mercoledì 1 febbraio 2017

Calitea

La Calitea a Venezia verso la fine degli anni Trenta (da www.adriatica.altervista.org)

Motonave mista da 4013,44 tsl, 2086 tsn e 2162 tpl, lunga 101,8 metri, larga 15,13 e pescante 7,3, con velocità di 16,5 o 17,2 nodi. Appartenente alla Società Anonima di Navigazione Adriatica, con sede a Venezia, ed iscritta con matricola 342 al Compartimento Marittimo di Trieste; nominativo internazionale IBPI. Poteva trasportare 157 passeggeri in cabina (81 in prima classe, 34 in seconda e 42 in terza) e 91 sul ponte, e disponeva inoltre di quattro stive della capacità di 2671 metri cubici; coniugava sistemazioni eleganti e razionali per i passeggeri ad un’ampia disponibilità di carico.


 Due belle immagini della Calitea con i colori del Lloyd Triestino (sopra: g.c. Pietro Berti, via www.naviearmatori.net; sotto: da www.photoship.co.uk)


Nave elegante, concepita appositamente per la linea del Levante e del Dodecaneso, riprendeva in parte le linee della più grande motonave Victoria, costruita pochi anni prima dai CRDA per il Lloyd Triestino.
Gli interni furono arredati da Gustavo Pulitzer Finali, uno dei più rinomati architetti navali italiani; vi partecipò anche lo scultore Marcello Mascherini, che realizzò una scultura bronzea femminile chiamata appunto “Calitea”.

La Calitea con la livrea della società Adriatica (da www.photoship.co.uk

Breve e parziale cronologia.

15 novembre 1932
Impostata nei Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Monfalcone (costruzione numero 1118).

Alcune foto della Calitea in costruzione (Archivio Petronio Neumann, via www.nauticots.forumattivo.com)





24 giugno 1933
Varata nei Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Monfalcone.

Una sequenza di immagini del varo della Calitea (tutte dall’Archivio Petronio Neumann, via www.nauticots.forumattivo.com, eccetto la seconda)


(da www.naviearmatori.net, utente Commis)




12 ottobre 1933
Completata per il Lloyd Triestino, con sede a Trieste.



 Sopra, la nave durante l’allestimento; sotto, durante le prove in mare, con la livrea originaria del Lloyd Triestino, scafo e fumaioli neri, mutata nella nuova livrea (scafo bianco con striscia azzurra, fumaioli color oro) proprio nel 1933 (Archivio Petronio Neumann, via nauticots.forumattivo.com)







14 ottobre 1933
Parte per il viaggio inaugurale sulla linea celere Trieste-Venezia-Brindisi-Pireo-Rodi-Alessandria d’Egitto (per altra fonte, anche Istanbul), sulla quale navigherà poi regolarmente negli anni a seguire.

La Calitea con la nuova livrea del Lloyd Triestino (g.c. Piergiorgio Farisato, via www.naviearmatori.net

Luglio 1935
La linea sulla quale presta servizio la Calitea viene modificata con l’aggiunta di alcuni porti, divenendo così Trieste-Alessandria d’Egitto via Venezia, Fiume, Zara, Brindisi, Canale di Corinto, Pireo e Rodi.
Utilizzata dalla società Adriatica sulla linea numero 50 (Adriatico-Pireo-Egeo-Egitto).

All’ormeggio (da nauticots.forumattivo.com) 

2 dicembre 1936
La Calitea sbarca a Rodi, al molo Sant’Angelo, il gerarca fascista Cesare De Vecchi, appena nominato governatore del Dodecaneso.

In navigazione (da www.naviearmatori.net, utente Commis)

1° gennaio 1937
Trasferita alla Adriatica Società Anonima di Navigazione, con sede a Venezia.


 Cartoline della Calitea realizzate da Paolo Klodic, sopra con i colori del Lloyd Triestino e sotto con i colori dell’Adriatica: come si può vedere, l’immagine è la stessa, mentre viene cambiata la livrea (da nauticots.forumattivo.com)


Settembre/Ottobre 1939
Sospesa la linea n. 50, la Calitea inizia a svolgere viaggi speciali per conto del Governo.


Due immagini della Calitea a Brindisi: sopra ormeggiata (da www.photoship.co.uk), sotto in entrata al cospetto del Monumento al Marinaio (g.c. Nedo B. Gonzales, via www.naviearmatori.net)


9 giugno 1940
La Calitea, proveniente da Haifa (dov’è giunta da Alessandria d’Egitto, che ha lasciato il 5 giugno) al comando del capitano Zanetti, viene fermata nelle acque di Malta e dirottata a La Valletta per controlli e perquisizioni da parte delle autorità britanniche preposte alla vigilanza contro il contrabbando di materiale bellico da parte di navi di nazioni neutrali.

La Calitea in navigazione con i colori dell’Adriatica (g.c. Nedo B. Gonzales via www.naviearmatori.net

10 giugno 1940
All’atto della dichiarazione di guerra dell’Italia a Regno Unito e Francia la Calitea è ancora a Malta, porto ora nemico. A differenza di tante altre navi mercantili italiane trovatesi nelle medesime circostanze, tuttavia, la Calitea non verrà catturata: il console italiano a Malta (generale Mario Canino), anzi, dopo tre giorni di insistenze riuscirà a convincere il generale William Dobbie, governatore dell’isola, a permettere che la Calitea parta per l’Italia rimpatriando oltre 600 cittadini italiani che allo scoppio della guerra si trovavano a Malta (compreso lo stesso console Canino e la sua famiglia). Tra di essi vi sono anche 364 tra marittimi e passeggeri della motonave Rodi, anch’essa dirottata a Malta il 9 giugno (ed ormeggiata in quel porto proprio vicino alla Calitea, al molo di Forte Ricasoli) ma che, a differenza della Calitea, sarà trattenuta e catturata, entrando in servizio per conto dei britannici.

La nave ormeggiata (da www.photoship.co.uk

13 giugno 1940
La Calitea, con i 600 italiani a bordo, lascia Malta scortata, lungo la rotta di sicurezza, da un dragamine britannico. Proseguendo poi da sola, la motonave raggiunge Siracusa in giornata.
Il generale Dobbie, per questo gesto cavalleresco, sarà duramente criticato da Londra per essersi lasciato sfuggire una bella preda come la Calitea.
Quella appena riportata è la versione che risulta dalle fonti italiane; fonti maltesi, tuttavia, forniscono una versione piuttosto differente. Secondo queste ultime, la Calitea avrebbe effettivamente lasciato Malta con numerosi cittadini italiani da rimpatriare (circa 300) con l’assenso delle autorità britanniche, ma questo sarebbe accaduto non il 13 giugno, ma il 10 giugno stesso, appena prima della dichiarazione di guerra. Prima della partenza, un ufficiale della Marina britannica sarebbe salito sulla Calitea per rassicurare alcuni dei civili italiani – i quali temevano che, qualora la nave non fosse partita in tempo, sarebbero stati imprigionati – che in ogni caso la nave avrebbe fruito di un salvacondotto per raggiungere Siracusa senza problemi; successivamente un italiano, in abiti civili, si sarebbe presentato all’ufficiale britannico e, ringraziandolo per il suo atteggiamento da gentiluomo, ne avrebbe ricambiato la correttezza confessando di essere in realtà un militare, lasciandosi quindi condurre via come prigioniero di guerra.
Fonti ufficiali britanniche, infine, raccontano una versione che si colloca a metà strada tra quelle italiane e quelle maltesi: la Calitea sarebbe stata lasciata partire con i civili italiani il 13 giugno, ma non per iniziativa unilaterale (e non approvata da Londra) del governatore Dobbie, bensì con l’esplicito assenso del governo britannico, nell’ambito di un più ampio accordo che avrebbe previsto anche lo scambio del rispettivo personale diplomatico (italiano e britannico) che i britannici temevano potesse essere ostacolato da un’eventuale cattura della Calitea (tale scambio fu poi effettuato a Lisbona, con la partecipazione del transatlantico italiano Conte Rosso e dei britannici Ordina e Monarch of Bermuda). Dobbie aveva esplicitamente chiesto ed ottenuto dall’Ammiragliato, l’11 giugno, il permesso di usare la Calitea per rimpatriare circa 700 cittadini italiani la cui permanenza sull’isola, iniziate le ostilità, sarebbe potuta essere un problema, in considerazione della vulnerabilità di Malta e delle ridotte dimensioni della sua guarnigione in quel momento.


