Il Premuda sotto il precedente nome di Strathdon (g.c. Mauro Millefiorini, via www.naviearmatori.net)
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Piroscafo da carico
di 4427 tsl e 2732 tsn, lungo 117,5 metri, largo 16 e pescante 6,7, con
velocità di 9 nodi. Appartenente alla Società di Navigazione Corrado, con sede
a Genova, ed iscritto con matricola 1174 al Compartimento Marittimo di Genova;
nominativo di chiamata ICCT.
Breve e parziale cronologia.
3 maggio 1907
Varato come Strathdon (numero di cantiere 194) nel
cantiere Glen Yard della William Hamilton & Co. Ltd. di Port Glasgow.
Luglio 1907
Completato come Strathdon per la compagnia William Burrell
& Sons di Glasgow (Strathdon Steam Ship Company Ltd). Stazza lorda e netta
originarie sono 4398 tsl e 2840 tsn.
1908
Lo Strathdon ed un altro piroscafo della
compagnia, lo Strathgyle, vengono
noleggiati dalla Pacific Export Lumber Company per trasportare legname da
Portland a vari porti dell’Oriente.
17 aprile 1914
Il comandante dello Strathdon, capitano James C. Leslie,
viene multato di 100 sterline per aver permesso a membri stranieri del suo
equipaggio di scendere a terra a Victoria (Australia) e dileguarsi, così
immigrando clandestinamente nel Paese.
Novembre 1914
Lo Strathdon, partito il 2 novembre dal
Puget Sound diretto in Giappone, con arrivo previsto per il 19, incontra
continuo maltempo (mare mosso, forti venti contrari e vere e proprie tempeste)
al punto da giungere, il 21 novembre, a Honolulu ormai privo di carburante.
Dovrà rifornirsi qui, prima di proseguire per il Giappone.
1916
Acquistato da Fisher,
Alimonda & Co. Ltd. (Rome Steam Shipping Company) di Londra e ribattezzato Tusculum.
1920
Acquistato dalle
Ferrovie dello Stato, passa sotto bandiera italiana, senza cambiare nome.
1923
Acquistato dagli
armatori Parodi & Corrado di Genova (Società Anonima Parodi & Corrado)
e ribattezzato Premuda.
1929
Trasferito alla
Società Anonima di Navigazione Corrado, con sede a Genova. La stazza lorda e
netta risulta rispettivamente di 4536 tsl e 3430 tsn.
16 gennaio 1940
Il Premuda entra in collisione con la nave
faro delle Goodwin Sands (nel canale della Manica) e, per evitare di affondare,
dev’essere portato all’incaglio su tali secche. I 30 uomini dell’equipaggio vengono
tratti in salvo da battelli di salvataggio partiti da Walner, Ramsgate e Malgate, sulla costa sudorientale
inglese; il Premuda verrà
disincagliato il 19 gennaio dai rimorchiatori Badia e Persia e da una
terza unità, ma dovrà essere nuovamente portato all’incaglio altre due volte
per via delle infiltrazioni d’acqua, mentre il carico verrà recuperato lo
stesso 19 gennaio.
Disincagliato ancora
una volta, il piroscafo, privo di governo, verrà infine rimorchiato a Purfleet
e quindi a Londra, e successivamente riparato.
7 settembre 1940
Rientra da Durazzo a
Bari, scarico, in convoglio con il piroscafo Antonietta Costa e la piccola nave cisterna Abruzzi, sotto la scorta della Castelfidardo.
12 settembre 1940
Viaggia in convoglio,
con i piroscafi Oreste ed Antonietta Costa, da Bari a Durazzo, con
la scorta della torpediniera Palestro.
I tre mercantili trasportano 1305 quadrupedi e 135 tonnellate di rifornimenti.
17 settembre 1940
Premuda, Antonietta Costa
ed Oreste rientrano vuoti da
Durazzo a Bari con la scorta del cacciatorpediniere Augusto Riboty.
