Il Santamarina Salina (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net) |
Piroscafo misto di 762,86 tsl, 351,39 tsn e 450 tpl, lungo 61,33 metri,
largo 9,14 e pescante 3,85-4,8, con velocità di 12 nodi (altra fonte parla di
14 nodi, ma sembra inverosimile dato che alle prove fu raggiunta una velocità
massima di 12,6 nodi, mentre 12 nodi erano indicati come la velocità normale). Appartenente
alla Società Anonima di Navigazione “Eolia”, con sede a Messina, ed iscritto
con matricola 22 al Compartimento Marittimo di Messina; nominativo di chiamata PGNA
fino al 1933, poi ICGO.
Scafo in acciaio a due ponti e due ordini di bagli, con chiglia piatta
e sette paratie stagne trasversali. Propulso da una macchina a vapore a
triplice espansione a 3 cilindri della potenza di 1045,00 CV, alimentata da due
caldaie monofronti. Disponeva di quattro lance di salvataggio.
Adibito al servizio postale tra la Sicilia e le isole Eolie, poteva
trasportare 86 passeggeri in cabina più altri sui ponti; disponeva di un salone
di prima classe, una saletta per la terza classe ed anche una biblioteca.
Svolgeva anche servizio di rifornimento d’acqua delle isole, ed allo scopo
poteva trasportare 15 tonnellate d’acqua potabile e 554 tonnellate d’acqua
“comune”. Fu l’unico piroscafo della società Eolia a non essere requisito dalla
Regia Marina durante la guerra.
Il suo nome è variamente riportato come Santamarina, Santamarina
Salina, Santa Marina o Santa Marina Salina. Considerato che una
foto del varo mostra chiaramente il nome “Santamarina”
sulla prua e che i Lloyd’s Registers ne riportano il nome come Santamarina Salina, quest’ultima appare
la versione più corretta.
Breve e parziale
cronologia.
19 novembre 1928
Varato presso i Cantieri Navali Riuniti di Palermo (numero di
costruzione 107).
Si tratta della prima nave ad essere costruita ex novo per la Società
Anonima di Navigazione Eolia.
Tale compagnia, fondata proprio a Santa Marina Salina nel dicembre 1925
con l’intento di gestire tutti i collegamenti via mare da e per le Eolie, aveva
inizialmente operato con piroscafi “di seconda mano”, in parte acquistati sul
mercato estero ed in parte ereditati dalle piccole compagnie preesistenti
(specialmente la Siciliana di Navigazione a Vapore, attiva dal 1890): il Vulcano, l’Adele, il Flora e l’Etna, tutte unità piuttosto datate
(alcune sono ancora provviste di armo velico!). Il servizio di collegamento,
iniziato con queste navi nel gennaio 1926, ha riscosso un tale successo che
dopo appena cinque mesi, il 6 giugno 1926, i soci della compagnia hanno
deliberato un raddoppio del capitale sociale (che però andrà a rilento, per via
della scelta di limitare il collocamento delle azioni agli abitanti delle Eolie:
si ricorrerà nel mentre, per attuare il piano d’armamento, ad un prestito di
oltre cinque milioni di lire erogato dal Consorzio Governativo di credito,
andando comunque a generare un deficit di bilancio, poi coperto con la vendita
di nuove azioni) e la costruzione di tre nuovi piroscafi per potenziare la
flotta: il primo è appunto il Santamarina,
ordinato ai cantieri di Palermo nel marzo 1927, cui seguiranno nel 1929 e nel
1936 il Luigi Rizzo (l’Affondatore di
Premuda, originario di Milazzo, è stato nominato presidente onorario della
società Eolia) e l’Eolo.
Il varo
del Santamarina Salina (da www.archiviostoricoeoliano.it e
www.liparinet.it)
Gennaio 1929
Completato per la Società Anonima di Navigazione Eolia.
L’entrata in servizio del Santamarina,
prima nave moderna ad essere destinata alla linea delle Eolie, è accolta con
entusiasmo nell’arcipelago: a Santa Marina Salina un «comitato di signore e
signorine» ricama la bandiera sociale, da donare alla nave, e raccoglie 80
libri destinati alla biblioteca di bordo.
Un opuscolo della compagnia, scritto dal colonnello Giuseppe Giuffrè,
così pubblicizza il nuovo piroscafo: “Le cabine di prima classe e il
relativo salone, al centro del piroscafo, offrono al passeggero tutto il
confort per rendere piacevole il viaggio. Le due cabine di lusso, con annesso
salotto sul ponte di passeggiata, sono arredate con signorile eleganza.
Complessivamente i posti di classe superiore con letti sono 50. La terza classe
è situata a poppa. Ha una comoda saletta, una passeggiata, cabine da 4 e 6
posti, per un totale di 36 letti, con reparto separato per le donne. Anche i
meno abbienti possono, così, godere delle comodità necessarie. Una biblioteca
di 80 volumi è stata offerta, con geniale, civilissima iniziativa, dal comitato
di signore e signorine sorto in Santa Marina, che ha pure donato la bandiera
sociale ricamata con volontarie offerte”. Anche gli ufficiali dispongono di
“comode ed eleganti cabine e di una propria sala pranzo”, e
sottufficiali, i marinai ed i fuochisti hanno “alloggi separati e comodi”.
Negli anni successivi, le linee marittime delle Eolie continueranno a
prosperare, tanto che la società Eolia non avrà difficoltà a collocare le nuove
azioni e risolvere i problemi di bilancio che avevano caratterizzato i primi
anni della sua esistenza.
Alcune
immagini degli interni del Santamarina
Salina, da www.archiviostoricoeoliano.it:
Una cabina |
Cabina di lusso |
Saletta |
Salone
|
5 novembre 1930
Durante un viaggio da Lipari a Napoli, nel corso di una tempesta, nasce
a bordo del Santamarina Salina un
bambino. La madre, la signora Persiani, viaggia insieme al figlioletto Spartaco
di appena un anno: il padre dei bambini è stato arrestato per attività
antifascista. Durante la navigazione la donna è improvvisamente colta dalle
doglie del parto e dà alla luce il secondo figlio, che il comandante del Santamarina battezza col nome di Marino
Eolo Leonardo: Marino dal nome del Santamarina,
Eolo da quello delle Eolie, Leonardo perché il 5 novembre è San Leonardo.
L’insolito battesimo è accompagnato dall’augurio dell’ufficiale che un giorno
il bambino possa anch’egli diventare comandante: ed in effetti il giovane
Marino Eolo Leonardo Persiani, raggiunta la maggiore età, entrerà in Marina,
divenendo ufficiale. Non potrà mai giungere a comandare una nave, tuttavia,
perché morirà prematuramente all’età di 29 anni.
Il Santamarina Salina (a sinistra) ed il Vulcano in rada a Lipari negli anni Trenta (da www.eolienews.it) |
(Arch. Claudio Merlino, via www.liparinet.it) |
Anni Trenta
Il Santamarina presta servizio
tra le Eolie, la Sicilia e Napoli.
La nave è anche brevemente menzionata dallo scrittore Curzio Malaparte,
che fu confinato a Lipari per alcuni mesi a causa di contrasti con alcuni
gerarchi fascisti, nel suo libro "La pelle": «Poi, un giorno, fui condotto con i ferri ai polsi da Lipari a un'altra
isola, e di lì, dopo lunghi mesi, in Toscana. Febo mi seguì di lontano,
nascondendosi fra le botti di alici e i rotoli di cordame sul ponte del Santa
Marina, il piccolo piroscafo che ogni tanto va da Lipari a Napoli, e fra le
ceste di pesce e di pomodori sulla barca a motore che fa servizio tra Napoli,
Ischia e Ponza».
Il Santamarina era in
partenza da Napoli per Messina il 26 marzo 1938, giorno della misteriosa
scomparsa di Ettore Majorana.
Il Santamarina Salina (da www.salinarelais.it) |
1938
Il Santamarina viene
impiegato come set durante le riprese del film “Traversata nera” della Sovrania
Film, diretto da Domenico Gambino e con un “cast” che comprende Mario Ferrari,
Germana Paolieri, Dria Paola, Camillo Pilotto, Guglielmo Sinaz, Lola Braccini,
Carlo Lombardi, Antonio Gradoli, Roberto Bianchi Montero, Giovanni Grasso,
Carlo Duse, Renzo Merusi ed il famoso pugile Primo Carnera. Il film, del genere
“giallo”, è incentrato su un misterioso delitto compiuto a bordo di un
piroscafo in navigazione dal Levante all’Europa; non riscuote molto successo (a
Salina, ad ogni modo, non lo vedrà nessuno, perché non ci sono cinema), ma la
società Eolia ha comunque avuto occasione di mostrare a livello nazionale i
lussuosi interni del Santamarina, la
sua nave ammiraglia.
Un particolare che a posteriori appare quasi sinistro: la nave su cui
si svolge il film, al termine della pellicola, affonda…
Locandina del film “Traversata nera” (da www.archiviostoricoeoliano.it) |
Attori di “Traversata nera” (al centro, Primo Carnera) e fan a bordo del Santamarina durante le riprese (da www.archiviostoricoeoliano.it) |
Primo Carnera (sulla destra) posta per una foto con l’equipaggio del Santamarina Salina (Archivio Claudio Merlino, via www.liparinet.it) |
Ufficiali del Santamarina insieme a Primo Carnera (Archivio Claudio Merlino, via www.liparinet.it) |
10 giugno 1940
L'Italia entra nella seconda guerra mondiale, ma il Santamarina non viene requisito: prosegue nel suo servizio di linea tra la Sicilia e le Eolie.
16 giugno 1940
A Messina il Santamarina Salina subisce lavori per l'installazione di un armamento difensivo: vengono imbarcati due cannoni da 76/40 mm ed una mitragliera singola da 13,2 mm.
Gennaio 1942
L'armamento difensivo viene potenziato con l'aggiunta di una seconda mitragliera da 13,2 mm.
16 giugno 1940
A Messina il Santamarina Salina subisce lavori per l'installazione di un armamento difensivo: vengono imbarcati due cannoni da 76/40 mm ed una mitragliera singola da 13,2 mm.
Gennaio 1942
L'armamento difensivo viene potenziato con l'aggiunta di una seconda mitragliera da 13,2 mm.
L’affondamento
Alle 15.10 del 9 maggio 1943 il Santamarina
Salina lasciò Lipari diretto a Milazzo (secondo qualche articolo, era anche
previsto uno scalo intermedio a Vulcano), per un viaggio di ritorno lungo la
linea n. 102-c. Per il piccolo piroscafo questa era la quarta traversata
consecutiva in quel solo giorno: nella prima mattina, infatti, aveva raggiunto
Lipari con una corsa speciale ed aveva imbarcato 200 giovani delle isole che si
recavano in Sicilia per la visita di leva, presso le sedi dei rispettivi
distretti di reclutamento, trasportandoli poi a Milazzo; dopo di che, più tardi
nella tarda mattinata, era tornato a Lipari. Dopo aver caricato a bordo una
ventina di tonnellate di merci varie e farina, verso le 14.30 era iniziato
l’imbarco dei passeggeri: radunati sulla banchina di Marina Corta, erano stati
portati a bordo per mezzo della “barca del rollo”.
