Il Saetta (Naval History and Heritage Command via Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net) |
Cacciatorpediniere
della classe Dardo (dislocamento standard di 1520 tonnellate, 2200 a pieno
carico). Effettuò in guerra un totale di 163 missioni (92 di scorta convogli, 4
con le forze da battaglia, 5 di caccia antisommergibili, 10 per addestramento e
52 di trasferimento o di altro tipo), percorrendo complessivamente 64.458 miglia
e trascorrendo 252 giorni ai lavori.
Breve e parziale cronologia.
27 maggio 1929
Impostazione nei Cantieri
del Tirreno di Riva Trigoso (numero di costruzione 108).
17 gennaio 1932
Varo nei Cantieri del
Tirreno di Riva Trigoso.
Quattro immagini del varo del Saetta (foto centrali: g.c. Nedo B. Gonzales; prima ed ultima: g.c. Dante Flore; tutte via www.naviearmatori.net)
10 maggio 1932
Entrata in servizio.
La nave nel 1934 (da www.navyworld.narod.ru) |
1934
Il Saetta fa parte della I Squadriglia
Cacciatorpediniere con i gemelli Freccia,
Dardo e Strale. La I Squadriglia, insieme alla II (Folgore, Fulmine, Lampo, Baleno) forma la 1a Flottiglia Cacciatorpediniere
(conduttore l’esploratore Antonio
Pigafetta), inquadrata nella 1a Squadra Navale.
Due immagini del Saetta nel 1935 (Coll. Luigi Accorsi via www.associazione-venus.it)
26 novembre 1936
Il Saetta partecipa alla Rivista navale
organizzata nel Golfo di Napoli per la visita in Italia del reggente
d’Ungheria, ammiraglio Miklos Horthy.
Il Saetta, in primo piano, ed il similare Fulmine durante la rivista del 1936 in onore dell’ammiraglio Horthy (da www.navyworld.narod.ru) |
Agosto-Settembre 1937
Durante la guerra
civile spagnola, il Saetta partecipa,
con altre unità (incrociatori leggeri Luigi
Cadorna ed Armando Diaz,
cacciatorpediniere Freccia, Dardo, Strale, Borea, Ostro, Espero e Zeffiro,
torpediniere Cigno, Climene, Centauro, Castore, Altair, Aldebaran, Andromeda, Antares) al blocco del Canale di
Sicilia, per impedire l’invio di rifornimenti dall’Unione Sovietica (Mar Nero)
alle forze repubblicane spagnole. Mussolini ha preso tale decisione a seguito
di richieste da parte dei comandi spagnoli nazionalisti, i quali sostengono,
esagerando di molto, che l’Unione Sovietica stia per rifornire le forze
repubblicane spagnole con oltre 2500 carri armati, 3000 “mitragliatrici
motorizzate” e 300 aerei.
Il blocco navale
viene ordinato da Roma il 7 agosto ed ha inizio due giorni più tardi; oltre ai
sommergibili, invati sia al largo dei Dardanelli che lungo le coste della
Spagna, prendono in mare otto cacciatorpediniere ed altrettante torpediniere
che si posizionano nel Canale di Sicilia e lungo le coste del Nordafrica
francese. Cacciatorpediniere e torpediniere operano in cooperazione con quattro
sommergibili ed un sistema di esplorazione aerea a maglie strette (idrovolanti
dell’83° Gruppo Ricognizione Marittima, di base ad Augusta) e sono alle
dipendenze dell’ammiraglio di divisione Riccardo Paladini, comandante militare
marittimo della Sicilia; successivamente verranno avvicendati da altre
siluranti e dalla IV Divisione Navale (incrociatori leggeri Armando Diaz, Alberto Di Giussano, Luigi Cadorna,
Bartolomeo Colleoni). Sono
complessivamente ben 40 le navi mobilitate per il blocco: i quattro
incrociatori della IV Divisione, l’esploratore Aquila, dieci cacciatorpediniere tra cui il Saetta (gli altri sono Freccia,
Dardo, Strale, Fulmine, Lampo, Espero, Ostro, Zeffiro e Borea), 24 torpediniere (Cigno,
Canopo, Castore, Climene, Centauro, Cassiopea, Andromeda, Antares, Altair, Aldebaran, Vega, Sagittario, Astore, Sirio, Spica, Perseo, Giuseppe La Masa, Generale Carlo
Montanari, Ippolito Nievo, Giuseppe Cesare Abba, Generale Achille Papa, Nicola Fabrizi, Giuseppe Missori e Monfalcone)
e la nave coloniale Eritrea. Altre
due navi, gli incrociatori ausiliari Adriatico
e Barletta, camuffati da spagnoli Lago e Rio, hanno l’incarico di visitare i mercantili sospetti avvistati
dalle navi da guerra in crociera.
Il dispositivo di
blocco è articolato in più fasi: informatori ad Istanbul segnalano all’Alto
Comano Navale le navi sovietiche, o di altre nazionalità ma sospettate di
operare al servizio dei repubblicani, che passano per il Bosforo; ad attenderle in agguato per primi vi sono i sommergibili
appostati all’uscita dei Dardanelli. Se le navi superano indenni questo primo
ostacolo, vengono segnalate alle navi di superficie ed ai sommergibili in
crociera nel Canale di Sicilia e nello Stretto di Messina; qualora dovessero
riuscire ad evitare anche questo nuovo pericolo (possibile soltanto
appoggiandosi a porti neutrali) troverebbero ad aspettarle altre navi da guerra
in crociera nelle acque della Tunisia e dell’Algeria. Infine, come ultima
barriera per i bastimenti che riuscissero ad eludere anche tale minaccia, altri
sommergibili sono in agguato lungo le coste della Spagna. Nei primi giorni del
blocco sono molto attivi proprio i cacciatorpediniere di base ad Augusta.
Il blocco navale così
organizzato (del tutto illegale, dato che l’Italia non è formalmente in guerra
con la Repubblica spagnola) si rivela un pieno successo, portando in breve
tempo alla totale interruzione del flusso di rifornimenti dall’Unione Sovietica
alla Spagna repubblicana. Soltanto qualche mercantile battente bandiera
britannica o francese riesce a raggiungere i porti repubblicani, oltre a poche
navi che salpano dalla costa francese del Mediterraneo e raggiungono Barcellona
col favore della notte. Il blocco italiano impartisce un durissimo colpo ai
repubblicani, ma scatenerà anche gravi tensioni internazionali (specie col
Regno Unito) e feroci proteste sulla stampa spagnola repubblicana ed
internazionale, con accuse di pirateria – essendo, come detto, un’operazione in
totale violazione di ogni legge internazionale – nei confronti della Marina
italiana, ripetute anche dal primo ministro britannico Churchill.
Il Saetta nel 1935 (Profile Morskie) |
11 agosto 1937
Alle 12.45 il Saetta (capitano di corvetta Giulio
Cerrina Feroni) avvista a sudovest di Lampedusa la moderna motonave cisterna
spagnola Campeador di 7932 tsl, una
delle più grandi petroliere della Repubblica spagnola, partita da Costanza (Romania,
Mar Nero) e diretta a Valencia con un carico di 9600 tonnellate di benzina,
provenienti dall’Unione Sovietica e destinate alle forze spagnole repubblicane.
I Comandi italiani non sono all’oscuro del viaggio della Campeador: già il 5 agosto il servizio di informazione italiano ha
dato notizia del suo passaggio nel Bosforo,
ed il 9 agosto lo Stato Maggiore della Marina ha ordinato a Marina Messina che
in nessun caso la petroliera dovrà sfuggire alla cattura da parte delle navi
spagnole nazionaliste che incrociano a nord della Tunisia oppure, qualora
dovesse cercare rifugio in un porto del Nordafrica francese, all’azione
offensiva delle siluranti italiane. Pertanto, quando il Saetta comunica a Marina Messina l’avvistamento della nave
spagnola, riceve in risposta l’ordine: «CAMPEADOR
deve essere affondata con siluro et se necessario con cannone dopo tramonto et
prima delle ore 21.00». Contemporaneamente, viene ordinato al
cacciatorpediniere Strale di
raggiungere il Saetta per prendere
parte all’intercettazione.
Inizialmente il Saetta si limita a tallonare la Campeador: dato che non vi è formale
stato di guerra tra l’Italia e la Spagna repubblicana, si preferisce che le
navi repubblicane spagnole vengano attaccate da navi nazionaliste spagnole, guidate
sul posto dalle unità italiane, le quali dovrebbero – se possibile – evitare di
partecipare direttamente agli attacchi. In questo specifico caso, il Saetta segue la petroliera aspettando
che arrivi l’incrociatore pesante Baleares
della Marina franchista, che Cerrina Feroni sa essere in crociera al largo di
Capo Bon. Alle 20.30, tuttavia, dato che del Baleares ancora non c’è traccia, e che la Campeador si sta dirigendo verso la Tunisia (il suo comandante,
vistosi seguito dalle navi italiane, ha deciso di rifugiarsi nelle acque territoriali
francesi della Tunisia) così minacciando di sfuggire alla cattura, il
comandante Cerrina Feroni dà inizio all’attacco. Alle 21.20 il Saetta lancia quattro siluri; tre di
essi colpiscono la Campeador,
incendiandola ed affondandola al largo di Capo Mustafà. Perdono la vita 12 dei
44 uomini dell’equipaggio spagnolo (cinque dei quali uccisi dall’esplosione del
primo siluro in sala macchine, gli altri nel successivo incendio della nave);
la maggior parte dei 32 sopravvissuti raggiunge la costa tunisina sulle
scialuppe, mentre altri tre e due naufraghi, finiti in mare, verranno soccorsi
dai mercantili britannici Dido e Clintonia. Quest’ultimo assiste
direttamente all’affondamento della Campeador
da parte di una nave da guerra oscurata che poi si allontana senza prestare
soccorso ai naufraghi (il Saetta).
L’affondamento della Campeador genererà un’ondata di articoli
infuriati sulla stampa spagnola repubblicana ed internazionale, anche perché
nonostante l’oscuramento della nave allo scopo di mascherarne la nazionalità
(per via dei motivi legali sopra menzionati) ed i tentativi di depistaggio
operati dalla stampa italiana (il quotidiano “Il Messaggero” sostiene che la
petroliera sia stata affondata dal cacciatorpediniere Velasco della Marina nazionalista) e dagli stessi nazionalisti
spagnoli (che in un comunicato ufficiale rivendicano l’affondamento della Campeador, attribuendolo ad un proprio
incrociatore), l’identità dell’attaccante è divenuta subito nota: la luce
dell’incendio della petroliera, infatti, ha permesso ai naufraghi della Campeador di distinguere le lettere di
riconoscimento "SA" dipinte sulla murata del Saetta, che è stato così subito identificato come autore
dell’affondamento. Il Governo spagnolo repubblicano protesta con veemenza
presso la Società delle Nazioni, denunciando l’aggressione illegale da parte di
un Paese con cui non vi è una formale dichiarazione di guerra, mentre la stampa
repubblicana pubblica articoli al vetriolo sui “pirati” italiani.
Il comandante della Campeador, capitano Felix Garay Gorordo,
dichiara alle autorità consolari e navali spagnole (dichiarazione poi trasmessa
alla Società delle Nazioni) di aver per la prima volta avvistato una nave da
guerra battente bandiera italiana (più tardi si parlerà di “bandiera di guerra”
italiana) alle nove del mattino dell’11 agosto, quando la petroliera era una
decina di miglia a sud di Lampedusa ed a 50-60 miglia da Kelibia (Tunisia),
diretta verso Capo Bon. La nave da guerra, proveniente da nordovest, si è
avvicinata alla Campeador ed ha scambiato
con essa gli usuali saluti, avvicinandosi così tanto che da bordo della
petroliera è stato possibile leggere distintamente il nome “SAETTA” scritto sulla poppa, oltre alle
grandi lettere di riconoscimento “SA” dipinte in colore rosso sulla prua (secondo
successivi resoconti, il Saetta
avrebbe anche girato intorno alla Campeador).
Il Saetta si è tenuto nelle vicinanze
dell Campeador per tutto il giorno,
ed alle 16.30 è apparsa anche una seconda nave dello stesso tipo, anche se non
è stato possibile distinguerne la bandiera ed il nome, dato che non si è
avvicinata tanto quanto la precedente (doveva evidentemente trattarsi dello Strale). Le due navi da guerra si sono
riunite ed hanno manovrato insieme, continuando a seguire la Campeador tenendosi 4-5 miglia a
poppavia di essa (secondo un successivo racconto pubblicato sui giornali
spagnoli repubblicani, le due navi italiane avrebbero manovrato in modo da
bloccare la navigazione verso la Tunisia). Al calare del buio, la Campeador ha acceso le luci di navigazione,
e le due navi da guerra, che continuavano a seguirla, hanno fatto lo stesso;
poco più tardi, tuttavia, queste ultime hanno spento le luci, si sono portate
più avanti ed hanno assunto una posizione sulla dritta della petroliera, poco
lontana (pur essendo notte, le loro sagome erano chiaramente visibili). Alle
19.50 il comandante della Campeador,
che si trovava nella sua cabina, ha sentito un violentissimo scossone causato
da una cannonata giunta in sala macchine; le luci della petroliera si sono spente,
e la radio è risultata fuori uso. Salito in plancia e constatato che la nave
stava affondando di poppa, Garay Gorordo ha ordinato di calare le scialuppe.
Quando una prima scialuppa era già stata calata, ed una seconda stava venendo
calata in mare, la Campeador è stata
colpita da un secondo proiettile (circa 5-7 minuti dopo il primo), anch’esso in
sala macchine; una terza cannonata ha colpito la petroliera dopo altri 5-7
minuti, quando anche la seconda scialuppa (con a bordo il comandante Garay
Gorordo ed altri cinque membri dell’equipaggio) era ormai in acqua. Quando la
lancia con a bordo il comandante della Campeador
si era allontanata di circa un centinaio di metri dalla petroliera,
quest’ultima ha preso fuoco, ed è stata scossa da un’esplosione. Le
imbarcazioni hanno iniziato a remare verso la costa della Tunisia, e la lancia
del comandante ha incontrato un peschereccio che l’ha rimorchiata fino a
Kelibia. Alcune ore più tardi Garay Gorordo è tornato sul luogo dell’attacco
(circa 14 miglia a sudest di Capo Bon) con un’altra imbarcazione, trovandovi la
Campeador ancora in fiamme.
Successivamente la nave è affondata; Garay Gorordo si dichiara certo che la sua
nave sia stata affondata dalle due navi italiane che l’avevano seguita per
tutto il giorno e che si trovavano nei suoi pressi al momento dell’attacco,
denunciando il mancato aiuto ai naufraghi come ulteriore prova della loro
colpevolezza.
Raimondo Basarrate
Iturriaga, macchinista della Campeador,
rilascia dichiarazioni analoghe: ha visto e riconosciuto il Saetta, che è rimasto vicino alla
petroliera per tutta la giornata dell’11 agosto, raggiunto alle 16 circa da
un’altra nave da guerra dalle identiche caratteristiche, evidentemente italiana
anch’essa, con la quale ha poi navigato di conserva scambiando segnali. Al
momento dell’attacco, Basarrate Iturriaga si trovava a poppa e stava guardando
proprio le due navi da guerra; ha visto una luce rossa e brillante apparire su
una di esse per poi diventare, gradualmente, più fioca, e pochi secondi dopo ha
sentito lo scossone della cannonata che ha colpito la Campeador in sala macchine. Per il resto Basarrate Iturriaga
conferma quanto dichiarato da Garay Gorordo, stimando che siano passati 6-7
minuti tra ciascuna cannonata, e 4-5 minuti tra la terza cannonata ed il
momento in cui la Campeador ha
iniziato a bruciare. Altri due superstiti della petroliera, il marinaio Pascual
Madariaga Salazar ed il cameriere José Vives Ramos, dichiarano quanto segue: la
Campeador è partita da Costanza alle
20 del 4 agosto, procedendo a 11 nodi, poi portati a 12 (massima velocità
possibile a pieno carico, dopo essere entrati nelle acque territoriali italiane);
alle 9 dell’11 è apparsa a proravia della nave cisterna una nave da guerra che
le è passata a poca distanza, attraversandole la rotta. Sulla prua erano
chiaramente visibili le lettere "SA" scritte a grandi caratteri. Dopo
aver attraversato la rotta della Campeador,
la nave ha assunto una rotta parallela a quest’ultima, tenendosi piuttosto
vicina, al punto che all’equipaggio spagnolo è stato possibile leggere
chiaramente il nome “SAETTA” presente
sulla poppa in lettere di metallo. La Campeador
ha salutato con la sua bandiera spagnola repubblicana, ed il Saetta ha risposto; i due sopravvissuti
descrivono il Saetta come “avente le
stesse caratteristiche dei nostri cacciatorpediniere classe Churruca, ma un po’
più corto e con un solo fumaiolo”. Il comandante spagnolo ha stimato che la
velocità della nave italiana fosse sui 30-35 nodi; il Saetta ha continuato ad incrociare a poppavia della petroliera fino
alle 17.30, quando è apparso un secondo cacciatorpediniere dalle medesime
caratteristiche, il quale si è però tenuto a tale distanza da impedire di
scoprirne l’identità. Il secondo cacciatorpediniere si è messo in contatto col Saetta ed i due hanno navigato insieme
per un’ora, poi si sono allontanati verso l’Italia sparendo alla vista per un
quarto d’ora, salvo riapparire alle 20 con tutte le luci spente (ma ancora
riconoscibili dalle loro sagome); si sono allora posizionate a circa un miglio
di distanza, in linea di fila su rotta parallela a quella della Campeador (sulla sua dritta, uno
all’altezza della prua della petroliera, l’altro all’altezza della poppa).