19 settembre 1940
Salpa da Bari in
convoglio con la motonave Maria ed
i piroscafi Perla ed Oreste, nonché la scorta dell’incrociatore
ausiliario Capitano A. Cecchi e
della torpediniera Palestro.
Il convoglio
trasporta a Durazzo 929 quadrupedi e 2520 tonnellate di automezzi ed altri
materiali.
22 settembre 1940
Il Premuda (al comando del capitano di
lungo corso Vito Tamma, barese) lascia Durazzo alle 12.30 per rientrare scarico
a Bari, in convoglio insieme ad Oreste
(capitano di lungo corso Erasmo Papale) e Carlotta
(capitano di lungo corso Giacomo Cozzolino). Scorta del convoglio è la
torpediniera Palestro (tenente
di vascello di complemento Luigi Risso).
Il convoglio è disposto
in linea di fila, con la Carlotta,
nave più lenta (soli sette nodi di velocità massima, e di conseguenza questa è anche
la velocità che il convoglio è costretto a tenere), in testa, seguita dal Premuda e per ultimo dall’Oreste, in coda. La Palestro, invece, esegue il suo compito
di scorta cambiando continuamente rotta, velocità e posizione rispetto al
convoglio.
Alle 18.20, mentre il
convoglio si trova ad una trentina di miglia da Durazzo, la Palestro (che si trova in testa al
convoglio) accosta a sinistra, ma senza incrementare subito la velocità. Non
appena la nave ha completato l’inversione di rotta, tuttavia, vengono avvistate
le scie di tre siluri, lanciati dal sommergibile britannico Osiris (capitano di corvetta John Robert
Garstin Harvey): la Palestro tenta di
evitarli con la manovra, ma è troppo tardi, e viene colpita da una delle armi.
Subito la torpediniera si spezza in due; la parte prodiera affonda quasi
istantaneamente, quella poppiera cola a picco quattro minuti più tardi, in
posizione 41°19' N e 18°34' E (o 41°16’ N e 18°36’ E; nel Canale d’Otranto,
circa 40 miglia a ponente di Durazzo e 75 miglia ad est di Bari).
Nonostante il rischio
di essere a loro volta silurati (o cannoneggiati, qualora il sommergibile
dovesse emergere), i tre mercantili si prodigano per iniziativa dei rispettivi
comandanti nei soccorsi ai superstiti della Palestro, permettendo il rapido salvataggio di tutti i naufraghi. Il
Premuda lancia subito i segnali di
soccorso ed accosta a sinistra, verso il punto dal quale sono partite le scie
dei siluri (che l’equipaggio del mercantile ha avvistato), per impedire al
sommergibile di lanciare altri siluri o di emergere per attaccare i mercantili
col cannone; diversi membri dell’equipaggio sentono un forte scossone allo
scafo, che li induce a credere dapprima di essere stati a loro volta silurati,
e poi di aver speronato il sommergibile. In realtà, l’Osiris non è stato speronato, come dimostrerà il successivo
esame dei fatti; si concluderà poi che probabilmente il Premuda ha urtato qualche relitto.
Dopo questa sorta di
contrattacco, il Premuda si
dirige sul luogo dell’affondamento della Palestro e
cala un’imbarcazione per il recupero dei superstiti, indi zigzaga intorno
alla Carlotta – che è accorsa
subito sul punto dell’affondamento, mettendo in mare le imbarcazioni per
recuperare i naufraghi – per proteggerla mentre questa recupera i sopravvissuti
della torpediniera. Al contempo, il Premuda
risponde a tutte le richieste di notizie giunte via radio.
L’Oreste, dopo aver manovrato per evitare
altri due siluri dei quali ha avvistato le scie, tiene comportamento analogo a
quello del Premuda.
Terminato il
salvataggio dei naufraghi, il convoglio prosegue per Bari, col Premuda in testa. È stato possibile
salvare 53 naufraghi della Palestro,
mentre i morti sono 72.