Il mattino di quel 9 maggio, secondo quanto riferiscono alcuni articoli
di giornale, si era svolta a Lipari la “festa dell’Impero”, con grande
partecipazione di folla: in quella data ricorreva infatti il settimo
anniversario del discorso in cui Benito Mussolini aveva proclamato, in seguito
alla vittoriosa conclusione della guerra d’Etiopia, la riapparizione
dell’Impero «dopo quindici secoli… sui colli fatali di Roma». Da allora,
ogni anno veniva celebrata in tutta Italia tale ricorrenza, con cortei e
manifestazioni.
Festa di un impero che però, in quel settimo anniversario, aveva già
cessato di esistere: Etiopia, Eritrea e Somalia, circondate e attaccate su più
fronti dalle forze del Commonwealth, erano state perdute nel 1941; la Libia,
pochi mesi addietro. Ormai le uniche truppe italiane in Africa erano confinate
in un lembo sempre più ristretto di Tunisia, e ancora per poco.
In quel maggio del ’43 la guerra imperversava con andamento sempre più
sfavorevole per l’Italia: quello stesso giorno la V Armata corazzata tedesca si
arrendeva in Tunisia (la I Armata italiana avrebbe resistito per altri quattro
giorni prima di capitolare a sua volta, ponendo fine alla campagna africana);
in Sicilia, Palermo subiva il bombardamento più pesante dell’intero conflitto,
da parte di oltre duecento “Fortezze Volanti” statunitensi, che provocavano 373
vittime tra la popolazione civile; anche Messina era martellata da 140
bombardieri. I tempi della “proclamazione dell’Impero” erano ormai un lontano
ricordo.
La guerra si faceva sentire anche alle Eolie: le isole non ne erano
ancora state colpite direttamente – non c’erano mai stati attacchi aerei contro
di esse – ma avevano visto navi mercantili e militari affondate nelle loro
acque; tutte le famiglie avevano congiunti al fronte; le ristrettezze imposte
dai razionamenti si facevano sentire sempre più.
Lo stato di guerra aveva influito anche sui trasporti da e per la
Sicilia: il Santamarina era ormai
rimasto l’unica nave in servizio di collegamento con le Eolie; gli altri
piroscafi della società Eolia erano lontani, a fare la guerra o già in fondo al
mare. Il Vulcano era saltato su una
mina a Tobruk nel 1941, Eolo e Luigi Rizzo erano stati requisiti dalla
Regia Marina e trasformati in navi scorta ausiliarie, l’uno impiegato in Egeo e
l’altro tra Africa e Sicilia. Lo stesso Santamarina,
pur senza essere requisito, aveva cambiato aspetto: la livrea della società
Eolia era scomparsa, rimpiazzata da una colorazione mimetica; a prua e a poppa
erano stati installati due cannoncini per la difesa contro eventuali attacchi nemici, ed al solito equipaggio civile erano stati aggiunti diciassette
militari della Regia Marina al comando di un sottufficiale. Provvedimenti che
tuttavia, anziché aumentare la sicurezza del piccolo bastimento, ne avrebbero
invece decretato la fine.
Il Santamarina Salina durante la guerra,
notare il cannoncino installato sulla prua (Arch. Claudio Merlino, via www.eolienews.blogspot.com e www.liparinet.it)
Nel pomeriggio di quel 9 maggio, il Santamarina
era partito in orario da Lipari; in plancia si trovavano il comandante, padrone
marittimo Onofrio Basile, il capo cannoniere di seconda Giuseppe Porretto
(comandante della scorta armata della Regia Marina), il secondo capo cannoniere
Arnaldo Gallazzi (i quali svolgevano servizio di sorveglianza contro eventuali
attacchi nemici), il timoniere Pasquale Florio ed il marinaio di vedetta
Giuseppe Formica.
I due cannoni addetti alla difesa della nave, a prua ed a poppa, erano
armati al completo e pronti all’azione, con gli otturatori aperti ed i serventi
al posto di combattimento. Alla partenza da Lipari il capo cannoniere Porretto,
come sempre, aveva ordinato agli artiglieri dei due cannoni di aprire gli
otturatori, tenersi accanto alle riservette pronti a fare fuoco e controllare
con attenzione il mare circostante; poi era salito in plancia, al suo posto di
vedetta.
A bordo del Santamarina, in
quel viaggio, si trovavano 115 persone: 42 uomini di equipaggio (25 marittimi
civili e 17 militari della Regia Marina) e 73 passeggeri (29 militari e 44
civili). I passeggeri erano civili e militari, uomini e donne, uno spaccato
della popolazione eoliana del tempo: tra i militari c’erano otto tra
sottufficiali e marinai della Regia Marina, perlopiù in servizio presso basi
navali e distaccamenti della Sicilia; cinque militi della Guardia di Finanza
appartenenti alla Brigata Finanza di Lipari; quattro camicie nere; quattro
carabinieri; due avieri; un bersagliere; un sergente di fanteria ed un
caporalmaggiore della Sanità militare. In massima parte si trattava di militari
eoliani che rientravano dalla licenza, dopo aver trascorso qualche giorno a
casa tra i propri cari. Tra i civili, 36 uomini e otto donne, c’erano una mezza
dozzina di commercianti, due sarti, un bottaio, un notaio, due studenti, un
rappresentante di commercio, un lavoratore portuale, un muratore, un meccanico,
un contadino, un pescatore, una cameriera, un venditore di tessuti, tre
venditori ambulanti, cinque casalinghe. Il passeggero più giovane aveva tredici
anni, il più anziano sessantanove; una passeggera, Clara Germanò, aveva
compiuto gli anni – 36 – proprio il giorno precedente.
Giuseppe Di Mento, da Spadafora, si era recato a Lipari per seguire alcuni
affari legati alla ditta di commercio di pesce fresco e salato di cui era
consocio insieme al padre Domenico ed allo zio Antonio: stava ora tornando a
casa.
Il carabiniere trentenne Salvatore Casella, in servizio nel Battaglione
Ausiliario di Bagheria, viaggiava insieme al nipote sedicenne Michele, che
viveva Sant’Angelo di Brolo. Le sorelle Edel e Clara Germanò, 33 e 36 anni,
originarie di Palermo ma residenti a Malfa nell’isola di Salina (dove Edel si
era trasferita nel 1930 sposandosi con uno studente del padre Diego, insegnante
universitario di inglese e francese), viaggiavano insieme.
Il brigadiere dei carabinieri Edoardo Leanza, comandante della Stazione
dei Carabinieri di Santa Marina Salina, aveva passato tutta la mattina con in
braccio la figlia Maria Rosaria, di sette mesi, che sembrava non voler smettere
di piangere. Anche Leanza appariva piuttosto triste, come avrebbe ricordato in
seguito la moglie.
Ci fu chi perse l’imbarco per un caso. L’allora tredicenne Ezio
Roncaglia, nativo di Lipari e studente della classe quarta inferiore
dell’Istituto Tecnico Jaci di Messina, era tornato a casa nel marzo 1943 quando
la scuola era stata costretta alla chiusura dalla pioggia di bombe che, ogni
giorno di più, andava demolendo Messina. Verso fine aprile, tuttavia,
l’istituto Jaci aveva riaperto una sede provvisoria a Spadafora, per permettere
agli studenti della zona di Milazzo di poter completare l’anno scolastico: i
Roncaglia lo avevano appreso grazie ad un amico di famiglia, residente proprio
a Spadafora, che si era offerto di ospitare il giovane Ezio a casa propria per
il tempo necessario a seguire le poche settimane di lezioni mancanti al termine
dell’anno scolastico. Più precisamente, i Roncaglia seppero tutto ciò più o
meno a mezzogiorno del 9 maggio: in quel momento, Ezio si trovava però fuori
casa, intento alla raccolta di gelsi insieme ad alcuni minuti, e rincasò
soltanto verso l’una del pomeriggio. Troppo tardi per imbarcarsi sul Santamarina, che faceva scalo a Canneto
verso le 13.30: uscito di casa in fretta e furia, appesantito dalla valigia
piena di libri, il ragazzino tentò ugualmente di correre fino alla spiaggia, ma
vi arrivò quando ormai la barca del rollo, carica dei partenti, era già giunta
sottobordo al piroscafo. Roncaglia era così rimasto a terra; non era per lui
possibile neanche tentare di salire a bordo a Marina Corta, ultimo scalo del Santamarina prima di lasciare Lipari,
perché da Canneto ci sarebbe voluta almeno mezz’ora, mentre la nave avrebbe
coperto tale distanza in minor tempo. Ricordò poi Ezio Roncaglia: “Il mio Papà era furibondo perché dalle
parole dell’Amico Sig. Lodato aveva capito che si trattava di non perdere un
anno scolastico.- L’unica che non sembrava particolarmente addolorata era la
mia Mamma, …. e questo non aiutò certo a lenire l’incavolamento del mio Papà.
Non voglio certo parlare di … “premonizioni”, ma mi riesce abbastanza facile
comprendere quel che può passare nel cuore di una Mamma che vede partire il suo
bambino di 13 anni (insisto, … di allora), solo, verso gente sconosciuta e
sotto l’incubo dei bombardamenti”.
Anche l’avvocato Antonino Saltalamacchia, di 41 anni, avrebbe dovuto
imbarcarsi sul Santamarina ma non ci
riuscì.
L’equipaggio civile del Santamarina
era composto in massima parte da marittimi messinesi e milazzesi; alcuni erano
imbarcati sul Santamarina Salina da
anni, altri da pochi mesi: il giovanotto di cucina Domenico Giunta era a bordo
da appena cinque giorni.
Tutto sembrava presagire una traversata come le centinaia di altre che
il piccolo piroscafo aveva compiuto in quei tre anni di guerra: il rischio di
un attacco aereo o subacqueo era sempre presente, ma ormai faceva parte della
quotidianità – se si può applicare questo termine al contesto di una guerra.
Bene o male, dopotutto, finora il Santamarina
l’aveva sempre scampata. Una prova della relativa “rilassatezza” dei passeggeri
è data dal fatto che ben pochi, tra quelli saliti a bordo, indossarono i
giubbotti salvagente, nonostante questi fossero abbondantemente disponibili.
Parte dei passeggeri si era sistemata nei saloni interni, altri avevano
preferito restare all’aperto, sedendosi sulle panche di legno del ponte;
qualcuno si era messo a giocare a carte. Alcuni dei membri dell’equipaggio,
franchi dal servizio, se n’erano andati in cabina a riposare una volta ultimate
le manovre di partenza; altri, il cui turno iniziava alle 16, si preparavano a
montare di guardia.
Per mezz’ora o tre quarti d’ora, la navigazione procedette
regolarmente. Il tempo era bello, cielo sereno ed un sole splendente con appena
un po’ di vento.
Ma alle 15.24 il sommergibile britannico Unrivalled, al comando del capitano di corvetta Hugh Bentley
Turner, avvistò il Santamarina.