Hanno fatto segnalazioni luminose, e subito dopo la Campeador è stata colpita da un siluro nella sala macchine.
Madariaga Salazar e Vives Ramos si sono tuffati subito in acqua e poi hanno
sentito un’altra esplosione, attribuita ad un siluro, seguita più avanti da una
serie di scoppi causati da cannonate o dall’esplosione delle cisterne della Campeador (più probabilmente la seconda
causa, dato che subito dopo è apparso del carburante in fiamme sulla superficie
del mare, costringendo i due marinai a nuotare per allontanarsi). Mentre
diversi loro compagni restavano intrapPolati
nell’incendio della petroliera, Madariaga Salazar e Vives Ramos, evitando di
stretta misura di essere raggiunti dalle fiamme od asfissiati dal fumo che
ricopriva il mare, sono riusciti a raggiungere a nuoto il piroscafo britannico Clintonia, che li ha tratti in salvo.
José Palaeio
Carrasco, altro naufrago della Campeador,
dichiara al console spagnolo a Gibilterra di aver visto alle 8.30 dell’11
agosto un cacciatorpediniere che si avvicinava alla Campeador da proravia; inizialmente non era possibile accertare la
sua identità, ma poi si è avvicinato, permettendo di distinguere la bandiera
italiana che sventolava a poppa. La petroliera ha allora issato la bandiera
spagnola e salutato la nave da guerra, per poi ammainarla; la nave italiana si
è tenuta in vista della Campeador per
tutto il giorno. Tra le 18 e le 19 è apparsa un’altra nave da guerra, dalla
nazionalità non identificabile perché troppo lontana, ma presumibilmente
italiana, dato che si è riunita alla prima ed hanno proseguito insieme,
emettendo cortine fumogene. Calato il buio, le due navi da guerra hanno acceso
le luci di navigazione e si sono allontanate dalla Campeador, poi hanno spento le luci; tale sospettoso atteggiamento
ha indotto l’ufficiale di guardia sulla petroliera a far preparare le lance per
ogni evenienza, e tale operazione era in corso quando due masse scure –
certamente i cacciatorpediniere italiani – sono apparse a poppavia.
L’equipaggio della Campeador ha
subito iniziato a calare le scialuppe, ed in quel momento si è vista una luce
rossa, seguita da un’esplosione in sala macchine, attribuita da Carrasco ad un
siluro. Tuffatosi in mare ed allontanandosi a nuoto, Carrasco ha sentito altre
due esplosioni di natura non accertabile; successivamente è stato soccorso dal
piroscafo britannico Dido insieme ad
altri due sopravvissuti. Uno di essi, l’aiuto cuoco Juan Risueno, conferma
quanto detto da altri: alle 8.30 circa dell’11 agosto una nave da guerra si è
avvicinata alla Campeador,
inizialmente rivolgendole la prua, tanto da non permettere di distinguerne la
nazionalità; si è però avvicinata ed è stata così riconosciuta come una nave da
guerra italiana, dalla bandiera italiana che issava, ed è stato possibile anche
riconoscerne il nome, Saetta. Per
tutto il giorno ha manovrato restando in vista della nave cisterna, e verso le
17 o le 19 è apparsa un’altra nave da guerra (nazionalità non riconoscibile ma
presumibilmente italiana, poiché si è unita alla prima ed ha seguito la stessa
rotta) ed entrambe hanno emesso cortine fumogene, gesto interpretato sulla Campeador come segno di intenzioni
ostili. Giunto il buio, le due unità hanno acceso le luci di navigazione e si
sono allontanate dalla Campeador;
poco più tardi le luci si sono però spente. L’ufficiale di guardia ha allora
ordinato di preparare le lance, e mentre ciò veniva fatto sono apparse a
proravia due masse scure, senza luci; impossibile capire se fossero le due navi
di prima od invece due sommergibili. Si è iniziato a calare le scialuppe, ma
all’improvviso è stato visto un razzo rosso, e subito dopo si è verificata
un’esplosione in sala macchine. La violenza dell’esplosione, e la mancanza di
un Lampo che indicasse lo sparo di un
cannone, hanno indotto Risueno a ritenere che fosse causata da un siluro.
Caduto in mare, Risueno si è allontanato a nuoto ed ha sentito alte due
esplosioni – senza sapere se fossero causate da cannonate o siluri – ed è stato
più tardi raccolto da una lancia del Dido.
Manuel Martin
Iglesias, ingrassatore della Campeador,
dichiara di aver visto alle 8.30 dell’11 agosto una nave da guerra che navigava
verso la Campeador; inizialmente
l’aveva scambiata per un cacciatorpediniere francese, ma quando si era
avvicinata era stato possibile distinguere la bandiera italiana. Al contempo,
il cacciatorpediniere aveva ridotto la velocità in modo da restare all’altezza
della poppa della petroliera. La Campeador
ha salutato issando la sua bandiera, poi ammainata; per il resto del giorno il
cacciatorpediniere ha seguito la stessa rotta della cisterna, talvolta
tenendosi sul lato di dritta, e così permettendo ai marittimi spagnoli di
distinguerne il nome, Saetta.
Successivamente si è portato a poppavia della nave, e vi è rimasto per il resto
del giorno; alle 18 è apparso un secondo cacciatorpediniere che si è avvicinato
al primo, navigando fianco a fianco con esso ed emettendo un’enorme quantità di
fumo, che ha fatto presagire all’equipaggio della Campeador che si stesse preparando un’azione ostile. Calata la
notte, i due cacciatorpediniere hanno acceso le luci di navigazione, tenendosi
a poppavia della petroliera e sulla sua stessa rotta, ma cinque minuti dopo
hanno spento le luci e sono scomparse. Su suggerimento dei marinai, l’ufficiale
di guardia ha dato ordine di preparare le scialuppe, ma mentre lo si faceva è
comparsa una massa scura che si avvicinava a tutta forza alla Campeador. La nave oscurata ha lanciato
un razzo e subito dopo si è sentita una terribile esplosione in sala macchine.
Poco più tardi la nave, scossa da ripetute esplosioni, è stata avvolta da
fiamme altissime. Nella luce dell’incendio, Iglesias, gettatosi in mare, ha
potuto distinguere sulla dritta della nave in fiamme un cacciatorpediniere
identico a quelli visti durante il giorno, ora immobile accanto al relitto
della petroliera, in totale indifferenza.
In un successivo
racconto pubblicato da giornali repubblicani, il comandante della Campeador racconterà alcuni dettagli che
differiscono da quanto dichiarato in precedenza: il Saetta, appena comparso, avrebbe issato una bandiera di
combattimento ed il comandante spagnolo avrebbe allora ordinato di mettere le
macchine avanti tutta, dirigendosi a tutta forza verso la costa tunisina nel
tentativo di scappare; il Saetta
avrebbe allora iniziato a girare in cerchio attorno alla petroliera, e poco
dopo sarebbe arrivato un secondo cacciatorpedinere italiano, unitosi poi al Saetta nella manovra per intralciare la
navigazione della Campeador.
Qualunque rotta la nave assumesse, i due cacciatorpediniere si posizionavano
sempre a proravia di essa; questa situazione si sarebbe protratta fino alla
sera, quando, calato il buio e con la terra già in vista, la Campeador sarebbe poi stata colpita da
un primo siluro a centro nave e poi da altri due che ne hanno scatenato
l’incendio del carburante.
Anche Pascual
Madariaga Olastre e José Vives Ramón aggiungono altri particolari nel loro
racconto alla stampa: dopo la partenza da Costanza, la Campeador avrebbe inizialmente navigato a velocità molto bassa con
lo specifico proposito di ingannare le spie circa i tempi della sua traversata,
per poi accelerare alla massima velocità (12 nodi) una volta giunta al largo
delle coste italiane. Apparso il Saetta
alle nove del mattino dell’11 agosto, quest’ultimo sarebbe passato due volte
nei pressi della petroliera, e la seconda volta, vedendo tale insistenza, il
comandante avrebbe ordinato di salutarlo issando la bandiera spagnola, al che
il Saetta avrebbe risposto al saluto
con la bandiera italiana, per poi proseguire tallonando la Campeador. Alle 18 sarebbe poi arrivato il secondo
cacciatorpediniere, che con il Saetta
avrebbe continuato a seguire la petroliera; di tanto in tanto, le due unità
hanno emesso cortine fumogene, ed al crepuscolo hanno cambiato rotta, come se
stessero dirigendosi verso l’Italia, sparendo alla vista. Intorno alle 20,
però, i due cacciatorpediniere sono riapparsi sul lato di dritta, uno verso
prua ed uno verso poppa, con tutte le luci spente; due minuti dopo la loro
ricomparsa, hanno effettuato alcuni segnali luminosi, e subito dopo la nave
cisterna è stata colpita da un siluro in sala macchine.
Nei giorni
successivi, la stampa spagnola repubblicana lancerà accuse ancora più gravi
contro le navi italiane: secondo i naufraghi Pascual Madariaga Olastre e José
Vives Ramón, che avrebbero osservato la scena da distanza, stando in acqua,
dopo l’affondamento il Saetta ed il
secondo cacciatorpediniere avrebbero acceso i proiettori, puntandoli verso il
punto in cui la Campeador è
affondata, avrebbero avvistato dei naufraghi in mare e li avrebbero
mitragliati, sparando diverse raffiche di mitragliera prima di andarsene.
Madariaga Olastre e Vives
Ramón, raccolti dal Clintonia,
affermano anche che il piroscafo britannico, in cerca di altri superstiti,
avrebbe illuminato, col suo proiettore, i corpi di quattro marinai che
indossavano giubbotti salvagente, trovandoli già morti, uccisi “indubbiamente”
dal tiro delle mitragliere delle navi italiane (ma, come nota lo stesso
giornale che pubblica la notizia, non vi è nessuna affermazione del genere da
parte dell’equipaggio del Clintonia).
L’accusa di aver
mitragliato i naufraghi è probabilmente soltanto un’invenzione propagandistica
dei repubblicani, specie se si considera che in tutte le precedenti
dichiarazioni ufficiali dei superstiti della Campeador non si fa alcuna menzione di mitragliamento dei sopravvissuti,
i quali affermano invece che dopo l’affondamento le navi italiane non hanno
semplicemente fatto alcun tentativo per soccorrerli.
A Taranto nel 1938 (Coll. Erminio Bagnasco, via www.associazione-venus.it) |
1938
Il Saetta trasporta una delegazione dello
stato fantoccio giapponese del Manchukuo, col quale l’Italia ha appena stretto
un trattato di amicizia, da Napoli a Pompei, dove i delegati mancesi vengono
portati a visitare le rovine romane.
Nella prima metà del
1938 il Saetta è comandato dal
capitano di corvetta Vittorio Moccagatta.
1938-1939
Forma la VII
Squadriglia Cacciatorpediniere, assieme a Freccia, Dardo e Strale.
In seguito a nuovi
lavori viene installata un’“unghia” sopra al fumaiolo, per impedire al fumo di
recare disturbo all’equipaggio.
A Venezia nel 1938 (Coll. Giorgio Ramperti via Giuseppe Celeste e www.associazione-venus.it) |
7 aprile 1939
Prende parte allo
sbarco e occupazione italiana dell’Albania inquadrato nel 3° Gruppo Navale, che
il Saetta forma insieme ai più
moderni cacciatorpediniere Grecale,
Libeccio e Scirocco, alle corazzate Giulio
Cesare e Conte di Cavour,
alle torpediniere Castore, Climene, Centauro e Cigno,
al posamine Azio, alla cisterna
militare Isonzo ed al
grosso piroscafo Sannio. Il 3°
Gruppo, al comando dell’ammiraglio di squadra Arturo Riccardi (che ha il
comando generale delle operazioni navali) ed incaricato dell’occupazione di
Valona, giunge dinanzi al proprio obiettivo nelle prime ore del 7 aprile.
I reparti da
sbarcare, che compongono nello schieramento italiano la “colonna di Valona” del
colonnello Bernardi, sono il I Battaglione del 1° Reggimento Bersaglieri, il
XVI Battaglione del 10° Reggimento Bersaglieri (riuniti sotto il comando del 1°
Reggimento Bersaglieri) ed il Gruppo Battaglioni Camicie Nere
"Nannini" (XL Battaglione Camicie Nere d’Assalto "Verona" e
LXXVI Battaglione Camicie Nere d’Assalto "Ferrara"). La difesa
albanese nel settore di Valona, al comando del tenente colonnello Kuku, è
affidata ai battaglioni di fanteria "Tomori" e "Kaptina",
al 1° Battaglione della Gendarmeria Reale Albanese, al battaglione artiglieria
da montagna "Semani", ad una sezione di artiglieria da montagna e ad
un plotone del Genio zappatori/minatori.
Lo sbarco avviene con
un ritardo di circa un’ora, e le truppe italiane – sbarcano per prime le compagnie
da sbarco di marinai, seguite poi dalla fanteria – sono accolte da quelle
albanesi, asserragliate negli edifici della gendarmeria, della dogana e del
museo archeologico, con tiro di fucili e mitragliere che viene però ridotto al
silenzio dopo un cannoneggiamento di circa dieci minuti da parte delle
torpediniere. Così spezzate le resistenze nell’area portuale, il resto della
città viene agevolmente occupato dai reparti italiani.
Il Saetta a Taranto nel 1939 (Foto Priore, Taranto via Coll. Luigi Accorsi e www.associazione-venus.it; e Gruppo di Cultura Navale)
1939-1940 (o 1940-1941)
Lavori di modifica
dell’armamento: vengono eliminate le due mitragliere singole da 40/39 mm, le
due binate Breda Mod. 31 da 13,2/76 mm presenti sulla plancia e gli obici
illuminanti da 120 mm, mentre vengono installate 6 mitragliere singole da 20/65
mm Breda Mod. 1939-1940 (per altra fonte Breda 1935 da 20/65 mm, due in ipianti
singoli – quelle installate al posto delle Breda da 13,2 mm – e quattro in
impianti binati – quelle imbarcate al posto degli obici illuminanti –) e da due
scaricabombe per bombe di profondità.
23-24 maggio 1940
Saetta e Freccia rilevano a
Messina i cacciatorpediniere Lanciere
e Corazziere nella scorta alla
nuovissima corazzata Littorio, appena
completata ed ora in trasferimento da La Spezia a Taranto. La corazzata entra a
Taranto il mattino del 24 maggio.
10 giugno 1940
All’entrata
dell’Italia nella seconda guerra mondiale, il Saetta forma la VII Squadriglia Cacciatorpediniere con i
gemelli Freccia, Dardo e Strale. Assieme alla VIII Squadriglia, la VII è assegnata alla V
Divisione Navale (corazzate Giulio
Cesare e Conte di Cavour) della 1a Squadra.
13 giugno 1940
In serata il Saetta ed il resto della VII Squadriglia
Cacciatorpediniere (Freccia, Dardo, Strale) salpano per effettuare un rastrello antisommergibili lungo
la costa occidentale del Golfo di Taranto, dopo che la I Divisione Navale,
uscita nel Golfo di Taranto il giorno precedente, ha segnalato ben cinque
presunti avvistamenti di sommergibili al largo della costa calabrese (dovuti
verosimilmente alla presenza in zona del sommergibile britannico Odin, poi affondato, anche se è
probabile che uno o più di essi fossero falsi allarmi, dovuti alle vedette
sovreccitate dopo la recentissima entrata in guerra). Alle 23.21 lo Strale avvista un grosso sommergibile
emerso (in posizione 39°42’ N e 17°33’ E) e lo attacca col cannone e col siluro
e poi anche con bombe di profondità, mentre il sommergibile reagisce lanciando
a sua volta un siluro. È possibile che il sommergibile britannico Odin (capitano di corvetta Kenneth
Maciver Woods) sia stato danneggiato in questo attacco ed affondato alcune ore
più tardi dal Baleno (che a sua volta
avvista un sommergibile e lo attacca con bombe di profondità), ma è anche
possibile che questi sia in realtà sopravvissuto e sia andato perduto sui campi
minati della zona qualche giorno più tardi.