Il comandante Tamma
del Premuda, al pari dei comandanti
degli altri due mercantili, riceverà la Croce di Guerra al Valor Militare per
la calma e lo sprezzo del pericolo mostrati nel soccorso prestato ai naufraghi
della Palestro; la motivazione:
«Comandante di piroscafo in convoglio, vista silurare l’unità sottile di
scorta, si adoperava con prontezza al salvataggio dei naufraghi, dimostrando
calma e sprezzo del pericolo. Basso Adriatico, 22 settembre 1940».
25 settembre 1940
Il Premuda, l’Oreste ed un terzo piroscafo, il Nita, salpano da Bari con la scorta della torpediniera Angelo Bassini, e trasportano a Durazzo
395 bovini, 1079 quadrupedi e 1326 tonnellate di materiali vari.
1° ottobre 1940
Il Premuda, l’Oreste e la motonave Assiria
lasciano scarichi Durazzo e rientrano a Bari con la scorta della torpediniera Giacomo Medici.
3 ottobre 1940
Lascia Bari diretto a
Durazzo con un carico di materiali vari, in convoglio con Oreste ed Antonietta Costa
e la scorta del RAMB III.
4 ottobre 1940
Durante la
navigazione in convoglio, alle 3.30, l’Antonietta
Costa striscia con la carena contro un oggetto immerso "resistente",
nel punto 41°28’ N e 18°05’ E (60 miglia ad est/nordest di Bari e 20 miglia a
nord di Brindisi), e subito dopo le altre navi del convoglio sentono una
violenta esplosione subacquea la cui concussione fa vibrare fortemente i loro
scafi, oltre a far tremare lo stesso Antonietta
Costa; quasi contemporaneamente Oreste e Premuda, che seguono l’Antonietta Costa, urtano quello che
ritengono essere un relitto. L’Antonietta
Costa subisce qualche danno (alcune piastre dello scafo vengono smosse)
ed una via d’acqua, ma può proseguire a velocità invariata. Una volta in porto,
un palombaro ispeziona lo scafo del piroscafo, rilevando che a dritta ed a
sinistra della chiglia vi sono quattro strisce parallele della lunghezza di due
metri, i segni della collisione e dello strisciamento contro un grosso e solido
oggetto metallico; anche Premuda
ed Oreste vengono ispezionati da
palombari, che però non notano nulla.
Si scoprirà in
seguito che il sommergibile britannico Rainbow (capitano
di corvetta Lewis Peter Moore) è scomparso nel Canale d’Otranto negli stessi
giorni in cui è avvenuta la collisione: con ogni probabilità, speronato ed
affondato dall’Antonietta Costa.
16 ottobre 1940
Requisito a Bari
dalla Regia Marina, senza essere iscritto nel ruolo del naviglio ausiliario
dello Stato.
28 ottobre 1940
Il Premuda ed i piroscafi Argentina e Firenze salpano da Bari alle 17 diretti
a Valona, dove devono trasportare 1871 militari, 150 quadrupedi, 27 veicoli e
184 tonnellate di materiali; la scorta è costituita dalle torpediniere Solferino e Generale Marcello Prestinari e dal
piccolo incrociatore ausiliario Lago
Zuai.
29 ottobre 1940
Il convoglio giunge a
Valona alle 6.30.
L’incursione del Canale d’Otranto
Nella notte tra l’11
ed il 12 novembre 1940 la Royal Navy lanciò la famosa operazione «Judgment»,
parte della più vasta operazione «MB.8»: venti aerosiluranti Fairey Swordfish,
decollati dalla portaerei Illustrious,
attaccarono a sorpresa la base di Taranto e vi affondarono la corazzata Conte di Cavour, danneggiando inoltre
seriamente le corazzate Littorio e Duilio, così dimezzando per diversi mesi
il numero delle corazzate a disposizione della Regia Marina.
