Il varo del Lanciere (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net) |
Cacciatorpediniere
della prima serie della classe Soldati (dislocamento standard 1850 tonnellate,
in carico normale 2140 tonnellate, a pieno carico 2460 tonnellate).
Breve e parziale cronologia.
1° febbraio 1937
Impostazione nei
Cantieri del Tirreno di Riva Trigoso (numero di costruzione 131).
18 dicembre 1938
Varo nei Cantieri del
Tirreno di Riva Trigoso.
Altre due immagini del varo (da E. Bo, “Riva Trigoso, il cantiere e la sua storia”, via Franco Lena e www.naviearmatori.net)
20 aprile 1939
Entrata in servizio.
Giugno 1939
Il Lanciere e gli undici gemelli ricevono,
a Livorno, le rispettive bandiere di combattimento, offerte dalle Associazioni
d’Arma delle diverse Armi di cui i vari cacciatorpediniere portano il nome.
Il Lanciere va poi a formare la XII
Squadriglia Cacciatorpediniere insieme ai gemelli Carabiniere, Ascari e Corazziere. Tale Squadriglia viene
assegnata alla scorta dell’incrociatore pesante Pola, nave ammiraglia della 1° Squadra Navale (per altra fonte la
XII Squadriglia sarebbe stata assegnata alla scorta della III Divisione Navale –
incrociatori pesanti Trento, Trieste e Bolzano –, ma in realtà questo risulterebbe essere il ruolo
assegnato alla XI Squadriglia).
23 maggio 1940
In mattinata il Lanciere ed il gemello Corazziere salpano da La Spezia per
scortare a Taranto la nuovissima corazzata Littorio,
appena completata. Lanciere e Corazziere scortano la Littorio fino a Messina, poi vengono
sostituiti dai cacciatorpediniere Freccia
e Saetta per il tratto finale del
viaggio.
8 giugno 1940
Il Lanciere (capitano di vascello Carmine
D’Arienzo), il Corazziere (capitano
di fregata Carlo Avegno), gli incrociatori leggeri Alberico Da Barbiano (capitano di vascello Mario Azzi, nave di
bandiera dell’ammiraglio di divisione Alberto Marenco di Moriondo) e Luigi Cadorna (capitano di vascello
Romolo Polacchini) e le torpediniere Polluce (tenente
di vascello Ener Bettica) e Calipso (tenente
di vascello Giuseppe Zambardi), dopo aver imbarcato (in rada gli incrociatori,
a Punta Cugno le altre unità) in tutto 428 mine tipo Wickers Elia (146
sul Da Barbiano, 118 sul Cadorna, 54 su ciascun cacciatorpediniere
e 28 su ogni torpediniera), lasciano Augusta per effettuare nella notte
successiva la posa dello sbarramento offensivo «L K» (Lampedusa-Kerkennah) nel
Canale di Sicilia (tale sbarramento è inteso soprattutto ad evitare azioni
offensive, nelle acque della Tripolitania, da parte di navi francesi
provenienti dalla Tunisia), composto da quattro segmenti paralleli orientati
per 233° («A» di 146 mine, «B» di 118 mine, «C» di 108 mine e «D» di 56 mine)
ma all’ultimo momento si decide di rimandare la missione di ventiquattr’ore,
dunque le navi vengono fatte tornare in porto.
9 giugno 1940
Lanciere, Corazziere, Da Barbiano, Cadorna, Polluce e Calipso partono di nuovo da Augusta
alle 16. Alle 16.45 i due incrociatori, preceduti di 3000 metri da Lanciere e Corazziere, superano le ostruzioni a 26 nodi, poi seguono le rotte
costiere di sicurezza, scortati da due idrovolanti antisommergibile CANT Z
decollati da Augusta. Alle 17.50 si uniscono al gruppo anche le due
torpediniere. Alle 19.30 le navi lasciano le rotte di sicurezza, ed i
cacciatorpediniere si accodano agli incrociatori mentre cessa la scorta aerea
antisommergibile. Alle 20.30 le navi accostano per 222° facendo rotta su
Lampedusa.
10 giugno 1940
Alle 00.03 viene data
libertà di manovra per la posa delle mine, compiuta con rotta 223° e velocità
16 nodi. Lanciere e Corazziere posano le 108 mine del tratto
assegnato, il «D» (lunghezza 10.700 metri, iniziando nel punto 35°03’ N e
11°57’40” E e terminando nel punto 34°59’ N e 11°51’40” E, il tratto più
meridionale dello sbarramento «L K»), tra l’1.49 e le 2.12.
Nel frattempo, le
torpediniere posano il tratto «A» (56 mine) tra l’1.25 e l’1.37, il Da Barbiano posa il tratto «B» (146
mine) tra l’1.03 e l’1.39, ed il Cadorna posa
il tratto «C» (118 mine) tra l’1.25 e l’1.49. La profondità a cui sono posate
le mine è di quattro metri, la distanza tra ogni ordigno di cento metri.
Subito dopo la posa,
il Lanciere avvista delle unità
sconosciute con i fanali accesi.
Alle 4.20 le navi del
gruppo si avvistano a vicenda ed iniziano la riunione, conclusa la quale, alle
4.42, comincia la navigazione di rientro verso Augusta, a 25 nodi, con le
siluranti in scorta ravvicinata. Alle 10.15 viene avvistato un idrovolante
quadrimotore francese, proveniente da Malta e diretto verso ovest. Alle 12.25
la formazione (con le torpediniere a proravia degli incrociatori ed i
cacciatorpediniere a poppavia di questi ultimi) imbocca le rotte costiere di
sicurezza della Sicilia, nuovamente sotto la scorta di due idrovolanti CANT Z
antisommergibile inviati da Augusta. Alle 15.45 le navi superano le ostruzioni
ed entrano nel porto di Augusta.
Proprio su una mina
della spezzata «D» dello sbarramento «L K», quella posata da Lanciere e Corazziere, affonderà senza superstiti, tra il 13 ed il 16 dicembre
1940, il sommergibile della Francia Libera Narval
(capitano di vascello François Drogou). Il ritrovamento, nel novembre 1957, del
suo relitto, a 9 miglia per 68° dalla boa numero 3 delle secche di Kerkennah
(cioè proprio nella posizione in cui sono state posate le mine della spezzata
«D»; coordinate 35°03’ N e 11°53’ E), con la prua distrutta da un’esplosione,
confermerà tali circostanze.
Poche ore dopo la
posa di questo campo minato, l’Italia entra nella seconda guerra mondiale.
Il Lanciere, insieme ai gemelli Ascari, Carabiniere e Corazziere,
forma la XII Squadriglia Cacciatorpediniere, di cui proprio il Lanciere (capitano di vascello Carmine
D’Arienzo) è caposquadriglia.
Lo stesso 10 giugno,
alle 19.10, il Lanciere ed il resto
della XII Squadriglia (Ascari, Carabiniere, Corazziere) salpano da Napoli insieme alla VII Divisione Navale
(incrociatori leggeri Muzio
Attendolo ed Emanuele
Filiberto Duca d’Aosta) per fornire copertura alla X Squadriglia
Cacciatorpediniere (Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco),
inviata ad effettuare una ricognizione notturna tra Marettimo e Capo Bon.
11 giugno 1940
In mattinata, la VII
Divisione e la XII Squadriglia si uniscono ad un altro gruppo partito da
Messina e composto dagli incrociatori pesanti Pola (nave ammiraglia), Trento e Bolzano (III
Divisione Navale) e dai quattro cacciatorpediniere della XI Squadriglia (Aviere, Artigliere, Geniere, Camicia Nera).
Le navi procedono poi
fino a nord di Favignana, a protezione sia della X Squadriglia che di un gruppo
di unità che rientrano alla base dopo aver posato un campo minato.
Tutte le navi
rientrano alle basi entro la sera dell’11 giugno.
12 giugno 1940
Alle 00.20 il Lanciere (caposquadriglia), insieme al
resto della XII Squadriglia Cacciatorpediniere (Ascari, Corazziere, Carabiniere), alla XI Squadriglia
Cacciatorpediniere (Aviere, Artigliere, Geniere, Camicia Nera),
all’incrociatore pesante Pola ed
alla III Divisione Navale (incrociatori pesanti Trento e Bolzano),
salpa da Messina per intercettare due incrociatori britannici (il Caledon ed il Calypso) avvistati da dei ricognitori a
sud di Creta, diretti verso ovest (gran parte della Mediterranean Fleet, al
pari di una squadra navale francese, è infatti uscita in mare a caccia,
infruttuosa, di naviglio italiano).
(Per altra fonte le
navi sarebbero uscite in mare per dare la caccia ad un convoglio britannico,
segnalato da un ricognitore al largo di Creta ed avente rotta ovest;
segnalazione che si rivela poi errata).
Al contempo salpano
da Taranto, per fornire loro appoggio, la I (incrociatori pesanti Zara, Fiume e Gorizia)
e VIII Divisione Navale (incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi) e la IX (Vittorio
Alfieri, Alfredo Oriani, Vincenzo Gioberti, Giosuè Carducci) e XVI Squadriglia
Cacciatorpediniere (Nicoloso Da Recco, Emanuele Pessagno, Antoniotto Usodimare).
Alle 9, dato che
nuovi voli di ricognizione non sono più riusciti a trovare le navi nemiche,
tutte le unità italiane ricevono ordine di tornare in porto.
A mezzogiorno il
sommergibile britannico Orpheus (capitano
di corvetta James Anthony Surtees Wise), in agguato 70 miglia a nordest di
Malta, avvista il Pola, la III
Divisione e le Squadriglie Cacciatorpediniere XI e XII (meno il Geniere, che è dovuto rientrare in porto
da qualche ora), in navigazione con rotta nord/nordovest. Forse perché troppo
lontano, il sommergibile non attacca.
22 giugno 1940
La XII Squadriglia
Cacciatorpediniere, col Lanciere come
caposquadriglia, prende il mare insieme alle Squadriglie Cacciatorpediniere IX
e X ed alle Divisioni incrociatori I (Zara, Fiume, Gorizia), II (Giovanni delle
Bande Nere e Bartolomeo
Colleoni) e III (Trento e Bolzano) nonché all’incrociatore pesante Pola (nave ammiraglia del
comandante superiore in mare; è in mare tutta la 2a Squadra Navale,
più la I Divisione), per fornire copertura alla VII Divisione ed alla XIII
Squadriglia Cacciatorpediniere, inviate a compiere un’incursione contro il
traffico mercantile francese nel Mediterraneo occidentale, dopo che
intercettazioni radio e ricognizioni aeree eseguite tra il 19 ed il 21 giugno
hanno posto in evidenza l’esistenza di un intenso traffico convogliato dalla
Provenza verso l’Algeria, scortato da forze leggere e regolato in modo da
giungere all’alba presso la costa dell’Algeria dopo essere passato verso
mezzogiorno del giorno precedente sul parallelo di Minorca, 50-70 miglia ad est
di Port Mahon.
Le forze della 2a
Squadra, partite da Messina (Pola e
III Divisione), Augusta (I Divisione, lì giunta da Taranto la notte tra il 21
ed il 22) e Palermo (II Divisione) il 22 giugno, si riuniscono al tramonto
dello stesso giorno a nord di Palermo. La formazione fa rotta fino ad un punto
situato 40 miglia ad ovest dell’isola di San Pietro (Sardegna), da
dove poi tenersi pronta ad intervenire a supporto della VII Divisione in caso
di necessità (la VII Divisione ha l’ordine di impegnarsi decisamente in caso
d’incontro con forze nemiche non superiori, mentre nel caso di incontro con
forze nettamente superiori dovrebbe ripiegare per attirarle verso il punto in
cui le altre tre Divisioni devono trovarsi per darle manforte).
23 giugno 1940
Le ricerche della
ricognizione aerea, sia da parte dei velivoli catapultati dalle navi che di quelli
di base a terra, non trovano nessuna nave nemica, anche a causa delle avverse
condizioni del tempo (nubi basse, piovaschi e foschia).
24 giugno 1940
La XII Squadriglia e
le altre unità rientrano alle rispettive basi.
7 luglio 1940
Il Lanciere (capitano di vascello Carmine
D’Arienzo, caposquadriglia), insieme al resto della XII Squadriglia
Cacciatorpediniere (Carabiniere, Ascari e Corazziere), salpa da Augusta unitamente all’incrociatore pesante Pola (nave di bandiera dell’ammiraglio
di squadra Riccardo Paladini, comandante la 2a Squadra), alla I
Divisione Incrociatori (incrociatori pesanti Zara, Fiume, Gorizia) ed alla IX Squadriglia
Cacciatorpediniere (Vittorio Alfieri,
Alfredo Oriani, Vincenzo Gioberti, Giosuè Carducci),
mentre da Messina e Palermo prendono il mare le Divisioni Incrociatori III (Trento, Bolzano) e VII (Eugenio di
Savoia, Emanuele Filiberto Duca
d’Aosta, Muzio Attendolo, Raimondo Montecucccoli) e le Squadriglie
Cacciatorpediniere XI (Aviere, Artigliere, Geniere, Camicia Nera) e
XIII (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino), che –
insieme alle unità salpate da Augusta – compongono la 2a Squadra
Navale.
Loro compito è
scortare a distanza un convoglio salpato da Napoli alle 19.45 del 6 e diretto a
Bengasi con un carico di 232 veicoli, 10.445 tonnellate di materiali vari e
5720 tonnellate di carburante, oltre a 2190 uomini; lo formano le motonavi da
carico Marco Foscarini, Francesco Barbaro (salpata da
Catania alle 12 del 7) e Vettor
Pisani e le motonavi passeggeri Esperia e Calitea, con la scorta diretta dei due
incrociatori leggeri della II Divisione (Giovanni
delle Bande Nere e Bartolomeo
Colleoni), dei quattro cacciatorpediniere della X Squadriglia (Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco), delle quattro torpediniere
della IV Squadriglia (Procione, Orsa, Orione, Pegaso) e delle
vecchie torpediniere Rosolino
Pilo e Giuseppe Missori.
La XII Squadriglia
Cacciatorpediniere è assegnata alla scorta del Pola, nave ammiraglia della 2a Squadra.
La 1a Squadra
Navale (V Divisione con le corazzate Giulio
Cesare e Conte di Cavour,
IV e VIII Divisione con sei incrociatori leggeri, VII, VIII, XV e XVI
Squadriglia Cacciatorpediniere con 13 unità) esce anch’essa in mare a sostegno
dell’operazione. Comandante superiore in mare è l’ammiraglio di squadra Inigo
Campioni, con bandiera sulla Cesare.
Le unità della 1a e
della 2a Squadra salpano tra le 12.30 e le 18 del 7 luglio da
Augusta (Pola, I e II Divisione),
Messina (III Divisione), Palermo (VII Divisione) e Taranto (IV, V e VIII
Divisione).
La 2a
Squadra si pone 35 miglia ad est del convoglio, tranne la VII Divisione con la
XIII Squadriglia, che viene invece posizionata 45 miglia ad ovest.
8 luglio 1940
L’operazione va a
buon fine (il convoglio raggiunge Bengasi tra le 18 e le 22 dell’8), ed alle
14.30 le navi delle due squadra navali iniziano la navigazione di rientro.
Ma alle 15.20, a
seguito dell’avvistamento di una formazione britannica – anche la Mediterranean
Fleet, infatti, è in mare a protezione di convogli – la 1a e la
2a Squadra Navale dirigono per intercettare le navi nemiche
(che si teme dirette a bombardare Bengasi), con l’intento di impegnarle in
combattimento almeno un’ora prima del tramonto. La flotta britannica in mare,
al comando dell’ammiraglio Andrew Browne Cunningham, consiste in tre corazzate
(Warspite, Malaya e Royal Sovereign),
una portaerei (la Eagle), cinque incrociatori
leggeri (Orion, Neptune, Sydney, Liverpool, Gloucester) e 16 cacciatorpediniere (Nubian, Mohawk, Decoy, Hasty, Hero, Hereward, Stuart, Decoy, Hostile, Hyperion, Ilex, Dainty, Defender, Janus, Juno, Vampire e Voyager).
Alle 19.20, però, in
seguito ad ordini di Supermarina (il comando della Regia Marina, che, a
differenza dell’ammiraglio Campioni ha avuto modo di apprendere, tramite la
crittografia, la reale consistenza e finalità dei movimenti britannici) la
flotta italiana accosta per 330° per rientrare alle basi, con l’ordine di non
impegnare il nemico. Durante l’accostata le navi vengono attaccate da alcuni
velivoli con una dozzina di bombe, rispondendo con intenso tiro contraereo. Le
bombe cadono vicine agli incrociatori, ma non causano danni.
9 luglio 1940
Per ordine
dell’ammiraglio Paladini, la III Divisione prosegue verso nord dalle 00.45 del
9 sulla dritta di Pola e I
Divisione (ammiraglio di divisione Pellegrino Matteucci, sullo Zara), sia per evitare d’incrociarsi con
la VII Divisione che è in arrivo da sinistra (perché è in rotta verso lo
stretto di Messina), sia per non passare in una zona nella quale Supermarina,
alle 22.10, ha indicato trovarsi due sommergibili nemici.
La navigazione
notturna di rientro si svolge senza grossi inconvenienti, salvo due
fallimentari attacchi siluranti contro la III Divisione; la 2a Squadra
(eccetto la VII Divisione, che è ancora separata da essa) accosta verso nord
all’1.23.
Già dalle 22 dell’8,
però, sono arrivati nuovi ordini: Supermarina teme che la Mediterranean Fleet
intenda lanciare un attacco aeronavale contro le coste italiane, perciò ordina
alle forze in mare di riunirsi nel punto 37°40’ N e 17°20’ E, 65 miglia a
sudest di Punta Stilo, entro le 14 del 9 luglio.
Verso le quattro del
mattino del 9 luglio la III Divisione passa ad est del gruppo «Cesare»;
l’ammiraglio Campioni, che Paladini – assumendo che questi avesse intercettato
l’ordine, inviato a mezzo radiosegnalatore – non ha informato dell’ordine alla
III Divisione di proseguire verso nord (il che differisce da quanto ordinato in
precedenza da Campioni), quando alle 4.30 la XV Squadriglia Cacciatorpediniere
segnala grosse ombre su tale lato (che è quello da cui si prevede che possa
provenire il nemico), ritiene che si tratti di unità nemiche. Vengono così
inviate ad attaccarle, in rapida successione, la XV e la VIII Squadriglia
Cacciatorpediniere. In realtà si tratta appunto del Bolzano e del Trento,
che si trovano dove – secondo le originarie disposizioni di Campioni – non
dovrebbero essere: per fortuna, i due siluri lanciati dalla XV Squadriglia
mancano il bersaglio, mentre l’VIII Squadriglia riconosce la sagoma delle navi
“nemiche” per quella di due incrociatori tipo “Trento”, permettendo di
interrompere l’attacco e chiarire l’equivoco.
Alle 6.40 la III
Divisione si ricongiunge con Pola e
I Divisione, ed alle 8 viene avvistato un idroricognitore Short Sunderland che
pedina la flotta italiana, tenendosi al di fuori della portata delle
artiglierie contraeree (la caccia italiana, chiamata ad intervenire, non verrà
però inviata ad attaccarlo).
Verso le 13, dopo una
mattinata di infruttuosi voli di ricognizione, un velivolo italiano avvista la
Mediterranean Fleet 80 miglia a nordest della V Divisione, ossia molto più a
nord di quanto previsto, ed in posizione adatta ad interporsi tra la flotta
italiana e la base di Taranto: l’ammiraglio Campioni inverte allora la rotta,
ed ordina a Paladini, che si trova più a sud e sta dirigendo per
ovest-sud-ovest, di fare altrettanto, accostando ad un tempo per riunire più
rapidamente le due Squadre.
Verso le 13 la 1a e 2a Squadra, ormai riunite,
si dispongono su quattro colonne, distanziate di cinque miglia l’una
dall’altra: la XII Squadriglia, insieme alla XI Squadriglia, al Pola ed alla I e III Divisione, va a formare
la seconda colonna da ovest (la prima è costituita dalla VII Divisione, la
terza dalla V Divisione – rispetto alla quale la colonna con la III Divisione
si trova tre miglia ad ovest, cioè sulla dritta – e la quarta dalle
Divisioni IV e VIII). A causa della manovra d’inversione di rotta, il Bolzano si viene a trovare in testa
al gruppo degli incrociatori pesanti, mentre il Pola, nave ammiraglia di Paladini, finisce in coda.
Tra le 13.15 e le
13.26, 45 miglia ad est-sud-est di Capo Spartivento, il gruppo «Pola» (di
cui la XII Squadriglia fa parte), mentre si trova a poppa dritta della Cesare e con rotta 183° – è in
corso la manovra per assumere la propria posizione nella formazione ordinata da
Campioni –, viene attaccato da nove aerosiluranti Fairey Swordfish.
Gli aerei britannici,
decollati dalla Eagle alle
11.45 con l’obiettivo di attaccare le corazzate italiane, che però non hanno
trovato, provegono da ovest (cioè da sinistra); si avvicinano con decisione da
poppavia agli incrociatori (approfittando del fatto che i cacciatorpediniere
sono invece a proravia degli stessi), scendono in picchiata fino a 20-30
metri e sganciano i loro siluri da circa mille metri di distanza. Gli
incrociatori si diradano, compiono rapide manovre evasive ed aprono subito un violento
fuoco contraereo, evitando tutti i siluri (due diretti contro il Bolzano, altrettanti contro il Trento ed uno contro lo Zara). Gli aerei si allontanano, tre di
essi danneggiati dal tiro delle navi italiane.
Alle 14.05 ha inizio
l’avvicinamento alla flotta britannica: alle 15.15 gli incrociatori aprirono il
fuoco, seguiti alle 15.23 anche dalle corazzate, che al contempo, insieme al
gruppo «Pola», accostano a un tempo di 60° a dritta e così si spostano ad
est/nordest insieme agli incrociatori pesanti per supportare gli incrociatori
leggeri, i primi ad essere impegnati in combattimento. Entro le 15.40 i sei
incrociatori pesanti della 2a Squadra si sono portati 6860
metri a proravia della corazzata Cesare,
nave ammiraglia di Campioni.