14 giugno 1940
Il Saetta ed il resto della VII Squadriglia
rientrano a Taranto nelle prime ore del mattino.
16 giugno 1940
In serata la VII
Squadriglia (Saetta compreso),
insieme alla VII Squadriglia, prende nuovamente il mare per un altro rastrello
antisommergibili nel Golfo di Taranto. Alle 23.38 il Dardo avvista le scie di due siluri e reagisce con bombe di
profondità, mentre alle 23.45 è il Folgore
ad avvistare scie di siluri e gettare a sua volta cariche di profondità,
seguito dal Fulmine che segnala
anch’esso scie di siluri e risponde lanciando bombe di profondità. Alle 23.57
il Folgore avvista altre scie di
siluri e getta altre bombe.
17 giugno 1940
Alle 00.43 è il Saetta ad avvistare una scia di siluro e
reagire con bombe di profondità, mentre all’1.18 il Folgore avvista la torretta di un sommergibile e lo attacca con
cannone, siluro e poi bombe di profondità. All’1.27, infine, il Saetta è l’ultimo tra i
cacciatorpediniere ad osservare la scia di un siluro e quella che sembra una
“bolla di lancio”, reagendo col lancio di una singola bomba di profondità.
Tutti i
cacciatorpediniere rientrano in porto di prima mattina. Il sommergibile
avvistato da tutti potrebbe essere stato l’Odin,
se sopravvissuto all’attacco di tre giorni prima, ma potrebbe anche non esservi
stato alcun sommergibile (gli avvistamenti, tutti avvenuti di notte, potrebbero
essere stati il risultato di illusione ottica).
7 luglio 1940
Il Saetta salpa da Taranto alle 14.10 insieme
a Freccia (capitano di vascello
Amleto Baldo, caposquadriglia della VII Squadriglia Cacciatorpediniere), Dardo e Strale, alla VIII Squadriglia Cacciatorpediniere (Folgore, Fulmine, Lampo, Baleno) ed alle corazzate Giulio Cesare e Conte di
Cavour, nonché alle Divisioni Navali
IV (incrociatori leggeri Alberico Da
Barbiano, Alberto Di Giussano, Luigi Cadorna, Armando Diaz) e VIII (incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi), ed alle Squadriglie Cacciatorpediniere XV (Antonio Pigafetta, Nicolò Zeno) e XVI (Nicoloso Da
Recco, Emanuele Pessagno, Antoniotto Usodimare), per fornire
sostegno a distanza ad un convoglio di quattro mercantili salpati da Napoli
alle 19.45 del 6 e diretti a Bengasi.
Il convoglio, formato
dai trasporti truppe Esperia e Calitea e dalle moderne motonavi da
carico Marco Foscarini, Vettor Pisani e Francesco Barbaro, trasporta
complessivamente 232 veicoli, 10.445 tonnellate di materiali vari, 5720
tonnellate di carburante e 2190 uomini, ed ha la scorta diretta della II
Divisione Navale (incrociatori leggeri Giovanni
delle Bande Nere e Bartolomeo
Colleoni), della X Squadriglia Cacciatorpediniere (Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco) e di sei torpediniere (le moderne Orsa, Procione, Orione e Pegaso della IV Squadriglia e le
vetuste Rosolino Pilo e Giuseppe Cesare Abba) e la scorta a
distanza dell’incrociatore pesante Pola,
delle Divisioni Navali I, III e VII e delle Squadriglie Cacciatorpediniere IX,
XI, XII e XIII (la 2a Squadra Navale, al comando dell’ammiraglio di
squadra Ricardo Paladini, imbarcato sul Pola),
partite da Augusta, Palermo e Messina.
Comandante superiore
in mare è l’ammiraglio di squadra Inigo Campioni, con bandiera sulla Cesare.
8 luglio 1940
Il mattino dell’8
luglio il sommergibile britannico Phoenix (capitano
di corvetta Gilbert Hugh Nowell) lancia alcuni siluri contro Cesare e Cavour scortate dalle quattro unità della VII Squadriglia, in
posizione 35°36’ N e 18°28’ E (circa duecento miglia ad est di Malta). Le armi
mancano i loro bersagli e non vengono nemmeno avvistate.
L’operazione va a
buon fine (il convoglio raggiunge Bengasi tra le 18 e le 22 dell’8), ed alle
14.30 le navi delle due squadra navali iniziano la navigazione di rientro.
Ma alle 15.20, a
seguito dell’avvistamento di una formazione britannica – anche la Mediterranean
Fleet, infatti, è in mare a protezione di convogli – la 1a e la
2a Squadra Navale dirigono per intercettare le navi nemiche
(che si teme dirette a bombardare Bengasi), con l’intento di impegnarle in
combattimento almeno un’ora prima del tramonto. La flotta britannica in mare,
al comando dell’ammiraglio Andrew Browne Cunningham, consiste in tre corazzate
(Warspite, Malaya e Royal Sovereign),
una portaerei (la Eagle), cinque incrociatori
leggeri (Orion, Neptune, Sydney, Liverpool, Gloucester) e 16 cacciatorpediniere (Nubian, Mohawk, Decoy, Hasty, Hero, Hereward, Stuart, Decoy, Hostile, Hyperion, Ilex, Dainty, Defender, Janus, Juno, Vampire e Voyager).
Alle 19.20, però, in
seguito ad ordini di Supermarina (il comando della Regia Marina, che, a
differenza dell’ammiraglio Campioni ha avuto modo di apprendere, tramite la
crittografia, la reale consistenza e finalità dei movimenti britannici) la
flotta italiana accosta per 330° per rientrare alle basi, con l’ordine di non
impegnare il nemico. Durante l’accostata le navi vengono attaccate da alcuni
velivoli con una dozzina di bombe, rispondendo con intenso tiro contraereo. Le
bombe cadono vicine agli incrociatori, ma non causano danni.
9 luglio 1940
La navigazione
notturna di rientro si svolge senza grossi inconvenienti, salvo due
fallimentari attacchi siluranti contro la III Divisione.
Già dalle 22 dell’8,
però, sono arrivati nuovi ordini: Supermarina teme che la Mediterranean Fleet
intenda lanciare un attacco aeronavale contro le coste italiane, perciò ordina
alle forze in mare di riunirsi nel punto 37°40’ N e 17°20’ E, 65 miglia a
sudest di Punta Stilo, entro le 14 del 9 luglio.
Verso le 4.30, la XV
Squadriglia Cacciatorpediniere avvista delle grosse ombre verso est, il lato da
cui si prevede che possa essere il nemico, e lo comunica all’ammiraglio
Campioni. Si tratta degli incrociatori pesanti della III Divisione (Trento, Trieste e Bolzano)
che stanno passando ad est del gruppo «Cesare» a seguito di un ordine
dell’ammiraglio Paladini, ma Campioni, che Paladini – ritenendo che questi
avesse intercettato l’ordine, inviato a mezzo radiosegnalatore – non ha
informato dell’ordine alla III Divisione di proseguire verso nord (che
contrasta con quanto ordinato in precedenza da Campioni), ritiene che siano
navi nemiche e manda la XV Squadriglia ad attaccarle (questa lancia due siluri,
per fortuna senza colpire), e poco dopo impartisce analogo ordine anche alla
VIII Squadriglia. Quest’ultima riconosce però il profilo delle navi “nemiche”
come quello di incrociatori classe Trento,
e permette così di chiarire l’equivoco senza danni.
Nel corso della
mattinata, il numero dei cacciatorpediniere nella flotta italiana subisce una
drastica riduzione: tra le 10.30 e le 12.30, infatti, sia il Dardo che lo Strale vengono colti da avarie di macchina e sono costretti a
rientrare a Taranto, dimezzando la consistenza numerica della VII Squadriglia;
sempre durante il mattino, l’ammiraglio Campioni autorizza le Squadriglie
Cacciatorpediniere VIII, XIII, XV e XVI (in totale tredici unità), a corto di
carburante, a raggiungere le basi della Sicilia orientale per rifornirsi
rapidamente di nafta e poi ricongiungesi con la flotta alle 14 o, al più tardi,
alle 16. In realtà, nessuna di queste squadriglie riuscirà a riunirsi alla
flotta prima che la battaglia abbia luogo: nelle ore successive, Saetta e Freccia si ritrovano così ad essere gli unici cacciatorpediniere di
scorta alle due corazzate della V Divisione.
Verso le 13, dopo una
mattinata di infruttuosi voli di ricognizione, un velivolo italiano avvista la
Mediterranean Fleet 80 miglia a nordest della V Divisione, ossia molto più a
nord di quanto previsto, ed in posizione adatta ad interporsi tra la flotta
italiana e la base di Taranto: l’ammiraglio Campioni inverte allora la rotta,
ed ordina a Paladini, che si trova più a sud e sta dirigendo per
ovest-sud-ovest, di fare altrettanto, accostando ad un tempo per riunire più
rapidamente le due Squadre.
Verso le 13 la 1a e
2a Squadra, ormai riunite, si dispongono su quattro colonne,
distanziate di cinque miglia l’una dall’altra: la dimezzata VII Squadriglia
Cacciatorpediniere, con Saetta e Freccia, forma la terza colonna della
formazione insieme alle corazzate Giulio
Cesare e Conte di Cavour, mentre tre miglia più ad ovest si trova la seconda colonna (quella
di dritta) formata dal Pola, dalla I
e III Divisione incrociatori e dalla XI e XII Squadriglia Cacciatorpediniere;
la prima colonna, ancora più ad ovest, è costituita dalla VII Divisione con la
XIII Squadriglia Cacciatorpediniere, mentre la quarta colonna (quella di
sinistra), ad est della V Divisione, è formata dalle Divisioni IV e VIII e dai
cacciatorpediniere della IX e XIV Squadriglia (quest’ultima mandata da Taranto
in sostituzione dei cacciatorpediniere inviatati a rifornirsi e non ancora
tornati). La V Divisione e la VII Squadriglia dirigono per 168° a 18 nodi,
verso il punto di riunione delle 14.
Poco prima delle
13.30 vengono avvistate per rilevamentO
210° tre navi che vengono inizialmente ritenute tre corazzate nemiche: in
realtà sono gli incrociatori della VII Divisione. La flotta italiana assume
rotta 270° con le tre colonne schierate per 292°, ma alle 13.30 un ricognitore
indica l’avvistamento di due corazzate e otto cacciatorpediniere con rotta 330°
e velocità 22 nodi, un’ottantina di miglia a nordest della flotta italiana,
così aiutando a chiarire l’equivoco; l’ammiraglio Campioni inverte
immediatamente la rotta, dirigendo per 30°.
Alle 14.05 ha inizio
l’avvicinamento alla flotta britannica; la flotta italiana, su tre colonne con
la V Divisione al centro, IV e VIII Divisione cinque miglia più ad est e gruppo
«Pola» tre miglia ad ovest delle corazzate, assume rotta 010°. Alle 14.45 uno
degli idroricognitori catapultati dalle navi italiane segnala che il nemico
dista una trentina di miglia, e tra le 14.50 e le 15.10 le due flotte si
avvistano reciprocamente.
Alle 15.15 gli
incrociatori aprirono il fuoco, seguiti alle 15.23 anche dalle corazzate, che
al contempo, insieme al gruppo «Pola», accostano a un tempo di 60° a dritta
(verso il nemico) e così si spostano ad est/nordest insieme agli incrociatori
pesanti per supportare gli incrociatori leggeri, i primi ad essere impegnati in
combattimento.
Incrociatori e corazzate
cessano poi il fuoco rispettivamente alle 15.31 ed alle 15.35, per poi
riprenderlo dalle 15.48 alle 16.04 (corazzate) e dalle 15.56 alle 16.15
(incrociatori). Nel frattempo, Campioni ordina di assumere orientamento 10° per
l’asse del dispositivo di combattimento, ed alle 15.40 dispone lo spiegamento
sulla sinistra.
Fino alle 15.52, Saetta e Freccia evoluiscono a poppavia della V Divisione, ma quando ha
inizio lo scontro tra i grossi calibri delle opposte corazzate, le due navi
della VII Squadriglia si spostano sulla sinistra, per portarsi fuori tiro
rispetto alla portata dei cannoni delle corazzate britanniche, i cui colpi, se
dovessero colpire i piccoli cacciatorpediniere, provocherebbero danni
catastrofici.
Nella seconda fase,
la 2a Squadra manovra per avvicinarsi alle unità avversarie, e
tra le 15.50 e le 16 i suoi incrociatori pesanti, su ordine dell’ammiraglio
Paladini, aprono il fuoco da 20.000-25.000 metri contro gli incrociatori
leggeri britannici del viceammiraglio John Tovey (Orion, Neptune, Sydney, Liverpool e Gloucester),
che rispondono al fuoco con granata perforante e tiro raccolto ma poco
efficace. Durante questa fase, in cui gli opposti schieramenti si scambiano
cannonate da grande distanza senza costrutto, la VII Squadriglia non ha parte rilevante.
Alle 15.59, però,
la Cesare, la nave ammiraglia,
viene danneggiata da un proiettile da 381 mm sparato dalla Warspite, che la costringe ridurre la
velocità prima a 20 e poi a 18 nodi. A seguito di questo evento l’ammiraglio
Inigo Campioni, comandante superiore in mare delle forze italiane, decide di
rompere il contatto (accostando per 270°) per rientrare alle basi, ed alle
16.05 dirama l’ordine generale per le squadriglie di cacciatorpediniere di
attaccare con il siluro le navi della Mediterranean Fleet, in modo da
facilitare lo sganciamento delle navi maggiori.
La posizione
precedentemente assunta da Saetta e Freccia si rivela ideale per iniziare
subito a stendere una cortina fumogena allo scopo di occultare la danneggiata Cesare: e non appena le due corazzate
della V Divisione accostano per rompere il contatto, infatti, i due
cacciatorpediniere cominciano subito ad emettere una cortina fumogena,
dirigendo per nordest. Tale rotta è perfetta anche per portarsi in posizione
idonea a lanciare i siluri, per cui, una volta ricevuto l’ordine di attacco
silurante, la VII Squadriglia prosegue verso nordest fino alle 16.18, quando Saetta e Freccia lanciano dieci siluri da 8500 metri di distanza, contro gli
incrociatori dell’ammiraglio Tovey. Nell’andare all’attacco, non appena giunti
a distanza utile dal nemico per poter aprire il fuoco con i pezzi da 120 mm, i
due cacciatorpediniere iniziarono a sparare contro le navi britanniche,
proseguendo il tiro fino al momento del lancio dei siluri; da parte britannica
non vi è reazione, perché le unità britanniche sono già impegnate con gli
incrociatori e con i cacciatorpediniere della IX Squadriglia.
Il comandante del Saetta vede una colonna d’acqua levarsi
sul fianco del secondo incrociatore nella fila britannica (il Sydney) e ritiene pertanto di averlo
colpito con un siluro, ma si sbaglia; probabilmente la colonna d’acqua è stata
sollevata da un proiettile caduto vicino alla nave. Sarà, con ogni probabilità,
questo errato apprezzamento a far sì che nel bollettino straordinario n. 37
dell’EIAR, trasmesso dopo la battaglia, si dica che: «…Nonostante la contromanovra delle unità nemiche, rivolta a frustrare
l'attacco e a evitare i siluri, uno di questi, lanciato dalla squadriglia Freccia,
raggiungeva un incrociatore nemico» (il bollettino affermerà anche che «Durante la manovra di avvicinamento, questa
squadriglia di nostri cacciatorpediniere abbatteva inoltre tre velivoli inglesi»).
Eseguito il lancio, i
due cacciatorpediniere della VII Squadriglia si rifugiano nella densa cortina
fumogena stesa in precedenza dalla IX Squadriglia.
Successivamente,
nella fase di allontanamento, Saetta
e Freccia vengono bersagliati da
intenso tiro proveniente da quattro cacciatorpediniere britannici, avvistati a
sudovest.
