L’Iridio Mantovani (da www.naviecapitani.it) |
Motonave cisterna da
10.539 tsl, 6326 tsn e 14.770 tpl, lunga 150,32 metri e larga 20,83, con pescaggio
di 11,12 m e velocità massima 16 nodi. Appartenente all’AGIP (Azienda Generale
Italiana Petroli, con sede a Roma), iscritta con matricola 2250 al
Compartimento Marittimo di Genova, nominativo di chiamata IBKI.
Con le gemelle Sergio Laghi, Franco Martelli e Giulio
Giordani – tutte battezzate, per disposizione del governo, con nomi di militari
decorati di Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria –, faceva parte del
programma di modernizzazione della flotta AGIP, avviato a fine anni Trenta con
l’espansione commerciale della compagnia. Tale programma, che nelle intenzioni
doveva dotare l’AGIP di una flotta all’avanguardia per l’epoca, prevedeva la
realizzazione di quattro motocisterne da 10.500 tsl e 15.000 tpl (appunto Mantovani, Laghi, Martelli e Giordani) per il lungo corso, quattro
motocisterne più piccole da 2000 tpl (da impiegarsi sulle rotte con la Libia e
l’Africa Orientale) e due di dimensioni ancora più ridotte, 1000 tpl (per il
traffico con la Dalmazia) e 600 tpl (per il traffico con il Dodecaneso).
La nave poco tempo dopo il completamento (g.c. Letterio Tomasello via www.naviearmatori.net) |
Mantovani e gemelle erano le più grandi, moderne e veloci motonavi
cisterna italiane della loro epoca: gioielli della cantieristica italiana,
erano le “superpetroliere” del tempo, e tra le navi cisterna più grandi al
mondo al momento della loro costruzione. La Mantovani
si distingueva dalle gemelle per l’apparato motore, un CRA-Sulzer da 6800
b.h.p., mentre Giordani e Martelli erano propulse da motori FIAT.
Breve e parziale cronologia.
27 gennaio 1938
Impostata nei
Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Monfalcone (numero di costruzione 1204).
22 dicembre 1938
Varata nei Cantieri Riuniti
dell’Adriatico di Monfalcone, alla presenza del Ministro delle Comunicazioni,
Giovanni Host-Venturi, in rappresentanza del governo.
Essendo una
costruzione interamente autarchica, la stampa dà gran risalto al varo
della Mantovani e della
gemella Franco Martelli.
13 maggio 1939
Completata (seconda
delle quattro unità della sua serie ad entrare in servizio) per l’Azienda
Generale Italiana Petroli (AGIP), con sede a Roma.
28 novembre 1940
Requisita dalla Regia
Marina, senza essere iscritta nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato.
9 gennaio 1941
Derequisita dalla
Regia Marina.
1° maggio 1941
Nuovamente requisita
dalla Regia Marina, ancora senza essere iscritta nel ruolo del naviglio
ausiliario dello Stato.
In navigazione (da “Il vero traditore” di Alberto Santoni, Mursia, 1981) |
2 maggio 1941
Subito derequisita.
1° novembre 1941
Requisita per la
terza ed ultima volta dalla Regia Marina, sempre senza essere iscritta nel
ruolo del naviglio ausiliario dello Stato.
14-15 novembre 1941
La Mantovani lascia la Liguria per
trasferirsi a sud, scortata dalla torpediniera Giacinto Carini.
Nel primo pomeriggio Mantovani e Carini incontrano al largo di Fiumicino i piroscafi Ninetto G. e Valsavoia, diretti a
La Spezia e scortati dalla torpediniera Perseo;
i mercantili si scambiano le rispettive torpediniere di scorta, poi proseguono
ciascuno per la propria rotta. Alle 16.05 del 15 novembre, poco prima dello
scambio delle scorte, Mantovani e Carini vengono avvistate dal
sommergibile olandese O 21 (capitano
di corvetta Johannes Frans Van Dulm). Nonostante la distanza di poche centinaia
di metri, l’O 21 non attacca la
petroliera, a causa della presenza di un cacciatorpediniere che issa un segnale
e gli dirige incontro, inducendolo a scendere in profondità; alle 16.20 il
sommergibile attaccherà invece l’altro convoglio, senza successo.
Una serie
di foto scattate a bordo della Mantovani
(da da “Uomini e navi – La flotta petrolifera ENI in ottanta anni di storia”,
di Letterio Tomasello)
21 novembre 1941
La Mantovani (regio commissario, capitano
del Genio Navale Vincenzo Di Noto) e la motonave da carico Monginevro, che formano il secondo scaglione del convoglio «C»,
salpano da Napoli per Tripoli alle 5.30, scortate dal cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco (caposcorta) e
dalla torpediniera Enrico Cosenz.
Il convoglio fa parte di un’operazione di traffico volta ad inviare urgenti
rifornimenti in Libia, dov’è iniziata da pochi giorni un’offensiva britannica
(operazione «Crusader») e dopo che la distruzione del convoglio «Duisburg»,
avvenuta il 9 novembre ad opera della Forza K britannica, ha provocato la
perdita di un ingente quantitativo di rifornimenti diretti in Africa
Settentrionale.
Dopo qualche giorno
di parziale stasi dovuto al disastro del 9 novembre, infatti, il capo di Stato
Maggiore generale, maresciallo Ugo Cavallero, ha dato ordine il 13 novembre di
far partire immediatamente per la Libia le motonavi già cariche e pronte alla
partenza, con poderosa scorta di almeno due divisioni di incrociatori, con
operazione da svolgersi al più presto, al fine di “sfruttare il vantaggio della
sorpresa”.
Supermarina,
d’accordo con Superareo, ha quindi subito provveduto a dare le disposizioni per
l’invio a Tripoli delle sei motonavi già pronte a Napoli (Mantovani, unica nave cisterna; Monginevro, Ankara, Sebastiano Venier, Vettor Pisani e Napoli,
navi da carico), lungo la rotta di levante, passando per lo Stretto di Messina
e tenendosi poi al di fuori del raggio d’azione degli aerosiluranti d Malta
(190 miglia).