Incrociatori e corazzate
cessano poi il fuoco rispettivamente alle 15.31 ed alle 15.35, per poi
riprenderlo dalle 15.48 alle 16.04 (corazzate) e dalle 15.56 alle 16.15
(incrociatori). Alle 15.53 l’ammiraglio Campioni ordina al gruppo «Pola» di
serrare le distanze e dispiegarsi sulla linea di rilevamento 040°, per
avvicinare gli incrociatori alle corazzate nemiche abbastanza da poter usare i
cannoni da 203: l’idea è di cercare di “bilanciare” la disparità di calibro tra
i cannoni delle corazzate italiane (320 mm) e quelle britanniche (381 mm)
facendo sparare anche gli incrociatori pesanti sulle corazzate nemiche.
Tuttavia queste ultime rimangono sempre al limite della gittata dei cannoni
degli incrociatori pesanti italiani, dei quali solo il Trento spara tre salve contro di esse.
Nella seconda fase,
la 2a Squadra manovra per avvicinarsi alle unità avversarie, e
tra le 15.50 e le 16 i suoi incrociatori pesanti, su ordine dell’ammiraglio
Paladini, aprono il fuoco da 20.000-25.000 metri contro gli incrociatori
leggeri britannici del viceammiraglio John Tovey (Orion, Neptune, Sydney, Liverpool e Gloucester),
che rispondono al fuoco con granata perforante e tiro raccolto ma poco
efficace.
Alle 15.59, però,
la Cesare, la nave ammiraglia,
viene danneggiata da un proiettile da 381 mm, dovendo ridurre la velocità.
A seguito di questo evento l’ammiraglio Inigo Campioni, comandante superiore in
mare delle forze italiane, decide di rompere il contatto per rientrare alle
basi, ed alle 16.05 dirama l’ordine generale per le squadriglie di cacciatorpediniere
di attaccare con il siluro le navi della Mediterranean Fleet, in modo da
facilitare lo sganciamento delle navi maggiori.
La XII Squadriglia,
guidata dal Lanciere, va all’attacco
alle 16.07, partendo da una posizione un poco più arretrata rispetto alla XI
Squadriglia e passando a poppavia del Pola.
I quattro cacciatorpediniere dirigono immediatamente in modo da ridurre le
distanze con la testa della flotta britannica e stringere il beta del nemico,
ma si ritrovano immersi nelle cortine nebbiogene emesse dalle unità della XI
Squadriglia, che li precedono; l’atmosfera nebbiosa e fumosa che li circonda
complica notevolmente l’attacco dei caccia della XII Squadriglia, che riescono
a vedere i bersagli soltanto a tratti, in modo saltuario (tale atmosfera fosca,
insieme alle forti rollate, rende anche molto difficile la rilevazione dei dati
cinematici).
Alle 16.12 il
caposquadriglia D’Arienzo, sul Lanciere,
stima che il grosso della flotta britannica (probabilmente le navi da lui viste
sono gli incrociatori della 7th Cruiser Division) stia accostando
verso i cacciatorpediniere da una distanza di circa 19.000 metri (con Rb. 300°),
pertanto accosta verso sinistra in modo da riaprire il beta e mantenerlo
favorevole, manovrando per farsi scadere sul beta mentre le distanze calano
fino a 15.000 metri; un aereo solitario, un idrovolante Short Sunderland,
attacca le unità della XII Squadriglia, che sono al contempo fatte oggetto del
tiro di due gruppi di incrociatori nemici.
Alle 16.22, giunto a
14.000 metri dalle corazzate nemiche e con un beta 30° da esse, il
caposquadriglia – che sta per ordinare di lanciare – stima che le navi nemiche
abbiano invertito la rotta, pertanto decide di rinunciare momentaneamente al
lancio ed ordina di accostare a sinistra. Alcuni secondi prima, tuttavia, Ascari e Corazziere hanno lanciato rispettivamente uno e tre siluri, tutti
senza risultato (due di essi, probabilmente, sono i siluri che mancano a poppa
il cacciatorpediniere britannico Nubian).
Subito dopo, la XII Squadriglia inverte la rotta sulla sinistra, assumendo
rotta sudovest; su tale rotta i cacciatorpediniere si trovano per circa
mezz’ora ad essere violentemente cannoneggiati da pezzi di medio calibro (120 e
152 mm) delle corazzate e degli incrociatori bemici, rispondendo a loro volta
vivacemente con i pezzi da 120 mm (in tutto le unità della XII Squadriglia
sparano 347 colpi di tale calibro, entrando ed uscendo dalla cortina fumogena
per una dozzina di volte mentre navigano, sostanzialmente, di conserva con la
flotta britannica). Nella fase finale della battaglia la XII Squadriglia,
uscendo dalla cortina fumogena e divenendo così ben visibile, si ritrova per
qualche tempo sotto il fuoco di tutta la flotta britannica.
Alle 16.45 il Lanciere lancia tre siluri in ritirata contro
due incrociatori che ritiene di aver visto uscire da una cortina fumogena verso
nord, senza colpire. Si tratta in assoluto dell’ultimo lancio di siluri nella
battaglia di Punta Stilo; dopo di esso, le squadre italiana e britannica si
perderanno definitivamente di vista.
Tra le 16.19 e le
16.30 tre squadriglie di cacciatorpediniere britannici (2th, 10th e
14th Flotilla) aprono il fuoco contro quelli italiani da
11.250-12.500 metri, appoggiati tra le 16.39 e le 16.41 dal tiro dei pezzi
secondari da 152 mm delle corazzate Warspite e Malaya. Alle 16.49 la “mischia” tra
cacciatorpediniere, svoltasi a grande distanza, ha termine senza che nessuna
unità sia stata colpita.
Terminata la
battaglia, la flotta italiana si avvia alle proprie basi con direttrice di
marcia 230°, passando a sud della Calabria; ma durante il rientro, tra le 16.20
e le 19.30, diviene oggetto anche dell'attacco da parte degli stessi
bombardieri della Regia Aeronautica (una cinquantina, su circa 126 inviati in
totale ad attaccare le forze britanniche), che le attaccano e bombardano
pesantemente per errore di identificazione e malintesi (tra il comando delle
due Squadre Navali e quello della II Squadra Aerea, cui appartengono i
bombardieri) circa la posizione della flotta italiana e di quella britannica.
Le insensate disposizioni vigenti in materia di comunicazioni tra Marina ed
Aeronautica, che non contemplano la possibilità di comunicazioni dirette tra
navi e aerei, impediranno alle prime di segnalare ai secondi l'errore; le
stesse navi, non potendo distinguere la nazionalità degli aerei attaccanti,
apriranno un intenso fuoco con proprie armi contraeree, rafforzando nei piloti
l'impressione di stare attaccando navi nemiche. Alcune delle navi ed alcuni
degli aerei, rispettivamente, cesseranno il fuoco e rinunceranno all'attacco
riconoscendo all'ultimo momento la vera nazionalità del "nemico", ma
alla fine gli attacchi ai danni delle navi italiane eguaglieranno, in
intensità, quelli condotti contemporaneamente contro la vera Mediterranean Fleet.
Nessuna nave italiana sarà, fortunatamente, colpita, mentre un bombardiere
Savoia Marchetti S. 79 della 257a Squadriglia (XXXVI Stormo da
Bombardamento Terrestre) finirà abbattuto dal "fuoco amico" delle
navi. L’ammiraglio Campioni, per tentare di chiarire equivoco, ordina di
stendere bandiere italiane sul cielo delle torri e di emettere fumo rosso dai
fumaioli poppieri, pratica convenzionale, nelle esercitazioni in tempo di pace,
per segnalare il gruppo “amico”.
L'incidente sarà poi
fonte di aspre polemiche tra Marina e Aeronautica, ma per lo meno servirà a
dare l'impulso ad un migliore sviluppo della collaborazione aeronavale, che
però raggiungerà risultati soddisfacenti solo nel 1942.
Il grosso della
flotta italiana dirige su Augusta, eccetto la III Divisione e la
danneggiata Cesare, che fanno
rotta per Messina, dove giungono alle 21 del 9 luglio. (Apparentemente la XII
Squadriglia non risulterebbe tra le squadriglie inviate ad Augusta, pertanto è
probabile che abbia accompagnato la III Divisione a Messina).
30 luglio-1° agosto 1940
Il Lanciere (caposquadriglia) prende il
mare, insieme al resto della XII Squadriglia Cacciatorpediniere (Carabiniere, Corazziere, Ascari), alla
IX Squadriglia (Vittorio Alfieri, Alfredo Oriani, Vincenzo Gioberti e Giosuè Carducci)
ed alla I Divisione (incrociatori pesanti Zara, Fiume e Gorizia), nonché alla IV Divisione
(incrociatori leggeri Alberico Da
Barbiano ed Alberto Di
Giussano con i cacciatorpediniere Antonio Pigafetta, Lanzerotto
Malocello e Nicolò
Zeno della XV Squadriglia), alla VII Divisione (incrociatori leggeri Eugenio di Savoia, Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi, Muzio Attendolo e Raimondo Montecuccoli con i
cacciatorpediniere Granatiere, Bersagliere, Fuciliere ed Alpino
della XIII Squadriglia) ed agli incrociatori pesanti Pola (nave di bandiera dell’ammiraglio Paladini, comandante
superiore in mare) e Trento, per
fornire protezione a distanza ai convogli diretti in Libia nell’ambito
dell’operazione «Trasporto Veloce Lento».
Tali convogli sono
tre: il n. 1 (lento, partito da Napoli alle 8.30 del 27 a 7,5 nodi di velocità)
è formato dalle navi da carico Maria
Eugenia, Gloria Stella, Mauly, Bainsizza, Barbaro e Col di Lana e dall’incrociatore
ausiliario Città di Bari (qui
usato come trasporto) scortati dalle torpediniere Procione, Orsa, Orione e Pegaso (poi rinforzate dai cacciatorpediniere Maestrale, Grecale, Libeccio e Scirocco); il n. 2 (veloce, partito da
Napoli alle 00.30 del 29 alla velocità di 16 nodi) è composto dai trasporti
truppe Marco Polo, Città di Napoli e Città di Palermo, scortati fino alla
Sicilia dalle torpediniere Circe, Calipso, Calliope e Clio e poi
dalle torpediniere Alcione, Aretusa, Airone ed Ariel;
il n. 3 (partito da Trapani) è composto dai piroscafi Bosforo e Caffaro,
scortati dalle torpediniere Vega, Perseo, Generale Antonino Cascino e Generale Achille Papa.
Sempre a protezione
dei convogli, viene potenziato lo schieramento di sommergibili nel Mediterraneo
orientale ed occidentale, portandolo in tutto a 23 battelli, e vengono disposte
numerose ricognizioni aeree speciali con mezzi della ricognizione marittima e
dell’Armata Aerea (Armera).
A seguito della
notizia dell’uscita in mare sia del grosso della Mediterranean Fleet da
Alessandria, che da gran parte della Forza H da Gibilterra (incrociatore da
battaglia Hood, corazzate Valiant e Resolution, portaerei Argus ed Ark Royal), che si presume essere
dirette verso il Mediterraneo centrale, i convogli n. 1 e 2 vengono dirottati
l’uno a Catania e l’altro a Messina, dove giungono rispettivamente la sera del
28 ed alle 13.30 del 29.
Il 30 luglio i due
convogli, più il n. 3 che salpa solo ora, prendono nuovamente il mare per la
Libia, e salpa anche la forza navale di copertura che comprende il Lanciere. Quest’ultimo, insieme al resto
della XII Squadriglia, viene inviato a rinforzare la scorta del convoglio n. 2
nel primo tratto della navigazione tra Sicilia e Libia.
La I e VII Divisione,
insieme a Pola e Trento ed alla XII Squadriglia
Cacciatorpediniere che ad essi si è unita, si portano in posizione idonea a
proteggere il convoglio n. 2, diretto a Bengasi (gli altri sono diretti a
Tripoli) dalle provenienze da levante. La sera del 31 luglio, quando ormai non
vi sono più pericoli, la formazione degli incrociatori inverte la rotta e
rientra le basi.
Tutti i convogli
raggiungono senza danni le loro destinazioni tra il 31 luglio ed il 1° agosto.
31 agosto-1 settembre 1940
Alle 6 del mattino del
31 agosto la XII Squadriglia (Lanciere,
Ascari, Corazziere e Carabiniere)
salpa da Taranto scortando l’incrociatore pesante Pola per partecipare, insieme al grosso della flotta da battaglia, al
contrasto all’operazione britannica «Hats» (consistente in varie
sotto-operazioni: trasferimento da Gibilterra ad Alessandria, per rinforzare la
Mediterranean Fleet, della corazzata Valiant,
della portaerei Illustrious e
degli incrociatori Calcutta e Coventry; invio di un convoglio da
Alessandria a Malta e di uno da Nauplia a Porto Said; bombardamenti su basi
italiane in Sardegna e nell’Egeo). Supermarina ha infatti saputo che sia la
Mediterranean Fleet (da Alessandria) che la Forza H (da Gibilterra) sono uscite
in mare, e si è accordata con la Regia Aeronautica per attaccare la prima con
le forze navali di superficie ed attacchi aerei e la seconda con aerei e
sommergibili.
(Secondo un’altra
versione, invece, la XII Squadriglia sarebbe salpata da Messina lo stesso
giorno insieme alla III Divisione ed alla XI Squadriglia Cacciatorpediniere,
unendosi con esse al grosso della flotta in un secondo momento).
Complessivamente,
all’alba del 31, prendono il mare da Taranto, Brindisi e Messina 4 corazzate
delle Divisioni V (Cesare, Duilio e Cavour) e IX (Littorio e Vittorio Veneto), 12 incrociatori delle
Divisioni I (Zara, Fiume, Gorizia), III (Trento, Trieste, Bolzano), VII (Eugenio di Savoia, Duca d’Aosta, Montecuccoli ed Attendolo)
e VIII (Duca degli Abruzzi e Garibaldi) più l’incrociatore pesante Pola (nave ammiraglia della 2a
Squadra, ammiraglio Angelo Iachino) e 39 cacciatorpediniere (Freccia, Dardo, Saetta e Strale della VII Squadriglia; Folgore, Fulmine, Lampo e Baleno dell’VIII Squadriglia; Maestrale, Grecale, Libeccioe Scirocco della X Squadriglia; Aviere, Artigliere, Geniere e Camicia Nera della XI
Squadriglia; Lanciere, Carabiniere, Ascari e Corazziere della
XII Squadriglia; Granatiere, Bersagliere, Fuciliere ed Alpino della
XIII Squadriglia; Alvise Da Mosto, Giovanni Da Verrazzano, Antonio Pigafetta e Nicolò Zeno della XV
Squadriglia; Nicoloso Da Recco, Emanuele Pessagno ed Antoniotto Usodimare della XVI
Squadriglia). La III Divisione si riunisce al grosso della squadra
italiana, partita da Brindisi e da Taranto, verso le 13 del 1° settembre.
I e III Divisione
Divisione formano la 2a Squadra (che precede il grosso delle
forze italiane).
Le due Squadre Navali
italiane (la 1a Squadra è composta dalle Divisioni V, VII, VIII
e IX e dalle Squadriglie Cacciatorpediniere VII, VIII, X, XIII, XV e XVI; la 2a Squadra
dal Pola, dalle Divisioni I e
III e dalle Squadriglie Cacciatorpediniere IX, XI e XII), riunite sotto il
comando dell’ammiraglio di squadra Inigo Campioni, dirigono per lo Ionio
orientale con rotta 150°. Le forze navali sono però uscite in mare troppo
tardi, hanno l’ordine di evitare uno scontro notturno ed hanno una velocità
troppo bassa (20 nodi), ed hanno l’ordine di cambiare rotta e raggiungere il
centro del Golfo di Taranto se non riusciranno ad entrare in contatto con il
grosso nemico entro il tramonto. Tutto ciò impedisce alle forze italiane di
intercettare quelle britanniche; alle 16 Supermarina ordina un cambiamento di rotta,
che impedisce alla 2a Squadra, che si trova in posizione più
avanzata della 1a, di proseguire verso le forze nemiche.
L’ammiraglio di squadra Angelo Iachino, comandante la 2a Squadra,
ha chiesto alle 16.20 libertà di manovra per dirigere contro le forze
britanniche, segnalate da ricognitori alle 15.35 a 120 miglia di
distanza dalla 2a Squadra. Campioni gli ha dato l’autorizzazione
alle 16.31, ma revoca l’autorizzazione alle 16.50 (comunque la 2a Squadra
non sarebbe egualmente riuscita a raggiungere le unità avversarie), ed alle
17.27 ordina alla 2a Squadra di invertire la rotta ed assumere
rotta 335° e velocità 20 nodi, come la 1a Squadra.
Alle 22.30 del 31 la
formazione italiana, che procede a 20 nodi, riceve l’ordine di portarsi per le
sei dell’indomani, con rotta 150° e velocità 20 nodi, in un punto 36 miglia ad
ovest di Santa Maria di Leuca, onde impegnare le forze nemiche lungo la rotta
155°, a nord della congiungente Malta-Zante; dunque deve cambiare la propria
rotta per raggiungerle (o non potrebbe prendere contatto con esse), dirigendo
più verso sudovest (verso Malta) e superando la congiungente Malta-Zante.
Il mattino del 1°
settembre, tuttavia, il vento, già in aumento dalla sera precedente, dà origine
ad una violenta burrasca da nordovest forza 9; le forze italiane si allontanano
nuovamente dal Golfo di Taranto per cercare di nuovo quelle avversarie lungo la
rotta 155° ma con l’ordine di non oltrepassare la congiungente Malta-Zante, il
che tuttavia le tiene lontane dalle rotte possibili da Alessandria a Malta.
Verso le 13 la burrasca costringe la flotta italiana a tornare alle basi,
perché i cacciatorpediniere non sono in grado di tenere il mare compatibilmente
con le necessità operative (non potendo restare in formazione né usare
l’armamento).
Poco dopo la
mezzanotte del 1° settembre le unità italiane entrano nelle rispettive basi;
tutti i cacciatorpediniere sono stati danneggiati (specie alle sovrastrutture)
dal mare mosso, alcuni hanno perso degli uomini in mare.
Le navi verranno
tenute pronte a muovere sino al pomeriggio del 3 settembre, ma non si
concretizzerà alcuna nuova occasione.
5 ottobre 1940
Il Lanciere (caposquadriglia) ed il resto
della XII Squadriglia Cacciatorpediniere (Ascari, Corazziere e Carabiniere) partono da Taranto in serata
scortando le due veloci e moderne motonavi Calitea e Sebastiano
Venier, dirette a Lero e cariche di rifornimenti destinati alle isole del
Dodecaneso. L’invio di questo convoglio è denominato Operazione «C.V.».
6 ottobre 1940
In mattinata prendono
il mare due gruppi di incrociatori pesanti incaricati di fornire protezione al
convoglio: da Messina parte la III Divisione (incrociatori pesanti Trento, Trieste e Bolzano)
con la XI Squadriglia Cacciatorpediniere (Aviere, Artigliere, Geniere e Camicia
Nera), mentre da Taranto salpano la I Divisione (incrociatori pesanti Zara, Fiume e Gorizia),
l’incrociatore pesante Pola (nave
ammiraglia della 2a Squadra Navale) e la IX Squadriglia
Cacciatorpediniere (Alfieri, Oriani, Gioberti e Carducci).
L’operazione viene
però interrotta il mattino stesso del 6 ottobre, dopo che la ricognizione aerea
dell’Egeo ha segnalato due corazzate, due incrociatori e sette
cacciatorpediniere britannici sulla rotta Alessandria-Caso, ossia dove
dovrebbero passare le navi dirette nel Dodecaneso. Tutte le unità italiane
vengono fatte rientrare alle basi; «C.V.» non si farà più.
11-12 novembre 1940
Il Lanciere si trova ormeggiato in Mar
Piccolo a Taranto (in banchina, insieme agli incrociatori pesanti Pola e Trento, agli incrociatori leggeri Duca degli Abruzzi e Garibaldi,
ai cacciatorpediniere Freccia, Strale, Dardo, Saetta, Maestrale, Libeccio, Grecale, Scirocco, Geniere, Camicia Nera, Carabiniere, Corazziere, Ascari, Da Recco, Pessagno ed Usodimare,
alle torpediniere Pallade, Polluce, Partenope e Pleiadi, alla
portaidrovolanti Giuseppe Miraglia,
al posamine Vieste ed al
rimorchiatore di salvataggio Teseo),
quando la base viene attaccata da aerosiluranti britannici che affondano la
corazzata Conte di Cavour e
pongono fuori uso la Littorio e
la Duilio.
Mentre gli
aerosiluranti attaccano le corazzate, cinque bombardieri attaccano a più
riprese le unità presenti in Mar Piccolo, a scopo diversivo, sganciando
complessivamente una sessantina di bombe.
Alle 23.15 dell’11 le
navi in Mar Piccolo aprono il fuoco contro alcuni aerei che sganciano bombe da
una quota valutata in 500 metri; gli ordigni inquadrano i posti d’ormeggio dei
cacciatorpediniere, ma solo uno va a segno, senza esplodere (sul Libeccio, che riporta solo lievi danni).
Il Lanciere viene anch’esso
attaccato, ma non subisce danni.
Tra le 14.30 e le
16.45 del 12 novembre la XII Squadriglia Cacciatorpediniere (di cui è sempre
caposquadriglia il Lanciere), insieme
alla III Divisione, lascia Taranto, valutata ormai insicura, per trasferirsi a
Messina.