Tra le 16.19 e le
16.30 tre squadriglie di cacciatorpediniere britannici (2th, 10th
e 14th Flotilla) aprono il fuoco contro quelli italiani da
11.250-12.500 metri, appoggiati tra le 16.39 e le 16.41 dal tiro dei pezzi
secondari da 152 mm delle corazzate Warspite
e Malaya. Alle 16.49 la “mischia” tra
cacciatorpediniere, svoltasi a grande distanza, ha termine senza che nessuna
unità sia stata colpita.
Alle 17.02 il Saetta viene mitragliato da aerei,
subendo una decina di feriti tra l’equipaggio.
Terminata la
battaglia, la flotta italiana si avvia alle proprie basi con direttrice di
marcia 230°, passando a sud della Calabria; ma durante il rientro, tra le 16.20
e le 19.30, diviene oggetto anche dell'attacco da parte degli stessi
bombardieri della Regia Aeronautica (una cinquantina, su circa 126 inviati in
totale ad attaccare le forze britanniche), che le attaccano e bombardano
pesantemente per errore di identificazione e malintesi (tra il comando delle
due Squadre Navali e quello della II Squadra Aerea, cui appartengono i bombardieri)
circa la posizione della flotta italiana e di quella britannica. Le insensate
disposizioni vigenti in materia di comunicazioni tra Marina ed Aeronautica, che
non contemplano la possibilità di comunicazioni dirette tra navi e aerei,
impediranno alle prime di segnalare ai secondi l'errore; le stesse navi, non
potendo distinguere la nazionalità degli aerei attaccanti, apriranno un intenso
fuoco con proprie armi contraeree, rafforzando nei piloti l'impressione di
stare attaccando navi nemiche. Alcune delle navi ed alcuni degli aerei,
rispettivamente, cesseranno il fuoco e rinunceranno all'attacco riconoscendo
all'ultimo momento la vera nazionalità del "nemico", ma alla fine gli
attacchi ai danni delle navi italiane eguaglieranno, in intensità, quelli condotti
contemporaneamente contro la vera Mediterranean Fleet. Nessuna nave italiana
sarà, fortunatamente, colpita, mentre un bombardiere Savoia Marchetti S. 79
della 257a Squadriglia (XXXVI Stormo da Bombardamento
Terrestre) finirà abbattuto dal "fuoco amico" delle navi.
L’ammiraglio Campioni, per tentare di chiarire equivoco, ordina di stendere
bandiere italiane sul cielo delle torri e di emettere fumo rosso dai fumaioli
poppieri, pratica convenzionale, nelle esercitazioni in tempo di pace, per segnalare
il gruppo “amico”.
L'incidente sarà poi
fonte di aspre polemiche tra Marina e Aeronautica, ma per lo meno servirà a
dare l'impulso ad un migliore sviluppo della collaborazione aeronavale, che
però raggiungerà risultati soddisfacenti solo nel 1942.
grosso della flotta
italiana fa rotta su Augusta, Saetta
e Freccia ricevono ordine di scortare
a Messina l’incrociatore leggero Luigi Cadorna,
afflitto da un’avaria all’apparato motore che ha costretto a distaccarlo dalla
formazione prima della battaglia. Secondo una fonte risulterebbe che alle 18.40
gli incrociatori leggeri Da Barbiano
e Di Giussano avrebbero invertito la
rotta per soccorrere il Saetta, colto
da avaria, riassumendo la rotta originaria alle 18.50, tenendosi ai lati del Saetta.
Anche la Cesare e la III Divisione dirigono per
Messina, dove entrano verso le 21.
Il Saetta (unità più lontana, sulla sinistra) insieme ai gemelli Dardo e Freccia durante un’esercitazione tenutasi a Gaeta nel luglio 1933 (g.c. Carlo Di Nitto via www.naviearmatori.net) |
1-2 settembre 1940
Partecipa all’uscita
in mare della flotta a contrasto dell’operazione britannica «Hats» (consistente
in varie sotto-operazioni: trasferimento da Gibilterra ad Alessandria, per
rinforzare la Mediterranean Fleet, della corazzata Valiant, della portaerei Illustrious e
degli incrociatori Calcutta e Coventry; invio di un convoglio da
Alessandria a Malta e di uno da Nauplia a Porto Said; bombardamenti su basi
italiane in Sardegna e nell’Egeo): Supermarina ha infatti saputo che sia la
Mediterranean Fleet (da Alessandria) che la Forza H (da Gibilterra) sono uscite
in mare, e si è accordata con la Regia Aeronautica per attaccare la prima con
le forze navali di superficie ed attacchi aerei e la seconda con aerei e
sommergibili
La VII Squadriglia
cui appartiene (con Freccia, Dardo e Strale) parte da Taranto alle sei del mattino del 31 agosto insieme
alla IX Divisione (corazzate Littorio,
nave di bandiera dell’ammiraglio di squadra Inigo Campioni, e Vittorio Veneto), alla V Divisione
(corazzate Duilio, Conte di Cavour e Giulio Cesare, quest’ultima aggregatasi solo il 1° settembre a causa di
avarie), alla I Divisione (incrociatori pesanti Zara, Pola, Fiume e Gorizia), all’VIII Divisione (incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi) ed ad alle
Squadriglie Cacciatorpediniere VIII (Folgore, Fulmine, Lampo, Baleno), X (Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco), XIII (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino), XV (Antonio
Pigafetta, Alvise Da Mosto, Giovanni Da Verrazzano, Nicolò Zeno) e XVI (Nicoloso Da Recco, Emanuele
Pessagno, Antoniotto Usodimare).
Complessivamente all’alba del 31 prendono il mare da Taranto, Brindisi e
Messina 4 corazzate, 13 incrociatori della I, III, VII e VIII Divisione e 39
cacciatorpediniere.
Le due Squadre Navali
italiane (la I Squadra è composta dalle Divisioni V, VII, VIII e IX e dalle
Squadriglie Cacciatorpediniere VII, VIII, X, XIII, XV e XVI; la II Squadra
dal Pola, dalle Divisioni I e
III e dalle Squadriglie Cacciatorpediniere IX, XI e XII), riunite, dirigono per
lo Ionio orientale con rotta 150°. Le forze navali sono però uscite in mare
troppo tardi, hanno l’ordine di evitare uno scontro notturno ed hanno una
velocità troppo bassa (20 nodi), ed hanno l’ordine di cambiare rotta e
raggiungere il centro del Golfo di Taranto se non riusciranno ad entrare in
contatto con il grosso nemico entro il tramonto. Tutto ciò impedisce alle forze
italiane di intercettare quelle britanniche; alle 16 Supermarina ordina un
cambiamento di rotta, che impedisce alla II Squadra, che si trova in posizione
più avanzata della I, di proseguire verso le forze nemiche (l’ammiraglio
Iachino, comandante la II Squadra, ha chiesto ed ottenuto alle 16.30 libertà di
manovra per dirigere contro le forze britanniche, segnalate alle 15.35
a 120 miglia di distanza, ma alle 16.50 tale autorizzazione viene
annullata; comunque la II Squadra non sarebbe egualmente riuscita a
raggiungere le unità avversarie). Alle 17.27 la II Squadra riceve l’ordine
d’invertire la rotta ed assumere rotta 335° e velocità 20 nodi, come la I
Squadra.
Alle 22.30 la
formazione italiana, che procede a 20 nodi, riceve l’ordine di impegnare le
forze nemiche lungo la rotta 155°, a nord della congiungente Malta-Zante,
dunque deve cambiare la propria rotta per raggiungerle (o non potrebbe prendere
contatto con esse), dirigendo più verso sudovest (verso Malta) e superando la
congiungente Malta-Zante. Il mattino del 1° settembre, tuttavia, il vento, già
in aumento dalla sera precedente, dà origine ad una violenta burrasca da
nordovest forza 9, che verso le 13 costringe la flotta italiana a tornare alle
basi, perché i cacciatorpediniere non sono in grado di tenere il mare
compatibilmente con le necessità operative (non potendo restare in formazione
né usare l’armamento). Poco dopo la mezzanotte del 1° settembre le unità
italiane entrano nelle rispettive basi; tutti i cacciatorpediniere sono stati
danneggiati (specie alle sovrastrutture) dal mare mosso, alcuni hanno perso
degli uomini in mare. Le navi verranno tenute pronte a muovere sino al
pomeriggio del 3 settembre, ma non si concretizzerà alcuna nuova occasione.
29 settembre-1° ottobre 1940
Lascia Taranto alle
19.30 del 29 settembre, insieme ai gemelli Dardo e Strale nonché
all’incrociatore pesante Pola,
alle Divisioni I (incrociatori pesanti Zara, Fiume, Gorizia), V (corazzate Giulio
Cesare e Conte di Cavour), VII (incrociatori
leggeri Muzio Attendolo e Raimondo Montecuccoli, da Brindisi),
VIII (incrociatori leggeri Giuseppe Garibaldi e Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi) e IX
(corazzate Littorio e Vittorio Veneto) e le Squadriglie
Cacciatorpediniere X (Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco),
XIII (Granatiere, Bersagliere, Alpino), XV (Alvise Da Mosto, Giovanni Da Verrazzano) e
XVI (Emanuele Pessagno, Antoniotto
Usodimare) (il Pola con la I Divisione e 4
cacciatorpediniere partono alle 18.05 e le altre unità alle 19.30) e da Messina
la III Divisione con 4 cacciatorpediniere per contrastare un’operazione
britannica in corso, la «MB. 5». Quest’ultima consiste nell’invio a Malta degli
incrociatori Liverpool e Gloucester con 1200 uomini e
rifornimenti e nell’invio da Porto Said al Pireo del convoglio «AN. 4», il
tutto con l’uscita in mare delle corazzate Valiant e Warspite,
della portaerei Illustrious, degli
incrociatori York, Orion e Sydney e di undici cacciatorpediniere a copertura
dell’operazione.
La formazione uscita
da Taranto assume rotta 160° e velocità 18 nodi, riunendosi con le navi
provenienti da Messina alle 7.30 del 30 settembre. In mancanza di elementi
sufficienti ad apprezzare la composizione ed i movimenti della Mediterranean
Fleet ed in considerazione dello svilupparsi di una burrasca da Scirocco (che avrebbe reso
impossibile una navigazione ad alta velocità verso sud da parte dei
cacciatorpediniere) Supermarina decide di rinunciare a contrastare l’operazione
ed ordina alle unità in mare di invertire la rotta alle 6.25 del 30 ed
incrociare dapprima tra i paralleli 37° e 38°, poi (dalle 10.30) 38° e 39° ed
alle 14 fare rotta verso sudovest sino a raggiungere il 37° parallelo, poi,
alle 17.20, di rientrare alle basi. Navigando nella burrasca, la flotta
italiana raggiunge le basi tra l’una e le quattro del mattino del 1° ottobre,
vi si rifornisce in fretta e rimane in attesa di un’eventuale nuova uscita per
riprendere il contrasto, ma in base alle nuove informazioni ottenute ciò
risulterà impossibile, pertanto, alle 14.00 del 2 ottobre, le navi riceveranno
l’ordine di spegnere le caldaie.
11-12 ottobre 1940
Dato che alle 8.45
dell’11 ottobre un velivolo di linea italiano ha avvistato 20 navi britanniche
(15 navi da guerra e 5 di tipo imprecisato) in posizione 35°20’ N e 15°40’ O, a
65 miglia per 115° da (ad est-sudest di) Malta – si tratta dell’intera Mediterranean
Fleet, uscita in mare l’8 ottobre per fornire scorta a distanza ad un convoglio
diretto a Malta ed ora, dopo l’arrivo in porto dei mercantili (avvenuto l’11
ottobre), in attesa di assumere la scorta di tre piroscafi scarichi di ritorno
ad Alessandria d’Egitto – Supermarina, tra le diverse contromisure ordinate
(ricognizioni con aerei, invio di MAS in agguato notturno al largo della
Valletta, approntamento delle due squadre navali, messa in allarme delle difese
di Taranto, della Sicilia e della Libia, interruzione del traffico tra Italia e
Libia), decide di inviare numerose siluranti a controllare e, in caso di
avvistamento di unità avversarie, attaccare (ricerca offensiva, da svolgersi
nottetempo). La VII Squadriglia esegue, nella notte tra l’11 ed il 12, una
ricerca a rastrello sulla congiungente Marettimo-Zembra al largo di Capo Bon
(nell’ipotesi di transito di navi provenienti o dirette a Malta), ma non trova
nulla. A trovare il nemico saranno la I Squadriglia Torpediniere e la XI
Squadriglia Cacciatorpediniere, inviate più ad est, scatenando un combattimento
nel quale affonderanno il cacciatorpediniere Artigliere e le torpediniere Airone
ed Ariel.
22 ottobre 1940
Saetta, Freccia (caposquadriglia
e caposcorta), Dardo e Strale salpano da Palermo sostituendo le
torpediniere Clio e Calliope nella scorta dei trasporti
truppe Esperia e Marco Polo, provenienti da Napoli e
diretti a Tripoli. Alle 17 lo Strale,
per avarie di macchina, deve raggiungere Trapani; riparata l’avaria, ne riparte
l’indomani alle 13.
23 ottobre 1940
Il convoglio arriva a
Tripoli alle 14.40.
24 ottobre 1940
Saetta, Freccia
(caposcorta), Dardo e Strale ripartono da Tripoli alle 9.15,
sempre scortando Esperia e Marco Polo, ora diretti a Bengasi.
25 ottobre 1940
Il convoglio arriva a
Bengasi alle 9.30, e poi riparte per tornare a Tripoli alle 17, dopo che i
piroscafi hanno sbarcato le truppe.
26 ottobre 1940
Il convoglio giunge a
Tripoli alle 16.
27 ottobre 1940
Esperia e Marco Polo,
sempre scortati dalla VII Squadriglia, ripartono da Tripoli alle 21 per tornare
in Italia.
28 ottobre 1940
La VII Squadriglia
lascia la scorta alle 18.15, in prossimità di Trapani, venendo sostituita dalla
torpediniera Alcione, che
accompagna i due piroscafi nell’ultimo tratto di navigazione (fino a Napoli).
11-12 novembre 1940
Il Saetta si trova ormeggiato in Mar
Piccolo a Taranto (in banchina, insieme agli incrociatori pesanti Pola e Trento, agli incrociatori leggeri Duca degli Abruzzi e Garibaldi,
ai cacciatorpediniere Freccia, Dardo, Strale, Maestrale, Libeccio, Grecale, Scirocco, Camicia Nera, Carabiniere, Corazziere, Ascari, Lanciere, Geniere, Da Recco, Pessagno ed Usodimare,
alle torpediniere Pallade, Polluce, Partenope e Pleiadi, alla
portaidrovolanti Giuseppe Miraglia,
al posamine Vieste ed al rimorchiatore
di salvataggio Teseo), quando la base
viene attaccata da aerosiluranti britannici che affondano la corazzata Conte di Cavour e pongono fuori uso la Littorio e la Duilio.
Mentre gli
aerosiluranti attaccano le corazzate, cinque bombardieri attaccano a più
riprese le unità presenti in Mar Piccolo, a scopo diversivo, sganciando
complessivamente una sessantina di bombe.
Alle 23.15 dell’11 le
navi in Mar Piccolo aprono il fuoco contro alcuni aerei che sganciano bombe da
una quota valutata in 500 metri; gli ordigni inquadrano i posti d’ormeggio dei
cacciatorpediniere, ma solo uno va a segno, senza esplodere (sul Libeccio, che riporta solo lievi danni).