L’operazione vede in
mare altri due gruppi di due moderne motonavi ciascuno: il primo scaglione del
convoglio «C», partito da Napoli alle 20 del 20 (motonavi Napoli e Vettor Pisani, cacciatorpediniere Turbine, torpediniera Perseo) ed il convoglio «Alfa», salpato
da Napoli alle 19 del 20 (motonavi Ankara e Sebastiano Venier e cacciatorpediniere Maestrale, Alfredo
Oriani e Vincenzo Gioberti).
La III e VIII Divisione Navale dovranno dare loro protezione; dallo stretto di
Messina in poi, dovranno navigare ad immediato contatto col convoglio «C», quasi
incorporate in esso.
Al contempo, una
motonave veloce (la Fabio Filzi)
sarà inviata sempre a Tripoli ma sulla rotta di ponente (per il Canale di
Sicilia), con la scorta di un paio di cacciatorpediniere (oltre che di aerei:
sia sui due convogli che sulla Filzi la
scorta aerea dovrà essere continua, nelle ore diurne, dal 20 al 23 novembre),
per non dare nell’occhio. Contestualmente saranno inviati a Bengasi
l’incrociatore leggero Luigi Cadorna in
missione di trasporto di carburante (da Brindisi) e le motonavi Città di Palermo e Città di Tunisi cariche di truppe
(da Taranto), e verranno fatte rientrare in Italia le navi rimaste bloccate a
Tripoli dall’inizio di novembre. L’idea è che un tale numero di navi in
movimento contemporaneamente, divise in più convogli sparsi su una vasta area,
confonda e disorienti la ricognizione maltese; che i convogli finiscano col
coprirsi a vicenda; che la presenza in mare della III e VIII Divisione scoraggi
interventi da parte della Forza K britannica (autrice della distruzione del
convoglio «Duisburg»), notevolmente inferiore per numero e potenza
(incrociatori leggeri Aurora e Penelope e cacciatorpediniere Lance e Lively). L’Aeronautica, oltre alla scorta antiaerea ed
antisommergibile dei convogli, effettuerà anche azioni di ricognizione e di
bombardamento degli aeroporti di Malta. Alcuni sommergibili vengono disposti in
agguato nelle acque circostanti l’isola.
Dopo vari rinvii
dovuti al maltempo (che impedisce l’utilizzo degli aeroporti della Sicilia),
l’operazione prende il via, ma fin da subito molte cose non vanno per il verso
giusto. Il convoglio «Alfa» viene avvistato da un ricognitore britannico poco
dopo la partenza; quando viene intercettato un messaggio radio britannico dal
quale risulta che una forza navale britannica non è molto lontana, il convoglio
viene dirottato ad Argostoli, ponendo così fine alla sua partecipazione
nell’operazione.
I due scaglioni del
convoglio «C», invece, si uniscono invece poco prima di imboccare lo stretto di
Messina (poco dopo le 16 del 21), costituendo una formazione unica, sotto la
direzione del Da Recco,
procedendo a 14 nodi.
A protezione
dell’operazione esce in mare da Napoli, alle 8.10 del 21, la VIII Divisione
(incrociatori leggeri Luigi di
Savoia Duca degli Abruzzi, nave di bandiera del comandante superiore in
mare, ammiraglio di divisione Giuseppe Lombardi, e Giuseppe Garibaldi; cacciatorpediniere Aviere, Geniere, Corazziere, Carabiniere e Camicia
Nera) quale scorta indiretta, seguita alle 19.30 dello stesso giorno dalla
III Divisione (incrociatori pesanti Trento, Trieste e Gorizia, quest’ultimo nave ammiraglia) per scorta strategica.
Poco dopo le 16, la
VIII Divisione raggiunge il convoglio «C» e ne assume la scorta diretta; quasi
contemporaneamente, però (mentre ancora la formazione è a nord della Sicilia),
convoglio e scorta vengono avvistati da un aereo e da un sommergibile
avversari, che segnalano a Malta la presenza di navi mercantili e navi da
guerra italiane dirette verso lo stretto di Messina. Supermarina intercetta e
decifra entrambi i segnali di scoperta; stante però la potente scorta di cui il
convoglio gode, sia Supermarina che l’ammiraglio Lombardi decidono di
proseguire, senza neanche modificare la rotta.
Alle 18 Da Recco e Cosenz lasciano la scorta, venendo
sostituiti dai cacciatorpediniere Ugolino
Vivaldi, Emanuele Pessagno ed Antonio Da Noli. Alle 19.50 il convoglio
e la VIII Divisione imboccano lo stretto di Messina, e poco dopo vengono
raggiunti anche dalla III Divisione dell’ammiraglio Angelo Parona. La VIII
Divisione si posiziona in testa al convoglio, la III in coda; tutta la
formazione assume direttrice di marcia lungo la costa siciliana, a 14 nodi,
come ordinato. Alle 20.45 l’ammiraglio Lombardi viene informato da Supermarina
che forze di superficie britanniche sono in mare, e provvede ad ordinare a
tutte le unità “posto di combattimento generale”, avvisandole dell’eventualità
di un incontro notturno con navi nemiche. Contemporaneamente il convoglio
inizia ad essere sorvolato da ricognitori britannici, che volano sul suo cielo
con qualche luce volutamente lasciata accesa, in modo da attirare il fuoco
contraereo delle navi, che segnalano così, involontariamente, la direttrice di
marcia del convoglio. L’ammiraglio Lombardi ordina tassativamente di non aprire
il fuoco contro i ricognitori, essendo peraltro inutile, proprio per evitare di
segnalare la propria posizione; ma durante la notte diverse navi, soprattutto
tra quelle mercantili, si lasciano sfuggire sporadiche raffiche di mitragliera
contro tali velivoli.
