Il Traviata a Genova (g.c. Pietro Berti via www.naviearmatori.net)
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Piroscafo da carico
da 5123 tsl e 3171 tsn, lungo 125,9 metri, largo 15,9 e pescante 8,8.
Appartenente alla Società Anonima Industria Navale (INSA) con sede a Genova,
matricola 1796 al Compartimento Marittimo di Genova.
Breve e parziale cronologia.
22 gennaio 1920
Varato come Bolivier nello scalo South Dock del
cantiere Bartram & Sons Limited di Sunderland (numero di costruzione 250).
Si tratta di una nave da carico standard del tipo “B”.
31 marzo 1920
Completato per il per
il Lloyd Royal Belge di Anversa. Stazza lorda originaria 5045 o 4953 tsl.
1930
Trasferito alla
Compagnie Maritime Belge S. A. di Anversa.
19 settembre 1932
Acquistato dalle
Industrie Navali Società Anonima (INSA) di Genova, e ribattezzato Traviata.
Febbraio 1937
Durante la guerra
civile spagnola, compie un viaggio per conto delle Ferrovie dello Stato,
trasportando truppe e materiali del Corpo Truppe Volontarie. La nave (come
altri trenta piroscafi), non essendovi grande disponibilità di mercantili
noleggiabili per trasportare rifornimenti, effettua il trasporto in Spagna nel
corso di un viaggio di andata, altrimenti scarica, verso l’Europa
settentrionale: parte dall’Italia, scarica i rifornimenti in Spagna e prosegue
in zavorra sino in Nordeuropa, dove imbarca carbone per conto dell’Azienda
Monopolio Carboni. Per il viaggio sino in Spagna, vengono imbarcati alcuni
uomini della Regia Marina per mantenere le comunicazioni e compiere le
segnalazioni, ed il comando della nave viene assunto da un ufficiale di Marina;
i piroscafi compiono il viaggio da soli od a coppie, con la scorta di
incrociatori leggeri o cacciatorpediniere della II Squadra sino al meridiano di
Malaga od allo stretto di Gibilterra, poi di navi da guerra del gruppo «Quarto»
(esploratori Quarto ed Aquila, torpediniera Audace) basate a Tangeri, che vigilano
sulle rotte di accesso a Cadice.
13 settembre 1939
Il Traviata s’imbatte in una lancia con
dodici superstiti (al comando del terzo ufficiale) del piroscafo britannico Manaar, affondato una settimana prima
dal sommergibile tedesco U 38 nel
punto 38°28’ N e 10°50’ O, e ne recupera gli occupanti, che sbarca a Cardiff.
L’affondamento
Il Traviata fu uno degli otto mercantili
italiani che andarono perduti tra il settembre 1939 ed il maggio 1940, quando
l’Europa era già in guerra ma l’Italia era ancora neutrale.
Nel gennaio 1940 il
piroscafo, al comando del capitano Carmelo Midolo, era in navigazione in
zavorra da Bagnoli a Newcastle per caricare carbone, scopo per il quale era
stato noleggiato dalle Ferrovie dello Stato. Per evitare i pericoli della
navigazione notturna, il comandante Midolo, la sera del 10 gennaio, fece dare
fondo in una piccola baia della costa britannica, che offrì riparo per la
notte. Era ormai divenuto noto, tra i marittimi di tutto il mondo, il grave
pericolo rappresentato dalle mine magnetiche posate dalle navi da guerra
tedesche lungo le coste orientali della Gran Bretagna: su di esse erano già
saltate navi di ogni nazionalità, tra cui le italiane Grazia e Comitas.
L’ammiragliato britannico aveva raccomandato una rotta (nella fascia compresa
tra la costa ed i campi minati difensivi che la stessa Marina britannica aveva
posato per impedire ulteriori incursioni di U-Boote e posamine tedeschi nelle
acque costiere) che si riteneva relativamente sicura dalle mine; il capitano
Midolo intendeva individuarla il giorno seguente, con la luce del sole.
Dopo la sosta
notturna, il Traviata ripartì
all’alba dell’11 gennaio 1940, con rotta sud; a bordo, per la navigazione in
quelle acque difficili, vi era un pilota inglese in aggiunta ai 29 uomini
dell’equipaggio.
Per qualche ora la
navigazione proseguì tranquilla, ma alle 10.20 esatte il piroscafo, poche
miglia al largo di Cromer, fu scosso da una violentissima esplosione, che sollevò
la nave dal mare e ne squassò la prua: la nave aveva urtato una mina tra le
stive 1 e 2. La violenza dello scoppio lanciò in aria diversi uomini, tra cui
il pilota britannico, che rimase ferito; si ruppe una tubatura del vapore e
dalla falla l’acqua iniziò a riversarsi, oltre che nelle stive prodiere, anche
in sala macchine. A seguito dell’esplosione si sviluppò anche in incendio, che
avvolse il Traviata a centro nave. Il
direttore di macchina tentò in ogni modo di fermare le macchine ed arrestare
l’emissione del vapore, ma dovette infine abbandonare la sala macchine con i
suoi uomini, per ordine del comandante Midolo, per non morire soffocato.
Fortunatamente, le macchine si arrestarono da sole poco più tardi.
