sabato 19 dicembre 2020

Libano

Il Libano durante la seconda guerra mondiale, sotto bandiera britannica, come Empire Resistance (g.c. Mauro Millefiorini, via www.naviearmatori.net)

Piroscafo da carico di 1592 tsl, lungo 76,99 metri, largo 11,28 e pescante 5,85, con velocità di nove nodi. Appartenente alla Società Anonima di Navigazione Servizio Italo-Portoghese, avente sede a Genova (od all’armatore Marino Querci di Genova), ed iscritto con matricola 2047 al Compartimento Marittimo di Genova.

Breve e parziale cronologia.
 
Settembre 1908
Completato come norvegese Ottar nei cantieri Fevigs Jernskibsbyggeri di Fevig, Grimstad (Norvegia; numero di costruzione 66) per la Grimstad A/S Ottar di Porsgrunn (in gestione a Jørgen C. Knudsen di Porsgrunn). Stazza lorda 1584 o 1585 tsl, netta 972 tsl, portata lorda 2380 tpl; porto di registrazione Porsgrunn, nominativo di chiamata MFGL.
(Secondo altra fonte, probabilmente erronea, la nave sarebbe stata completata nel dicembre 1903).
Ottobre 1922 (o 1924)
Trasferito alla A/S Ottar di Porsgrunn (in gestione a Chr. Knudsen).
1927
L’Ottar risulta adibito al servizio cargo Canada-Bermuda-Indie Occidentali della Pickford and Black Limited.
1935
Acquistato dall’armatore Genovese Marino Querci e ribattezzato Libano.
1939
Venduto al Servizio Italo-Portoghese Soc. Anon. di Navigazione, con sede a Genova, senza cambiare nome (secondo altra fonte, la nave sarebbe stata del Servizio Italo-Portoghese già dal 1935).
Febbraio-Marzo 1940
Durante il periodo della “non belligeranza” dell’Italia il Libano, in navigazione dal Portogallo a Genova, è protagonista di una singolare odissea. Il 21 febbraio viene fermato a Casablanca e sottoposto ad una meticolosa visita di controllo provocata, secondo quanto poi denunciato da Luca Pietromarchi (capo dell’Ufficio guerra economica del Ministero degli Esteri), “da false informazioni in­viate da delatori prezzolati”. Il 26 febbraio il comandante del Libano riceve ordine dalle autorità marittime di Casablanca di sbarcare tutte le merci caricate in Portogallo per consentire un controllo ancor più minuzioso; inutili le sue proteste, nelle quali fa presente che la compagnia proprietaria ha rilasciato la garanzia "hold back" (con cui il comandante, in cambio della possibilità di raggiungere senza intralci il porto di destinazione, s’impegna a non consegnare le merci che fossero considerate sospette fino all’avvenuto chiarimento della situazione da parte delle autorità di controllo; se tali merci dovessero essere poste sotto sequestro, il comandante s’impegna a riportarle alla base di controllo che gli verrà indicata) all’ambasciata britannica a Roma. Il 27 inizia lo scarico delle merci, che viene però sospeso il 28 su ordine delle stesse autorità che l’hanno disposta; il Libano deve reimbarcare la merce e riceve l’ordine di recarsi senza scalo intermedio a Gibilterra, per essere sottoposto ad ispezione dalle autorità di controllo di tale porto. Giunto a Gibilterra il 28 (o 29) febbraio, il 1° marzo riceve a bordo la visita dei funzionari delle autorità di controllo, ed il giorno stesso il "Contraband Con­trol Office" notifica al comandante che il Libano è detenuto. Due giorni dopo, il 3 marzo, la nave viene lasciata libera di salpare, ma con l’obbligo di un’ulteriore visita di controllo a Marsiglia; di nuovo le rimostranze del comandante, che fa ancora una volta presente la garanzia "hold back", non servono a niente. Lasciata Gibilterra il pomeriggio del 4 marzo, il Libano giunge a Marsiglia l’8, ed il 13 deve scaricare merci che le autorità di controllo ritengono sospette. Dopo nuove visite ed accertamenti, la nave può finalmente raggiungere Genova il 19 marzo: per coprire il tragitto da Vigo a Genova, a causa dei controlli, ci sono voluti venti giorni.
 