16 novembre 1940
La XII Squadriglia
Cacciatorpediniere (Lanciere, Carabiniere, Ascari, Corazziere)
salpa da Messina alle 10.30, insieme alla III Divisione (Trento, Trieste, Bolzano), per partecipare
all’intercettazione di un gruppo navale britannico diretto verso est. Una
formazione britannica (la Forza H dell’ammiraglio James Somerville, con le
portaerei Argus e Ark Royal, l’incrociatore da
battaglia Renown, gli
incrociatori leggeri Sheffield, Despatch e Newcastle ed otto cacciatorpediniere),
salpata da Gibilterra e con rotta verso levante, è stata infatti avvistata nel
Mediterraneo occidentale: è in corso l’operazione britannica «White»,
consistente nel lancio, da parte della portaerei Argus della Forza H, di 14 aerei destinati a rinforzare le
modeste forze aeree di base a Malta, nonché un’azione di bombardamento di
Alghero (con velivoli dell’Ark Royal)
ed il trasporto a Malta di uomini e materiali della RAF sul Newcastle.
Contemporaneamente
alla partenza da Messina di III Divisione e XII Squadriglia, da Taranto
prendono il mare le corazzate Vittorio
Veneto (nave di bandiera del comandante della 1a Squadra,
ammiraglio Inigo Campioni, comandante superiore in mare) e Cesare, il Pola (nave di bandiera dell’ammiraglio Angelo Iachino,
comandante la 2a Squadra) e la I Divisione con Fiume e Gorizia (da
Napoli) nonché le Squadriglie Cacciatorpediniere IX (Alfieri, Oriani, Gioberti, Carducci), XIII (Bersagliere,Granatiere, Fuciliere, Alpino);
da Palermo salpa la XIV Squadriglia Cacciatorpediniere (Vivaldi, Da Noli, Tarigo, Malocello).
La III Divisione e la
XII e XIV Squadriglia Cacciatorpediniere si uniscono al grosso della squadra,
partito da Napoli, nel pomeriggio del 16.
La forza così riunita
sotto il comando dell’ammiraglio Campioni assume quindi rotta verso est verso
l’8° meridiano, a sudovest della Sardegna, procedendo a 18 nodi, ridotti a 14
nella notte del 17 per agevolare la navigazione dei cacciatorpediniere, resa
difficoltosa da un vento da sudovest.
Per tutta la giornata
del 16 non si ricevono informazioni sulle forze nemiche.
17 novembre 1940
Alle 10.15 le forze
britanniche vengono avvistate da ricognitori, che però non precisano né la
rotta né la velocità. Campioni dirige verso sud, in direzione di Bona, sperando
di riuscire ad intercettare le unità britanniche nel pomeriggio, se esse
proseguono verso est.
Raggiunto alle 16.30
un punto prestabilito 45 miglia a nord-nord-est di Ustica, la formazione
italiana dirige poi verso ovest ed alle 17.30 arriva 35 miglia a sudovest di
Sant’Antioco. Dopo aver navigato per un po’ in direzione dell’Algeria, nella
totale mancanza su dove sia il nemico e dove esso sia diretto, la squadra
italiana riceve l’ordine rientrare. Campioni rileverà che le condizioni del
mare – onde molto lunghe da sudovest – hanno causato forte rollio e beccheggio
in tutte le sue navi, corazzate comprese, tanto da impedire l’uso dei cannoni
se dirette verso sud. Durante il ritorno le navi italiane eseguono
esercitazioni di tiro contro la scogliera La Botte, a sud di Ponza.
Sebbene non vi sia stato
contatto tra le opposte formazioni navali, l’uscita in mare delle forze
italiane ha indirettamente causato il fallimento dell’operazione «White»:
l’avvistamento della squadra italiana da parte dei ricognitori di Malta,
infatti, ha indotto Somerville a far decollare gli aerei dall’Argus in anticipo, tenendo la
portaerei quanto più ad ovest possibile, cioè più lontana da Malta di quanto
inizialmente pianificato, prolungando di molto la distanza sulla quale gli
aerei dovranno volare. Il risultato sarà che su quattordici aerei decollati
dall’Argus (dodici Hawker
Hurricane e due Blackburn Skua) solo cinque (quattro Hurricane ed uno Skua)
giungeranno a Malta: gli altri nove esauriranno il carburante e precipiteranno
in mare a seguito di errori di navigazione e stime sbagliate sugli effetti del
vento, tranne uno che dovrà effettuare un atterraggio d’emergenza presso
Siracusa, venendo catturato.
18 novembre 1940
Le navi italiane
rientrano nelle rispettive basi.
26 novembre 1940
Alle 12.30 il Lanciere (caposquadriglia, capitano di
vascello Carmine D’Arienzo) lascia Messina insieme al resto della XII
Squadriglia Cacciatorpediniere (Corazziere,
Ascari e Carabiniere, quest’ultimo temporaneamente sostituito dal Libeccio) ed alla III Divisione (Bolzano, Trento e Trieste;
al comando dell’ammiraglio di divisione Luigi Sansonetti, imbarcato sul Trieste), mentre da Napoli escono le
corazzate Vittorio Veneto e Giulio Cesare, l’incrociatore
pesante Pola, la I Divisione Navale
(Fiume e Gorizia) e le Squadriglie Cacciatorpediniere VII (Freccia, Saetta e Dardo), IX (Alfieri, Oriani, Gioberti, Carducci) e XIII (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino).
La formazione
italiana si riunisce nel punto 39°20’ N e 14°20’ E, 70 miglia a sud di Capri,
alle 18.00 del 26 novembre, assumendo poi rotta 260° e velocità 16 nodi, per
intercettare un convoglio britannico diretto a Malta nell’ambito
dell’operazione "Collar". Tale convoglio, entrato in Mediterraneo il
24 novembre, è composto dai mercantili New
Zealand Star, Clan Forbes e Clan Fraser, con la scorta diretta
dell’incrociatore leggero Despatch,
l’incrociatore antiaerei Coventry, i
cacciatorpediniere Duncan, Wishart ed Hotspur e le corvette Hyacinth,
Peony, Salvia e Gloxinia. La
Forza F di protezione ravvicinata (ammiraglio Lancelot Holland) comprende
l’incrociatore pesante Berwick e gli
incrociatori leggeri Manchester, Newcastle, Sheffield e Southampton,
mentre come forza di copertura a distanza è uscita da Gibilterra la Forza H
(ammiraglio James Somerville) con la corazzata Ramillies, l’incrociatore da battaglia Renown, la portaerei Ark
Royal e undici cacciatorpediniere (Kelvin,
Jaguar, Encounter, Faulknor, Firedrake, Fury, Forester, Gallant, Greyhound, Griffin e Hereward).
27 novembre 1940
Alle otto del mattino
la III Divisione e la XII Squadriglia si trovano a cinque miglia per 180°
dal Pola, nave ammiraglia della
2a Squadra (che è formata dalla I e dalla III Divisione; il
tutto sotto il comando dell’ammiraglio Angelo Iachino), con rotta 250° e
velocità 16 nodi, mentre la I Divisone è insieme al Pola e la 1a Squadra (le due corazzate ed i
cacciatorpediniere della VII e della XIII Squadriglia; ammiraglio Inigo Campioni)
è più a poppavia.
La formazione
italiana ha rotta 260°, verso la Sardegna, ed il mattino del 27 incrocia nove
miglia a sud di Capo Spartivento Sardo, per intercettare uno dei due gruppi
britannici in mare (uno partito da Alessandria ed uno da Gibilterra) prima che
possano riunirsi: quello proveniente da Alessandria viene avvistato alle 9.45
da un idroricognitore lanciato dal Bolzano
alle 7.55, che comunica che una corazzata, due incrociatori e quattro
cacciatorpediniere si trovano a 26 miglia per 20° da Cap de Fer, con rotta 90°
e velocità 16 nodi. Il messaggio del ricognitore viene ricevuto alle 10.05
dall’ammiraglio Iachino e dieci minuti dopo dall’ammiraglio Campioni. Poco dopo
il velivolo aggiunge che si mantiene in contatto visivo con le navi nemiche;
continuerà a tenere il contatto fino alle 10.40.
Sebbene la posizione
indicata sia piuttosto lontana dal vero (troppo ad ovest), questo avvistamento
è il primo concreto segnale, per il comandante superiore in mare, della
presenza delle forze nemiche.
A questo punto, la
formazione italiana dirige per sudest, in modo da intercettare il gruppo nemico
e tagliargli la rotta.
Alle 11.01 la III
Divisione riceve ordine da Iachino di portarsi a poppavia (a tre miglia per
270°) del resto della 2a Squadra, ed alle 11.28 l’intera
formazione assume rotta 135°, per intercettare la formazione britannica che
(dalle segnalazioni dei ricognitori) risulta avere posizione differente da
quella prevista.
Durante l’inversione
di rotta conseguente all’ordine delle 11.01, tuttavia, si verifica una certa
confusione causata dall’errata interpretazione di un segnale da parte del Trento (che per invertire la rotta
vira di contromarcia, mentre gli altri due incrociatori virano ad un tempo),
così che il Trieste, nave
ammiraglia, finisce al centro della formazione, invece che in testa, e la III
Divisione si ritrova arretrata rispetto al resto della 2a Squadra:
ultima della formazione, 8 km a poppavia della I Divisione.
Alle 11.35 la 2a Squadra
riceve dall’ammiraglio Campioni di portarsi su rilevamento 195° rispetto alla
sua nave ammiraglia (la Vittorio
Veneto), in modo che la formazione divenga perpendicolare alla probabile
direzione d’avvicinamento della squadra britannica.
A mezzogiorno il Lanciere viene colto da un’avaria di
macchina, restando fermo per un breve lasso di tempo; in conseguenza di ciò, la
XII Squadriglia rimane un po’ arretrata.
Alle 12.07, in
seguito alla constatazione che la formazione britannica appare superiore a
quella italiana (i cui ordini sono di impegnarsi solo se in condizioni di
sicura superiorità), essendosi i due gruppi riuniti, l’ammiraglio Campioni
ordina di assumere rotta 90° per rientrare alle basi senza ingaggiare il
combattimento, e tre minuti dopo ordina alla 2a Squadra di
aumentare la velocità per riunirsi alle corazzate, pertanto la 2a Squadra
accelera a 25 nodi, poi a 28.
Alle 12.15, tuttavia,
le unità della 2a Squadra avvistano improvvisamente quattro
cacciatorpediniere britannici, diretti verso gli incrociatori italiani: le
siluranti nemiche spariscono subito, avendo apparentemente invertito la rotta,
ma poco dopo vengono avvistati altri cacciatorpediniere, incrociatori,
corazzate: è la squadra britannica, che comprende le corazzate Renown e Ramillies, la portaerei Ark
Royal e gli incrociatori Berwick (pesante), Sheffield, Southampton, Newcastle e Manchester (leggeri), oltre a
numerosi cacciatorpediniere. In questo momento la III Divisione si trova in
linea di fila 8 km a poppa della I Divisione, con rotta 90° e velocità 25 nodi,
in aumento (le corazzate sono invece a proravia della I Divisione). A seguito
dell’avvistamento delle forze nemiche, l’ammiraglio Campioni ordina di
incrementare ancora la velocità. Inizia così la battaglia di Capo Teulada.
Alle 12.20, prima che l’ammiraglio Campioni possa ordinare di non impegnarsi,
gli incrociatori della I Divisione aprono il fuoco, seguiti in successione
dal Pola e da quelli della
III Divisione: questi ultimi sono i più vicini alle navi britanniche, ad una
distanza di 21.500 metri (Pola e
I Divisione sono invece a 22.000 metri di distanza). Subito gli incrociatori
britannici (uno, il Manchester,
viene mancato dalla prima salva italiana, sparata dal Trieste o dal Trento,
scartata lateralmente di circa 90 metri) rispondono al fuoco; Berwick, Manchester, Sheffield e Newcastle concentrano il loro tiro
contro le unità della III Divisione. Gli incrociatori italiani della 2a Squadra,
in linea di fila, sono in posizione favorevole (da “taglio del T”) per sparare
con tutte le artiglierie su quelli britannici, che si trovano invece in linea
di fronte e possono usare solo le torri prodiere, ma per via dell’ordine di
Campioni di disimpegnarsi devono accostare verso nordest. Durante lo scontro,
le navi italiane continuano a ritirarsi verso nordest, sparando quasi
esclusivamente con le torri poppiere, mentre quelle britanniche le inseguono
tirando quasi solamente con le torri prodiere (la distanza media del
combattimento è 22.500 metri, che per la III Divisione – segnatamente il Trento – scende ad un minimo di
18.000 metri). All’inizio dello scontro l’ammiraglio Iachino ordina alla III
Divisione (che è rimasta indietro ed aveva aumentato la propria velocità in
ritardo rispetto al resto della Squadra, ed i cui apparati motori non hanno
ancora raggiunto la massima andatura) di portare la velocità a 30 nodi e di
allontanarsi dal nemico prima possibile, vedendo che essa sembra avere qualche
difficoltà ad allontanarsi dalle unità britanniche, mentre salve da 152 degli
incrociatori leggeri e qualche rara salva da 381 delle corazzate cade nella
loro direzione. Il tiro degli incrociatori italiani è intenso dall’apertura del
fuoco fino alle 12.42, poi diventa intermittente tra le 12.42 e le 12.49 a
causa di ripetute accostate necessarie a disturbare l’attacco di aerosiluranti
britannici frattanto apparsi, poi nuovamente intenso dalle 12.49 alle 12.53 e
poi, a causa dell’aumento delle distanze e del fumo (causato soprattutto dalla
combustione forzata delle caldaie, in particolare sulle navi della III
Divisione), il ritmo di tiro deve di nuovo calare, fino a cessare alle 13.15,
quando la distanza è diventata di 26.000 metri.
Due salve da 203 mm
degli incrociatori italiani colpiscono, alle 12.22 ed alle 12.35,
l’incrociatore pesante britannico Berwick:
la prima uccide sette uomini, ne ferisce nove e mette fuori uso la terza torre
da 203 dell’unità britannica, la seconda danneggia il quadrato ufficiali e
locali adiacenti, ma il Berwick continua
a fare fuoco.
Proprio mentre il Berwick viene colpito, tuttavia, anche
da parte italiana si registrano gli unici colpi a segno della giornata: a farne
le spese è proprio il Lanciere.
Durante lo scontro tra gli incrociatori, infatti, la XII Squadriglia – scadendo
sulla dritta a causa delle avarie che avevano in precedenza afflitto il Lanciere – si viene a trovare ad est
della III Divisione, e dunque in posizione più prossima al nemico rispetto a
quest’ultima; diverse salve britanniche da 152 mm cadono nei suoi pressi, ed
intorno alle 12.33 una granata da 152 (forse sparata dall’incrociatore leggero Southampton) colpisce il Lanciere e scoppia nel locale della
motrice poppiera (quella di sinistra), provocandone l’immediato arresto. Alle
12.35 il Lanciere comunica all’ammiraglio
Iachino «sono colpito», tuttavia riesce a proseguire a 23 nodi, propulso dalla
motrice prodiera (quella di dritta), ordinando ad Ascari e Carabiniere di
coprirlo con cortine fumogene.
Alle 12.40, tuttavia,
mentre il Lanciere si sta spostando
verso ovest passando a poppavia della III Divisione, un secondo proiettile
nemico lo colpisce a centro nave, sul lato sinistro, passandolo da parte a
parte, attraversando un deposito di nafta ed uscendo sul lato opposto senza
scoppiare. Subito dopo, un terzo colpo centra il Lanciere sul lato di dritta, all’altezza della linea di
galleggiamento, anch’esso senza esplodere e senza causare vie d’acqua. Sebbene
gravemente danneggiato, il Lanciere
mantiene buone condizioni di galleggiabilità e riesce a sottrarsi al tiro
nemico grazie alle cortine nebbiogene; grazie ad esse, infatti, l’incrociatore Southampton, che l’aveva tenuto sotto il
suo fuoco per undici minuti, lo perde di vista e cambia bersaglio. (Questo
secondo il volume dell’USMM relativo alle azioni navali nel Mediterraneo dal 10
giugno 1940 al 31 marzo 1941; secondo la maggior parte delle fonti, tuttavia,
sarebbe stato il Manchester, e non il
Southampton, a colpire il Lanciere, tutte e tre le volte).
A causa dell’esaurimento
dell’acqua per alimentare le caldaie (causato dalla rottura delle tubolature
dell’acqua, provocata dal secondo colpo a segno), tuttavia, il Lanciere è costretto a spegnerle ed a
fermare le macchine, restando immobilizzato intorno alle ore 13.
Fino alle 12.40 le
navi britanniche (soprattutto gli incrociatori) sparano intensamente contro la
III Divisione, poi spostano il tiro sulla I Divisione, che è divenuta più
vicina (ma il loro tiro è disturbato dal fumo prodotto dalle navi italiane); in
questa fase la III Divisione, mentre la velocità aumenta progressivamente fino
a 34 nodi, aumentando le distanze con le navi nemiche, di quando in quando
accosta in modo da sparare con tutte le artiglierie invece che con le sole
torri poppiere. Le corazzate britanniche intervengono solo sporadicamente,
trovandosi più indietro rispetto agli incrociatori, senza comunque colpire
nulla.
Nel frattempo anche
la 1a Squadra si è riavvicinata alla 2a Squadra, ed
alle 13.00 la Vittorio Veneto apre
il fuoco da poco meno di 29.000 metri, ma le unità britanniche subito accostano
a dritta e la distanza aumenta a 31.000 metri, costringendo la corazzata a
cessare il fuoco già alle 13.10.
Alle 13.15, dopo la
rottura del contatto balistico tra le due flotte, il Lanciere comunica di essere rimasto immobilizzato per mancanza
d’acqua; alle 13.16, pertanto, l’ammiraglio Iachino ordina alla III Divisione
di dare assistenza al cacciatorpediniere colpito.
L’ammiraglio
Sansonetti, perplesso su cosa potrebbe fare tornando indietro con l’intera
divisione, alle 13.26 chiede conferma a Iachino sul fatto di dover tornare
indietro per assistere il Lanciere
(«Domando se debbo tornare indietro per Lanciere»);
Iachino, ritenendo che per prenderlo a rimorchio e difenderlo da eventuali
ritorni delle navi britanniche sia necesssario l’intervento di tutta la III
Divisione, risponde subito «Tornate indietro per assistere Lanciere. Non ripeto non impegnatevi con unità similari aut
superiori et caso necessità abbandonate Lanciere».
(Un simile scambio di comunicazioni – tra Iachino e l’ammiraglio Carlo
Cattaneo, comandante la I Divisione – si avrà, quattro mesi più tardi, nella
tragica battaglia di Capo Matapan: questa volta con esito molto più funesto).
Nel mentre, il Lanciere subisce due attacchi da parte
di un bombardiere britannico, e viene costantemente tenuto d’occhio da un
idroricognitore Short Sunderland: i britannici si sono accorti della sua
critica situazione, ed vogliono approfittarne. Per non restare immobile
bersaglio degli attacchi aerei avversari, il comandante D’Arienzo ordina di
alimentare le caldaie con acqua di mare, praticando allo scopo un apposito foro
nello scafo; grazie a questo provvedimento d’emergenza, il Lanciere riesce a rimettere lentamente in moto la motrice prodiera (circa
un quarto d’ora dopo essere rimasto immobilizzato; per altra fonte, dopo cira
un’ora) ed a manovrare sotto gli attacchi aerei.
Dopo lo scambio di
messaggi tra Iachino e Sansonetti, la III Divisione ritorna nel punto in cui si
trova l’immobilizzato Lanciere,
che alle 14.40 – per ordine di Sansonetti – viene preso a rimorchio dal
gemello Ascari.
Alle 15.35, mentre i
due cacciatorpediniere iniziano a mettersi in moto, la III Divisione viene
violentemente attaccata da sette bombardieri britannici Blackburn Skua
(appartenenti all’800th Squadron della Fleet Air Arm, e guidati
dal tenente di vascello R. M. Smeeton), decollati alle 15 dalla portaerei Ark Royal con l’intento di attaccare «un
incrociatore che è stato segnalato, immobilizzato e danneggiato, circa 30
miglia a nord del Renown» (la nave in
questione è proprio il Lanciere, che
i britannici hanno scambiato per un incrociatore).
Gli Skua, senza
attaccare i due cacciatorpediniere intenti nella delicata manovra di rimorchio
(che non sembrano avere avvistato), bombardano in picchiata (con bombe da 227
kg) gli incrociatori di Sansonetti, che reagiscono con pronte manovre e con
intenso tiro contraereo (pur senza colpire alcun velivolo). L’Ascari molla il rimorchio per avere
maggior libertà di manovra sotto l’attacco, ma per fortuna i bombardieri si
concentrano sugli incrociatori della III Divisione anziché sul Lanciere, bersaglio lentissimo e molto
più facile. Nessuna nave viene colpita, sebbene cinque delle bombe da 500
libbre cadano molto vicine al Bolzano ed
al Trento.
Concluso l’attacco,
l’Ascari torna a prendere a rimorchio
il Lanciere e dirige verso Cagliari a
lento moto (velocità di 6-7 nodi), scortato a distanza dalla III Divisione sino
al tramonto. Lanciere ed Ascari, protetti fino alle 18 da una
scorta aerea di caccia FIAT CR. 42, raggiungono Cagliari senza ulteriori
inconvenienti.
Nella battaglia di
Capo Teulada, per effetto dei colpi giunti a bordo, sono morti due uomini del Lanciere: i marinai fuochisti Giovanni
Fiorenza, nato a Napoli il 2 gennaio 1919, ed Enzo Simonelli, nato a La Spezia
il 19 aprile 1919.
Alla memoria dei due
fuochisti verrà conferita la Medaglia di Bronzo al Valor Militare, con
motivazione: «In servizio nel locale
motrici di poppa di cacciatorpediniere, sotto intenso fuoco di preponderanti
forze navali nemiche, serbava contegno calmo e sereno e si prodigava
nell’adempimento del dovere fino a che una scheggia lo colpiva a morte, al suo
posto di combattimento. Nobile esempio di ardimento e di elevate virtù militari.
Mediterraneo (Capo Teulada), 27 novembre 1940».
Dopo essere rimasto a
Cagliari per qualche giorno, il Lanciere
verrà mandato a La Spezia (o Genova), dove verrà sottoposto a lavori di
riparazione per tornare pienamente operativo.
