1936
Pochi giorni dopo lo
scoppio della guerra civile spagnola, l’Emilio
Morandi carica nell’Arsenale di La Spezia 390 tonnellate di materiale dell’Aeronautica
(bombe d’aereo, munizioni per mitragliatrici, pezzi di ricambio e carburante
speciale necessario per i dodici bombardieri Savoia Marchetti S.M. 81 che
l’Italia invia contemporaneamente ai nazionalisti) destinato alle forze
spagnole nazionaliste dal governo fascista italiano, che ha deciso di
intervenire in loro appoggio (la decisione è stata presa da Mussolini il 25
luglio 1936, dopo iniziali esitazioni). S’imbarcano anche una ventina di
uomini.
3 agosto 1936
Il Morandi arriva a Melilla alle 9.30, nel
Marocco spagnolo, dove consegna il materiale alle forze nazionaliste (tale
materiale, ceduto a credito ai nazionalisti, dovrà equipaggiare la squadriglia
di S.M. 81, che intanto è volata da Elmas in Sardegna a Nador nel Marocco
spagnolo, perdendo però tre dei dodici aerei durante il viaggio di
trasferimento). Si tratta della prima delle decine di navi mercantili italiane
che nel corso della guerra civile trasporteranno in Spagna rifornimenti per le
forze franchiste.
Fine agosto 1936
L’Emilio Morandi prende il mare per
trasportare a Maiorca, dove infuria la battaglia tra spagnoli repubblicani (che
sono sbarcati il 16 agosto per conquistare l’isola) e nazionalisti (che la
difendono, supportati da consiglieri militari italiani), un consistente carico
di materiale militare inviato dal governo fascista italiano per aiutare i
nazionalisti spagnoli: sei aerei (tre caccia FIAT CR. 32 e tre idrovolanti
Macchi M. 41), 300 fusti di benzina, dodici mitragliere Breda da 20 mm, 97.000
colpi d’artiglieria contraerea, 70.000 proiettili anticarro ed un imprecisato
numero di bombe. S’imbarcano sul piroscafo anche quattro piloti destinati alla
squadriglia da formare con i CR. 32 e 20 specialisti addetti al montaggio ed
alla manutenzione degli aerei (per altra fonte, tale personale sarebbe stato
mandato a Maiorca per via aerea), nonché una quindicina di camicie nere.
27 agosto 1936
Il Morandi arriva a Maiorca; per mascherare
l’invio dei rifornimenti ai nazionalisti spagnoli da parte dell’Italia, che
formalmente è neutrale nella guerra civile, il Morandi simula un’avaria e viene preso a rimorchio dall’esploratore
Lanzerotto Malocello, dislocato a
Maiorca da qualche settimana, che lo porta nel porto di Palma. Il Morandi entra così in porto alle 20.30,
dopo di che il carico viene sbarcato durante la notte tra il 27 ed il 28. I CR.
32, portati nell’aeroporto di Son San Juan, vengono assemblati in poche ore; divenuti
operativi entro un paio di giorni dal loro arrivo, saranno usati per
contrastare gli attacchi aerei repubblicani su Maiorca.
12 febbraio 1939
Partito da Trieste,
il Morandi trasporta un carico di
merci ad Haifa (Palestina).
23 settembre 1942
Requisito a Cagliari
dalla Regia Marina.
22 ottobre 1942
L’Emilio Morandi parte da Trapani per
Tripoli alle 17.15, scortato dalle torpediniere Centauro (caposcorta) e Cigno
(di pattugliamento).
25 ottobre 1942
Arriva a Tripoli alle
21.10.
26 ottobre 1942
Il Morandi lascia Tripoli per trasferirsi a
Bengasi, scortato dalla torpediniera Circe.
29 ottobre 1942
Morandi e Circe arrivano a
Bengasi alle 8.
29 novembre 1942
Iscritto nel ruolo
del naviglio ausiliario dello Stato (dalle ore 00.00) nella categoria delle
navi onerarie (cioè, come trasporto).
13 novembre 1942
Alle 17 il Morandi lascia Bengasi, prossima a
cadere in mano nemica (sarà occupata dalle forze britanniche in avanzata il 20
novembre), per rientrare a Tripoli, scortato dalla torpediniera Giacomo Medici.
16 novembre 1942
Morandi e Circe giungono a
Tripoli alle 00.30.