25 giugno 1940
Requisita a Siracusa dalla Regia Marina, senza essere iscritta nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato.
6 luglio 1940
Dopo aver imbarcato 619 militari diretti in Libia, la Calitea parte da Napoli alle 19.45, in convoglio con la turbonave passeggeri Calitea (anch’essa carica di truppe: 1571 uomini) e con le moderne motonavi da carico Marco Foscarini e Vettor Pisani. La scorta diretta è rappresentata dalla XIV Squadriglia Torpediniere, con Procione, Orsa, Orione e Pegaso; al largo di Catania si unisce al convoglio la motonave Francesco Barbaro, scortata dalle vecchie torpediniere Giuseppe Cesare Abba e Rosolino Pilo. L’operazione è denominata «TCM».
Il convoglio segue la rotta che passa per lo Stretto di Messina.


Due immagini della Calitea in porto, probabilmente nel periodo della “non belligeranza” tra settembre 1939 e giugno 1940 (come indicherebbero le bandiere di neutralità italiane verniciate sulle navi). In entrambe le foto, la nave ormeggiata sull’altro lato della banchina sembrerebbe essere il piroscafo Galilea (da nauticots.forumattivo.com) 


7 luglio 1940
Mentre il convoglio si trova in Mar Ionio, Supermarina viene informato che alle otto del mattino dello stesso 7 luglio la Forza H britannica (portaerei Ark Royal, corazzate Valiant e Resolution, incrociatore da battaglia Hood, incrociatori leggeri ArethusaDelhi ed Enterprise, cacciatorpediniere Faulknor, FoxhoundFearlessDouglasActiveVeloxVortingern e WrestlerEscort e Forester) è uscita in mare da Gibilterra. Scopo di tale uscita (operazione «MA 5») è attaccare gli aeroporti della Sardegna, per distogliere l’attenzione dei comandi italiani da un traffico di convogli tra Alessandria a Malta (due convogli di mercantili per l’evacuazione di civili e materiali da inviare ad Alessandria, ed uno di cacciatorpediniere con alcuni rifornimenti per Malta), con l’appoggio dell’intera Mediterranean Fleet (corazzate Warspite, Malaya e Royal Sovereign, portaerei Eagle, incrociatori leggeri Orion, Neptune, Sydney, Gloucester e Liverpool, cacciatorpediniere Dainty, Defender, Decoy, Hasty, Hero, Hereward, Hyperion, Hostile, Ilex, Nubian, Mohawk, Stuart, Voyager, Vampire, Janus e Juno); questo, però, non è a conoscenza dei comandi italiani, che decidono di fornire protezione al convoglio diretto a Bengasi, facendo uscire in mare l’intera flotta italiana.
La scorta diretta viene così rinforzata dalla II Divisione Navale, con gli incrociatori Bande Nere e Colleoni, dalla X Squadriglia Cacciatorpediniere con Maestrale, Grecale, Libeccio e Scirocco, e dalle torpediniere Pilo e Missori; quale scorta a distanza, escono in mare la 1a Squadra Navale con le Divisioni IV (incrociatori leggeri Alberico Da Barbiano, Alberto Di Giussano, Luigi Cadorna ed Armando Diaz), V (corazzate Giulio Cesare e Conte di Cavour) e VIII (incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi) e le Squadriglie Cacciatorpediniere VII (Freccia, Dardo, Saetta, Strale), VIII (Folgore, Fulmine, Lampo, Baleno), XIV (Leone Pancaldo, Ugolino Vivaldi, Antonio Da Noli), XV (Antonio Pigafetta, Nicolò Zeno) e XVI (Nicoloso Da Recco, Emanuele Pessagno, Antoniotto Usodimare), e la 2a Squadra Navale con l’incrociatore pesante Pola (nave ammiraglia), le Divisioni I (Zara, Fiume, Gorizia), III (incrociatori pesanti Trento e Bolzano) e VII (incrociatori leggeri Emanuele Filiberto Duca d’Aosta, Eugenio di Savoia, Raimondo Montecuccoli e Muzio Attendolo) e le Squadriglie Cacciatorpediniere IX (Alfieri, Oriani, Gioberti, Carducci), XI (Aviere, Artigliere, Geniere, Camicia Nera), XII (Lanciere, Carabiniere, Ascari, Corazziere) e XIII (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino). Pola, I e III Divisione, con le relative squadriglie di cacciatorpediniere (IX, XI e XII), si posizionano 35 miglia ad est del convoglio, per proteggerlo da un attacco navale proveniente da est, mentre la VII Divisione e la XIII Squadriglia, posizionate 45 miglia ad ovest, forniscono protezione da attacchi provenienti da Malta; il resto della flotta (IV, V e VIII Divisione, VII, VIII, XIV, XV e XVI Squadriglia) forma infine un gruppo di sostegno. Non è tutto: viene organizzata un’intensa ricognizione aerea con grandi aliquote dei velivoli della ricognizione marittima, il posamine ausiliario Barletta viene inviato a posare mine a protezione del porto di Bengasi, e vengono inviati in tutto 14 sommergibili in agguato nel Mediterraneo orientale.
L’avvistamento anche della Mediterranean Fleet, uscita da Alessandria nel pomeriggio del 7 – come si è detto – per proteggere i convogli con Malta, non fa che confermare la convinzione di Supermarina circa la necessità delle misure adottate.
Il convoglio, procedendo a 14 nodi, segue rotta apparente verso Tobruk fino a giungere in un punto situato 245 miglia a nordovest di Bengasi, quindi assume rotta verso quest’ultimo porto; dopo altre 100 miglia il convoglio si divide, lasciando proseguire a 18 nodi le più veloci Calitea ed Esperia, mentre le motonavi da carico manterranno una velocità di 14 nodi.
8 luglio 1940
All’1.50 l’ammiraglio Inigo Campioni, comandante della flotta italiana, a seguito di avvistamenti della ricognizione che rivelano la presenza in mare della Mediterranean Fleet britannica (anch’essa uscita a tutela di convogli), ordina al convoglio, che si trova in rotta 147° (per Bengasi) di assumere rotta 180°, in modo da essere pronto ad essere dirottato su Tripoli in caso di necessità. Alle 7.10, appurato che la Mediterranean Fleet non può essere diretta ad intercettare il convoglio, Campioni ordina a quest’ultimo di tornare sulla rotta per Bengasi.
La Calitea e le altre navi del convoglio entrano a Bengasi tra le 18 e le 22, così concludendo la traversata senza inconvenienti. In tutto il convoglio porta in Libia 2190 uomini (619 sulla Calitea e 1571 sull’Esperia), 72 carri armati M11/39, 232 automezzi, 5720 tonnellate di carburante e 10.445 tonnellate di rifornimenti vari.
Durante la navigazione di rientro alle basi, la flotta italiana si scontrerà con quella britannica, nell’inconclusivo confronto divenuto poi noto come battaglia di Punta Stilo.
9 luglio 1940
Calitea ed Esperia lasciano Bengasi alle 19.30 dirette a Tripoli, scortate dalla torpediniera Orione.
10 luglio 1940
Le navi arrivano a Tripoli alle 15, e qui iniziano ad imbarcare le truppe della 61a Divisione Fanteria "Sirte", da trasferire a Bengasi.
12 luglio 1940
Terminato l’imbarco delle truppe, Calitea ed Esperia, ora scortate dall’Orsa, lasciano Tripoli alle 20.
13 luglio 1940
Il convoglio arriva a Bengasi alle 19.15.
14 luglio 1940
Calitea ed Esperia, scortate ora dalla torpediniera Castore, salpano di nuovo da Bengasi (alle 20) per tornare a Tripoli.
15 luglio 1940
Le navi arrivano a Tripoli alle 16.15.
16 luglio 1940
Calitea ed Esperia, scortate adesso dalla torpediniera Climene, partono ancora da Tripoli dirette a Bengasi, alle 12.30, con altri reparti della Divisione "Sirte".
17 luglio 1940
Le navi giungono a Bengasi alle 9.30.
19 luglio 1940
Alle sei del mattino Calitea ed Esperia, insieme alle motonavi da carico Foscarini, Pisani e Barbaro, lasciano Bengasi per tornare in Italia. La scorta diretta è costituita dalla solita XIV Squadriglia Torpediniere (caposcorta Procione, nonché Orsa, Orione e Pegaso), poi rinforzata in mattinata dalla X Squadriglia Cacciatorpediniere (Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco) proveniente da Tripoli. Per scorta indiretta esce da Taranto l’VIII Divisione Navale (Duca degli Abruzzi e Garibaldi) con i relativi cacciatorpediniere, mentre la III Divisione si tiene pronta a Messina, per intervenire rapidamente in caso di necessità.
21 luglio 1940
Il convoglio arriva a Napoli alle 00.30, senza che si siano manifestati problemi.
Successivamente la Calitea subisce dei lavori per renderla più adatta al servizio bellico.
5 ottobre 1940
La Calitea e la moderna motonave da carico Sebastiano Venier salpano in serata da Taranto dirette a Lero, cariche di rifornimenti destinati alle isole del Dodecaneso e scortate dalla XII Squadriglia Cacciatorpediniere (AscariLanciereCorazziere e Carabiniere). Dovranno passare a sud di Cerigo e di Stampalia, fruendo anche della protezione di cinque sommergibili e di una considerevole aliquota delle forze navali.
6 ottobre 1940