Quale “coda”
diversiva, «Judgment» prevedeva anche una contemporanea scorreria nel Canale
d’Otranto, a danno dei convogli italiani in navigazione tra l’Italia e
l’Albania, che avrebbe avuto il duplice effetto di appoggiare la resistenza
delle truppe elleniche (che in quel momento stavano fronteggiando l’offensiva
italiana) e di impartire un colpo morale alla Marina italiana, infliggendole
perdite in acque che essa riteneva protette.
Nella stessa notte
dell’attacco degli aerosiluranti (la notte tra l’11 ed il 12 novembre 1940), di
conseguenza, la Forza X britannica (al comando del viceammiraglio Henry
Pridham-Wippell, con bandiera sull’Orion),
formata dal 7th Cruiser Squadron (incrociatori leggeri Orion, Ajax e Sydney,
quest’ultimo australiano) e dai cacciatorpediniere Nubian e Mohawk,
penetrò nel Canale d’Otranto per attaccare i convogli italiani che avesse
incontrato. Gli ordini trasmessi via radio a Pridham-Wippell nella mattinata
dell’11 novembre prevedevano che egli dovesse passare con le sue navi
attraverso il punto 39°10’ N e 19°30’ E (a sudest di Corfù) alle 20.30 di
quella sera, indi assumere rotta 340° e velocità 25 nodi fino alle 22.30,
quando avrebbe ridotto a 20 nodi; all’una di notte del 12 novembre avrebbero
invertito la rotta, riunendosi al gruppo principale alle otto del mattino, in
posizione 38°20’ N e 19°50’ E (al largo di Cefalonia). Pridham-Wippell avrebbe
dovuto tenere i suoi incrociatori in linea di fila, con Orion in testa, Ajax al
centro e Sydney in coda, ed i due
cacciatorpediniere sui lati (Nubian a
dritta, Mohawk a sinistra),
a due miglia di distanza. Qualsiasi nave oscurata che avessero incontrato
avrebbe dovuto essere considerata nemica e trattata come tale; se una delle
unità britanniche avesse perso contatto con le altre, di conseguenza, si
sarebbe dovuta ritirare immediatamente verso sud. Nel caso fosse stata
necessaria dell’illuminazione, sarebbe stato preferibile utilizzare proiettili
illuminanti, anziché proiettori.
Se la formazione
avesse incontrato un mercantile isolato, l’incrociatore di coda si sarebbe
dovuto separare dagli altri per occuparsene; se invece avesse incontrato un
convoglio, le navi non sarebbero dovute restare rigidamente nelle rispettive
posizioni, ma avrebbero manovrato in base alle esigenze, avendo però cura di
restare in contatto l’una con l’altra.
Tenendo la sua
formazione unita, e procedendo nella notte rischiarata dalla luce lunare, la
Forza X assunse una rotta che la portasse al centro del Canale d’Otranto,
passando una decina di miglia ad est dell’Isola di Fano. Il mare era calmo, il
vento forza 1, il cielo coperto per sette decimi e la luna era al terzo quarto,
a sudovest rispetto alle navi britanniche.
Proprio in quelle
ore, nel canale d’Otranto, era in navigazione un convoglio, denominato «Locatelli»,
composto da quattro mercantili, uno dei quali era il Premuda. Oltre ad esso formavano il convoglio i piroscafi da
carico Antonio Locatelli e Capo Vado, e la motonave passeggeri
(adibita a trasporto truppe) Catalani.
I quattro bastimenti
avevano lasciato Valona alle 22.30 dell’11 novembre, scarichi, di ritorno a
Bari. Dato il basso livello di rischio delle rotte tra Italia ed Albania – dove
unica insidia era stata fino a quel momento qualche isolato sommergibile, che
aveva provocato solo perdite ridotte a fronte del continuo traffico tra le due
sponde dell’Adriatico – la scorta consisteva unicamente in una vecchia
torpediniera risalente alla prima guerra mondiale, la Nicola Fabrizi (tenente di vascello Giovanni Barbini), ed in
una motonave bananiera convertita in incrociatore ausiliario, la RAMB III (capitano di fregata
Francesco De Angelini, caposcorta). La Fabrizi
procedeva in testa al convoglio, seguita in linea di fila, nell’ordine,
da Locatelli, Premuda, Capo Vado e Catalani,
mentre il RAMB III chiudeva
formazione.