26-28 novembre 1940
Tra le 11.50 e le
12.30 del 26 (per una fonte, a mezzogiorno) il Saetta lascia Napoli unitamente al Dardo ed al Freccia (la
VII Squadriglia è al comando del capitano di fregata Amleto Baldo), alla XIII
Squadriglia Cacciatorpediniere (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino)
ed alle corazzate Vittorio Veneto e Giulio Cesare (prendono il mare al contempo anche l’incrociatore
pesante Pola, la I Divisione con
due unità e la IX Squadriglia Cacciatorpediniere con quattro unità). La
formazione italiana (vi sono anche la III Divisione e la XII Squadriglia
Cacciatorpediniere partite da Messina) si riunisce 70 miglia a sud di Capri
alle 18.00 del 26 novembre, assumendo poi rotta 260° e velocità 16 nodi, per
intercettare un convoglio britannico diretto a Malta. VII e XIII Squadriglia
scortano le due corazzate (così formando la I Squadra). Tra le 8.30 e le 9.10
la I Squadra, rimanendo indietro rispetto agli incrociatori (che formano la II
Squadra), a poppavia dei quali sta procedendo, accelera a 17 e poi a 18 nodi
per ridurre la distanza. Alle 9.50 le corazzate avvistano un ricognitore
britannico Bristol Blenheim, contro cui aprono il fuoco alle 10.05 (il velivolo
si allontana). Alle 11 la formazione inverte la rotta ed aumenta la velocità da
16 a 18 nodi, ed alle 11.28 assume rotta 135°, per intercettare la formazione
britannica che (dalle segnalazioni dei ricognitori) risulta avere posizione
differente da quella prevista. Alle 12.07, in seguito alla constatazione che la
formazione britannica appare superiore a quella italiana (i cui ordini sono di
impegnarsi solo se in condizioni di sicura superiorità) l’ammiraglio Inigo
Campioni, al comando della flotta italiana, ordina di assumere rotta 90° per
rientrare alle basi senza ingaggiare il combattimento, e di aumentare la
velocità. Alle 12.15, tuttavia, vengono avvistate le sopraggiungenti navi
britanniche, pertanto viene ordinato di incrementare ancora la velocità (che è
di 25 nodi per la I Squadra e di 28 per la II Squadra, che deve riunirsi alla I
essendo più indietro). Alle 12.20 gli incrociatori della II Squadra aprono il
fuoco da 21.500-22.000 metri. Per avvicinarsi rapidamente alla II Squadra, alle
12.27 la I Squadra inverte la rotta ad un tempo sulla dritta, ed alle 12.35
inverte nuovamente la rotta, sempre a dritta; poco dopo un gruppo di
aerosiluranti britannici, decollati dalla portaerei Ark Royal, si porta a 650 metri dalle corazzate (tra queste ed i
cacciatorpediniere della scorta) e lancia infruttuosamente i propri siluri,
undici, tutti evitati con la manovra. I cacciatorpediniere rispondono con un
intenso tiro delle mitragliere contraeree, così come le corazzate (con i loro
pezzi da 90 ed anche da 152 mm oltre alle mitragliere). Alle 13.00 la Vittorio Veneto apre il fuoco da
poco meno di 29.000 metri, ma le unità britanniche subito accostano a dritta e
la distanza aumenta a 31.000 metri, costringendo la corazzata a cessare il
fuoco già alle 13.10. Alle 13.15, essendo la distanza (della II Squadra dalle
forze britanniche) salita a 26.000 metri, il tiro viene cessato anche dagli
incrociatori, viene rotto il contatto. Ha così fine l’inconclusiva battaglia di
Capo Teulada. Alle 21 del 27 novembre le navi italiane assumono rotta nord a 15
nodi e procedono sino alle 00.30, poi dirigono verso est fino alle 7.30 del 28,
dopo di che seguono le rotte costiere, arrivando a Napoli tra le 13.25 e le
14.40 del 28.
5 dicembre 1940
Durante
un’esercitazione congiunta della VII e della VIII Squadriglia Cacciatorpediniere
nel Golfo di Taranto, il Saetta ed il
Dardo, per errori di manovra,
rischiano di entrare in collisione con lo Strale, che riesce ad evitarli di stretta misura.
15 dicembre 1940
Intorno alle 17 la
VII Squadriglia, insieme alle Squadriglie Cacciatorpediniere IX e XIII, alle
corazzate Giulio Cesare e Vittorio Veneto ed agli incrociatori pesanti Zara e Gorizia, lascia Napoli diretto a La Maddalena, dove le navi sono
state temporaneamente trasferite per sottrarle ad altri attacchi aerei
britannici dopo che, nelle settimane precedenti, vari bombardamenti hanno
causato vari danni. Le unità rimangono a La Maddalena, porto non molto più al
sicuro di Napoli dagli attacchi aerei, solo per i pochi giorni necessari
all’approntamento a Napoli di adeguate contromisure contro i bombardamenti (tra
cui impianti per l’annebbiamento del porto).
Foto ufficiale del Saetta (da www.marina.difesa.it) |
Inverno 1940-1941
Partecipa, con altre
unità (incrociatori leggeri Eugenio
di Savoia, Duca d’Aosta, Attendolo e Montecuccoli della VII Divisione,
incrociatori leggeri Duca degli
Abruzzi e Garibaldi
dell’VIII Divisione, cacciatorpediniere Folgore, Fulmine, Lampo e Baleno della VIII Squadriglia nonché i suoi compagni di
squadriglia Freccia, Dardo e Strale), a crociere notturne (tra i paralleli 39°45’ N e 40°18’ N,
con l’impiego di due incrociatori ed una squadriglia di cacciatorpediniere ogni
volta) a protezione dei convogli che trasportano in Albania i rifornimenti per
le truppe italiane impegnate sul fronte greco-albanese, nonché ad azioni di
bombardamento navale a supporto delle stesse operazioni.
11-12 gennaio 1941
Il Saetta, insieme al Freccia, alla X Squadriglia Cacciatorpediniere (Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco) e ad una sezione della XIII
Squadriglia Cacciatorpediniere (Granatiere ed Alpino), parte da La Spezia alle 4
dell’11 gennaio, scortando le corazzate Andrea Doria e Vittorio
Veneto (nave di bandiera dell’ammiraglio di squadra Angelo Iachino)
inviate ad intercettare e finire la portaerei britannica Illustrious, che è stata gravemente
danneggiata dalla Luftwaffe, nel canale di Sicilia (cioè a più di un giorno di
navigazione da La Spezia). Le navi dirigono verso sud a 20 nodi, ma alle 14.30
Supermarina, informata che l’Illustrious ha
già raggiunto Malta nella notte precedente, ordina a Iachino, che si trova in
quel momento nelle aque delle Isole Pontine, di tornare indietro. Durante il
rientro alla base le navi effettuano una serie di esercitazioni di tiro e di
manovra, per poi giungere a La Spezia alle 9 del 12 gennaio.
22 gennaio 1941
Saetta e Freccia (caposcorta)
partono da Napoli alle 19 scortando i trasporti truppe Esperia, Conte Rosso, Marco Polo e Victoria, diretti a Tripoli. A
Trapani le due unità vengono sostituite nella scorta dai
cacciatorpediniere Tarigo, Vivaldi (caposcorta), Malocello e Da Noli .
25 gennaio 1941
Saetta, Freccia (caposcorta)
e Tarigo partono da Tripoli
scortando Esperia, Victoria, Conte Rosso e Marco
Polo.
26 gennaio 1941
All’1.25 il
sommergibile britannico Upholder (tenente
di vascello Malcolm David Wanklyn), in agguato presso la boa n. 4 delle
Kerkennah, sente i rumori del convoglio in avvicinamento, del quale avvista
alcune navi all’1.30. All’1.35 l’Upholder lancia
due siluri ad un mercantile che dista 2300 metri, dopo un minuto vira per
evitare un cacciatorpediniere ed avvista così altri due mercantili, contro uno
dei quali lancia altri due siluri, da 2750 metri, all’1.47, per poi immergersi
ed allontanarsi all’1.49. Nessuna nave viene colpita.
27 gennaio 1941
Il convoglio giunge a
Napoli alle 10.
5 febbraio 1941
Saetta, Freccia (caposcorta)
e Tarigo partono da Napoli alle 18.30
(o 19), scortando Esperia, Conte Rosso, Marco Polo e Calitea.
I quattro mercantili trasportano truppe e materiali della 132a Divisione
corazzata "Ariete", in corso di trasferimento in Libia.
6 febbraio 1941
A causa del maltempo,
i tre cacciatorpediniere della scorta sono costretti a rifugiarsi a Palermo,
dove giungono alle 15; deve allora sostituirli nella scorta ai trasporti truppe
l’incrociatore Bande Nere (ammiraglio
di divisione Alberto Marenco di Moriondo, inviato da Palermo).
Passato il maltempo e
giunto il convoglio a destinazione, i cacciatorpediniere vengono inviati a
Tripoli per scortare i trasporti nel viaggio di ritorno.
9 febbraio 1941
Saetta, Freccia (caposcorta,
capitano di vascello Amleto Baldo), Tarigo,
Malocello e la torpediniera Aldebaran partono da Tripoli alle 18.30
scortando Esperia, Conte Rosso, Marco Polo e Calitea,
che hanno imbarcato 5000 profughi civili (2000 per altra versione) in fuga
dall’avanzata delle forze britanniche (sta terminando l’operazione «Compass»:
le forze britanniche hanno conquistato l’intera Cirenaica ed annientato la X
Armata italiana, e si teme una loro avanzata anche in Tripolitania).
Durante la
navigazione, Calitea ed Aldebaran si separano dal resto del
convoglio, per raggiungere Palermo.
Alle 19.36 il
sommergibile britannico Usk (capitano
di corvetta Peter Ronald Ward) avvista due unità del convoglio a 3200-3660
metri di distanza, al largo di Tripoli, e cinque minuti dopo lancia due siluri
contro la nave di testa. I siluri hanno corsa irregolare e mancano il
bersaglio; l’Usk s’immerge poco
dopo.
Poche ore dopo, alle
22.20, è un altro sommergibile britannico, il Truant (capitano di corvetta Hugh Alfred Vernon Haggard), ad
avvistare il convoglio italiano, in posizione 33°41’ N e 13°51’ E (una
sessantina di miglia a nordest di Tripoli), mentre procede su rotta 350°, a 7-8
miglia di distanza. Alle 23 il battello britannico lancia sei siluri, ma
nessuno di essi raggiunge il bersaglio, e le navi del convoglio non si
accorgono neanche dell’attacco.
11 febbraio 1941
Esperia, Conte Rosso, Marco Polo ed i cacciatorpediniere
arrivano a Napoli alle cinque. Calitea ed
Aldebaran vi giungeranno un giorno
più tardi.
17 febbraio 1941
Saetta e Freccia (caposcorta)
salpano da Napoli per Tripoli all’una di notte, scortando i piroscafi tedeschi Maritza, Menes, Arta ed Heraklea. A Palermo la scorta viene
rinforzata dal cacciatorpediniere Turbine.
19 febbraio 1941
Alle 23.10, in
posizione 32°52’ N e 12°48’ E, il sommergibile britannico Upholder (capitano di corvetta Malcolm David Wanklyn) avvista il
convoglio di cui fa parte il Saetta,
con rotta 095°, ed alle 23.26 lancia due siluri da 1370 metri contro l’Heraklea, per poi scendere a 55 metri di
profondità. L’Heraklea avvista le
scie dei siluri e riesce ad evitarli con una brusca accostata a dritta.
20 febbraio 1941
Il convoglio giunge a
Tripoli alle 6.
Cacciatorpediniere all’ormeggio in tempo di pace: il Saetta è il secondo da destra; primo a
destra il gemello Dardo, mentre
andando verso sinistra si distinguono Strale,
Nembo, Ostro, Folgore, Fulmine e due unità non megli
identificabili della classe Turbine (foto NHHC via Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net). Sotto, un’altra
foto scattata nella stessa occasione (Coll. Luigi Accorsi via www.associazione-venus.it)
21 febbraio 1941
Saetta (capitano di corvetta Carlo Unger di Löwenberg), Freccia (caposcorta, capitano di
vascello Amleto Baldo) e Turbine
(capitano di corvetta Marano) ripartono da Tripoli alle 8 scortando Maritza, Menes ed Heraklea che
rientrano scarichi.
Alle 13.55 il
sommergibile britannico Regent (capitano
di corvetta Hugh Christopher Browne) avvista in posizione 33°39’ N e 12°51’ E
il convoglio di cui fa parte il Saetta.
Alle 14.26 il Regent lancia due
siluri contro il piroscafo di testa, il più grande, da una distanza di 2300
metri.
Alle 14.30 il Menes colpito a centro nave da un siluro
lanciato da un sommergibile. Il Turbine
(che ha avvistato la scia del siluro, ma troppo tardi per poter evitare che
andasse a segno) e poi anche il Freccia
si portano sul punto di lancio del siluro ed attacca ripetutamente il
sommergibile con bombe di profondità, fino a ritenere – a torto – di averlo
affondato. Intanto, mentre Heraklea e
Maritza accostano rispettivamente in
fuori a sinistra ed a dritta, per poi riunirsi ed allontanarsi dalla zona
pericolosa, il Saetta si dirige verso
il Menes, che sta calando le proprie
scialuppe; il piroscafo è immobilizzato, ma galleggia ancora. Al contempo, il
comandante Unger di Löwenberg segnala al Freccia,
col radiosegnalatore, la rotta vera di provenienza dei siluri, che ha rilevato
alla bussola. Alle 14.38 dal Saetta
viene visto uno scafo capovolto tondeggiante affiorare in superficie per pochi
secondi a poppavia del Freccia, per
poi sparire subito tra la schiuma che ribolle sul mare; il Turbine spara due colpi da 120 mm, e vengono sentiti altri scoppi
di bombe di profondità. È questo l’avvenimento che induce la scorta,
erroneamente, a credere che il sommergibile sia stato affondato: infatti alle
14.39, mentre il Saetta è fermo
vicino al Menes, il Freccia comunica per radiosegnalatore
che «Il sommergibile è stato affondato». In realtà, il Regent è stato soltanto danneggiato.
Alle 14.50 giunge sul
Saetta la prima scialuppa del Menes, con quattro feriti; cinque minuti
dopo, vedendo in mare altre lance di salvataggio, il comandante Unger di
Löwenberg fa armare una scialuppa vuota con marinai del Saetta e la manda a prendere a rimorchio le altre imbarcazioni.
Vengono così recuperati tutti i naufraghi del Menes, in numero di 69, quattro dei quali feriti (uno in modo
grave, tre meno gravemente); due uomini del piroscafo risultano dispersi.
Unger di Löwenberg si
consulta poi col comandante del Menes,
capitano Ines Iepsen, e con l’ufficiale di collegamento della Regia Marina su
quel piroscafo, tenente di vascello Di Persico, e giunge alla conclusione che
il bastimento possa continuare a galleggiare e sia rimorchiabile, opinione che
comunica al Freccia alle 15.17. Tre
minuti dopo, il Freccia ordina
pertanto al Saetta di prendere a
rimorchio il Menes e di portarlo a
Tripoli, che dista solo tre miglia e mezzo.
Nel frattempo, Maritza ed Heraklea sono tornati sulla rotta e si stanno allontanando,
scortati dal Turbine; alle 15.40
anche il Freccia lascia il luogo del
siluramento per ricongiungersi col convoglio, lasciando il Saetta a provvedere al rimorchio del Menes.
Alle 16 il comandante
Unger di Löwenberg manda sul Menes
otto membri dell’equipaggio del piroscafo, guidati dal capitano Iepsen, dal
tenente di vascello Di Persico e dal secondo capo segnalatore Antonio Guidi,
con i seguenti ordini: cercare i due dispersi; appurare le condizioni di
galleggiabilità della nave; approntare i cavi di rimorchio. Il gruppetto non
riesce a trovare traccia dei due dispersi, ma riferisce che il siluro ha
colpito lo scafo a centro nave sulla dritta, in corrispondenza del fumaiolo,
circa due metri sotto la linea di galleggiamento; l’allagamento interessa la
sala macchine, le caldaie ed alcune stive. Dato che il Menes si presenta totalmente dritto e con soltanto un lieve
appoppamento, Unger di Löwenberg decide per il rimorchio.
Alle 16.40 si riesce
a fabbricare un cavo di rimorchio lungo circa 400 metri mettendo a doppino uno
spezzone di cavo d’acciaio lungo 200 metri e circa 200 metri di cavi di canapa
(non è possibile usare le catene delle ancore del Menes, mancando il vapore ai verricelli); preparato il rimorchio,
alle 18.35 il Saetta mette in moto
una macchina a 30 giri e, non appena il rimorchio è steso ed il Menes ha acquisito un minimo di
abbrivio, mette in moto anche l’altra macchina, sempre a 30 giri. Si procede
poi ad aumentare gradatamente i giri, fino a raggiungere una velocità di tre
nodi e mezzo, e si punta su Tripoli.
22 febbraio 1941
Saetta e Menes entrano a
Tripoli alle 7 del mattino, dopo quasi tredici ore di difficile rimorchio, in
condizioni meteorologiche non buone e col rischio di essere attaccati dagli
altri sommergibili presenti in zona. Una volta in porto, il Saetta si ormeggia al Molo Sottoflutto e
manda tutti i naufraghi del Menes
sulla nave soccorso Giuseppe Orlando.
27 febbraio 1941
Il Saetta ed i cacciatorpediniere Ascari, Baleno ed Antonio Da Noli (caposcorta) salpano da
Tripoli alle 19 diretti a Napoli, scortando Esperia, Victoria, Conte Rosso e Marco
Polo che hanno a bordo altri 3750 profughi civili e 1860 militari
(1200 dell’Aeronautica, 400 dell’Esercito e 260 della Marina, compresi alcuni
naufraghi dell’incrociatore Diaz)
rimpatriati dalla Cirenaica invasa dai britannici.
