sabato 19 maggio 2018

Emilio Morandi

La nave fotografata con il suo originario nome di Sara, a Copenhagen (foto Knud Fredfeldt, g.c. Maritime Museum of Denmark/billedarkiv.mfs.dk)

Piroscafo da carico di 1522,51 tsl e 886 tsn, lungo 73,6 metri, largo 11 e pescante 4, con velocità di 9 nodi. Appartenente alla Federazione Italiana Consorzi Agrari, con sede a Piacenza, ed iscritto con matricola 1395 al Compartimento Marittimo di Genova; nominativo di chiamata IMMX.

Breve e parziale cronologia.

25 marzo 1904
Varato nei cantieri Howaldtswerke A.G. di Kiel, in Germania, come danese Sara (numero di costruzione 404).
10 maggio 1904
Completato come Sara per la compagnia A/S Dampskibselsskabet Torm di Copenhagen. La sua costruzione è costata 369.000 corone danesi.
Caratteristiche originarie 1573 tsl, 988 tsn, 2380 tpl; nominativo di chiamata NMSL.
Ottobre 1914
Fermato e sequestrato da navi da guerra tedesche durante la prima guerra mondiale.
12 aprile 1915
Viene pagata una cauzione per il suo rilascio.
18 giugno 1915
Rilasciato dalle autorità tedesche.
22 aprile 1926
Acquistato per 8250 lire dalla Federazione Italiana dei Consorzi Agrari, con sede a Piacenza, e ribattezzato Emilio Morandi.
31 agosto 1927
L’Emilio Morandi, in procinto di partire per Trieste, subisce un’avaria di macchina nel porto di Brindisi.
24 aprile 1928
Altro incidente, nelle acque di Gallipoli, durante un viaggio da Fiume a Barletta.
1929
Il Morandi è impiegato sulla linea Tirreno-Egeo per conto della Società Italiana Servizi Marittimi (pur restando di proprietà della Federazione Italiana Consorzi Agrari) e sulla linea di cabotaggio Adriatico-Sicilia-Tirreno a noleggio della Società di Navigazione a Vapore "Adria".
26 settembre 1932
Altro incidente od avaria durante un viaggio da Kalamate (Grecia) a Gallipoli.
30 aprile 1933
Trasporta un carico di merci da Haifa a Giaffa, in Palestina.
3 giugno 1935
Il Morandi trasporta un carico di merci da Trieste a Tel Aviv (Palestina).
27 luglio 1936
Pochi giorni dopo lo scoppio della guerra civile spagnola, l’Emilio Morandi carica nell’Arsenale di La Spezia 390 tonnellate di materiale dell’Aeronautica (bombe d’aereo, munizioni per mitragliatrici, pezzi di ricambio e carburante speciale necessario per i dodici bombardieri Savoia Marchetti S.M. 81 che l’Italia invia contemporaneamente ai nazionalisti) destinato alle forze spagnole nazionaliste dal governo fascista italiano, che ha deciso di intervenire in loro appoggio (la decisione è stata presa da Mussolini il 25 luglio 1936, dopo iniziali esitazioni). S’imbarcano anche una ventina di uomini.
3 agosto 1936