I ricognitori non
perdono mai di vista il convoglio, aggiornando continuamente Malta sui suoi
spostamenti: innumerevoli messaggi vengono intercettati e decifrati sia da
Supermarina che dal comando della VIII Divisione.
Alle 21.45 la
formazione assume rotta 96°, in modo da uscire prima possibile dal raggio
d’azione degli aerosiluranti, e poco dopo si dispone in ordine di marcia
notturna, con l’VIII Divisione a dritta e la III a sinistra. Tale cambiamento
di rotta e formazione viene ordinato dall’ammiraglio Lombardi per cercare di
disorientare i ricognitori; ma poco dopo ricompaiono i bengala ed i fanalini
dei ricognitori, a mostrare che il convoglio non è stato perso di vista. Non
passa molto, anzi, prima che inizi una serie di violenti attacchi aerei; ed
anche sommergibili britannici si avvicinano al convoglio per attaccarlo.
Alle 23.12 il Trieste viene silurato dal
sommergibile britannico Utmost (capitano
di corvetta Richard Douglas Cayley), riportando danni gravissimi: rimane
immobilizzato, e potrà rimettere in moto solo alle 00.38, scortato da Corazziere e Carabiniere, per trascinarsi verso
Messina. Ma non è finita.
Un’altra immagine della Mantovani (da www.naviearmatori.net, utente Commis) |
22 novembre 1941
Poco dopo le 00.30
diverse unità sentono rumore di aerei, e dopo pochi secondi molti bengala
iniziano ad accendersi, uno dopo l’altro, nel cielo a nord del convoglio, su
rotta ad esso parallela: l’ammiraglio Lombardi ordina subito a tutte le unità
di accostare a un tempo di 90° verso sud, per dare la poppa ai bengala. Si
prepara infatti un attacco di aerosiluranti: Duca degli Abruzzi, Garibaldi e
le quattro motonavi appaiono ben visibili nella luce dei bengala. L’ordine
viene eseguito, ma alle alle 00.38 anche il Duca degli Abruzzi viene colpito da un siluro d’aereo, e si
ferma con gravi danni.
La menomazione della
forza di scorta, insieme ai continui e violenti attacchi aerei ed alla notizia
della presenza in mare di forze di superficie britanniche, inducono
l’ammiraglio Lombardi ad ordinare che il convoglio, accompagnato da Trento e Gorizia e dalla XI Squadriglia Cacciatorpediniere (oltre alla
scorta diretta), rientri a Taranto; Supermarina conferma l’ordine. Garibaldi e XIII Squadriglia
rimangono ad assistere il Duca degli
Abruzzi, che riuscirà faticosamente a rientrare a Messina.
Sotto i violenti e
continui attacchi aerei, le motonavi si disorientano e si disperdono: soltanto
la Napoli rimane in prossimità della
III Divisione; la Mantovani rimane
isolata e vaga per tutta la notte seguendo rotte varie, poi viene ritrovata
dal Gorizia alle 11.10 ed
avviata a Taranto (lo stesso accade alla Pisani,
mentre la disorientata Monginevro,
che ha ricevuto gli ordini solo più tardi e mutato rotta più volte, vi arriverà
soltanto il giorno seguente). Scortata dal cacciatorpediniere Camicia Nera, la Mantovani arriva a Taranto alle 24, diverse ore dopo Vettor Pisani e Napoli.
(da www.shipsnostalgia.com, utente dom) |
L’affondamento
Dopo il fallimento
dell’operazione del 21 novembre, la Mantovani
rimase a Taranto per circa una settimana. Nel frattempo, nuovi gravi eventi
avevano funestato i traffici con la Libia: il 24 novembre il convoglio «Maritza»,
in navigazione dal Pireo a Bengasi con i piroscafi tedeschi Maritza e Procida scortati dalle torpediniere Lupo e Cassiopea, era
stato intercettato dalla Forza K britannica (incrociatori leggeri Aurora e Penelope, cacciatorpediniere Lance
e Lively) che, nonostante la difesa
opposta dalle torpediniere (la Lupo
era anche andata al contrattacco contro una forza superiore), aveva affondato
entrambi i piroscafi.
Dopo la distruzione
del convoglio «Maritza», Supermarina sospese temporaneamente tutte le partenze
da e per la Libia, con l’intento, prima di far partire altri mercantili, di
accertare quali errori avessero permesso la distruzione di quel convoglio. Si
stava però sviluppando in quei giorni l’offensiva britannica «Crusader» in
Africa Settentrionale, ed era più che mai urgente la necessità di rifornimenti
da parte delle forze italo-tedesche che si trovavano sotto attacco; di
conseguenza, dopo pochi giorni fu inevitabile far proseguire per la Libia tutte
le navi mercantili in attesa nei porti italiani e greci, nei quali si erano
dovute rifugiare a causa delle funeste vicende di fine novembre.
Tra queste navi era
anche la Mantovani. Per il suo nuovo
viaggio verso Tripoli, Supermarina decise di non farla navigare più in
convoglio, bensì isolata, con la scorta di un cacciatorpediniere, ed inoltre
sulla rotta di ponente (Canale di Sicilia e Kerkennah) anziché, come si era
fatto in precedenza, sulla rotta che passava a levante di Malta.
Si pianificò inoltre
il viaggio in modo che esso avvenisse contemporaneamente a quelli di altri tre
convogli diretti in Libia (a Bengasi, però, anziché a Tripoli: piroscafi Iseo e Capo Faro scortati dalla torpediniera Procione, da Brindisi; motonave Sebastiano
Venier scortata dal
cacciatorpediniere Giovanni Da Verrazzano,
da Taranto; incrociatore ausiliario Adriatico,
da Argostoli). La contemporaneità della partenza del convoglio «Mantovani», che
avrebbe percorso la rotta occidentale, e di tre convogli che avrebbero seguito
quella orientale avrebbe dovuto, nelle intenzioni, confondere i ricognitori
britannici, come già avvenuto in passato. Questa volta, però, il traffico ad
est ed ad ovest dell’isola non era stato sincronizzato a dovere: il convoglio «Mantovani»
avrebbe infatti navigato con 12-15 ore di ritardo rispetto a quelli diretti a
Bengasi, venendo così a rappresentare l’unico convoglio in mare per tutta la
giornata del 1° dicembre.