1° marzo 1941
Il convoglio giunge a
Napoli a mezzogiorno.
19 marzo 1941
Saetta (caposcorta), Fulmine
e Baleno partono da Napoli per
Tripoli alle 2.30 scortando i piroscafi tedeschi Arcturus, Santa Fe, Procida e Wachtfels.
21 marzo 1941
Il convoglio arriva a
Tripoli alle 15.
23 marzo 1941
Saetta (caposcorta), Fulmine
e Baleno ripartono da Tripoli alle
8.30 per scortare Arcturus, Procida, Santa Fe e Wachtfels che
tornano a Napoli.
25 marzo 1941
Il convoglio arriva a
Napoli alle 13.
2 aprile 1941
Il Saetta (caposcorta, capitano di corvetta
Sandrelli), il Turbine e la
torpediniera Orsa partono da Napoli
per Tripoli alle 11.30, scortando i piroscafi tedeschi Alicante, Maritza, Procida e Santa Fe e l’italiano Tembien.
Il convoglio, che mantiene una velocità di 8-10 nodi, viene mandato sulla rotta
di ponente (Canale di Sicilia e Kerkennah) mentre sulla rotta di levante (che
passa ad est di Malta) viene inviato un convoglio veloce di trasporti truppe:
scopo dell’invio contemporaneo dei due convogli è di confondere le idee ai
ricognitori nemici.
5 aprile 1941
Il convoglio giunge a
Tripoli alle 00.45, dopo aver respinto l’attacco di un sommergibile.
7 (o 8) aprile 1941
Il Saetta parte da Tripoli alle 4.30 per
scortare in Italia, insieme a Turbine
ed Orsa, il convoglio «Maritza»
composto dai piroscafi tedeschi Maritza, Procida, Alicante e Santa Fe che
ritornano scarichi.
A mezzogiorno il
convoglio è costretto a tornare in porto a causa del maltempo. (Per altra
versione sarebbe tornata indietro la sola scorta, rimpiazzata dapprima dalla
torpediniera Calliope, mandata da
Trapani, e poi dal cacciatorpediniere Scirocco,
salpato da Pozzuoli).
9 aprile 1941
In mattinata le navi
lasciano nuovamente Tripoli.
11 aprile 1941
Il convoglio giunge a
Napoli alle 10.
(Vi è però, nel
volume U.S.M.M. sulla difesa del traffico con l’A.S. dal 10.6.1940 al
30.9.1941, una incongruenza: secondo la stessa cronologia, infatti, Saetta – caposcorta –, Turbine e Pegaso sarebbero anche partiti da Tripoli per Napoli alle 22 del
10, scortando i piroscafi Tembien e Capo Orso. Il convoglio giunge a Napoli
alle 14.30 del 13).
21 aprile 1941
Saetta, Folgore (caposcorta),
Turbine e Strale salpano da Napoli alle 2.30 (per altra fonte, alle 17)
scortando i piroscafi tedeschi Arcturus, Castellon e Leverkusen e la motonave
italiana Giulia (convoglio
«Arcturus»). Al convoglio si aggrega poi anche il piroscafo tedesco Wachtfels, partito da Palermo; le navi
sono poi avviate a Tripoli lungo la rotta delle Kerkennah.
Nel pomeriggio – a
seguito dell’avvistamento, da parte della ricognizione aerea, di unità leggere
di superficie a Malta – il convoglio viene momentaneamente dirottato a Palermo,
poi viene fatto proseguire ma, per fornire scorta a distanza nel Canale di
Sicilia, vengono fatti uscire in mare anche gli incrociatori leggeri Giovanni delle Bande Nere (nave di
bandiera dell’ammiraglio Porzio Giovanola) e Luigi Cadorna, ed i cacciatorpediniere Maestrale e Scirocco.
22 aprile 1941
Alle 22.50 il Turbine avvista un sommergibile
emerso sulla dritta del convoglio, al largo di Marettimo, tenta vanamente di
speronarlo e, dopo che questi si è immerso, lo bombarda, ancora
infruttuosamente, con bombe di profondità.
23 aprile 1941
Alle 15.41, a 2,9
miglia per 320° dalla boa n. 1 delle secche di Kerkennah, il Turbine avvista il periscopio di un
sommergibile e lo attacca con bombe di profondità, senza risultato.
Sempre nei pressi
delle boe delle Kerkennah vengono incontrate delle barche, che il caposcorta
sospetterà appartenere al «servizio informazioni del nemico» per il loro
atteggiamento (pressoché ferme sulla rotta Pantelleria-boa n. 1), per quanto
un’ispezione non porti a trovare radio od altre prove.
Nel tardo pomeriggio,
presso le boe 3 e 4 delle secche di Kerkennah (cioè ad est delle Kerkennah), il
convoglio viene raggiunto dal gruppo di scorta in diretta, che manda lo Scirocco per prendere accordi circa
le rotte da percorrere nella notte, e si posiziona a poppavia del convoglio.
24 aprile 1941
Alle 00.44 si vedono
chiaramente, su rilevamento 80°, proiettili illuminanti e poi violento tiro
battente, ad una distanza di almeno 30 miglia. Convoglio e scorta diretta ed
indiretta deviano dalla rotta dirigendo verso ponente, in modo da allontanarsi
dal potenziale pericolo. Entrambi i gruppi incrociano poi al largo di Ras
Turgoeness, del quale non si fede il faro, in attesa del giorno, per poter
atterrare; tutti si tengono pronti a reagire ad eventuali attacchi.
Durante la notte,
salpa da Malta per intercettare il convoglio la 14th Destroyer
Flotilla britannica, con i cacciatorpediniere Jervis, Janus, Jaguar e Juno; i cacciatorpediniere britannici non riescono a trovare il
convoglio ed incontrano invece l’incrociatore ausiliario Egeo, che verrà affondato dopo un impari
combattimento. I bagliori visti durante la notte sono quelli del combattimento
nel quale viene affondato l’Egeo, che
ha infatti avuto inizio alle 00.40.
Il convoglio arriva a
Tripoli alle 17, poco dopo la conclusione di un pesante bombardamento aereo.
Durante tutto il viaggio, aerei della Regia Aeronautica e del X Corpo Aereo
Tedesco provvedono continuamente a sorvegliare i cieli del convoglio.
30 aprile 1941
Saetta, Turbine, Folgore (caposcorta, capitano di
fregata Giuriati) e Strale partono da
Tripoli alle 18 per scortare a Napoli un convoglio di cinque mercantili,
quattro tedeschi (Arcturus, Leverkusen, Castellon e Wachtfels)
ed uno italiano (Giulia). Il
convoglio fruisce anche della scorta indiretta della III e VIII Divisione
Navale.
1° maggio 1941
Alle 11.08 il
convoglio viene avvistato, in posizione 34°38’ N e 11°39’ E, dal sommergibile
britannico Upholder (capitano
di corvetta Malcolm David Wanklyn) che si avvicina a tutta forza in immersione,
per attaccare. Alle 11.32, due miglia a sud di Kerkennah, l’Upholder lancia quattro siluri da
2560 metri: tre vanno a segno (l’orario indicato dalle fonti italiane sono le
11.50, discordante dunque da quello indicato dal sommergibile), colpendo l’Arcturus ed il Leverkusen (capofila delle due colonne
su cui il convoglio è disposto, che sono precedute dal Folgore e dallo Strale impegnati nel dragaggio),
mentre il convoglio si trova presso la boa n. 5 delle Kerkennah. L’Arcturus affonda quasi subito,
mentre il Leverkusen si
apprua, ma riesce poi a tornare in assetto, procedendo a bassa velocità; sembra
galleggiare bene ed il Saetta lo
prende a rimorchio, tentando di riportarlo a Tripoli. La scorta attribuisce
erroneamente le esplosioni a mine magnetiche, anziché a siluri lanciati da
sommergibile.
Dopo essere emerso
alle 17.30 ed aver lanciato un segnale di scoperta, l’Upholder torna ad immergersi alle 17.55, si avvicina
nuovamente al convoglio ed alle 19.01 lancia altri due siluri, da 1100
metri. Il Leverkusen viene
colpito ancora, ed entro le 19.45 affonda di prua quattro miglia a sud di
Kerkennah. Il Saetta recupera i
naufraghi di entrambe le navi e li porta a Tripoli, mentre Strale, Folgore e Turbine proseguono
con il resto del convoglio (arriveranno a Napoli il 5 maggio).
A differenza che nel
viaggio di andata, durante questo viaggio la vigilanza aerea italiana e tedesca
è mancata per diverse ore sia nel Canale di Sicilia che nel Tirreno, quando gli
aerei (ricognitori e bombardieri), trattenutisi per poco sul cielo del
convoglio, se ne sono andati senza essere sostituiti.
12 maggio 1941
Il Saetta ed i cacciatorpediniere Vivaldi (caposcorta), Da Noli e Malocello lasciano Tripoli alle 19.30 scortando le motonavi Victoria, Andrea Gritti, Sebastiano Venier, Barbarigo ed Ankara diretti a Napoli.
Durante la
navigazione nel Canale di Sicilia, lungo la rotta che passa ad ovest di Malta
(nelle vicinanze delle Kerkennah), il convoglio fruisce della protezione a
distanza della IV Divisione (incrociatori leggeri Bande Nere e Cadorna,
cacciatorpediniere Scirocco, Maestrale ed Alpino) e dell’VIII Divisione (incrociatori leggeri Duca degli Abruzzi e Garibaldi, cacciatorpediniere Granatiere e Bersagliere), oltre che – nelle ore diurne – di una buona scorta
aerea.
Durante la
navigazione non si verniciano eventi di rilievo, eccezion fatta per problemi di
comunicazione all’interno del convoglio e tra le unità della scorta diretta e
le Divisioni di incrociatori.
14 maggio 1941
Il convoglio giunge a
Napoli alle 16.30.
26 maggio 1941
Saetta, Vivaldi (caposcorta,
capitano di vascello Giovanni Galati), Da
Noli e le torpediniere Pallade, Procione, Pegaso, Castore e Cigno partono da Napoli alle 2.30 (altra
versione indica l’orario di partenza nelle 23 del 25 maggio) per scortare a
Tripoli un convoglio formato dalle motonavi Marco
Foscarini, Andrea Gritti, Sebastiano Venier, Barbarigo, Rialto ed Ankara
(tedesca).
Il convoglio, che ha
scorta aerea per alcuni tratti, è scortato a distanza dalla III Divisione
Navale, dallo stretto di Messina in poi; segue le rotte che passano ad est di
Malta.
27 maggio 1941
Verso le 13 (poco
dopo che gli aerei dell’Aeronautica di Sicilia della scorta aerea hanno
lasciato il convoglio, mentre i velivoli che avrebbero dovuto sostituirli,
provenienti dalla Libia, non sono potuti decollare a causa del forte ghibli)
vengono avvistati sei aerei a 6-7 km di distanza, che volano a 10-20 metri di
quota su rotta opposta al convoglio. Il caposcorta li scambia inizialmente per
aerei da trasporto tedeschi tipo Junkers Ju 52, ma in realtà sono bombardieri
britannici Bristol Blenheim decollati da Malta, i quali si portano al traverso
del convoglio e poi accostano per attaccare a volo radente il gruppo formato da
Foscarini, Barbarigo e Venier.
Da Noli e Cigno, unitamente
alle motonavi, aprono subito il fuoco (non appena identificano gli aerei come
nemici); due degli attaccanti (il V6460 del sergente E. B. Inman e lo Z6247 del
capitano G. M. Fairburn) vengono abbattuti (secondo fonti italiane, dal fuoco
contraereo; per i britannici, ambedue gli aerei sarebbero stati travolti e
distrutti dallo scoppio delle bombe sganciate dallo stesso Inman su una delle
motonavi), ma Foscarini e Venier sono colpite. In tutto, l’attacco
dura tre minuti.
La Venier subisce solo danni lievi, perché
l’unica bomba che la colpisce non esplode; ma la Foscarini viene incendiata ed immobilizzata.
L’unico sopravvissuto
dei sei uomini componenti gli equipaggi dei due aerei, il sergente K. P.
Collins della 82a Squadriglia della R.A.F., gravemente ferito, viene
recuperato dalla Cigno, che recupera
anche tredici uomini della Foscarini
che hanno abbandonato la nave.
Cigno
e Da Noli si trattengono con la Foscarini, sulla quale l’incendio
divampa violento; alle 16.21 il caposcorta ordina alla torpediniera di riunirsi
alla formazione, ed al Da Noli di
restare con la Foscarini per
prestarle assistenza. Il resto del convoglio prosegue per Tripoli.
Si tratta del primo
attacco aereo verificatosi sulla rotta di levante per la Libia, nonché del
primo bombardamento a bassa quota contro navi nella guerra del Mediterraneo.
Alle 19.10
sopraggiungono, dopo ripetute richieste del caposcorta, quattro aerei da caccia
ed un aerosilurante Savoia Marchetti S.M.79 per la scorta aerea.
28 maggio 1941
Il convoglio giunge a
Tripoli in mattinata.
7 giugno 1941
Il Saetta, insieme ai
cacciatorpediniere Freccia (caposcorta), Strale e Vincenzo Gioberti, salpa
da Napoli alle 2.50 per scortare a Tripoli i trasporti truppe Esperia, Victoria e Marco
Polo.
Tra l’8 ed il 9
giugno il convoglio (che procede sulla rotta di levante di Malta) fruisce anche
della scorta a distanza degli incrociatori pesanti Trieste e Bolzano (III
Divisione Navale) e dei cacciatorpediniere Ascari, Lanciere e Corazziere.
9 giugno 1941
Il convoglio arriva a
Tripoli alle 15.
12 giugno 1941
Saetta, Freccia (caposcorta),
Strale e Gioberti ripartono da Tripoli per Napoli alle 15,
scortando Esperia, Marco Polo e Victoria che tornano scarichi.
14 giugno 1941
Il convoglio giunge a
Napoli alle 2.30.
19 giugno 1941
Saetta, Folgore
(caposcorta), Fulmine ed il
cacciatorpediniere Euro partono
da Napoli alle 23.30 per Tripoli, scortando i piroscafi Preussen (tedesco), Motia, Bainsizza, Maddalena
Odero e Nicolò Odero.
Successivamente si
aggregano al convoglio anche la torpediniera Antonio Mosto e la nave cisterna Ardor, usciti da Palermo.
22 giugno 1941
Il convoglio giunge a
Tripoli alle 19.30, dopo aver superato indenne diversi attacchi aerei
britannici.
1° luglio 1941
Saetta, Folgore (caposcorta),
Fulmine ed Euro lasciano Tripoli per Napoli alle 20, scortando i piroscafi
italiani Bainsizza, Giuseppe Leva, Nicolò Odero e Maddalena
Odero, il piroscafo tedesco Preussen
e la nave cisterna Ardor.
5 luglio 1941
Il convoglio arriva a
Tripoli alle 00.10.
21 luglio 1941
Alle 5.15 Saetta, Folgore (caposcorta, capitano di fregata Giurati), Fulmine, Euro ed Alpino partono
da Napoli per scortare a Tripoli il convoglio lento «Nicolò Odero», formato dai
piroscafi Maddalena Odero, Nicolò Odero, Caffaro e Preussen
(quest’ultimo tedesco).
Il piano prevede che
dall’alba del 23, a sud di Pantelleria, si accodi al convoglio anche la nave
cisterna Brarena, partita da
Palermo e scortata dal Fuciliere
(capitano di fregata Cerrina Feroni): la Brarena
non entrerebbe a far parte del convoglio vero e proprio, essendo più lenta di
un nodo (8 nodi, contro i 9 nodi raggiunti dal convoglio), ma si terrebbe a
breve distanza soprattutto nella notte del 22-23, in modo che ciascun gruppo
possa recare aiuto all’altro se necessario, dopo di che il convoglio «Odero»
“scavalcherebbe” la Brarena senza
comunque allontanarsene eccessivamente.
Alle 13.27 il
sommergibile britannico Olympus (capitano
di corvetta Herbert George Dymott) avvista il convoglio in posizione 39°53’ N e
11°49’ E, ed alle 13.58 lancia infruttuosamente un siluro da 5490 metri;
alle 14.23 lancia un secondo siluro da 5030 metri, di nuovo senza colpire.
L’attacco non viene notato.
Poche ore dopo la
partenza, alcuni cacciatorpediniere della scorta iniziano a lamentare una serie
di avarie, causate dal logorio che colpisce le navi impiegate senza sosta sulle
rotte per la Libia, costrette a saltare le normali revisioni degli apparati
motori e dei macchinari: dopo che già il Fulmine
è dovuto tornare momentaneamente a Napoli per una riparazione urgente in sala
macchine (si riunirà al convoglio nel pomeriggio), il Saetta si ritrova con una caldaia inutilizzabile a causa di una
grave perdita al fascio tubiero. Può comunque proseguire la navigazione.