Lo scossone era stato
tanto violento da mettere fuori uso anche l’apparato radiotelegrafico: il
bastimento in agonia, pertanto, era impossibilitato anche a chiedere aiuto. Non
restava che aspettare e sperare.
Per fortuna
dell’equipaggio del Traviata, si
trovava a passare a sole tre miglia di distanza un altro piroscafo italiano: il
Marte, anch’esso in navigazione a
noleggio delle Ferrovie dello Stato per caricare carbone. Questi, notata la
situazione di pericolo in cui versava la nave connazionale, le si diresse
incontro, e avvertì via radio le autorità britanniche.
Al contempo anche gli
abitanti di Cromer si erano accorti dell’accaduto: il boato dell’esplosione era
stato avvertito fino a terra, e la gente del posto, affollatasi sulla riva,
aveva messo a mare una motobarca da salvataggio (la «Cromer Lifeboat Number 1»), che aveva già avuto modo di effettuare
innumerevoli interventi del genere: due nei due giorni precedenti, 150
naufraghi in tutto salvati dall’inizio della guerra.
L’equipaggio del Traviata, divenuti incontrollabili l’allagamento
causato dalla falla e l’incendio a bordo, abbandonò la nave su una lancia, i
cui occupanti furono presi a bordo dal Marte.
La motobarca di Cromer, giunta sul posto alle 16, imbarcò poi una dozzina dei
naufraghi. Il Marte tentò di arginare
le fiamme sul Traviata mediante getti
di acqua, ma ciò non bastò a fermare l’incendio. Mentre anche i restanti
naufraghi venivano trasbordati dal Marte
sulla motobarca di Cromer, i marittimi italiani furono spettatori di un altro
episodio di guerra: un velivolo tedesco Heinkel (che in precedenza aveva
sorvolato anche il Traviata, tanto da
attirarsi cenni di saluto da parte del suo equipaggio, che lo aveva scambiato
per un aereo di soccorso britannico), prima di essere messo in fuga da tre
caccia della RAF, attaccò, mitragliò e bombardò (ma le quattro bombe sganciate
non colpirono) il piropeschereccio Holyrood
a circa un miglio di distanza, ferendone il comandante. La motobarca che aveva
imbarcato l’equipaggio del Traviata,
pertanto, diresse incontro al peschereccio danneggiato e lo prese a rimorchio;
così, carica di superstiti italiani e rimorchiando l’Holyrood, la motobarca fece ritorno a Cromer. Dopo forse cinque ore
di agonia, calata già l’oscurità, il Traviata
scivolò sotto le onde: il suo equipaggio, da bordo della motobarca britannica,
vide da lontano il punto rosso dell’incendio, che balenava all’orizzonte,
sparire definitivamente nel buio. La posizione dell’affondamento venne indicata
in otto miglia per 135° da (a sudest di) Cromer Knoll.
Dopo aver assistito
alla scomparsa del Traviata da bordo
dei mezzi soccorritrici,
Non vi furono vittime
tra i 29 uomini dell’equipaggio del Traviata;
l’unico ferito, con poco più che delle contusioni, fu il fuochista Pasquale
Lena, oltre al pilota britannico, anch’egli ferito sono in modo leggero.
L’equipaggio del Traviata, giunto a terra a Cromer, venne
dapprima assistito da un’associazione britannica per l’assistenza ai naufraghi
e poi ospitato al «Circolo del Littorio» del Fascio di Londra. Da qui i
marittimi del Traviata, meno Pasquale
Lena, che rimase ricoverato a Londra per qualche settimana per le ferite
riportate ad un piede, ripartirono alle 19 del 17 gennaio, attraversando di
nuovo (con un rischioso viaggio notturno durato otto ore) le acque della Manica
che avevano appena inghiottito la loro nave, poi salendo a Le Havre sul treno
per Parigi, dove arrivarono alle 15 del 18 per poi ripartire in serata diretti
a Modane. L’equipaggio del piroscafo arrivò finalmente a Torino, nella stazione
di Porta Nuova, alle 14.20 del 19 gennaio, accolto (oltre che da sorella e
nipotino del comandante Midolo) dal capitano Mario Questa, ispettore dell’INSA
mandato appositamente da Genova, che aveva già provveduto a far apparecchiare
per gli affamati marittimi i tavoli del ristorante della stazione. Verso le 17
l’equipaggio del Traviata lasciò
Torino per rientrare a Genova, ultima tappa del suo viaggio, dove arrivò (nella
stazione Principe) la sera del 20 gennaio, ricevuto dal direttore della INSA,
dal capo della Delegazione della Gente di Mare, da rappresentanti della
Federazione Marinara e dalle famiglie dei marittimi. L’avventura degli uomini
del Traviata fu conclusa
dall’interrogatorio di rito da parte della Capitaneria di Genova, espletata il
21 gennaio.
Le mine che avevano
affondato il Traviata erano state
posate dai cacciatorpediniere tedeschi Bruno
Heinemann, Wolfgang Zenker ed Erich Koellner, della 4. Flottille (capitano di vascello Bey),
nella notte tra il 10 e l’11 gennaio 1940.
Il relitto del Traviata giace oggi ad una profondità
compresa tra i 16,9 ed i 20 metri.
L’equipaggio del Traviata appena giunto a Genova (Archivio La Stampa)
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