La visibilità era
eccezionalmente buona: la luna era già alta, e prossima al plenilunio. Il
convoglio oltrepassò le ostruzioni del porto di Valona tra le 22.28 e le 22.45,
giunse al traverso di Saseno, e qui imboccò la rotta di sicurezza. Alle 00.20,
con il superamento dei campi minati di Valona, la rotta di sicurezza era ormai terminata;
pertanto il convoglio cambiò formazione, assumendo – in considerazione
dell’eccezionale chiarore lunare – quella prevista per i viaggi diurni: cioè
con i mercantili ancora in linea di fila, ma le due navi di scorta sui
lati, RAMB III a dritta e Fabrizi a sinistra. I mercantili
proseguirono su rotta diretta, mentre la scorta iniziò a zigzagare. Ebbe così
inizio la navigazione nel Canale d’Otranto, alla modesta velocità di otto nodi,
per quella che si pensava dovesse essere una traversata analoga alle tante già
effettuate, senza particolari imprevisti.
All’1.10, circa
dodici miglia ad ovest di Saseno, il convoglio accostò per 315°, mettendo la
prua verso Brindisi.
Intanto la Forza X
aveva attraversato il canale d’Otranto senza che nessuno se ne accorgesse; le
navi britanniche raggiunsero la congiungente Brindisi-Valona, mentre – per
questioni di tempo – non poterono arrivare alla congiungente Bari-Durazzo.
Restava solo mezz’ora per un’eventuale azione contro navi italiane; all’una di
notte del 12 novembre il gruppo britannico raggiunse il limite settentrionale
della zona da perlustrare, ed invertì la rotta per tornare indietro.
All’1.15 il Mohawk, che si trovava a prora sinistra
dell’Orion, avvistò delle navi
oscurate su rilevamento 120°, ad una distanza di circa otto miglia: era il
convoglio «Locatelli». I britannici identificarono le navi avvistate, quasi
esattamente, come quattro mercantili in convoglio, scortati da un
cacciatorpediniere (unico errore: in realtà era il RAMB III) e da una torpediniera (la Fabrizi), che procedevano con rotta nordovest in direzione di
Brindisi. In quel momento il convoglio si trovava a dodici miglia per 315° da
Saseno (per altra fonte, 16 miglia a ponente di tale isola) ed aveva rotta
nord, mentre la Forza X aveva rotta sud.
Il Mohawk accelerò a 25 nodi e lanciò
il segnale d’allarme al Nubian,
poi virò per 120° per avvicinarsi alle navi italiane, mentre queste ultime
avvistavano a loro volta la Forza X. I mercantili accostarono subito di 90° a
dritta, in direzione opposta a quella di provenienza delle navi britanniche (e
verso la costa albanese, dove cercare rifugio), mentre la Fabrizi si diresse incontro al
nemico per tentare un contrattacco.
All’1.25 il Mohawk aprì il fuoco da 3660 metri
di distanza, contro la Nicola
Fabrizi; ritenne di aver messo un colpo a segno con la quarta salva, dopo
di che la torpediniera ripiegò emettendo una cortina fumogena.