Il Morandi arriva a Melilla alle 9.30, nel Marocco spagnolo, dove consegna il materiale alle forze nazionaliste (tale materiale, ceduto a credito ai nazionalisti, dovrà equipaggiare la squadriglia di S.M. 81, che intanto è volata da Elmas in Sardegna a Nador nel Marocco spagnolo, perdendo però tre dei dodici aerei durante il viaggio di trasferimento). Si tratta della prima delle decine di navi mercantili italiane che nel corso della guerra civile trasporteranno in Spagna rifornimenti per le forze franchiste.
Fine agosto 1936
L’Emilio Morandi prende il mare per trasportare a Maiorca, dove infuria la battaglia tra spagnoli repubblicani (che sono sbarcati il 16 agosto per conquistare l’isola) e nazionalisti (che la difendono, supportati da consiglieri militari italiani), un consistente carico di materiale militare inviato dal governo fascista italiano per aiutare i nazionalisti spagnoli: sei aerei (tre caccia FIAT CR. 32 e tre idrovolanti Macchi M. 41), 300 fusti di benzina, dodici mitragliere Breda da 20 mm, 97.000 colpi d’artiglieria contraerea, 70.000 proiettili anticarro ed un imprecisato numero di bombe. S’imbarcano sul piroscafo anche quattro piloti destinati alla squadriglia da formare con i CR. 32 e 20 specialisti addetti al montaggio ed alla manutenzione degli aerei (per altra fonte, tale personale sarebbe stato mandato a Maiorca per via aerea), nonché una quindicina di camicie nere.
27 agosto 1936
Il Morandi arriva a Maiorca; per mascherare l’invio dei rifornimenti ai nazionalisti spagnoli da parte dell’Italia, che formalmente è neutrale nella guerra civile, il Morandi simula un’avaria e viene preso a rimorchio dall’esploratore Lanzerotto Malocello, dislocato a Maiorca da qualche settimana, che lo porta nel porto di Palma. Il Morandi entra così in porto alle 20.30, dopo di che il carico viene sbarcato durante la notte tra il 27 ed il 28. I CR. 32, portati nell’aeroporto di Son San Juan, vengono assemblati in poche ore; divenuti operativi entro un paio di giorni dal loro arrivo, saranno usati per contrastare gli attacchi aerei repubblicani su Maiorca.
12 febbraio 1939
Partito da Trieste, il Morandi trasporta un carico di merci ad Haifa (Palestina).
23 settembre 1942
Requisito a Cagliari dalla Regia Marina.
22 ottobre 1942
L’Emilio Morandi parte da Trapani per Tripoli alle 17.15, scortato dalle torpediniere Centauro (caposcorta) e Cigno (di pattugliamento).
25 ottobre 1942
Arriva a Tripoli alle 21.10.
26 ottobre 1942
Il Morandi lascia Tripoli per trasferirsi a Bengasi, scortato dalla torpediniera Circe.
29 ottobre 1942
Morandi e Circe arrivano a Bengasi alle 8.
29 novembre 1942
Iscritto nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato (dalle ore 00.00) nella categoria delle navi onerarie (cioè, come trasporto).
13 novembre 1942
Alle 17 il Morandi lascia Bengasi, prossima a cadere in mano nemica (sarà occupata dalle forze britanniche in avanzata il 20 novembre), per rientrare a Tripoli, scortato dalla torpediniera Giacomo Medici.
16 novembre 1942
Morandi e Circe giungono a Tripoli alle 00.30.
 