Aprile 1941
Ultimate le
riparazioni, il Lanciere torna in
servizio.
Il volume USMM "La
difesa del traffico con l’Albania, la Grecia e l’Egeo" menziona anche il Lanciere tra le navi che avrebbero
partecipato, nell’inverno 1940-1941, ad azioni di bombardamento navale contro
le posizioni greche sulla costa albanese, in appoggio alle truppe di terra
italiane impegnate in duri combattimenti contro le forze elleniche. Sembra però
che questo sia un errore, dal momento che – secondo il medesimo libro –
l’ultima azione di questo tipo avvenne il 4 marzo 1941, mentre il Lanciere rientrò in servizio solo nel
mese successivo. Risulta, in effetti, che la XII Squadriglia Cacciatorpediniere
abbia eseguito alcune azioni di bombardamento navale in Albania nel gennaio
1941; ma senza il Lanciere, che era
ai lavori (e che fu sostituito, in un’occasione, dal gemello Alpino “prestato” dalla XIII
Squadriglia).
24 maggio 1941
Alle 16 del 24 maggio
Lanciere, Ascari e Corazziere, che
formano la XII Squadriglia, salpano da Messina insieme alla III Divisione (Bolzano e Trieste), di cui ha da poco assunto il comando l’ammiraglio di
divisione Bruno Brivonesi (imbarcato sul Trieste), per fornire scorta a distanza ad un convoglio per la
Libia composto dai trasporti truppe Conte
Rosso (capoconvoglio, contrammiraglio Francesco Canzoneri), Esperia, Victoria e Marco
Polo scortati dal cacciatorpediniere Freccia (caposcorta, capitano di fregata Giorgio Ghè) e dalle
torpediniere Procione, Orsa, Orione e Pegaso,
salpato da Napoli alle 4.40 e che ha appena superato lo stretto di Messina. III
Divisione e XII Squadriglia prendono posizione circa 3 km a poppavia del
convoglio.
Subito dopo
l’attraversamento dello stretto, la scorta diretta viene temporaneamente
rinforzata dalle torpediniere Calliope,
Perseo e Calatafimi, che lasciano il convoglio alle 19.10; c’è anche una
scorta aerea con velivoli da caccia, bombardieri ed idrovolanti (83° Gruppo
della Regia Aeronautica) costituiscono invece la scorta aerea, presente dalle
13.56 fino al tramonto (gli ultimi aerei, due idrovolanti CANT Z. 501, se ne
vanno alle 20.15 per tornare alle basi di Augusta e Taranto).
Nel frattempo –
subito dopo aver attraversato lo stretto (il che avviene tra le 15.15 e le
17.30) – il convoglio assume la formazione in colonna doppia; Esperia e Conte Rosso sono i capi colonna, rispettivamente a dritta ed a
sinistra (l’Esperia è seguito
dalla Victoria, il Conte Rosso dal Marco Polo). L’Orsa precede il convoglio e lancia bombe di profondità a scopo
intimidatorio dopo aver superato Reggio Calabria; alle 16.34 e 16.53 anche
il Freccia lancia due
bombe. Poi Procione ed Orsa si dispongono in colonna sul
lato di dritta del convoglio (Orsa più
avanti, all’altezza dell’Esperia; Procione più indietro, a poppavia
della Victoria), Freccia e Pegaso sul lato sinistro (il Freccia in posizione più avanzata, all’altezza del Conte Rosso, e la Pegaso più indietro, appena a
poppavia del Marco Polo). Trieste e Bolzano seguono incolonnati a tre chilometri, preceduti
da Ascari (a dritta), Lanciere (a sinistra) e Corazziere (al centro) che
procedono in linea di fronte. Il convoglio procede quindi a zig zag su quattro
colonne (due di trasporti e due di siluranti, con due navi in ogni colonna),
con rotta 171° e velocità 18 nodi.
Il mare è calmo,
forza 1-2 senza cresta d’onda, non un alito di vento; il tramonto,
particolarmente luminoso, rende le sagome delle navi molto visibili da ovest.
Alle 20.30 il
convoglio viene avvistato nel punto 36°48’ N e 15°42’ E (una decina di miglia
ad est di Siracusa e a 10 miglia per 83° da Capo Murro di Porco) dal
sommergibile britannico Upholder (tenente
di vascello Malcolm David Wanklyn). Wankyn stima che il convoglio abbia una
rotta di 215°, e si avvicina per attaccare. Proprio alle 20.40, le navi
smettono di zigzagare, per fare il punto.
Alle 20.43, prima di
scendere a 45 metri e ripiegare verso est, l’Upholder lancia due siluri contro il Conte Rosso, la nave più grande del convoglio. Dopo una breve
corsa, i siluri mancano il Freccia e
colpiscono il bersaglio prescelto.
Subito dopo il
siluramento, il Freccia lancia
un razzo Very verde, segnale convenzionale d’allarme; i tre trasporti illesi
eseguono la prescritta manovra di disimpegno, Esperia e Victoria accostando
di 90° a dritta, Marco Polo a
sinistra.
Il Conte Rosso s’inabissa in poco più
di dieci minuti, una decina di miglia ad est di Capo Murro di Porco.
Al momento
dell’attacco, la III Divisione si trova 3000 metri a poppa del convoglio (Trieste e Bolzano in linea di fila, con l’ammiraglia in testa), mentre
la XII Squadriglia Cacciatorpediniere, che sta assumendo in quel mentre la
posizione di scorta avanzata notturna, si trova in posizione avanzata a
proravia dei due incrociatori, in linea di fronte, a circa 1500 metri di
distanza. Avvenuto il siluramento, Lanciere
e Corazziere accostano subito a
sinistra e si dirigono verso il punto dal quale sono stati lanciati i siluri,
gettandovi bombe di profondità.
Alle 20.55
l’ammiraglio Brivonesi ordina a Lanciere e Corazziere di dare la caccia al
sommergibile e poi di soccorrere i naufraghi.
Intanto, il Freccia ha iniziato per primo il
contrattacco con bombe di profondità, distaccando Procione e Pegaso per il
recupero dei superstiti del Conte Rosso.
Gli altri tre trasporti truppe proseguono per Tripoli con la scorta dell’Orsa e la protezione a distanza di Trieste, Bolzano ed Ascari; alle
21 anche il Freccia si ricongiunge al
convoglio, lasciando sul posto Lanciere,
Corazziere, Procione e Pegaso. Quale
ufficiale più alto in grado rimasto sul posto, assume la direzione dei soccorsi
il comandante del Corazziere. Più
tardi giungeranno sul posto anche le torpediniere Cigno, Pallade e Clio, inviate da Messina, e le navi
ospedale Arno e Sicilia.
L’Upholder, sceso a 45 metri, viene
bombardato con 37 cariche di profondità dalle 20.47 alle 21.07 da Freccia, Lanciere e Corazziere,
ma non subisce danni, sebbene le ultime quattro bombe, lanciate alle 21.07,
esplodano molto vicine.
Il buio della notte
rende particolarmente difficile il recupero dei naufraghi; dei 2729 uomini
imbarcati sul Conte Rosso, 1297 affondano
con la nave o muoiono in mare dopo l’affondamento.
Lanciere e Corazziere
recuperano complessivamente circa 540 naufraghi, mentre Procione e Pegaso ne
salvano rispettivamente 270 e 445.
L’operato delle
siluranti impegnate nei soccorsi viene giudicato encomiabile dal capoconvoglio,
contrammiraglio Francesco Canzonieri, naufrago anch’egli del Conte Rosso (e salvato dalla Procione).
25 maggio 1941
Il convoglio entra a
Tripoli alle 17.30; le navi di Brivonesi rientrano a Messina alle 20 (ma ciò
sembra poco compatibile con la scorta del 27-28 maggio, vedi sotto).
27 maggio 1941
Sbarcate le truppe, Esperia, Victoria e Marco Polo
ripartono da Tripoli per Napoli a mezzogiorno, scortati da Freccia, Orsa, Procione e Pegaso, seguendo ancora la rotta di levante che passa per lo
stretto di Messina.
Nella parte centrale
della navigazione, il convoglio fruisce nuovamente della scorta a distanza di
III Divisione e XII Squadriglia; per un tratto il Lanciere viene distaccato per andare a rafforzare la scorta diretta
del convoglio.
29 maggio 1941
Il convoglio giunge a
Napoli all’1.30.
8 giugno 1941
Lanciere, Ascari e Corazziere, insieme a Trieste e Bolzano (III Divisione), salpano da Messina alle 15 per fornire
scorta a distanza al convoglio «Esperia» (trasporti truppe Esperia, Marco Polo e Victoria,
con la scorta diretta dei cacciatorpediniere Freccia (caposcorta), Saetta,
Strale e Gioberti), salpato da Napoli alle 2.50 e
diretto a Tripoli.
9 giugno 1941
La III Divisone torna
a Messina alle sei del mattino. Il convoglio «Esperia» giunge a Tripoli alle
15.
25 giugno 1941
Il Lanciere, insieme al resto
della XII Squadriglia (Ascari, Corazziere e Carabiniere), va a rinforzare la scorta di un convoglio veloce
composto dai trasporti truppe Esperia (capoconvoglio,
contrammiraglio Luigi Aiello), Marco
Polo, Neptunia ed Oceania, scortati dai cacciatorpediniere Aviere (caposcorta, capitano di
vascello Luciano Bigi), Geniere,
Antonio Da Noli e Vincenzo Gioberti e dalla torpediniera Calliope. Il convoglio, partito da
Napoli e diretto a Tripoli, segue la rotta di levante, passando nello stretto
di Messina e poi ad est di Malta; la XII Squadriglia lo raggiunge appunto dopo
l’attraversamento dello stretto di Messina (ma secondo un’altra versione, il Lanciere avrebbe fatto parte della
scorta diretta, fin dall’inizio del viaggio). Al tramonto sopraggiunge anche la
III Divisione (incrociatori pesanti Trieste e Gorizia), partita da Messina alle 19,
quale scorta indiretta.
Alle 18.25, mentre le navi sono ancora a nord del parallelo di Murro di
Porco (precisamente, a 32 miglia per 90° da Murro di Porco, non lontano da
Siracusa), il convoglio viene avvistato da un ricognitore; alle 20.20, poco
dopo che la scorta aerea (due bombardieri Savoia Marchetti S.M. 79
"Sparviero" e quattro caccia Macchi MC. 200) se ne è andata, ad
eccezione di un singolo caccia che è ancora sul cielo del convoglio, vengono
avvistati tre velivoli tipo Martin Maryland che volano a 2500 metri di quota,
proprio sopra il convoglio. Viene dato l’allarme; sia i mercantili che i
cacciatorpediniere aprono subito il fuoco con le mitragliere. Gli aerei sganciano
cinque bombe, ma nessuna va a segno; si ritiene che uno degli attaccanti,
colpito, sia caduto in mare in fiamme.
Alle 20.30, terminato il lancio, i bombardieri si allontanano, ma poco
dopo un altro aereo avversario si avvicina da sinistra, volando a 1500 metri;
fatto oggetto del violento tiro di tutte le navi del convoglio, rinuncia
all’attacco e si allontana prima di poter giungere sulla verticale del
convoglio. Da poppa sopraggiunge un altro bombardiere, ma è seguito
dall’unico caccia rimasto della scorta aerea, e lascia dietro di sé una scia di
fumo; due membri del suo equipaggio si lanciano col paracadute, poi
il bombardiere precipita in mare. Alle 20.40 vengono avvistati altri
due bombardieri, provenienti da dritta, anch’essi accolti dal tiro delle navi
della scorta: uno dei due spara raffiche di mitragliera, poi accosta a sinistra
e si allontana senza sganciare bombe; l’altro giunge sul cielo del convoglio e
sgancia una bomba, che cade in mare senza fare danni. Alle 21, Supermarina
“informa” il convoglio che alle 18.35 questo è stato avvistato da un
ricognitore avversario.
Alle 21.10 un bengala si accende a proravia del convoglio, a circa 3000
metri di quota (resta acceso 8-9 minuti); dato che l’esperienza precedente
insegna che questo è il preludio ad un attacco di aerosiluranti, le navi della
scorta iniziano ad emettere cortine fumogene, per occultare le navi del
convoglio. Le cortine stese dalle varie siluranti si distendono e prendono
consistenza, occultando sui due lati i bastimenti del convoglio; unica
eccezione sono proprio le cortine stese da Lanciere
ed Ascari, che si trovano circa 1500
metri a proravia del convoglio, le quali risultano troppo deboli. Di
conseguenza, il caposcorta ordina ai due cacciatorpediniere di lasciarsi
scadere, in modo da avvicinarsi al convoglio.
Alle 21.29 gli aerosiluranti – velivoli dell’830th Squadron
della Fleet Air Arm – attaccano: provenienti da dritta e restando in
formazione, si portano a proravia del convoglio, poi sul suo lato sinistro,
indi si separano ed attaccano dai quartieri prodieri. Le navi aprono il fuoco
con le mitragliere; vengono lanciati almeno quattro siluri, nessuno dei quali
va a segno. Uno degli aerei entra nella formazione passando tra il Lanciere e l’Ascari, attraversando la cortina nel punto in cui è meno densa per
le circostanze sopra citate; ma nemmeno questo riesce a colpire qualcosa. Un
siluro passa vicino al Lanciere senza
fare danni.
Mentre ancora non si è concluso l’attacco degli aerosiluranti, alle
21.37, vengono lanciati in mezzo al convoglio tre bengala che galleggiano sul
mare (si tratta di fuochi al cloruro di calcio, una nuova invenzione al suo
primo impiego nella battaglia dei convogli): due si spengono quasi subito, ma
il terzo resta acceso per un paio di minuti, illuminando a giorno il convoglio
con la sua fortissima luce gialla; le navi si diradano ed intanto avvistano sul
loro cielo i fanalini di navigazione di altri aerei, contro i quali sparano con
tutte le mitragliere. Gli aerei sganciano delle bombe di grosso calibro;
nessuna va a segno, ma una esplode a pochi metri dall’Esperia, che subisce lievi danni ed alcune perdite tra il personale
imbarcato.
Alle 21.45 gli aerei se ne vanno, inseguiti dal fuoco delle
mitragliere; uno di essi, un Fairey Swordfish dell’830th Squadron
F. A. A. (sottotenente D. A. R. Holmes, aviere J. R. Smith), viene
abbattuto.
Tanto accanimento non è casuale. Il convoglio «Esperia» detiene infatti
il dubbio onore di essere stato il primo convoglio ad essere attaccato sulla
base delle informazioni fornite da “ULTRA”, l’organizzazione segreta britannica
dedita alla decrittazione dei messaggi in codice dell’Asse. Già il 23 giugno,
due giorni prima della partenza, i britannici sanno così che un convoglio
formato da Neptunia, Oceania, Marco Polo ed Esperia (in
realtà, inizialmente, i britannici commettono un errore ed identificano la
quarta nave come Victoria, ma
questo viene prontamente corretto il 24 giugno), scortato da cinque
cacciatorpediniere, deve partire da Napoli alle 3.30 diretto a Tripoli, con
arrivo previsto per le 16.30 del 27, navigando ad una velocità di 17,5 nodi.
Ulteriori intercettazioni, sempre compiute il 23 giugno, permettono ai
britannici di apprendere anche che il convoglio deve attraversare il parallelo
34°30’ N alle sette del mattino del 26, che sarà scortato anche da aerei, e che
dopo aver scaricato i materiali dovrà tornare a Napoli seguendo la rotta ad
ovest della Sicilia.
26 giugno 1941
Vista la violenza degli attacchi aerei, nel fondato timore che essi
debbano proseguire per il resto della notte ed anche la mattina successiva –
mentre il convoglio è al di fuori del raggio operativo della caccia italiana –,
oltre che in seguito alla notizia dell’avvistamento di un sommergibile in
agguato lungo la rotta del convoglio (avvistato ed attaccato da un velivolo
della ricognizione marittima), Supermarina ordina sia al convoglio che alla III
Divisione di dirottare su Taranto. Qui le navi giungono alle 17.
27 giugno 1941
Il convoglio riparte da Taranto per Tripoli alle 17, con scorta diretta
ed indiretta invariate (ma di nuovo, secondo una versione il Lanciere farebbe parte della scorta
indiretta, assieme ad Aviere, Geniere, Da Noli, Gioberti e Calliope, mentre gli altri
cacciatorpediniere della XII Squadriglia accompagnerebbero la III Divisione
nella scorta a distanza), seguendo una rotta che lo tenga quanto più possibile
lontano da Malta. Anche questa volta “ULTRA” intercetta e decifra i relativi
messaggi, ma stavolta la reazione britannica sarà assai meno violenta e
tempestiva.
28 giugno 1941
In mattinata il convoglio viene avvistato da un ricognitore britannico;
il segnale di scoperta da esso lanciato viene però intercettato e decifrato da
Supermarina, che ne informa il convoglio. Questi modifica allora notevolmente
la rotta, ma nel pomeriggio viene avvistato di nuovo; non si verificano però
attacchi aerei durante il giorno, né nella notte successiva.
29 giugno 1941
Intorno alle 9 il convoglio, giunto in prossimità di Tripoli ed ormai
lasciato dalla III Divisione (che rientra a Messina, dove giunge alle 11) ma
raggiunto dalla scorta aerea (due caccia Macchi MC. 200, due S.M. 79 e due
idrovolanti CANT Z. 501) viene attaccato da bombardieri britannici, i quali
sganciano poche bombe che non causano nessun danno.
Il convoglio giunge a Tripoli alle 10.30 (o 11.15).
16 luglio 1941
Lanciere, Geniere
(caposcorta), Oriani, Gioberti e la torpediniera Centauro salpano da Taranto per
Tripoli alle 16, scortando i trasporti truppe Marco Polo, Neptunia ed Oceania.
Gli incrociatori
pesanti Trieste e Bolzano (III Divisione Navale) ed i
cacciatorpediniere Ascari, Corazziere e Carabiniere forniscono scorta a
distanza.
Secondo alcune fonti
il convoglio sarebbe infruttuosamente attaccato, alle 13.35 (23 miglia a
sud-sud-ovest di Messina), dal sommergibile britannico Unbeaten, ma si tratta probabilmente di
un errore.
18 luglio 1941
Il convoglio giunge a
Tripoli alle 14.30.
19 luglio 1941
Lanciere, Aviere, Geniere (caposcorta), Oriani e Gioberti lasciano Tripoli per Taranto alle 20.30, scortando Neptunia, Oceania e Marco
Polo. La III Divisione Navale fornisca ancora scorta indiretta.
21 luglio 1941
Il convoglio giunge a
Taranto alle 16.30.
Un’altra immagine del Lanciere (Roby Adolfo Bellotti-Facebook) |
23 agosto 1941
Alle 9.50 Lanciere, Ascari, Corazziere e Carabiniere, che formano la XII
Squadriglia, partono da Messina insieme alla III Divisione (incrociatori
pesanti Trento, Trieste, Bolzano e Gorizia), per partecipare al contrasto
all’operazione britannica «Mincemeat», consistente nell’uscita da Gibilterra di
parte della Forza H (la portaerei Ark
Royal, la corazzata Nelson,
l’incrociatore leggero Hermione e
cinque cacciatorpediniere) con lo scopo di bombardare gli stabilimenti
industriali ed i boschi di sughero nella Sardegna settentrionale (con gli aerei
dell’Ark Royal), posare mine al largo
di Livorno (con il posamine veloce Manxman)
e dissuadere, con tale dimostrazione di forza, la Spagna dall’entrare in guerra
a fianco dell’Asse. I veri obiettivi dell’azione britannica non sono comunque
noti a Supermarina, che pensa soprattutto ad un nuovo tentativo britannico di
inviare a Malta un convoglio di rifornimenti.
Alle 18 si uniscono
alla formazione anche i cacciatorpediniere Maestrale
e Scirocco, inviati da Palermo.
24 agosto 1941
Alle cinque del
mattino la III Divisione si unisce al largo di Capo Carbonara al gruppo «Littorio»
(corazzate Littorio e Vittorio Veneto della IX Divisione
e cacciatorpediniere Aviere e Camicia Nera della XI Squadriglia
e Granatiere, Bersagliere, Fuciliere ed Alpino della
XIII Squadriglia), salpata da Taranto alle 16; poco dopo la formazione viene
rinforzata dai cacciatorpediniere Ugolino
Vivaldi, Nicoloso Da Recco e Lanzerotto Malocello, provenienti da Napoli, ed Antonio Pigafetta e Giovanni Da Verrazzano, inviati da
Trapani.
Le navi italiane
assumono una rotta che le conduca al centro del Tirreno. Tra le 6.30 e le
6.40 Littorio, Vittorio Veneto e Trieste catapultano i loro
idrovolanti da ricognizione, che tuttavia non riescono a trovare nulla; alle
11.15 è il Bolzano a
catapultare il suo ricognitore, ma con risultati non migliori.
La formazione
italiana, al comando dell’ammiraglio di squadra Angelo Iachino, ha l’ordine di
trovarsi per le otto del 24 trenta miglia a sud di Capo Carbonara, dato che la
Forza H è stata avvistata da un ricognitore alle 9.10 del 23, circa 90 miglia a
sud di Maiorca (il ricognitore ne ha stimato la composizione in una corazzata,
una portaerei, un incrociatore e quattro cacciatorpediniere, con rotta 270° e
velocità 14 nodi), ed alle 19.18 di quel giorno dei rilevamenti
radiogoniometrici hanno collocato la Forza H 145 miglia ad ovest di Capo
Teulada.
Intorno alle cinque
del mattino del 24, gli aerei dell’Ark
Royal attaccano la zona di Coghinas e Tempio Pausania con bombe e
spezzoni incendiari, causando però pochissimi danni (una casa distrutta ed un
soldato ucciso) nonostante la zona sia ricca di boschi di sughero, mentre alle
7.45 la squadra italiana viene avvistata a sud della Sardegna da un ricognitore
britannico, proprio mentre anche la Forza H viena a sua volta localizzata 30
miglia ad est di Minorca, con rotta 105° e velocità 20 nodi.