Gibilterra, giugno ’40
 
La dichiarazione di guerra dell’Italia a Regno Unito e Francia, il 10 giugno 1940, colse il Libano in una posizione poco invidiabile: il piroscafo si trovava infatti nella baia di Gibilterra, una delle più importanti basi della Royal Navy, ora divenuta nemica.
Non era, il Libano, l’unica nave italiana a trovarsi a Gibilterra in quella fatidica data: nelle acque della Rocca erano infatti ormeggiati anche il piroscafo Pollenzo, la motonave Cellina e le vecchie pirocisterne Olterra e Pagao; un’altra unità, la moderna motocisterna Lavoro, era all’ancora nella rada di Algeciras, sul lato spagnolo della baia. Libano, Lavoro, Olterra e Pagao erano stati intercettati da navi da guerra britanniche nella notte tra il 10 e l’11 giugno, mentre tentavano di attraversare lo stretto di Gibilterra per entrare in Mediterraneo, e condotti nella rada di Gibilterra.
Gli equipaggi di tutti e sei i bastimenti, all’atto della dichiarazione di guerra, tentarono di autoaffondare le loro navi, per scongiurarne la cattura da parte britannica; rimorchiatori e drappelli d’abbordaggio britannici, tuttavia, intervennero rapidamente e riuscirono ad evitare il completo affondamento di alcune delle unità, portandole ad incagliare. Ad ogni modo, soltanto la Cellina fu catturata intatta: Pagao ed Olterra riuscirono a portarsi nella rada di Algeciras, in acque territoriali spagnole, dove si autoaffondarono in acque basse (i loro equipaggi trovarono rifugio in terra spagnola); il Pollenzo, fuggito anch’esso nelle acque territoriali spagnole per sottrarsi alla cattura (portando con sé le sentinelle armate britanniche che erano state imbarcate proprio per scongiurare un tentativo del genere), vi venne catturato dai britannici, ma non prima che l’equipaggio fosse riuscito a sabotarlo rendendolo inservibile (gli uomini del Pollenzo, essendo stati catturati dai britannici in acque territoriali spagnole, furono consegnati dai britannici alle autorità spagnole qualche giorno dopo). L’equipaggio della Lavoro, fatta ancorare dai britannici vicino all’ingresso del porto, riuscì a tranciare la catena dell’ancora senza che le sentinelle britanniche se ne accorgessero, permettendo così alla corrente di spingere la nave verso Algeciras; l’equipaggio incendiò poi la petroliera e raggiunse la riva a nuoto o sulle lance.
Quanto al Libano, secondo quanto riferito sia da giornali britannici dell’epoca che dal volume dell’USMM “Navi mercantili perdute”, il suo equipaggio tentò l’autoaffondamento al largo di Algeciras, ma senza successo, e la nave venne così catturata; 17 dei 24 uomini dell’equipaggio furono fatti prigionieri e condotti a Gibilterra, mentre gli altri sette si gettarono in mare e riuscirono a raggiungere a nuoto la vicina terra spagnola e neutrale, così sottraendosi alla cattura. Altri articoli dell’epoca affermano che i marittimi del Libano catturati dai britannici sarebbero stati 19, recuperati in mare dopo aver autoaffondato la nave, o che metà dell’equipaggio sarebbe stato catturato e metà sarebbe riuscito a raggiungere la riva in territorio spagnolo.
Il 13 giugno le autorità spagnole protestarono presso quelle britanniche per la detenzione dei marittimi del Libano, asserendo che la loro cattura fosse avvenuta in acque territoriali spagnole e che i britannici non avessero titolo ad interferire, richiedendone pertanto la consegna; non sembra tuttavia che tali richieste siano state esaudite.
(Secondo altre fonti, il Libano si sarebbe effettivamente autoaffondato, venendo successivamente recuperato e riparato dai britannici. Ciò sembra poco probabile, tuttavia, dal momento che meno di due mesi dopo la nave era già in navigazione: probabilmente il tentativo di autoaffondamento arrecò alla nave danni che richiesero qualche settimana per le riparazioni, senza però riuscire ad affondare la nave. “Navi mercantili perdute” parla infatti di “fallito tentativo di autoaffondamento”).
 
Alcuni giornali britannici datati 12 giugno 1940 fornirono una versione diversa: scrissero infatti che il Libano sarebbe stato intercettato da navi da guerra britanniche al largo di Maiorca, e che l’equipaggio del piroscafo avrebbe tentato sulle prime di autoaffondare la nave, senza successo, dopo di che l’avrebbe abbandonata prendendo posto nelle lance, con le quali avrebbe cercato di sottrarsi alla cattura dirigendo verso la vicina isola. Parte dell’equipaggio, sarebbe stato catturato dai britannici a bordo delle scialuppe, ed anche la nave sarebbe stata catturata. Sembra probabile che si sia trattato di notizie errate.
 
Undici membri dell’equipaggio del Libano vennero inclusi in un gruppo di 401 italiani – tutti uomini, in massima parte di età compresa tra i 20 ed i 30 anni, anche se ve n’erano altri più giovani, fino a 16 anni, o più anziani, fino a 60 – partito dal Regno Unito per il Canada il 3 luglio 1940 a bordo dell’Ettrick, una grande e moderna motonave passeggeri convertita in trasporto truppe: 342 di essi erano internati civili, e tra questi 59 erano marittimi (più precisamente: un comandante, un ufficiale di coperta, dodici marinai, dieci mozzi, venti fuochisti, due carpentieri, tre cuochi, tre nostromi, tre stewards, un direttore di macchina, un macchinista, un radiotelegrafista ed un cambusiere, con età che andava dai 18 ai 57 anni); oltre agli uomini del Libano, c’erano componenti degli equipaggi dei piroscafi EliosEricaAndreaAmelia LauroAngelina LauroGioacchino LauroGabbiano e Mincio, tutti catturati nel Regno Unito allo scoppio della guerra. L’Ettrick raggiunse il porto di Québec il 13 luglio, dopo un viaggio di dieci giorni, e qui gli internati furono condotti alla locale stazione ferroviaria e trasferiti via treno a Montréal, dove poi furono caricati su autobus e trasportati nel campo d’internamento S/43, allestito apposta per loro sull’isola di Sainte-Hélène, un’isola fluviale del San Lorenzo poco distante da Montréal. Qui gli internati giunsero la tarda sera del 13 luglio.
Gli internati del campo S/43 formavano un gruppo alquanto eterogeneo per età, professione e persino lingua: alcuni di essi, residenti in Regno Unito fin dall’infanzia, parlavano soltanto inglese; altri, e specialmente tra i marittimi, parlavano dialetti regionali più che l’italiano vero e proprio. Per quello che riguardava la loro opinione politica, secondo un rapporto del luglio 1941 del commissario britannico alle prigioni Alexander Paterson un centinaio degli internati erano pro-britannici, un centinaio accesi fascisti, ed i restanti (circa 200) non avevano una precisa posizione politica; un rapporto del colonnello Stethem risalente al gennaio 1941 giudicava invece che il 40 % degli internati potessero essere considerati fascisti, ed il 60 % antifascisti. Con poche eccezioni, comunque, non si trattava di “soggetti pericolosi”, secondo quanto riferito già il 7 agosto 1940 dal colonnello H. Watson. Gli internati non tardarono a dividersi al loro interno: da una parte i fascisti, dall’altra i pochi comunisti e gli ebrei (c’erano anche, tra i 342 internati civili, 17 rifugiati ebrei, che vennero però ben presto trasferiti in altri campi); in mezzo la massa che non si schierava, e che non desiderava altro che la libertà ed il ricongiungimento con i propri cari. Al di là delle inevitabili tensioni, gli internati riuscirono comunque a coabitare in modo abbastanza pacifico; non vi furono episodi di violenza, tranne qualche raro litigio tra fascisti ed antifascisti, la distruzione di una radio da parte di un internato fascista che riteneva che le notizie da questa trasmesse – ovviamente, di parte britannica – fossero solo propaganda, e la distruzione di alcuni giornali da parte di alcuni marittimi (presumibilmente per lo stesso motivo della radio).
Le condizioni di vita nel campo S/43 erano complessivamente abbastanza buone; le razioni degli internati erano uguali a quelle ricevute dai soldati canadesi, e gli internati avevano la possibilità di seguire corsi per proseguire i propri studi, e di lavorare – se lo volevano – in cambio di una paga giornaliera. La Croce Rossa e la Y.M.C.A. (Young Men’s Christian Association) fornì loro articoli sportivi, libri, strumenti musicali e giochi per passare il tempo. Le principali lamentele – oltre, ovviamente, alla privazione della libertà – riguardavano la ristrettezza degli spazi personali e l’impossibilità di ricevere visite dai parenti.
Nel 1942 lo status dei marittimi italiani internati – a differenza degli altri civili italiani internati, e pur essendo gli uomini della Marina Mercantile dei civili – venne modificato da quello di internati civili a quello di prigionieri di guerra di classe 1, così parificandolo a quello dei militari catturati, ed impedendone il rilascio fino alla fine delle ostilità. Il campo S/43 chiuse i battenti nel novembre 1943, e gli internati che ancora vi si trovavano – molti erano stati rilasciati in seguito all’armistizio di Cassibile, o dopo che il riesame del loro caso aveva dimostrato che non costituivano un pericolo per il Regno Unito – vennero trasferiti in un altro campo d’internamento a Fredericton.
 
