La Calitea a Venezia verso la fine degli anni Trenta (da www.adriatica.altervista.org) |
Motonave mista da
4013,44 tsl, 2086 tsn e 2162 tpl, lunga 101,8 metri, larga 15,13 e pescante 7,3,
con velocità di 16,5 o 17,2 nodi. Appartenente alla Società Anonima di
Navigazione Adriatica, con sede a Venezia, ed iscritta con matricola 342 al
Compartimento Marittimo di Trieste; nominativo internazionale IBPI. Poteva
trasportare 157 passeggeri in cabina (81 in prima classe, 34 in seconda e 42 in
terza) e 91 sul ponte, e disponeva inoltre di quattro stive della capacità di
2671 metri cubici; coniugava sistemazioni eleganti e razionali per i passeggeri
ad un’ampia disponibilità di carico.
Due belle immagini della Calitea con i colori del Lloyd Triestino
(sopra: g.c. Pietro Berti, via www.naviearmatori.net;
sotto: da www.photoship.co.uk)
Nave elegante,
concepita appositamente per la linea del Levante e del Dodecaneso, riprendeva
in parte le linee della più grande motonave Victoria,
costruita pochi anni prima dai CRDA per il Lloyd Triestino.
Gli interni furono
arredati da Gustavo Pulitzer Finali, uno dei più rinomati architetti navali
italiani; vi partecipò anche lo scultore Marcello Mascherini, che realizzò una
scultura bronzea femminile chiamata appunto “Calitea”.
La Calitea con la livrea della società Adriatica (da www.photoship.co.uk)
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Breve e parziale cronologia.
15 novembre 1932
Impostata nei
Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Monfalcone (costruzione numero 1118).
Alcune foto della Calitea in costruzione (Archivio
Petronio Neumann, via www.nauticots.forumattivo.com)
24 giugno 1933
Varata nei Cantieri
Riuniti dell’Adriatico di Monfalcone.
Una sequenza di immagini del
varo della Calitea (tutte dall’Archivio
Petronio Neumann, via www.nauticots.forumattivo.com,
eccetto la seconda)
(da www.naviearmatori.net, utente Commis)
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12 ottobre 1933
Completata per il
Lloyd Triestino, con sede a Trieste.
Sopra, la nave durante l’allestimento;
sotto, durante le prove in mare, con la livrea originaria del Lloyd Triestino,
scafo e fumaioli neri, mutata nella nuova livrea (scafo bianco con striscia
azzurra, fumaioli color oro) proprio nel 1933 (Archivio Petronio Neumann, via
nauticots.forumattivo.com)
14 ottobre 1933
Parte per il viaggio
inaugurale sulla linea celere Trieste-Venezia-Brindisi-Pireo-Rodi-Alessandria
d’Egitto (per altra fonte, anche Istanbul), sulla quale navigherà poi
regolarmente negli anni a seguire.
La Calitea con la nuova livrea del Lloyd Triestino (g.c. Piergiorgio
Farisato, via www.naviearmatori.net)
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Luglio 1935
La linea sulla quale
presta servizio la Calitea viene
modificata con l’aggiunta di alcuni porti, divenendo così Trieste-Alessandria
d’Egitto via Venezia, Fiume, Zara, Brindisi, Canale di Corinto, Pireo e Rodi.
Utilizzata dalla
società Adriatica sulla linea numero 50 (Adriatico-Pireo-Egeo-Egitto).
All’ormeggio (da
nauticots.forumattivo.com)
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2 dicembre 1936
La Calitea sbarca a Rodi, al molo
Sant’Angelo, il gerarca fascista Cesare De Vecchi, appena nominato governatore
del Dodecaneso.
In navigazione (da www.naviearmatori.net, utente Commis)
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1° gennaio 1937
Trasferita alla Adriatica
Società Anonima di Navigazione, con sede a Venezia.
Cartoline della Calitea realizzate da Paolo Klodic,
sopra con i colori del Lloyd Triestino e sotto con i colori dell’Adriatica:
come si può vedere, l’immagine è la stessa, mentre viene cambiata la livrea (da
nauticots.forumattivo.com)
Settembre/Ottobre 1939
Sospesa la linea n.
50, la Calitea inizia a svolgere
viaggi speciali per conto del Governo.
Due immagini della Calitea a Brindisi: sopra ormeggiata (da
www.photoship.co.uk), sotto in
entrata al cospetto del Monumento al Marinaio (g.c. Nedo B. Gonzales, via www.naviearmatori.net)
9 giugno 1940
La Calitea, proveniente da Haifa (dov’è
giunta da Alessandria d’Egitto, che ha lasciato il 5 giugno) al comando del
capitano Zanetti, viene fermata nelle acque di Malta e dirottata a La Valletta per
controlli e perquisizioni da parte delle autorità britanniche preposte alla
vigilanza contro il contrabbando di materiale bellico da parte di navi di
nazioni neutrali.
La Calitea in navigazione con i colori dell’Adriatica (g.c. Nedo B.
Gonzales via www.naviearmatori.net)
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10 giugno 1940
All’atto della
dichiarazione di guerra dell’Italia a Regno Unito e Francia la Calitea è ancora a Malta, porto ora nemico.
A differenza di tante altre navi mercantili italiane trovatesi nelle medesime
circostanze, tuttavia, la Calitea non
verrà catturata: il console italiano a Malta (generale Mario Canino), anzi,
dopo tre giorni di insistenze riuscirà a convincere il generale William Dobbie,
governatore dell’isola, a permettere che la Calitea
parta per l’Italia rimpatriando oltre 600 cittadini italiani che allo scoppio
della guerra si trovavano a Malta (compreso lo stesso console Canino e la sua
famiglia). Tra di essi vi sono anche 364 tra marittimi e passeggeri della
motonave Rodi, anch’essa dirottata a Malta il 9 giugno (ed ormeggiata in quel
porto proprio vicino alla Calitea, al
molo di Forte Ricasoli) ma che, a differenza della Calitea, sarà trattenuta e catturata, entrando in servizio per
conto dei britannici.
La nave ormeggiata (da www.photoship.co.uk) |
13 giugno 1940
La Calitea, con i 600 italiani a bordo,
lascia Malta scortata, lungo la rotta di sicurezza, da un dragamine britannico.
Proseguendo poi da sola, la motonave raggiunge Siracusa in giornata.
Il generale Dobbie,
per questo gesto cavalleresco, sarà duramente criticato da Londra per essersi
lasciato sfuggire una bella preda come la Calitea.
Quella appena
riportata è la versione che risulta dalle fonti italiane; fonti maltesi,
tuttavia, forniscono una versione piuttosto differente. Secondo queste ultime,
la Calitea avrebbe effettivamente lasciato
Malta con numerosi cittadini italiani da rimpatriare (circa 300) con l’assenso
delle autorità britanniche, ma questo sarebbe accaduto non il 13 giugno, ma il
10 giugno stesso, appena prima della dichiarazione di guerra. Prima della
partenza, un ufficiale della Marina britannica sarebbe salito sulla Calitea per rassicurare alcuni dei
civili italiani – i quali temevano che, qualora la nave non fosse partita in
tempo, sarebbero stati imprigionati – che in ogni caso la nave avrebbe fruito
di un salvacondotto per raggiungere Siracusa senza problemi; successivamente un
italiano, in abiti civili, si sarebbe presentato all’ufficiale britannico e,
ringraziandolo per il suo atteggiamento da gentiluomo, ne avrebbe ricambiato la
correttezza confessando di essere in realtà un militare, lasciandosi quindi
condurre via come prigioniero di guerra.
Fonti ufficiali
britanniche, infine, raccontano una versione che si colloca a metà strada tra
quelle italiane e quelle maltesi: la Calitea
sarebbe stata lasciata partire con i civili italiani il 13 giugno, ma non per
iniziativa unilaterale (e non approvata da Londra) del governatore Dobbie,
bensì con l’esplicito assenso del governo britannico, nell’ambito di un più
ampio accordo che avrebbe previsto anche lo scambio del rispettivo personale
diplomatico (italiano e britannico) che i britannici temevano potesse essere
ostacolato da un’eventuale cattura della Calitea
(tale scambio fu poi effettuato a Lisbona, con la partecipazione del
transatlantico italiano Conte Rosso e
dei britannici Ordina e Monarch of Bermuda). Dobbie aveva
esplicitamente chiesto ed ottenuto dall’Ammiragliato, l’11 giugno, il permesso
di usare la Calitea per rimpatriare
circa 700 cittadini italiani la cui permanenza sull’isola, iniziate le
ostilità, sarebbe potuta essere un problema, in considerazione della
vulnerabilità di Malta e delle ridotte dimensioni della sua guarnigione in quel
momento.
