L’Olimpia (da www.photoship.co.uk)
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Piroscafo da carico
da 6040 tsl e 3795 tsn, lungo 127,7 metri, largo 16,9 e pescante 8,9, con
velocità di 10 nodi. Appartenente all’armatore Achille Lauro di Napoli,
iscritto con matricola 384 al Compartimento Marittimo di Napoli.
Breve e parziale cronologia.
27 novembre 1916 (altra fonte: 1918)
Varato nei cantieri
Rickmers Werft AG di Bremerhaven come Rickmer
Rickmers (numero di cantiere 169), per la Rickmers Reismühlen, Reederei
& Schiffsbau AG di Bremerhaven.
23 luglio 1920 (altra fonte: 1919)
Completato e trasferito
sotto il controllo del governo britannico, a seguito della sconfitta della
Germania nella prima guerra mondiale, e ribattezzato Paria. Dato in gestione alla Furness, Withy & Co.
1920
Acquistato dalla Lancashire Shipping Company Ltd. di Liverpool, registrato a
Liverpool e ribattezzato Kendal Castle.
In gestione a James Chambers & Co.
1921
Ribattezzato Wray Castle (per altra fonte, la nave
sarebbe stata ribattezzata Wray Castle
subito dopo l’acquisto da parte della Lancashire Shipping Company, e non si
sarebbe mai chiamata Kendal Castle).
Stazza lorda e netta sono 6086 tsl e 3833 tsn.
20 agosto 1926
Alcuni giornali
statunitensi raccontano una curiosa storia circa quanto accaduto sul Wray Castle (appena giunto a Staten
Island) negli ultimi sei mesi di navigazione intorno al mondo: secondo i
marinai cinesi che costituiscono parte dell’equipaggio, la nave sarebbe stata
infestata da sette demoni malvagi durante l’intera permanenza nelle acque della
Cina, ed i “demoni” sarebbero stati “scacciati” soltanto una volta giunti
nell’Oceano Indiano, facendo scoppiare miccette, bruciando bastoncini d’incenso
e gettando in mare appetitosi piatti di pollo arrosto. Il Wray Castle era partito da New York nel gennaio 1926, e la presenza
dei “demoni” ha iniziato a “manifestarsi” dopo l’arrivo nelle Filippine: mentre
la nave era all’ormeggio a Manila, un apprendista marinaio aveva perso
l’equilibrio mentre verniciava le sovrastrutture, precipitando e rompendosi una
clavicola. Successivamente, all’arrivo a Shanghai, il secondo ufficiale William
Spancer era caduto nella stiva numero 5, restando quasi ucciso. Durante il
successivo tratto di navigazione verso Singapore diversi membri dell’equipaggio
avevano riportato ferite di poco conto in una serie di incidenti, tanto da
convincere i superstiziosi marinai che la colpa di tanta sfortuna dovesse
essere legata alla presenza di demoni a bordo della nave: il capo steward Wong
Jong King aveva quindi tenuto una riunione con il capo dell’equipaggio cinese,
ed all’arrivo a Singapore i due si erano recati nel locale tempio buddista,
chiedendo al monaco a capo del tempio di mandare un “mago” per scacciare gli
spiriti. Il monaco aveva detto loro che il “mago” non avrebbe potuto operare
efficacemente, a causa del rumore nel porto; aveva però venduto loro fuochi
d’artificio per 20 dollari e tre polli freschi, sostenendo che sarebbero
bastati allo scopo. Una volta in mare aperto, i polli erano stati arrostiti e
poi sistemati sui boccaporti delle stive, indi gettati fuori bordo nella
speranza che i “demoni” li avrebbero seguiti; tre ore più tardi l’equipaggio
aveva acceso i fuochi d’artificio e bruciato bastoncini d’incenso e banconote
false. I marinai avevano ritenuto che i “demoni” se ne fossero andati, poiché
da quel momento il tempo era stato bello e non si erano verificati altri
incidenti; una volta entrato in Atlantico e superate le Azzorre, però, il Wray Castle era incappato in una
violenta tempesta. Wong Jong si era recato dal comandante del piroscafo
asserendo che, a causa della presenza a bordo di due gattini neri (figli dei
gatti di bordo), uno spirito maligno era tornato in sala macchine, e che ciò
fosse la causa del maltempo; aveva quindi chiesto al comandante di gettare
fuori bordo i due micini per calmare il demone e far migliorare il tempo. Il
comandante aveva acconsentito al sacrificio di una delle due bestiole, che era
stata quindi gettata in mare, ma aveva insistito perché l’altra fosse
risparmiata; il maltempo, comunque, era continuato fino all’arrivo del
piroscafo a New York.