L’Emilio Morandi sotto bandiera italiana (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net)

L’affondamento

Alla fine di ottobre 1942, proprio mentre l’Emilio Morandi lasciava l’Italia per trasferirsi in Libia, da dove non sarebbe più tornato, le truppe dell’VIII Armata britannica del generale Bernard Law Montgomery avevano scatenato contro le forze dell’Asse in Egitto l’offensiva sfociata nella seconda battaglia di El Alamein, punto di svolta della guerra in Africa. Dopo una settimana di accaniti combattimenti, l’Armata corazzata italo-tedesca, ormai dimezzata, aveva iniziato un’interminabile ritirata, prima verso la Tripolitania e poi verso la Tunisia; le truppe del Commonwealth in rapida avanzata conquistarono Tobruk il 13 novembre (proprio il giorno in cui il Morandi lasciava Bengasi, destinata entro pochi giorni allo stesso destino), Derna il 15 e Bengasi il 20. Dopo una breve “pausa” segnata dall’ultimo tentativo di resistenza italo-tedesca in terra libica, la battaglia di El Agheila (11-18 dicembre 1942), i britannici conquistarono Sirte il 25 dicembre e si affacciarono alle porte della Tripolitania.
La difesa di Tripoli era ormai giudicata inutile ed impossibile: i resti delle forze di Rommel proseguirono nel loro ripiegamento verso la Tunisia, mentre la capitale della Libia venne abbandonata al suo destino, senza alcun tentativo di difesa. Per le molte navi, tra cui l’Emilio Morandi, che ancora si trovavano in quel porto, non restava altro da fare che lasciare Tripoli prima che fosse troppo tardi.
A partire dalla metà del gennaio 1943, pertanto, le navi in grado di muovere, cariche di materiali di sgombero, salparono per l’Italia o per la Tunisia, isolate od in piccoli convogli, mentre quelle immobilizzate da danni od avarie si autoaffondavano per bloccare il porto e non cadere intatte in mano nemica.
Lasciarono Tripoli due torpediniere, quattro navi mercantili di grandi dimensioni, nove tra piccoli piroscafi e motovelieri, dieci rimorchiatori, due cacciasommergibili, undici dragamine, tre motozattere, una nave ospedale ed una barca pompa. Solo metà riuscì a passare: le altre vennero falcidiate da navi, aerei e sommergibili avversari, che i comandi britannici avevano concentrato sulle rotte di accesso a Tripoli nella giusta previsione che le navi italiane là rimaste avrebbero tentato di fuggire prima che fosse troppo tardi. Andarono a fondo due navi mercantili di grandi dimensioni, cinque tra piccoli piroscafi e motovelieri, quattro rimorchiatori, un cacciasommergibili, nove dragamine ed una barca pompa, ed insieme ad esse più di 600 uomini: le ultime vite perdute in mare nella difesa della Libia ormai non più italiana.