Partito da Malta il 1° maggio, l’Unrivalled
aveva la missione di pattugliare le coste nordorientali della Sicilia e gli
approcci settentrionali allo stretto di Messina, ed aveva già colto una
vittima, il 7 maggio, quando aveva distrutto a cannonate la goletta Albina a sud di San Lucido, in Calabria.
L’Unrivalled aveva avvistato
il Santamarina già alle sette del mattino
di quel 9 maggio, durante il viaggio da Milazzo a Lipari: il comandante Turner
aveva stimato che stesse dirigendo verso Lipari ad una velocità di undici nodi;
avvicinatosi fino a 1100 metri per attaccare, aveva tuttavia finito col rinunciare
al lancio, perché il mare agitato rendeva troppo incerto l’esito di un
possibile lancio, ed il modesto bersaglio non giustificava uno spreco di siluri
in tali condizioni di incertezza. Turner aveva anche tentato di scattare una
fotografia della nave italiana attraverso il periscopio, ma non ci era riuscito
a causa del mare mosso. Il sommergibile si era allora diretto verso Milazzo,
per vedere se vi fossero dei bersagli più paganti in prossimità di quel porto,
ma non ne aveva trovato nessuno; allora era tornato ad avvicinarsi al
porticciolo di Lipari con l’intenzione di tentare d’intercettare la nave
avvistata qualche ora prima, se fosse ripassata.
Data la sua colorazione mimetica e la presenza dei due cannoni a prua
ed a poppa, il comandante Turner aveva identificato il Santamarina – del quale stimava correttamente la stazza in circa
800 tsl – come “una piccola nave ausiliaria” (a small naval auxiliary), probabilmente ricavata dalla
trasformazione di una nave mercantile o di un panfilo, di aspetto non dissimile
da diverse navi scorta ausiliarie della Royal Navy. In effetti, l’aspetto del Santamarina non era molto diverso da
quello di tanti piroscafetti che la Regia Marina aveva requisito per
trasformarli in unità ausiliarie per pilotaggio e scorta foranea: ruolo cui
erano stati destinati anche i suoi “colleghi” Eolo e Luigi Rizzo. Il
rapporto di missione dell’Unrivalled
recita: “07:00 - Avvistata piccola nave
ausiliaria di 800 tonnellate. Avvicinati e pronti ad attaccare. Non lanciati
siluri in quanto sembrava improbabile che essi andassero diritti a 6 o 8
piedi a causa della corrente e dell'onda lunga. Il sottomarino era a
90 barra di timone, sulla fiancata più larga della nave, a 11 nodi nel
raggio di 1200 yards, in navigazione verso Lipari. La nave nemica aveva due
alberi, un basso fumaiolo e un cannone situato a prua ed era chiaramente una
nave mercantile o uno yacht. Essa non era diversa da alcune navi del
gruppo di scorta britannico. La nave era mimetizzata. Si tentò di fare una
fotografia col periscopio ma l'onda avrebbe potuto rovinarla. Il bersaglio non
fu considerato un bersaglio giustificabile dato che le possibilità di una
corretta traiettoria sembravano remote. Ci si propose di prendere in
considerazione l'ancoraggio e il porto di Milazzo, nel caso che al riparo della
penisola fossero presenti bersagli più proficui e, ciò risultato vano, si
procedette verso l'ancoraggio di Lipari nella speranza di intercettare la nave
ausiliaria. L'ancoraggio di Lipari avrebbe anche formato un eccellente riparo e
sembrava possibile che la nave stesse lì per 4 ore”.
L’Unrivalled aveva dunque
ripreso ad ispezionare le acque tra Lipari, Salina e Vulcano in attesa del Santamarina: attesa che fu premata alle
15.24 quando, mentre il sommergibile era momentaneamente sceso a 21 metri di
profondità, venne captato all’idrofono il rumore di una nave in avvicinamento.
Tornato a quota periscopica, l’Unrivalled
avvistò il piccolo bastimento, ora di ritorno come aveva previsto (“Udito l'effetto sonoro dell'idrofono mentre
si stava facendo una veloce ricognizione a 70 piedi. Venuti a quota periscopio
e avvistata la nave ausiliaria incontrata durante la mattinata. Le condizioni
meteorologiche erano migliorate e rimanevano solo delle onde trascurabili.
Il nemico era diretto a Milazzo”).
Apprezzando correttamente che la nave fosse diretta a Milazzo, Turner
decise che questa volta un attacco sarebbe stato possibile ed opportuno, dato
che il mare si era frattanto calmato ed un lancio avrebbe avuto maggiori
probabilità di successo. Manovrò dunque per portarsi in posizione di lancio, ed
alle 15.40 – in posizione 38°25’ N e 15°03’ E – l’Unrivalled lanciò tre siluri contro il Santamarina, che in quel momento si trovava a circa 6-6,5 miglia
per 131° (cioè a sudest) dal porto di Lipari (altre fonti affermano che la nave
si trovava a 7 o 9 miglia da Lipari, oppure a soli 300-400 metri da Punta
Bandiera, nella frazione di Gelso, ed in prossimità del faro di Vulcano; o
ancora a 300-400 metri da Punta Luccia, sempre sulla costa di Vulcano, o a due
miglia da quest’ultima isola), da una distanza di 915 metri. Il piroscafo aveva
percorso sei o sette miglia dalla partenza.
Dopo una breve corsa, due dei siluri colpirono il Santamarina a prua, sul lato sinistro, tra la stiva e la plancia.
L’effetto della duplice, contemporanea esplosione – tale che i più, a bordo,
ebbero l’impressione che la nave fosse stata colpita da un unico siluro – fu
devastante per quella piccola nave: il ponte di comando fu distrutto e lanciato
in aria, e lo scafo si spezzò in due, iniziando subito ad affondare. Decine di
persone, che si trovavano nei locali in prossimità del punto d’impatto dei
siluri, furono uccise sul colpo o gravemente ferite; altre rimasero
intrappolate nelle cabine dalle porte rimaste deformate ed incastrate per
effetto dell’esplosione.
La tragedia si consumò in pochi minuti, forse anche meno (divesi
superstiti affermarono poi che la nave affondò in una manciata di secondi): i
due tronconi del Santamarina rimasero
in affioramento per qualche attimo, con l’elica che ancora girava, poi
scomparvero per sempre sotto la superficie, verso le 15.45 (o 15.48; "Navi
mercantili perdute" parla delle 16.07, ma sembra probabile un errore) di
quel funesto 9 maggio 1943.
Il terzo siluro lanciato contro l’Unrivalled
esplose contro la costa di Vulcano.
Il fuochista Antonio Arcadi espresse in seguito l’opinione che il
comandante, gli ufficiali ed i sottufficiali della scorta militare fossero
saltati in aria con il ponte di comando, e che lo stesso fosse accaduto ai
passeggeri di prima classe nel salone, pur non avendo potuto vedere di persona
cosa fosse accaduto. Anche il suo collega Gaetano Foti era della stessa
opinione (“…ritengo che gran parte degli
scomparsi siano stati uccisi dal forte scoppio, come è evidente per quelli sul
ponte di comando e nel salone di prima classe i quali sono stati lanciati in
aria”). Il Santamarina, secondo
Foti, disponeva di cinture di salvataggio sufficienti per tutti i passeggeri e
l’equipaggio, ma non tutti le indossavano al momento del disastro; considerata
la quantità di rottami e zattere rimaste a galla dopo l’affondamento, comunque,
era probabile che la maggior parte dei dispersi fosse stata uccisa
dall’esplosione od affondata con la nave. Anche il sottonocchiere Giuseppe
Federico affermò che vi fossero salvagente a sufficienza per tutti, ma che
pochi li indossassero.
Il capo fuochista Angelo Natoli dichiarò di ritenere “che molti passeggeri siano rimasti a bordo
vittime della esplosione come pure il personale di macchina, che si trovava di guardia,
quelli che si trovavano nei locali a basso a prora e tutti quelli che si
trovavano sul ponte di comando, capitano compreso”; per quanto riguardava i
giubbotti di salvataggio, questi erano in numero sufficiente anche per un
numero di persone maggiore di quello che si trovava sul Santamarina al momento dell’affondamento, ed erano disposti su
tutti i ponti in modo da essere a portata di mano di chiunque in caso di
necessità, anche se pochissimi li indossavano al momento del disastro. Anche il
numero di zattere di salvataggio era sufficiente, “e difatti con la esplosione queste sono state lanciate in mare
assolvendo in pieno al loro scopo”.
Il piccolo di camera Antonio Scarmato, dopo che la nave ebbe lasciato
il porto, si recò nella cabina che fungeva da ufficio postale per provvedere
alla timbratura delle lettere in partenza, uno dei compiti di sua competenza.
Scarmato aveva diciotto anni, navigava sul Santamarina
da quando ne aveva sedici: si era imbarcato il 1° settembre 1941. Nell’ufficio
postale trovò il primo ufficiale Gennaro Di Meglio, che poco dopo lasciò il
locale per andare a radersi nella sua cabina, situata proprio di fronte ad
esso.
Terminata la timbratura e data una sistemata al locale, Scarmato si era
appisolato con la testa sullo scrittoio, quando all’improvviso la porta – che
era socchiusa, trattenuta da un gancio – sbatté violentemente, incastrandosi e
svegliandolo. Scarmato sentì delle grida, vide della polvere di carbone
nell’aria e notò che la nave stava sbandando; si gettò contro la porta per
aprirla, ma senza risultato. Uscì allora passando per l’oblò, che dava sul
boccaporto verso poppavia.
Il marinaio Antonino Foti della Regia Marina, in servizio al cannone di
prua insieme ad alcuni compagni (tra cui il marinaio Antonio Bacchi), notò un
fulmineo movimento in plancia ed ebbe l’impressione che qualcuno là sopra fosse
corso verso sinistra: prima di poter capire cosa stesse accadendo, vide il
ponte di comando saltare in aria e riconobbe distintamente il secondo capo
Gallazzi che veniva lanciato violentemente all’esterno. Com’era buona norma
fare prima di abbandonare una nave, Foti fece per togliersi le scarpe, ma prima
di poter completare questa pur rapida operazione si ritrovò con l’acqua alla
gola: tanto rapidamente il Santamarina
Salina stava andando a fondo. Insieme ai compagni, allora, si mise a
nuotare verso alcuni rottami galleggianti.
L’ingrassatore Antonino Sidoti, nato a Tripoli nel 1914 e residente a
Milazzo, al momento dell’attacco non era di turno e stava pertanto riposando in
cuccetta, nel locale fuochisti (situato a poppa, tra la saletta di terza classe
ed il servomotore del timone). Con lui, nel locale, c’era anche il fuochista
Antonio Arcadi: seduto ad un banco, si apprestava a montare di guardia in caldaia
per il suo turno, che sarebbe iniziato alle quattro del pomeriggio. Mancavano
circa venti minuti a quell’ora (Arcadi, nel suo interrogatorio, fu ancora più
preciso: affermò che mancavano 17 minuti alle 16), quando i due uomini
avvertirono una fortissima esplosione: Sidoti saltò giù dalla corretta ed
insieme ad Arcadi corse alla porta, ma la trovarono bloccata dall’esplosione.