1932
Acquistato
dall’armatore napoletano Achille Lauro e ribattezzato Olimpia.
5-7 marzo 1940
Durante il periodo
della “non belligeranza” italiana, a seconda guerra mondiale già in corso, l’Olimpia si ritrova a far parte del
convoglio britannico FN 112 (insieme a 32 navi mercantili tra britanniche,
polacche e francesi) per il breve viaggio da Southend a Methil.
10 giugno 1940
L’Italia entra nella
seconda guerra mondiale. L’Olimpia
non sarà mai requisito dalla Regia Marina, né iscritto nel ruolo del naviglio
ausiliario dello Stato.
4 ottobre 1940
L’Olimpia ed il piroscafo Siculo effettuano un viaggio, scarichi,
da Durazzo a Bari, scortati dalla torpediniera Monzambano.
30 ottobre 1940
L’Olimpia, la motonave Birmania ed il piroscafo Cadamosto partono da Bari alle 18.30,
scortati dalla torpediniera Generale
Marcello Prestinari e dal piccolo incrociatore ausiliario Lago Zuai, trasportando 189 automezzi e
1314 tonnellate di materiali.
31 ottobre 1940
Il convoglio giunge a
Durazzo alle 10.50.
6 novembre 1940
L’Olimpia ed i piroscafi Oreste e Neghelli lasciano scarichi Durazzo a mezzogiorno, scortati dalla
torpediniera Stocco.
7 novembre 1940
Il convoglio giunge a
Bari alle 9.50.
13 novembre 1940
Olimpia e Birmania, carichi di
799 automezzi, salpano da Bari all’1.45, scortati dalla torpediniera Confienza e dal minuscolo incrociatore
ausiliario Lago Tana. Arrivano a
Durazzo alle 8.30.
20 novembre 1940
L’Olimpia ed il piroscafo Nita, scarichi, ripartono da Durazzo
alle 3.20, scortati dalla torpediniera Monzambano.
21 novembre 1940
Le tre navi arrivano
a Bari alle quattro del mattino.
26 novembre 1940
L’Olimpia e la motonave Tergestea partono da Bari alle 18
trasportando 327 veicoli, con la scorta della torpediniera Generale Antonio Cantore.
27 novembre 1940
Le navi arrivano a
Durazzo alle 9.30.
La nave sotto il precedente nome di Wray Castle (g.c. Mauro Millefiorini) |
Siluramento
Alle 23.45 del 5
dicembre 1940 l’Olimpia, al comando
del capitano Cacace, salpò da Durazzo insieme al piroscafo Carnia: i due bastimenti, scarichi, dovevano rientrare in Italia.
Li scortava il vecchio cacciatorpediniere Augusto
Riboty; i due piroscafi procedevano a 10 nodi senza zigzagare, a differenza
del Riboty (il quale, in
considerazione dell’elevato chiarore lunare, zigzagava ad alta velocità). Il
mare era agitato.
Alle 4.55 del 6
dicembre, nel punto 41°06’ N e 18°39’ E (ad una quarantina di miglia da
Brindisi), l’Olimpia fu colpito a
poppa estrema da uno o due siluri.
Il Comando Superiore
Traffico Albania, Maritrafalba, ricevette il segnale di soccorso dell’Olimpia alle 5.30, e subito fece partire
il MAS 512 da Brindisi e la XIII
Squadriglia MAS da Otranto, oltre a dirottare sul posto la torpediniera Castelfidardo, in arrivo da Taranto.
L’ordine, per tutte le unità, era di raggiungere il luogo del siluramento per
cercare il sommergibile attaccante e dargli la caccia.
Intanto, su ordine
del Riboty, il Carnia prese a rimorchio il danneggiato Olimpia per portarlo verso Brindisi; la manovra di presa a
rimorchio fu effettuata in meno di mezz’ora. Quando il cacciatorpediniere ne
diede comunicazione, Marina Brindisi fece uscire il rimorchiatore Ercole.