La Mantovani lasciò Taranto il 26 novembre
1941 per trasferirsi a Trapani, scortata dal cacciatorpediniere Alvise Da Mosto (capitano di fregata
Francesco Dell’Anno) e dalle torpediniere Giuseppe
Dezza ed Enrico Cosenz. Nello
stretto di Messina una torpediniera lanciò un allarme sommergibili, ed il Da Mosto effettuò un’infruttuosa
ricerca; poi, al largo dell’estremità meridionale della Sicilia, venne rilevato
un campo minato di cui non si conosceva la presenza, e l’S-Geraet (sonar di
produzione tedesca) del Da Mosto
servì per localizzare le mine ed evitarle. La Dezza dovette successivamente lasciare la scorta per avaria.
Al largo di Capo dell’Armi,
il 27 novembre, la Mantovani scampò
ad un attacco da parte del più famoso sommergibile della Royal Navy: l’Upholder, del capitano di corvetta
Malcolm David Wanklyn. Alle 7.30 di quel giorno, infatti, il battello
britannico avvistò una grossa nave cisterna scortata da due cacciatorpediniere,
con rotta 270°, in posizione 37°47’ N e 15°44’ E. L’Upholder si avvicinò per attaccare, e quando alle 7.40 il
convoglietto accostò per 335° identificò la petroliera come una nave di nuova
costruzione, con stazza stimata in 7000-8000 tsl, e la sua scorta come composta
da una torpediniera “classe Partenope” (sbagliando completamente) ed una classe
Generali (che invece era in effetti molto simile alla Cosenz).
Alle 7.45 il
sommergibile lanciò quattro siluri da 2560 metri, ma tutte le armi mancarono il
bersaglio, perché Wanklyn ne aveva sottostimato la velocità. Il convoglio
proseguì così indenne.
Mantovani e scorta giunsero a Trapani alle otto di sera del 28 e vi sostarono
per due giorni, prima che Mantovani e
Da Mosto proseguissero per Tripoli.
Alle 13.35 del 30
novembre la Mantovani salpò da
Trapani per Tripoli, con a bordo un carico di 8629 tonnellate di carburante
(5032 tonnellate di nafta, 1870 di benzina e 1727 di gasolio); la scortava il Da Mosto. Comandante militare della Mantovani era il capitano di corvetta di
complemento Antonino Nigro, 48 anni, di Sant’Arcangelo (Potenza), mentre
comandante civile della petroliera era il capitano di lungo corso Carlo Merlo,
genovese. In tutto, a bordo della Mantovani
si trovavano 83 uomini: 39 membri dell’equipaggio e 44 militari di passaggio
(personale dell’Esercito diretto in Africa).
La velocità prevista
della Mantovani era di 14 nodi, ma in
realtà la petroliera non riuscì a superare i 13 nodi; l’arrivo a Tripoli
(ipotizzando una velocità di 14 nodi) era programmato per la sera del 1°
dicembre.
A protezione dei vari
convogli in navigazione tra Italia e Libia, era salpato da Taranto un poderoso
gruppo di copertura che comprendeva la corazzata Duilio (nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Guido Porzio
Giovanola, comandante superiore in mare), l’incrociatore leggero Giuseppe Garibaldi dell’VIII Divisione,
la VII Divisione Navale (al comando dell’ammiraglio di divisione Raffaele De
Courten; incrociatori leggeri Emanuele
Filiberto Duca d’Aosta, Muzio
Attendolo e Raimondo
Montecuccoli) e le Squadriglie Cacciatorpediniere XI (Aviere, Geniere, Camicia Nera) e XIII (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino).
Siffatto traffico
navale non era sfuggito a sommergibili e ricognitori britannici, che avevano
segnalato ai comandi i numerosi avvistamenti fatti (tra cui uno, da parte del
sommergibile Thunderbolt, proprio del
convoglio «Mantovani», il 1° dicembre); ma soprattutto, anche in questo caso
“ULTRA” diede il suo contributo. Già il 29 novembre, in seguito
all’intercettazione e decifrazione di messaggi italiani, i comandi britannici
sapevano che «la petroliera Mantovani
scortata dal Da Mosto è pronta a
lasciare Trapani a 14 nodi in qualunque momento successivo alle ore 16.00 del
giorno 29 per la rotta di ponente»; il 30 “ULTRA”, decrittati nuovi messaggi,
aggiunse che «la petroliera Mantovani,
scortata dal Da Mosto, è pronta
a lasciare Trapani a 14 nodi dalle 13.00 alle 15.00 di ogni giorno. Procederà ad
ovest di Pantelleria per Tripoli e arriverà alle 19.30 del giorno dopo la
partenza».
In conseguenza di
queste intercettazioni e delle segnalazioni dei ricognitori, il mattino del 30
novembre erano salpate da Malta, con l’obiettivo di intercettare i convogli
italiani (nonostante l’avvistamento della squadra di protezione formata da Duilio, Garibaldi e VII Divisione), l’ormai famigerata Forza K (capitano di
vascello William Gladstone Agnew), costituita dagli incrociatori leggeri Aurora (nave di bandiera del
comandante Agnew) e Penelope (capitano
di vascello Angus Dacres Nicholl) e dal cacciatorpediniere Lively (capitano di corvetta
William Frederick Eyre Hussey), e la Forza B (contrammiraglio Henry Bernard
Hughes Rawlings), formata dagli incrociatori leggeri Ajax e Neptune e
dai cacciatorpediniere Kingston e Kimberley.
