L’Aquila a Mazara del Vallo (g.c. Pietro Berti, via www.naviearmatori.net)
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Dragamine ausiliario,
già motoveliero da carico (nave goletta) di 305 tsl e 237 tsn, lungo 42,90
metri, largo 8,40 e pescante 4,19. Lo scafo era in quercia e pino, con un ponte
e due ordini di bagli foderato in metallo giallo, tre alberi e bompresso in
pitch pine e pino.
Appartenente
all’armatore viareggino Emilio Dominici (o Domenici), iscritto con matricola
200 al Compartimento Marittimo di Viareggio.
Breve e parziale cronologia.
1904
Costruito dal
cantiere G. B. Calamaro di Savona come barcobestia (nave goletta) di 306,5 tsl
e 243 tsn, originariamente privo di motore.
Il suo nome
originario è Adelaide, poi cambiato
in Adelaide Margherita.
1912-1913
Ribattezzato Aquila (altra fonte posticipa il
cambiamento di nome al suo acquisto da parte dell’armatore Dominici di
Viareggio).
Primi anni ’20
Acquistato
dall’armatore Emilio Dominici di Vareggio, che installa un motore diesel
ausiliario Humboldt Deutzmotoreu da 145 cavalli asse. Tra i suoi comandanti vi
sono il capitano G. Genovali e lo stesso Dominici.
17 ottobre 1940
Requisito a Viareggio
dalla Regia Marina ed iscritto con sigla D.M.
10 nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato. Trasformato in dragamine
magnetico (per altra fonte risulterebbe iscritto nella categoria delle «navi da
crociera», cioè le navi scorta/pattugliamento ausiliarie).
L’affondamento
Alle 22.45 del 21
settembre 1942 l’Aquila era in
navigazione da Pantelleria a Tripoli insieme ad un altro dragamine ausiliario,
il S. Michele, quando venne avvistato
su rilevamento 240° dal sommergibile britannico P 46 (poi divenuto Unruffled,
al comando del tenente di vascello John Samuel Stevens).
Dapprima l’unità
britannica avvistò soltanto la sagoma di una nave che procedeva oscurato verso
sud, e si avvicinò per vederci chiaro: alle 00.17 del 22 Stevens identificò la
nave come una grossa goletta a tre alberi, a poppavia della quale navigava
un’altra più piccola imbarcazione a motore, che non riuscì ad identificare (il S. Michele).
Il comandante
britannico decise di attaccare il motoveliero col cannone: all’1.05, in
posizione 35°33’ N e 11°08’ E, aprì il fuoco da 915 metri, continuando intanto
a serrare le distanze. Il P 46 sparò
in tutto dodici colpi: otto di essi andarono a segno, incendiando l’Aquila, che venne abbandonato
dall’equipaggio (poi tratto in salvo al completo da unità italiane). Il
motoveliero continuò a bruciare per almeno quattro ore, prima di inabissarsi a 8
miglia per 40° da Mahdia (Mehedia, Tunisia).
Non vi furono vittime;
dei 26 uomini che formavano l’equipaggio dell’Aquila, tre rimasero feriti, due dei quali in modo grave.
L’affondamento dell’Aquila nel giornale di bordo dell’Unruffled (da Uboat.net):
“20 September 1942
2245 hours - Sighed a darkened ship bearing 240°. The target was proceeding to
the south. Closed to investigate.
21 September 1942
0017 hours - The vessel was identified as a large three-masted auxiliary
schooner. A small motor craft was seen astern. Decided to attack the schooner
with gunfire. The small craft was difficult to identify. It could not be seen
if it was an escort.
0105 hours - In
position 35°33'N, 11°08'E opened fire on the schooner from 1000 yards and still
closing. 12 rounds were fired for 8 hits. The crew was seen to abandon ship. The
schooner was set on fire and this could still be seen 4 hours later. The small
boat was not seen again but later it was thought she was seen picking up
survivors.”
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