L’Amalia in una foto della primavera del 1942 (Archivio Centrale dello Stato) |
L’Amalia era in origine un
motopeschereccio in legno di 100,55 tsl e 47 tsn, lungo 27,3 metri, largo 6,1 e
pescante 2,7, propulso da un motore diesel a quattro cilindri da 28 N.H.P. (realizzato
dalla ditta Deutsche Werke AG di Kiel ed alimentato a nafta) che azionava una
singola elica. Oltre al motore, il piccolo bastimento era munito di due alberi
attrezzati a vele auriche (risultava infatti ufficialmente classificato come
motoveliero da pesca, goletta).
Costruito nel 1931
dal cantiere A. Caneletti di Porto Civitanova (paese poi aggregato, dal 1938,
al Comune di Civitanova Marche), appartenne per tutta la sua esistenza
all’armatore Nicola Marchegiani, di San Benedetto del Tronto. Iscritto con
matricola 736 al Compartimento Marittimo di Ancona (dal 1936, mentre prima
risultava registrato a San Benedetto del Tronto), il suo nominativo di chiamata
era IJVM.
Il 25 maggio 1940 l’Amalia venne requisito ad Ancona dalla
Regia Marina, e dalle ore 00.00 del 16 giugno 1940 (per altra fonte, dal 1°
giugno) fu iscritto nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato con la sigla R 47. La caratteristica "R"
designava il dragaggio d’altura da parte di dragamine muniti di apparecchi
draganti a divergenti modello medio, e l’Amalia
divenne infatti un dragamine ausiliario, armato con due mitragliere Oerlikon da
20 mm. Venne dislocato ad Olbia, per operare nelle acque della Sardegna,
dragando le rotte tra Olbia ed Arbatax.
L’Amalia, a destra, ed un altro dragamine ausiliario, l’Agata Madre (R 144) (Archivio Centrale dello Stato) |
Gli anni successivi
sono senza storia: per tre lunghi anni l’Amalia,
come tanti altri pescherecci requisiti e trasformati in temporanei dragamine,
svolse in silenzio il suo pericoloso quando dimenticato lavoro. L’equipaggio
era lo stesso del tempo di pace: pescatori che ora, al posto del pesce,
pescavano mine, sperando che nessuna tirasse un giorno qualche brutto scherzo,
un pericolo che si aggiungeva a quello di attacchi di aerei e sommergibili, cui
queste minuscole unità, armate sì e no con una o due mitragliere (già l’Amalia, con le sue due mitragliere da 20
mm, era armato meglio della maggior parte dei suoi “colleghi”, che invece
montavano perlopiù le ancor più piccole armi da 8 mm) erano vulnerabilissime. Nella
primavera del 1942 l’Amalia ebbe, per
così dire, il suo momento di “celebrità” quando divenne l’anonimo protagonista
di un servizio fotografico realizzato dall’Istituto Luce, che documentava
l’attività dei dragamine.
Nel maggio 1943, l’Amalia venne inviato a La Spezia per un
periodo di lavori che si protrassero per due mesi.
L’Amalia fotografato da un altro dragamine
ausiliario (Archivio Centrale dello Stato)
La fine di questo
piccolo dragamine ausiliario si compì il 18 luglio 1943, per mano del
sommergibile britannico Safari
(tenente di vascello Richard Barklie Lakin). Questo sommergibile, a partire
dall’aprile 1943, aveva seminato lo scompiglio, specie tra le imbarcazioni di
piccolo tonnellaggio, lungo le coste della Sardegna: in tre mesi, il Safari aveva affondato in quelle acque i
piroscafi Entella e Liv, l’incrociatore ausiliario Loredan, la cisterna militare Isonzo, il trasporto militare tedesco KT 12, i piropescherecci armati Onda, Sogliola e Nasello, i
motovelieri Bella Italia e S. Francesco di Paola A.. Il 18 luglio
1943 il Safari si trovava di nuovo in
pattugliamento ad un paio di miglia dalla costa nordorientale della Sardegna –
era partito da Malta tre giorni prima per la sua quattordicesima missione di
guerra, da svolgersi al largo delle coste orientali di Corsica e Sardegna –
quando alle 13.45, stando in immersione, avvistò un dragamine in navigazione
verso nord. Era l’Amalia, in
navigazione da Arbatax ad Olbia al comando del ventottenne lericino Domenico
Sciarra.
Dopo aver trascorso
tre notti ad Olbia, l’Amalia era
partito per Arbatax alle 6.30 del 17 luglio, arrivandovi alle 17.30 dello
stesso giorno e trascorrendovi la notte, dopo di che era ripartito per
rientrare ad Olbia: fu appunto durante questo viaggio, mentre la navicella
procedeva seguendo la costa, che lo sorprese il sommergibile britannico.