Non tutti i marittimi del Libano avrebbero fatto ritorno dalla lunga prigionia: il fuochista molfettese Nicolò Sciancalepore morì in prigionia il 16 novembre 1944 ad Ottawa, in Canada.
 
Delle sei navi italiane sorprese dalla dichiarazione di guerra nella baia di Gibilterra, soltanto due, Libano e Cellina, poterono essere utilizzate in guerra dai britannici. Le altre quattro rimasero semiaffondate od internate in territorio spagnolo; una, anzi – l’Olterra – sarebbe stata convertita in base segreta per gli incursori della X Flottiglia MAS che a più riprese, tra il 1940 ed il 1943, attaccarono il naviglio britannico ormeggiato a Gibilterra.
Una volta completate riparazioni dei danni causati dal sabotaggio del giugno precedente, il 30 luglio 1940 il Libano lasciò Gibilterra alla volta del Regno Unito (per la precisione, Greenock) con un carico di merci varie, insieme al convoglio HG. 40, formato da 17 mercantili britannici – aventi a bordo in tutto 5800 civili evacuati da Gibilterra –, 6 svedesi ed un greco, scortati dai cacciatorpediniere britannici Wishart e Westcott, dallo sloop Wellington e dal piropeschereccio armato Leyland. Capoconvoglio era il contrammiraglio Kenelm Creighton, imbarcato sul piroscafo Balfe.
Quella del Libano fu una navigazione travagliata: partito in ritardo (inizialmente era stato anzi previsto che sarebbe dovuto partire con il convoglio precedente, l’HG. 39, salpato da Gibilterra il 21 luglio, ma la partenza era stata rimandata), raggiunse il convoglio soltanto il 7 agosto, in posizione 48°52’ N e 19°24’ O; due giorni dopo perse il contatto con il convoglio, lo ritrovò il giorno seguente, ma ebbe un’altra avaria e rimase arretrato fino ad essere perso di vista dalle altre navi. Le condizioni meteomarine non erano delle migliori, con forte vento da nordovest, mare burrascoso ed intensi scrosci di pioggia, con l’aggiunta di una notevole attività di sommergibili tedeschi. Lo stesso 10 agosto il Libano fu mitragliato da un aereo tedesco una quarantina di miglia ad ovest di Donegal, ma raggiunse egualmente Londonderry il 12 agosto 1940.
Trasferito al Ministry of Shipping/Ministry of War Transport, con sede a Londra (proprietario risultava il governo britannico), il piroscafo fu ribattezzato Empire Resistance, registrato a Glasgow e dato in gestione a R. W. James & Co. (per altra fonte, R. W. Jones & Co.), ricevendo il nuovo nominativo di chiamata MJZG. Le sue specifiche sotto bandiera britannica risultarono essere 1631 tsl, 960 tsn e 2380 tpl.
 