A Brindisi (www.nauticots.forumattivo.com)
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25 giugno 1940
Requisita a Siracusa
dalla Regia Marina, senza essere iscritta nel ruolo del naviglio ausiliario
dello Stato.
6 luglio 1940
Dopo aver imbarcato
619 militari diretti in Libia, la Calitea
parte da Napoli alle 19.45, in convoglio con la turbonave passeggeri Calitea (anch’essa carica di truppe:
1571 uomini) e con le moderne motonavi da carico Marco Foscarini e Vettor
Pisani. La scorta diretta è rappresentata dalla XIV Squadriglia
Torpediniere, con Procione, Orsa, Orione e Pegaso; al largo
di Catania si unisce al convoglio la motonave Francesco Barbaro, scortata dalle vecchie torpediniere Giuseppe Cesare Abba e Rosolino Pilo. L’operazione è denominata
«TCM».
Il convoglio segue la
rotta che passa per lo Stretto di Messina.
Due immagini della Calitea in porto, probabilmente nel
periodo della “non belligeranza” tra settembre 1939 e giugno 1940 (come
indicherebbero le bandiere di neutralità italiane verniciate sulle navi). In
entrambe le foto, la nave ormeggiata sull’altro lato della banchina sembrerebbe
essere il piroscafo Galilea (da
nauticots.forumattivo.com)
7 luglio 1940
Mentre il convoglio
si trova in Mar Ionio, Supermarina viene informato che alle otto del mattino
dello stesso 7 luglio la Forza H britannica (portaerei Ark Royal, corazzate Valiant
e Resolution, incrociatore da
battaglia Hood, incrociatori leggeri Arethusa, Delhi ed Enterprise,
cacciatorpediniere Faulknor, Foxhound, Fearless, Douglas, Active, Velox, Vortingern e Wrestler, Escort e Forester) è
uscita in mare da Gibilterra. Scopo di tale uscita (operazione «MA 5») è
attaccare gli aeroporti della Sardegna, per distogliere l’attenzione dei
comandi italiani da un traffico di convogli tra Alessandria a Malta (due
convogli di mercantili per l’evacuazione di civili e materiali da inviare ad
Alessandria, ed uno di cacciatorpediniere con alcuni rifornimenti per Malta),
con l’appoggio dell’intera Mediterranean Fleet (corazzate Warspite, Malaya e Royal Sovereign, portaerei Eagle,
incrociatori leggeri Orion, Neptune, Sydney, Gloucester e Liverpool, cacciatorpediniere Dainty, Defender, Decoy, Hasty, Hero, Hereward, Hyperion, Hostile, Ilex, Nubian, Mohawk, Stuart, Voyager, Vampire, Janus e Juno); questo, però, non è a conoscenza
dei comandi italiani, che decidono di fornire protezione al convoglio diretto a
Bengasi, facendo uscire in mare l’intera flotta italiana.
La scorta diretta
viene così rinforzata dalla II Divisione Navale, con gli incrociatori Bande Nere e Colleoni, dalla X Squadriglia Cacciatorpediniere con Maestrale, Grecale, Libeccio e Scirocco, e dalle torpediniere Pilo e Missori; quale scorta a distanza, escono in mare la 1a
Squadra Navale con le Divisioni IV (incrociatori leggeri Alberico Da Barbiano, Alberto
Di Giussano, Luigi Cadorna ed Armando Diaz), V (corazzate Giulio Cesare e Conte di Cavour) e VIII (incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi) e le Squadriglie Cacciatorpediniere VII (Freccia, Dardo, Saetta, Strale), VIII (Folgore, Fulmine, Lampo, Baleno), XIV (Leone Pancaldo,
Ugolino Vivaldi, Antonio Da Noli), XV (Antonio
Pigafetta, Nicolò Zeno) e XVI (Nicoloso Da Recco, Emanuele Pessagno, Antoniotto
Usodimare), e la 2a Squadra Navale con l’incrociatore pesante Pola (nave ammiraglia), le Divisioni I (Zara, Fiume, Gorizia), III
(incrociatori pesanti Trento e Bolzano) e VII (incrociatori leggeri Emanuele Filiberto Duca d’Aosta, Eugenio di Savoia, Raimondo Montecuccoli e Muzio Attendolo) e le Squadriglie
Cacciatorpediniere IX (Alfieri, Oriani, Gioberti, Carducci), XI (Aviere, Artigliere, Geniere, Camicia Nera), XII (Lanciere, Carabiniere, Ascari, Corazziere) e
XIII (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino). Pola, I e III Divisione, con le relative
squadriglie di cacciatorpediniere (IX, XI e XII), si posizionano 35 miglia ad
est del convoglio, per proteggerlo da un attacco navale proveniente da est,
mentre la VII Divisione e la XIII Squadriglia, posizionate 45 miglia ad ovest,
forniscono protezione da attacchi provenienti da Malta; il resto della flotta
(IV, V e VIII Divisione, VII, VIII, XIV, XV e XVI Squadriglia) forma infine un
gruppo di sostegno. Non è tutto: viene organizzata un’intensa ricognizione
aerea con grandi aliquote dei velivoli della ricognizione marittima, il
posamine ausiliario Barletta viene inviato a posare mine a protezione del porto
di Bengasi, e vengono inviati in tutto 14 sommergibili in agguato nel
Mediterraneo orientale.
L’avvistamento anche
della Mediterranean Fleet, uscita da Alessandria nel pomeriggio del 7 – come si
è detto – per proteggere i convogli con Malta, non fa che confermare la
convinzione di Supermarina circa la necessità delle misure adottate.
Il convoglio,
procedendo a 14 nodi, segue rotta apparente verso Tobruk fino a giungere in un
punto situato 245 miglia a nordovest di Bengasi, quindi assume rotta verso
quest’ultimo porto; dopo altre 100 miglia il convoglio si divide, lasciando
proseguire a 18 nodi le più veloci Calitea
ed Esperia, mentre le motonavi da
carico manterranno una velocità di 14 nodi.
8 luglio 1940
All’1.50 l’ammiraglio
Inigo Campioni, comandante della flotta italiana, a seguito di avvistamenti
della ricognizione che rivelano la presenza in mare della Mediterranean Fleet
britannica (anch’essa uscita a tutela di convogli), ordina al convoglio, che si
trova in rotta 147° (per Bengasi) di assumere rotta 180°, in modo da essere
pronto ad essere dirottato su Tripoli in caso di necessità. Alle 7.10, appurato
che la Mediterranean Fleet non può essere diretta ad intercettare il convoglio,
Campioni ordina a quest’ultimo di tornare sulla rotta per Bengasi.
La Calitea e le altre navi del convoglio
entrano a Bengasi tra le 18 e le 22, così concludendo la traversata senza
inconvenienti. In tutto il convoglio porta in Libia 2190 uomini (619 sulla Calitea e 1571 sull’Esperia), 72 carri armati M11/39, 232 automezzi, 5720 tonnellate di
carburante e 10.445 tonnellate di rifornimenti vari.
Durante la
navigazione di rientro alle basi, la flotta italiana si scontrerà con quella
britannica, nell’inconclusivo confronto divenuto poi noto come battaglia di
Punta Stilo.
9 luglio 1940
Calitea ed Esperia lasciano
Bengasi alle 19.30 dirette a Tripoli, scortate dalla torpediniera Orione.
10 luglio 1940
Le navi arrivano a
Tripoli alle 15, e qui iniziano ad imbarcare le truppe della 61a Divisione
Fanteria "Sirte", da trasferire a Bengasi.
12 luglio 1940
Terminato l’imbarco
delle truppe, Calitea ed Esperia, ora scortate dall’Orsa, lasciano Tripoli alle 20.