Sulla base di tale
avvistamento, Supermarina (che ha intercettato il segnale di scoperta del
ricognitore nemico, informando subito l’ammiraglio Iachino), ritenendo
improbabile che le forze italiane possano incontrare quelle britanniche entro
il 24, a meno di non uscire dal raggio di copertura della caccia aerea, ordina
a Iachino di tenersi ad est del meridiano 8° (salvo, per l’appunto, riuscire ad
incontrare la Forza H di giorno ed entro la zona protetta dalla caccia
italiana) e di rientrare nel Tirreno dopo aver appoggiato la ricognizione che
l’VIII Divisione è stata mandata a svolgere nelle acque di Capo Serrat e
dell’isola di La Galite; ordina poi alla III ed alla IX Divisione di trovarsi
alle dieci del mattino del 25 agosto a 28 miglia per 150° da Capo Carbonara,
per ripetere la manovra del 24. Alle 17.20 le forze britanniche vengono
avvistate da un altro ricognitore trenta miglia a sudest di Maiorca, il che
conferma che un incontro per il 24 non sarebbe possibile, mentre sarebbe
probabile il giorno seguente.
25 agosto 1941
In mattinata, dato
che la ricognizione aerea (che si spinge fino al 3° meridiano) non trova
traccia della Forza H, ed il traffico radio britannico sta tornando ai ritmi
usuali, Supermarina decide di far rientrare alle basi le proprie forze navali;
alle 13.35, di conseguenza, l’ammiraglio Iachino riceve ordine di rientrare a
Napoli. La sera del 25 si viene a sapere che all’alba la Forza H è stata
avvistata ormai già in acque spagnole, tra Sagunto e Valencia, prima con rotta
nord e poi diretta verso sud, accompagnata da numerosi velivoli. Più tardi è
stata vista a sud di Capo Sant’Antonio e si sono sentite molte cannonate,
probabilmente dovute ad esercitazioni di tiro.
Nel corso
dell’operazione, per due volte la III Divisione ha avvistato sommergibili
nemici.
26 agosto 1941
Alle 5.54 il
sommergibile britannico Triumph (capitano
di fregata Wilfrid John Wentworth Woods), in agguato a nord di Messina, avverte
rumori piuttosto forti di scoppi di bombe di profondità, che sembrano
avvicinarsi; sei minuti dopo, in posizione 38°22’ N e 15°38’ E, il Triumph avvista verso nordovest un
folto gruppo di navi italiane: essendo la luce ancora insufficiente, ed il
periscopio d’osservazione fuori uso, Woods ci mette qualche minuto prima di
riuscire a discernere la tipologia di navi nel periscopio, “tre corazzate od
incrociatori, scortati da circa dieci cacciatorpediniere”. Si tratta della III
Divisione e dei relativi cacciatorpediniere, che si apprestano ad imboccare lo
stretto di Messina, di rientro dalla missione.
Il Triumph inizia la manovra di
attacco alle 6.11, ed alle 6.38, poco a nord dello stretto, lancia due siluri
da 4850 metri di distanza, contro il Bolzano,
per poi scendere a 24 metri di profondità ed assumere rotta nord, per
allontanarsi dalla posizione del lancio.
Uno dei siluri, circa
tre minuti dopo il lancio, raggiunge il bersaglio, colpendo il Bolzano a poppa dritta; 8 uomini
rimangono uccisi e 22 sono feriti, e l’incrociatore imbarca 2000 tonnellate
d’acqua, restando fortemente appoppato.
Assistito da due
rimorchiatori, il Bolzano riuscirà
faticosamente a raggiungere Messina alle 10.55, mentre il
cacciasommergibili Albatros e
la vecchia torpediniera Giuseppe
Missori vengono inviati a dare la caccia al sommergibile, senza
risultato.
Il resto della III
Divisione giunge anch’esso a Messina il 26 mattina.
3 settembre 1941
Nelle prime ore del
mattino Lanciere ed Ascari vengono inviati ad assumere la
scorta del cacciatorpediniere Dardo
(capitano di corvetta Ferdinando Corsi) e della motonave Francesco Barbaro (comandante militare capitano di fregata Martini,
comandante civile capitano Zagabia), che quest’ultimo sta rimorchiando verso
Messina. Alcune ore prima, un attacco di aerosiluranti britannici contro un
convoglio diretto in Libia ha affondato la motonave Andrea Gritti (con 347 vittime tra i 349 uomini presenti a bordo) e
danneggiato gravemente la Barbaro,
colpita a poppa da un siluro.
Lanciere ed Ascari raggiungono Dardo e Barbaro verso le 9 del mattino, iniziando subito un’alacre opera di
protezione, zigzagando attorno alle due navi che, date le condizioni della Barbaro, il vento ed il mare avversi che
intralciano il rimorchio, procedono a bassissima velocità. Nel cielo della
formazione, quale scorta aerea, volano due caccia ed un idrovolante.
Poco più tardi la
scorta viene rafforzata dal cacciasommergibili Albatros e poi anche dal cacciatorpediniere Carabiniere, mentre nel pomeriggio sopraggiungono anche i
rimorchiatori Titano e Porto Recanati, inviati a dare assistenza
al Dardo nel rimorchio (verso le
16.30 la Barbaro, senza fermarsi,
passa un cavo d’acciaio anche al Titano,
permettendo di aumentare un po’ la velocità del rimorchio).
Alle 18.30 (o 19) la Barbaro e la sua nutrita scorta riescono
infine a raggiungere la rada di Messina.
22 settembre 1941
Alle 18 il Lanciere (capitano di fregata Giulio Di Gropello) lascia Augusta insieme ai gemelli Aviere (capitano di vascello Bigi), Ascari (capitano di fregata Calamai), Carabiniere (capitano di fregata Sicco), Corazziere (capitano di vascello Paolo Melodia, caposquadriglia
della XII Squadriglia) e Camicia Nera
(capitano di fregata Garino).
Le quattro unità
della XII Squadriglia (Lanciere, Corazziere, Ascari, Carabiniere)
devono posare le mine dei campi minati offensivi «M 6» e «M 6 bis» (per i quali
è previsto in tutto l’impiego di 100 mine P 200 con dispositivo acustico ed
altrettante P 200 ad antenna) a sudest di Malta, mentre Aviere e Camicia Nera devono scortarli nell’operazione di posa.
Ciascuno dei cacciatorpediniere della XII Squadriglia ha imbarcato, prima di
partire, 25 mine tipo P 200 con dispositivo acustico (da regolare per una
profondità di 20 metri) e 25 mine tipo P 200 con antenna (da regolare per una
profondità di tre metri).
23 settembre 1941
Tra l’una di notte e
l’1.30 i sei cacciatorpediniere giungono nel punto convenzionale «M» designato
per l’inizio della posa, dopo aver ridotto la velocità a 10 nodi; a questo
punto la formazione si divide, con Corazziere
e Carabiniere che si dirigono verso
la zona dello sbarramento M 6, mentre Ascari
e Lanciere fanno rotta verso la zona
dello sbarramento M 6 bis.
All’1.24 il Lanciere è il primo ad iniziare la posa
delle sue 50 mine, che termina all’1.52. L’Ascari,
che lo segue, inizia all’1.55 e conclude alle 2.23; contestualmente, nell’altra
zona, il Carabiniere inizia all’1.35
e finisce alle 2.02, dopo di che il Corazziere
comincia alle 2.07 e termina alle 2.34. La posa avviene con rotte serpeggianti,
a grappoli, a cominciare dal cacciatorpediniere poppiero; le mine vengono
lanciate con intervalli di 18 secondi tra l’una e l’altra (corrispondenti ad
uno spazio di 90 metri), tra un grappolo e l’altro viene lasciato un intervallo
di 5 minuti e 15 secondi (corrispondenti a 1600 metri). Il primo ed il terzo
grappolo posato da ogni nave sono composti da 12 mine, il secondo ed il quarto
da 13.
All’1.35 si accende
un faro rosso ubicato vicino a Marsa Scirocco (probabilmente impiegato per le
segnalazioni agli aerei in arrivo), il quale emette ad intervalli dei lampi che
corrispondono alle lettere “Z D”. Ciò induce il comandante Di Gropello del Lanciere – anche a causa
dell’eccezionale luminosità del faro, che risulta visibile a più di 20 miglia,
apparendo così più vicino di quanto non sia in realtà, nonché del colore rosso
della luce e della segnalazione a ripetizione di lettere, ambedue inusuali per
un faro e più consoni per una nave – a credere erroneamente che nelle vicinanze
si trovi un’unità di vigilanza britannica (scambiando così la luce del faro
lontano per una luce proveniente da una vicina unità navale in mare), che stia
effettuando segnalazioni per richiedere la parola di riconoscimento. Il Lanciere, di conseguenza, emette il
segnale di avvistamento prescritto con la radio ad onde ultracorte, e riduce
l’intervallo tra il secondo ed il terzo grappolo di mine, che sta posando in
quel momento. L’equivoco, che il caposquadriglia Melodia riterrà
giustificabile, date le circostanze di cui sopra, non ha comunque ripercussioni
sulla regolare posa delle mine.
Durante la posa si
verificano in tutto sette esplosioni accidentali di mine: tre all’1.55, due
alle 2.17, due alle 2.27.
Terminata la posa, i
due gruppi si disimpegnano dal lato esterno rispetto a Malta, e fanno rotta
verso il punto di riunione, situato 20 miglia a sud-sud-est di Capo Passero,
avvistandosi vicendevolmente alle 6.59 al largo di Capo Murro di Porco.
Una volta riuniti in
un’unica formazione, i cacciatorpediniere proseguono verso nord; durante la
navigazione di rientro ricevono ordine di dirigere verso Taranto, dove arrivano
alle 17.25.
26 settembre 1941
Lanciere, Carabiniere, Ascari e Corazziere (la XII Squadriglia), insieme a Trento (nave ammiraglia dell’ammiraglio Bruno
Brivonesi), Trieste e Gorizia, partono da Messina alle 22
per raggiungere ed attaccare un convoglio britannico diretto a Malta (cisterna
militare Breconshire e
mercantili Ajax, City of Calcutta, City of Lincoln, Clan Ferguson, Clan MacDonald, Imperial Star, Dunedin Star e Rowallan
Castle, con 81.000 tonnellate di rifornimenti) e scortato dalla Forza H
britannica con tre corazzate (Nelson, Rodney e Prince of Wales) ed una portaerei (Ark Royal), oltre a cinque incrociatori (Kenya, Edinburgh, Sheffield, Hermione ed Euryalus)
e 18 cacciatorpediniere (i britannici Cossack, Duncan, Farndale, Fury, Forester, Foresight, Gurkha, Heythrop, Laforey, Lance, Legion, Lively, Lightning, Oribi e Zulu, i polacchi Garland e Piorun e l’olandese Isaac Sweers) nell’ambito dell’operazione
britannica «Halberd». Da parte italiana, però, si ignora del vero obiettivo dei
britannici: i comandi italiani, dato che la ricognizione ha avvistato solo
parte delle navi nemiche, pensano che i britannici intendano lanciare un
bombardamento aeronavale contro le coste italiane, e al contempo rifornire
Malta di aerei.
III Divisione e XII
Squadriglia fanno rotta dapprima verso nord e poi verso ovest. L’ordine per le
forze italiane è di riunirsi a nord della Sardegna in una posizione difensiva,
e di non ingaggiare il nemico a meno di non essere in condizioni di netta
superiorità (precisamente: radunarsi alle 12 del 27 cinquanta miglia a sud di
Capo Carbonara per intercettare il convoglio intorno alle 15, ad est di La
Galite, e di attaccare solo se l’Aeronautica riuscirà a danneggiare almeno una
delle corazzate che saranno presumibilmente presenti).
Partono anche la VIII
(Attendolo, Duca degli Abruzzi) e la IX Divisione (Littorio, Vittorio
Veneto) rispettivamente da La Maddalena e Napoli, accompagnate
rispettivamente dalla X (Maestrale, Grecale, Scirocco) e dalla XIII (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere e Gioberti)
e XVI Squadriglia Cacciatorpediniere (Folgore, Da Recco, Pessagno).
27 settembre 1941
A mezzogiorno la III,
la VIII e la IX Divisione, con le rispettive squadriglie di cacciatorpediniere,
si riuniscono una cinquantina di miglia ad est di Capo Carbonara, per
intercettare il convoglio, poi dirigono verso sud (o sudest) a 24 nodi (altra
fonte: rotta 244°, velocità 22 nodi; poi 210° per dirigere incontro al nemico,
alle 12.30 e 180° alle 13, per tagliare la rotta alle forze britanniche,
aumentando la velocità a 24 nodi) per l’intercettazione, con gli incrociatori
che precedono di 10.000 metri le corazzate. La III Divisione viene posizionata
a 10.000 metri per 210° dalla IX Divisione (dalla quale, a causa della scarsa
visibilità verso sudovest, risulta appena visibile, mentre la III Divisione
vede bene le corazzate di Iachino, riferendo però che la visibilità verso sud è
cattiva, dunque in caso d’incontro la Forza H vedrà la squadra italiana prima
che quest’ultima la possa vedere a sua volta), mentre l’VIII prende posto a
10.000 metri per 240 da quest’ultima.
Sempre a mezzogiorno,
dato che la ricognizione ha avvistato una sola corazzata britannica ed una
portaerei, e che la Regia Aeronautica sta per attaccare in massa (gli
aerosiluranti italiani, al prezzo di sette velivoli abbattuti, riusciranno a
silurare e danneggiare la Nelson),
la flotta italiana viene autorizzata ad ingaggiare battaglia (Iachino riceve
libertà d’azione); alle 14 viene ordinato il posto di combattimento, e le
corazzate sono schierate nella direzione di probabile avvicinamento del nemico.
Quando però il contatto appare imminente, in seguito a nuove segnalazioni dei
ricognitori viene appreso che le forze britanniche ammontano in realtà a due
corazzate (in realtà tre), una portaerei e sei incrociatori, il che pone la
squadra italiana in condizioni di inferiorità rispetto alla forza britannica, e
per giunta la prima è sprovvista di copertura aerea (soltanto sei caccia, con
autonomia dalle basi non superiore a 100 km), mentre le navi italiane sono tallonate
da ricognitori maltesi dalle 13.07 (e più tardi, dalle 15.15 alle 17.50, da
aerei dell’Ark Royal) ed esposte ad
attacchi di aerosiluranti lanciati dalla portaerei. Alle 14.30, considerata la
propria inferiorità numerica, la scarsa visibilità e la mancanza di copertura,
la squadra italiana inverte la rotta per portarsi fuori dal raggio degli
aerosiluranti nemici.
Alle 15.30
sopraggiungono tre caccia italiani FIAT CR. 42 assegnati alla scorta aerea, ma,
per via della loro somiglianza agli aerosiluranti britannici (sono anch’essi
biplani), vengono inizialmente scambiati per aerei inglesi ed il Fuciliere – una fonte britannica
parla invece del Lanciere, ma si
tratta probabilmente di un errore – ne abbatte il capo pattuglia (il pilota
sarà tratto in salvo dal Granatiere),
mentre gli altri due si allontanano. Alle 17.18, avendo ricevuto comunicazioni
secondo cui la squadra britannica avrebbe subito pesanti danni (una corazzata e
due incrociatori silurati e daneggiati, un incrociatore affondato) a causa degli
attacchi aerei, la formazione italiana dirige nuovamente verso sud (prima stava
procedendo verso nord), salvo invertire nuovamente la rotta (dirigendo per
est-nord-est) alle 18.14, portandosi al centro del Mar Tirreno, come ordinato
da Supermarina perché ormai non è più possibile intercettare il convoglio prima
del tramonto.
28 settembre 1941
Alle otto del mattino
le navi italiane attraversano il canale di Sardegna e, come ordinato,
raggiungono un punto 80 miglia ad est di Capo Carbonara, poi fanno rotta per
ovest-sud-ovest ma infine, alle 14.00, dato che i ricognitori non trovano più
alcuna nave nemica a sud ed ad ovest della Sardegna (il convoglio è infatti
passato) viene ordinato il rientro alle basi. La III Divisione viene
fatta dirigere su La Maddalena.
29 settembre 1941
La III Divisione
giunge a La Maddalena in mattinata, per poi successivamente tornare a Messina.
Il Lanciere nel 1942 (da www.lemairesoft.sytes.net) |
1941-1942
Lavori di modifica:
l’obice illuminante da 120/15 mm viene eliminato e sostituito con un quinto
cannone da 120/50 mm mod. Ansaldo 1940. Vengono inoltre eliminate 12
mitragliere contraeree da 13,2/76 mm (quattro in impianti singoli ed otto in
impianti binati) ed installate invece quattro mitragliere binate Breda 1935 da
20/65 mm e due scaricabombe per bombe di profondità.
Gennaio 1942
Assume il comando del
Lanciere il capitano di fregata
Costanzo Casana, che avvicenda il parigrado Giulio Di Gropello.
Nello stesso periodo,
a seguito di una collisione tra Granatiere
e Corazziere in cui entrambi sono
rimasti gravemente danneggiati e fuori uso per lungo tempo, la XII Squadriglia
Cacciatorpediniere viene sciolta; Lanciere
e Carabiniere vengono assegnati alla
XIII Squadriglia, insieme a Fuciliere,
Bersagliere ed Alpino.
Tempesta
All’una di notte del
22 marzo 1942 il Lanciere (al comando
del capitano di fregata Costanzo Casana), temporaneamente aggregato alla XIII
Squadriglia Cacciatorpediniere (Fuciliere,
Bersagliere, Alpino), salpò da Messina insieme a tali tre cacciatorpediniere ed
alla III Divisione Navale, composta dagli incrociatori pesanti Trento e Gorizia, più l’incrociatore leggero Bande Nere, per partecipare all’intercettazione del convoglio
britannico «M.W. 10», diretto a Malta. Tale convoglio, partito da Alessandria
alle 7 del mattino del 20 marzo, era formato dalla cisterna militare Breconshire e dai piroscafi Clan Campbell, Pampas e Talbot,
con la scorta diretta dell’incrociatore leggero Carlisle e dei cacciatorpediniere Avon Vale, Dulverton, Beaufort, Eridge, Southwold e Hurworth, rinforzata per il tratto più
pericoloso dagli incrociatori leggeri Dido, Euryalus e Cleopatra e dai cacciatorpediniere Hasty, Havock, Hero, Sikh, Zulu, Lively, Jervis, Kelvin, Kingston e Kipling. Quest’ultima forza, il 15th Cruiser Squadron della
Royal Nay, era salpata da Alessandria alle 18 del 20 ed era comandata
dall’ammiraglio Philip L. Vian. Da Malta si unirono ad essa, nella giornata del
22 marzo, anche l’incrociatore leggero Penelope
ed il cacciatorpediniere Legion.
La XIII Squadriglia e
la III Divisione formavano il gruppo «Gorizia» (al comando dell’ammiraglio di
divisione Angelo Parona, comandante la III Divisione, con bandiera sul Gorizia), uno dei due usciti in mare per
tale missione; l’altro gruppo, denominato «Littorio» (corazzata Littorio, cacciatorpediniere Ascari, Aviere, Oriani e Grecale, più Geniere e Scirocco che
però partirono in ritardo e di fatto non riuscirono a riunirsi al resto della
formazione), partì invece da Taranto. Comandante superiore in mare era
l’ammiraglio di squadra Angelo Iachino, imbarcato sulla corazzata Littorio.
Il primo sentore di
una possibile operazione nemica lo si era avuto il 19 marzo 1942, quando da
intercettazioni radio era emerso che si trovava in mare, a bordo di un
incrociatore classe Dido, il comandante delle forze leggere della Mediterranean
Fleet, ammiraglio Philip L. Vian. Alle 00.22 del 20 marzo era stato
intercettato un telegramma di precedenza assoluta trasmesso a Malta, e da ciò
era derivata l’impressione che le navi britanniche fossero in movimento da
Alessandria verso Malta; il mattino del 21 un ricognitore Junkers Ju 88 del X
Fliegerkorps tedesco aveva avvistato un convoglio di tre piroscafi e quattro
cacciatorpediniere con rotta ovest, una quarantina di miglia a nord di Sidi el
Barrani. Successivi ulteriori avvistamenti e decrittazioni di messaggi
britannici avevano confermato che il convoglio dirigeva verso ovest a 14 nodi
di velocità. Rilevamenti radiotelegrafici e segnalazioni di un U-Boot tedesco,
nella sera e notte del 20-21 marzo, avevano confermato l’esistenza di
importante traffico nemico al largo dell’Egitto, anche se si era ritenuto che
il convoglio avvistato dallo Ju 88 fosse diretto a Tobruk e non a Malta (per
quanto anche questa possibilità non venisse categoricamente esclusa), il che
appariva anche dalle comunicazioni intercettate, nelle quali il convoglio
riferiva ad Alessandria i propri movimenti.
Quello stesso giorno
un secondo convoglio, dal nome convenzionale di «Empire», era stato avvistato
alle 2.21 da un U-Boot tedesco, 28 miglia a nord-nord-ovest di Sidi el Barrani,
con rotta nordovest; alle 16.30 lo stesso convoglio era stato avvistato anche
dal sommergibile italiano Platino
(tenente di vascello Innocenzo Ragusa), il quale aveva riferito che un
incrociatore leggero, quattro cacciatorpediniere e tre grossi piroscafi si
trovavano a 48 miglia a sud-ovest di Gaudo (Creta), con rotta 320°.