Dovettero forzare per aprirla; non appena furono fuori, Sidoti si buttò in mare
con indosso maglia e calzoni, dopo di che iniziò disperatamente a nuotare per
allontanarsi dalla nave in affondamento. Arcadi fece lo stesso.
Il marinaio Giovanni Re, nativo proprio del paese da cui il Santamarina Salina prendeva il nome, si
trovava nella cabina del radiotelegrafista Paolo Cuzzocrea – situata sul lato
di dritta – insieme a questi ed al capo fuochista Angelo Natoli al momento del
siluramento: Re stava discutendo con Cuzzocrea, quando sentì una tremenda
esplosione e cadde a terra coperto da rottami, mentre l’aria intorno a lui si
riempiva di pulviscolo di carbone. Rimessosi in piedi, cercò un salvagente
senza riuscire a trovarlo; fuori dalla cabina vide il radiotelegrafista
Cuzzocrea con un salvagente in mano, e subito dopo si ritrovò in mare. Re
giudicò in seguito che i siluri avessero colpito la nave sul lato sinistro, tra
la stiva n. 1 e la sala macchine, quasi esattamente sotto la plancia.
Angelo Natoli, il capo fuochista, era salito in coperta dopo aver
rassettato le manovre in sala macchine e stava discorrendo con Re e Cuzzocrea
da qualche minuto sulla porta della cabina quando si verificò il disastro.
Dichiarò in seguito che sulle prime fu impressione generale che la nave fosse
stata colpita da due siluri, pur ritenendo in seguito che “ripensandoci, è più probabile che sia stato lanciato un solo siluro”
(in realtà, secondo il giornale di bordo dell’Unrivalled, i siluri a segno furono davvero due). L’esplosione si
verificò sul lato sinistro, sotto la plancia e più precisamente nella carbonaia
– infatti Natoli, come diversi altri naufraghi, fu avvolto da un pulviscolo
nero, ossia polvere di carbone, in seguito al siluramento – e Natoli vide il
ponte di comando saltare in aria insieme al comandante ed al personale che vi
si trovava di guardia: vide rottami, carbone ed anche un uomo cadere in mare
dopo essere stati lanciati in aria.
Il carbonaio Francesco Quadara, anch’egli nato e residente a Santa
Marina Salina, era imbarcato sul piroscafo da poco più di un mese: era entrato
a far parte dell’equipaggio il 1° aprile 1943. Poco prima del disastro, Quadara
era di guardia in caldaia; appena pochi minuti prima del siluramento, aveva
chiesto ed ottenuto il permesso di poter andare al lavandino situato sul lato
sinistro, vicino alla scaletta della discesa della caldaia, e si trovava
appunto lì quando i siluri colpirono. Quadara cercò subito di uscire
all’aperto, ma la porta era bloccata: allora si gettò in mare attraverso
l’oblò. Vide poi il Santamarina Salina
che affondava di prua, con la poppa sollevata verso il cielo e l’elica ancora
in moto.
Il giovanotto di coperta Antonino Foti (omonimo del marinaio della
Regia Marina menzionato più sopra) si trovava appoggiato al verricello di poppa
quando – verso le 15.45, ritenne – sentì un’esplosione sul lato sinistro della
nave, e fu spinto verso la paratia ed investito da una nube di polvere di
carbone; vedendo dei rottami che erano stati lanciati in mare dallo scoppio, si
gettò in acqua. Sentì delle grida e delle richieste di aiuto, ma nella
confusione non vide chi fosse.
Il fuochista Gaetano Foti, che come Francesco Quadara era imbarcato sul
Santamarina dal 1° aprile precedente,
era seduto sul boccaporto poppiero al momento del siluramento: fu gettato in
mare dall’onda sollevata dall’esplosione dei siluri.
Il sottonocchiere della Regia Marina Giuseppe Federico ed il marinaio
cannoniere Concetto Miceli erano in servizio al cannone di poppa: sentirono una
forte esplosione sul lato sinistro, sotto la plancia, e dato che la nave stava
affondando rapidamente si gettarono in mare.
Lo studente diciannovenne Antonino Biviano, di Lipari, si trovava sul
ponte insieme agli amici Domenico Barca ed Angelino Mazza, anch’essi di Lipari
ma più grandi di lui (Barca aveva 27 anni, Mazza 25) e pertanto sotto le armi
(Barca, arruolato come marinaio, prestava in servizio al Deposito della Regia Marina
di Messina; Mazza, aviere scelto, era assegnato all’aeroporto 514): i tre erano
seduti su un banchetto quando furono investiti dall’esplosione del siluri.
Biviano, seriamente ferito al viso e rimasto momentaneamente tramortito,
riavendosi vide che Barca era morto; Mazza, invece, si era già gettato in mare.
Biviano fece lo stesso.
Angelo Natoli corse verso la lancia di salvataggio, con l’intento di
tagliarne le drizze, ma ben presto si rese conto che era uno sforzo inutile:
l’acqua aveva già raggiunto la lancia, il Santamarina
era spezzato quasi esattamente al centro e stava rapidamente affondando con la
prora e la poppa sollevate, l’elica ancora in moto. Allora si tuffò in mare,
aggrappandosi dapprima ad un pezzo di legno e successivamente ad una zattera
emersa nei pressi dopo l’affondamento.
Sbucato sotto la scaletta d’accesso al ponte di prima classe, Antonio
Scarmato corse nelle cucine per cercare lo zio Giuseppe Sacchettino, che sul Santamarina lavorava come cuoco.
Passando nel corridoio di sinistra notò il direttore di macchina, Emilio
Ortese, appoggiato alla paratia vicino alla porta che immetteva nel locale
macchine; riflettendoci in seguito, l’atteggiamento di Ortese gli parve strano,
e pensò che potesse avere subito uno shock nervoso. Giunto nelle cucine,
Scarmato trovò lo zio che giaceva a terra, insanguinato ed inerte: lo toccò col
piede, ma non ci fu alcun segno di vita. La nave stava affondando rapidamente,
spezzata al centro, ed ormai non c’era più tempo per fare niente: Scarmato
corse all’aperto – ricordò poi di non aver più visto Ortese appoggiato alla
paratia dov’era prima – e si gettò in mare. Non era trascorsa che una manciata
di secondi dal siluramento.
Emilio Ortese, direttore di macchina del Santamarina Salina, insieme alla moglie Caterina (da “Con il favore di Eolo” di Vincenzo Cincotta) |
In acqua il giovanotto di coperta Domenico Giunta, che si era tuffato
subito prima di Scarmato, lo prese per un braccio e lo trascinò verso uno
zatterone che galleggiava nei pressi, forse gettato in mare dall’esplosione.
Dallo zatterone, Scarmato vide il Santamarina
Salina affondare spezzato in due: la poppa era protesa al cielo, l’elica
stava ancora girando. Altri naufraghi raggiunsero lo zatterone e salirono a
bordo: il giovanotto di coperta Antonino Foti ed il caporale di macchina Angelo
Natoli; poi una camicia nera, una guardia di finanza e due civili, uno dei
quali con un braccio rotto; per ultimo un marinaio della Regia Marina, facente
parte dell’equipaggio militare. Antonino Foti aiutò la guardia di finanza ad
aggrapparsi allo zatterone.
Da parte sua, Angelo Natoli scrisse nel suo rapporto di essere stato il
primo a salire sulla zattera, venendo poi raggiunto da Scarmato, Foti, una
guardia di finanza, un milite, due passeggeri ed un sottocapo militarizzato
facente parte dell’equipaggio dell’"antimine" M. 5 di base a Lipari. Dopo circa venti minuti, infine, raggiunse
la zattera anche il marinaio Concetto Miceli, facente parte della scorta armata
della Regia Marina.
Una volta in acqua, Antonino Biviano vide il Santamarina affondare spezzato in due, trascinando nel risucchio
diversi naufraghi impossibilitati a mettersi in salvo; vide «Domenico detto “u curtu”» (non è chiaro
se si trattasse del membro dell’equipaggio Domenico Giunta o del passeggero
Domenico Martino) che, paralizzato dal panico, rimaneva avvinghiato all’asta
della bandiera del piroscafo mentre questo affondava sotto i suoi piedi. Poco
prima che la nave s’inabissasse del tutto, questi riuscì a riaversi e ad
afferrare un banchetto di legno che galleggiava nei pressi, saltandovi a bordo
e mettendosi in salvo. Biviano, intanto, salì con altri superstiti su di una
zattera sovraffollata.
Antonino Sidoti, voltatosi a guardare pochi secondi dopo essersi
tuffato in acqua, non vide più il Santamarina
Salina: soltanto fumo, tutt’attorno a sé, e naufraghi che chiedevano aiuto.
L’acqua era nera per la polverina. Sidoti raggiunse a nuoto uno zatterone con
tre persone a bordo; guardando intorno, vide altri naufraghi aggrappati a
rottami galleggianti. Sfinito, Sidoti si sdraiò supino sulla zattera; iniziò a
sentire brividi di freddo, ma ad un tratto un altro naufrago lo scosse e gli
disse “Coraggio, viene un dragamine”.
Una volta in acqua, Giovanni Re si aggrappò ad un salvagente anulare
che galleggiava nei pressi; poi raggiunse una zattera e vi si arrampicò a
bordo. Sentiva le grida degli altri naufraghi, ma non poteva fare nulla per
aiutarli, sia per le sue condizioni fisiche che perché la corrente stava
rapidamente disperdendo i superstiti. Un poco per volta, altri naufraghi
raggiunsero la zattera: nove in tutto; Re prese i remi in dotazione alla
zattera ed insieme agli altri occupanti iniziò a remare verso la spiaggia di
Vulcano.
A terra, a Lipari, gli isolani assistettero con sconcerto alla
tragedia: un liparese ricordò poi di aver pensato, sentendo l’esplosione, “che l’isola fosse scoppiata”. A
Pianoconte Maria Fonti, che all’epoca aveva dieci anni, era seduta in un campo
a guardare il mare, mentre i genitori tagliavano l’erba, quando vide
un’esplosione là dov’era stato il Santamarina.
Tutti capirono subito cos’era successo, e sua madre (che si chiamava anch’essa
Maria) esclamò disperata “C’era mio
fratello là!” (Domenico Barca, rimasto ucciso nel siluramento).