L’Emilio Morandi sotto bandiera italiana (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net) |
L’affondamento
Alla fine di ottobre
1942, proprio mentre l’Emilio Morandi
lasciava l’Italia per trasferirsi in Libia, da dove non sarebbe più tornato, le
truppe dell’VIII Armata britannica del generale Bernard Law Montgomery avevano
scatenato contro le forze dell’Asse in Egitto l’offensiva sfociata nella
seconda battaglia di El Alamein, punto di svolta della guerra in Africa. Dopo
una settimana di accaniti combattimenti, l’Armata corazzata italo-tedesca,
ormai dimezzata, aveva iniziato un’interminabile ritirata, prima verso la
Tripolitania e poi verso la Tunisia; le truppe del Commonwealth in rapida
avanzata conquistarono Tobruk il 13 novembre (proprio il giorno in cui il Morandi lasciava Bengasi, destinata
entro pochi giorni allo stesso destino), Derna il 15 e Bengasi il 20. Dopo una
breve “pausa” segnata dall’ultimo tentativo di resistenza italo-tedesca in
terra libica, la battaglia di El Agheila (11-18 dicembre 1942), i britannici
conquistarono Sirte il 25 dicembre e si affacciarono alle porte della
Tripolitania.
La difesa di Tripoli
era ormai giudicata inutile ed impossibile: i resti delle forze di Rommel
proseguirono nel loro ripiegamento verso la Tunisia, mentre la capitale della
Libia venne abbandonata al suo destino, senza alcun tentativo di difesa. Per le
molte navi, tra cui l’Emilio Morandi,
che ancora si trovavano in quel porto, non restava altro da fare che lasciare
Tripoli prima che fosse troppo tardi.
A partire dalla metà
del gennaio 1943, pertanto, le navi in grado di muovere, cariche di materiali
di sgombero, salparono per l’Italia o per la Tunisia, isolate od in piccoli
convogli, mentre quelle immobilizzate da danni od avarie si autoaffondavano per
bloccare il porto e non cadere intatte in mano nemica.
Lasciarono Tripoli
due torpediniere, quattro navi mercantili di grandi dimensioni, nove tra
piccoli piroscafi e motovelieri, dieci rimorchiatori, due cacciasommergibili,
undici dragamine, tre motozattere, una nave ospedale ed una barca pompa. Solo
metà riuscì a passare: le altre vennero falcidiate da navi, aerei e
sommergibili avversari, che i comandi britannici avevano concentrato sulle
rotte di accesso a Tripoli nella giusta previsione che le navi italiane là
rimaste avrebbero tentato di fuggire prima che fosse troppo tardi. Andarono a
fondo due navi mercantili di grandi dimensioni, cinque tra piccoli piroscafi e
motovelieri, quattro rimorchiatori, un cacciasommergibili, nove dragamine ed
una barca pompa, ed insieme ad esse più di 600 uomini: le ultime vite perdute
in mare nella difesa della Libia ormai non più italiana.
Alle 22 del 6 gennaio
1943 l’Emilio Morandi lasciò Tripoli alla
volta di Trapani, insieme alle motozattere MZ
727, MZ 736, MZ 744 e MZ 755.
Capoconvoglio era il tenente di vascello Silvio Bagolini, comandante della MZ 727.
Nelle stive dell’Emilio Morandi si trovavano solo 250
tonnellate di materiali vari, mentre si erano imbarcati per il viaggio 64 tra
militari e militarizzati che dovevano rimpatriare (34 uomini della Regia Marina
e 30 operai militarizzati) oltre ai 34 membri dell’equipaggio, per un totale di
98 anime.
L’8 gennaio, i
decrittatori britannici di "ULTRA" intercettarono alcune
comunicazioni italiane che, decifrate, permisero loro di sapere che «il Morandi ha lasciato Tripoli alle 22.00
del 6 per l’Italia».
Alle 14.16 del 9
gennaio il convoglietto procedeva al largo della costa tunisina con il Morandi al centro, circondato dalle
quattro motozattere che fungevano da scorta (due per lato, in posizione di
scorta), quando venne avvistato su rilevamento 190° dal sommergibile britannico
P 35 (poi ribattezzato Umbra, al comando del tenente di
vascello Stephen Lynch Conway Maydon). Quest’ultimo, avendo apprezzato la rotta
del bersaglio in 345°, accostò nella sua direzione per intercettarlo, ed alle
14.40 lo identificò come un mercantile antiquato di circa 2000 tsl,
apparentemente in zavorra, diretto verso nord e scortato da quattro motozattere
tipo MFP (che infatti erano le motozattere tedesche delle quali le MZ italiane
erano una esatta riproduzione).