In mattinata escono in mare anche le forze incaricate della copertura a distanza del convoglio: da Messina la III Divisione Navale (incrociatori pesanti TrentoTrieste e Bolzano) e la XI Squadriglia Cacciatorpediniere (AviereArtigliere, Geniere e Camicia Nera), e da Taranto la I Divisione Navale con gli incrociatori pesanti Zara, Fiume e Gorizia, l’incrociatore pesante Pola – nave ammiraglia della II Squadra Navale – e la IX Squadriglia Cacciatorpediniere (Vittorio AlfieriAlfredo OrianiVincenzo Gioberti e Giosuè Carducci). L’operazione viene però interrotta il mattino stesso del 6 ottobre, dopo che la ricognizione aerea dell’Egeo ha segnalato due corazzate, due incrociatori e sette cacciatorpediniere britannici (si tratta delle corazzate Ramillies e Malaya, della portaerei Eagle, degli incrociatori leggeri Ajax e Coventry e di otto cacciatorpediniere, usciti da Alessandria il 3 ottobre al comando dell’ammiraglio Layon) sulla rotta Alessandria-Caso, ossia dove dovrebbero passare le navi dirette nel Dodecaneso. Tutte le unità italiane vengono fatte rientrare alle basi; «C.V.» non si farà più.
2 dicembre 1940
La Calitea, adibita a traffico civile, salpa da Durazzo alle 17.30 insieme ai piroscafi Polcevera e Sant’Agata, con la scorta della torpediniera Curtatone.
3 dicembre 1940
Il convoglio giunge a Bari alle 9.
20 dicembre 1940
Parte da Napoli alle 21.30, con a bordo 1200 o 2350 tonnellate di fusti di benzina e materiali della Regia Marina e della Regia Aeronautica (benzina, lubrificanti, vestiario e materiali vari). Data la situazione dell’arcipelago, circondato da possedimenti nemici ed in acque controllate dalle Marine britannica e greca, la Calitea – il cui viaggio è coperto da massima segretezza – viaggia isolata, senza scorta (tranne che per alcuni caccia italiani inviati da Lero l’ultimo giorno di navigazione) ed a tutta velocità, quasi esclusivamente di notte, in modo da eludere la sorveglianza nemica e ridurre le possibilità di essere intercettata. Per ingannare il nemico circa la propria vera destinazione, la nave farà scalo a Tripoli e Tobruk prima di proseguire per il Dodecaneso; fino a Tripoli la scorta il cacciatorpediniere Turbine.
24 dicembre 1940
Arriva a Tripoli alle 22, poi prosegue per Tobruk.
26 dicembre 1940
Arriva a Tobruk alle 10, poi prosegue per Rodi.
27 dicembre 1940
La Calitea raggiunge Rodi. Il nuovo governatore del Dodecaneso, generale Ettore Bastico, che ha sostituito De Vecchi, protesta presso Roma perché il carico della nave non include generi alimentari, di cui vi è urgente bisogno nelle isole (essi arriveranno due giorni più tardi con l’incrociatore ausiliario RAMB III, inviata da Taranto).
Dopo aver scaricato il proprio carico, la Calitea torna a Tobruk.
31 dicembre 1940
Lascia Tobruk alle 23, scortata dalla torpediniera Generale Carlo Montanari, per raggiungere Bengasi. Lungo il percorso, le due navi sostano a Bomba, in Cirenaica.
2 gennaio 1941
Calitea e Montanari arrivano a Bengasi alle 10.30.
3 gennaio 1941
Lascia Bengasi all’1.30 diretta a Tripoli, sempre scortata dalla Montanari.
4 gennaio 1941
Arriva a Tripoli alle 10.30.
5 gennaio 1941
Lascia Tripoli alle 13 per rientrare a Napoli, scortata dall’incrociatore ausiliario RAMB III.
7 gennaio 1941
Giunge a Napoli alle 9.30.
12 gennaio 1941
La Calitea, l’Esperia ed ad altri due trasporti truppe, i piroscafi Conte Rosso e Marco Polo, partono da Napoli per Tripoli alle 19, scortati dalla torpediniera Cosenz fino a Trapani e poi dai cacciatorpediniere Vivaldi (caposcorta), Tarigo e Malocello.
13 gennaio 1941
In serata si unisce alla scorta anche il cacciatorpediniere Da Noli.
14 gennaio 1941
Il convoglio arriva a Tripoli alle 11.30; la Calitea ne riparte alle 19, scortata dalla torpediniera Giuseppe Missori, per raggiungere Bengasi.
15 gennaio 1941
Calitea e Missori puggiano a Ras Ramba.
16 gennaio 1941
Calitea e Missori giungono a Bengasi alle 9; ripartono alle 21.30 per tornare a Tripoli.
18 gennaio 1941
Calitea e Missori arrivano a Tripoli alle 15.30.
19 gennaio 1941
La Calitea e la motonave da carico Rialto lasciano Tripoli alle 18.30, scortate dalla torpediniera Antonio Mosto.
21 gennaio 1941
Il convoglietto giunge a Palermo alle 8, poi prosegue per Napoli.
22 gennaio 1941
Le tre navi arrivano a Napoli alle 13.30.
5 febbraio 1941
Calitea, Esperia, Conte Rosso e Marco Polo e partono da Napoli alle 18.30 (o 19), scortati dai cacciatorpediniere Freccia (caposcorta), Saetta e Tarigo. I quattro mercantili trasportano truppe e materiali della 132a Divisione corazzata "Ariete", in corso di trasferimento in Libia.
6 febbraio 1941
A causa del maltempo, i tre cacciatorpediniere della scorta sono costretti a rifugiarsi a Palermo, dove giungono alle 15; deve allora sostituirli nella scorta ai trasporti truppe l’incrociatore Bande Nere (ammiraglio di divisione Alberto Marenco di Moriondo, inviato da Palermo), che assume tale compito a mezzogiorno (altra fonte: alle 17; si posiziona tra i tre piroscafi, più veloci, e la più lenta Calitea, che si lascia invece a poppa) ed accompagna i piroscafi fino a destinazione. Nell’intervallo tra la partenza dei cacciatorpediniere e l’arrivo del Bande Nere, i trasporti proseguono senza scorta, sotto la direzione del contrammiraglio Luigi Aiello, capoconvoglio.
7 febbraio 1941
Le navi del convoglio entrano a Tripoli tra le 17 e le 20.
Proprio in questi giorni sta volgendo al termine l’operazione britannica «Compass»: la Western Desert Force, sebbene inferiore di numero, ha annientato l’impreparata e disorganizzata X Armata italiana (che ha lasciato sul terreno almeno 5000-6000 morti, tra cui il suo comandante, e 10.000 feriti, oltre a subire la cattura di 133.000 prigionieri: solo 8300 uomini di un’armata di 150.000 sono riusciti a sottrarsi alla cattura) e conquistato l’intera Cirenaica, di fatto metà della Libia italiana. La situazione è critica; si teme che l’avanzata britannica possa proseguire anche in Tripolitania, e migliaia di coloni italiani si preparano all’evacuazione.
9 febbraio 1941
Calitea, Esperia, Conte Rosso e Marco Polo, dopo aver rapidamente messo a terra le truppe ed altrettanto rapidamente imbarcato 5000 profughi civili (2000 per altra versione) in fuga dall’avanzata delle forze britanniche, lasciano Tripoli alle 18.30 con la scorta dei cacciatorpediniere Tarigo, Malocello, Freccia (caposcorta, capitano di vascello Baldo) e Saetta e della torpediniera Aldebaran.
Durante la navigazione, Calitea ed Aldebaran si separano dal resto del convoglio, per raggiungere Palermo. Successivamente proseguono per Napoli.
Alle 19.36 il sommergibile britannico Usk (capitano di corvetta Peter Ronald Ward) avvista due unità del convoglio a 3200-3660 metri di distanza, al largo di Tripoli, e cinque minuti dopo lancia due siluri contro la nave di testa. I siluri hanno corsa irregolare e mancano il bersaglio; l’Usk s’immerge poco dopo.
Poche ore dopo, alle 22.20, è un altro sommergibile britannico, il Truant (capitano di corvetta Hugh Alfred Vernon Haggard), ad avvistare il convoglio italiano, in posizione 33°41’ N e 13°51’ E (una sessantina di miglia a nordest di Tripoli), mentre procede su rotta 350°, a 7-8 miglia di distanza. Alle 23 il battello britannico lancia sei siluri, ma nessuno di essi raggiunge il bersaglio, e le navi del convoglio non si accorgono neanche dell’attacco.
12 febbraio 1941
Calitea ed Aldebaran arrivano a Napoli alle 9.30, un giorno più tardi del resto del convoglio.
16 marzo 1941
La Calitea, insieme ai mercantili tedeschi Marburg e Reichenfels, salpa da Napoli alle 20.30 diretta a Tripoli, con la scorta dei cacciatorpediniere Vivaldi (caposcorta) e Malocello.
Raggiunta Trapani, il convoglio vi sosta.
17 marzo 1941
Il convoglio riparte da Trapani alle 3; ad esso si sono uniti altri due mercantili tedeschi, Ankara e Kibfels, nonché il cacciatorpediniere Da Noli e le torpediniere Polluce e Cigno.
18 marzo 1941
Il convoglio giunge a Tripoli a mezzogiorno.
2 aprile 1941
La Calitea lascia Tripoli alle 11 insieme ad Ankara, Reichenfels, Marburg e Kibfels, con la scorta di Vivaldi (caposcorta), Da Noli e Malocello.
4 aprile 1941
Il convoglio giunge a Napoli alle 7.30 dopo un viaggio privo di inconvenienti.
11 aprile 1941