Gli abitanti dell’isola accorsero sulla spiaggia per vedere cosa fosse
successo e cercare di organizzare dei soccorsi: mentre prendevano il mare
alcune piccole unità della Regia Marina, nel porticciolo di Marina Corta una
nutrita folla si affrettò a spingere in mare barche ed a cercare coperte e
medicine; gli improvvisati soccorritori si diressero verso il punto in cui era
affondato il piroscafo, i più a remi, qualcuno con barche a motore. Scrive un
articolo di un giornale locale: “Rimbombano
ancora oggi, per chi allora era presente, nelle orecchie, fanno triste eco al
cuore, le grida strazianti, le implorazioni disperate di aiuto da parte della
marea di gente che immediatamente affollò Marina Corta; erano lagrime di madri,
di spose, di figli, di amici, di parenti e conoscenti dell’ equipaggio e dei
passeggeri che ignari e innocenti, in quel giorno primaverile, incontrarono la
morte tra i flutti di questo nostro mare. (…) correva notizia del siluramento di un’imbarcazione che si era recata
per prestare soccorso, in pochi si salvarono [in realtà nessuno dei mezzi
di soccorso fu colpito, nda], e
cominciarono a serpeggiare i primi nomi di coloro che si erano visti partire,
di coloro che fino all’ultimo momento si sperava di poter salvare, di coloro
che si sono visti trascinare giù nei gorghi di una mare amico ma in quel
momento terribilmente crudo e famelico, allora Lipari capì davvero tutta l’
atrocità della guerra, fu un trauma, una presa di coscienza sulla tremeda
realtà”.
Nel punto in cui si era inabissato il Santamarina galleggiavano rottami, zattere e naufraghi; il mare era
ricoperto dalla polvere di carbone. I naufraghi rimasti illesi si prodigarono
per aiutare i feriti e quelli che non sapevano nuotare; tra di essi si distinse
la passeggera trentaduenne Assunta Poma, unica donna superstite, che aiutò
alcune persone in difficoltà: buona nuotatrice, rimasta illesa, raggiunse a più
riprese alcuni feriti che stentavano a tenersi a galla e li aiutò a raggiungere
dei rottami galleggianti, cui questi si aggrapparono, rincuorandoli poi fino
all’arrivo dei soccorsi.
Il sottonocchiere Giuseppe Federico testimoniò in seguito che “a mare subito dopo l’incidente [sic] vi è stata della confusione; gente che
gridava aiuto e persone che si lamentavano. Per quello che è stato possibile
molti si sono aiutati a vicenda, altri sono stati immediatamente sopraffatti
prima che si potesse organizzare di concerto un aiuto efficace”; il capo
fuochista Angelo Natoli affermò nel suo rapporto che il Santamarina era affondato in meno di un minuto e che molte persone
erano state uccise dall’esplosione dei siluri, ma che “in mare, subito dopo la scomparsa del piroscafo, molta gente inesperta
del nuoto chiedeva aiuto e parecchi di questi non avendo avuto la prontezza o
la possibilità di aggrapparsi ad un qualsiasi relitto, dopo pochi istanti è
scomparsa”. Stranamente, in una precedente deposizione lo stesso Natoli
aveva invece dichiarato che “con la
esplosione sono stati lanciati in mare relitti, zattere e salvagenti in modo
che chiunque fosse in condizioni fisicamente buone avrebbe potuto trovare un
mezzo di sostentamento. In acqua immediatamente si è verificato panico e si
sono sentite grida di soccorso, ma quando si è potuto pensare a dare uno
sguardo calmo intorno si è notato che i superstiti erano già tutti sistemati su
pezzi di tavola e zattere. Qualcuno inesperto del nuoto è stato soccorso da
quelli che si trovavano a portata di mano; qualcuno penso sia potuto affondare
prima che si potesse pensare ad aiutarlo efficacemente. Una leggera corrente ci
aveva sparpagliati in modo che mi è stato difficile poter cogliere altri
particolari”.
Dopo alcuni minuti, quando le acque si furono calmate e sul luogo in
cui era stato il piroscafo non c’erano più che rottami, i naufraghi sulla
zattera di Antonio Scarmato videro il periscopio di un sommergibile che
emergeva lentamente dal mare, circondato da bolle d’aria, spostandosi
lentamente verso sud (in direzione di Milazzo): temettero che il sommergibile
stesse emergendo per mitragliarli, ma il periscopio tornò ad immergersi e
scomparve. Angelo Natoli affermò poi nel suo rapporto di aver visto non solo il
periscopio, ma anche parte della torretta del sommergibile, con anche la bandiera
(pur non essendo riuscito a riconoscerla); giudicò che la distanza tra la
zattera e l’unità nemica fosse di circa mille metri, e che l’apparizione si
fosse verificata 5-10 minuti dopo l’affondamento. Anche Natoli parla del timore
di un mitragliamento: “appena avvistato
il sommergibile la nostra preoccupazione è stata quella di ripararci da un
eventuale mitragliamento riparandoci dietro la zattera davanti alla quale
avevamo posto un barile”.
Gli occupanti della zattera presero a remare verso terra con un pezzo
di tavola; dopo circa venti minuti vennero avvistati un MAS ed un dragamine che
accorrevano a tutta forza dalla direzione di Lipari. Antonino Foti parlò nel
suo interrogatorio di un motoscafo seguito da un motopeschereccio, ed Angelo
Natoli precisò che i mezzi di salvataggio erano il motoscafo M. 3, più veloce, che precedeva in testa
(evidentemente l’unità che Scarmato identificò come un “MAS”), e l’"antimine"
M. 5, che lo seguiva. Si trattava di
due piccole unità ausiliarie impiegate come affondamine: l’M. 3 era il Santo Stefano,
un motopeschereccio requisito di 26 tsl, e l’M. 5 la Santa Teresa, una
goletta da pesca di 20 tsl anch’essa requisita.
Ricomparve anche il periscopio, più lontano, anch’esso in direzione di
Lipari: i naufraghi sulla zattera di Natoli si avvidero del rischio che il
sommergibile potesse attaccare le unità soccorritrici, ed uno di essi si alzò
in piedi e prese a gridare “il
sommergibile, il sommergibile” per avvertire i soccorritori. Il dragamine
(cioè l’M. 5 Santa Teresa) accostò allora verso terra, mentre il “MAS” (ossia l’M. 3 Santo
Stefano) si dirigeva proprio verso il periscopio; una grande colonna
d’acqua si levò sotto la costa di Vulcano. Il sommergibile aveva lanciato un
siluro contro i mezzi di salvataggio, senza colpire nulla.
Anche Antonino Foti vide distintamente il periscopio del sommergibile –
gli parve anche di aver notato, ad un certo punto, un lampo bianco sulla sua
estremità –, poi immersosi, e la colonna d’acqua sotto la costa di Vulcano.
Angelo Natoli descrisse quanto accadde in modo più particolareggiato: a
differenza degli altri naufraghi, affermò di nuovo che non fosse visibile
soltanto il periscopio, bensì la torretta del sommergibile; ed aggiunse che non
appena il motoscafo (cioè l’M. 3) fu
giunto a distanza di lancio, vide un siluro partire e, al tempo stesso, il
sommergibile che si immergeva. Il Santo
Stefano avvistò il siluro, compì un ampio giro ad alta velocità e mise la
prua sul sommergibile; il siluro lo scapolò ed andò ad esplodere contro la costa
di Vulcano.
Poco dopo, le due unità soccorritrici raggiunsero la zattera e ne
recuperarono rapidamente gli occupanti; dopo circa un quarto d’ora
sopraggiunsero anche due motosiluranti tedesche, provenienti da Milazzo, e
degli idrovolanti. Angelo Natoli precisò che gli occupanti della sua zattera
furono soccorsi dall’M. 3 Santo Stefano, avvicinatosi con una
manovra a tutta forza, mentre l’M. 5 Santa Teresa si avvicinò da sotto costa
e recuperò tutti gli altri naufraghi. Quando il salvataggio era quasi giunto
alla fine sopraggiunsero da Milazzo due piccole unità tedesche, che Natoli
identificò come cacciasommergibili, e successivamente anche tre velivoli della
Ricognizione Marittima e le motobarche V.
6 e V. 24 della Guardia di
Finanza.
Anche Giovanni Re, sulla sua zattera, avvistò dopo circa mezz’ora due
mezzi di salvataggio in lontananza, verso Lipari; dopo averne informato gli
altri naufraghi – Angelo Natoli, che si trovava su un’altra zattera, disse poi
che Re fu il primo ad avvistare i soccorsi e rincuorò i naufraghi annunciando
di aver avvistato dei mezzi di salvataggio in arrivo da Lipari a tutta forza –,
si strappò la camicia e la appese ad una gaffa, per usarla come segnale per
richiamare l’attenzione dei soccorritori. Mentre i mezzi di salvataggio si
avvicinavano, alcuni altri uomini sulla zattera avvistarono il periscopio di un
sommergibile poco distante: come sulla zattera di Scarmato e Natoli, anche qui
si diffuse il timore che l’unità nemica volesse emergere per mitragliare i
naufraghi, tanto che vi furono dei momenti di panico. Anche questi naufraghi
videro, quando una delle due unità soccorritrici era ormai vicina, una colonna
d’acqua seguita da un’esplosione sulla costa di Vulcano; anche loro pensarono
che il sommergibile avesse lanciato contro i mezzi di salvataggio, che infatti
accostarono rapidamente e si allontanarono per mettersi al sicuro. Dopo circa
un quarto d’ora apparvero altre due mezzi di salvataggio, provenienti da Milazzo,
ed alcuni idrovolanti, e gli occupanti della zattera furono tratti in salvo.
Antonio Arcadi, che dopo essersi gettato in mare si era dapprima
aggrappato ad un barile per poi passare su un grosso zatterone, vide anche lui
“un’immensa colonna d’acqua” sollevata dall’esplosione di un siluro, lanciato
contro i mezzi di soccorso, contro la costa di Vulcano. Il dragamine diresse
verso quell’isola, mentre il motoscafo si diresse contro il sommergibile; poco
dopo Arcadi e compagni furono raggiunti e tratti in salvo dai mezzi di
soccorso.
Antonino Sidoti, sulla sua zattera, vide da lontano l’albero del
dragamine che si stava avvicinando; dopo qualche minuto vide tutto il
dragamine, che si dirigeva verso la zattera provenendo da sottocosta, ed anche
un motoscafo più verso il largo. Anche lui vide una grande colonna d’acqua alzarsi
sotto la costa di Vulcano, ed anche lui pensò ad un siluro lanciato contro i
mezzi di salvataggio. Subito dopo, la zattera venne raggiunta da uno di tali
mezzi, che prese a bordo tutti gli occupanti.
Anche la storia del marinaio della Regia Marina Antonino Foti coincide
con quella degli altri naufraghi. Raggiunta una zattera insieme a due compagni,
cercò di raggiungere la costa di Vulcano, e ad un certo punto vide un dragamine
ed un motoscafo che si dirigevano verso il luogo dell’affondamento; poco dopo,
i tre uomini avvistarono il periscopio del sommergibile che si muoveva
lentamente nella zona del disastro – ad una cinquantina di metri di distanza,
sulla dritta – ed anche loro pensarono che il battello nemico volesse emergere
per mitragliarli (è interessante notare questo sembrasse un timore
generalizzato tra i naufraghi). Il sommergibile lanciò un siluro contro i mezzi
di soccorso, ed il motoscafo, che intanto era giunto vicino alla zattera di
Foti, lo evitò con la manovra – lo stesso fece il dragamine – e diresse a tutta
forza verso il sommergibile. Il siluro esplose contro la costa di Vulcano,
sollevando un’altissima colonna d’acqua. Foti e i due compagni furono poco dopo
tratti in salvo dal motoscafo, che li sbarcò a Lipari.