L’Orion aveva avvistato il convoglio
contemporaneamente al Mohawk;
manovrò in modo da tagliare la strada alle navi italiane, passando a proravia
del convoglio, ed all’1.28 aprì a sua volta il fuoco con i pezzi da 152 mm sul
terzo mercantile, il Capo Vado,
sparando al contempo quattro salve da 100 mm contro la Fabrizi, da una distanza di 5850 metri, rilevamento 088°. Il
comandante Barbini della Fabrizi ordinò
di lanciare i siluri contro l’Orion,
ma i colpi da 100 mm giunti a bordo provocarono gravi danni e troncarono anche
le comunicazioni, così l’ordine di lanciare non raggiunse l’ufficiale addetto
al lancio. All’1.28 la torpediniera virò a dritta, aprì il fuoco con i suoi
cannoni da 100 mm ed iniziò ad emettere cortine fumogene per tentare di dare al
convoglio il tempo necessario a diradarsi per fuggire, ma era un tentativo
vano.
Il RAMB III, che si trovava sul lato
opposto del convoglio, reagì ben diversamente dalla Fabrizi: l’ex bananiera virò verso nordest insieme al convoglio e
si limitò a sparare 17 salve da 120 mm verso le vampe che indicavano la
posizione delle navi nemiche, poi si ritirò. Il comandante De Angelini riteneva
infatti – probabilmente non a torto – che, se avesse tentato di contrattaccare,
la sua nave sarebbe stata affondata, senza peraltro riuscire a salvare il
convoglio. (Il RAMB III giunse
indenne a Bari, ma all’arrivo De Angelini fu immediatamente rimosso dal comando
e processato per aver abbandonato il convoglio a lui affidato.)
Intanto, la Fabrizi perseverava testardamente nel
suo valoroso tentativo di difendere il convoglio: invertì la rotta, per
continuare ad interporsi tra gli attaccanti ed i mercantili da proteggere, e –
benché centrata e devastata da diversi colpi – continuò a rispondere al fuoco con
i cannoni ancora efficienti, per attirare su di sé l’attenzione delle navi
nemiche. Infine, con parte dei cannoni ormai inutilizzabili, incendi a bordo,
molti morti e feriti gravi tra cui lo stesso comandante Barbini, ed ormai a
rischio di colare a picco, la Fabrizi
si diresse verso i campi minati difensivi di Valona, cercando di farsi seguire
ed attirare le navi britanniche sulle mine. Ma neanche questo ultimo tentativo
ebbe fortuna.
Intanto, l’Orion cannoneggiò pesantemente il Capo Vado, riducendolo ad un relitto in
fiamme, ed all’1.33 lo colpì anche con un siluro. All’1.48 il piroscafo fu
scosso da un’esplosione e venne completamente avvolto dalle fiamme, sbandando a
sinistra; l’equipaggio superstite dovette abbandonare la nave. L’Orion spostò allora il tiro delle
artiglierie da 152 sulla quarta nave mercantile, la Catalani, distante 4850 metri su rilevamento 063°. Anche questa
venne centrata più volte, incendiata ed abbandonata dall’equipaggio, dopo di
che l’Orion la colpì con un
siluro (lanciato da 4570 metri, con rilevamento 012°) e la motonave iniziò ad
appopparsi.
L’Ajax, che aveva avvistato il convoglio
all’1.25, aprì il fuoco all’1.30 verso il “cacciatorpediniere” – in realtà
il RAMB III –, che però non
fu colpito e si ritirò passando a poppavia dell’Ajax, al di fuori della portata delle sue artiglierie.
L’incrociatore, allora, cambiò bersaglio, incendiando uno dei mercantili; poi
spostò ancora il tiro su un altro mercantile, mancandolo con un siluro ma
centrandolo con due salve, dopo di che questi iniziò ad affondare.
Il Sydney, ultima nave della fila
britannica, aveva avvistato cinque navi oscurate all’1.21 ed aprì il fuoco da
6400 metri contro la nave di testa, l’Antonio
Locatelli, che venne incendiata. Spostò poi il tiro sulla seconda nave da
destra, il Premuda, che aveva
avvistato all’1.32 alla luce di un proiettile illuminante, mentre questa
tentava di allontanarsi circondata dalle esplosioni dei proiettili (per altra
fonte, il Premuda venne bersagliato
dal tiro nemico già dall’1.25).