La Calitea, insieme ai mercantili tedeschi Ankara, Reichenfels, Marburg e Kibfels, salpa da Napoli per Tripoli alle 17.30, con la scorta della XIV Squadriglia Cacciatorpediniere (Vivaldi – caposcorta –, Da Noli e Malocello).
12 aprile 1941
Alle 14.35, in posizione 37°07’ N e 11°11’ E, il sommergibile britannico Upholder (capitano di corvetta Malcolm David Wanklyn) avvista il convoglio ma, non disponendo di siluri, non attacca, limitandosi a lanciare il segnale di scoperta.
13 aprile 1941
Durante la notte il convoglio subisce diversi attacchi aerei, in più ondate, ma tutti i siluri vengono evitati, grazie anche all’intervento dei caccia di base in Sicilia. Si uniscono inoltre alla scorta, inviati da Tripoli, il cacciatorpediniere Dardo e le torpediniere Circe e Generale Carlo Montanari.
14 aprile 1941
Il convoglio giunge a Tripoli alle 10.
19 aprile 1941
Calitea, Ankara, Reichenfels, Marburg e Kibfels, scortati da Dardo, Vivaldi (caposcorta), Da Noli e Malocello, lasciano Tripoli alle 16.
21 aprile 1941
Il convoglio giunge a Napoli alle 14.
4 maggio 1941
Salpa da Napoli all’1.15 in convoglio con le motonavi Victoria (trasporto truppe), Andrea GrittiAnkara (tedesca), BarbarigoMarco Foscarini e Sebastiano Venier (tutte da carico), scortate dai cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi (caposcorta), Antonio Da Noli e Lanzerotto Malocello e dalle torpediniere CassiopeaOrione e Pegaso. C’è anche una forza di copertura, con gli incrociatori leggeri Eugenio di SavoiaMuzio Attendolo ed Emanuele Filiberto Duca d’Aosta (VII Divisione, ammiraglio Casardi) ed i cacciatorpediniere Antonio Pigafetta, Nicolò ZenoNicoloso Da ReccoAlvise Da Mosto e Giovanni Da Verrazzano.
Il convoglio segue la rotta che passa per lo stretto di Messina ed a levante di Malta; durante la navigazione, il convoglio è continuamente pedinato da ricognitori britannici e soggetto a diversi attacchi aerei, ma non subisce danni. Zeno e Pigafetta attaccano un contatto subacqueo.
Alle 20.03 del 4 la VII Divisione, con due successive accostate ad un tempo, prende posizione circa 3 km a proravia del convoglio «Victoria» e dispone i cacciatorpediniere in posizione di scorta avanzata. Fino al tramonto il convoglio gode di forte scorta aerea, svolta sia da caccia che da bombardieri.
5 maggio 1941
La navigazione notturna si svolge senza problemi; alle 5.45 la VII Divisione inizia la manovra per portarsi sulla congiungente Malta-convoglio, posizione nella quale resterà per il resto del giorno, procedendo a zig zag e tenendosi in vista del convoglio. Alle 6.40 sopraggiungono i primi velivoli della scorta aerea, questa volta composta da idrovolanti da ricognizione marittima e da bombardieri.
Il convoglio arriva a Tripoli alle 20.45.
19 maggio 1941
La Calitea, con a bordo prigionieri britannici da portare in Italia, lascia Tripoli alle 20 insieme alla motonave da carico Marco Foscarini, con la scorta diretta del cacciatorpediniere Geniere e delle torpediniere Partenope, Circe e Cassiopea. Vi è inoltre, con funzione di scorta a distanza, la VII Divisione (incrociatori leggeri Duca degli Abruzzi e Garibaldi, cacciatorpediniere Granatiere, Bersagliere ed Alpino).
21 maggio 1941
Il convoglio giunge a Napoli alle 11.
3 giugno 1941
Adibita al collegamento tra l’Italia ed il Dodecaneso, con scalo in alcuni porti greci; resterà in servizio su questa rotta fino alla fine di novembre.
30 giugno 1941
La Calitea ed un’altra motonave, la Calino, trasportano 1008 soldati, nonché materiali e merci varie per le forze armate e per la popolazione, da Brindisi a Rodi, via Patrasso. Le scorta la torpediniera Cassiopea.
3 luglio 1941
Calitea e Calino effettuano un viaggio da Corinto a Rodi, scortate dal cacciatorpediniere Francesco Crispi.
9 luglio 1941
Calitea e Calino viaggiano da Patrasso a Taranto, scortate dalla torpediniera Aretusa.
28 luglio 1941
La Calitea lascia Brindisi scortata dalla torpediniera Giacomo Medici, trasportando 600 militari e 230 tonnellate di materiali per le guarnigioni delle isole egee, da trasportare a Rodi. La Medici la scorta fino a Patrasso.
31 luglio 1941
Lascia il Pireo e raggiunge Rodi, scortata dalla torpediniera Cassiopea.
3 agosto 1941
Viaggio da Corinto a Patrasso, con la scorta della torpediniera Lince.
4 agosto 1941
Lascia Patrasso e raggiunge Brindisi, scortata dalla Medici.
6 settembre 1941
Calitea e Calino, prive di scorta, lasciano Brindisi e raggiungono Patrasso, per poi proseguire per Rodi.
8 settembre 1941
Calitea e Calino, scortate dal cacciatorpediniere Crispi e dalla torpediniera Sirio, salpano dal Pireo e raggiungono Rodi, trasportandovi 1182 militari e 560 tonnellate di materiali vari e derrate per la popolazione.
10 settembre 1941
Calitea e Calino lasciano Rodi e ritornano al Pireo, scortate dal Crispi.
14 settembre 1941
Calitea e Calino compiono un viaggio da Patrasso a Brindisi, con la scorta della vecchia torpediniera Francesco Stocco.
18 settembre 1941
Calitea e Calino viaggiano da Brindisi a Patrasso con la scorta del cacciatorpediniere Augusto Riboty, dirette a Rodi.
24 settembre 1941
Calitea e Calino, aventi a bordo 1225 militari e 325 tonnellate di materiali e merci civili, lasciano il Pireo e raggiungono Lero, scortate dalla torpediniera Lupo.
29 settembre 1941
La Calitea lascia Lero scortata dalla Cassiopea, con la quale raggiunge Rodi.
30 settembre 1941
Calitea e Calino tornano da Rodi a Lero, sempre scortate dalla Cassiopea.
1° ottobre 1941
Calitea e Calino rientrano da Lero a Patrasso, ancora una volta con la scorta della Cassiopea.
3 ottobre 1941
Calitea e Calino, scortate dall’incrociatore ausiliario Città di Napoli, lasciano Patrasso e raggiungono Brindisi.
7 ottobre 1941
Calitea e Calino, scortate dal Riboty, viaggiano da Brindisi a Patrasso, avendo come destinazione finale Rodi.
11 ottobre 1941
Calitea e Calino trasportano 120 civili e 1123 militari, nonché 500 tonnellate di materiali e derrate per la popolazione, dal Pireo a Rodi. Le scortano Crispi e Cassiopea.
12 ottobre 1941
Calitea e Calino rientrano da Rodi al Pireo, con la scorta del Crispi.
15 ottobre 1941
Calitea e Calino, scortate dalla torpediniera Antares, lasciano Patrasso e ritornano a Brindisi.
24 ottobre 1941
La Calitea salpa da Brindisi diretta a Patrasso, in convoglio con la Calino e sotto la scorta del Riboty. Rodi, come al solito, è la destinazione finale.
25 ottobre 1941
Alle 6.18 il convoglio, che procede in linea di fila, viene avvistato nel punto 38°24’ N e 20°13’ E (al largo della costa occidentale greca) dal sommergibile britannico Trusty (capitano di corvetta William Donald Aelian King), a 4600 metri su rilevamento 351°. Il  Trusty lancia due salve di tre siluri ciascuna, una contro la Calitea e l’altra contro la Calino, ma nessuna delle armi va a segno, e dopo otto minuti il Riboty risponde con un pacchetto di bombe di profondità. Dopo essere tornato a quota periscopica per osservare il risultato dei lanci (ritenendo, a torto, di aver affondato una nave), il Trusty s’immerge in profondità per ricaricare i tubi, mentre il Riboty lancia infruttuosamente altre 14 cariche di profondità. (Le esplosioni delle bombe di profondità sono menzionate dal rapporto del sommergibile; per altra fonte, l’attacco del Trusty non viene nemmeno notato).
30 ottobre 1941
Calitea e Calino, con a bordo 1063 militari e 1331 tonnellate di materiali, partono dal Pireo per Lero e Rodi, scortate dal cacciatorpediniere Quintino Sella e dalla torpediniera Libra.
31 ottobre 1941
Alle 11, causa maltempo, il convoglio deve riparare ad Alimnia; poi prosegue per la sua destinazione.
2 novembre 1941
Calitea e Calino, scortate da Libra e Cassiopea, rientrano da Rodi al Patrasso, facendo scalo intermedio a Sira.
6 novembre 1941
Calitea e Calino viaggiano da Patrasso a Bari, via Brindisi, scortate dalla Libra.
16 novembre 1941
Calitea e Calino, scortate come al solito dal Riboty, lasciano Brindisi dirette a Patrasso, per poi proseguire per Rodi.
20 novembre 1941
Calitea e Calino, scortate dal Crispi, trasportano 1194 militari, numerosi quadrupedi e 1600 tonnellate di materiali e merci dal Pireo a Rodi.
23 novembre 1941
Calitea e Calino, scortate dal Crispi, lasciano Rodi e raggiungono Lero.
25 novembre 1941
Calitea e Calino, scortate dal Sella, viaggiano da Rodi e Lero al Pireo.
27 novembre 1941
Calitea e Calino, scortate dal Riboty, salpano da Patrasso e raggiungono Bari.