13 luglio 1940
Il convoglio arriva a
Bengasi alle 19.15.
14 luglio 1940
Calitea ed Esperia, scortate
ora dalla torpediniera Castore,
salpano di nuovo da Bengasi (alle 20) per tornare a Tripoli.
15 luglio 1940
Le navi arrivano a
Tripoli alle 16.15.
16 luglio 1940
Calitea ed Esperia, scortate
adesso dalla torpediniera Climene,
partono ancora da Tripoli dirette a Bengasi, alle 12.30, con altri reparti
della Divisione "Sirte".
17 luglio 1940
Le navi giungono a
Bengasi alle 9.30.
19 luglio 1940
Alle sei del mattino Calitea ed Esperia, insieme alle motonavi da carico Foscarini, Pisani e Barbaro, lasciano Bengasi per tornare in
Italia. La scorta diretta è costituita dalla solita XIV Squadriglia
Torpediniere (caposcorta Procione,
nonché Orsa, Orione e Pegaso), poi
rinforzata in mattinata dalla X Squadriglia Cacciatorpediniere (Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco) proveniente da Tripoli. Per
scorta indiretta esce da Taranto l’VIII Divisione Navale (Duca degli Abruzzi e Garibaldi)
con i relativi cacciatorpediniere, mentre la III Divisione si tiene pronta a
Messina, per intervenire rapidamente in caso di necessità.
21 luglio 1940
Il convoglio arriva a
Napoli alle 00.30, senza che si siano manifestati problemi.
Successivamente la Calitea subisce dei lavori per renderla
più adatta al servizio bellico.
5 ottobre 1940
La Calitea e la moderna motonave da carico Sebastiano Venier salpano in serata da
Taranto dirette a Lero, cariche di rifornimenti destinati alle isole del
Dodecaneso e scortate dalla XII Squadriglia Cacciatorpediniere (Ascari, Lanciere, Corazziere e Carabiniere). Dovranno passare a sud
di Cerigo e di Stampalia, fruendo anche della protezione di cinque sommergibili
e di una considerevole aliquota delle forze navali.
6 ottobre 1940
In mattinata escono
in mare anche le forze incaricate della copertura a distanza del convoglio: da
Messina la III Divisione Navale (incrociatori pesanti Trento, Trieste e Bolzano) e la XI Squadriglia
Cacciatorpediniere (Aviere, Artigliere, Geniere e Camicia
Nera), e da Taranto la I Divisione Navale con gli incrociatori pesanti Zara, Fiume e Gorizia,
l’incrociatore pesante Pola – nave
ammiraglia della II Squadra Navale – e la IX Squadriglia Cacciatorpediniere (Vittorio Alfieri, Alfredo Oriani, Vincenzo Gioberti e Giosuè Carducci). L’operazione viene
però interrotta il mattino stesso del 6 ottobre, dopo che la ricognizione aerea
dell’Egeo ha segnalato due corazzate, due incrociatori e sette
cacciatorpediniere britannici (si tratta delle corazzate Ramillies e Malaya, della
portaerei Eagle, degli incrociatori
leggeri Ajax e Coventry e di otto cacciatorpediniere, usciti da Alessandria il 3
ottobre al comando dell’ammiraglio Layon) sulla rotta Alessandria-Caso, ossia
dove dovrebbero passare le navi dirette nel Dodecaneso. Tutte le unità italiane
vengono fatte rientrare alle basi; «C.V.» non si farà più.
2 dicembre 1940
La Calitea, adibita a traffico civile,
salpa da Durazzo alle 17.30 insieme ai piroscafi Polcevera e Sant’Agata,
con la scorta della torpediniera Curtatone.
3 dicembre 1940
Il convoglio giunge a
Bari alle 9.
20 dicembre 1940
Parte da Napoli alle
21.30, con a bordo 1200 o 2350 tonnellate di fusti di benzina e materiali della
Regia Marina e della Regia Aeronautica (benzina, lubrificanti, vestiario e
materiali vari). Data la situazione dell’arcipelago, circondato da possedimenti
nemici ed in acque controllate dalle Marine britannica e greca, la Calitea – il cui viaggio è coperto da
massima segretezza – viaggia isolata, senza scorta (tranne che per alcuni
caccia italiani inviati da Lero l’ultimo giorno di navigazione) ed a tutta
velocità, quasi esclusivamente di notte, in modo da eludere la sorveglianza
nemica e ridurre le possibilità di essere intercettata. Per ingannare il nemico
circa la propria vera destinazione, la nave farà scalo a Tripoli e Tobruk prima
di proseguire per il Dodecaneso; fino a Tripoli la scorta il cacciatorpediniere
Turbine.
24 dicembre 1940
Arriva a Tripoli alle
22, poi prosegue per Tobruk.
26 dicembre 1940
Arriva a Tobruk alle
10, poi prosegue per Rodi.
27 dicembre 1940
La Calitea raggiunge Rodi. Il nuovo
governatore del Dodecaneso, generale Ettore Bastico, che ha sostituito De
Vecchi, protesta presso Roma perché il carico della nave non include generi
alimentari, di cui vi è urgente bisogno nelle isole (essi arriveranno due
giorni più tardi con l’incrociatore ausiliario RAMB III, inviata da Taranto).
Dopo aver scaricato
il proprio carico, la Calitea torna a
Tobruk.
31 dicembre 1940
Lascia Tobruk alle
23, scortata dalla torpediniera Generale
Carlo Montanari, per raggiungere Bengasi. Lungo il percorso, le due navi
sostano a Bomba, in Cirenaica.
2 gennaio 1941
Calitea e Montanari arrivano a
Bengasi alle 10.30.
3 gennaio 1941
Lascia Bengasi
all’1.30 diretta a Tripoli, sempre scortata dalla Montanari.
4 gennaio 1941
Arriva a Tripoli alle
10.30.
5 gennaio 1941
Lascia Tripoli alle
13 per rientrare a Napoli, scortata dall’incrociatore ausiliario RAMB III.
7 gennaio 1941
Giunge a Napoli alle
9.30.
12 gennaio 1941
La Calitea, l’Esperia ed ad altri due trasporti truppe, i piroscafi Conte Rosso e Marco Polo, partono da Napoli per Tripoli alle 19, scortati dalla
torpediniera Cosenz fino a Trapani e
poi dai cacciatorpediniere Vivaldi
(caposcorta), Tarigo e Malocello.
13 gennaio 1941
In serata si unisce
alla scorta anche il cacciatorpediniere Da
Noli.
14 gennaio 1941
Il convoglio arriva a Tripoli alle 11.30; la Calitea ne riparte alle 19, scortata dalla torpediniera Giuseppe Missori, per raggiungere
Bengasi.
15 gennaio 1941
Calitea e Missori puggiano a
Ras Ramba.
16 gennaio 1941
Calitea e Missori giungono a
Bengasi alle 9; ripartono alle 21.30 per tornare a Tripoli.
18 gennaio 1941
Calitea e Missori arrivano a
Tripoli alle 15.30.
19 gennaio 1941
La Calitea e la motonave da carico Rialto lasciano Tripoli alle 18.30,
scortate dalla torpediniera Antonio Mosto.
21 gennaio 1941
Il convoglietto
giunge a Palermo alle 8, poi prosegue per Napoli.
22 gennaio 1941
Le tre navi arrivano
a Napoli alle 13.30.
5 febbraio 1941
Calitea, Esperia, Conte Rosso e Marco Polo e partono da Napoli alle 18.30 (o 19), scortati dai
cacciatorpediniere Freccia
(caposcorta), Saetta e Tarigo. I quattro mercantili trasportano
truppe e materiali della 132a Divisione corazzata "Ariete",
in corso di trasferimento in Libia.
6 febbraio 1941
A causa del maltempo,
i tre cacciatorpediniere della scorta sono costretti a rifugiarsi a Palermo,
dove giungono alle 15; deve allora sostituirli nella scorta ai trasporti truppe
l’incrociatore Bande Nere (ammiraglio
di divisione Alberto Marenco di Moriondo, inviato da Palermo), che assume tale
compito a mezzogiorno (altra fonte: alle 17; si posiziona tra i tre piroscafi,
più veloci, e la più lenta Calitea,
che si lascia invece a poppa) ed accompagna i piroscafi fino a destinazione.