I velivoli della
scorta aerea si avvicendano sul cielo del convoglio con regolarità, soprattutto
a sud di Lampedusa.
22 luglio 1941
Alle 9.45 Supermarina
mette in allarme sia il convoglio «Odero» che il gruppo Brarena-Fuciliere, in
seguito alla segnalazione di importanti movimenti di forze navali nemiche nel
Mediterraneo occidentale; più tardi, Supermarina – avendo intercettato e
decifrato, intorno alle 10, la comunicazione di un aereo britannico da
ricognizione – informa entrambi i capiscorta che i convogli sono stati
localizzati da ricognitori britannici, i quali ne hanno informato il Comando di
Malta.
Dopo le 19, poco
prima del tramonto, il convoglio «Odero» viene attaccato trenta miglia a sudest
(oppure ad ovest) di Pantelleria da due bombardieri Bristol Blenheim (altra
fonte parla di Fairey Swordfish dell’830th Squadron della Fleet
Air Arm) che si avvicinano volando bassissimi, a soli 15 metri dalla superficie
del mare. Mentre la reazione dell’armamento contraereo dei mercantili è
debolissima, quasi inconsistente, Folgore
ed Alpino aprono subito un violento
fuoco contraereo, ma i due aerei superano questo “sbarramento”, passano tra le
due colonne di navi ed attaccano uno il Preussen
e l’altro il Nicolò Odero.
Quest’ultimo esce quasi indenne dall’attacco, perché l’intenso tiro del Folgore impedisce al Blenheim di
completare la manovra d’attacco: il velivolo, che forse viene anche colpito e
danneggiato, sgancia le sue bombe che però cadono tutte in mare accanto al
piroscafo, eccetto una che colpisce di striscio l’Odero senza scoppiare, rimbalzando in mare. Non ha altrettanta fortuna
il Preussen: in questo caso, il
Blenheim riesce a completare la manovra d’attacco e colpisce la nave tedesca
con diverse bombe, scatenando un incendio che diviene rapidamente
incontrollabile. Equipaggio e truppe imbarcate si gettano in mare e si allontanano
a nuoto, e dopo un quarto d’ora il Preussen
esplode. Muoiono 180 uomini dei 440 che si trovavano sul Preussen, mentre i naufraghi vengono salvati da Fulmine ed Euro, che li sbarcano a Porto Empedocle.
La scorta aerea – due
Savoia Marchetti S.M. 79 “Sparviero”, che incrociavano a proravia del convoglio
a circa 200 metri di quota per vigilanza antisommergibili, e due aerei da
caccia – non sembra essere intervenuta contro i due velivoli nemici, il che
porta il caposcorta a supporre che non li abbia visti a causa della quota da
essa tenuta, inadeguata ad un tempestivo intervento.
Poco dopo l’attacco
che affonda il Preussen, anche il
gruppo formato da Brarena e Fuciliere, che non ha ancora raggiungo
il convoglio «Odero», viene ripetutamente attaccato da aerei: la Brarena viene colpita ed immobilizzata; dopo
un inutile tentativo, da parte del Fuciliere,
dapprima di rimorchiarla verso Lampedusa e poi di finirla a cannonate, viene
abbandonata alla deriva (affonderà definitivamente dopo alcuni giorni).
23 luglio 1941
Il resto del
convoglio, raggiunto dalla torpediniera Pallade (inviata da Tripoli), raggiunge Tripoli alle 17.
27 luglio 1941
Il Saetta parte da Tripoli alle sette
del mattino insieme a cacciatorpediniere Folgore (caposcorta), Fuciliere ed Alpino, scortando un convoglio lento (denominato
«Ernesto») formato dai piroscafi Ernesto, Nita, Nirvo, Aquitania e Castelverde e dalla cannoniera Palmaiola, di ritorno a Napoli
lungo la rotta del Canale di Sicilia. Il convoglio procede a 8 nodi.
Gli incrociatori leggeri Giuseppe Garibaldi e Raimondo
Montecuccoli (VIII Divisione Navale) ed i cacciatorpediniere Granatiere e Bersagliere (XIII Squadriglia
Cacciatorpediniere) forniscono copertura a distanza.
28 luglio 1941
Alle 18.15 si unisce
alla scorta del convoglio il cacciatorpediniere Fulmine, ma alle 19.55 il Garibaldi viene
silurato dal sommergibile Upholder (capitano
di corvetta Malcolm David Wanklyn) in posizione 38°04’ N e 11°57’ E (20 miglia
a nordovest di Marettimo ed al largo di Capo San Vito), riportando gravi
danni; Fuciliere ed Alpino vengono distaccati alle
20.20 per prestargli assistenza, lasciando la scorta del convoglio.
29 luglio 1941
La torpediniera Giuseppe Sirtori viene inviata a
rinforzare la scorta del convoglio, aggregandosi alle 17.
Alle 3.20 il
convoglio (in navigazione a 9 nodi con rotta 030°) viene avvistato a nordest di
Capo San Vito dall’Upholder, che si
prepara a lanciare ma che deve poi interrompere all’attacco in seguito
all’arrivo di un cacciatorpediniere in avvicinamento subito prima del lancio,
alle 3.35. Alle 3.46 l’Upholder emerge,
ed alle 3.52 lancia l’ultimo siluro rimasto contro due mercantili ed un
cacciatorpediniere, in posizione 38°28’ N e 12°14’ E, ma l’arma li manca,
passando a proravia. L’attacco non viene nemmeno notato.
Alle 14.51 il
convoglio viene avvistato in posizione 39°51’ N e 13°46’ E (una sessantina di
miglia a sudovest di Napoli) dal sommergibile olandese O 21 (capitano di corvetta Johannes
Frans Van Dulm), che alle 15.53 lancia quattro siluri contro due dei mercantili,
dalla distanza di 4150 metri, per poi immergersi a 35 metri ed
allontanarsi verso sudovest. Nessuna nave viene colpita; il Folgore bombarda l’O 21 con 24 bombe di profondità dalle 16.09 alle 17.01, ma il
battello olandese elude senza danni il contrattacco scendendo ad una quota
di 87 metri.
30 luglio 1941
Il convoglio
raggiunge Napoli alle 3.10.
22 novembre 1941
Il Saetta (capitano di corvetta
Antonio Biondo) ed il cacciatorpediniere Antoniotto Usodimare (caposcorta,
capitano di fregata Galleani), dopo aver già scortato la motonave Fabio Filzi da Napoli a Trapani,
ripartono da Trapani per Tripoli alle 18.40, scortando la medesima motonave,
nel periodo più difficile della “battaglia dei convogli”, nell’ambito di
un’operazione complessa di rifornimento della Libia.
Dopo la momentanea
stasi seguita alla distruzione, il 9 novembre, del convoglio «Duisburg» (sette
navi mercantili e due cacciatorpediniere affondati), il maresciallo Ugo
Cavallero ha ordinato che le navi già cariche presenti nei porti del Sud Italia
(tra di esse la Filzi, a Napoli)
vengano fatte proseguire per la Libia; allo scopo, è stata organizzata
un’operazione complessa.
Due convogli,
l’«Alfa» (motonavi Ankara e Venier) ed il «C» (motonavi Napoli, Monginevro, Vettor
Pisani e nave cisterna Iridio
Mantovani), dirigeranno per Tripoli lungo la rotta di levante, con una
forte scorta diretta (cacciatorpediniere Maestrale, Oriani e Gioberti per il convoglio «Alfa»,
cacciatorpediniere Turbine e Da Recco e torpediniere Perseo e Cosenz per il convoglio «C»), indiretta (III Divisione Navale
con gli incrociatori pesanti Trento, Trieste e Gorizia, VIII Divisione con gli incrociatori leggeri Duca degli Abruzzi e Garibaldi, Squadriglie
Cacciatorpediniere XI, XII e XIII con i cacciatorpediniere Aviere, Geniere, Camicia Nera, Corazziere, Granatiere, Bersagliere, Fuciliere ed Alpino) ed aerea; al contempo, una motonave veloce – la Filzi, in grado di raggiungere i 16 nodi
– sarà inviata sempre a Tripoli ma sulla rotta di ponente (per il Canale di
Sicilia), con la scorta di un paio di cacciatorpediniere, Saetta ed Usodimare
(oltre che di aerei: sia sui due convogli che sulla Filzi la scorta aerea dovrà essere continua, nelle ore diurne,
dal 20 al 23 novembre), per non dare nell’occhio. Contestualmente saranno inviati
a Bengasi l’incrociatore leggero Luigi
Cadorna in missione di trasporto
di carburante (da Brindisi) e le motonavi Città di Palermo e Città
di Tunisi cariche di truppe (da Taranto), e verranno fatte rientrare
in Italia le navi rimaste bloccate a Tripoli dall’inizio di novembre. L’idea è
che un tale numero di navi in movimento contemporaneamente, divise in più
convogli sparsi su una vasta area, confonda e disorienti la ricognizione
maltese; che i convogli finiscano col coprirsi a vicenda; che la presenza in
mare della III e VIII Divisione scoraggi interventi da parte della Forza K
britannica (autrice della distruzione del convoglio «Duisburg»), notevolmente
inferiore per numero e potenza (incrociatori leggeri Aurora e Penelope e
cacciatorpediniere Lance e Lively). L’Aeronautica, oltre alla
scorta antiaerea ed antisommergibile dei convogli, effettuerà anche azioni di
ricognizione e di bombardamento degli aeroporti di Malta. Alcuni sommergibili
vengono disposti in agguato nelle acque circostanti l’isola.
Si ritiene – a
ragione – che la presenza, sulla rotta di levante, dei convogli «Alfa» e «C»
catalizzerà l’attenzione dei ricognitori di Malta, che non si accorgeranno così
della presenza della solitaria Filzi
in navigazione verso Tripoli lungo la rotta di ponente.
La navigazione dei
convogli «Alfa» e «C», partiti tra il 19 ed il 21 novembre, ha esito
fallimentare: la sera del 21 il Trieste viene
silurato e gravemente danneggiato dal sommergibile HMS Utmost, e poche ore dopo anche il Duca degli Abruzzi subisce analoga
sorte, per opera di aerosiluranti; con la scorta indiretta così ridotta, e di
fronte al crescendo degli attacchi aerei ed al rischio di un intervento di
forze di superficie, i mercantili dei due convogli vengono fatti tornare in
porto.
Ben diversa è la
navigazione della Filzi, partita
da Trapani con un carico di 3073 tonnellate di materiali, 675 tonnellate di
carburante, 123 tra automezzi e rimorchi, dieci carri armati medi M13/40 ed una
maona, oltre a 115 militari del Regio Esercito e 110 civili, sotto la scorta di
Saetta ed Usodimare.
23 novembre 1941
In mattinata si
unisce alla scorta il cacciatorpediniere Sebenico (capitano di
corvetta Brancatelli), inviato da Tripoli. Dopo una navigazione indisturbata
lungo una rotta solitamente pericolosa, Filzi e scorta (raggiunte dalla torpediniera Centauro, inviata da Tripoli) giungono a
Tripoli alle 14.
24 novembre 1941
Il Saetta lascia Tripoli alle 20 scortando
il piroscafo Paolina, diretto a
Napoli.
28 novembre 1941
Saetta e Paolina arrivano a
Napoli alle 4.30.
Ca. 10 dicembre 1941
Il Saetta, insieme ai cacciatorpediniere Antoniotto Usodimare e Lanzerotto Malocello, scorta la motonave Carlo Del Greco in navigazione di
trasferimento da Trapani a Messina.
13 dicembre 1941
Alle 17 il Saetta (caposcorta), il cacciatorpediniere
Lanzerotto Malocello e la torpediniera Procione
partono da Taranto scortando la motonave tedesca Ankara, diretta a Bengasi nell’ambito dell’operazione di traffico
«M. 41».
Dopo le gravi perdite
subite dai convogli diretti in Libia nelle settimane precedenti, le forze
italo-tedesche in Nordafrica si trovano in situazione di grave carenza di
rifornimenti proprio mentre è in corso una nuova offensiva britannica,
l’operazione «Crusader», ed urge rifornirle. Con la «M. 41», Supermarina
intende inviare a Tripoli e Bengasi tutti i mercantili già carichi presenti nei
porti dell’Italia meridionale, mobilitando per la loro protezione, diretta e
indiretta, pressoché tutta la flotta in condizioni di efficienza.
Sono previsti tre
convogli: l’«A», da Messina a Tripoli, formato dalle moderne motonavi Fabio Filzi e Carlo Del Greco scortate dai cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco ed Antoniotto
Usodimare (poi dirottato su
Taranto per unirsi da subito all’«L» ma distrutto durante tale percorso dal
sommergibile britannico Upright);
l’«L», da Taranto per Tripoli, formato dalle motonavi Monginevro, Napoli e Vettor Pisani scortate dai
cacciatorpediniere Freccia ed Emanuele Pessagno (con a bordo il contrammiraglio Amedeo Nomis di
Pollone) e dalla torpediniera Pegaso;
e l’«N», da Taranto ed Argostoli per Bengasi, costituito da Saetta, Malocello, Procione ed Ankara cui si devono aggiungere i
piroscafi Iseo e Capo Orso ed i cacciatorpediniere Turbine e Strale,
provenienti da Argostoli.
Ogni convoglio deve
fruire della protezione di una forza navale di sostegno, che di giorno si terrà
in vista dei trasporti e di notte a stretto contatto con essi. Il gruppo
assegnato al convoglio «N» è composto dalla corazzata Andrea Doria e dalla VII Divisione (ammiraglio di divisione Raffaele
De Courten) con gli incrociatori leggeri Muzio Attendolo ed Emanuele
Filiberto Duca d’Aosta, mentre gli altri due convogli saranno protetti
dalla corazzata Duilio (nave
ammiraglia dell’ammiraglio di squadra Carlo Bergamini) e da un’eterogenea VIII
Divisione composta per l’occasione dagli incrociatori leggeri Giuseppe Garibaldi (nave di bandiera dell’ammiraglio Giuseppe Lombardi,
comandante della VIII Divisione) e Raimondo
Montecuccoli e dall’incrociatore pesante Gorizia (con a bordo l’ammiraglio di divisione Angelo Parona).
Infine, a tutela
dell’intera operazione contro un’eventuale uscita in mare delle corazzate della
Mediterranean Fleet, prende il mare la IX Divisione Navale (ammiraglio di
squadra Angelo Iachino, comandante superiore in mare) con le moderne
corazzate Littorio e Vittorio Veneto, scortate dalla XIII
Squadriglia Cacciatorpediniere (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino).
Queste navi si dovranno posizionare nel Mediterraneo centrale.
A completamento dello
schieramento, un gruppo di sommergibili viene dislocato nel Mediterraneo
centro-orientale con compiti esplorativi ed offensivi; è inoltre previsto un
imponente intervento della Regia Aeronautica.
Per via della carenza
di navi scorta e del tempo necessario a reperirne, l’operazione, inizialmente
prevista per il 12 dicembre, viene posticipata di un giorno.
Nel tardo pomeriggio
del 13, quando i convogli sono già in mare, la ricognizione aerea comunica a
supermarina che una consistente forza britannica, comprensiva di corazzate ed
incrociatori (in realtà sono solo quattro incrociatori leggeri: i ricognitori
hanno grossolanamente sovrastimato la composizione e potenza della forza
avvistata), si trova tra Tobruk e Marsa Matruh, diretta verso ovest. La somma
delle forze italiane in mare è complessivamente superiore, ma si trova divisa
in gruppi tra loro distanziati e vincolati a convogli lenti e poco manovrieri;
per questo, alle ore 20 Supermarina decide di sospendere l’operazione, ed i
convogli – compreso quello composto da Saetta,
Malocello, Procione ed Ankara, che è
il più avanzato sulla rotta – ricevono ordine di rientrare. Ciò non basterà ad
evitare danni: durante la notte, il sommergibile britannico Urge silurerà la Vittorio Veneto, danneggiandola
gravemente.
14 dicembre 1941
Saetta, Malocello, Procione ed Ankara rientrano a Taranto nel pomeriggio-sera.
Il Saetta (Alex Sabirsanof via www.naviearmatori.net) |
16 dicembre 1941
Dopo il fallimento
della «M. 41», viene rapidamente organizzata al suo posto l’operazione «M. 42»,
che prevede l’invio di quattro mercantili (Monginevro, Napoli, Vettor Pisani, Ankara:
le motonavi uscite indenni dalla «M. 41», non essendovene altre pronte) riunite
in un unico convoglio per gran parte della navigazione, ed inoltre l’impiego
delle Divisioni di incrociatori adibite alla scorta secondo la loro struttura
organica, a differenza che nella «M. 41». In tutto le quattro motonavi
trasportano 14.770 tonnellate di materiali e 212 uomini.