La Calitea sotto carico a Brindisi a inizio dicembre 1941, prima di partire per il suo ultimo viaggio (g.c. STORIA militare)

 
L'affondamento
 
Alle 20.10 del 7 dicembre 1941 la Calitea, al comando del capitano di lungo corso Gaspare Lauro, salpò da Brindisi diretta a Bengasi, via Argostoli e Navarino, con la scorta del cacciatorpediniere Freccia (capitano di fregata Alvise Minio Paluello). Sulla Calitea si trovavano 283 militari italiani e tedeschi e 900 tonnellate di merci varie caricate a Brindisi, tra cui generi di conforto destinati alle truppe in Africa per festeggiare il Natale: panettoni, salumi, liquori, zucchero, tabacco, dolci, caffè. L’equipaggio era composto da 69 civili e 30 militari addetti alle armi di bordo; comandante civile era il capitano di lungo corso Gaspare Lauro, comandante militare il tenente di vascello Paolo Lavagna. 
Il piccolo convoglio aveva già avuto una falsa partenza la notte precedente: la Calitea era uscita in mare verso mezzanotte, preceduta alle 23.30 dal Freccia, ma poco dopo aver imboccato la rotta di sicurezza verso il mare aperto le due navi erano state richiamate in porto dal semaforo di Forte a Mare. 
La sera del 7 dicembre, una volta fuori dal porto di Brindisi, la Calitea si accodò al Freccia, che la condusse lungo la rotta di sicurezza e da lì, in tre quarti d’ora, in mare aperto. Il sottocapo nocchiere Alessandro Caldara, imbarcato sul Freccia, avrebbe così ricordato, nelle sue memorie ("Quelli di sottocastello"), le sue impressioni della motonave: “una magnifica nave (…), di forme svelte e buona camminatrice; si naviga infatti alla velocità di 16 nodi in linea di fila, noi avanti e la motonave che segue nella scia”. Un idillio, quello tra la Calitea e l'equipaggio del Freccia abituato a scortare vecchie e lente carrette, destinato a durate poco: alle 7.30 dell'8 dicembre la motonave subì un'avaria al motore di dritta, in cui si ruppe l'asta allo stantuffo pompa di lavaggio. Sul Freccia il tenente di guardia sull'aletta di plancia notò che la distanza tra il cacciatorpediniere e la motonave andava aumentando, e poco dopo la Calitea alzò i segnali di avaria in macchina, per poi comunicare di aver fatto avaria al motore di dritta e di poter proseguire a 9 nodi con la propulsione del solo motore di sinistra (“una volta tanto che ci capita una nave veloce che ci promette una missione rapida e sicura… siamo invece in piena scalogna”, come scrisse Caldara nel suo diario). Il Comando Marina, informato dell’accaduto ed essendo il convoglietto ormai all’altezza di Cefalonia, ordinò alle due navi di entrare ad Argostoli per effettuarvi le necessarie riparazioni. Qui Calitea e Freccia giunsero a mezzogiorno (per altra fonte alle 12.30) dello stesso 8 dicembre; la Calitea diede fondo sottocosta, mentre il Freccia cercò di avvicinarsi il più possibile a terra, entro i limiti consentiti dai bassi fondali (secondo fonti tedesche, la sosta fu dovuta anche al maltempo, che impediva di proseguire). La sosta ad Argostoli durò quasi tre giorni; riparata l'avaria con i mezzi di bordo, la Calitea ripartì alle quattro del mattino dell'11, diretta a Bengasi sempre con la scorta del Freccia. 