Nell’intervallo tra la partenza dei cacciatorpediniere e l’arrivo del Bande Nere, i trasporti proseguono senza
scorta, sotto la direzione del contrammiraglio Luigi Aiello, capoconvoglio.
7 febbraio 1941
Le navi del convoglio
entrano a Tripoli tra le 17 e le 20.
Proprio in questi
giorni sta volgendo al termine l’operazione britannica «Compass»: la Western
Desert Force, sebbene inferiore di numero, ha annientato l’impreparata e
disorganizzata X Armata italiana (che ha lasciato sul terreno almeno 5000-6000
morti, tra cui il suo comandante, e 10.000 feriti, oltre a subire la cattura di
133.000 prigionieri: solo 8300 uomini di un’armata di 150.000 sono riusciti a
sottrarsi alla cattura) e conquistato l’intera Cirenaica, di fatto metà della
Libia italiana. La situazione è critica; si teme che l’avanzata britannica
possa proseguire anche in Tripolitania, e migliaia di coloni italiani si preparano
all’evacuazione.
9 febbraio 1941
Calitea, Esperia, Conte Rosso e Marco Polo, dopo aver rapidamente messo a terra le truppe ed
altrettanto rapidamente imbarcato 5000 profughi civili (2000 per altra
versione) in fuga dall’avanzata delle forze britanniche, lasciano Tripoli alle
18.30 con la scorta dei cacciatorpediniere Tarigo,
Malocello, Freccia (caposcorta, capitano di vascello Baldo) e Saetta e della torpediniera Aldebaran.
Durante la
navigazione, Calitea ed Aldebaran si separano dal resto del
convoglio, per raggiungere Palermo. Successivamente proseguono per Napoli.
Alle 19.36 il
sommergibile britannico Usk (capitano
di corvetta Peter Ronald Ward) avvista due unità del convoglio a 3200-3660
metri di distanza, al largo di Tripoli, e cinque minuti dopo lancia due siluri
contro la nave di testa. I siluri hanno corsa irregolare e mancano il
bersaglio; l’Usk s’immerge poco dopo.
Poche ore dopo, alle
22.20, è un altro sommergibile britannico, il Truant (capitano di corvetta Hugh Alfred Vernon Haggard), ad avvistare
il convoglio italiano, in posizione 33°41’ N e 13°51’ E (una sessantina di
miglia a nordest di Tripoli), mentre procede su rotta 350°, a 7-8 miglia di
distanza. Alle 23 il battello britannico lancia sei siluri, ma nessuno di essi
raggiunge il bersaglio, e le navi del convoglio non si accorgono neanche
dell’attacco.
12 febbraio 1941
Calitea ed Aldebaran arrivano
a Napoli alle 9.30, un giorno più tardi del resto del convoglio.
16 marzo 1941
La Calitea, insieme ai mercantili tedeschi Marburg e Reichenfels, salpa da Napoli alle 20.30 diretta a Tripoli, con la
scorta dei cacciatorpediniere Vivaldi
(caposcorta) e Malocello.
Raggiunta Trapani, il
convoglio vi sosta.
17 marzo 1941
Il convoglio riparte
da Trapani alle 3; ad esso si sono uniti altri due mercantili tedeschi, Ankara e Kibfels, nonché il cacciatorpediniere Da Noli e le torpediniere Polluce
e Cigno.
18 marzo 1941
Il convoglio giunge a
Tripoli a mezzogiorno.
2 aprile 1941
La Calitea lascia Tripoli alle 11 insieme
ad Ankara, Reichenfels, Marburg e Kibfels, con la scorta di Vivaldi (caposcorta), Da Noli e Malocello.
4 aprile 1941
Il convoglio giunge a
Napoli alle 7.30 dopo un viaggio privo di inconvenienti.
11 aprile 1941
La Calitea, insieme ai mercantili tedeschi Ankara, Reichenfels, Marburg e Kibfels, salpa da Napoli per Tripoli
alle 17.30, con la scorta della XIV Squadriglia Cacciatorpediniere (Vivaldi – caposcorta –, Da Noli e Malocello).
12 aprile 1941
Alle 14.35, in
posizione 37°07’ N e 11°11’ E, il sommergibile britannico Upholder (capitano di corvetta Malcolm David Wanklyn) avvista il
convoglio ma, non disponendo di siluri, non attacca, limitandosi a lanciare il
segnale di scoperta.
13 aprile 1941
Durante la notte il
convoglio subisce diversi attacchi aerei, in più ondate, ma tutti i siluri
vengono evitati, grazie anche all’intervento dei caccia di base in Sicilia. Si
uniscono inoltre alla scorta, inviati da Tripoli, il cacciatorpediniere Dardo e le torpediniere Circe e Generale Carlo Montanari.
14 aprile 1941
Il convoglio giunge a
Tripoli alle 10.
19 aprile 1941
Calitea, Ankara, Reichenfels, Marburg e Kibfels,
scortati da Dardo, Vivaldi (caposcorta), Da Noli e Malocello, lasciano Tripoli alle 16.
21 aprile 1941
Il convoglio giunge a
Napoli alle 14.
4 maggio 1941
Salpa da Napoli
all’1.15 in convoglio con le motonavi Victoria (trasporto
truppe), Andrea Gritti, Ankara (tedesca), Barbarigo, Marco Foscarini e Sebastiano
Venier (tutte da carico), scortate dai cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi (caposcorta), Antonio Da Noli e Lanzerotto Malocello e dalle torpediniere
Cassiopea, Orione e Pegaso.
C’è anche una forza di copertura, con gli incrociatori leggeri Eugenio di Savoia, Muzio Attendolo ed Emanuele Filiberto Duca d’Aosta (VII
Divisione, ammiraglio Casardi) ed i cacciatorpediniere Antonio Pigafetta, Nicolò Zeno, Nicoloso Da
Recco, Alvise Da Mosto e Giovanni Da Verrazzano.
Il convoglio segue la
rotta che passa per lo stretto di Messina ed a levante di Malta; durante la
navigazione, il convoglio è continuamente pedinato da ricognitori britannici e
soggetto a diversi attacchi aerei, ma non subisce danni. Zeno e Pigafetta attaccano
un contatto subacqueo.
Alle 20.03 del 4 la
VII Divisione, con due successive accostate ad un tempo, prende posizione circa
3 km a proravia del convoglio «Victoria» e dispone i cacciatorpediniere in
posizione di scorta avanzata. Fino al tramonto il convoglio gode di forte
scorta aerea, svolta sia da caccia che da bombardieri.
5 maggio 1941
La navigazione
notturna si svolge senza problemi; alle 5.45 la VII Divisione inizia la manovra
per portarsi sulla congiungente Malta-convoglio, posizione nella quale resterà
per il resto del giorno, procedendo a zig zag e tenendosi in vista del
convoglio. Alle 6.40 sopraggiungono i primi velivoli della scorta aerea, questa
volta composta da idrovolanti da ricognizione marittima e da bombardieri.
Il convoglio arriva a Tripoli alle 20.45.
19 maggio 1941
La Calitea, con a bordo prigionieri
britannici da portare in Italia, lascia Tripoli alle 20 insieme alla motonave
da carico Marco Foscarini, con la
scorta diretta del cacciatorpediniere Geniere
e delle torpediniere Partenope, Circe e Cassiopea. Vi è inoltre, con funzione di scorta a distanza, la VII
Divisione (incrociatori leggeri Duca
degli Abruzzi e Garibaldi,
cacciatorpediniere Granatiere, Bersagliere ed Alpino).
21 maggio 1941
Il convoglio giunge a
Napoli alle 11.
3 giugno 1941
Adibita al
collegamento tra l’Italia ed il Dodecaneso, con scalo in alcuni porti greci;
resterà in servizio su questa rotta fino alla fine di novembre.
30 giugno 1941
La Calitea ed un’altra motonave, la Calino, trasportano 1008 soldati, nonché
materiali e merci varie per le forze armate e per la popolazione, da Brindisi a
Rodi, via Patrasso. Le scorta la torpediniera Cassiopea.