Il sottonocchiere Giuseppe Federico, che aveva raggiunto uno zatterone
sul quale si trovava una decina di persone, avvistò il motoscafo ed il
dragamine in arrivo da Lipari dopo circa mezz’ora; anche lui, quando le due
unità furono giunte a poca distanza, vide il dragamine accostare verso Vulcano
ed il motoscafo verso il largo e poi l’esplosione di un siluro, lanciato dal
sommergibile contro di essi, sotto la costa di Vulcano. Il motoscafo si portò
nel punto in cui era scomparso il sommergibile, dopo di che tornò verso la
zattera e diede inizio al recupero dei naufraghi. Dopo un quarto d’ora
sopraggiunsero anche due motosiluranti tedesche ed alcuni idrovolanti.
Anche il racconto del passeggero Antonino Biviano coincide con quello
degli altri naufraghi: dopo qualche tempo vide arrivare due imbarcazioni di
soccorso, una motovedetta ed un’unità della Questura, contro le quali il
sommergibile lanciò due siluri che le mancarono ma le obbligarono ad
allontanarsi. Poco dopo, in seguito all’avvistamento di tre motosiluranti
tedesche, il sommergibile se ne andò ed i naufraghi vennero tratti in salvo.
Il comandante dell’Unrivalled,
quando i naufraghi avevano avvistato il suo periscopio, aveva davvero pensato
di avvicinarsi ai superstiti del Santamarina,
ma non per mitragliarli, come tanti avevano temuto: al contrario, Turner aveva
inizialmente pensato di recuperare i naufraghi. Tuttavia, vedendo il numero di
persone in mare e considerando che c’erano cinque imbarcazioni ancora a galla,
che la costa distava solo un paio di miglia e che mare e vento erano calmi, il
comandante britannico aveva finito col ripensarci (“Avvicinati con l'intenzione di raccogliere i superstiti ma vi erano 5
scialuppe a galla e tanta gente in acqua. Dato che vi era calma di mare e
di vento e solo circa 2 miglia da terra, fu deciso di non emergere per
soccorrere i superstiti”). Poi, alle 16.18, aveva avvistato una piccola goletta
a due alberi, uscita da Lipari con a rimorchio altre due imbarcazioni: tutte e
tre battevano la bandiera della Regia Marina. Si trattava di Santa Teresa, Santo Stefano ed una terza unità non identificata (una fonte
ipotizza che una delle unità potesse essere la goletta Unione, mentre un’altra parla di un motoscafo della polizia
marittima di stanza a Pignataro, nell’isola di Lipari, che avrebbe evitato il
siluro grazie al suo ridotto pescaggio) che andavano in soccorso dei naufraghi
del Santamarina; Turner manovrò per
avvicinarsi ai nuovi arrivati, con l’intenzione di attaccarli, ed alle 16.42
lanciò il suo ultimo siluro contro la goletta da 915 metri di distanza, in
posizione 38°25’ N e 15°02’ E. La goletta avvistò la scia ed evitò con una
pronta accostata verso l’Unrivalled
il siluro, che andò ad esplodere contro la costa di Vulcano, come visto anche
da molti naufraghi; poi iniziò a risalire la scia per dare la caccia al
sommergibile. A questo punto, essendo rimasto senza più siluri (per altra
fonte, ne avrebbe invece avuto a bordo ancora uno), l’Unrivalled si ritirò verso nord e nella notte ricevette l’ordine di
rientrare a Malta, dove giunse il 13 maggio ponendo fine alla sua undicesima
missione di guerra (la nona in Mediterraneo).
Su 115 persone imbarcate sul Santamarina,
62 avevano perso la vita: tredici membri dell’equipaggio civile, tra cui il
comandante Basile e tutti gli ufficiali; tre membri dell’equipaggio militare,
tra cui entrambi i sottufficiali che ne facevano parte; e 46 passeggeri, di cui
16 erano militari e 30 civili. Soltanto una salma poté essere recuperata,
quella della passeggera Angela Liberatore: le altre riposano ancor oggi sul
fondo del Tirreno. La loro morte presunta venne dichiarata da una sezione del
regio tribunale di Messina, presieduta da Stefano Blandaleone e composta dai
giudici Nicola Giovambattista e Vincenzo Ciminato.
I mezzi di soccorso salvarono dodici membri dell’equipaggio civile, 14
dell’equipaggio militare e 27 passeggeri, di cui 14 civili e 13 militari, che
furono sbarcati a Marina Corta e qui ricevettero i primi soccorsi dalla
popolazione locale. Molti liparesi erano accorsi nel porticciolo per cercare
notizie di parenti e amici, partiti sul Santamarina
appena un paio d’ore prima: i più non avrebbero ricevuto buone notizie.
La maggior parte dei naufraghi vennero recuperati dall’M. 3 e dall’M. 5, ma risulterebbe che qualche superstite sia stato tratto in
salvo anche dalle due motovedette tedesche giunte sul posto più tardi; due
membri dell’equipaggio, un civile ed un militare, furono raccoli da una motosilurante
tedesca e portati a Milazzo, ove vennero ricoverati nel locale Ospedale Civile
per lievi contusioni.
Le vittime:
Stefano Acunto,
rappresentante di commercio, 33 anni, da Lipari
Michelangelo
Alfonsetti, marinaio (equipaggio civile), 55 anni, da Scilla
Giuseppe Andaloro,
carbonaio (equipaggio civile), 47 anni, da Lipari
Domenico Barca,
marinaio di Maridepo Messina, 27 anni, da Lipari
Giovanni Basile,
civile, 28 anni, da Lipari
Onofrio Basile,
comandante (equipaggio civile), 54 anni, da Milazzo
Giovanni Beninati,
marinaio cannoniere di Marina Bari, 24 anni, da Lipari
Vincenzo Bitto,
cameriere (equipaggio civile), 58 anni, da Milazzo
Rosina Biviano,
casalinga, 20 anni, da Lipari
Bartolomeo Bonino,
lavoratore portuale, 39 anni, da Lipari
Marino Buongiorno,
bottaio, 58 anni, da Santa Marina Salina
Domenico Calvo,
carpentiere (equipaggio civile), 52 anni, da Messina
Michele Casella,
civile, 16 anni, da Sant’Angelo in Brolo
Salvatore Casella,
carabiniere Battaglione Ausiliario Bagheria Palermo, 30 anni, da Lipari
Luigi Cassata,
civile, 27 anni, da Cumia Inferiore
Giuseppe Costa,
brigadiere dei Carabinieri della Stazione CC. RR. di Mosella, 43 anni, da
Lipari
Antonino Currò,
marinaio di Maridepo Messina, 21 anni, da Lipari
Iolanda Currò,
casalinga, 13 anni, da Lipari
Paolo Fortunato
Cuzzocrea, ufficiale radiotelegrafista (equipaggio civile), 46 anni, da Motta
San Giovanni
Alfonso
D’Alessandro, sottocapo radiotelegrafista del Semaforo di Salina, 25 anni, da
Napoli
Antonino D’Anieri,
caporale maggiore di Sanità – Ospedale di riserva di Camaro, 35 anni, da Lipari
Gennaro Di Meglio,
primo ufficiale (equipaggio civile), 49 anni, da Milazzo
Giuseppe Di Mento,
commerciante, 23 anni, da Spadafora
Natale Fiorentino,
marinaio cannoniere R. Marina (equipaggio militare), 26 anni, da Giovinazzo
Pasquale Florio,
marinaio (equipaggio civile), 33 anni, da Messina
Giuseppe Formica, marinaio
(equipaggio civile), 35 anni, da Messina
Vincenzo Foti,
fuochista (equipaggio civile), 55 anni, da Milazzo
Arnaldo Gallazzi,
secondo capo cannoniere R. Marina (equipaggio militare), 30 anni, da Milano
Clara Germanò,
civile, 36 anni, da Malfa
Edel Germanò,
casalinga, 33 anni, da Malfa
Lorenzo Gitto,
commerciante, 53 anni, da Milazzo
Giuseppe Greco,
venditore ambulante, 45 anni, da Spadafora
Francesco Imbesi,
civile, 63 anni, da Santa Lucia del Mela
Edoardo Leanza,
brigadiere dei Carabinieri della Stazione CC. RR. di Santa Marina Salina, 45
anni, da Santa Marina Salina
Angela Liberatore,
casalinga, 37 anni, da Lipari
Giacomo Maggiore,
notaio, 69 anni, da Lipari
Giuseppe Maiurana,
lavoratore, 41 anni, da Lipari
Tommaso Mannello,
sarto, 28 anni, da Lipari
Francesco
Mantello, milite Regia Guardia di Finanza – Brigata Finanza Lipari, 34 anni, da
Grammichele
Antonino Martinis,
camicia nera del Battaglione “Vespri” di Palermo, 40 anni, da Lipari
Giuseppe
Marturano, civile, 32 anni, da Lipari
Nicola Miano, sergente
al deposito della 6a Compagnia Fanteria Istruzioni di Palermo, 30
anni, da Malfa
Vincenzo Milani, secondo
ufficiale (equipaggio civile)
Rosario Mollica,
sarto, 25 anni, da Lipari
Felice Natoli,
aviere scelto dell’Aeroporto Chinisia di Trapani, 24 anni, da Santa Marina
Salina
Emilio Ortese,
direttore di macchina (equipaggio civile), 55 anni, da Milazzo
Sebastiano Pavone,
camicia nera 6a Legione DICAT/Distaccamento S. Agata Messina, 47
anni, da Lipari
Antonino Pentola
(o Pendola), civile, 23 anni, da Caprileone
Antonino Picone,
contadino, 16 anni, da Lipari
Giulia Pistoresi,
casalinga, 51 anni, da Lipari
Giuseppe Porretto,
capo cannoniere di seconda classe (equipaggio militare), 51 anni, da Palermo
Giuseppe Portelli,
camicia nera 6a Legione MILMART di Messina, 43 anni, da Lipari
Rosario Romagnolo,
commerciante, 20 anni, da Milazzo
Francesco Russo,
civile, 52 anni, da Lipari
Grazia Russo,
civile, 27 anni, da Lipari
Giuseppe
Sacchettino, cuoco (equipaggio civile), 58 anni, da Messina
Antonino Scuderi,
appuntato Regia Guardia di Finanza Mare – Brigata Finanza Lipari, 37 anni, da
Acicastello
Salvatore Sgrò,
civile, 47 anni, da Malfa
Antonino Spanò,
studente, 18 anni, da Lipari
Antonio
Stramandino, marinaio di Maridist Cagliari, 27 anni, da Lipari
Giuseppe Tauro,
civile, 57 anni, da Lipari
Luigi Vincenti,
civile, 21 anni, da Messina
Lo stato maggiore del Santamarina Salina: in uniforme, da sinistra, l’ufficiale marconista Sava (non presente nell’ultimo viaggio), il primo ufficiale di coperta Gennaro Di Meglio, il comandante Onofrio Basile, il secondo ufficiale di coperta Vincenzo Milani, il direttore di macchina Emilio Ortese ed il primo ufficiale di macchina Acunto (non presente nell’ultimo viaggio). L’uomo in borghese sulla destra è Carmelo Biscotto (Coll. A. Cervellera, via www.archiviostoricoeoliano.it) |
Tra l’equipaggio civile, oltre ai marittimi già menzionati più sopra,
sopravvissero il giovanotto di cucina Domenico Giunta, il marinaio Natale
Giuffrè, il fuochista Francesco Sava ed il nostromo Santi Cutroneo. Angelo Natoli
e Natale Giuffrè erano rimasti feriti, quest’ultimo piuttosto gravemente
(rimase ricoverato per qualche tempo presso l’Ospedale Civile di Lipari).