Nemmeno l’uscita in
mare delle navi britanniche sfuggì alle forze italiane, grazie al loro
avvistamento dapprima da parte del sommergibile Tricheco e poi di ricognitori dell’Aeronautica, ma la sfortuna si
accanì contro i piani italiani: nel pomeriggio del 30 il Garibaldi fu colto da una grave
avaria alle caldaie, che lo lasciò immobilizzato. Dopo alcune ore, dato che
l’avaria al Garibaldi non era ancora
risolta (la nave aveva messo in moto, ma poteva procedere soltanto a bassissima
velocità) e l’incrociatore, in quelle condizioni, rappresentava un bersaglio
perfetto, l’ammiraglio Porzio Giovanola decise di ripiegare verso est con Duilio e XIII Squadriglia a protezione
del Garibaldi.
Gli ordini emanati
prima dell’operazione prevedevano che la forza di copertura sarebbe dovuta
rientrare a Taranto al tramonto del 30 solamente qualora non fosse giunta
notizia della presenza di forze di superficie britanniche nel Mediterraneo
centro-orientale; la presenza di tali forze appariva ora del tutto evidente, ma
per proteggere l’avariato Garibaldi
nel ritorno alla base occorreva la protezione della Duilio, e ciò avrebbe lasciato in mare la sola VII Divisione,
numericamente inferiore alle Forze B e K qualora si fossero riunite. Alle 17.45,
pertanto, Supermarina, decise di far rientrare a Taranto tutta la forza di
protezione, e così ordinò alla VII Divisione.
La Forza K ebbe così
campo libero nella ricerca dei convogli; dopo aver cercato senza risultato –
grazie ad un opportuno dirottamento ordinato da Supermarina – il convoglio «Veniero»
(motonave Sebastiano Venier e cacciatorpediniere Giovanni Da Verrazzano), nelle prime ore
del 1° dicembre le navi di Agnew s’imbatterono nell’incrociatore
ausiliario Adriatico, che
navigava da solo. Dopo un breve quanto disperato combattimento, l’Adriatico fu affondato; la Forza K diresse
poi per il rientro a Malta, ma alle 10.40 del 1° dicembre ricevette una
comunicazione che segnalava una petroliera ed un cacciatorpediniere al largo
delle secche di Kerkennah: il comandante Agnew decise allora di invertire rotta
e dirigere verso ovest ad alta velocità per raggiungere il punto in cui erano
segnalate le due navi, distante quasi 400 miglia (per altra versione, dopo aver
affondato l’Adriatico la Forza K si
rimise a caccia di convogli, procedendo lungo il 34° parallelo, nel Canale di
Sicilia, arrivando così nel tratto di mare compreso tra Pantelleria e le isole
Kerkennah, dove la Mantovani doveva
passare di lì a poche ore).
Mantovani e Da Mosto, che
fruivano anche di una scorta aerea formata da alcuni caccia e da un idrovolante
antisommergibile, proseguivano intanto per la loro rotta, ignare del pericolo.
Supermarina e Superaereo (il Comando Superiore della Regia Aeronautica) avevano
ordinato all’Aerosettore Ovest Libia di rafforzare la scorta aerea del
convoglio durante la giornata del 1° dicembre (il Comando Superiore della
Marina in Libia chiedeva che l’Aeronautica attaccasse la Forza K, ed il capo di
Stato Maggiore dell’Aeronautica, generale Rino Corso Fougier, chiese di “fare
ogni sforzo per rafforzare la scorta aerea del convoglio”), ma questo ordine
fece più male che bene: la relativa comunicazione, infatti, venne intercettata
da “ULTRA”, che riferì ai Comandi britannici che «Una protezione aerea dovrebbe
essere accordata a una nave in arrivo oggi a Tripoli; è possibile quindi che la
Mantovani sia partita ieri, giorno
30».
Durante la
navigazione vennero individuata una mina alla deriva e più tardi incrociati, a
circa 3 km di distanza, tre piccole navi costiere francesi.
La navigazione
procedette senza intoppi fino alle 9.40 del 1° dicembre, quando il Da Mosto avvistò dei ricognitori
che seguivano il convoglio, e lanciò di conseguenza via radio il segnale di
scoperta. Visto che i ricognitori non accennavano ad andarsene, il
cacciatorpediniere reiterò il segnale di scoperta e richiese l’intervento della
caccia. Arrivarono allora prima un idrovolante da ricognizione CANT Z. 501, poi
un Savoia Marchetti S. 79 “Sparviero” da bombardamento terrestre, ed infine due
caccia; ma nemmeno il loro intervento servì a scacciare il ricognitore nemico.
Il Da Mosto, avendo notato che
il ricognitore britannico era al traverso a sinistra, all’orizzonte, sparò dei
colpi di mitragliera verso di esso per indicarlo ai caccia (l’aereo era troppo
lontano perché il Da Mosto potesse
colpirlo con le proprie armi), ma non accadde nulla. Nel frattempo, il
ricognitore aveva potuto segnalare a Malta posizione, rotta e velocità del
convoglio; non era possibile compiere alcun cambiamento di rotta per
disorientare il nemico, poiché in quel tratto di Canale di Sicilia la rotta era
pressoché obbligata.
Alle 13, mentre
il Da Mosto era di prua a sinistra
della Mantovani, vennero
avvistati non molto lontani due bombardieri Bristol Blenheim provenienti da
est, da Malta, volando bassi sul mare. Gli aerei, divenuti poi tre – in realtà
erano quattro, appartenenti al 18th Squadron (per altra fonte
il 107th) della Royal Air Force e decollati appunto da Malta; altra
fonte parla di sei Blenheim – puntavano decisamente verso la petroliera: il caposcorta
le ordinò pertanto di accostare di 90° a dritta, poi mantenne la sua nave con
il fianco rivolto ai bombardieri, per poter puntare tutte le armi contro di
loro.