3 luglio 1941
Calitea e Calino effettuano un
viaggio da Corinto a Rodi, scortate dal cacciatorpediniere Francesco Crispi.
9 luglio 1941
Calitea e Calino viaggiano da
Patrasso a Taranto, scortate dalla torpediniera Aretusa.
28 luglio 1941
La Calitea lascia Brindisi scortata dalla
torpediniera Giacomo Medici, trasportando
600 militari e 230 tonnellate di materiali per le guarnigioni delle isole egee,
da trasportare a Rodi. La Medici la
scorta fino a Patrasso.
31 luglio 1941
Lascia il Pireo e
raggiunge Rodi, scortata dalla torpediniera Cassiopea.
3 agosto 1941
Viaggio da Corinto a
Patrasso, con la scorta della torpediniera Lince.
4 agosto 1941
Lascia Patrasso e
raggiunge Brindisi, scortata dalla Medici.
6 settembre 1941
Calitea e Calino, prive di
scorta, lasciano Brindisi e raggiungono Patrasso, per poi proseguire per Rodi.
8 settembre 1941
Calitea e Calino, scortate dal
cacciatorpediniere Crispi e dalla
torpediniera Sirio, salpano dal Pireo
e raggiungono Rodi, trasportandovi 1182 militari e 560 tonnellate di materiali
vari e derrate per la popolazione.
10 settembre 1941
Calitea e Calino lasciano Rodi
e ritornano al Pireo, scortate dal Crispi.
14 settembre 1941
Calitea e Calino compiono un
viaggio da Patrasso a Brindisi, con la scorta della vecchia torpediniera Francesco Stocco.
18 settembre 1941
Calitea e Calino viaggiano da
Brindisi a Patrasso con la scorta del cacciatorpediniere Augusto Riboty, dirette a Rodi.
24 settembre 1941
Calitea e Calino, aventi a
bordo 1225 militari e 325 tonnellate di materiali e merci civili, lasciano il
Pireo e raggiungono Lero, scortate dalla torpediniera Lupo.
29 settembre 1941
La Calitea lascia Lero scortata dalla Cassiopea, con la quale raggiunge Rodi.
30 settembre 1941
Calitea e Calino tornano da
Rodi a Lero, sempre scortate dalla Cassiopea.
1° ottobre 1941
Calitea e Calino rientrano da
Lero a Patrasso, ancora una volta con la scorta della Cassiopea.
3 ottobre 1941
Calitea e Calino, scortate
dall’incrociatore ausiliario Città di
Napoli, lasciano Patrasso e raggiungono Brindisi.
7 ottobre 1941
Calitea e Calino, scortate dal
Riboty, viaggiano da Brindisi a
Patrasso, avendo come destinazione finale Rodi.
11 ottobre 1941
Calitea e Calino trasportano
120 civili e 1123 militari, nonché 500 tonnellate di materiali e derrate per la
popolazione, dal Pireo a Rodi. Le scortano Crispi
e Cassiopea.
12 ottobre 1941
Calitea e Calino rientrano da
Rodi al Pireo, con la scorta del Crispi.
15 ottobre 1941
Calitea e Calino, scortate
dalla torpediniera Antares, lasciano
Patrasso e ritornano a Brindisi.
24 ottobre 1941
La Calitea salpa da Brindisi diretta a
Patrasso, in convoglio con la Calino
e sotto la scorta del Riboty. Rodi,
come al solito, è la destinazione finale.
25 ottobre 1941
Alle 6.18 il
convoglio, che procede in linea di fila, viene avvistato nel punto 38°24’ N e
20°13’ E (al largo della costa occidentale greca) dal sommergibile britannico Trusty (capitano di corvetta William
Donald Aelian King), a 4600 metri su rilevamento 351°. Il Trusty
lancia due salve di tre siluri ciascuna, una contro la Calitea e l’altra contro la Calino,
ma nessuna delle armi va a segno, e dopo otto minuti il Riboty risponde con un pacchetto di bombe di profondità. Dopo
essere tornato a quota periscopica per osservare il risultato dei lanci
(ritenendo, a torto, di aver affondato una nave), il Trusty s’immerge in profondità per ricaricare i tubi, mentre il Riboty lancia infruttuosamente altre 14
cariche di profondità. (Le esplosioni delle bombe di profondità sono menzionate
dal rapporto del sommergibile; per altra fonte, l’attacco del Trusty non viene nemmeno notato).
30 ottobre 1941
Calitea e Calino, con a bordo
1063 militari e 1331 tonnellate di materiali, partono dal Pireo per Lero e
Rodi, scortate dal cacciatorpediniere Quintino
Sella e dalla torpediniera Libra.
31 ottobre 1941
Alle 11, causa
maltempo, il convoglio deve riparare ad Alimnia; poi prosegue per la sua
destinazione.
2 novembre 1941
Calitea e Calino, scortate da Libra e Cassiopea, rientrano da Rodi al Patrasso, facendo scalo intermedio
a Sira.
6 novembre 1941
Calitea e Calino viaggiano da
Patrasso a Bari, via Brindisi, scortate dalla Libra.
16 novembre 1941
Calitea e Calino, scortate
come al solito dal Riboty, lasciano
Brindisi dirette a Patrasso, per poi proseguire per Rodi.
20 novembre 1941
Calitea e Calino, scortate dal
Crispi, trasportano 1194 militari,
numerosi quadrupedi e 1600 tonnellate di materiali e merci dal Pireo a Rodi.
23 novembre 1941
Calitea e Calino, scortate dal
Crispi, lasciano Rodi e raggiungono
Lero.
25 novembre 1941
Calitea e Calino, scortate dal
Sella, viaggiano da Rodi e Lero al
Pireo.
27 novembre 1941
Calitea e Calino, scortate dal
Riboty, salpano da Patrasso e
raggiungono Bari.
La Calitea sotto carico a Brindisi a inizio dicembre 1941, prima di
partire per il suo ultimo viaggio (g.c. STORIA militare)
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L'affondamento
Alle 20.10 del 7 dicembre 1941 la Calitea,
al comando del capitano di lungo corso Gaspare Lauro, salpò da Brindisi diretta
a Bengasi, via Argostoli e Navarino, con la scorta del cacciatorpediniere Freccia
(capitano di fregata Alvise Minio Paluello). Sulla Calitea si
trovavano 283 militari italiani e tedeschi e 900 tonnellate di merci varie
caricate a Brindisi, tra cui generi di conforto destinati alle truppe in Africa
per festeggiare il Natale: panettoni, salumi, liquori, zucchero, tabacco,
dolci, caffè. L’equipaggio era composto da 69 civili e 30 militari addetti alle
armi di bordo; comandante civile era il capitano di lungo corso Gaspare Lauro,
comandante militare il tenente di vascello Paolo Lavagna.
Il piccolo convoglio aveva già
avuto una falsa partenza la notte precedente: la Calitea era uscita in mare verso mezzanotte, preceduta alle 23.30
dal Freccia, ma poco dopo aver
imboccato la rotta di sicurezza verso il mare aperto le due navi erano state
richiamate in porto dal semaforo di Forte a Mare.
La sera del 7 dicembre, una volta
fuori dal porto di Brindisi, la Calitea
si accodò al Freccia, che la condusse
lungo la rotta di sicurezza e da lì, in tre quarti d’ora, in mare aperto. Il
sottocapo nocchiere Alessandro Caldara, imbarcato sul Freccia, avrebbe così ricordato, nelle sue memorie ("Quelli di
sottocastello"), le sue impressioni della motonave: “una magnifica nave
(…), di forme svelte e buona camminatrice; si naviga infatti alla
velocità di 16 nodi in linea di fila, noi avanti e la motonave che segue nella
scia”. Un idillio, quello tra la Calitea
e l'equipaggio del Freccia abituato a
scortare vecchie e lente carrette, destinato a durate poco: alle 7.30 dell'8
dicembre la motonave subì un'avaria al motore di dritta, in cui si ruppe
l'asta allo stantuffo pompa di lavaggio. Sul Freccia il tenente di guardia sull'aletta di plancia notò che la
distanza tra il cacciatorpediniere e la motonave andava aumentando, e poco dopo
la Calitea alzò i segnali di avaria
in macchina, per poi comunicare di aver fatto avaria al motore di dritta e di
poter proseguire a 9 nodi con la propulsione del solo motore di sinistra (“una
volta tanto che ci capita una nave veloce che ci promette una missione rapida e
sicura… siamo invece in piena scalogna”, come scrisse Caldara nel suo
diario). Il Comando Marina, informato
dell’accaduto ed essendo il convoglietto ormai all’altezza di Cefalonia, ordinò
alle due navi di entrare ad Argostoli per effettuarvi le necessarie
riparazioni. Qui Calitea e Freccia giunsero a mezzogiorno (per
altra fonte alle 12.30) dello stesso 8 dicembre; la Calitea diede fondo sottocosta, mentre il Freccia cercò di avvicinarsi il più possibile a terra, entro i
limiti consentiti dai bassi fondali (secondo fonti tedesche, la sosta fu dovuta
anche al maltempo, che impediva di proseguire). La sosta ad Argostoli durò
quasi tre giorni; riparata l'avaria con i mezzi di bordo, la Calitea ripartì alle quattro del mattino
dell'11, diretta a Bengasi sempre con la scorta del Freccia.