Alla partenza da Argostoli il vento era teso, il mare agitato da nordovest. La navigazione proseguì senza intoppi per tutta la mattina, ma verso mezzogiorno giunse da Marina Brindisi l'ordine di rientrare subito a Navarino, essendo stata segnalata una divisione navale britannica sulla rotta del convoglio.
Alle 12.40 il Freccia ordinò dunque alla Calitea di assumere rotta 72° (fino a quel momento aveva seguito rotta 191°), verso Navarino. Anche nel pomeriggio la navigazione, alla velocità di 15 nodi, procedette senza inconvenienti; sulla Calitea il personale era in allerta, le guardie erano state rafforzate ed il comandante militare era sul ponte.
La rotta verso Navarino avrebbe portato Calitea e Freccia ad attraversare una zona in cui la ricognizione aerea aveva segnalato la presenza di un sommergibile in agguato, pertanto il comandante del Freccia dispose che durante l’attraversamento dell'area incriminata il cacciatorpediniere lanciasse bombe di profondità a scopo precauzionale. Il lancio avrebbe avuto inizio alle 16.30; la Calitea venne preventivamente informata con i segnali perché non si allarmasse.
Il sommergibile segnato dalla ricognizione era il britannico Talisman (capitano di corvetta Michael Willmott), in agguato 60 miglia ad ovest-sud-ovest dell’isola greca di Schiza. Alle 16.15 il battello britannico avvistò Freccia e Calitea in posizione 36°33' N e 20°34' E, a 40° sulla dritta, distanti circa 6000 metri; Willmott stimò la rotta delle due navi italiane in 090°, e ritenne che la motonave avesse una sagoma simile alla Vulcania (che però era cinque volte più grande della Calitea), sovrastimandone la stazza in ben 15.000 tsl.
Alle 16.22 il Talisman lanciò cinque siluri (nelle intenzioni di Willmott sarebbero dovuti essere quattro, il quinto fu lanciato per un malinteso) contro la Calitea, da una distanza di 2100 metri.
 
Alle 16.25 un siluro colpì il bersaglio sul lato sinistro, in corrispondenza della stiva numero 3; cinque secondo più tardi la Calitea fu colpita da un secondo siluro, in sala macchine.
Subito la nave sbandò fortissimamente sul lato sinistro; le esplosioni dei siluri avevano mandato in pezzi tutte le imbarcazioni di quel lato, mentre i soldati tedeschi si avventarono su quelle del lato di dritta. Non fu comunque possibile metterle a mare, con uno sbandamento del genere; né fu possibile organizzare una qualche parvenza di ordinato abbandono della nave, perché la Calitea s'inabissò in soli ottanta secondi (secondo il rapporto del comandante Lauro; "Navi mercantili perdute" dell'USMM parla invece di tre minuti), portando con sé oltre un terzo degli uomini a bordo. Il punto dell’affondamento era 36°23' N e 20°33' E, 40 miglia ad ovest dell'isola di Sapienza, 90 miglia ad ovest di Capo Matapan ed a 60 miglia per 246° da Navarino.
Il comandante civile Lauro rimase fino alla fine sul ponte di comando, avvinghiato al parapetto di dritta («afferrato alla sua nave come ad una creatura», come scrisse poi il tenente di cavalleria Ceriani, che lo vide in quel frangente), mentre la nave s’ingavonava di poppa ed affondava, continuando ad impartire ordini con voce calma. Scese sotto la superficie insieme alla sua nave, poi riemerse accanto ad uno zatterone, vicino al tenente di cavalleria Ceriani, che si era trovato nei suoi pressi e che rimase tanto impressionato dalla condotta del comandante che tempo dopo scrisse alla società Adriatica una lettera per ringraziare ed elogiare il suo comportamento. Il capitano Lauro rimase a guardare i rottami della Calitea, salutando commosso quella che era stata la sua nave.
Dopo che la nave si fu inabissata, numerosi rottami, zattere e zatterini affiorarono in superficie; i naufraghi che erano in mare di aggrapparono ad essi per restare a galla, mentre il Freccia conduceva una breve caccia, lanciando infruttuosamente 15 bombe di profondità contro il Talisman.
 