Non appena gli aerei
furono a tiro, a 2600 metri, il Da
Mosto aprì il fuoco contro di essi con cannoni e mitragliere. Due aerei
vennero obbligati ad alzarsi e non riuscirono a colpire il bersaglio, ma il
terzo, leggermente scaduto rispetto a quelli che lo precedevano, riuscì a
completare l’attacco prima che il cacciatorpediniere potesse sparare ancora, e
che gli aerei da caccia della scorta aerea potessero intervenire. Solo questo
Blenheim riuscì a sganciare le sue bombe sulla Mantovani, ma questo unico attacco andato a segno bastò a dare
inizio alla tragedia che si sarebbe conclusa poche ore più tardi: le bombe
colpirono la petroliera e la immobilizzarono, facendo fermare tutti i
macchinari, mettendo fuori uso il timone e forse anche deformando l’elica
(secondo alcune fonti, in questo attacco sarebbero anche stati appiccati i
primi incendi a bordo). Erano le 13.10 (13.20 per altre fonti).
Il Da Mosto si portò subito sotto la
danneggiata Mantovani, prese a bordo
i feriti e cercò, in accordo col suo comandante, di prenderla a rimorchio;
inizialmente vennero usati dei cavi di canapa, che però si spezzarono non
appena vennero sottoposti a trazione. Si passò allora ad un pesante cavo di
acciaio; l’approntamento del rimorchio con questo cavo fu lungo e faticoso, e
quando il Da Mosto mise in moto,
anche il cavo d’acciaio cedette. La ragione del fallimento di entrambi i
tentativi fu probabilmente dovuta all’avaria del timone della Mantovani: non potendo governare, la
petroliera non seguiva il cacciatorpediniere con una rotta rettilinea,
sottoponendo invece i cavi di rimorchio ad una successione di strappi anormali,
che sforzarono i cavi fino a portarli al punto di rottura.
Come se non bastasse,
la Mantovani imbarcava acqua dalle
falle aperte dalle bombe, e col passare delle ore andava lentamente affondando
di poppa.
Era questa la
situazione quando, alle 16.45 o 16.50, si materializzarono in lontananza altri
quattro aerei britannici: erano anch’essi Blenheim, appartenti al 107th
Squadron della R.A.F. e guidati dal sergente neozelandese Onslow Waldo Thompson.
Per colmo di sfortuna, questo secondo attacco aereo ebbe luogo proprio all’ora
del cambio di pattuglia dei caccia della scorta aerea: ormai rimasti con poco
carburante, i velivoli erano dovuti rientrare, e quelli che dovevano
sostituirli non erano ancora arrivati, così che non c’era un singolo aereo da
caccia a fronteggiare il nuovo attacco.
Il Da Mosto, che si era appena liberato dei
cavi di rimorchio spezzati, fu in grado di manovrare e mise subito la prua
sugli aerei nemici, aprendo il fuoco con tutte le armi di bordo e manovrando
per coprire materialmente la Mantovani,
ma non servì a nulla. Gli aerei avversari descrissero un ampio cerchio per
restare fuori dalla portata di tiro del Da
Mosto, e raggiunsero la nave cisterna. Un bersaglio perfetto: grande e
completamente immobile.
Le bombe sganciate
dagli aerei colpirono la Mantovani
lungo la fiancata e sul ponte di comando; si sviluppò un incendio (per altra
versione l’incendio a bordo sarebbe scoppiato fin dal primo attacco andato a
segno, quello delle 14) e da grave, la situazione della petroliera divenne
disperata, al punto che i comandanti militare e civile, capitano di corvetta
Nigro e capitano Merlo, ordinarono di comune accordo l’abbandono della nave,
reputando la situazione ormai insostenibile. L’equipaggio della Mantovani, che ormai aveva cominciato ad
affondare, prese quindi posto nelle scialuppe, ed il Da Mosto si preparò a recuperare i naufraghi.
Mentre tutto questo
accadeva, la Forza K si stava dirigendo proprio nella zona dove la Mantovani ed il Da Mosto si trovavano. Le unità
britanniche erano state informate alle 10.40 della presenza di una nave
cisterna ed un cacciatorpediniere presso le secche di Kerkennah, ed Agnew, in
mancanza di ordini specifici, aveva deciso di dirigersi sul posto. Le navi di
Agnew erano state avvistate già alle 10.10 da un ricognitore della V
Aerosquadra, che aveva indicato una «forza navale imprecisata» avente rotta
270° e velocità 20 nodi a 60 miglia per 45° da Misurata, e poi di nuovo (dopo
poco più di un’ora) da un secondo ricognitore che precisò che le navi erano
incrociatori e cacciatorpediniere, ma nessuno dei due aerei riuscì a pedinare
la formazione britannica, così che quando l’Aerosettore Ovest inviò degli
aerosiluranti ad attaccarla, questi non riuscirono a trovarla. Il peggio, però,
era che al Da Mosto non era
stata data alcuna notizia del fatto che navi da guerra nemiche stessero filando
a 20 nodi verso la propria posizione.
Supermarina,
informata degli attacchi aerei e del danneggiamento della Mantovani, aveva frattanto ordinato a
Marina Tripoli di far partire il cacciatorpediniere Lanzerotto Malocello e la torpediniera Generale Marcello Prestinari per
rinforzare la scorta, ed il rimorchiatore Ciclope per dare assistenza alla petroliera, se possibile.
Queste ultime due unità lasciarono Tripoli (Prestinari)
e Zuara (Ciclope) nel primo
pomeriggio, mentre il Malocello richiese
un approntamento più lungo.
La Forza K, invece,
aveva potuto fruire delle indicazioni fornite dai Blenheim che avevano
attaccato il convoglio, nonché di un Vickers Wellington dotato di radar ASV (air
to surface vessel) che l’aveva guidata fin nelle vicinanze del convoglio, salvo
poi trasmettere rilevamenti errati: queste informazioni avevano rischiato di
fuorviare la Forza K, ma alle 17.14 le vedette dell’Aurora avvistarono aerei che volavano in cerchio ad una
ventina di miglia. In ciò, si può dire, la scorta aerea organizzata sopra la
petroliera per difenderla da altri attacchi contribuì invece,
involontariamente, a causarne la perdita: Agnew dedusse correttamente che se
gli aerei giravano in cerchio dovevano farlo attorno a qualcosa, e decise di
dirigersi in quella direzione.