Alla partenza da Argostoli il vento
era teso, il mare agitato da nordovest. La navigazione proseguì senza intoppi
per tutta la mattina, ma verso mezzogiorno giunse da Marina Brindisi l'ordine
di rientrare subito a Navarino, essendo stata segnalata una divisione navale
britannica sulla rotta del convoglio.
Alle 12.40 il Freccia ordinò
dunque alla Calitea di assumere rotta 72° (fino a quel momento aveva
seguito rotta 191°), verso Navarino. Anche nel pomeriggio la navigazione, alla
velocità di 15 nodi, procedette senza inconvenienti; sulla Calitea il personale era in allerta, le guardie erano state
rafforzate ed il comandante militare era sul ponte.
La rotta verso Navarino avrebbe
portato Calitea e Freccia ad attraversare una zona in cui
la ricognizione aerea aveva segnalato la presenza di un sommergibile in
agguato, pertanto il comandante del Freccia
dispose che durante l’attraversamento dell'area incriminata il cacciatorpediniere
lanciasse bombe di profondità a scopo precauzionale. Il lancio avrebbe avuto
inizio alle 16.30; la Calitea venne
preventivamente informata con i segnali perché non si allarmasse.
Il sommergibile segnato dalla
ricognizione era il britannico Talisman (capitano di corvetta Michael
Willmott), in agguato 60 miglia ad ovest-sud-ovest dell’isola greca di Schiza.
Alle 16.15 il battello britannico avvistò Freccia e Calitea in
posizione 36°33' N e 20°34' E, a 40° sulla dritta, distanti circa 6000 metri;
Willmott stimò la rotta delle due navi italiane in 090°, e ritenne che la
motonave avesse una sagoma simile alla Vulcania (che però era cinque volte più
grande della Calitea), sovrastimandone la stazza in ben 15.000 tsl.
Alle 16.22 il Talisman
lanciò cinque siluri (nelle intenzioni di Willmott sarebbero dovuti essere
quattro, il quinto fu lanciato per un malinteso) contro la Calitea, da
una distanza di 2100 metri.
Alle 16.25 un siluro colpì il
bersaglio sul lato sinistro, in corrispondenza della stiva numero 3; cinque
secondo più tardi la Calitea fu colpita da un secondo siluro, in sala
macchine.
Subito la nave sbandò
fortissimamente sul lato sinistro; le esplosioni dei siluri avevano mandato in
pezzi tutte le imbarcazioni di quel lato, mentre i soldati tedeschi si
avventarono su quelle del lato di dritta. Non fu comunque possibile metterle a
mare, con uno sbandamento del genere; né fu possibile organizzare una qualche
parvenza di ordinato abbandono della nave, perché la Calitea s'inabissò
in soli ottanta secondi (secondo il rapporto del comandante Lauro; "Navi
mercantili perdute" dell'USMM parla invece di tre minuti), portando con sé
oltre un terzo degli uomini a bordo. Il punto dell’affondamento era 36°23' N e
20°33' E, 40 miglia ad ovest dell'isola di Sapienza, 90 miglia ad ovest di Capo
Matapan ed a 60 miglia per 246° da Navarino.
Il comandante civile Lauro rimase
fino alla fine sul ponte di comando, avvinghiato al parapetto di dritta
(«afferrato alla sua nave come ad una creatura», come scrisse poi il tenente di
cavalleria Ceriani, che lo vide in quel frangente), mentre la nave s’ingavonava
di poppa ed affondava, continuando ad impartire ordini con voce calma. Scese
sotto la superficie insieme alla sua nave, poi riemerse accanto ad uno
zatterone, vicino al tenente di cavalleria Ceriani, che si era trovato nei suoi
pressi e che rimase tanto impressionato dalla condotta del comandante che tempo
dopo scrisse alla società Adriatica una lettera per ringraziare ed elogiare il
suo comportamento. Il capitano Lauro rimase a guardare i rottami della Calitea,
salutando commosso quella che era stata la sua nave.
Dopo che la nave si fu inabissata,
numerosi rottami, zattere e zatterini affiorarono in superficie; i naufraghi
che erano in mare di aggrapparono ad essi per restare a galla, mentre il Freccia
conduceva una breve caccia, lanciando infruttuosamente 15 bombe di profondità
contro il Talisman.
Il sottonocchiere Alessandro
Caldara, che al momento del siluramento si trovava al timone del Freccia, così descrisse quei momenti: “A
un tratto l’ufficiale di guardia sull’aletta di plancia si precipita dentro
gridando al comandante che la motonave è saltata. Il comandante ordina subito:
“Velocità 20, tutta la barra a dritta!” (in seguito risulterà invece che il
lancio è avvenuto da sinistra). Io metto tutta la barra a dritta (…) appena
la nave ha compiuto il mezzo giro, mi si presenta davanti agli occhi uno
spettacolo impressionante. Abituato a vedere l’imponente massa della motonave,
ora trovo il nulla: dev’essersi squarciata in due per sparire così,
all’istante, e per provocare tanti rottami. Sembra che le stive si siano
svuotate e che tutto il galleggiabile sia venuto su. Davanti a noi vediamo
rottami, zattere, battelli sfasciati, e molto materiale. Vedremo poi moltissimi
panettoni e sacchi di caffè (con ogni probabilità destinati alle truppe in
Africa per il Natale) e, in mezzo a tutto questo guazzabuglio, moltissima gente
che urla”. Un altro membro dell'equipaggio del Freccia, il capo stazione tiro Franco Salerno, avrebbe ricordato
che la Calitea affondò di prua “come
un sommergibile”.
Il Freccia compì due giri attorno alla massa di rottami e naufraghi
che segnava il punto in cui la Calitea
era affondata, lanciando bombe di profondità nel tentativo di distruggere il
sommergibile o quanto meno costringerlo ad allontanarsi (“chissà a quanta
gente, immersa nell’acqua, le nostre bombe, con la potente vibrazione trasmessa
dallo scoppio, avranno rotto la spina dorsale”, avrebbe in seguito
riflettuto Caldara). Compiuti i due giri, il cacciatorpediniere ridusse la
velocità e si addentrò nella massa di rottami e naufraghi, dando inizio al
salvataggio. Il mare grosso ed il forte vento, che facevano scarrocciare il Freccia più rapidamente rispetto ai
rottami, rendevano difficile rimanere in posizione, tanto più che era
sconsigliabile usare le eliche per evitare che i naufraghi ne venissero
risucchiati. Il cacciatorpediniere mise subito in mare il battello a remi e la
motolancia, che si diressero verso i naufraghi più lontani; a quelli più vicini
vennero lanciate cime e biscagline, che dovevano afferrare per poi essere
issati a bordo. Dalle memorie di Alessandro Caldara: “Io smonto dal servizio
al timone e vado a poppa per iniziare il recupero. Preparo subito cime e
biscagline. (…) mi prodigo in tutti i modi per tirar su gente, ma in
special modo per lanciare ai più lontani il sacchetto: una lunga sagola di
lancio con palla di piombo all’estremità. Comunque la difficoltà maggiore sta
nel fatto che, una volta sotto bordo, il mare sbatacchia gli uomini contro lo
scafo ed è molto laborioso cercare di afferrarli per issarli a bordo. Sull’altro
bordo invece il mare allontana i naufraghi da noi, e molta gente scompare sotto
i miei occhi. Un capitano di fanteria è aggrappato a una cima. Stiamo per
tirarlo su, ma lui vede nei pressi due soldati tedeschi semistrangolati dai
salvagenti; i maledetti salvagenti a grossi quadri di sughero, che si infilano
per il collo e poi si devono legare bene con fettucce a vita; e disgraziato chi
non se le lega a dovere, perché la forza dell’acqua spinge in su i grossi
blocchi, che soffocano o strangolano le persone. Comunque il capitano ci fa
segno di tirare su prima loro, e questi, terrorizzati, una volta aggrappati
alla cima puntano i piedi sulle spalle del capitano per issarsi meglio.