Il 22 febbraio 1941 l’Empire Resistance partì dal Clyde con il convoglio WN. 89, arrivando a Methil il 26 febbraio. Tornato poi al Clyde, ne ripartì il 2 marzo con il convoglio WN. 93, diretto anch’esso a Methil, dove giunse quattro giorni dopo. Il 10 marzo lasciò Methil con il convoglio FS. 432, arrivando a Southend il 12 per poi ripartirne per Methil il 28 marzo, insieme al convoglio FN. 445. Giunto a Methil il 31 marzo, ne ripartì il 5 aprile, da solo, andandosi ad unire al convoglio EN.95/1, col quale giunse a Kirkwall il 7 aprile. Otto giorni dopo lasciò Kirkwall con il convoglio EC. 6, raggiungendo il Clyde il 17 aprile; da qui ripartì tre giorni dopo per Liverpool, navigando da solo, arivandovi il 21 aprile. Il 29 dello stesso mese lasciò Liverpool per Holyhead, sempre in navigazione isolata, giungendovi l’indomani; il 1° maggio salpò da Holyhead con il convoglio BB. 14, raggiungendo Cardiff il 2 maggio per poi ripartire il 12, da solo, con destinazione Milford Haven. Qui giunto il giorno seguente, ne ripartì il 14 maggio per il Clyde, navigando da solo; giunto sul Clyde il 16, ne ripartì il 23 con il convoglio WN. 131, per poi arrivare a Methil il 26 maggio. Due giorni dopo lasciò Methil insieme al convoglio FS. 501, arrivando a Southend il 30, e rimanendovi per due settimane per poi salpare per Methil il 14 giugno, con il convoglio EC. 33. Giunto a Methil il 16, ne ripartì l’indomani per Aberdeen, dove arrivò il 18 e da dove ripartì il 23 per Kirkwall, arrivandovi il 27 giugno. Tre giorni dopo ripartì da quel porto con il convoglio EC. 39, raggiungendo Loch Ewe il 2 luglio per poi unirsi al convoglio OB. 341A, partito il 30 giugno da Liverpool e formato da ben 83 mercantili (58 britannici, 14 norvegesi, 6 olandesi, due greci, uno egiziano, uno panamense, uno belga; capoconvoglio il capitano di vascello J. K. Brook, imbarcato sul piroscafo Llanover) scortati dalle corvette britanniche Auricula, Freesia, Hibiscus, Marigold, Mysotis e Periwinkle e dai cacciatorpediniere St. Albans e Westcott, anch’essi britannici. Dopo che il convoglio si fu disperso in posizione 48°30’ N e 26°30’ O, il 6 luglio, l’Empire Resistance proseguì per Reykjavik, dove arrivò l’8 luglio.
L’11 luglio l’Empire Resistance lasciò Reykjavik, ma vi fece ritorno il 18 luglio; ripartì il 24, con il convoglio SC. 37, per arrivare a Loch Ewe il 27 luglio. Unitosi poi al convoglio WN. 160, arrivò a Methil il 3 agosto e ne ripartì in zavorra l’indomani col convoglio FS. 559, composto da 47 mercantili scortati dai cacciatorpediniere Wolsey, Vimiera, Cattistock e Holderness, dagli sloop Mallard e Puffin e dai piropescherecci armati Agate, Basset e Sword Dance, raggiungendo Southend (per altra fonte, il Tyne) il giorno seguente. Nessuna nave del convoglio andò perduta per attacco nemico, ma ben otto (i mercantili Aberhill, Afon Towy, Betty Hindley, Deerwood, Gallois, Oxshott e Taara, più il piropeschereccio armato Agate che fungeva da unità pilota) si persero andandosi ad incagliare, a causa del maltempo e di un errore di navigazione, sulle secche di Haisboroug: nel disastro persero la vita 37 uomini (9 dei 14 membri dell’equipaggio dell’Afon Towy, 19 dei 27 uomini dell’Agate, 5 dei 21 dell’Oxshott e due ciascuno da Deerwood e Taara), mentre le unità della scorta ed i battelli di soccorso di Gorleston e Great Yarmouth salvarono gli altri 162 componenti degli equipaggi delle navi incagliate.
Dopo una lunga pausa (forse per un periodo di lavori), l’Empire Resistance salpò dal Tyne il 22 novembre 1941 con il convoglio FN. 559, arrivando a Methil due giorni dopo; da qui partì poi il 2 dicembre con il convoglio EN. 14, giungendo a Loch Ewe il 4 dicembre. Carico di carbone, salpò da Loch Ewe il 5 dicembre insieme al convoglio ON. 43, formato da 24 mercantili (16 britannici, tre greci, due norvegesi, due olandesi, uno panamense) e dal rimorchiatore militare olandese Dirkje, scortati dai cacciatorpedinere Broke, Newport, Havelock e Verity e dalle corvette Begonia, Camellia, Hibiscus e Rosthern (quest’ultima canadese), ma fu costretto a tornare indietro, entrando nel porto scozzese di Stornoway l’8 dicembre, per poi ripartire cinque giorni dopo alla volta di Loch Ewe, dove giunse il 14. Lasciata anche Loch Ewe, arrivò sul Clyde il 18 dicembre e ne ripartì il 23.
Il 20 febbraio 1942 lasciò Ardrossan in navigazione isolata, giungendo a Belfast due giorni dopo; il 6 marzo lasciò Belfast da solo per il Clyde, ove arrivò il 7 marzo, e da qui ripartì successivamente per Belfast Lough, ove giunse il 24. Torno poi subito al Clyde e ripartì il giorno stesso. Il 25 marzo salpò da Belfast Lough con il convoglio BB. 153, arrivando a Port Talbot il 27.
Il 29 luglio 1942 la nave arrivò a Swansea, e lo stesso giorno salpò da Port Talbot in navigazione isolata. Un altro viaggio da Port Talbot, di nuovo in navigazione isolata, ebbe inizio il 7 agosto e terminò l’indomani con l’arrivo a Bristol; il 22 agosto l’Empire Resistance raggiunse Barry, per poi salpare da Bristol il giorno stesso. Il 25 agosto partì da Barry con il convoglio WP. 208, giungendo nel Solent il 28 agosto; unitosi poi al convoglio CE. 117, arrivò a Southend il 31 agosto. Il 5 settembre ne ripartì insieme al convoglio FN. 805, col quale giunse a Methil due giorni dopo; il 9 settembre lasciò quel porto con il convoglio EN. 135, arrivando a Belfast il 13 settembre e ripartendo il 16 da solo, giungendo nel Clyde il 18. Il 26 settembre lasciò il Clyde da solo e raggiunse Preston l’indomani, poi proseguì sempre in navigazione isolata verso Milford Haven, ove giunse il 2 ottobre.
Lasciata Milford Haven il 4 ottobre con il convoglio WP. 228, la nave giunse a Portsmouth quattro giorni più tardi, ripartendone l’11 insieme al convoglio PW. 231; il 14 raggiunse Milford Haven e ne ripartì da sola l’indomani per Belfast Lough, dove arrivò il 16 ottobre. Il 22 ottobre raggiunse il Clyde, ed il giorno stesso salpò da Belfast Lough per Oban, sempre da sola, arrivandovi tre giorni dopo. Lasciò il Clyde il giorno stesso; il 26 ottobre salpò da Oban con il convoglio WN. 354 ed arrivò a Methil il 29, ripartendo due giorni dopo insieme al convoglio FS. 948. Raggiunga Southend il 2 novembre, l’Empire Resistance ne ripartì il 9 con il convoglio FN. 861, arrivando a Methil l’11; l’indomani ripartì con il convoglio EN. 161 per Belfast, arrivandovi il 16 e ripartendo il 30 in navigazione isolata, arrivando a Loch Ewe il 1° dicembre. Unitosi poi al convoglio WN. 368, il piroscafo giunse a Methil il 5 dicembre.
Il 9 dicembre lasciò Methil con il convoglio FS. 981, raggiungendo Southend l’11 dicembre; il 19 dicembre ripartì con il convoglio FN. 895, arrivando a Methil tre giorni dopo. Proseguì poi da solo per Ardrossan, arrivandovi il 23 dicembre, e Belfast, dove giunse il giorno di Natale con il convoglio EN. 176.
Il 1943 si aprì per l’Empire Resistance con un viaggio in navigazione isolata da Belfast, da dove salpò il 10 gennaio, a Liverpool, dove giunse il 13. Il 16 gennaio lasciò Liverpool per Loch Ewe, navigando da solo, arrivandovi il 19, e successivamente si trasferì a Methil, arrivandovi il 22 febbraio. Ne ripartì il 7 marzo, con il convoglio EN. 202; giunse a Belfast il 10 e successivamente si unì al convoglio WN. 407, raggiungendo Dundee il 26 marzo.
Il 9 maggio 1943 salpò da Methil con il convoglio FS. 1111, raggiungendo Southend due giorni dopo; il 16 maggio lasciò Southend con il convoglio FN. 1022 diretto a Methil, dove giunse il 18. Il 23 maggior ripartì da Methil con il convoglio FS. 1123, arrivando a Southend il 25 maggio; il 6 giugno lasciò Southend con il convoglio FN. 1040, arrivando a Methil due giorni dopo e ripartendo lo stesso giorno per il Clyde con il convoglio EN. 240, giungendo a destinazione l’11 giugno. Il 27 lasciò il Clyde per tornare a Methil, insieme al convoglio WN. 447; arrivato a Methil il 30 giugno, ne ripartì il 1° luglio per Southend in qualità di capoconvoglio del convoglio FS. 1156 (formato dai mercantili britannici Brynhild, Empire Capulet, Empire Patriot ed Empire Strati e dal belga Anna, scortati dai cacciatorpediniere Vivacious e Westminster e dai pescherecci armati Basset e Kingston Olivine), arrivandovi il 3 luglio e ripartendo sei giorni dopo con il convoglio CW. 192. Il 14 luglio lasciò Portsmouth con il convoglio PW. 369, arrivando a Liverpool il 16; ripartì poi da Liverpool il 20 luglio, navigando da solo, e raggiunse il Clyde il giorno seguente. Il 31 luglio arrivò a Methil con il convoglio WN. 461. Il 2 agosto lasciò Methil per Southend con il convoglio FS. 1184; giuntovi il 4, ne ripartì il 15 per tornare a Methil con il convoglio FN. 1100. Arrivò a Methil il 17 agosto e ripartì il giorno stesso insieme al convoglio EN. 269, raggiungendo Belfast il 20; due giorni dopo lasciò quel porto da solo, raggiungendo il Clyde l’indomani. Il 27 agosto salpò dal Clyde con il convoglio WN. 472A, arrivando a Methil tre giorni più tardi e proseguendo subito per Southend con il convoglio FS. 1208, arrivandovi il 1° settembre.
 