Alle 16.58 un altro
ricognitore Ju 88 del X Fliegerkorps aveva avvistato davanti al convoglio,
cento miglia a nord di Derna, un gruppo di circa 14 navi da guerra, tra cui tre
di grandi dimensioni. Alle 18 Supermarina, stimando che il convoglio fosse
diretto a Malta, accompagnato da un gruppo leggero di scorta composto da non
più di tre incrociatori ed alcuni cacciatorpediniere, oltre ad alcune altre
navi partite da La Valletta nella notte tra il 21 ed il 22 marzo (nel
pomeriggio, dei ricognitori tedeschi avevano avvistato in quel porto delle
bettoline di rifornimento affiancate ad un incrociatore ed un
cacciatorpediniere), aveva deciso di intervenire con la flotta da battaglia,
ossia la Littorio e la III Divisione
Navale, più le relative squadriglie di cacciatorpediniere. Per la III Divisione
l’ordine operativo era: «Terza Divisione con BANDE NERE – ALPINO – FUCILIERE – LANCIERE – BERSAGLIERE
escano appena pronti regolando navigazione modo trovarsi ore 080022 punto Beta
latitudine 3540 longitudine 1740 quindi incrocino zona venti miglia attorno
detto punto attesa risultati ricognizioni».
Durante la manovra di
partenza, il Gorizia ebbe problemi a
lasciare gli ormeggi per via del vento fortissimo, il che causò un ritardo di
un’ora rispetto al previsto: a causa di tale ritardo, Supermarina posticipò di
un’ora il previsto arrivo della III Divisione nel punto convenzionale «Beta».
Lasciata Messina, il
gruppo «Gorizia» procedette lungo la costa calabrese sino a Capo Spartivento,
poi, alle 2.52, accostò assumendo rotta 150° verso il punto prestabilito «B» (a
160 miglia per 95° da Malta), a 25 nodi. Le navi vennero poi raggiunte da
bombardieri Junkers Ju 88 tedeschi del I./NJG.2, che ne assunsero la scorta.
Alle 7.30 il Gorizia catapultò un
idrovolante da ricognizione, che dovette però rientrare subito a Siracusa per
guasto al motore; alle 8.16, pertanto, il Bande
Nere catapultò il suo idroricognitore, che compì esplorazione verso sudest
per un centinaio di miglia, ma non avvistò alcunché, dopo di che diresse per
Augusta. Ad avvistare le navi britanniche furono invece aerei del II Corpo
Aereo Tedesco (bombardieri ed aerosiluranti) ed un altro ricognitore,
catapultato dal Trento.
Passato all’altezza
del punto «B» alle 9.11, la formazione proseguì con rotta 150°, riducendo la
velocità a 20 nodi, fino alle 9.48, dopo di che invertì la rotta, come ordinato
da Supermarina, ed iniziò ad incrociare nella zona del punto «B», aspettando
che giungessero notizie sul nemico (poco dopo le 10, il gruppo aveva rotta 330°
e velocità 20 nodi).
Alle 10.40, per
ordine dell’ammiraglio Iachino, la III Divisione accostò per 160° (più tardi
per 165°) per stabilire contatto visivo con le forze britanniche, quindi la
XIII Squadriglia si portò in posizione di scorta avanzata e poi la formazione
assunse una velocità di 30 nodi.
A causa del mare
sempre più agitato da sudest, alle 12.12 la velocità dovette essere ridotta a
28 nodi per non causare eccessivi problemi ai cacciatorpediniere, ed alle
13.32, per gli stessi motivi, essa dovette essere ulteriormente ridotta a 26
nodi e le navi accostarono per 180°. Alle 13.40 la formazione assunse rotta
210°. Alle 13.42 il gruppo «Gorizia» si dispose perpendicolarmente alla
probabile direzione di avvistamento dei britannici, con il Gorizia al centro, Trento e Bande Nere alla sua sinistra su rilevamento 90° e la XIII
Squadriglia alla sua dritta su rilevamento 270°, ad una distanza di 4000 metri.
Gli ordini per la III
Divisione erano di prendere contatto visivo con il nemico senza impegnarsi
prima della riunione con il gruppo «Littorio». La direzione di probabile
avvistamento del nemico, determinata in base alle informazioni comunicate dagli
aerei (non sempre concordi in merito alla posizione degli avvistamenti), si
rivelò poi essere esatta: le navi nemiche vengono avvistate verso le 14.20, su
rilevamento 185° (a 23.000 m)-170°-160°.
Le navi britanniche,
dal canto loro, avvistarono prima dei fumi alle 14.17 (l’Euryalus) e poi (Euryalus
e Legion) le navi italiane alle
14.27; l’ammiraglio Vian identificò erroneamente i tre incrociatori italiani,
alle 14.34, per altrettante corazzate, distanti 12 miglia.
Dopo l’avvistamento,
le navi di Parona accostarono per 250° (per sudovest), come prestabilito, allo
scopo di assumere rotta convergente a quella delle navi britanniche, ma
restando al contempo in grado di fare fuoco con tutte le artiglierie
principali. Ebbe così inizio l’avvicinamento al nemico; le condizioni di
visibilità erano altalenanti, il cielo era parzialmente coperto da nuvole
basse.
L’Avon Vale, il Carlisle e le navi della “Strike Force” di Vian iniziarono ad
emettere fumo. Alle 14.44, mentre il convoglio veniva rapidamente nascosto da
cortine nebbiogene (dopo soli 40 secondi dall’avvistamento, le navi britanniche
erano completamente avvolte dalla cortina fumogena, che offuscava anche una
vasta zona di mare tutt’intorno; il vento spingeva il fumo verso le navi
italiane) ed accostava per 210° in modo da allontanarsi verso ovest-sud-ovest
(scortato dal Carlisle e dai
cacciatorpediniere della scorta diretta), gli incrociatori britannici – disposti
in colonne, per divisione, e guidati dal Cleopatra
–, diressero contro quelli italiani per difendere il convoglio, assumendo rotta
ovest-nord-ovest.
La III Divisione,
come precedentemente stabilito, fece rotta verso nord per attirarli verso il
gruppo «Littorio» (corazzata Littorio,
cacciatorpediniere Ascari, Aviere, Oriani e Grecale).
Il piano dell’ammiraglio Iachino, che si aspettava che le navi britanniche
avrebbero inseguito quelle italiane, era di attirare il nemico tra il gruppo
«Gorizia» da una parte ed il gruppo «Littorio» dall’altra.
Avvicinandosi, gli
incrociatori di Vian uscirono dalla cortina nebbiogena che i cacciatorpediniere
britannici avevano steso sulla formazione, e risultò così possibile stabilire
il contatto balistico: alle 14.35, mentre correvano verso nord, gli
incrociatori di Parona aprirono il fuoco con le torri poppiere, da 21.700 metri
di distanza. Il tiro italiano risultò piuttosto intermittente, perché la
visibilità dei bersagli era altalenante: le navi nemiche venivano impegnate
ogni volta che uscivano dalla nebbia, ma questo accadeva solo di quando in
quando; inoltre, il mare mosso faceva rollare e beccheggiare fortemente le navi
ed il vento soffiava schiuma contro i telemetri, rendendo pressoché impossibile
– insieme al fumo ed alle grandi distanze – una mira accurata. Alle 14.43 le
navi di Parona interruppero il tiro per poi riprenderlo dieci minuti dopo,
mentre gli incrociatori britannici descrivevano un ampio semicerchio, virando a
nordest alle 14.33 per diffondere ulteriormente il fumo, e poi a nordovest alle
14.56, ora in cui il Cleopatra e l’Euryalus iniziarono a rispondere al
fuoco (per la prima volta dall’inizio dello scontro) da una distanza di 19.000
metri. Le salve sparate dalle navi di Vian risultarono ben presto assai
centrate, ma nessuna di esse andò a segno. A causa del fumo, poche navi
britanniche, eccetto Cleopatra ed Euryalus, avvistarono quelle italiane; e
di esse soltanto il cacciatorpediniere Lively
sparò qualche colpo.
Alle 15.06 Vian si
rese conto di avere di fronte degli incrociatori, e non delle corazzate (anche
se sbagliò ancora a quantificarne il tipo ed il numero, credendo trattarsi di
un incrociatore pesante e tre incrociatori leggeri), che navigavano in linea di
fronte su uno schieramento ampio circa 2 miglia e rotta stimata 200°; i primi
colpi italiani, che cadevano molto corti, erano stati visti alle 14.36. Le navi
britanniche accostarono prima ad est, poi a sud e poi di nuovo ad ovest, per
non allontanarsi dal convoglio; il gruppo «Gorizia» le assecondò, mantenendo il
contatto balistico e variando la distanza in base alla visibilità ed agli
ordini di tenere il nemico agganciato, ma senza impegnarsi a fondo. Alle 15.10
la III Divisione, che aveva ridotto la velocità a 25 nodi, venne inquadrata da
numerose salve d’artiglieria, molto rapide, sparate da circa 20.000 metri di
distanza; di nuovo, però, nessuna nave fu colpita.
Tra le 15.09 e le
15.15 uno degli incrociatori italiani iniziò a centrare le sue salve su Cleopatra ed Euryalus, anche dopo che questi si erano ritirati dietro la cortina
nebbiogena; il Cleopatra reagì
sparando anch’esso alcune salve contro la nave italiana, ed alle 15.15 le unità
avversarie accostarono entrambe in fuori. Alle 15.13 gli incrociatori italiani
cessarono il tiro; quando le unità nemiche accostarono di nuovo verso nord, il
gruppo «Gorizia» cercò di nuovo di portarle verso il gruppo «Littorio», ormai
vicino, che avvistò alle 15.23 ad una distanza di 15 km. La III Divisione ridusse
pertanto la velocità a 20 nodi ed accostò per assumere la posizione assegnata
in formazione, cioè a sinistra della Littorio.
La riunione avvenne alle 15.30.
Mentre le unità di
Parona e di Vian erano impegnate in questo primo scambio di colpi, il convoglio
venne attaccato da bombardieri tedeschi Junkers Ju 88, che furono respinti dal
furioso tiro contraereo del Carlisle
e dell’Avon Vale (che durante tale
azione entrarono in collisione tra di loro, ma senza riportare danni gravi).
Alle 15.20 gli
incrociatori britannici accostarono di nuovo verso sud (o sudovest) per
riunirsi al convoglio (alla stessa ora, il Gorizia
avvistò la Littorio verso nord), e la
prima fase dello scontro volse al termine. Il convoglio tornò ad assumere
l’originaria rotta verso ovest. Vian, non a conoscenza della manovra italiana,
ritenne di aver respinto il nemico e così comunicò al suo superiore, ammiraglio
Cunnignham, alle 15.35. Le navi di Vian si ricongiunsero col convoglio alle
16.30; dato che i cacciatorpediniere classe “Hunt” della scorta diretta avevano
già consumato gran parte del proprio munizionamento contraereo, Vian ordinò a
due dei suoi gruppi (il primo e quello incaricato di emettere fumo) di unirsi
alla scorta diretta.
Il tempo andava
peggiorando: il vento stava aumentando, fino a 30 nodi, e la schiuma delle onde
generò una sorta di foschia bassa, con conseguente mediocre visibilità.
Una volta riuniti i
due gruppi, la flotta italiana si dispose con la III Divisione in linea di
fronte a sinistra (ad est) della Littorio,
così da avere uno schieramento perpendicolare al probabile rilevamento delle
forze nemiche; poi, data anche la sua eterogeneità, la III Divisione venne
lasciata a 5 km di distanza dalla corazzata, per garantirle maggiore
scioltezza. Successivamente, la III Divisione passò alla formazione in linea di
fila nell’ordine Gorizia (in testa), Trento (al centro), Bande Nere (in coda).
L’ammiraglio Iachino,
cui risultava che gli incrociatori nemici stessero navigando verso sud ad alta
velocità, ritenne che il convoglio avesse deviato per sudovest, e decise di
manovrare per tagliargli la strada; alle 16.18 giunse una comunicazione di un
aereo che riferiva che il nemico si trova a 30 miglia di distanza, 10° di prora
a sinistra, con rotta 255°, e Iachino ordinò di accostare per 230° per
intercettarlo.
Alle 16.31 la squadra
italiana avvistò di nuovo quella britannica per rilevamento 210° (circa dieci
miglia più ad ovest di quanto previsto in base alle segnalazioni degli aerei);
contestualmente, un idroricognitore catapultato dalla Littorio avvistò il convoglio a 10 miglia per 240° dagli
incrociatori britannici (cioè al di là di questi ultimi), su rotta 270°. In base
a queste informazioni, Iachino ordinò di accostare a dritta e poi di dirigere
verso ponente.
Le prime navi
britanniche ad avvistare quelle italiane furono lo Zulu (che vide 4 navi di tipo imprecisato a 9 miglia di distanza,
verso nordest in direzione 42°) e l’Euryalus
(che avvistò tre incrociatori per 35°, a 15 miglia di distanza), alle 16.37 ed
alle 16.40; la III Divisione avvistò a sua volta il nemico alle 16.40, di
prora. La squadra italiana si dispiegò subito sulla dritta, accostando in
successione per 90°, per 290° e per 270°, ed alle 16.43 venne aperto il fuoco
da entrambe le parti; allo stesso tempo, alle 16.40, anche la formazione
britannica diresse incontro a quella italiana per affrontarla (eccetto i
cacciatorpediniere Jervis, Kipling, Kingston e Kelvin, che
invece stesero un’altra cortina fumogena tra le navi italiane ed il convoglio),
assumendo rotta nord-nord-est. Le condizioni di visibilità erano già di per sé
pessime, ed a peggiorarle ulteriormente le navi britanniche emisero di nuovo
copiose cortine fumogene: l’orizzonte nella direzione del nemico apparve
estremamente confuso; delle navi britanniche si vedevano soltanto i fumi e
occasionalmente qualche scafo, che appariva parzialmente di quando in quando.
L’azione di fuoco
delle navi italiane si svolse in due periodi, tra le 16.43 e le 17.16,
prendendo di mira gli incrociatori britannici che emergevano dalla cortina
nebbiogena; nella prima fase, tra le 16.43 e le 16.52, mentre le distanze
calavano da 17.000 metri a 14.000 metri, il tiro italiano si concentrò sugli
incrociatori Dido, Penelope, Cleopatra ed Euryalus e
sul cacciatorpediniere Legion. Il
tiro delle navi italiane era molto intenso, ma saltuario, in quanto i bersagli
apparivano e scomparivano nella nebbia artificiale.
Alle 16.44 un colpo del
Bande Nere danneggiò l’incrociatore
britannico Cleopatra (nave
ammiraglia di Vian), che ripiegò coperto da cortine nebbiogene e cessò
temporaneamente il fuoco. Le navi italiane sospesero il fuoco alle 16.52 e lo
ripresero alle 17.03, dopo una pausa di undici minuti; il tiro italiano risultò
diretto contro sagome che apparivano molto vaghe, delle quali s’intravedevano
in mezzo alla nebbia artificiale le vampe dei cannoni. La distanza delle navi
britanniche era stimata in 10.000 metri. Alle 17.11 viene nuovamente cessato il
fuoco, dato che le navi di Vian erano interamente avvolte dalla nebbia e non si
riusciva più a vedere niente. Da parte britannica, tra le 17.01 e le 17.12 Cleopatra ed Euryalus impegnarono le navi italiane, che riuscivano a vedere piuttosto
vagamente, a distanza di circa 14.000 metri; tra le 17.03 e le 17.10 anche Dido, Legion e Penelope aprirono
il fuoco, concentrandosi sull’incrociatore italiano più ad ovest. Diverse salve
britanniche caddero vicinissime alla III Divisione, ma nessuna andò a segno.
Alle 17.07 le navi italiane, ritenendo erroneamente di aver avvistato delle
scie di siluri (in realtà, non risulta che siano stati lanciati siluri da parte
britannica in questa fase, anche se i cacciatorpediniere Hero, Havock, Lively e Sikh manovrarono per portarsi in posizione favorevole al lancio),
accostarono per 290°, ma poco dopo tornarono ad assumere rotta 270°.
Il mare grosso, le
condizioni di visibilità in progressivo deterioramento e le cortine nebbiogene
continuamente emesse dalle navi britanniche (praticamente ininterrottamente
dalle 14.42 alle 19.13) per occultare sia i loro movimenti che il convoglio
complicarono molto il puntamento per le navi italiane. Il vento, che spirava a
25 nodi, spinse la nebbia artificiale verso le navi di Iachino.
Alle 17.18 la
formazione italiana accostò per 240° ed alle 17.25 per 250°, riducendo la
velocità a 20 nodi, per accerchiare la forza nemica da ovest; dato però che le
unità britanniche si trovavano sottoposte a continui e pesanti attacchi aerei
(protrattisi fino alle 19.25, e dei quali le navi italiane ebbero sentore sia
perché gruppi di bombardieri ed aerosiluranti passavano non lontano da loro,
sia perché si notava il forte tiro contraereo sopra la cortina nebbiogena che
nascondeva le navi), Iachino decise alle 17.31 di approfittarne e tagliare
verso sud, assumendo rotta 200°, per ridurre le distanze. Le navi di Vian avevano
ricominciato anche a sparare sulle unità italiane, con grande intensità e
considerevole accuratezza, ma senza colpire niente.
Si riprese il fuoco,
ed alle 17.20 il cacciatorpediniere britannico Havock venne colpito ed immobilizzato (riuscì poi a rimettere
in moto a 16 nodi, e Vian gli ordinò di unirsi al convoglio, non essendo più in
grado di partecipare al combattimento); il tiro venne più volte sospeso e
ripreso, anche in conseguenza della pessima visibilità causata dal maltempo e
della nebbia artificiale che ormai aleggiava un po’ ovunque. Alcuni
cacciatorpediniere britannici (Lively,
Sikh, Hero) tentarono di portarsi in posizione idonea a lanciare i
siluri, ma rinunciarono poco dopo. La battaglia si frammentò in molti episodi
minori, in cui entrambe le parti commisero errori di valutazione, si avvicinarono
e si allontanano a più riprese. Il capoconvoglio britannico, imbarcato sulla
cisterna Breconshire, voleva
proseguire verso Malta ed alle 17.20 fece accostare verso ovest con tale
proposito, ma dieci minuti dopo Vian, intuendo che la manovra italiana mirava
ad aggirare il convoglio passando ad ovest della cortina nebbiogena, ordinò che
il convoglio dirigesse nuovamente verso sud. Il tira e molla continuò: il
capoconvoglio accostò di nuovo per sudovest alle 17.45, e Vian lo fece tornare
verso sud alle 18.
Proseguiva, intanto,
il combattimento tra le contrapposte formazioni: alle 17.40 le navi italiane,
ridotte le distanze fino a 14.000 metri, riaprirono il fuoco sugli incrociatori
britannici (i quali governavano alternativamente verso est e verso ovest,
emettendo nebbia artificiale per nascondere il convoglio), che apparivano di
quando in quando in mezzo alla nebbia, continuando a loro volta un tiro
serrato. Alle 17.52, anche se la distanza era calata a 13.000 metri, da parte
italiana venne sospeso il tiro, per la visibilità troppo cattiva, mentre da
parte britannica si continuava a fare fuoco con l’ausilio del radar, ma senza
colpire. Un minuto dopo, la formazione italiana accostò per 220°. Lo stato del
mare andava sempre peggiorando, degenerando a poco a poco in una vera e propria
tempesta: avendo il mare approssimativamente al traverso al sinistra, Trento e Gorizia rollavano in media di 10°-12°, ed il Bande Nere di ben 24°-27°. Alle 17.56 le navi italiane, per ridurre
il violento rollio causato dalla tempesta ed al contempo evitare di modificare
l’orientamento dello schieramento rispetto al nemico (che si trovava a circa 13
km di distanza per 160°), accostarono ad un tempo per 250°, ed alle 18.10
assunsero rotta 280°, allontanandosi dalle navi britanniche (che verso le 18
vennero attaccate da aerosiluranti, visti passare nelle vicinanze dalle navi
italiane), che cessarono così il fuoco.
Le unità britanniche
si avvicinarono ed attaccarono, infruttuosamente, con i siluri: il Cleopatra lanciò infruttuosamente tre
siluri contro la Littorio; Dido, Penelope, Legion, Hasty e Zulu tentarono anch’essi di lanciare i propri siluri, ma non ci riuscirono
per via della nebbia, della scarsa visibilità, delle distanze, del vento e del
mare sempre più mosso. Poi, tutte le navi britanniche ripiegarono verso est,
allontanandosi da quelle italiane.
Alle 18.20 la squadra
italiana, i cui due gruppi procedevano a poca distanza l’uno dall’altro, assunse
rotta 220° ed alle 18.27 rotta 180°, per avvicinarsi al convoglio britannico ed
obbligarlo ad allontanarsi da Malta; i vari gruppi in cui era divisa la squadra
britannica, intanto, si riunirono verso ovest/nordovest per concentrare
l’offesa contro le unità di Iachino, mentre il convoglio tornava a dirigere
verso ovest alle 18.25 e poi di nuovo verso sud alle 18.40.
Alle 18.31 le navi
italiane, ora disposte in linea di fila con la Littorio in testa, aprirono di nuovo il fuoco da 15.000 metri verso
il nemico, che si trovava poco a proravia del loro traverso a sinistra; le navi
britanniche reagirono concentrando il fuoco su Littorio e Gorizia. Nello
stesso momento tutti i gruppi britannici conversero in un punto situato 15
miglia a sudest della Littorio, tra
quest’ultima ed il convoglio (che in quel momento era 23 miglia a sudest della
corazzata italiana), per poi andare all’attacco silurante. Tale attacco, deciso
e ordinato fin dalle 17.59, ebbe inizio alle 18.27 e si concluse alle 18.41; i
cacciatorpediniere britannici, divisi in gruppi, serrarono le distanze, alcuni
fino a soli 5500 metri (mentre tra gli incrociatori il Cleopatra, che appoggia i cacciatorpediniere con le sue
artiglierie, si avvicinò fino a 9000 metri), e lanciarono i loro siluri,
intensamente controbattuti dal tiro delle navi italiane. Nessuno dei siluri
lanciati andò a segno; durante l’attacco, alle 18.41, il tiro del Trento colpì il cacciatorpediniere Kingston, che venne immobilizzato con
gravi danni ed incendio a bordo, mentre alle 18.52 il Lively subì danni e allagamenti per schegge di una salva della Littorio caduta vicinissima. Il
combattimento era accanito; le navi italiane sparavano con tutte le
artiglierie, compresi i pezzi secondari da 100 mm degli incrociatori.