Il sottonocchiere Alessandro Caldara, che al momento del siluramento si trovava al timone del Freccia, così descrisse quei momenti: “A un tratto l’ufficiale di guardia sull’aletta di plancia si precipita dentro gridando al comandante che la motonave è saltata. Il comandante ordina subito: “Velocità 20, tutta la barra a dritta!” (in seguito risulterà invece che il lancio è avvenuto da sinistra). Io metto tutta la barra a dritta (…) appena la nave ha compiuto il mezzo giro, mi si presenta davanti agli occhi uno spettacolo impressionante. Abituato a vedere l’imponente massa della motonave, ora trovo il nulla: dev’essersi squarciata in due per sparire così, all’istante, e per provocare tanti rottami. Sembra che le stive si siano svuotate e che tutto il galleggiabile sia venuto su. Davanti a noi vediamo rottami, zattere, battelli sfasciati, e molto materiale. Vedremo poi moltissimi panettoni e sacchi di caffè (con ogni probabilità destinati alle truppe in Africa per il Natale) e, in mezzo a tutto questo guazzabuglio, moltissima gente che urla”. Un altro membro dell'equipaggio del Freccia, il capo stazione tiro Franco Salerno, avrebbe ricordato che la Calitea affondò di prua “come un sommergibile”.
Il Freccia compì due giri attorno alla massa di rottami e naufraghi che segnava il punto in cui la Calitea era affondata, lanciando bombe di profondità nel tentativo di distruggere il sommergibile o quanto meno costringerlo ad allontanarsi (“chissà a quanta gente, immersa nell’acqua, le nostre bombe, con la potente vibrazione trasmessa dallo scoppio, avranno rotto la spina dorsale”, avrebbe in seguito riflettuto Caldara). Compiuti i due giri, il cacciatorpediniere ridusse la velocità e si addentrò nella massa di rottami e naufraghi, dando inizio al salvataggio. Il mare grosso ed il forte vento, che facevano scarrocciare il Freccia più rapidamente rispetto ai rottami, rendevano difficile rimanere in posizione, tanto più che era sconsigliabile usare le eliche per evitare che i naufraghi ne venissero risucchiati. Il cacciatorpediniere mise subito in mare il battello a remi e la motolancia, che si diressero verso i naufraghi più lontani; a quelli più vicini vennero lanciate cime e biscagline, che dovevano afferrare per poi essere issati a bordo. Dalle memorie di Alessandro Caldara: “Io smonto dal servizio al timone e vado a poppa per iniziare il recupero. Preparo subito cime e biscagline. (…) mi prodigo in tutti i modi per tirar su gente, ma in special modo per lanciare ai più lontani il sacchetto: una lunga sagola di lancio con palla di piombo all’estremità. Comunque la difficoltà maggiore sta nel fatto che, una volta sotto bordo, il mare sbatacchia gli uomini contro lo scafo ed è molto laborioso cercare di afferrarli per issarli a bordo. Sull’altro bordo invece il mare allontana i naufraghi da noi, e molta gente scompare sotto i miei occhi. Un capitano di fanteria è aggrappato a una cima. Stiamo per tirarlo su, ma lui vede nei pressi due soldati tedeschi semistrangolati dai salvagenti; i maledetti salvagenti a grossi quadri di sughero, che si infilano per il collo e poi si devono legare bene con fettucce a vita; e disgraziato chi non se le lega a dovere, perché la forza dell’acqua spinge in su i grossi blocchi, che soffocano o strangolano le persone. Comunque il capitano ci fa segno di tirare su prima loro, e questi, terrorizzati, una volta aggrappati alla cima puntano i piedi sulle spalle del capitano per issarsi meglio. L’ufficiale scompare sotto la nostra nave; non lo rivediamo più. Quelli seduti o sdraiati sui rottami vogano con pezzi di legno verso di noi, ma il mare li allontana sempre più, con disperazione nostra e loro. Invano gridano chiedendo il nostro aiuto”. 
Rimasti senza cime, Caldara e due compagni si calarono fuori bordo, mettendosi a cavalcioni del paraeliche; da quella rischiosa posizione – sarebbe bastato poco per scivolare e finire in mare – iniziarono ad afferrare gli uomini in acqua, prendendoli per i vestiti (i naufraghi, ormai, erano così indeboliti dal freddo da non riuscire nemmeno a porgere loro la mano). Fatica improba: semiassiderati, zuppi d’acqua e cosparsi di nafta, i naufraghi erano viscidi e pesantissimi, scivolavano tra le mani di chi cercava di afferrarli per issarli a bordo, talvolta rimettendoci le unghie. Tra mille sforzi Caldara ed i compagni riuscirono a tirare a bordo in questo modo una decina di uomini, uno dei quali già morto. “Un altro capitano dell’esercito, seduto su di un rottame (mi resterà innanzi agli occhi: con in testa il berretto stile impero, dai tre galloni d’oro), sta passando a circa 40 metri da noi; usa un pezzo di legno a mo’ di pagaia, e quando gli faccio segno di essere pronto ad afferrare la sagola che sto per lanciargli, mi fa segno di no, indicandomi prima gli altri che sono in acqua. Ci saluta agitando in aria la mano. Anche lui sparirà alla mia vista”. 
Caldara rimase particolarmente colpito dalla compostezza di quell’ufficiale, che aveva persino sorriso al suo stupore: “era in acqua seduto su di un rottame semisommerso (…) con tutto il busto fuori dell’acqua; era in posizione eretta, aveva il berretto in testa (…) con ambo le mani impugnava un pezzo di legno come pagaia; più che per vogare lo usava per tenersi in equilibrio, ben seduto su quel marasma di onde. Quando me lo vidi a tiro gli feci segno di tenersi pronto ad afferrare la mia sagola. Lui lasciò con una mano il pezzo di legno e chiaramente mi fece segno di no, anzi mi indicò altra gente in acqua come per dire di pensare prima a loro. E io infatti mi dedicai agli altri; quando però, non avendone più a tiro, mi rivolsi di nuovo a lui, il vento ormai lo aveva spinto lontano, fuori tiro della fune, ma i nostri sguardi si incontrarono ancora e lui alzando in alto una mano e agitandola, mi salutò”. Questo capitano, Caldara avrebbe appreso quasi quarant'anni più tardi, era l'ufficiale degli autieri Aurelio Massari, imbarcato sulla Calitea come facente funzione di commissario di bordo; dopo che lui lo ebbe perso di vista, il Freccia effettuò un secondo giro di ricerca e lo avvistò di prua, e Massari venne issato a bordo, nei pressi dei paranchi della motobarca, dal sottufficiale di macchina Attilio Morgia. A Morgia Massari, giunto sottobordo a cavalcioni di un barile semisfasciato, raccontò di essere al terzo affondamento dall’inizio della guerra. Massari non sarebbe sopravvissuto al conflitto, aderendo alla R.S.I. dopo l'8 settembre 1943 e scomparendo in Emilia, sua terra natale, negli ultimi giorni della guerra.
 
Sul parabordo sinistro di poppa del Freccia, il motorista Giacomo Bollati ed un marinaio issarono a bordo alcuni uomini, in maggioranza tedeschi.
Il tenente Libero Legori, al momento del siluramento, si era trovato sul ponte di coperta della Calitea, insieme ad un amico capitano di Melegnano; subito dopo il siluramento aveva esortato l’amico a gettarsi in mare, cosa che aveva poi fatto egli stesso, tra i primi. Il capitano lo aveva seguito con una certa esitazione, scampando per un pelo al risucchio da parte dei gorghi prodotti dalla Calitea in affondamento; dalla Calitea giungevano le grida dei feriti e degli uomini intrappolati sottocoperta. Allontanatosi dalla nave in affondamento a forti bracciate, il capitano raggiunse Legori; aggrappati ad un relitto, i due ufficiali rimasero piuttosto vicini per due o tre ore, chiamandosi ogni tanto ed incoraggiandosi vicendevolmente, ma ad un certo punto Legori non rispose più ai richiami. Poco più tardi i due ufficiali, privi di sensi per il freddo e lo sfinimento, vennero issati a bordo del Freccia; ma Legori non si svegliò più.
Domenico Metlika, nocchiere del Freccia, avrebbe ricevuto un encomio solenne per essersi prodigato nel salvataggio dei naufraghi.
Roaldo Blancato, giovane tenente dei lancieri, passò ore aggrappato insieme ad alcuni tedeschi al bordo di uno zatterino di un metro per 80 centimetri, sul quale si trovava un capitano di fanteria lombardo, in uniforme completa; venne salvato dopo essere giunto sottobordo al Freccia.
Alessandro Caldara avrebbe in seguito ricordato che alcuni naufraghi raccontarono che la Calitea era stata colpita da due siluri, dei quali il primo l'aveva raggiunta a prua, mentre il secondo aveva colpito subito dopo a centro nave, spezzandola in due e determinandone il rapidissimo affondamento.
 
Per tre ore il Freccia, ostacolato dal calare della sera e dal mare agitato, continuò a recuperare gente dal mare; calata l'oscurità, dopo aver tratto in salvo 227 o 230 sopravvissuti, diresse per il rientro a Navarino. Quando il cacciatorpediniere rimise in moto per lasciare la zona dell’affondamento, si sentiva ancora qualche grido lontano, ma ormai al buio non si vedeva più niente, e la probabile presenza nei pressi del sommergibile attaccante, pronto a silurare l'unità soccorritrice, rendeva troppo pericoloso accendere le luci per la ricerca. Venne segnalata via radio la posizione degli ultimi naufraghi, affinché potesse essere inviata a cercarli una nave ospedale, e per dare loro un ultimo aiuto furono lasciati alla deriva due zatteroni con viveri ed acqua. Avrebbe poi ricordato Alessandro Caldara: “Io sono di nuovo al timone. Mentre stiamo per andarcene sentiamo sulla nostra sinistra delle grida provenire dal mare; il comandante, quasi che volesse giustificarsi con noi della plancia, dice che bisogna avere il cuore duro e che non si può rischiare oltre la nave per tentare l’improbabile ricupero di poche persone”. Giacomo Bollati ricordò di aver sentito in quel frangente delle grida che sembravano provenire da un giovanissimo; alcuni superstiti dell’equipaggio della Calitea gli dissero che probabilmente si trattava di un loro mozzo molto giovane, che mancava all’appello. (Cesare Cumano, giovanotto di coperta scomparso nell’affondamento, non aveva che diciassette anni).
Mentre il Freccia fendeva mestamente il mare grosso alla velocità di 16 nodi, puntando verso Navarino, l’equipaggio del cacciatorpediniere si fece in quattro per assistere i naufraghi: vennero offerti loro cibo, cognac, sigarette, indumenti asciutti prestati dai marinai del Freccia, persino materassi e coperte presi dalle proprie brande; “ognuno di noi trova un compaesano e automaticamente questo diventa il suo protetto, cui cerca di non far mancare niente”. Si provvide a medicare i molti feriti, mentre i superstiti in condizioni migliori scesero nei locali caldaie per riscaldarsi. Durante la notte vennero trovati morti a bordo del Freccia due naufraghi, in circostanze mai chiarite: i corpi vennero filati in mare senza essere identificati. Molto tempo dopo, si sarebbe tenuta a Napoli una breve inchiesta a riguardo.
 