Natoli, in qualità di capo fuochista, risultò il sopravvissuto più alto in
grado, essendo scomparsi nell’affondamento tutti gli ufficiali e gli altri sottufficiali.
L’equipaggio militare fu quello che ebbe le perdite meno elevate
(probabilmente perché la maggior parte dei suoi componenti erano cannonieri
addetti ai due pezzi di bordo, i quali al momento del siluramento si trovavano
ai loro posti, cioè all’aperto e lontano dal punto dell’esplosione, il che
permise loro di gettarsi in mare indenni): su 17 componenti, quattordici furono
tratti in salvo, e cioè il sottocapo cannoniere Salvatore Miranda, il
cannoniere puntatore scelto Salvatore Vento, i cannonieri ordinari Italo
Atzori, Vincenzo Gullo e Concetto Miceli, il cannoniere artificieri Orlando
Gabbianelli, il sottonocchiere Giuseppe Federico ed i marinai Antonino Bacchi,
Giuseppe Macrì, Camillo Barbagallo, Antonino Natoli, Angelo Lo Surdo, Giuseppe
Gambino ed Antonino Maisano.
Tra i passeggeri civili, furono salvati i commercianti Carmelo Alacqua
e Gaetano Merrina, entrambi di Milazzo, e Bartolomeo Natoli, da Lipari (il
quale, coi suoi sessant’anni di età, fu il sopravvissuto più anziano); la
cameriera Assunta Poma, da Lipari, che fu l’unica donna superstite; i venditori
ambulanti Luigi Arcoraci, da Malfa, e Domenico Martino, da Lipari; il meccanico
Giuseppe Biviano, da Lipari; il muratore Mattero Carini, da Malfa; il pescatore
Orazio Greco, da Santa Maria della Scala; il venditore di tessuti Tommaso
Greco, da Milazzo; il diciottenne milazzese Salvatore Andolina, il
quarantaquattrenne senese Giuseppe Patanè ed il cinquantenne liparese Antonino
Tauro.
Tra i passeggeri militari, vennero tratti in salvo il sottocapo
cannoniere Francesco Ziino, del Distaccamento M. M. di Augusta; l’allievo
torpediniere Santo Lacoteta; il nocchiere Giuseppe Lo Schiavo, dell’Ufficio
Locale Marittimo di Sciacca; il bersagliere Giuseppe Bongiorno, del
Distaccamento di Bagheria della 6a Compagna Speciale Intendenza; la
camicia nera Bartolomeo Natoli; la guardia di Finanza del ramo mare Bernardo
Scarcella e le guardia di finanza Nicolò Schepis e Santo Presti, tutti della
Brigata Finanza di Lipari; l’aviere scelto Angelo Mazza, in servizio presso
l’aeroporto 514; il carabiniere Nicola De Santis; il cannoniere Paolo Scuderi,
in servizio all’Ufficio Censura di Messina; il sergente cannoniere Pietro Sangiorgio
ed il marinaio militarizzato Giuseppe Via.
Le
deposizioni dei membri superstiti dell’equipaggio del Santamarina Salina (da www.archiviostoricoeoliano.it)
L’affondamento del Santamarina
nel giornale di bordo dell’Unrivalled
(da Uboat.net):
“1524 hours - Sighted the same small 800 tons auxiliary we had seen
during the forenoon. She was bound for Milazzo. Started attack.
1540 hours - In position 38°25'N, 15°03'E fired three torpedoes. Two
hits were obtained and the ship sank. The third torpedo was heard to explode on
Vulcano Island.
1618 hours - Sighted a two-masted schooner coming out of Lipari. Closed
and commenced attack. The schooner was towing two other vessels. All three were
flying the Italian Naval Ensign.
1642 hours - In position 38°25'N, 15°02'E fired one torpedo. The
schooner saw the track and altered away to comb it. The torpedo missed. Unrivalled then drew clear to the
northward”.
E nel racconto di Antonino Biviano, in un’intervista rilasciata l’8
aprile 1993 alla giornalista Chiara Giorgianni di “Questeolie”:
“Mi trovavo sul ponte ed ero in compagnia di due amici, Domenico
Barca e Angelino Mazza. Eravamo seduti su un banchetto quando all’improvviso
l’esplosione… Riprendendomi vidi Domenico con il capo rovesciato in avanti, era
morto. Angelino si era invece già buttato in mare. Mi sono
immediatamente reso conto di quello che era successo e cercai, nonostante
le gravi ferite al volto, di portarmi in salvo… Quando fui in mare vidi il
piroscafo, ormai tagliato in due, inabissarsi, trascinando con se nel
risucchio, coloro che per impotenza o per paura non riuscirono a fare nulla per
se stessi. Ricordo Domenico detto “u curtu” aggrappato all’asta della bandiera
del Santamarina, terrorizzato non riusciva a staccarsene. Il caso volle che
saltasse un banchetto da lui istintivamente afferrato; fu proprio quel
banchetto di legno a trarlo in salvo. Salii insieme ad altri su una zattera cui
diveniva sempre più difficile stare; dopo più di tre ore arrivarono due
natanti, quello della Questura e la motovedetta. Il sommergibile era
ancora sul posto ed avvistate le imbarcazioni venute in nostro soccorso, sparò
due siluri che fortunatamente, non le colpirono, ma le costrinsero, ovviamente,
ad allontanarsi. Fu l’avvistamento improvviso di tre motosiluranti tedeschi
provenienti da Messina a costringere il sottomarino ad allontanarsi”.
Gli
elenchi dei passeggeri e dei membri dell’equipaggio del Santamarina Salina nel suo ultimo viaggio (da www.archiviostoricoeoliano.it):
L’affondamento del Santamarina
fu un duro colpo per la comunità eoliana: a Lipari, ben poche famiglie non
persero un parente o un conoscente su quella nave. Fino a quel momento le Eolie
erano state in certo qual modo “circondate” dalla guerra – i bombardamenti
della non lontana Messina, gli affondamenti di navi nelle loro acque,
l’angoscia dei parenti al fronte – che però non le aveva ancora colpite
“direttamente”; tutto cambiò con l’affondamento del Santamarina. Ezio Roncaglia, il ragazzino che aveva perso l’imbarco
perché era a raccogliere gelsi, avrebbe ricordato a distanza di decenni: “Poco più di mezz’ora dopo [la partenza],
fulminea, surreale, si sparse di bocca in
bocca la notizie : “Hanno affondato il Santa Marina”. Fu un lutto tremendo per
tutta l’isola, una tragedia terribile ed incomprensibile, …. un trauma
difficile da capire, perché non ci apparve come un atto di guerra, … troppo
facile sparare sulla Croce Rossa. Io avevo 13 anni (quelli di allora, …
attenzione, ben diversi dai tredicenni di oggi) e malgrado avessi già visto i
morti (tanti) dei bombardamenti a Messina, solo dopo il Santa Marina capii
l’obbrobrio della guerra: fino al allora mi pareva una cosa che riguardava gli
altri, … tutti gli altri, gente estranea, lontana e diversa da noi. Nel mio
immaginario di bambino, la morte di tante persone che conoscevo, che
frequentavo e che amavo, tra cui tre miei compagni ed amici, mi apparve come un
atto di vigliaccheria, di ingiustizia, una insopportabile cattiveria”.
Le famiglie di molte vittime si ritrovarono prive dei mezzi di
sostentamento, e sarebbero trascorsi parecchi anni prima che potessero ottenere
una qualche forma di risarcimento. Il rappresentante di commercio Stefano
Acunto, che avrebbe compiuto il suo trentaquattresimo compleanno esattamente
una settimana dopo il disastro, lasciò una moglie ventottenne e tre figli
(Rodolfo, Ubaldo e Marcello) di cinque anni, due anni e due mesi e mezzo: la
vedova avrebbe iniziato a ricevere una pensione di guerra, 13.500 lire
dell’epoca, soltanto verso la fine degli anni Cinquanta.
Giuseppe Di Mento, da Spadafora, lasciò una moglie e un figlio; il
brigadiere dei carabinieri Edoardo lasciò una figlia di sette mesi, Maria
Rosaria: forse per via dell’ultimo ricordo del padre visto a pochi mesi di età,
avrebbe provato per il resto della sua vita un’istintiva affezione verso
chiunque indossasse la divisa.
La perdita del piroscafo, l’ultimo rimasto in servizio tra la Sicilia e
le Eolie, ebbe anche l’effetto di interrompere definitivamente i collegamenti
regolari su quella linea: da quel momento fino alla fine del conflitto i
trasporti di beni di prima necessità, e dei pochi passeggeri, dovettero essere
compiuti per mezzo di piccoli motovelieri appartenenti ad armatori locali.
Come spesso accaduto per tragedie del genere, abbattutesi su piccole
navi adibite al trasporto di passeggeri e del tutto prive di interesse
militare, l’apparente insensatezza dell’attacco al Santamarina ha dato vita, a livello locale, a svariate ‘voci’ e
‘leggende’ volte a giustificare quello che agli abitanti delle Eolie apparve
come un atto gratuito e crudele. Una di queste voci riguarda un idrovolante con
a bordo quattro o cinque alti ufficiali tedeschi, provenienti dal Nordafrica e
diretti in Italia con importanti documenti segreti da consegnare al loro Stato
Maggiore (a Roma, precisa un articolo), che sarebbe ammarato nel lago di Lingua
(a Salina) qualche giorno prima del disastro (il 7 maggio, secondo lo stesso
articolo), dopo essere stato attaccato e danneggiato da aerei angloamericani: gli
ufficiali avrebbero ricevuto ordine di proseguire per Milazzo imbarcandosi sul Santamarina in borghese (in modo da non
destare sospetti) il 9 maggio, e la notizia sarebbe stata carpita dallo
spionaggio britannico, portando all’intercettazione del piroscafo da parte del
sommergibile. Questo mentre gli ufficiali tedeschi, a loro volta informati dal
loro controspionaggio che aveva saputo di tale operazione, erano rimasti a
terra ed erano stati prelevati da un altro idrovolante appositamente inviato a
Salina.