Il 12 ottobre 1943 l’Empire Resistance salpò da Southend per Methil con il convoglio FN. 1148, arrivandovi due giorni dopo; il 15 ripartì da Methil per Belfast, con il convoglio EN. 294A, giungendovi il 18 ottobre. Il 20 lasciò Belfast, da solo, per Liverpool, dove giunse il 22; il 28 ripartì, sempre in navigazione isolata, diretto a Belfast, dove giunse il 29 ottobre. Il 31 lasciò Belfast per fare ritorno a Liverpool, dove giunse l’indomani; una settimana dopo ripartì per Belfast, arrivandovi il 9 novembre e ripartendo l’11 per tornare a Liverpool, ove arrivò il giorno seguente. Nelle settimane seguenti fu una spola tra questi due porti: partenza da Liverpool il 18 novembre, arrivo a Belfast il 19; partenza da Belfast il 22, arrivo a Liverpool il 23; partenza da Liverpool il 30, arrivo a Belfast il 1° dicembre; partenza da Belfast il 5 dicembre, arrivo a Liverpool il 6; partenza da Liverpool il 14, arrivo a Belfast il 16; partenza da Belfast il 22 dicembre, arrivo a Liverpool il 23; partenza da Liverpool il 6 gennaio 1944, arrivo a Belfast il 7; partenza da Belfast il 10, arrivo a Liverpool l’11 gennaio; partenza da Liverpool il 18 gennaio, arrivo a Belfast il 19; partenza da Belfast il 23, arrivo a Liverpool il 24; partenza da Liverpool il 29 gennaio, arrivo a Belfast l’indomani; partenza da Belfast il 4 febbraio, arrivo a Liverpool il 5; partenza da Liverpool il 13 febbraio, arrivo a Belfast il giorno seguente; partenza da Liverpool il 29 gennaio, arrivo a Belfast il 30; partenza da Belfast il 4 febbaio, arrivo a Liverpool il 5; partenza da Liverpool il 13, arrivo a Belfast il 14; partenza da Belfast il 17 febbraio, arrivo a Liverpool il 18; partenza da Liverpool il 22 marzo, arrivo a Belfast il 23; partenza da Belfast il 30, arrivo a Liverpool il 31; partenza da Liverpool il 7 aprile, arrivo a Belfast l’8; partenza da Belfast il 10 aprile, arrivo a Liverpool l’11; partenza da Liverpool il 16, arrivo a Belfast il 17. Tutti viaggi compiuti da solo e senza scorta.
Il 21 aprile 1944 l’Empire Resistance lasciò Belfast diretto a Cardiff, ove giunse il 23; lasciò quel porto il 7 maggio.
 
