venerdì 10 febbraio 2017

DM 10 Aquila

L’Aquila a Mazara del Vallo (g.c. Pietro Berti, via www.naviearmatori.net

Dragamine ausiliario, già motoveliero da carico (nave goletta) di 305 tsl e 237 tsn, lungo 42,90 metri, largo 8,40 e pescante 4,19. Lo scafo era in quercia e pino, con un ponte e due ordini di bagli foderato in metallo giallo, tre alberi e bompresso in pitch pine e pino.
Appartenente all’armatore viareggino Emilio Dominici (o Domenici), iscritto con matricola 200 al Compartimento Marittimo di Viareggio.

Breve e parziale cronologia.

1904
Costruito dal cantiere G. B. Calamaro di Savona come barcobestia (nave goletta) di 306,5 tsl e 243 tsn, originariamente privo di motore.
Il suo nome originario è Adelaide, poi cambiato in Adelaide Margherita.
1912-1913
Ribattezzato Aquila (altra fonte posticipa il cambiamento di nome al suo acquisto da parte dell’armatore Dominici di Viareggio).
Primi anni ’20
Acquistato dall’armatore Emilio Dominici di Vareggio, che installa un motore diesel ausiliario Humboldt Deutzmotoreu da 145 cavalli asse. Tra i suoi comandanti vi sono il capitano G. Genovali e lo stesso Dominici.
17 ottobre 1940
Requisito a Viareggio dalla Regia Marina ed iscritto con sigla D.M. 10 nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato. Trasformato in dragamine magnetico (per altra fonte risulterebbe iscritto nella categoria delle «navi da crociera», cioè le navi scorta/pattugliamento ausiliarie).

L’affondamento

Alle 22.45 del 21 settembre 1942 l’Aquila era in navigazione da Pantelleria a Tripoli insieme ad un altro dragamine ausiliario, il S. Michele, quando venne avvistato su rilevamento 240° dal sommergibile britannico P 46 (poi divenuto Unruffled, al comando del tenente di vascello John Samuel Stevens).
Dapprima l’unità britannica avvistò soltanto la sagoma di una nave che procedeva oscurato verso sud, e si avvicinò per vederci chiaro: alle 00.17 del 22 Stevens identificò la nave come una grossa goletta a tre alberi, a poppavia della quale navigava un’altra più piccola imbarcazione a motore, che non riuscì ad identificare (il S. Michele).

Il comandante britannico decise di attaccare il motoveliero col cannone: all’1.05, in posizione 35°33’ N e 11°08’ E, aprì il fuoco da 915 metri, continuando intanto a serrare le distanze. Il P 46 sparò in tutto dodici colpi: otto di essi andarono a segno, incendiando l’Aquila, che venne abbandonato dall’equipaggio (poi tratto in salvo al completo da unità italiane). Il motoveliero continuò a bruciare per almeno quattro ore, prima di inabissarsi a 8 miglia per 40° da Mahdia (Mehedia, Tunisia).

Non vi furono vittime; dei 26 uomini che formavano l’equipaggio dell’Aquila, tre rimasero feriti, due dei quali in modo grave.


L’affondamento dell’Aquila nel giornale di bordo dell’Unruffled (da Uboat.net):

20 September 1942

2245 hours - Sighed a darkened ship bearing 240°. The target was proceeding to the south. Closed to investigate.

21 September 1942

0017 hours - The vessel was identified as a large three-masted auxiliary schooner. A small motor craft was seen astern. Decided to attack the schooner with gunfire. The small craft was difficult to identify. It could not be seen if it was an escort.

0105 hours - In position 35°33'N, 11°08'E opened fire on the schooner from 1000 yards and still closing. 12 rounds were fired for 8 hits. The crew was seen to abandon ship. The schooner was set on fire and this could still be seen 4 hours later. The small boat was not seen again but later it was thought she was seen picking up survivors.”
 

L’Aquila a Poole (Inghilterra) nel 1923 (g.c. Mauro Millefiorini).

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