Un’altra storia afferma che il bersaglio dell’Unrivalled sarebbe in realtà stata una (inesistente) nave tedesca
(chissa perché, sembra che i tedeschi debbano centrare a tutti i costi con
questa tragedia), che si sarebbe riparata dietro il Santamarina, presente al suo fianco. Un’altra ancora tira in ballo
l’immancabile “traditore” locale che avrebbe informato i britannici dei
movimenti del piroscafo, per poi fuggire negli Stati Uniti. Una versione ancora
differente sostiene che il Santamarina
sarebbe stato carico di armi nelle stive. E ancora: che l’obiettivo fossero i
200 giovani di leva che i britannici (chissà come) avrebbero saputo essere
trasportati in Sicilia dalla nave, ma che invece erano partiti con una corsa
speciale quella mattina.
In realtà, queste storie non sono suffragate da alcuna prova
documentale, e non appaiono altro che frutto della ‘fantasia popolare’ che in
questa occasione, come in tante altre, ha cercato di dare un senso a quello che
appariva un atto inspiegabile.
Un’altra spiegazione che circola collega l’affondamento del Santamarina ai preparativi
dell’operazione "Husky", l’invasione angloamericana della Sicilia,
iniziata esattamente due mesi dopo; segnatamente, i comandi Alleati avrebbero
disposto la distruzione di tutti i mezzi navali in navigazione nelle acque
siciliane (un articolo parla di una fantomatica “operazione R” “che prevedeva di affondare ogni imbarcazione
nell’area dello Stretto, in previsione dello sbarco alleato”). Lo storico
locale Pino La Greca ha affermato che “con
la preparazione della operazione Husky (…) in data 3 maggio 1943
venne redatto dal Quartier Generale del Generale Sir Harold Alexander il
definitivo “Piano strategico preliminare” il cui primo punto prevedeva la
“neutralizzazione” di TUTTI i mezzi e delle basi navali ed aeree dell’Asse in
Sicilia, ai fini d’impedire il loro impiego in combattimento e nel successivo
inevitabile ripiegamento italo-tedesco nell’Italia continentale. Subito le
azioni aeree e navali inglesi e statunitensi nella Sicilia si intensificarono
con attacchi crescenti massicci e, spesso, indiscriminati. La rigorosa
applicazione delle disposizioni scaturite dal predetto Piano strategico che
nella giornata del 9 maggio 1943 condannarono il Santamarina”. Questa
spiegazione appare più sensata delle altre; è certamente possibile che il Santamarina possa essere rimasto vittima
del generale intensificarsi dell’offensiva aeronavale angloamericana nelle
acque attorno alla Sicilia, una volta ribadito che – contrariamente a quanto
affermato in qualche articolo secondo cui Turner avrebbe ricevuto il 7 maggio
l’ordine di affondare il Santamarina,
asserzione confutata sia dal giornale di bordo che dal rapporto di missione
dell’Unrivalled – non c’era alcun
ordine specifico per questa od altre navi: la sfortuna, semplicemente, volle
che la sua strada s’incrociasse con quella dell’Unrivalled.
Il rapporto di missione dell’Unrivalled,
citato più sopra (e reperito dallo scrittore e storico locale Antonio Famularo
grazie agli archivisti George Malcomson e Debbie Corner del Royal Navy
Submarine Museum di Gosport, dove ancora nei primi anni 2000 lavorava anche il
sottotenente di vascello “Florrie” Ford, già imbarcato proprio sull’Unrivalled), mostra chiaramente che l’Unrivalled non aveva alcun ordine
specifico riguardante il Santamarina
o qualsiasi altra nave: in una missione come mille altre, stava pattugliando il
settore d’agguato assegnato, nelle acque delle Eolie, con la semplice direttiva
di affondare qualsiasi nave nemica che fosse apparsa un degno bersaglio. Il Santamarina ebbe la sfortuna di
incrociare la sua rotta e di avere l’aspetto, con la sua mimetizzazione ed i
suoi cannoni, di una piccola nave ausiliaria: al comandante Turner non occorse
altro per decidere che il piccolo piroscafo ‘meritasse’ un siluro. La realtà,
come spesso accade, è molto più semplice di ogni fantasia.
A margine vale la pena di menzionare che la storia relativa
all’idrovolante ed agli ufficiali tedeschi è apparsa anche in un articolo su
“La Repubblica” del 23 maggio 2002 nel quale si sostiene che la fonte sarebbe
stata una ricerca condotta per volere di alcuni parenti delle vittime presso il
Royal Navy Submarine Museum di Londra. Per la verità, come accennato più sopra,
tale museo ha sede nella città portuale di Gosport, assai lontana da Londra, ed
una ricerca condotta nel maggio 2013 su richiesta di Antonio Famularo non ha
prodotto nessun documento a sostegno di questa tesi, bensì il già citato
rapporto di missione dell’Unrivalled
che, unitamente al giornale di bordo dello stesso sommergibile, mostra inequivocabilmente
che l’affondamento del piroscafo non ebbe niente a che fare con fantomatici
aerei ed ufficiali tedeschi. Questa vicenda, caso mai, mostra una volta di più
la scarsa scrupolosità dei giornalisti nostrani nel verificare una notizia,
prima di pubblicarla.
È interessante notare che sia la storia ufficiale della flotta
subacquea britannica nella seconda guerra mondiale ("British and Allied
Submarine Operations in World War II", scritta dal vicemmiraglio Arthur
Hezlet, lui stesso sommergibilista in Mediterraneo durante il conflitto), sia
il generalmente ottimo "The history of the British U-class submarine"
di Derek Walters replicano ancor oggi, nel parlare dell’affondamento del Santamarina, l’erroneo apprezzamento del
comandante Turner: e cioè che il piroscafo fosse una nave ausiliaria (“a small
naval auxiliary”) anziché un bastimento passeggeri di linea, quale in realtà
era. Peraltro, entrambe le opere sbagliano anche il nome della nave: per la
prima esso era “Santa Maria Salina”,
per la seconda “Santa Maria”.
L’Unrivalled sopravvisse alla
seconda guerra mondiale, venendo demolito nel 1946. Non altrettanto fortunato
fu il suo comandante, Hugh Bentley Turner: passato al comando del più grande
sommergibile Porpoise, morì il 19
gennaio 1945 con tutto il suo equipaggio quando questo battello fu affondato da
un aereo giapponese nell’Oceano Pacifico. Il Porpoise fu l’ultimo sommergibile perduto dalla Royal Navy durante
la seconda guerra mondiale.
Anche il comandante Turner, come le vittime del Santamarina, ha per tomba il mare.
(da www.salinarelais.it) |
La tragedia del Santamarina è
tutt’oggi ricordata nelle Eolie, dove costituì l’episodio più grave della
seconda guerra mondiale.
Nel 2013 è stato realizzato a Santa Marina Salina, sulla piazza di
Santa Marina (piazza principale del piccolo centro abitato), un monumento in
memoria della tragedia del Santamarina,
in forma di una scultura raffigurante la prua di una nave: l’opera, scolpita
dallo scultore salinese Sergio Santamarina
(una coincidenza piuttosto curiosa), è stata commissionata e finanziata dalla
professoressa Maria Rosaria Leanza – rimasta orfana a sette mesi del padre,
brigadiere dei carabinieri Edoardo Leanza, comandante della Stazione dei
Carabinieri di Santa Marina Salina e scomparso nell’affondamento – che ne ha
poi fatto dono alla comunità. (Un’altra coincidenza curiosa: anche un nipote di
Maria Rosaria Leanza è entrato nell’Arma. Era stato proprio il comandante della
Stazione dei Carabinieri di Santa Marina, maresciallo Gimmi Stefani, a
contattare nel 2011 la signora Leanza dopo aver condotto una ricerca sulla
tragica fine del proprio “collega” di settant’anni prima). La scopertura del
monumento è avvenuta il 9 maggio 2013, 70° anniversario dell’affondamento, ad
opera della stessa signora Leanza (la quale, residente a Nicosia, ha poi ricevuto
la cittadinanza onoraria dal Comune di Santa Marina Salina) ed alla presenza dello
scultore, dei sindaci dei tre Comuni di Salina (Santa Marina, Malfa e Leni), di
un rappresentante del Comune di Lipari, del presidente della provincia,
dell’assessore regionale ai trasporti, di rappresentanti di Carabinieri (a
partire dal maresciallo Stefani), Guardia Costiera (tra cui il maresciallo
Mario Guarnuto, che ha consegnato alcuni documenti storici alla signora Leanza),
Guardia di Finanza, Guardia Forestale e Polizia Municipale, e di numerosi
cittadini, compresi molti anziani e parenti delle vittime giunti anche da
Lipari e dalla Sicilia. Sulla parte posteriore del monumento sono incisi i nomi
delle 62 vittime e la frase: "Il
vento turbina, increspa le onde, trasportando le voci dei nostri cari, che ci
infondono coraggio, esempio per le generazioni future. Affinchè il loro
sacrificio non sia stato vano, lanciano moniti di pace e di amore".
Il
monumento a Santa Marina Salina (sopra: Comune di Santa Marina Salina; sotto:
g.c. Serge Serret, via www.wrecksite.eu)
Un altro monumento, un crocifisso con una targa (sulla quale è incisa
la scritta “Mai più la guerra – 50°
anniversario dell’affondamento del S. Marina, 9-5-1943-9-5-1993”, è stato
realizzato privatamente dalla famiglia Costa (che nel disastro aveva perso il
parente Giuseppe Costa, anch’esso brigadiere dei Carabinieri) sul promontorio
di Punta Bandiera, sulla costa sudorientale dell’isola di Vulcano, ed una targa
in memoria del Santamarina figura
anche sul monumento ai caduti in guerra di Pianoconte (Lipari), inaugurato nel
novembre 2011.
Il monumento ai caduti di Pianoconte (da www.pietredellamemoria.it) |
Ogni anno, il 9 maggio, si svolge a Santa Marina Salina una cerimonia
commemorativa della tragedia: nella chiesetta di Santa Marina viene celebrata
una messa in suffragio delle vittime alla presenza delle autorità civili,
militari e religiose locali, seguita dalla deposizione di una corona d’alloro
alla base del monumento. Alle commemorazioni hanno partecipato in varie
occasioni discendenti delle vittime, come la stessa signora Leanza o – nel 2015
– la figlia dell’ufficiale radiotelegrafista Cuzzocrea. Talvolta viene anche
deposta in mare una corona nel punto dell’affondamento del piroscafo, sei
miglia e mezzo a sudest di Lipari.
Nel 2019 è stato annunciato che la Marina Militare, dietro richiesta
dell’amministrazione comunale di Santa Marina Salina, intraprenderà un
tentativo di localizzare il relitto del piroscafo, che dovrebbe giacere ad un
migliaio di metri di profondità.
Il Santamarina Salina in un disegno-cartolina d’epoca (da www.giornaledilipari.it) |
L'armamento di questo piroscafetto era composto da 1 cannone da 76/40 e una mitragliera singola da 13,2 mm, installati a Messina il 16/06/1940. Nel gennaio 1942 venne installata una ulteriore mitragliera da 13,2 mm
RispondiEliminaScusi....2 cannoni da 76/40 mm
RispondiEliminaLa ringrazio, provvedo ad aggiungere queste informazioni.
EliminaDurante le 2 guerre mio nonno prestava servizio a Salina nella guardia di finanza qualcuno ha notizie in merito
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