Alle 22 del 6 gennaio 1943 l’Emilio Morandi lasciò Tripoli alla volta di Trapani, insieme alle motozattere MZ 727, MZ 736, MZ 744 e MZ 755. Capoconvoglio era il tenente di vascello Silvio Bagolini, comandante della MZ 727.
Nelle stive dell’Emilio Morandi si trovavano solo 250 tonnellate di materiali vari, mentre si erano imbarcati per il viaggio 64 tra militari e militarizzati che dovevano rimpatriare (34 uomini della Regia Marina e 30 operai militarizzati) oltre ai 34 membri dell’equipaggio, per un totale di 98 anime.
L’8 gennaio, i decrittatori britannici di "ULTRA" intercettarono alcune comunicazioni italiane che, decifrate, permisero loro di sapere che «il Morandi ha lasciato Tripoli alle 22.00 del 6 per l’Italia».
Alle 14.16 del 9 gennaio il convoglietto procedeva al largo della costa tunisina con il Morandi al centro, circondato dalle quattro motozattere che fungevano da scorta (due per lato, in posizione di scorta), quando venne avvistato su rilevamento 190° dal sommergibile britannico P 35 (poi ribattezzato Umbra, al comando del tenente di vascello Stephen Lynch Conway Maydon). Quest’ultimo, avendo apprezzato la rotta del bersaglio in 345°, accostò nella sua direzione per intercettarlo, ed alle 14.40 lo identificò come un mercantile antiquato di circa 2000 tsl, apparentemente in zavorra, diretto verso nord e scortato da quattro motozattere tipo MFP (che infatti erano le motozattere tedesche delle quali le MZ italiane erano una esatta riproduzione).
Alle 15.14, nel punto 35°37’ N e 11°09’ E, il P 35 lanciò un primo siluro contro il Morandi da una distanza di 1100 metri, ma un errore nell’esecuzione del lancio fece sì che il siluro partisse troppo tardi, mancando il bersaglio. Dopo qualche minuto venne lanciato un secondo siluro, da 1830 metri di distanza, da una posizione quasi esattamente a poppa del bersaglio, ma nemmeno questo andò a segno. Da parte italiana non ci si accorse di nulla.
Maydon decise allora di emergere per serrare le distanze e portarsi nuovamente in posizione adatta al lancio; alle 18.30 il P 35 emerse in posizione 35°49’ N e 11°12’ E e si mise all’inseguimento del lento convoglietto italiano, che procedeva ad appena cinque nodi di velocità.
Col favore del buio, il P 35 raggiunse e sorpassò le unità italiane e si portò in una posizione favorevole al lancio; poi, alle 20.03, stando in superficie, lanciò un altro siluro contro il piroscafo, che in quel momento si trovava una ventina di miglia a nordest di Kuriat e procedeva con prora su Pantelleria (l’orario indicato dalle fonti italiane per il siluramento differisce di qualche minuto, essendo le 20.10). La distanza era di soli 550 metri.
Stranamente, mentre il giornale di bordo del sommergibile britannico registra un solo siluro lanciato in questo attacco, le fonti italiane parlano di due siluri che avrebbero colpito l’Emilio Morandi in rapida successione, entrambi sul lato di dritta: il primo avrebbe distrutto la prua del piroscafo, ed insieme ad essa anche la mitragliera che ivi si trovava ed i suoi serventi, mentre il secondo avrebbe colpito il Morandi a centro nave, cagionandone il repentino affondamento. La nave s’inabissò nel giro di dodici minuti, scomparendo alle 20.22, nel punto 35°59’ N e 11°22’ E (circa 35 miglia ad est-nord-est di Susa, in Tunisia; la posizione registrata dal P 35 è invece 35°58’ N e 11°20’ E).
Sempre secondo fonti italiane, il sommergibile attaccante affiorò dopo il lancio, ma le due motozattere che si trovavano su quel lato aprirono subito il fuoco con i loro cannoni, inducendolo ad immergersi di nuovo e dileguarsi. Da parte britannica, invece, risulterebbe che il P 35 dopo il lancio s’immerse e si allontanò dall’area; è probabile che il sommergibile non sia venuto in affioramento, ma che già si trovasse in affioramento e sia stato visto dopo il lancio dalle motozattere, che a quel punto aprirono il fuoco.
Il mare grosso ed il buio complicarono notevolmente il salvataggio dei superstiti da parte delle motozattere, che poté dirsi concluso soltanto all’alba del 10 gennaio.

Su 98 uomini imbarcati sull’Emilio Morandi, soltanto 32 poterono essere salvati (altra fonte parla di soli 23 sopravvissuti recuperati dalle motozattere): scomparvero in mare in 66.
Le motozattere portarono i naufraghi a Pantelleria, poi proseguirono per Trapani, dove giunsero alle undici del mattino dell’11 gennaio.
La torpediniera Partenope, inviata sul luogo dell’affondamento per cercare altri sopravvissuti, non ne trovò nessuno.


L’affondamento dell’Emilio Morandi nel giornale di bordo dell’Umbra (da Uboat.net):

“1416 hours = Sighted a merchant ship bearing 190°. Enemy course was 345°. Altered course to intercept.
1440 hours - The target was a 2000 tons old-fashioned merchant vessel. She was Northbound and in ballast. She was escorted by 4 'F-boats' (Tank landing craft).
1514 hours - In position 35°37'N, 11°09'E fired a torpedo at the target from 1200 yards. Due to an error in drill the torpedo was fired to late resulting in a miss. Another torpedo was then fired but this one also missed.
1820 hours - Surfaced in position 35°49'N, 11°12'E and set off in pursuit.
2003 hours - In position 35°58'N, 11°20'E fired another torpedo from 600 yards. After 27 seconds it hit the target. P 35 dived after firing and retired from the area. No counter attack followed.”
 
Un’altra foto del Morandi come Sara, a Copenhagen durante la prima guerra mondiale (foto Knud Fredfeldt, g.c. Maritime Museum of Denmark/billedarkiv.mfs.dk)


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