Alle 10.15 il Riboty riferì che il rimorchio dell’Olimpia da parte del Carnia procedeva alla velocità di
quattro nodi; per fare in modo che la nave giungesse in porto prima di notte,
quando l’Ercole giunse sul posto gli
fu ordinato di mettersi di proravia al Carnia.
Questo accorgimento permise di incrementare di molto la velocità del
convoglietto, che riuscì a raggiungere Brindisi alle 17.30.
L’Olimpia era salvo, così come il suo
equipaggio, che non aveva subito perdite nel siluramento. Sia il comandante
Cacace che il resto dell’equipaggio si erano prodigati con perizia marinaresca
nel salvataggio della propria nave, effettuando perfettamente ogni lavoro
necessario a mantenerla a galla.
Cosa avesse colpito
l’Olimpia rimase per qualche tempo
argomento dibattuto: inizialmente, dato che nei giorni precedenti non erano
stati avvistati sommergibili lungo le rotte tra Italia ed Albania, si pensò che
il piroscafo avesse urtato una mina alla deriva (ne erano state avvistate
diverse, nel Canale d’Otranto, proprio il 6 dicembre), anche se Maritrafalba e
Marina Brindisi avevano ugualmente disposto scorta e caccia antisommergibili a
scopo precauzionale.
Una volta che la nave
danneggiata fu esaminata, tuttavia, si rinvennero a bordo dei frammenti
inconfondibilmente appartenenti al serbatoio ed alla testata di un siluro.
L’Ufficio Storico della Marina Militare, nella sua opera “La difesa del
traffico con l’Albania, la Grecia e l’Egeo” del 1964, attribuisce il
siluramento al sommergibile britannico Regulus
(capitano di corvetta Frederick Basil Curie), che – stando alla documentazione
britannica – era in quel periodo in agguato a sud del parallelo 42° N ed a nord
del parallelo 40° N; partito da Alessandria d’Egitto il 18 novembre con
l’ordine di porsi in agguato nel Golfo di Taranto, era stato trasferito in
questo nuovo settore (Basso Adriatico) il 23 novembre. Il Regulus non fece ritorno da quella missione, scomparendo con tutto
l’equipaggio, senza mai aver comunicato con la base dopo la partenza;
probabilmente urtò una mina al largo di Taranto proprio intorno al 6 dicembre,
ed è oggi opinione degli storici che non fu questo battello a silurare l’Olimpia, anche perché il 6 dicembre il Regulus sarebbe dovuto rientrare ad
Alessandria.
Non rientrò dalla
propria missione nemmeno il sommergibile Triton
(tenente di vascello Guy Claud Ian St. Barbe Slade Watkins), il cui settore
d’agguato si trovava anch’esso nel Canale d’Otranto tra i paralleli 40° N e 42°
N; nemmeno il Triton diede più
notizia di sé dopo la partenza da Malta (28 novembre), ma nel suo caso il
rientro sarebbe dovuto avvenire solo il 17 dicembre, pertanto avrebbe avuto
abbondantemente il tempo necessario ad attaccare il convoglio italiano. Già
all’epoca del siluramento i comandi britannici, che avevano intercettato l’SOS
dell’Olimpia, avevano ritenuto che si
trattasse del Triton “al lavoro”. La
mancanza di sopravvissuti di questo sommergibile (che andò perduto in quei
giorni senza aver riferito nulla alla base: forse vittima di mine o, meno
probabilmente, di torpediniere italiane) impedisce una conferma assoluta, ma si
ritiene oggi quasi certo che fu il Triton
a silurare l’Olimpia.
Riparato dopo lunghi
lavori, il piroscafo riprese a navigare, ma non più sulle rotte per l’Albania.
Armistizio e affondamento
All’annuncio
dell’armistizio tra l’Italia e gli Alleati, l’8 settembre 1943, l’Olimpia si trovava nel porto di Trieste.
Poco dopo la mezzanotte di quel giorno, il capitano di vascello Lorenzo Stallo,
titolare del Comando Marina di Trieste, ordinò a tutte le navi mercantili e
militari in condizioni di navigare di prepararsi alla partenza.
A Trieste un
particolare fattore di rischio, in caso di aggressione tedesca (come poi avvenne),
era rappresentato dagli accantonamenti di consistenti nuclei di truppe tedesche
(di solito qui concentrati solo temporaneamente, e diretti verso la Grecia e
l’Albania) proprio nella zona del porto. Il comandante Stallo lo aveva più
volte fatto presente alle autorità dell’Esercito, lamentandosene, ma senza
risultato.