Ufficiali superstiti della Calitea radunati a poppa del Freccia dopo l’arrivo a Navarino, il giorno successivo all’affondamento (da “Quelli di sottocastello” di Alessandro Caldara)

Il Freccia giunse a Navarino a mezzanotte, ma l’oscurità e la mancanza di segnali gli impedirono di trovare l’entrata della rada; il cacciatorpediniere dovette così incrociare davanti alla costa fino al mattino, quando con le prime luci poté finalmente entrare, alle 8.15 del 12 dicembre. Il bassofondale impedì di ormeggiarsi in banchina ed i naufraghi dovettero essere traghettati a terra con le imbarcazioni di bordo, con ulteriori tribolazioni per i feriti. Sulle prime furono soltanto i feriti ad essere sbarcati a Navarino, ma successivamente giunse l’ordine di sbarcare tutti i militari, italiani e tedeschi, tenendo a bordo soltanto i superstiti dell’equipaggio civile della Calitea.
Dopo essersi rifornito d’acqua, il Freccia lasciò Navarino il mattino del 13 dicembre diretto in Italia, ma al largo di Cefalonia giunse l’ordine di entrare ad Argostoli, dove il 14 dicembre trasbordò i naufraghi civili sul cacciatorpediniere Turbine. Questi portò i superstiti a Patrasso, dove gli ufficiali vennero alloggiati in albergo ed il resto dell’equipaggio nel campo sosta militari; vi rimasero per tre giorni, per poi essere imbarcati alle 20 del 18 dicembre sulla motonave Calino, che li sbarcò a Bari alle 11 del 21 dicembre. Qui i naufraghi ricevettero biglietti ferroviari ed una somma di denaro, prelevata dalla cassa del comandante della Calino, come acconto sullo stipendio.
 
Per cercare i naufraghi che il Freccia non era riuscito a recuperare, alle 20.02 dell’11 dicembre Supermarina ordinò alla nave ospedale Arno, da poco partita da Navarino carica di feriti e malati da portare a Napoli (in parte imbarcati a Bengasi ed in parte a Navarino, questi ultimi già naufraghi della motonave Sebastiano Venier, silurata dal sommergibile HMS Porpoise), di raggiungere il punto 36°30' N e 20°36' E per ulteriori ricerche. La nave ospedale diresse sul punto indicato a 12 nodi, il massimo che le sue malandate macchine – cronicamente a corto di manutenzione – potessero sviluppare, giungendovi alle 22.15; ridotta la velocità, iniziò la ricerca notturna a lento moto, ostacolata dal mare agitato, con vento fresco e teso da nordovest.
Per tutta la notte l'Arno setacciò le onde nere con i suoi proiettori, ma fu soltanto dopo l'alba, alle sette del mattino, che incontrò i primi segni tangibili della tragedia: dapprima una chiazza di nafta, poi rottami e zattere vuote. Solo verso le undici del mattino venne finalmente avvistata, su uno zatterino semisommerso, una figura umana immersa nell'acqua quasi fino alle spalle: subito tratto in salvo, il naufrago risultò essere un soldato tedesco. Ai suoi salvatori raccontò che in origine c’erano stati altri naufraghi con lui su quello zatterino, che il Freccia non aveva visto dopo l’affondamento della Calitea; uno dopo l'altro, tutti i suoi compagni avevano ceduto al freddo e alla stanchezza, ed erano scomparsi tra le onde.
Subito dopo questo salvataggio, Supermarina ordinò all'Arno di interrompere le ricerche a mezzogiorno e dirigere per Napoli, ma il comandante della nave ospedale decise di continuare a cercare fino alle 14.30. Non fu trovato nessun altro superstite: soltanto rottami, zattere ed imbarcazioni vuote, i cui occupanti erano già stati soccorsi dal Freccia. Lasciata la zona dell'affondamento, l'Arno arrivò a Napoli alle dieci del mattino del 14 dicembre, con il suo solitario naufrago.
Qualche altro superstite risulterebbe essere stato salvato da idrovolanti di soccorso inviati il giorno successivo all’affondamento.
 
Alla fine, le vittime dell’affondamento della Calitea furono 155: 33 membri dell’equipaggio civile, 6 membri dell’equipaggio militare e 116 militari italiani e tedeschi di passaggio. Tra i dispersi vi fu anche il comandante militare Lavagna.
 
Le vittime tra l'equipaggio civile:
(si ringraziano Carlo Di Nitto e Michele Strazzeri)
 
Vladimiro Adami, elettricista, da Scherbina
Giuseppe Bertoli, cameriere
Giovanni Caricari, garzone di camera, da Genova
Giuseppe Castellano, marinaio
Vladimiro Chersi, ufficiale di coperta, da Moschiena
Nicolò Collini, cameriere, da Spalato
Domenico Consoli, cuoco, da Catania
Amedeo Corbatto, cuoco, da Trieste
Cesare Cumano, giovanotto, da Trieste
Giacomo Galatolo, fuochista
Alessandro Guerrino, cuoco
Giovanni Hojak, marittimo, da Trieste
Antonio Impagliazzo, fuochista
Lino Labinaz, ufficiale di macchina, da Albona
Antonio Latini, ufficiale di macchina, da Bilin (Bucovina)
Riccardo Linda, cameriere, da Zara
Gennaro Loffredo, carbonaio
Antonio Lunanuova, mozzo, da Molfetta
Domenico Mancuso, cambusiere, da Messina
Benvenuto Marcon, cuoco, da Trieste
Leandro Martinoli, cameriere, da Metcovich
Vittorio Marussi, capo cuoco, da Trieste
Giovanni Meola, piccolo di cucina, da Corgnale
Donato Minotta, cameriere, da Napoli
Giuseppe Paturzo, cameriere, da Genova
Giovanni Battista Rebolini, cuoco
Giulio Rude, giovanotto
Alberto Sadelli, ufficiale di macchina, da Goess
Gaetano Scarpato, ufficiale di macchina
Alberto Seidl, ufficiale di macchina
Rodolfo Sovrano (o Sorano), meccanico, da Trieste
Giorgio Sussi, garzone, da Cherso
Francesco Traversa, fuochista, da Bari
Carlo Zolla (o Zolia), panettiere, da Trieste
 
 
Atti di scomparizione in mare relativi a membri dell’equipaggio civile della Calitea (g.c. Michele Strazzeri)
 


Un’altra immagine della Calitea con i colori dell’Adriatica (da A. Duncan, Gravesend, via Nedo B. Gonzales e www.naviearmatori.net

L'affondamento della Calitea nel giornale di bordo del Talisman (da Uboat.net):

"1615 hours - In position 36°33'N, 20°34'E heard HE, sighted destroyer and merchant vessel bearing Green 40 distance about 6600 yards. Enemy course 090°.
1622 hours - Fired four torpedoes at the merchant vessel of 15000 tons. The silhouette was similar to Vulcania. Range on firing was 2300 yards. A fifth torpedo was fired in a misunderstanding.
1624 hours - Obtained four hits. Talisman was briefly hunted after this attack. The escort dropped 15 depth charges before picking up the survivors."


Tempi migliori: sopra, una cartolina dell’Adriatica (da adriatica.altervista.org) e, sotto, un manifesto del Lloyd Triestino realizzato da Gioacchino Esposito (g.c. Piergiorgio Farisato, via www.naviearmatori.net), ritraenti la Calitea.



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