Alle 17.43 le unità
di Agnew avvistarono le alberature di una nave ferma, che si rivelò in breve
essere una grossa nave cisterna: la Mantovani.
Subito dopo la Forza K venne assalita da tre caccia FIAT CR. 42, quelli
avvistati prima: il valoroso intervento dei tre superati biplani non poté però
far nulla per fermare le navi britanniche, che li respinsero con il proprio
tiro contraereo ed alle 17.50 avvistarono anche il Da Mosto, a dritta della Mantovani.
Il cacciatorpediniere era in quel momento fermo per recuperare i naufraghi
della cisterna dal mare cosparso di benzina in fiamme: e proprio allora le sue
vedette videro due navi molto lontane, con la prua rivolta verso di loro. Era
la Forza K.
Sulle prime il
comandante Dell’Anno sperò che si trattasse del Malocello e della Prestinari,
della cui partenza da Tripoli era stato informato, ma prudentemente diresse
verso di loro prora contro prora ad elevata velocità per riconoscerle. Ogni
speranza svanì rapidamente quando i velivoli della scorta aerea spararono con
le mitragliatrici verso i nuovi arrivati, per segnalarli al Da Mosto quali nemici.
Il cacciatorpediniere
si lanciò al contrattacco, cercando di portarsi in posizione favorevole al
lancio dei siluri ed aprendo inoltre il fuoco coi propri cannoni; alle 18.01
anche la Forza K aprì il fuoco sul Da
Mosto. L’esito dello scontro era scontato: dopo uno strenuo combattimento,
il Da Mosto, colpito nel deposito
munizioni poppiero (che esplose, distruggendo la poppa) ed in molti altri
punti, colò a picco alle 18.15 nel punto 33°53’ N e 12°28’ E, portando con sé
138 dei 263 uomini del suo equipaggio.
Eliminato il Da Mosto, gli incrociatori della Forza K
spararono alcuni colpi contro l’ormai indifesa Mantovani (secondo una fonte, incendiandola: ma in realtà
risulterebbe che la nave fosse ormai già completamente in fiamme, per effetto
dei danni causati dagli attacchi aerei), finché non fu completamente in fiamme;
poi si allontanarono alle 18.30, dirigendo su Malta e lasciando sul posto
il Lively. La petroliera era
ormai interamente avvolta dalle fiamme, propagatesi anche sulla superficie del
mare, e ad intervalli era scossa da esplosioni, ogni volta che il fuoco
raggiungeva una nuova cisterna.
Tre naufraghi del Da Mosto, due italiani ed il sergente
tedesco Rublack (uno dei cinque tedeschi imbarcati sul Da Mosto per addestrare il personale italiano all’uso
dell’ecogoniometro tedesco S-Geraet, da poco imbarcato), avevano in precedenza
tentato di nuotare verso la Mantovani
con l’intenzione di calare una scialuppa ancora intatta e di provvedere
all’affondamento della petroliera, ma l’apertura del fuoco contro la nave da
parte del Lively li indusse ad abbandonare
il tentativo.
Il Lively raccolse alcuni naufraghi, poi
finì con un siluro la Mantovani alle
19.53, affondandola nel punto 33°50’ N e 12°50’ E, una sessantina di miglia a
nord-nord-ovest di Tripoli. La Forza K osservò un’ultima, grande esplosione quando
era ad una trentina di miglia di distanza dalla nave, ed Agnew concluse che
questo fosse l’epitaffio della motocisterna.
In tutto, 24
sopravvissuti della Mantovani vennero
recuperati dalla Forza K e fatti prigionieri (oltre al Lively, secondo alcune fonti anche l’Aurora avrebbe raccolto alcuni sopravvissuti della Mantovani). Furono sbarcati a La
Valletta (Malta) il 2 dicembre, dove trovarono ad attenderli membri della
stampa locale; il giorno seguente venne mostrata loro una copia di un giornale
maltese, con la notizia dell’affondamento della Mantovani ed una foto aerea che mostrava la petroliera poco prima
del suo affondamento. Uno dei superstiti della Mantovani, Vico Bedini, si sarebbe in seguito stabilito in
Inghilterra.
I velivoli della
scorta aerea avevano assistito al combattimento seguito all’arrivo della Forza
K ed all’affondamento delle due navi, ed avevano riferito a Marina Tripoli:
essendo evidente che le navi in precedenza inviate da Tripoli non avrebbero mai
potuto affrontare due incrociatori ed un cacciatorpediniere, fu ordinato loro
di tornare in porto. Il Malocello,
appena partito, ed il Ciclope,
essendo ancora vicini ai porti di partenza, tornarono subito indietro, mente la
torpediniera Prestinari, al
comando del tenente di vascello Pompeo Visintin, era giunta già così in
prossimità del luogo dello scontro che riusciva a vedere in lontananza i
bagliori delle cannonate: Visintin decise di proseguire, nell’intenzione di
soccorrere i naufraghi e, se qualche nave fosse rimasta a galla danneggiata, di
prestare assistenza. La torpediniera ebbe anzi la possibilità di assistere, a
distanza, allo svolgersi del combattimento: alle 17.42 la Prestinari avvistò di prua due navi
da guerra – che alle 17.55 identificò correttamente come due incrociatori classe
Arethusa: l’Aurora ed il Penelope – e l’albero di una terza
(il Lively), in formazione,
intente a sparare granate contraeree contro aerei che non risultavano visibili
(i CR. 42 che avevano attaccato la Forza K); le navi sconosciute assunsero
rotta 270° (prima appariva più inclinata) ed alle 18 aprirono il fuoco contro
navi che la Prestinari non
poteva ancora vedere. Mentre si preparava ad un eventuale combattimento,
la Prestinari avvistò
la Mantovani, nel momento in cui
questa veniva colpita da una salva sulla prua; poi, alle 18.04, avvistò una
colonna di fumo seguita da un’altissima fiammata: era appena esploso il
deposito munizioni del Da Mosto.