La prima salva nemica
che colpì il Premuda fu sparata da
circa un miglio di distanza. Una cannonata abbatté l’albero di trinchetto del
piroscafo, poi un’altra – un proiettile incendiario – centrò la stiva numero 2,
ov’erano situate le carbonaie e nella quale erano inoltre stati stivati venti
veicoli del Reggimento «San Marco». Una terza cannonata colpì la testata delle
caldaie; raffiche di mitragliera spazzarono la coperta e le sovrastrutture,
crivellando tra l’altro anche le lance di salvataggio. Il commissario militare
del Premuda, tenente di fanteria
Andrea Onoumia, fu tra i primi uomini ad essere feriti.
Subito dopo i primi
colpi a bordo, scoppiò sul piroscafo un enorme incendio, che risultò
impossibile anche solo contenere; il comandante civile del Premuda ebbe a stento il tempo di distruggere i documenti segreti,
per evitarne la cattura da parte nemica, poi dovette ordinare l’abbandono della
nave. Essendo tutte le scialuppe danneggiate e perciò inutilizzabili,
l’equipaggio dovette divellere i boccaporti e buttarli in mare per usarli come
zattere di fortuna. Il comandante fu l’ultimo a gettarsi in acqua.
Ridotto il Premuda ad un relitto, all’1.36 il Sydney spostò ancora il tiro,
stavolta contro la Fabrizi, che
stava emettendo fumo ma si allontanò; pertanto, all’1.38 l’incrociatore tornò a
sparare contro Premuda e Locatelli, che si trovavano ora
raggruppati, più vicini (tra di loro) rispetto a prima. Sparò diverse salve,
colpendo i due piroscafi, poi li perse di vista nel buio. All’1.40 la scia di
un siluro fu vista passare sotto il Sydney (doveva
essere stato lanciato dalla Fabrizi).
L’incrociatore cambiò ancora bersaglio, sparando ora contro il Capo Vado, che venne nuovamente colpito,
subendo ulteriori danni. Dopo aver accostato verso sudest, il Sydney lanciò due siluri all’1.48,
contro una nave che si trovava sulla dritta di quella già in fiamme, ed
all’1.50 cessò il fuoco. In quel momento si vedevano sue navi su rilevamento
020° e 025° ed una in fiamme su rilevamento 349°; quest’ultima venne vista
affondare alle due di notte.
Il Nubian, che all’1.19 aveva avvistato
quattro mercantili a prora sinistra (rilevamento 110°), aveva aperto il fuoco
all’1.31, da 7300 meti, contro una nave di colore grigio chiaro; quando questa
fu incendiata, il cacciatorpediniere spostò il tiro su un’altra che si trovava
alla sua dritta. Il Mohawk, dopo
lo scontro con la Fabrizi,
lanciò un siluro contro il secondo mercantile da sinistra; il convoglio si
stava sparpagliando. All’1.45 le navi britanniche videro la terra verso sudest.
Mentre il Nubian ritornava nella sua
posizione in coda alla formazione, il Mohawk spostò
il tiro sulla quarta nave da sinistra. L’ultima nave (la Catalani), colpita a poppa da una salva,
era immobilizzata ed emetteva nuvole di vapore; il Nubian iniziò a cannoneggiarla ed il Mohawk stava per virare a dritta per portarsi a poppavia
del Nubian e lanciare i
propri siluri contro le navi immobilizzate, quando all’1.53 Pridham Wippell gli
ordinò di assumere rotta 160° e velocità 28 nodi.
Cessato l'attacco, le
navi britanniche assunsero rotta di allontanamento. Pridham-Wippell aveva
ricevuto un messaggio dall’addetto navale ad Ankara, nel quale si diceva che la
flotta italiana intendeva uscire in mare quella notte per bombardare Corfù (in
realtà era pianificato un bombardamento contro Suda da parte degli incrociatori
pesanti della I Divisione, poi non eseguito per via dell’attacco a Taranto):
esisteva la possibilità che una superiore formazione di incrociatori italiani
potesse essere in arrivo nel Canale d’Otranto, per impedirgli la ritirata. Dato
che il convoglio ormai era stato annientato distrutto (uno dei mercantili era
affondato, altri due stavano lentamente affondando in fiamme, ed il quarto era
stato visto per l’ultima volta mentre arrancava in fiamme verso Valona),
l'ammiraglio britannico decise di aver assolto il suo compito, e che fosse ora
di andarsene.