L’ufficiale scompare sotto la nostra nave; non lo rivediamo più. Quelli seduti
o sdraiati sui rottami vogano con pezzi di legno verso di noi, ma il mare li
allontana sempre più, con disperazione nostra e loro. Invano gridano chiedendo
il nostro aiuto”.
Rimasti senza cime, Caldara e due compagni si calarono
fuori bordo, mettendosi a cavalcioni del paraeliche; da quella rischiosa
posizione – sarebbe bastato poco per scivolare e finire in mare – iniziarono ad
afferrare gli uomini in acqua, prendendoli per i vestiti (i naufraghi, ormai,
erano così indeboliti dal freddo da non riuscire nemmeno a porgere loro la
mano). Fatica improba: semiassiderati, zuppi d’acqua e cosparsi di nafta, i
naufraghi erano viscidi e pesantissimi, scivolavano tra le mani di chi cercava
di afferrarli per issarli a bordo, talvolta rimettendoci le unghie. Tra mille
sforzi Caldara ed i compagni riuscirono a tirare a bordo in questo modo una
decina di uomini, uno dei quali già morto. “Un altro capitano dell’esercito,
seduto su di un rottame (mi resterà innanzi agli occhi: con in testa il
berretto stile impero, dai tre galloni d’oro), sta passando a circa 40 metri da
noi; usa un pezzo di legno a mo’ di pagaia, e quando gli faccio segno di essere
pronto ad afferrare la sagola che sto per lanciargli, mi fa segno di no,
indicandomi prima gli altri che sono in acqua. Ci saluta agitando in aria la
mano. Anche lui sparirà alla mia vista”.
Caldara rimase particolarmente
colpito dalla compostezza di quell’ufficiale, che aveva persino sorriso al suo
stupore: “era in acqua seduto su di un rottame semisommerso (…) con
tutto il busto fuori dell’acqua; era in posizione eretta, aveva il berretto in
testa (…) con ambo le mani impugnava un pezzo di legno come pagaia; più
che per vogare lo usava per tenersi in equilibrio, ben seduto su quel marasma
di onde. Quando me lo vidi a tiro gli feci segno di tenersi pronto ad afferrare
la mia sagola. Lui lasciò con una mano il pezzo di legno e chiaramente mi fece
segno di no, anzi mi indicò altra gente in acqua come per dire di pensare prima
a loro. E io infatti mi dedicai agli altri; quando però, non avendone più a
tiro, mi rivolsi di nuovo a lui, il vento ormai lo aveva spinto lontano, fuori
tiro della fune, ma i nostri sguardi si incontrarono ancora e lui alzando in
alto una mano e agitandola, mi salutò”. Questo capitano, Caldara avrebbe
appreso quasi quarant'anni più tardi, era l'ufficiale degli autieri Aurelio
Massari, imbarcato sulla Calitea come
facente funzione di commissario di bordo; dopo che lui lo ebbe perso di vista,
il Freccia effettuò un secondo giro
di ricerca e lo avvistò di prua, e Massari venne issato a bordo, nei pressi dei
paranchi della motobarca, dal sottufficiale di macchina Attilio Morgia. A
Morgia Massari, giunto sottobordo a cavalcioni di un barile semisfasciato, raccontò
di essere al terzo affondamento dall’inizio della guerra. Massari non sarebbe
sopravvissuto al conflitto, aderendo alla R.S.I. dopo l'8 settembre 1943 e
scomparendo in Emilia, sua terra natale, negli ultimi giorni della guerra.
Sul parabordo sinistro di poppa del
Freccia, il motorista Giacomo Bollati
ed un marinaio issarono a bordo alcuni uomini, in maggioranza tedeschi.
Il tenente Libero Legori, al
momento del siluramento, si era trovato sul ponte di coperta della Calitea, insieme ad un amico capitano di
Melegnano; subito dopo il siluramento aveva esortato l’amico a gettarsi in
mare, cosa che aveva poi fatto egli stesso, tra i primi. Il capitano lo aveva
seguito con una certa esitazione, scampando per un pelo al risucchio da parte
dei gorghi prodotti dalla Calitea in
affondamento; dalla Calitea
giungevano le grida dei feriti e degli uomini intrappolati sottocoperta.
Allontanatosi dalla nave in affondamento a forti bracciate, il capitano
raggiunse Legori; aggrappati ad un relitto, i due ufficiali rimasero piuttosto
vicini per due o tre ore, chiamandosi ogni tanto ed incoraggiandosi
vicendevolmente, ma ad un certo punto Legori non rispose più ai richiami. Poco
più tardi i due ufficiali, privi di sensi per il freddo e lo sfinimento,
vennero issati a bordo del Freccia;
ma Legori non si svegliò più.
Domenico Metlika, nocchiere del Freccia, avrebbe ricevuto un encomio
solenne per essersi prodigato nel salvataggio dei naufraghi.
Roaldo Blancato, giovane tenente
dei lancieri, passò ore aggrappato insieme ad alcuni tedeschi al bordo di uno
zatterino di un metro per 80 centimetri, sul quale si trovava un capitano di
fanteria lombardo, in uniforme completa; venne salvato dopo essere giunto
sottobordo al Freccia.
Alessandro Caldara avrebbe in
seguito ricordato che alcuni naufraghi raccontarono che la Calitea era stata colpita da due siluri, dei quali il primo l'aveva
raggiunta a prua, mentre il secondo aveva colpito subito dopo a centro nave,
spezzandola in due e determinandone il rapidissimo affondamento.
Per tre ore il Freccia, ostacolato dal calare della sera e dal mare agitato, continuò
a recuperare gente dal mare; calata l'oscurità, dopo aver tratto in salvo 227 o
230 sopravvissuti, diresse per il rientro a Navarino. Quando il
cacciatorpediniere rimise in moto per lasciare la zona dell’affondamento, si
sentiva ancora qualche grido lontano, ma ormai al buio non si vedeva più
niente, e la probabile presenza nei pressi del sommergibile attaccante, pronto
a silurare l'unità soccorritrice, rendeva troppo pericoloso accendere le luci
per la ricerca. Venne segnalata via radio la posizione degli ultimi naufraghi,
affinché potesse essere inviata a cercarli una nave ospedale, e per dare loro
un ultimo aiuto furono lasciati alla deriva due zatteroni con viveri ed acqua.
Avrebbe poi ricordato Alessandro Caldara: “Io sono di nuovo al timone. Mentre stiamo
per andarcene sentiamo sulla nostra sinistra delle grida provenire dal mare; il
comandante, quasi che volesse giustificarsi con noi della plancia, dice che
bisogna avere il cuore duro e che non si può rischiare oltre la nave per
tentare l’improbabile ricupero di poche persone”. Giacomo Bollati ricordò
di aver sentito in quel frangente delle grida che sembravano provenire da un
giovanissimo; alcuni superstiti dell’equipaggio della Calitea gli dissero che probabilmente si trattava di un loro mozzo
molto giovane, che mancava all’appello. (Cesare Cumano, giovanotto di coperta
scomparso nell’affondamento, non aveva che diciassette anni).