Il comando del XXIII
Corpo d’Armata aveva avvertito il Comando Marina che, durante la notte, truppe
tedesche si sarebbero mosse da Opicina verso Trieste, dirette, come al solito,
verso gli accantonamenti della zona portuale.
Dopo la mezzanotte
dell’8 settembre, però, gli spostamenti delle truppe tedesche assunsero
un’intensità ed un aspetto tali da diventare preoccupanti, così che il comando
del XXIII Corpo d’Armata prese la decisione di contrastarli. Le uniche
torpediniere presenti, l’Audace e l’Insidioso, furono inviate in rada per
tenersi pronte a bombardare coi loro cannoni la rotabile Trieste-Opicina; alle
6.20 del 9 settembre il XXIII Corpo d’Armata comunicò che era necessario un
intervento immediato delle torpediniere, ma proprio in quel momento le truppe
tedesche aprirono il fuoco contro di esse, costringendole ad allontanarsi. Si
tennero tuttavia pronte a scortare piroscafi in partenza.
Alle 6.30 le truppe
tedesche accantonate nel porto, come temuto, passarono all’attacco; con
un’azione rapidissima catturarono una batteria di cannoni da 76 mm e le
mitragliere piazzate sulle banchine, ed occuparono i piroscafi ormeggiati. Nel
volgere di un’ora o poco più, l’intero porto di Trieste era in mano tedesca;
tutte le 26 navi mercantili presenti furono catturate, otto di esse intatte (le
prime ad essere catturate, per le quali non si fece in tempo a far nulla) e le
altre 18 sabotate come in precedenza ordinato.
Una corvetta fresca
di cantiere, la Berenice, venne
affondata dalle artiglierie tedesche mentre cercava di lasciare il porto.
Tra le navi catturate
vi fu anche l’Olimpia.
Affidato, come molti
mercantili italiani catturati dai tedeschi, alla Mittelmeer Reederei GmbH. di
Amburgo, il piroscafo riprese successivamente a navigare con equipaggio
prevalentemente tedesco, ma comprensivo anche di alcuni elementi italiani.
Il
16 ottobre 1943 l’Olimpia – con un
carico di 648 tonnellate di paglia e fieno, 105 tonnellate di munizioni, 912 di
materiale per pionieri, 833 di viveri, 1124 di avena e 1290 di farina – salpò
da Trieste diretto a Durazzo, insieme alla motonave Argentina, anch’essa italiana ed anch’essa sotto controllo tedesco.
I due bastimenti erano privi di scorta.
La loro navigazione
s’interruppe però verso le 17 di quel giorno nel Basso Adriatico, al largo di
Lissa, quando vennero attaccati dai cacciatorpediniere britannici Tumult e Tyrian.
Mentre il Tyrian si occupava dell’Argentina (che fu catturata), il Tumult si pose all’inseguimento dell’Olimpia; l’equipaggio del piroscafo
incendiò il carico della nave, che fu poi catturata dal Tumult. I marinai britannici tentarono infruttuosamente di
contrastare gli incendi, poi, rinunciando a salvare la nave, decisero di
accelerarne l’affondamento. L’Olimpia
venne così finito col lancio di tre siluri (due dei quali andati a segno) e di
bombe di profondità.
L’intero equipaggio,
composto da 12 italiani e 47 tedeschi, venne catturato.
L’Olimpia in fiamme, fotografato dalla plancia del Tumult, poco prima di essere affondato (IWM Non Commercial Licence – Copyright IWM, A 19936) |
Va segnalata
l’erronea versione, riportata nel libro “Fremde Schiffe in deutscher Hand
1939-1945”, secondo cui l’Olimpia
sarebbe stato invece affondato per errore da tiro d’artiglieria tedesca al
largo di Cattaro il 16 ottobre. Dalle ricerche di Platon Alexiades, non risulta
alcun coinvolgimento di artiglieria tedesca, mentre è confermato che la nave fu
affondata dal Tumult dopo essere
stata incendiata dal proprio equipaggio.
Tre immagini dei prigionieri tedeschi, appartenenti all’equipaggio dell’Olimpia, a bordo del Tumult e poi al momento dello sbarco a Bari (IWM Non Commercial Licence – Copyright IWM, A 19938, A 19939 e A 19940)
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