Nonostante l’attacco
dei cacciatorpediniere, la flotta italiana proseguì a 22 nodi sulla rotta 180°;
alle 18.45 tutte le unità accostarono a un tempo per 295°, per evitare i
siluri, riducendo poi la velocità a 20 nodi. Uno dei siluri passò poco a
proravia della Littorio, altri cinque
o sei passarono in mezzo alle navi. Alle 18.51 Iachino ordinò a tutte le navi
di accostare per 330° ed accelerare a 26 nodi, per allontanarsi rapidamente
dalla zona degli attacchi siluranti, anche perché la visibilità era sempre più
ridotta causa la nebbia in aumento (il vento di scirocco la spingeva verso le
navi italiane) ed il mare sempre più mosso. Proprio durante l’accostata, si
verificò l’unico colpo a segno ottenuto dai britannici nel corso della
battaglia: un proiettile da 120 mm, sparato da uno dei cacciatorpediniere, colpì
la Littorio a poppa, causando qualche
danno di modesta entità. Più o meno in questa fase, mentre la battaglia navale
volgeva al termine, le navi britanniche vennero attaccate senza successo da
dodici aerosiluranti Savoia Marchetti S.M. 79 “Sparviero”, decollati da
Catania, tre dei quali vennero abbattuti, e da alcuni bombardieri tedeschi.
Il fuoco venne
cessato da entrambe le parti tra le 18.56 e le 18.58, e poco dopo si perse il
contatto, mentre calava il buio: terminava così, in modo inconcludente, la
seconda battaglia della Sirte.
Calata l’oscurità,
infatti, la flotta italiana, piagata dalla scarsa preparazione al combattimento
notturno (nel quale i britannici erano invece esperti), non era più in grado di
dare battaglia, e per giunta i cacciatorpediniere erano ormai a corto di
carburante: Iachino decise dunque di rientrare alle basi, ordine che venne
confermato da Supermarina alle 20.
Durante il
combattimento, le navi maggiori italiane avevano sparato complessivamente 1511
colpi di grosso e medio calibro; gli incrociatori britannici avevano sparato
tra i 1600 ed i 1700 colpi, ed i loro cacciatorpediniere circa 1300. Da parte
britannica erano stati danneggiati in modo serio il Cleopatra ed i cacciatorpediniere Kingston, Havock e Lively, ed in modo leggero
l’incrociatore Euryalus ed i
cacciatorpediniere Sikh, Lance e Legion, mentre da parte italiana non si erano avuti danni tranne
quelli, pressoché irrilevanti, causati dal colpo da 120 a segno sulla Littorio.
Questi danni
contribuirono ad indebolire seriamente la Mediterranean Fleet (già rimasta
priva di corazzate, dopo l’impresa di Alessandria), almeno temporaneamente, per
quanto concerneva il numero di siluranti a disposizione (tra quelli colpiti
durante la battaglia e le unità danneggiate da aerei e sommergibili negli
stessi giorni, ben tredici cacciatorpediniere della Mediterranean Fleet si
ritrovarono danneggiati in modo più o meno grave), ma dati i rapporti di forza
nella battaglia sarebbe stato lecito aspettarsi, da parte italiana, un
risultato più favorevole. Il convoglio, obiettivo dell’attacco, era scampato
indenne alle navi italiane, anche se la perdita di tempo causata dalle
deviazioni di rotta imposte dalla battaglia avrebbe facilitato gli attacchi aerei
che avrebbero portato, nelle ore successive, alla sua distruzione.
Alle 19.06 la
formazione italiana accostò verso nord, e poco dopo si dispose in un’unica
linea di fila (navi maggiori), con i cacciatorpediniere in posizione di scorta
laterale ravvicinata; alle 19.20 la velocità venne ridotta a 24 nodi, ed alle
19.48, calato completamente il buio, la XIII e la XI Squadriglia si
posizionarono a poppavia delle navi maggiori in doppia colonna, XIII
Squadriglia a dritta e XI a sinistra.
Alle 19.13, intanto,
le navi britanniche cessarono l’emissione di nebbia, ritenendo che ormai la
forza italiana non si sarebbe ripresentata: il convoglio venne finalmente
autorizzato a procedere verso Malta (in formazione diradata, per rendere più
difficile il lavoro dei bombardieri ed aerosiluranti italo-tedeschi), mentre le
navi di Vian facevano ritorno ad Alessandria (tranne Havock e Kingston,
mandati a Malta con il convoglio in considerazione dei danni subiti, ed il Lively, inviato a Tobruk per lo stesso
motivo). Il convoglio britannico avrebbe subito gravi perdite l’indomani, ormai
praticamente sulla porta di casa: gli attacchi aerei dell’Asse avrebbero
affondato la Breconshire ed il
piroscafo Clan Cambpell e messo fuori
uso il cacciatorpediniere Legion
(portato all’incaglio, e poi distrutto durante le riparazioni da altri
bombardamenti su Malta, come pure il Kingston),
mentre il cacciatorpediniere Southwold
sarebbe affondato per urto contro una mina; i due piroscafi superstiti, Pampas e Talabot, sarebbero stati affondati in porto dai bombardamenti, così
che di 25.000 tonnellate di rifornimenti portati dal convoglio meno di 5000 sarebbero
giunti a destinazione.
Il maltempo, frattanto, era
ormai degenerato in una vera e propria tempesta: col mare grosso al traverso,
le navi rollano fortemente, alcune di esse con sbandate paurose. Di conseguenza,
l’ammiraglio Iachino ordinò a tutta la squadra, per fronteggiare meglio il mare
grosso, di accostare per 25° e ridurre la velocità a 20 nodi alle 20.00 (avendo
il mare grosso in poppa, per contenere il forte rollio che poteva portare ad
oscillazioni di ampiezza pericolosa, era opportuno navigare a bassa velocità),
ed alle 20.26 ordinò di assumere rotta 10°. Alle 20.34 Supermarina ordinò a
Iachino di rientrare in porto. Alle 21.17 la velocità venne ridotta a 18 nodi
ed alle 23.57 a 16, sempre per lenire il travaglio dei cacciatorpediniere, ma
la situazione andava peggiorando. La flotta italiana, che nel combattimento appena concluso non aveva
praticamente subito danni, doveva subire due dolorose
perdite durante la navigazione di rientro, non per azione nemica ma per la
furia del mare.
Furono i
cacciatorpediniere, più piccoli e fragili, e in gran parte usurati dalle
frequenti missioni di scorta convogli (i cicli operativi troppo prolungati cui
erano sottoposti avevano effetti negativi soprattutto in termini di logorio
dell’apparato motore), a risentire di più delle condizioni del mare. Molti di
essi iniziarono a manifestare avarie, e tra tutti il primo fu proprio il Lanciere: alle 20.30 la nave, non
riuscendo a mantenere la velocità (già nel pomeriggio, a causa di venti forza
6-7, aveva dovuto ridurre da 30 nodi a 26, e più tardi a 22), rimase indietro,
assumendo rotta 20°.
Per oltre due ore il Lanciere continuò comunque ad avanzare,
battendosi contro la violenza del mare, ma alle 22.45 dovette fermarsi per
riparare delle avarie all’apparato motore, causate dalla forte burrasca; alle
23.15 si dovette mettere alla cappa con una macchina, a lento moto con il mare
in prora. (Secondo il sito www.wrecksite.eu,
che cita "Warship 2009", le macchine del Lanciere si fermarono alle 22.45 a causa della contaminazione del
carburante con acqua di mare; dopo circa mezz’ora la nave riuscì a rimettere in
moto, ma con un’elica sola.) Venne ordinato all’Alpino di prestargli assistenza, ma questi ne fu impossibilitato a
causa del buio pesto e di problemi nel funzionamento del timone.
Nel frattempo,
diversi altri cacciatorpediniere lanciavano drammatici messaggi coi quali
riferivano di avarie e problemi causati dal mare: erano l’Aviere, l’Oriani, lo Scirocco, il Fuciliere, l’Alpino. La
violenza del mare disperse la formazione; all’alba del 23, su un totale di
dieci cacciatorpediniere, soltanto uno era rimasto assieme alle navi maggiori
della forza navale: altri cinque erano rimasti indietro, mentre quattro erano
finiti col trovarsi in posizione molto più avanzata della Littorio. Il mare era ormai diventato forza 8 ed investiva le navi
nei settori poppieri, causando gravi avarie e danni alle sovrastrutture.
Alle 5.31 del 23
marzo il Lanciere riferì via radio
che sarebbe dovuto rimanere alla cappa per tutta la giornata per riparare le
avarie, ma poco dopo la situazione iniziò a precipitare: alle 5.47 il
cacciatorpediniere annunciò via radio «Condizioni nave molto peggiorate causa
notevole quantità acqua imbarcata macchina poppa; sono alla cappa con una sola
macchina; mia posizione probabile 40 miglia per 285° da punto A alle 04.40». La
forza del mare aveva asportato gli osteriggi di macchina, le coperture dei
condotti di ventilazione ed altri elementi della portelleria, ed attraverso le
aperture lasciate scoperte l’acqua si riversava ora all’interno in quantità rapidamente
crescente (per una fonte, alle 5.45 il Lanciere
avrebbe comunicato appunto che stava imbarcando acqua nei locali dell’apparato motore
attraverso gli osteriggi divelti). Tutte e tre le caldaie erano in avaria, e la
nave finì col ritrovarsi immobilizzata e traversata al mare.
A bordo, si tentava
in ogni modo di riparare le avarie e limitare i danni causati dalla furia del
mare. Il tenente del Genio Navale Gaetano Castello (poi decorato di Medaglia di
Bronzo al Valor Militare per la sua condotta in quei tragici momenti), da
Rivarolo Ligure, rimase ferito mentre tentava di spingere un cassone di ferro
che le onde avevano divelto. Il suo parigrado Vittorio Bencini (anch’egli poi
decorato di M.B.V.M.), pisano, si prodigò anch’egli nei tentativi di tenere a
galla la nave; sarebbe sopravvissuto all’affondamento soltanto per spirare su
una zattera dopo la prima notte, come tanti altri.
Il Lanciere non si fece più sentire per
altre quattro ore, nelle quali lottò disperatamente per restare a galla, fin
quando alle 9.48 lanciò in chiaro un S.O.S. indicando la sua posizione come a
35 miglia per 281° dal punto convenzionale A, circa 120 miglia ad est di Malta
(il 23 marzo, il diario del Comando della Kriegsmarine in Italia riportava che «le
ultime notizie ricevute sul cacciatorpediniere Lanciere sono che si trovasse in affondamento, alle 10 del 23
marzo, nel punto 35°37’ N e 17°16’ E»). Poco dopo il cacciatorpediniere fu
investito da un’enorme ondata, che spazzò la poppa con un immenso scroscio
d’acqua.
L’ultimo, drammatico
messaggio del Lanciere, in chiaro,
giunse sulla Littorio alle 10.07 del
23 marzo 1942. Diceva semplicemente: «Stiamo affondando. Viva l’Italia. Viva il
re. Viva il duce».
Un minuto più tardi,
l’ammiraglio Iachino ordinò al Geniere
di dirigersi subito nel punto in cui il Lanciere
stava affondando; al contempo, l’ammiraglio Parona chiese ed ottenne subito
l’autorizzazione di distaccare il Trento
per soccorrere il Lanciere.
Alle 12.15,
purtroppo, il Geniere dovette
comunicare che le condizioni del mare, e le avarie verificatasi nel frattempo
(non riusciva a superare gli otto nodi di velocità, raggiunti con grande
fatica), gli impedivano di proseguire verso il punto indicato dal Lanciere nel suo S.O.S. Dovette
accostare e fare rotta per Augusta (alle 14.40 venne autorizzato a dirigere
invece su Messina).
Persino il Trento, che non era un piccolo
cacciatorpediniere, ma un incrociatore pesante di oltre 10.000 tonnellate,
iniziò ad avere problemi: intorno alle 13.30 dovette ridurre la velocità a 12
nodi a causa dello stato del mare in peggioramento (avendo accostato per andare
in aiuto del Lanciere, aveva il mare
nei quartieri prodieri). Verso le 14.30 il Trento
dovette invertire momentaneamente la rotta a causa di filtrazioni d’acqua
provocate dalle onde sempre più alte (in aggiunta ad esse, vi erano anche alcune
avarie causate dalle concussioni del sostenuto tiro del giorno precedente); riprese
poi la navigazione verso il punto in cui doveva trovarsi il Lanciere, ma alle 18.50, per ordine di
Supermarina, abbandonò le ricerche e diresse per rientrare a Messina.
A quell’ora, erano
passate quasi nove ore da quando il mare aveva inghiottito il Lanciere: subito dopo aver lanciato il
suo ultimo messaggio, alle 10.07 (altra fonte parla delle 10.17), dopo essersi
ingavonato a sinistra, lo sfortunato cacciatorpediniere era infatti affondato
di poppa nel punto approssimato 35°35’ N e 17°15’ E, circa 120 miglia ad est di
Malta.
Nel frattempo, alle
12 del 23 marzo, Supermarina aveva ordinato alla nave ospedale Arno (che era pronta a muovere
all’ordine già dal pomeriggio del 22) di partire da Augusta per dirigersi nella
zona in cui era scomparso il Lanciere.
Il fortissimo vento ostacolò seriamente la manovra di disormeggio dell’Arno (comandante Filippini), alla quale
per giunta s’impigliarono le eliche nelle reti protettive, con conseguente
ritardo; la nave riuscì a salpare effettivamente da Augusta, con l’ausilio di
qualche rimorchiatore, soltanto alle 18.45.
Oltre all’invio dell’Arno, i provvedimenti presi da
Supermarina prevedevano anche, per il 24 marzo (le condizioni meteo erano tali
da impedire ogni tentativo del genere per il 23), l’esplorazione con
idrovolanti CANT Z. 506 da ricognizione marittima di una vasta area delimitata
dal parallelo presso il quale si era svolta la battaglia, dal parallelo di
Siracusa, dal meridiano del punto A (35°30’ N e 18°00’ , punto verso il quale
si era diretto il gruppo «Littorio» alla partenza da Taranto) e dalle coste
della Sicilia. Sempre il 24 marzo dovevano prendere il mare per le ricerche il
cacciatorpediniere Folgore
(capitano di corvetta Renato D’Elia) e la torpediniera Pallade. Oltre ai naufraghi del Lanciere, si cercavano anche quelli
dello Scirocco, del quale non si
avevano più notizie fin dal primo mattino del 23 marzo (era affondato,
presumibilmente, intorno alle 5.45).
La Pallade ed il Folgore salparono da Messina alle 6.35
del 24, con l’ordine di raggiungere il punto 36°24’ N e 16°02’ E, a 46 miglia
per 111° da Capo Passero (si trattava del punto stimato di massima deriva
possibile per lo Scirocco). Pallade e Folgore arrivarono nel punto prestabilito alle 15, dopo di che
iniziarono la ricerca lungo la direttrice 115°, in linea di fronte a qualche
chilometro l’uno dall’altro; percorse 50 miglia, invertirono la rotta,
spostandosi cinque miglia più a nord. La ricerca proseguì fino alle 19.30, ma
non fu trovato nulla: le due navi ricevettero ordine di tornare ad Augusta,
dove giunsero il giorno seguente (il Folgore
alle 10.10, la Pallade alle 13.50)
dopo aver dovuto affrontare anche un’improvvisa burrasca da nord, che causò
loro danni e avarie.
Più fruttuosa fu la
ricerca dell’Arno. Non appena ebbe
lasciato la rada di Augusta, la nave ospedale ebbe subito a che fare con la
violenza del mare grosso e col fortissimo vento da Scirocco; per tutta la notte il bastimento beccheggiò violentemente,
con la coperta spazzata continuamente dal mare.
Raggiunto il punto
indicato alle 5.30 del 24 marzo, l’Arno
setacciò per tutto il giorno il mare circostante, proseguendo anche dopo il
tramonto con l’ausilio dei proiettori; soltanto alle 21.50 le luci dei suoi
proiettori riuscirono finalmente a trovare dei sopravvissuti del Lanciere, quattro, a bordo di una
zattera. Nonostante le terribili condizioni del mare, l’Arno riuscì ad ammainare una lancia di salvataggio che recuperò i
quattro uomini e venne poi ripresa a bordo con notevole abilità marinaresca.
Rimesso in moto alle
23, dopo 25 minuti l’Arno avvistò una
seconda zattera, avente anch’essa a bordo quattro naufraghi del Lanciere; le condizioni del mare erano
peggiori di prima, ma anche questi uomini poterono essere tratti in salvo.
La nave proseguì poi
le ricerche con i proiettori; alle 7.25 del 25 marzo localizzò un terzo
zatterone con a bordo un unico sopravvissuto, che venne anch’egli tratto in
salvo.
I nove sopravvissuti
recuperati, tutti del Lanciere, erano
il tenente di vascello Giuseppe Pollastri (direttore del tiro sul Lanciere), il guardiamarina Nicolò
Gazzolo, il capo radiotelegrafista di seconda classe Giuseppe Sozio, il
sottocapo silurista Dino Manari, il silurista Gino Mondin, i cannonieri Amerigo
Scotto, Pietro Dell’Isola e Pasquale Marzulla, ed il fuochista Stefano
Laghezza. Uno di essi, Gino Mondin, morì purtroppo sull’Arno pochi minuti dopo il salvataggio, per paralisi cardiaca.
L’Arno proseguì le ricerche per altri
quattro giorni, fino al tramonto del 28 marzo, spostandosi in base agli ordini
di Supermarina ed avvalendosi sia dell’aiuto degli aerei inviati in
esplorazione, sia dei consigli dei due ufficiali superstiti del Lanciere, Pollastri e Gazzolo, ma nessun
altro superstite venne recuperato dopo le 7.25 del 25 marzo. Vennero trovati
soltanto zatteroni vuoti, che l’Arno
provvide comunque a recuperare, e rottami galleggianti in mezzo a chiazze di
nafta.
L’Arno fece infine ritorno ad Augusta il
29 marzo, con a bordo otto superstiti del Lanciere.
Quanto agli
idrovolanti, nella giornata del 24 marzo essi non riuscirono ad avvistare
nulla, causa il maltempo e la pessima visibilità.
Alle 8.10 del 25
marzo un idrovolante e avvistò un battello con tre naufraghi nel punto 35°40’ N
e 16°58’ E (a circa 110 miglia per 126° da Capo Passero); non poté ammarare a
causa dello stato del mare, quindi comunicò l’avvistamento all’Arno e rimase sul posto per tenere
d’occhio il galleggiante. Tutto inutile: il battellino fu perso di vista, e né
altri due idrovolanti inviati a cercarlo, né l’Arno sopraggiunta più tardi riuscirono a ritrovarlo. Non si
saprà mai se fossero naufraghi del Lanciere o
dello Scirocco.
Alle 12.40 del 26
marzo, invece, un altro idrovolante riuscì a salvare sette naufraghi del Lanciere da due battelli, in posizione
35°12’ N e 17°24’ E (circa 140 miglia per 130° da Capo Passero, e circa 25
miglia a sud del punto indicato dal Lanciere
nel suo S.O.S.: tale spostamento era dovuto al forte vento da nord che aveva
tirato in quella zona). I sette uomini erano il tenente del Genio Navale
Direzione Macchine Gaetano Castello, il sottocapo silurista Arturo Borillo, i
marinai Luigi Calvi e Virgilio Dandolo, i cannonieri Francesco Spizzica ed Ugo
Febbraro ed il cannoniere artefice Quarto Poli.
Ai loro soccorritori,
dissero che in origine c’erano stati circa 70 uomini aggrappati ai due battelli
su cui si trovavano: ma soltanto loro sette erano rimasti vivi. L’equipaggio
dell’idrovolante, infatti, notò che una vasta area attorno al punto del salvataggio
era cosparsa di numerosi cadaveri galleggianti, relitti ed un’ampia chiazza di
nafta.
Su 241 o 242 uomini
che formavano l’equipaggio del Lanciere,
soltanto in 15 erano sopravvissuti; tutti i superstiti, tranne uno, erano
feriti. Il mare aveva inghiottito il comandante Costanzo Casana, altri 8
ufficiali e 217 o 218 tra sottufficiali, sottocapi e marinai del Lanciere.
Delle vittime,
soltanto sette corpi poterono essere recuperati.
Dell’equipaggio dello
Scirocco vennero recuperati soltanto
due sopravvissuti (su 236 uomini), anch’essi salvati il 26 marzo da un
idrovolante.
Successive analisi
avrebbero indicato le cause della perdita del Lanciere nell’usura dell’apparato motore e nella eccessiva
leggerezza e non sufficiente tenuta della portelleria, la cui asportazione
aveva trasformato molti osteriggi in vere e proprie vie d’acqua. La
contaminazione del carburante, inoltre, poteva essere segno di una possibile
rottura nelle piastre dello scafo.