Mentre il Freccia fendeva mestamente il mare grosso alla velocità di 16 nodi, puntando
verso Navarino, l’equipaggio del cacciatorpediniere si fece in quattro per
assistere i naufraghi: vennero offerti loro cibo, cognac, sigarette, indumenti
asciutti prestati dai marinai del Freccia,
persino materassi e coperte presi dalle proprie brande; “ognuno di noi trova
un compaesano e automaticamente questo diventa il suo protetto, cui cerca di
non far mancare niente”. Si provvide a medicare i molti feriti, mentre i
superstiti in condizioni migliori scesero nei locali caldaie per riscaldarsi.
Durante la notte vennero trovati morti a bordo del Freccia due naufraghi, in circostanze mai chiarite: i corpi vennero
filati in mare senza essere identificati. Molto tempo dopo, si sarebbe tenuta a
Napoli una breve inchiesta a riguardo.
Ufficiali superstiti della Calitea radunati a poppa del Freccia dopo l’arrivo a Navarino, il giorno successivo all’affondamento (da “Quelli di sottocastello” di Alessandro Caldara) |
Il Freccia giunse a Navarino a mezzanotte, ma l’oscurità e la mancanza
di segnali gli impedirono di trovare l’entrata della rada; il
cacciatorpediniere dovette così incrociare davanti alla costa fino al mattino,
quando con le prime luci poté finalmente entrare, alle 8.15 del 12 dicembre. Il
bassofondale impedì di ormeggiarsi in banchina ed i naufraghi dovettero essere
traghettati a terra con le imbarcazioni di bordo, con ulteriori tribolazioni
per i feriti. Sulle prime furono soltanto i feriti ad essere sbarcati a
Navarino, ma successivamente giunse l’ordine di sbarcare tutti i militari,
italiani e tedeschi, tenendo a bordo soltanto i superstiti dell’equipaggio
civile della Calitea.
Dopo essersi rifornito d’acqua, il Freccia
lasciò Navarino il mattino del 13 dicembre diretto in Italia, ma al largo
di Cefalonia giunse l’ordine di entrare ad Argostoli, dove il 14 dicembre
trasbordò i naufraghi civili sul cacciatorpediniere Turbine. Questi
portò i superstiti a Patrasso, dove gli ufficiali vennero alloggiati in albergo
ed il resto dell’equipaggio nel campo sosta militari; vi rimasero per tre
giorni, per poi essere imbarcati alle 20 del 18 dicembre sulla motonave Calino,
che li sbarcò a Bari alle 11 del 21 dicembre. Qui i naufraghi ricevettero
biglietti ferroviari ed una somma di denaro, prelevata dalla cassa del
comandante della Calino, come acconto sullo stipendio.
Per cercare i naufraghi che il Freccia
non era riuscito a recuperare, alle 20.02 dell’11 dicembre Supermarina ordinò
alla nave ospedale Arno, da poco partita da Navarino carica di feriti e
malati da portare a Napoli (in parte imbarcati a Bengasi ed in parte a
Navarino, questi ultimi già naufraghi della motonave Sebastiano Venier,
silurata dal sommergibile HMS Porpoise), di raggiungere il punto 36°30'
N e 20°36' E per ulteriori ricerche. La nave ospedale diresse sul punto
indicato a 12 nodi, il massimo che le sue malandate macchine – cronicamente a
corto di manutenzione – potessero sviluppare, giungendovi alle 22.15; ridotta
la velocità, iniziò la ricerca notturna a lento moto, ostacolata dal mare
agitato, con vento fresco e teso da nordovest.
Per tutta la notte l'Arno
setacciò le onde nere con i suoi proiettori, ma fu soltanto dopo l'alba, alle
sette del mattino, che incontrò i primi segni tangibili della tragedia:
dapprima una chiazza di nafta, poi rottami e zattere vuote. Solo verso le
undici del mattino venne finalmente avvistata, su uno zatterino semisommerso,
una figura umana immersa nell'acqua quasi fino alle spalle: subito tratto in
salvo, il naufrago risultò essere un soldato tedesco. Ai suoi salvatori
raccontò che in origine c’erano stati altri naufraghi con lui su quello
zatterino, che il Freccia non aveva visto dopo l’affondamento della Calitea;
uno dopo l'altro, tutti i suoi compagni avevano ceduto al freddo e alla
stanchezza, ed erano scomparsi tra le onde.
Subito dopo questo salvataggio,
Supermarina ordinò all'Arno di interrompere le ricerche a mezzogiorno e
dirigere per Napoli, ma il comandante della nave ospedale decise di continuare
a cercare fino alle 14.30. Non fu trovato nessun altro superstite: soltanto
rottami, zattere ed imbarcazioni vuote, i cui occupanti erano già stati
soccorsi dal Freccia. Lasciata la zona dell'affondamento, l'Arno
arrivò a Napoli alle dieci del mattino del 14 dicembre, con il suo solitario
naufrago.
Qualche altro superstite
risulterebbe essere stato salvato da idrovolanti di soccorso inviati il giorno
successivo all’affondamento.
Alla fine, le vittime
dell’affondamento della Calitea furono 155: 33 membri dell’equipaggio
civile, 6 membri dell’equipaggio militare e 116 militari italiani e tedeschi di
passaggio. Tra i dispersi vi fu anche il comandante militare Lavagna.
Le vittime tra
l'equipaggio civile:
(si
ringraziano Carlo Di Nitto e Michele Strazzeri)
Vladimiro
Adami, elettricista, da Scherbina
Giuseppe
Bertoli, cameriere
Giovanni
Caricari, garzone di camera, da Genova
Giuseppe
Castellano, marinaio
Vladimiro
Chersi, ufficiale di coperta, da Moschiena
Nicolò
Collini, cameriere, da Spalato
Domenico
Consoli, cuoco, da Catania
Amedeo
Corbatto, cuoco, da Trieste
Cesare Cumano,
giovanotto, da Trieste
Giacomo
Galatolo, fuochista
Alessandro
Guerrino, cuoco
Giovanni
Hojak, marittimo, da Trieste
Antonio
Impagliazzo, fuochista
Lino Labinaz,
ufficiale di macchina, da Albona
Antonio
Latini, ufficiale di macchina, da Bilin (Bucovina)
Riccardo
Linda, cameriere, da Zara
Gennaro
Loffredo, carbonaio
Antonio
Lunanuova, mozzo, da Molfetta
Domenico
Mancuso, cambusiere, da Messina
Benvenuto Marcon,
cuoco, da Trieste
Leandro
Martinoli, cameriere, da Metcovich
Vittorio
Marussi, capo cuoco, da Trieste
Giovanni
Meola, piccolo di cucina, da Corgnale
Donato Minotta, cameriere, da Napoli
Giuseppe
Paturzo, cameriere, da Genova
Giovanni
Battista Rebolini, cuoco
Giulio Rude, giovanotto
Alberto
Sadelli, ufficiale di macchina, da Goess
Gaetano
Scarpato, ufficiale di macchina
Alberto Seidl,
ufficiale di macchina
Rodolfo
Sovrano (o Sorano), meccanico, da Trieste
Giorgio Sussi,
garzone, da Cherso
Francesco
Traversa, fuochista, da Bari
Carlo Zolla (o
Zolia), panettiere, da Trieste
Atti di
scomparizione in mare relativi a membri dell’equipaggio civile della Calitea
(g.c. Michele Strazzeri)
Un’altra
immagine della Calitea con i colori
dell’Adriatica (da A. Duncan, Gravesend, via Nedo B. Gonzales e www.naviearmatori.net)
|
L'affondamento della Calitea nel giornale di bordo del Talisman (da Uboat.net):
"1615 hours - In
position 36°33'N, 20°34'E heard HE, sighted destroyer and merchant vessel
bearing Green 40 distance about 6600 yards. Enemy course 090°.
1622 hours - Fired
four torpedoes at the merchant vessel of 15000 tons. The silhouette was similar
to Vulcania. Range on firing was 2300 yards. A fifth torpedo was fired in a
misunderstanding.
1624 hours - Obtained
four hits. Talisman was briefly
hunted after this attack. The escort dropped 15 depth charges before picking up
the survivors."
Tempi migliori: sopra, una
cartolina dell’Adriatica (da adriatica.altervista.org) e, sotto, un manifesto
del Lloyd Triestino realizzato da Gioacchino Esposito (g.c. Piergiorgio
Farisato, via www.naviearmatori.net),
ritraenti la Calitea.
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