Alle 15.14, nel punto
35°37’ N e 11°09’ E, il P 35 lanciò
un primo siluro contro il Morandi da
una distanza di 1100 metri, ma un errore nell’esecuzione del lancio fece sì che
il siluro partisse troppo tardi, mancando il bersaglio. Dopo qualche minuto
venne lanciato un secondo siluro, da 1830 metri di distanza, da una posizione
quasi esattamente a poppa del bersaglio, ma nemmeno questo andò a segno. Da
parte italiana non ci si accorse di nulla.
Maydon decise allora
di emergere per serrare le distanze e portarsi nuovamente in posizione adatta
al lancio; alle 18.30 il P 35 emerse
in posizione 35°49’ N e 11°12’ E e si mise all’inseguimento del lento
convoglietto italiano, che procedeva ad appena cinque nodi di velocità.
Col favore del buio,
il P 35 raggiunse e sorpassò le unità
italiane e si portò in una posizione favorevole al lancio; poi, alle 20.03,
stando in superficie, lanciò un altro siluro contro il piroscafo, che in quel
momento si trovava una ventina di miglia a nordest di Kuriat e procedeva con
prora su Pantelleria (l’orario indicato dalle fonti italiane per il siluramento
differisce di qualche minuto, essendo le 20.10). La distanza era di soli 550
metri.
Stranamente, mentre
il giornale di bordo del sommergibile britannico registra un solo siluro
lanciato in questo attacco, le fonti italiane parlano di due siluri che
avrebbero colpito l’Emilio Morandi in
rapida successione, entrambi sul lato di dritta: il primo avrebbe distrutto la
prua del piroscafo, ed insieme ad essa anche la mitragliera che ivi si trovava
ed i suoi serventi, mentre il secondo avrebbe colpito il Morandi a centro nave, cagionandone il repentino affondamento. La
nave s’inabissò nel giro di dodici minuti, scomparendo alle 20.22, nel punto
35°59’ N e 11°22’ E (circa 35 miglia ad est-nord-est di Susa, in Tunisia; la
posizione registrata dal P 35 è
invece 35°58’ N e 11°20’ E).
Sempre secondo fonti
italiane, il sommergibile attaccante affiorò dopo il lancio, ma le due
motozattere che si trovavano su quel lato aprirono subito il fuoco con i loro
cannoni, inducendolo ad immergersi di nuovo e dileguarsi. Da parte britannica,
invece, risulterebbe che il P 35 dopo
il lancio s’immerse e si allontanò dall’area; è probabile che il sommergibile
non sia venuto in affioramento, ma che già si trovasse in affioramento e sia
stato visto dopo il lancio dalle motozattere, che a quel punto aprirono il
fuoco.
Il mare grosso ed il
buio complicarono notevolmente il salvataggio dei superstiti da parte delle
motozattere, che poté dirsi concluso soltanto all’alba del 10 gennaio.
Su 98 uomini
imbarcati sull’Emilio Morandi,
soltanto 32 poterono essere salvati (altra fonte parla di soli 23 sopravvissuti
recuperati dalle motozattere): scomparvero in mare in 66.
Le motozattere
portarono i naufraghi a Pantelleria, poi proseguirono per Trapani, dove
giunsero alle undici del mattino dell’11 gennaio.
La torpediniera Partenope, inviata sul luogo
dell’affondamento per cercare altri sopravvissuti, non ne trovò nessuno.
L’affondamento dell’Emilio Morandi nel giornale di bordo
dell’Umbra (da Uboat.net):
“1416 hours = Sighted
a merchant ship bearing 190°. Enemy course was 345°. Altered course to
intercept.
1440 hours - The
target was a 2000 tons old-fashioned merchant vessel. She was Northbound and in
ballast. She was escorted by 4 'F-boats' (Tank landing craft).
1514 hours - In
position 35°37'N, 11°09'E fired a torpedo at the target from 1200 yards. Due to
an error in drill the torpedo was fired to late resulting in a miss. Another
torpedo was then fired but this one also missed.
1820 hours - Surfaced
in position 35°49'N, 11°12'E and set off in pursuit.
2003 hours - In
position 35°58'N, 11°20'E fired another torpedo from 600 yards. After 27
seconds it hit the target. P 35 dived
after firing and retired from the area. No counter attack followed.”
Un’altra foto del Morandi come Sara, a Copenhagen durante la prima guerra mondiale (foto Knud Fredfeldt, g.c. Maritime Museum of Denmark/billedarkiv.mfs.dk) |
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