Alle 14.05 il Safari emerse per attaccare la sua
vittima con il cannone: il fuoco venne aperto da 1460 metri di distanza.
In quel momento, il
comandante Sciarra stava scrivendo nella sua cabina. Sentito all’improvviso
rumore di cannonate, corse fuori mentre la vedetta annunciava che il dragamine
si trovava sotto attacco da parte di un sommergibile: prima ancora che Sciarra
potesse ordinare di rispondere al fuoco, i primi colpi del Safari centrarono la piccola unità italiana.
Sebbene l’Amalia, armato soltanto con due
mitragliere, non avesse speranza contro il sommergibile, venne comunque tentata
una disperata resistenza: le due mitragliere del dragamine risposero al fuoco,
ferendo in modo lieve due cannonieri del Safari.
I successivi colpi del sommergibile, però, centrarono ripetutamente l’Amalia, scatenando ben presto un
incendio a bordo; Sciarra ordinò a tutti di mantenere la calma e di tentare di dirigere
verso la costa, ma intanto la sala macchine venne incendiata, e all’equipaggio del
dragamine non rimase che abbandonare la nave su una scialuppa. Il Safari aveva sparato in tutto 34 colpi
di cannone.
Notare la
sigla identificativa dipinta sullo scafo (indicata dalla freccia, nella foto in
basso) (Archivio Centrale dello Stato)
Avvicinatosi alla
scialuppa, il sommergibile prelevò il comandante Sciarra, che venne trattenuto
a bordo come prigioniero di guerra. L’Amalia
bruciò furiosamente fino alle 19.20, quando infine colò a picco nel punto
40°42’ N e 09°49’ E, a 16 miglia per 345° (cioè ad ovest) del semaforo di Capo
Comino.
La reazione italiana,
tuttavia, si materializzò ben prima: già alle 14.30, neanche mezz’ora dopo
l’inizio dell’attacco, giunse sul posto un aereo della
Regia Aeronautica (identificato da Lakin come un velivolo da attacco al suolo Breda Ba. 65: probabilmente un errore, considerato che nel 1943 i pochi velivoli di questo tipo ancora in servizio erano relegati esclusivamente a ruoli addestrativi), che aprì il fuoco contro il Safari con i suoi cannoncini. I colpi mancarono il bersaglio, ma
furono sufficienti ad indurre il comandante Lakin ad ordinare l’immersione, che
fu attuata alle 14.32; troppo tardi, però, per salvare l’Amalia. Il sommergibile si allontanò verso il largo, mentre alle
14.34 l’aereo italiano sganciava una bomba, che però esplose abbastanza
lontana. Il Safari scese comunque a
maggiore profondità e vi rimase fino alle 15.03, quando tornò a quota
periscopica: sebbene non sembrassero esservi aerei in vista, il sommergibile
venne fatto segno al lancio di altre due bombe, che caddero stavolta piuttosto
vicine. L’aereo non era stato visto perché in quel momento si trovava
esattamente sulla verticale del Safari,
al di fuori del raggio visivo del suo periscopio. Lakin pensò bene di tornare a
36 metri di profondità in attesa che le acque si calmassero del tutto. Riemerse
solo alle 21.45, per poi fare rotta verso nord.
I restanti dodici
membri dell’equipaggio dell’Amalia si
allontanarono sulla loro scialuppa; non vi erano state vittime nel breve
combattimento con il Safari e,
considerata la vicinanza della costa, il rapido arrivo sul posto di idrovolanti
CANT Z. (che furono visti dal sommergibile britannico girare intorno al
dragamine agonizzante), ed il fatto che l’Albo dei caduti e dispersi della
Marina Militare nella seconda guerra mondiale non elenca alcun caduto o
disperso in mare alle date del 18 o 19 luglio 1943, risulta pressoché certo che
l’equipaggio del dragamine venne tratto in salvo al completo. Peraltro, secondo
fonti locali, non lontano dall’Amalia
si trovava, al momento dell’attacco, un altro dragamine similare, che assisté
al suo affondamento e che non venne apparentemente notato dal Safari: forse fu proprio questa
imbarcazione a trarre in salvo i naufraghi.