Nel giugno 1944 l’Empire Resistance partecipò allo sbarco in Normandia, facendo parte dell’immensa flotta d’invasione e sbarcando rifornimenti a Omaha Beach; il 15 giugno 1944 giunse nella baia della Senna, sulla costa francese, con il convoglio EBC. 9, ed il 26 giugno partì per il Canale di Bristol con il convoglio FBC. 11. Nei mesi successivi fece la spola tra le due sponde del Canale della Manica per rifornire le truppe sbarcate in Normandia: il 5 luglio 1944 salpò da Barry con il convoglio EBC. 32, arrivato nella baia della Senna due giorni dopo; il 12 luglio lasciò la baia diretto nel Canale di Bristol con il convoglio FBC. 25, mentre il 28 luglio era di nuovo nella baia della Senna con il convoglio EBC. 53. Il 3 agosto lasciò la baia con il convoglio FBC. 44, raggiungendo Southampton il 4 agosto, ed il giorno stesso si trasferì a Spithead e poi proseguì per Southend con il convoglio FTC. 57, arrivandovi il 5. Il giorno seguente lasciò Southend insieme al convoglio FN. 1441, arrivando a Grimsby l’8 agosto; il 15 lasciò quel porto per tornare a Southend con il convoglio FS. 1544, arrivandovi il giorno successivo. Il 17 agosto salpò da Southend con il convoglio ETC. 71, raggiungendo la baia della Senna l’indomani; il 22 agosto ripartì dalla baia per tornare a Southend con il convoglio FTC. 75, arrivandovi il 23. Il 24 ripartì da Southend con il convoglio FN. 1459, arrivando a Grimsby il 25 agosto; qui rimase fino al 1° settembre, quando ripartì con il convoglio FS. 1562 per tornare a Southend, dove arrivò due giorni dopo e da dove partì il 7 settembre con il convoglio ETC. 91 diretto nella baia della Senna, ove giunse il giorno successivo. Il 18 settembre lasciò la baia insieme al convoglio FTC. 12A, raggiungendo Southend il 19 settembre, ed il 3 ottobre ne ripartì con il convoglio ETC. 117, diretto ancora una volta nella baia della Senna.
Il 10 ottobre salpò da Newhaven diretto a Southend con il convoglio FTC.33A, giungendovi l’11; il 17 ripartì da Southend con il convoglio TMC. 7, raggiungendo la baia della Senna. Il 24 ottobre lasciò la baia con il convoglio MTC. 15, raggiungendo Southend l’indomani, ed il 1° novembre salpò da Southend con il convoglio TMC. 23 per la baia della Senna, dove giunse il giorno seguente e rimase fino al 6, quando ripartì per Southend con il convoglio MTC. 28.
Arrivato Southend il 7 novembre, ripartì una settimana dopo insieme al convoglio TMC. 36; raggiunse la baia della Senna il 15 novembre e la lasciò il 19 con il convoglio MTC. 41, arrivando a Southend il 20. Il 28 novembre ripartì da Southend con il convoglio TMC. 50, arrivando a Dieppe il 30; da qui ripartì per Southend il 5 dicembre insieme al convoglio MTC. 57, arrivandovi l’indomani. L’11 dicembre lasciò Southend per Dieppe, dove giunse il 12, ed il 18 partì da Dieppe diretto a Caen, dove arrivò il 19; lasciò poi Caen il 28 dicembre diretto ai Downs, dove giunse l’indomani. Il 31 dicembre 1944 salpò dai Downs con il convoglio TAC. 92, diretto ad Ostenda, dove arrivò il 1° gennaio 1945.
 
Il 5 gennaio 1945 l’Empire Resistance lasciò Ostenda diretto a Southend, dove giunse il giorno seguente e rimase per dieci giorni; il 16 gennaio ripartì per Anversa con il convoglio TAM. 51, arrivandovi il giorno successivo. La sosta nel porto belga durò solo un giorno; il 22 la nave ripartì per Southend con il convoglio ATM. 43, arrivandovi il 23. Sei giorni dopo, lasciò ancora una volta Southend insieme al convoglio TAM. 64, raggiungendo Anversa il 30 gennaio per poi ripartirne il 4 febbraio con il convoglio ATM. 54, giungendo a Southend il 5 febbraio. Cinque giorni dopo ripartì per Caen, dove giunse il 13 febbraio, lasciandola il 18 per raggiungere i Downs due giorni dopo; qui si unì al convoglio TAM. 86, diretto ad Anversa, arrivandovi il 21 febbraio. Il 1° marzo lasciò Anversa insieme al convoglio ATM. 79, con cui giunse a Southend il giorno seguente; subitp ripartì per Grimsby con il convoglio FN. 1649, arrivandovi il 3 marzo. Il 9 aprile l’Empire Resistance lasciò Grimsby per Southend con il convoglio FS. 1779, arrivando a destinazione due giorni dopo; lo stesso giorno proseguì per Rouen, ove arrivò il 12, facendo poi ritorno a Southend il 21 aprile e proseguendo immediatamente per Grimsby (dove giunse il 22) con il convoglio FN. 1693. Il 5 maggio lasciò Grimsby per Southend, dove giunse l’indomani insieme al convoglio FS. 1797, mentre l’8 maggio 1945, giorno della fine delle ostilità in Europa, salpò dai Downs on il convoglio TAM. 162, arrivando ad Anvrsa il giorno seguente. Il 12 maggio ripartì da Anversa con il convoglio ATM. 152 diretto a Southend, ove arrivò il 13, proseguendo immediatamente per Grimsby con un altro convoglio, il FN. 1710, ed arrivando a destinazione il 14 maggio. Tre giorni dopo l’Empire Resistance lasciò Grimsby diretto a Southend con il convoglio FS. 1806; giunse a destinazione il 18 e ripartì subito per Ostenda con il convoglio TAC. 229, arrivandovi il giorno seguente. Il 22 maggio salpò da Anversa per Southend con il convoglio ATM. 162; giunto a Southend il 23 maggio, proseguì subito per Grimsby, dove giunse il 24 maggio 1945.
 