La relazione al
Comando in Capo delle Forze Navali della Commissione (contrammiraglio Amedeo
Nomis di Pollone, colonnello del Genio Navale Ugo Zambon e maggiore del Genio
Navale Mario Mandina) formata per appurare i danni subiti dai
cacciatorpediniere nel corso della tempesta (sia i due che erano affondati, sia
i vari altri che avevano riportato danni ed avarie) e le relative cause, datata
5 maggio 1942, rilevò problemi relativi sia al materiale che al personale. In
merito al materiale, si trovava che: alcuni portelli orizzontali e verticali
non erano abbastanza robusti, ed i relativi sistemi di chiusura erano
imperfetti dal punto di vista della sicurezza e della rapidità di
funzionamento; alcune condotte di ventilazione e prese d’aria potevano dar
luogo ad entrate d’acqua, sia per la loro ubicazione troppo esposta, sia per la
loro costruzione non stagna (particolarmente pericolose erano ritenute le
condotte d’aria dei locali turbodinamo e diesel-dinamo, dei locali motrici e
gli sfoghi d’aria dei depositi di nafta ed acqua); la coperta delle navi era
troppo ingombra di materiali la cui presenza a bordo e la cui sistemazione in
luogo esposto al mare non erano sempre giustificate dalle necessità di pronto
impiego (ad esempio cassoni metallici per conservazione di materiali, stipi,
stipetti); il materiale sistemato in coperta (per esempio le tramogge ed i
cestelli delle b.t.g., le scale e plance da sbarco, i salvagente Carley, i
rulli portatavi) spesso non era solidamente fissato al ponte ed adeguatamente
rizzato se mobile (tali materiali offrivano forte resistenza ai colpi di mare
e, qualora divelti, potevano provocare deformazioni e rotture di portelleria,
maniche a vento, sfoghi d’aria e condotte di aerazione con conseguenti vie
d’acqua); alcune difese di sovrastrutture e paragambe, soprattutto a centro
nave ed a poppa (impianti lancia siluri e artiglierie poppiere), erano troppo
deboli e soggette a deformazioni o strappamenti per la violenza del mare; i
sistemi di esaurimento delle sentine e dei doppifondi (eiettori) potevano a
volte essere compromessi nel loro funzionamento per difficoltà di verifica
delle pigne di aspirazione, non agevolmente accessibili. Circa la condotta del
personale, la commissione rilevava che: alcuni materiali mobili non erano stati
rizzati in modo sufficiente, ed erano stati così asportati da colpi di mare,
provocando con i loro urti la deformazione e la rottura di diverse sistemazioni
come la portelleria, gli sfoghi d’aria, i condotte di aerazione, i portavoci ed
altro (i danni più gravi e pericolosi erano stati causati dalle bombe torpedini
da getto liberatesi dai rispettivi cestelli, e dalle plance da sbarco e dalle
imbarcazioni asportate dalle loro sistemazioni di sgombro); non tutti i funghi
di aerazione erano stati ermeticamente chiusi; in alcuni casi le maniche a
vento di aerazione naturale non erano state tolte dal posto e sostituite dagli
appositi tappi, come era indispensabile fare in caso di mare agitato; non tutta
la portelleria era ermeticamente chiusa. Si puntualizzava che l’efficienza
degli equipaggi doveva essere stata negativamente influenzata sia dalla
stanchezza legata alla battaglia (gli equipaggi di alcune navi non avevano
potuto prendere regolarmente i pasti durante la giornata del 22), sia dagli
effetti delle condizioni meteomarine. Inoltre, le rotte seguite e le velocità
assunte sia durante l’avvicinamento al nemico che dopo la battaglia, avevano
probabilmente facilitato il verificarsi di avarie e danni. L’alta velocità
mantenuta prima e durante il combattimento, col mare al moscone o al traverso a
sinistra, aveva cagionato alcuni inconvenienti iniziali cui non si poté porre
rimedio immediatamente, e che ebbero poi conseguenze ben più nefaste durante la
successiva navigazione notturna, quando le condizioni del mare erano fortemente
peggiorate.
La commissione
concludeva dunque che i danni causati ai cacciatorpediniere dalla tempesta
erano «da attribuirsi in massima parte a deficienze delle sistemazioni, le
quali hanno consentito notevoli infiltrazioni di acqua nell’interno dello scafo
e non hanno permesso di esaurire i locali con la necessaria efficacia»; in
parte, tuttavia, le avarie erano dovute anche a «deficienza di manutenzione e
di preparazione al mare da parte del personale di bordo. In qualche caso poi lo
stesso personale non ha saputo reagire con sufficiente energia alle conseguenze
delle molte avarie che sopravvenivano, probabilmente stancato dalla lunga
navigazione ad elevata velocità, dal duro combattimento, e dalle condizioni
veramente eccezionali del mare. In molti casi invece il personale ha
strenuamente lottato contro la difficile situazione in cui si è venuto a
trovare, dimostrando ancora una volta grande spirito di abnegazione e di
sacrificio». Risultava chiario che «i cc.tt. partecipanti alla missione di
guerra in questione non erano sufficientemente attrezzati ad affrontare e
sostenere una navigazione con mare eccezionalmente grosso in condizioni
particolarmente difficili. Ciò è da attribuire anzitutto a deficienze varie
delle sistemazioni di bordo, in secondo luogo all’azione del personale che in
taluni casi non è stata adeguata alle circostanze, sia nel preparare
convenientemente l’unità alla navigazione, che nel provvedere con la necessaria
tempestività ed energia ad eliminare gli inconvenienti che si manifestavano e
ad adottare adeguati mezzi di fortuna». Si suggerivano poi vari provvedimenti
da adottare, sia in merito alla costruzione di sistemazioni ed apparati interni
ed esterni, sia in merito al comportamento degli equipaggi, per evitare il
ripetersi di simili tragedie.
Scomparvero nell’affondamento
del Lanciere:
Alberto Accinelli, capo meccanico di seconda
classe, disperso
Luigi Albano, sottocapo elettricista, disperso
Mario Alessandrelli, sottocapo
radiotelegrafista, disperso
Paride Alfieri, marinaio cannoniere, disperso
Salvatore Anselmo, marinaio fuochista,
disperso
Lizio Nello Antonucci, sottocapo meccanico,
disperso
Armando Appignani, marinaio S.D.T., disperso
Stefano Arcadi, marinaio cannoniere, disperso
Antonino Aricò, marinaio, disperso
Antonio Arisi, capo segnalatore di seconda
classe, disperso
Giuseppe Arlotta, marinaio fuochista, disperso
Aniello Arnese, marinaio fuochista, disperso
Giuseppe Aschiero, marinaio S.D.T., deceduto
Francesco Atzori, marinaio fuochista, disperso
Antonio Aversa, marinaio, disperso
Antonio Azzaretti, marinaio cannoniere,
deceduto
Renzo Bandinelli, marinaio torpediniere,
disperso
Aleandro Barbieri, sottocapo S.D.T., disperso
Filippo Barbieri, sottocapo radiotelegrafista,
disperso
Marcello Barletta, marinaio, deceduto
Terenzio Baroni, marinaio, disperso
Felice Basile, marinaio silurista, disperso
Michele Basso, marinaio cannoniere, disperso
Vincenzo Baudoni, secondo capo furiere,
disperso
Gaspare Beltrachini, sottotenente commissario,
disperso
Vittorio Bencini, tenente del Genio Navale,
deceduto
Cesare Benfenati, marinaio cannoniere,
disperso
Mario Berticelli, marinaio cannoniere,
disperso
Antonio Bertolasio, marinaio, disperso
Antonio Biondi, marinaio radiotelegrafista,
disperso
Armando Bisi, marinaio, deceduto
Agostino Bobbi, marinaio fuochista, disperso
Giovanni Battista Bonavera, marinaio
fuochista, disperso
Bruno Bonetti, sottocapo nocchiere, deceduto
Sergio Bonora, marinaio, disperso
Ezio Borettini, marinaio cannoniere, disperso
Vittorio Borracci, marinaio, disperso
Carlo Borrello, capitano di corvetta, deceduto
Amedeo Bortoletto, secondo capo S.D.T.,
deceduto
Ciro Bosco, marinaio cannoniere, deceduto
Virginio Bottero, marinaio cannoniere,
disperso
Vito Bramato, marinaio, disperso
Mario Branca, marinaio silurista, disperso
Angelo Brignoli, marinaio cannoniere, disperso
Giovanni Brina, marinaio, disperso
Mario Brumana, marinaio cannoniere, disperso
Ferruccio Buscaglia, sottocapo cannoniere,
disperso
Michele Cagnazzo, sottocapo infermiere,
disperso
Giovanni Battista Calcagno, sottocapo S.D.T.,
disperso
Ilio Calistri, marinaio elettricista, disperso
Giuseppe Caminiti, marinaio cannoniere,
disperso
Antonio Canepa, marinaio fuochista, deceduto
Francesco Cannava, marinaio fuochista,
deceduto
Giordano Cappello, marinaio fuochista,
disperso
Michele Capuano, marinaio, deceduto
Morando Cardinaletti, marinaio cannoniere,
disperso
Carmine Carino, marinaio fuochista, deceduto
Oriente Casali, marinaio, disperso
Costanzo Casana, capitano di fregata
(comandante), disperso
Odino Cattarin, marinaio cannoniere, disperso
Mario Ceccarini, sottocapo cannoniere,
disperso
Giovanni Chierico, marinaio fuochista,
disperso
Mario Cioni, marinaio S.D.T., disperso
Gino Ciriello, marinaio, disperso
Daniele Colombo, marinaio torpediniere,
disperso
Mario Colombo, marinaio fuochista, disperso
Gaetano Colucci, marinaio, disperso
Faido Conti, marinaio fuochista, disperso
Gino Coppedè, marinaio, disperso
Giosuè Corrao, marinaio, disperso
Umberto Cortigiano, marinaio motorista,
disperso
Eugenio Crosetto, secondo capo cannoniere,
disperso
Giovanni Cucchiaroni, secondo capo
segnalatore, disperso
Nicola D’Anchera, sottocapo radiotelegrafista,
disperso
Italo Giovanni D’Andrea, capo
radiotelegrafista di terza classe, disperso
Luigi Dalle Donne, marinaio cannoniere,
disperso
Gino Dalmaschio, marinaio cannoniere, deceduto
Pasquale De Filippis, marinaio fuochista,
deceduto
Giovanni De Lellis, marinaio cannoniere,
disperso
Rolando De Leo, sottocapo motorista, disperso
Bruno Della Fiorentina, secondo capo furiere,
disperso
Salvatore Di Benedetto, marinaio cannoniere,
disperso
Francesco Di Legge, sottocapo cannoniere,
disperso
Gennaro Di Luca, marinaio fuochista, disperso
Giovanni Di Monte, sottocapo cannoniere,
disperso
Pasquale Di Pierino, sottocapo cannoniere,
disperso
Antonino Di Vincenzo, marinaio cannoniere,
disperso
Sabato Esposito, marinaio, disperso
Domenico Evangelista, sottocapo segnalatore,
disperso
Vincenzo Fais, marinaio cannoniere, disperso
Federico Falanga, marinaio fuochista, disperso
Romedio Fantoma, sottocapo nocchiere, disperso
Guido Ferrando, sottocapo fuochista, disperso
Ezio Ferretti, marinaio fuochista, disperso
Silverio Fina, marinaio cannoniere, disperso
Giuseppe Franzoni, marinaio cannoniere,
disperso
Rinaldo Gabriellini, capo meccanico di seconda
classe, disperso
Francesco Gaggero, marinaio fuochista, disperso
Tommaso Gaglione, marinaio fuochista, disperso
Bruno Galeotti, marinaio, disperso
Alfonso Gallo, secondo capo cannoniere,
disperso
Gaetano Gallo, marinaio, disperso
Alessandro Garbuglia, marinaio, disperso
Natalino Gares, marinaio cannoniere, disperso
Edner Gasperini, sottocapo elettricista,
disperso
Giuseppe Ghezzi, capo nocchiere di terza
classe, deceduto
Paolo Giacalone, marinaio, disperso
Alberto Gianni, marinaio, disperso
Adelio Giavedoni, marinaio fuochista, deceduto
Nilo Gionta, sottocapo cannoniere, disperso
Alfredo Giuliani, marinaio S.D.T., disperso
Leonardo Giuliano, marinaio, disperso
Franco Gottardi, marinaio cannoniere, disperso
Domenico Guada, secondo capo meccanico,
disperso
Francesco Iaccarino, marinaio fuochista,
disperso
Alberigo Lalia, marinaio, disperso
Guerrino Lanzi, sottocapo cannoniere, deceduto
Beniamino Lastretti, marinaio cannoniere,
disperso
Nunzio Lauretta, marinaio, disperso
Carlo Luinetti, marinaio cannoniere, deceduto
Vitantonio Luisi, sottocapo meccanico,
disperso
Filippo Madoni, capo elettricista di terza
classe, disperso
Mario Maffei, capo meccanico di terza classe,
disperso
Ilio Magnani, secondo capo meccanico, deceduto
Giovanni Malusà, marinaio fuochista, disperso
Luciano Manfrin, sottocapo torpediniere,
deceduto
Giuseppe Manica, marinaio cannoniere, disperso
Gennaro Manna, marinaio, disperso
Ottorino Manni, marinaio cannoniere, disperso
Giuseppe Manzi, marinaio, disperso
Adalino Marchini, sottocapo cannoniere,
disperso
Vincenzo Marino, marinaio fuochista, disperso
Mario Martelli, capitano C.R.E.M., disperso
Giuseppe Martinelli, marinaio, disperso
Alfonso Mascetti, secondo capo
radiotelegrafista, disperso
Carmine Maulà, marinaio, disperso
Carmelo Mazzotta, marinaio fuochista, disperso
Michele Melone, capo meccanico di seconda
classe, disperso
Severino Meloni, secondo capo S.D.T., disperso
Carmine Minichini, sottocapo cannoniere,
disperso
Calogero Miragliotta, marinaio, disperso
Vittorio Mollo, sergente elettricista,
disperso
Gino Mondin, marinaio silurista, deceduto
Nicola Monte, marinaio, disperso
Fulvio Monteverdi, marinaio fuochista,
disperso
Vittorio Morbidoni, marinaio cannoniere,
deceduto
Attilio Moschini, marinaio, disperso
Domenico Musto, marinaio fuochista, disperso
Mario Naldini, sergente cannoniere, disperso
Gennaro Napolitano, marinaio fuochista,
disperso
Pasquale Nardone, marinaio, disperso
Antonio Nocera, marinaio, disperso
Giovanni Notturno, marinaio fuochista,
disperso
Giuseppe Oliva, marinaio fuochista, disperso
Vito Pacicca, marinaio nocchiere, disperso
Guido Pagan, marinaio, disperso
Giuseppe Paglialunga, sottocapo S.D.T.,
disperso
Paolo Palmisano, marinaio, disperso
Enzo Panfili, marinaio fuochista, disperso
Giovanni Pantaleo, sottocapo cannoniere,
disperso
Alberto Pavanati, guardiamarina, disperso
Salvatore Pegazzano, capo meccanico di prima
classe, disperso
Giovanni Pellegrino, sergente cannoniere,
disperso
Ugo Perna, sottocapo radiotelegrafista,
disperso
Donato Perricci, sergente cannoniere, deceduto
Giovanni Persurich, sottocapo fuochista,
disperso
Nunziato Piccolillo, marinaio fuochista,
disperso
Giovanni Pigoni, sottocapo meccanico, disperso
Giuseppe Pisani, sottocapo nocchiere, disperso
Cosimo Pizzoleo, marinaio, disperso
Mario Pobega, marinaio fuochista, disperso
Umberto Polimene, marinaio fuochista, disperso
Italo Pomo, secondo capo radiotelegrafista,
disperso
Giovanni Porta, secondo capo furiere, deceduto
Mario Luigi Quintavalle, capo silurista di
seconda classe, deceduto
Oliviero Ragni, sottocapo cannoniere, disperso
Pasquale Rallo, marinaio fuochista, disperso
Andrea Ranieri, secondo capo cannoniere,
disperso
Maggiorino Reimondo, marinaio cannoniere,
disperso
Enrico Renzo, marinaio, disperso
Alfredo Riccio, marinaio furiere, disperso
Ferruccio Rode, marinaio cannoniere, disperso
Adelio Rodi, marinaio elettricista, disperso
Antonino Romeo, marinaio fuochista, disperso
Saverio Romeo, secondo capo cannoniere,
disperso
Ugo Ronchi, marinaio cannoniere, disperso
Giovanni Rosada, marinaio, deceduto
Ugo Rosso, sottotenente di vascello, disperso
Giuseppe Ruggiero, marinaio, deceduto
Alfredo Salvador, capo meccanico di terza
classe, disperso
Alessandro Sambiase, sottocapo elettricista,
disperso
Giorgio Santaera, marinaio fuochista, disperso
Cataldo Sardiello, sottocapo cannoniere,
disperso
Vincenzo Sarnacchiaro, capo cannoniere di
prima classe, disperso
Sebastiano Scarsi, sergente silurista,
disperso
Augusto Schiatti, sergente cannoniere,
disperso
Virgilio Scintu, secondo capo S.D.T., disperso
Otto Scrobogna, marinaio fuochista, disperso
Calogero Seddio, marinaio fuochista, disperso
Francesco Soddano, sottocapo cannoniere,
disperso
Mario Sponsali, sergente S.D.T., disperso
Domenico Srkoc, marinaio, disperso
Francesco Staffieri, sottocapo cannoniere,
disperso
Luigi Stasi, marinaio cannoniere, disperso
Aldo Taglialegna, marinaio cannoniere,
disperso
Benedetto Testa, sottocapo furiere, disperso
Francesco Todisco Grande, marinaio cannoniere,
disperso
Ermanno Tomalino, marinaio fuochista, disperso
Vittorino Tomasoni, sergente cannoniere,
disperso
Umberto Toscano, marinaio fuochista, disperso
Antonio Trapani, sottotenente di vascello
(ufficiale di rotta), disperso
Salvatore Uneddu, marinaio, disperso
Adamo Valentin, marinaio, disperso
Gino Vezzosi, marinaio, disperso
Guglielmo Vianelli, marinaio nocchiere,
disperso
Orazio Villari, marinaio fuochista, disperso
Giuseppe Visone, marinaio fuochista, disperso
Rocco Vitulli, sottocapo meccanico, disperso
Armando Volontè, marinaio fuochista, disperso
Egidio Zoli, marinaio cannoniere, disperso
Angelo Zoncada, marinaio cannoniere, disperso
Membri dell’equipaggio del Lanciere deceduti o dispersi in altre
date e circostanze:
Diego Balbi, marinaio fuochista, deceduto nel
Mediterraneo Centrale il 17/8/1942 (*)
Giovanni Fiorenza, marinaio fuochista,
deceduto nel Mediterraneo Centrale il 27/11/1940
Michele Fragomeno, marinaio segnalatore,
disperso nel Mediterraneo Centrale il 24/9/1942 (*)
Bruno Langianni, marinaio elettricista,
disperso nel Mediterraneo Centrale il 24/9/1942 (*)
Domenico Narcisi, marinaio fuochista, deceduto
nel Mediterraneo Centrale il 3/4/1941
Augusto Rosso, marinaio, deceduto in
territorio metropolitano il 9/3/1942
Enzo Simonelli, marinaio fuochista, deceduto
nel Mediterraneo Centrale il 27/11/1940
(*) Non
si trova spiegazione per i tre uomini la cui data di morte è successiva a
quella della perdita del Lanciere, se
non con un errore: o non facevano parte dell’equipaggio del Lanciere, o è sbagliata la data
riportata (24/9/1942, ad esempio, potrebbe essere un errore di scrittura, e la
data reale potrebbe essere 24/3/1942, in linea con la data di affondamento del Lanciere).
La motivazione della
Medaglia d’Oro al Valor Militare conferita alla memoria del capitano di fregata
Costanzo Casana, nato a Genova il 18 gennaio 1900:
“Comandante di Ct.
facente parte di una Squadriglia di scorta ad una Divisione Incrociatori,
partecipava a lungo e violento combattimento navale, dimostrando ottime doti di
comando, aggressività e sprezzo del pericolo.
Caduta la notte, mentre la sua nave era seriamente danneggiata e messa in
pericolo da un fortunale d'eccezionale violenza, dava tutte le disposizioni
atte a combattere l'azione devastatrice delle onde. La sua azione di eroico
animatore e d'intrepido marinaio veniva, però, sopraffatta dalla violenza del
mare che rendeva vani gli sforzi del suo equipaggio. Quando ogni speranza fu
perduta e la nave stava per soccombere, sapeva donare ai suoi uomini, che con
fierezza lo avevano seguito in combattimento, anche la forza spirituale di
affrontare serenamente l'istante supremo. Unito a loro, in un sublime atto di
fede, lanciava anche sulle vie dell'etere il duplice grido di "Viva
l'Italia - Viva il Re", perché tutti i marinai d'Italia potessero
raccoglierlo a testimonianza del tradizionale spirito eroico della nostra
gente.
S'inabissava infine con la sua nave, alla cui sorte si sentiva legato al di là
della vita, con la bandiera di combattimento spiegata al vento.
Mediterraneo Orientale, 23 marzo 1942.”
La stessa immagine del varo presente a inizio pagina, dopo un intervento di colorizzazione da parte di Roby Adolfo Bellotti (da Facebook). |
Una piccola precisazione: il comandante del Lanciere dopo il suo ripristino nel 1941 (e sino al gennaio 1942) fu il CF Giulio Di Gropello (nato a Pinerolo il 4 luglio 1904), non il CF Giovanni (nato il 28 febbraio 1902, che durante la guerra comando' il Grecale e in seguito l'Italia nel 1945). Forse era il fratello? Saluti
RispondiEliminaLa ringrazio, provvedo subito a correggere. Non so se vi fossero rapporti di parentela...
EliminaIl comandante in seconda, e' CC Carlo Borello (MBVM memoria), non Borrello.
RispondiEliminaSull'albo dei caduti e dispersi dell'USMM c'è scritto Borrello...
EliminaR. CT. Lanciere e la sua storia.
RispondiElimina(mio fratello)
Ho ritrovato fra l'elenco dei marinai dispersi,il nome di mio Zio (Oriente Casali) che non ho potuto conoscere da vivo. Un'emozione che mi ha fatto venire le lacrime ed un groppo alla gola. Chissà se qualcuno ha delle foto dell'equipaggio o Sue notizie in merito, con la speranza di poterlo riconoscere. Ringrazio vivamente Gildo Casali Tel.3381008051. Un abbraccio ai parenti di tutti i marinai dispersi nel tragico naufragio.
RispondiEliminaSto scrivendo una storia che riguarda il CT Lanciere, e mio fratello che era imbarcato nel momento del disastro, ma si salvò....non dico come...tratto da alcuni lembi del suo diario, molto poco leggibile, e dal suo orologio cronografo "Vulcain" lasciatomi, e che conservo con molta gelosia...
RispondiEliminaAnch'io avevo lo zio Marcello Barletta, chissà c'è esistono ancora le foto dell'equipaggio
RispondiElimina