La Forza X si riunì
al resto della Mediterranean Fleet alle undici del mattino del 12 novembre.
La Nicola Fabrizi, con gravi danni, incendi
a bordo e perdite tra l’equipaggio (11 morti e 17 feriti), arrancò lentamente
in direzione di Valona.
I quattro mercantili,
ridotti a relitti in fiamme, affondarono uno dopo l’altro nel corso della
notte: la Catalani alle due, il Capo Vado alle 3.30, il Locatelli alle 3.35. Il Premuda fu l’ultimo ad inabissarsi, alle
4.05 (o 4.15) del mattino del 12 novembre, circa quindici miglia ad ovest di
Saseno.
A Valona, le
informazioni sull'attacco arrivarono sulle prime confuse e frammentarie, anche
perché l’unico piroscafo che avesse chiesto aiuto via radio, il Locatelli (i marconisti degli altri
tre non erano in turno di guardia al momento dell’attacco), aveva per sbaglio
lanciato, nella concitazione del momento, il segnale di attacco aereo. Verso le
quattro del mattino Marina Valona dispose che le torpediniere Solferino e Curtatone uscissero in mare per prestare
soccorso agli equipaggi delle navi colpite; le comunicazioni dei soccorritori
vennero però ostacolate dal fitto scambio di messaggi che, a seguito
dell'incursione contro Taranto, intasava quasi ininterrottamente le linee
radiotelegrafiche. Passando davanti a Saseno, Solferino e Curtatone incontrarono
la malridotta Fabrizi, in attesa
dell’autorizzazione ad entrare in porto, che riferì loro le coordinate del
luogo dell’attacco. La Curtatone si
diresse subito verso la posizione indicata, ordinando alla Solferino di ispezionare la fascia
costiera; alle ricerche si unirono poi anche alcuni motovelieri. Le navi si
spinsero fino ai margini dei campi minati, dopo di che, non potendo avanzare
ulteriormente, vi inviarono le proprie imbarcazioni.
Alla fine, la Solferino riuscì a trarre in salvo
75 superstiti dei mercantili, mentre la Curtatone ne soccorse altri 65; in tutto le vittime furono 25
ed i feriti altrettanti (oltre alle perdite della Fabrizi). Verso mezzogiorno, terminato il recupero dei naufraghi,
le due torpediniere ed i motovelieri entrarono a Saseno e trasbordarono i
naufraghi sulla nave ospedale California,
sulla quale erano già stati portati i feriti della Fabrizi. Nel primo pomeriggio venne inviato un idrovolante CANT Z.
501 ad effettuare un ultimo controllo nelle acque del combattimento, ma l’aereo
vide numerosi rottami galleggianti e vaste chiazze di nafta.
Del personale
imbarcato sul Premuda, sette uomini
persero la vita (due morti accertati e cinque dispersi) ed undici rimasero
feriti.
L’attacco dell’11/12
novembre 1940 nel Canale d’Otranto fu l’unico attacco compiuto da navi di
superficie ai danni di un convoglio italiano in navigazione tra l’Italia e
l’Albania; fu anche la prima azione notturna da parte di navi britanniche
contro un convoglio italiano, e rispecchiava, nei tristi risultati, quelle che
sarebbero seguite sulle rotte per il Nordafrica. L’attacco indusse comunque i
comandi italiani a potenziare le scorte dei convogli da e per l’Albania,
prevedendo l’impiego di tre torpediniere ed un incrociatore ausiliario per i
convogli composti da quattro mercantili.
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