Nel 1946, a guerra finita, l’Empire Resistance venne ceduto alla Resistance Shipping Company Ltd. di Glasgow (per altra fonte, di Londra; in gestione ad Arthur D. Pallister di Londra) e perse il prefisso Empire, cambiando nome in Resistance. Tre anni dopo, nel 1949, il vecchio piroscafo tornò a battere bandiera italiana: fu infatti acquistato dall’armatore Giacomo Costa fu Andrea, di Genova, che lo ribattezzò Beatrice C. (all’epoca la sua stazza lorda risultava essere di 1585 tsl). Dopo cinque anni di servizio per i Costa, nel 1954 il Beatrice C. fu rivenduto all’armatore napoletano Raffaele Romano, che lo ribattezzò Acilia.
Tra il 1955 ed il 1956 l’Acilia compì diversi viaggi tra l’Italia ed il Mar Nero, e secondo alcuni questi viaggi sarebbero da ricollegarsi all’affondamento della corazzata sovietica Novorossiysk, ex italiana Giulio Cesare, ceduta all’Unione Sovietica nel 1949 in base alle disposizioni del trattato di pace ed affondata a Sebastopoli il 29 ottobre 1955 dall’esplosione di una vecchia mina tedesca, con la morte di oltre seicento uomini. Da alcuni ambienti si sostiene infatti che l’affondamento della Novorossiysk non sarebbe stato causato da una mina, bensì da una carica esplosiva collocata sul suo scafo (in tempo di pace!) da ex incursori della X Flottiglia MAS per “vendicare” la cessione della nave all’Unione Sovietica o forse per conto della NATO. Secondo il giornalista russo Nikolai Cherkashin, l’Acilia avrebbe trasportato a Sebastopoli il materiale usato per compiere il misfatto. Un documento “riservatissimo” a firma del commissario di polizia G. De Francisci, inviato al Ministero dell’Interno il 27 gennaio 1955 dall’Ufficio di Pubblica Sicurezza dello scalo marittimo di Brindisi, infatti, avvertiva che «il 25 corrente alle ore 19.30 è qui giunto, vuoto e senza passeggeri a bordo, il piroscafo nazionale ACILIA del Compartimento Marittimo di Napoli, proveniente da Venezia, che si è ancorato in avamporto per rifornimento carburante. Il 26 stesso mese la nave è ripartita asseritamente per Istanbul. Sembra invece che il natante si diriga in un porto della Russia, a Kiev (?), per caricare rottame di zinco. Il piroscafo inoltre avrebbe a bordo 6 uomini in soprannumero, iscritti nel ruolo equipaggio, muniti di libretto di navigazione, appartenenti al servizio riservato della Marina Militare italiana. Fra questi 6 uomini vi sarebbe un sottufficiale dell’esercito esperto in radiotelegrafia. La nave dovrebbe giungere in Russia il 3 febbraio. La Capitaneria di Porto di Brindisi ha curato il rifornimento di carburante ed ha assistito in maniera particolare l’ACILIA per tutte le operazioni che si sono svolte in questo porto. Inoltre sono stati notati in quei giorni, nell’ambito portuale, ufficiali del centro “IN” [Servizio Informazioni] della Marina Militare di Bari. Tanto si comunica per opportuna conoscenza». Lo stesso giorno il prefetto di Bari A. Novello inviò un’analoga informativa al Ministero dell’Interno, Direzione Pubblica Sicurezza, Divisione Affari Riservati.

La segnalazione del commissario De Francisci (da “Il mistero della corazzata russa: fuoco, fango e sangue” di Luca Ribustini)