Altre due
foto dell’Amalia scattate da un altro
dragamine, facenti parte – come le altre in questa pagina – di un servizio
fotografico sull’attività dei dragamine, realizzato da personale dell’Istituto
Luce nella primavera del 1942 (Archivio Centrale dello Stato)
Interrogato dopo la
cattura, il comandante Sciarra rivelò le proprie generalità ("PROFESSIONE: padrone marittimo. Riserva
Mercantile [Merchant Reserve nel rapporto originale britannico]. Pescatore? Al momento della cattura era
comandante della sottonotata unità da guerra minore italiana"), le
caratteristiche e l’impiego della sua nave, e la composizione del suo
equipaggio. Quest’ultima era precisata con la seguente curiosa distinzione:
"Equipaggio: 9 italiani e 4 siciliani". (Erano quelli i giorni
dell’invasione angloamericana della Sicilia, e del discusso proclama Roatta al
popolo siciliano…)
Il rapporto
britannico proseguiva: "Sciarra è
stato interrogato appena giunto a bordo, quando era considerevolmente depresso,
scosso, e sofferente per un mal di testa, avendo appena visto l’unità al suo
comando fatta a pezzi dalle cannonate del SAFARI. Un racconto dell’azione,
scritto di suo pugno, è allegato alla presente. Le informazioni che ha potuto
dare sono state molto generiche, dato che nessuno di noi parla italiano, molto
difficile da capire con il Boarding Packet ed un piccolo dizionario quali unici
nostri mezzi di conversazione. Sembra disposto a parlare, ed eccetto per una
certa ansietà riguardo sua moglie a Lerici, è allegro, e si è reso molto utile
a bordo".
Il Safari, con a bordo Sciarra, continuò la
sua missione che si concluse con l’arrivo ad Algeri il 30 luglio, dopo aver
colato a picco, nei dodici giorni successivi all’affondamento dell’Amalia, il posamine Durazzo, il dragamine FR 70,
il piroscafetto/vedetta foranea F 50
Silvia Onorato e la chiatta tedesca Maria.
Sopra, la
pagina del rapporto del Safari relativa
all’affondamento dell’Amalia, e
sotto, il resoconto dell’interrogatorio del comandante Sciarra (si ringrazia
Platon Alexiades)
In seguito alla
perdita dell’Amalia, Marina La
Maddalena scriveva allo Stato Maggiore della Marina (Maristat), in una lettera
del 31 luglio 1943: «Con la perdita del
Mv Amalia R 47, affondato a cannonate da un sommergibile nemico, malgrado fosse
armato con due mitragliere da 20 mm., si è manifestata la necessità, peraltro
già conosciuta, che se si vuole effettuare il dragaggio delle rotte fra Olbia e
Cagliari, i dragamine da impiegare devono essere armati con almeno un cannone
per poter contrastare e difendersi dall’attacco in superficie. In caso
contrario si andrà incontro a notevoli perdite di materiale che in questo
momento è insostituibile». Maristat rispose ordinando che venissero subito
inviati in Sardegna due dei primi dragamine di nuova costruzione, che dovevano
essere armati con un cannone e due mitragliere da 20 mm.
La storia ufficiale
dell’USMM conclude così la narrazione sull’attività di dragaggio in Sardegna,
dopo aver accennato a questo scambio di messaggi tra Maristat e Marina La
Maddalena: "Non vi erano ormai più speranze. Il compito che però rimaneva,
era quello di continuare ad adempiere al proprio dovere; così fecero le unità
rimaste".
Il relitto dell’Amalia giace oggi a 40 metri di
profondità, al largo della spiaggia della Cinta, vicino al paese sardo di San
Teodoro.
L’affondamento dell’Amalia nel giornale di bordo del Safari (da Uboat.net):
“1345 hours - Sighted
a Northbound motor minesweeper.
1405 hours - Surfaced
for gun action. Range was 1600 yards. 34 Rounds were fired and several hits
were obtained. The enemy at first replied with 2 machine guns wounding 2 of Safari's gun crew. The enemy however
soon caught fire and was abandoned by her crew. The Captain was taken prisoner.
The ship burnt until 1920 hours when it sank.
1430 hours - An Breda
65 aircraft appeared and opened cannon fire. Very wide.
1432 hours - Dived,
proceeded to seaward.
1434 hours - One bomb
was dropped, not very close. Went deep.
1503 hours - Returned
to periscope depth. Soon afterwards 2 bombs were dropped quite near. No
aircraft however was seen. Went to 120 feet.”
Ciao solo una nota, nel 1943 i Breda 65 erano ormai stati tutti radiati da almeno 2 anni.
RispondiEliminaciao solo una nota, non può essere intervenuto un Breda 65 nel 1943, erano stati tutti radiati da almeno un paio di anni.
RispondiEliminaGrazie per la segnalazione, probabilmente si trattò di errata identificazione da parte del comandante del Safari. Provvedo a correggere.
EliminaHello,
RispondiEliminaI'm interested by every document about the ship "Silvia Onorato".
thanks in advance. jef_fr@yahoo.fr