La Forza K si allontanò poi verso nord, sparando gli ultimi colpi contro la Mantovani già in fiamme. Lo scontro era
finito; la Prestinari proseguì con la
prua proprio sulla nave cisterna agonizzante.
Alle 18.30 la
torpediniera avvistò un fuoco Very rosso, dirigendo quindi verso il punto da
dove era partito. Alle 19.40 la torpediniera giunse sopravento rispetto
alla Mantovani e rallentò, e
cinque minuti dopo avvistò alcune zattere alla deriva, cariche di naufraghi.
La Prestinari calò le due
proprie imbarcazioni per recuperare quelli che si trovavano sopravento, mentre
fu la torpediniera stessa a scadere da sola verso altre due zattere sottovento.
Mentre l’armamento contraereo restava pronto a reagire ad un’eventuale offesa
proveniente dall’aria, fuochisti e marinai organizzati in squadre si
distribuirono lungo il bordo per procedere al salvataggio. Alle 20.05 la Prestinari si spostò per
raggiungere altre zattere più lontane, ed alle 20.30, avendo avvistato un
aereo, accelerò le operazioni di soccorso.
La torpediniera
trasse in salvo 135 naufraghi, 10 della Mantovani
e 125 del Da Mosto, poi fece rotta su
Tripoli, dove giunse all’1.30 del 2 dicembre.
La Forza K arrivò
indisturbata a Malta alle 7.30 del 2 dicembre; l’affondamento del Da Mosto e della Mantovani avrebbe rappresentato il
suo ultimo successo.
Marina Tripoli,
sperando che vi fosse ancora qualche naufrago vivo, mandò sul luogo dello
scontro anche la piccola nave soccorso Laurana,
ma questa non trovò nessun altro superstite, così come nessun altro naufrago
venne trovato dalle navi ospedale Arno
e Virgilio inviate anch’esse a
cercare nella zona.
Degli 83 uomini
imbarcati sulla Mantovani, 49
morirono, mentre i superstiti furono 34 (24 recuperati dalla Forza K e 10 dalla
Prestinari). Tra le vittime vi furono
il comandante civile Merlo, il comandante militare Nigro e diversi ufficiali
tra cui il regio commissario, capitano del Genio Navale Vincenzo Di Noto (41
anni, di Castelbuono, in Sicilia).
Da quanto si può
desumere dalle motivazioni delle Medaglie di Bronzo al Valor Militare conferite
alla memoria dei due comandanti, il capitano di corvetta Nigro morì nell’affondamento
della Mantovani, mentre il capitano
Merlo fu raccolto con altri naufraghi dal Da
Mosto, solo per trovare la morte poco dopo nell’affondamento del
cacciatorpediniere.
Caduti tra l'equipaggio civile della Mantovani:
(nominativi
tratti dall’Albo d’Oro della Marina Mercantile – si ringrazia Carlo Di Nitto
per la ricerca)
Modesto Arnaldi, terzo macchinista, da Molini
Guido Barbiani, marconista, da Ravenna
Antonio Bumbaca, giovanotto, da Siderno
Italo Castagnola, marinaio
Emanuele Cerulli, nostromo, da Monte
Argentario
Oreste Cinotti, piccolo di camera, da Palermo
Antonino Cirone, fuochista, da Messina
Adriano Enrico, cambusiere
Giacomo Ghiglione, mozzo, da Andora
Antonio Manfredi, cameriere, da Savona
Mirco Marcel, fuochista, da Val Santa Marina
Carlo Merlo, comandante, da Genova
Giuseppe Mocenni, ingrassatore, da Pola
Andrea Papponetti, giovanotto, da Genova
Giuseppe Perata, cuoco, da Celle Ligure
Francesco Pesce, marinaio, da Imperia
Arno Ragneti, fuochista, da Ancona
Giorgio Sofi, marinaio, da Cannitello
Salvatore Trama, marinaio, da Scoglietti
Antonio Usai, ufficiale di coperta, da Alghero
Giuseppe Venturino, caporale di macchina, da Vado Ligure
Domenico Zolezzi, marinaio, da Sestri Levante
Verbale di scomparizione e dichiarazione di morte del cannoniere Vincenzo Pisanelli, imbarcato sull’Iridio Mantovani (Ministero della Difesa, per g.c. del nipote Raffaele Pisanelli) |
La motivazione della
Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita alla memoria del capitano di
lungo corso Carlo Merlo, da Genova:
"Comandante di
motocisterna, fatta segno ad attacco aereo nemico, si prodigava con sereno
coraggio, perizia ed elevato senso di abnegazione nel tentativo di sottrarre
l’unità dall’offesa e assicurarne la salvezza. In seguito a nuova e più
violenta azione offensiva, che incendiava la nave, rendendo impossibile ogni
ulteriore sforzo per salvarla, raggiunta con i superstiti l’unita di scorta, a
sua volta aspramente impegnata e colpita dal nemico, con essa scompariva in
mare nell’adempimento del dovere.
(Mediterraneo
Centrale, 1 dicembre 1941)."
La motivazione della
Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita alla memoria del capitano di
corvetta di complemento Antonio Nigro, nato a Sant’Angelo Le Fratte (Potenza)
il 16 ottobre 1893:
"Comandante di
navi ausiliarie durante il primo e secondo anno della guerra 1940-1943,
effettuava numerose missioni di guerra in acque insidiate dall’avversario. In
ogni circostanza dimostrava perizia, coraggio ed alto sentimento del dovere.
Scompariva in mare, combattendo per la Patria, in seguito all’affondamento
dell’unità al suo comando.
(Mediterraneo
Centrale, 10 giugno 1940-1° dicembre 1941)."
(foto tratta da “Uomini e navi – La flotta petrolifera ENI in ottanta anni di storia”, di Letterio Tomasello) |
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