Luca Ribustini, autore di un libro sull’affondamento della Novorossiysk (in cui si sostiene la tesi dell’incursione da parte di militari italiani), ha reperito nel 2014 il ruolo dell’equipaggio dell’Acilia rilasciato il 18 ottobre 1952 dalla Capitaneria di Porto di Civitavecchia, dal quale risultava che l’equipaggio del piroscafo era composto da 19 uomini. Dai documenti reperiti emerge che l’Acilia partì da Brindisi il 26 gennaio 1955 con destinazione ufficiale Istanbul, ma che il 1° febbraio giunse ad Odessa, come attestato dal timbro delle autorità di quel porto; vi erano poi altri due timbri poco leggibili “presumibilmente del porto di Kiev” (ma Kiev è nell’entroterra ucraino, a centinaia di chilometri dal mare, e non è chiaro se una nave d’altura come l’Acilia potesse risalire il Dnepr fin lì). Secondo Ribustini, l’Aciliaaveva chiaramente una missione militare da compiere” ed almeno tre dei 19 uomini del suo equipaggio provenivano dalla Marina Militare: il primo ufficiale “G. B.” (imbarcatosi a Venezia il 22 gennaio 1955), il secondo ufficiale di macchina “A. B.” (imbarcatosi a Venezia il 23 gennaio) ed il radiotelegrafista “R. B.” (imbarcatosi sempre a Venezia il 26 gennaio 1955, giorno stesso della partenza). Tutti e tre sbarcarono poi al rientro in Italia della nave, il 28 febbraio 1955, dopo quell’unico viaggio, mentre i restanti componenti dell’equipaggio erano imbarcati sull’Acilia già da 3-6 mesi. Un’altra stranezza rilevata da Ribustini è il fatto che sull’Acilia fu frettolosamente installato e collaudato, il giorno stesso della partenza, un potente apparato radio. Il ruolo dell’equipaggio relativo al periodo successivo al gennaio 1955 (mese in cui il ruolo precedente venne archiviato e sostituito da uno nuovo) era invece andato perduto.
Un’altra segnalazione riservata fu trasmessa dalla Prefettura di Bari alla Divisione Affari Riservati del Ministero dell’Interno il 22 maggio 1955: in essa si comunicava che l’Acilia aveva compiuto un altro viaggio in Mar Nero, facendo scalo ad Odessa. Un’ulteriore segnalazione riservata, sempre dalla Prefettura di Bari alla Divisione Affari Riservati del Ministero dell’Interno, risale infine al 1° marzo 1956: il prefetto Novello vi scriveva che l’Acilia era partito il 27 febbraio “per un porto d’oltre cortina”, che il suo rifornimento era stato curato dalla Marina Militare e che “l’equipaggio avrà conoscenza del porto di destinazione soltanto durante la navigazione”.
I documenti trovati da Ribustini sembrano in effetti provare in modo abbastanza convincente che l’Acilia compì a più riprese viaggi in Mar Nero per conto della Marina Militare o, comunque, per conto e con la collaborazione delle autorità italiane e per motivi che all’epoca si volevano tenere segreti. Meno convincente è però l’ipotesi di un legame tra questi viaggi e l’affondamento della Novorossiysk: in primo luogo, nei viaggi di cui si ha contezza l’Acilia si recò sempre ad Odessa, e non a Sebastopoli dove la corazzata affondò nell’ottobre del 1955. Inoltre, se questi viaggi fossero stati finalizzati alla preparazione di un colpo di mano contro la nave da battaglia sovietica, non si comprende perché l’Acilia – dopo essersi già compromesso in un’operazione del genere – avrebbe dovuto compiere almeno un ulteriore viaggio in un porto sovietico nel 1956, mesi dopo l’affondamento della Novorossiysk.
Si può forse ipotizzare che nei suoi viaggi in Mar Nero il piroscafo sia stato impiegato per compiti di spionaggio – cosa tutt’altro che strana nel contesto della guerra fredda –, come lascerebbero pensare anche l’installazione a bordo di un nuovo e costoso apparato radio (forse per intercettare comunicazioni sovietiche) subito prima della partenza e l’imbarco – stando alla segnalazione del commissario De Francisci – di uomini del servizio segreto della Marina e di un militare specializzato in comunicazioni radio. Missioni segrete che tuttavia non avrebbero niente a che fare con l’affondamento dell’ex Giulio Cesare, vittima di una vecchia mina.
 
Nel settembre 1956, pochi mesi dopo questi viaggi avvolti nel mistero, l’Acilia compì un altro viaggio verso un Paese del blocco comunista: l’Albania di Enver Hoxha. Scopo di questo viaggio era rimpatriare il maresciallo dei carabinieri Luigi Maugeri, già della Legione Carabinieri di Tirana, prigioniero da undici anni in Albania: durante gli anni conclusivi della seconda guerra mondiale, infatti, Maugeri era stato stretto collaboratore del generale Gino Piccini, che insieme al grosso della 41a Divisione Fanteria "Firenze" aveva preso le armi contro i tedeschi dopo l’armistizio, combattendo a fianco della Resistenza albanese. Dopo la ritirata delle forze tedesche dall’Albania, Piccini era rimasto a Tirana in qualità di capo della missione italiana nel Paese balcanico; il nuovo governo comunista albanese aveva iniziato nutrire sospetti nei confronti del generale italiano, che infatti raccoglieva segretamente informazioni sulla situazione in Albania a beneficio dei servizi britannici (che in cambio facilitavano il rimpatrio dei militari italiani ancora bloccati nel Paese balcanico), ma non aveva voluto intraprendere azioni nei suoi confronti perché il prestigio da questi accumulato nella lotta partigiana era troppo grande. Pertanto era stato invece arrestato Maugeri, suo segretario e dattilografo; lungamente interrogato, senza risultati, sulle attività del Servizio Informazioni Militari (il servizio segreto del Regio Esercito), il carabiniere era stato poi condannato a dieci anni di lavori forzati per “crimini di guerra”. Liberato finalmente l’11 settembre 1946, Maugeri fu accompagnato a Durazzo il 22 settembre e qui, la sera del 24, s’imbarcò sull’Acilia, col quale sbarcò a Brindisi alle 20.30 del 25 settembre, ponendo fine alla sua odissea in terra albanese. Insieme a lui tornarono in Italia sull’Acilia, dopo lunga prigionia in vari carceri e campi di concentramento, anche i capitani Nino Tagliani e Mario Verde, entrambi dei carabinieri, arrestati nel giugno 1945 perché sospettati di essere al servizio dei servizi segreti occidentali. Ad accoglierli trovarono numeroso pubblico e le massime autorità militari e civili di Brindisi.
 
Sempre nel 1956 l’Acilia fu venduto ancora una volta, stavolta alla Apostolo & Ruffini S.r.l. di Genova, e cambiò nome per la sesta ed ultima volta nella sua lunga esistenza: divenne il Cilin.
La sua carriera era però ormai agli sgoccioli: il vecchio piroscafo navigò ancora per tre anni per il nuovo armatore, dopo di che, dopo aver superato senza troppi danni due guerre mondiali ed un probabile coinvolgimento nella guerra fredda, giunse definitivamente al capolinea.
Il 23 aprile 1959, dopo mezzo secolo di onorato servizio, la demolizione del Cilin da parte della ditta Pittaluga ebbe inizio a Savona. I lavori furono completati nel giugno dello stesso anno.
 
L’Acilia a Porto Santo Stefano a metà anni Cinquanta (g.c. Pietro Berti, via www.naviearmatori.net)

 

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