La scorta diretta è
costituita, oltre che dal Saetta, dai
cacciatorpediniere Vivaldi (caposcorta,
contrammiraglio Nomis di Pollone), Da
Noli, Da Recco, Pessagno, Malocello e Zeno e
dalla torpediniera Pegaso. L’ordine
d’operazione prevede che le navi procedano in formazione unica, a 13 nodi di
velocità, sino al largo di Misurata, per poi scindersi in due convogli: «N»,
formato da Saetta (caposcorta), Ankara e Pegaso, per Bengasi; «L», composto da tutte le altre unità, per
Tripoli.
I due convogli
partono da Taranto il 16 dicembre, ad un’ora di distanza l’uno dall’altro: alle
15 l’«N», alle 16 l’«L». L’Ankara ha
a bordo 2025 tonnellate di rifornimenti per le forze italiane (1397 tonnellate
di materiali vari, 345 di munizioni e 283 di benzina), 2000 tonnellate di
materiali vari per le forze tedesche e 120 veicoli dell’Afrika Korps.
Da Taranto esce un
gruppo di sostegno composto dalla corazzata Duilio (nave di bandiera dell’ammiraglio Carlo Bergamini,
comandante del gruppo), dalla VII Divisione (incrociatori leggeri Emanuele Filiberto Duca d’Aosta, nave di
bandiera dell’ammiraglio De Courten, Raimondo
Montecuccoli e Muzio
Attendolo) e dai cacciatorpediniere Ascari, Aviere e Camicia Nera; i suoi ordini sono di
tenersi ad immediato contatto del convoglio fino alle 8 del 18, per poi
spostarsi verso est così da poter intervenire in caso di invio contro il
convoglio di forza di superficie da Malta.
Vi è anche un gruppo
di appoggio composto dalle corazzate Giulio Cesare, Andrea Doria e Littorio
(nave di bandiera dell’ammiraglio Angelo Iachino, comandante superiore in
mare), dagli incrociatori pesanti Trento e Gorizia (nave di bandiera
dell’ammiraglio di divisione Angelo Parona, comandante della III Divisione) e
dai cacciatorpediniere Granatiere, Bersagliere, Corazziere, Fuciliere,
Carabiniere, Alpino, Oriani, Gioberti ed Usodimare, nonché ricognizione e scorta
aerea assicurata dalla Regia Aeronautica e dalla Luftwaffe, l’invio dei
sommergibili Topazio, Santarosa, Squalo, Ascianghi, Dagabur e Galatea in agguato nel Mediterraneo centro-orientale, e la
posa di ulteriori campi minati al largo della Tripolitania.
Già prima della
partenza, i comandi italiani e l’ammiraglio Iachino sono stati informati
dell’avvistamento alle 14.50, da parte di un ricognitore tedesco, di una
formazione britannica che comprende una corazzata. In realtà, di corazzate
britanniche in mare non ce ne sono: il ricognitore ha scambiato per corazzata
la nave cisterna militare Breconshire,
partita da Alessandria per Malta con 5000 tonnellate di carburante destinato
all’isola, con la scorta degli incrociatori leggeri Naiad, Euryalus e Carlisle e dei
cacciatorpediniere Jervis, Havock, Hasty, Nizam, Kimberley, Kingston, Kipling e
Decoy, il tutto sotto il comando
dell’ammiraglio Philip L. Vian. Comunque, Supermarina decide di procedere
egualmente con l’operazione, sia per via della disperata necessità di far
arrivare rifornimenti in Libia al più presto, sia perché la formazione italiana
è comunque molto più potente di quella avversaria. Convoglio e gruppo di
sostegno procedono dunque lungo la rotta prestabilita.
Poco prima di
mezzanotte, il sommergibile britannico Unbeaten avvista
parte delle unità italiane e ne informa il comando britannico (messaggio che
viene peraltro intercettato e decrittato dalla Littorio); quest’ultimo ne è in realtà già al corrente grazie alle
decrittazioni di “ULTRA”, che tra il 16 ed il 17 dicembre forniscono a più
riprese molte informazioni su mercantili, scorte dirette ed indirette, porti ed
orari di partenza e di arrivo. Il 16 dicembre “ULTRA” informa che è probabile
un nuovo tentativo di rifornimento della Libia con inizio proprio quel giorno,
dopo quello fallito di tre giorni prima. Il 17 dicembre “ULTRA” aggiunge
informazioni più precise: Monginevro, Pisani e Napoli, scortati da sei cacciatorpediniere tra cui il Vivaldi, dovevano lasciare Taranto a
mezzogiorno del 16 insieme all’Ankara,
scortata invece dal Saetta e da
un’altra silurante; arrivo previsto a Bengasi alle 8 del 18 per l’Ankara, a Tripoli alle 17 dello stesso
giorno per le altre motonavi; presenza in mare a scopo di protezione
della Duilio, della VII
Divisione (“probabilmente l’Aosta e
l’Attendolo”) e forse anche di altre
forze navali, Littorio compresa.
Il 18 aggiungerà che le motonavi sono partite da Taranto alle 13 del 16 e che
sono scortate da 2 corazzate, 2 incrociatori e 12 cacciatorpediniere, più una
forza di supporto di 3 corazzate, 2 incrociatori e 10 cacciatorpediniere a
nordest.
I comandi britannici,
tuttavia, non si trovano in condizione di poter organizzare un attacco contro
il convoglio italiano.
17 dicembre 1941
Alle 16.25 il
convoglio viene avvistato da un ricognitore britannico.
Nel tardo pomeriggio
del 17 dicembre il gruppo «Littorio» si scontra con la scorta della Breconshire, in un breve ed inconclusivo
scambio di colpi chiamato prima battaglia della Sirte. Iniziato alle 17.23, lo
scontro si conclude già alle 18.10, senza danni da ambo le parti; Iachino,
ancora all’oscuro dell’invio a Malta della Breconshire e convinto che navi da battaglia britanniche siano
in mare, attacca gli incrociatori di Vian per tenerli lontani dal suo convoglio
(ritiene infatti che gli incrociatori britannici siano lì per attaccare i
mercantili italiani, mentre in realtà non vi è alcun tentativo del genere da
parte britannica) e rompe il contatto al crepuscolo, per evitare un
combattimento notturno, per il quale la flotta italiana non è preparata.
Alle 17.56, per evitare
un pericoloso incontro del convoglio con unità di superficie britanniche (si
crede ancora che in mare ci siano una o più corazzate britanniche), il
convoglio ed il gruppo di sostegno accostano ad un tempo ed assumono rotta nord
(in modo da allontanarsi dalla zona dove si trova la formazione britannica),
sulla quale rimangono fino alle 20 circa; poi, in base a nuovi ordini impartiti
da Iachino (e per non allontanarsi troppo dalla zona di destinazione),
manovrano per conversione di 20° per volta (in modo da mantenere per quanto
possibile la formazione, in una zona ad elevato rischio di attacchi aerei) ed
effettuano un’ampia accostata sino a rimettere la prua su Misurata. Convoglio e
gruppo di sostegno sono “incorporate” in un’unica complessa formazione (i
mercantili su due colonne, con Monginevro in
posizione avanzata a dritta, Pisani in
posizione avanzata a sinistra, seguite rispettivamente da Napoli ed Ankara, il Vivaldi in
testa, Da Noli e Malocello rispettivamente 30° di
prora a dritta e sinistra di Pisani e Monginevro, Zeno e Da Recco
70° di prora a dritta e sinistra di Pisani e Monginevro, Saetta a sinistra della Pisani e Pessagno a
dritta della Napoli; seguite dal gruppo di sostegno su due colonne,
con Duca d’Aosta seguito
da Attendolo e Camicia Nera a sinistra, Duilio seguita da Montecuccoli ed Aviere a dritta, più Pigafetta a sinistra di Duca d’Aosta ed Attendolo e Carabiniere a dritta di Duilio e Montecuccoli), il che fa sì che occorra più del previsto perché la
formazione venga riordinata sulla rotta 210°: ciò accade alle 22 del 17.
Durante la notte il
convoglio, che avanza a 13 nodi, viene avvistato da ricognitori nemici, ma non
subisce attacchi.
18 dicembre 1941
Poco prima dell’alba
del 18, i cacciatorpediniere Granatiere e Corazziere entrano in collisione,
distruggendosi a vicenda la prua; gli incrociatori della VII Divisione prestano
loro soccorso. Alle 13 la Duilio si
riunisce al gruppo «Littorio», lasciando la VII Divisione a protezione
immediata dei mercantili.
Frattanto, alle 12.30
(in posizione 33°18’ N e 15°33’ E), l’ammiraglio Bergamini ordina a Saetta, Ankara e Pegaso di
dirigere per Bengasi; il convoglio «N» si separa dunque dalle altre navi,
mentre il convoglio «L» prosegue per Tripoli con la scorta e diretta e, fino al
tramonto, anche quella della VII Divisione.
19 dicembre 1941
Alle 9.30 Pegaso, Ankara e Saetta entrano a
Bengasi. Anche il convoglio di Tripoli giunge a destinazione. L’operazione «M.
42» si conclude finalmente in un successo, con l’arrivo a destinazione di tutti
i rifornimenti inviati.
Alle 18 Saetta (capo sezione) e Pegaso ripartono da Bengasi trasportando
300 prigionieri di guerra (e relativa scorta), evacuati dalla città libica, che
ormai sta per cadere in mano alle forze britanniche in avanzata durante
l’operazione «Crusader».
20 dicembre 1941
Saetta e Pegaso raggiungono
Suda alle 14.
19 gennaio 1942
Saetta, Da Noli (caposcorta)
e la torpediniera Clio partono da
Tripoli per Trapani alle 19.30, scortando le motonavi Lerici e Gino Allegri.
20 gennaio 1942
Il convoglio giunge a
Trapani alle 20.20.
14 febbraio 1942
Il Saetta, insieme a Freccia e Folgore (che formano la VIII Squadriglia), alla XIII
Squadriglia Cacciatorpediniere (Carabiniere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino),
alla VII Divisione (Montecuccoli e Duca d’Aosta) ed alla corazzata Duilio, lascia Taranto per partecipare
all’operazione «M.F. 5» a contrasto dell’invio di un convoglio britannico
(convoglio «M.W. 9») da Alessandria a Malta.
La VIII Squadriglia,
in particolare, parte per prima da Taranto alle 18.40 del 14, scortando
la Duilio; già alle 19.55,
tuttavia, la Duilio e la
VIII Squadriglia ricevono ordine di rientrare in porto. Supermarina, infatti,
ha appurato che non ci sono corazzate britanniche in mare (difatti la
Mediterranean Fleet non ha più una sola corazzata efficiente da dicembre,
quando le ultime due sono state poste fuori uso ad Alessandria dagli incursori
della X MAS), pertanto l’impiego della Duilio è
ritenuto superfluo.
16 febbraio 1942
Il Saetta parte da Trapani per Tripoli alle
20, scortando il piroscafo Tembien.
18 febbraio 1942
Saetta e Tembien arrivano a
Tripoli alle 22.
2 marzo 1942
Il Saetta salpa da Taranto per Bengasi alle
18.30, di scorta al piroscafo Petrarca.
6 (?) marzo 1942
Saetta e Petrarca arrivano a
Bengasi alle 9. (Il giorno indicato sul volume U.S.M.M. è il 9 marzo, ma ciò
risulterebbe contrastante con la data del viaggio successivo, oltre a sembrare
inverosimilmente lungo per un viaggio da Taranto a Bengasi).
6 marzo 1942
Il Saetta lascia Bengasi alle 19.50 per
scortare a Tripoli (?) il piroscafo Bolsena.
9 marzo 1942
Saetta e Bolsena arrivano a
Brindisi alle 9.
15 marzo 1942
Al largo di Santa
Maria di Leuca il Saetta sostituisce
la vecchia torpediniera Giuseppe
Missori nella scorta al piroscafo Bosforo,
partito da Brindisi e diretto a Bengasi con un carico di 2121 tonnellate di
provviste e materiali vari, 481 tonnellate di carburanti e lubrificanti, 103
tonnellate di munizioni e materiale d’artiglieria, un automezzo con rimorchio,
una bettolina ed una pirobarca.
17 marzo 1942
Il Saetta viene colto da problemi alle
macchine e deve pertanto riparare a Navarino insieme al Bosforo, giungendovi alle 19 e sostandovi per due giorni.
19 marzo 1942
Il convoglio lascia
Navarino alle 19.
21 marzo 1942
Saetta e Bosforo
arrivano a Bengasi alle 9.50, dopo aver passato la notte alla fonda, fuori dal
porto.
Aprile 1942
Assume il comando del
Saetta il capitano di corvetta Enea
Picchio, 36 anni, da Oleggio.
30 aprile 1942
Il Saetta (caposcorta) salpa da
Brindisi alle 8.30 insieme al gemello Strale
ed alla torpediniera Orsa,
scortando le moderne motonavi Ankara (tedesca)
e Monviso.
2 maggio 1942
Tra le 10 e le 15.15
il convoglio entra a Bengasi; alle 19.30 Saetta
(caposcorta) ed Orsa ripartono
scortando il piroscafo Petrarca.
5 maggio 1942
Saetta, Orsa e Petrarca entrano a Brindisi alle 00.45.
9 maggio 1942
Lascia Taranto alle
22 per Bengasi, scortando il piroscafo Bolsena.
Il servizio di
decrittazione britannico “ULTRA” intercetta e decifra alcune comunicazioni
della Luftwaffe relative a questo convoglio, ragion per cui i comandi
britannici decidono di organizzarne l’intercettazione: alle 20 salpano da
Alessandria, a questo scopo, i cacciatorpediniere britannici Jervis, Lively, Kipling e Jackal.
10 maggio 1942
Alle 8.55 i
decrittatori della Regia Marina intercettano un segnale di scoperta lanciato
pochi minuti prima da un ricognitore britannico, dal quale si apprende che il
convoglio è stato avvistato. Alle 11 la Regia Aeronautica informa Supermarina
che il posamine veloce britannico Welshman
è salpato da Malta, mentre un idrovolante della ricognizione marittima segnala
l’avvistamento di quattro cacciatorpediniere britannici – sono quelli salpati
da Alessandria – in navigazione verso ovest ad elevata velocità, a sud di Creta
(l’aereo rimane poi in contatto con la formazione nemica, volando a bassa quota
senza essere visto, ed invia aggiornamenti sulla situazione a mezzogiorno ed
alle 13). Interpretando queste notizie, Supermarina ipotizza che l’incrociatore
partito da Malta ed i cacciatorpediniere avvistati dall’idrovolante siano tutti
diretti ad intercettare il convoglio, e che si riuniranno strada facendo per
formare un’unica forza; architetta quindi una trappola, ordinando a Saetta e Bolsena di proseguire per la loro rotta fino alle 13, e facendo al
contempo partire da Messina l’incrociatore leggero Montecuccoli ed i cacciatorpediniere Aviere e Camicia Nera,
con l’obiettivo di intercettare l’incrociatore oppure i cacciatorpediniere
prima della loro supposta riunione e prima che cali il buio.
Tuttavia, il Welshman è in mare per tutt’altro
motivo; nel primo pomeriggio, l’Aeronautica informa che l’incrociatore
britannico ha già superato Capo Bon (dunque non è diretto ad intercettare il
convoglio), mentre i cacciatorpediniere stanno ancora navigando verso sud,
ormai al di fuori del raggio d’azione del gruppo Montecuccoli. Quest’ultimo viene pertanto richiamato in porto, ed
il convoglio Saetta-Bolsena viene momentaneamente dirottato
ad Augusta.
I quattro
cacciatorpediniere di Alessandria verranno invece attaccati il giorno seguente
da bombardieri Junkers Ju 88 tedeschi, decollati da Creta, e da CANT Z. 1007
italiani, decollati dalla Libia, guidati sul posto dagli idroricognitori
italiani che hanno continuato a seguirli. Gli Ju 88 affonderanno in successione
il Lively, il Kipling e lo Jackal;
soltanto il Jervis riuscirà a
sottrarsi ai ripetuti attacchi aerei ed a raggiungere Alessandria (qualche
fonte accredita l’affondamento del Lively
a CANT Z. 1007 italiani, anziché a Ju 88 tedeschi).
12 maggio 1942
Alle 6.30, all’uscita
dello stretto di Messina, Saetta e Bolsena si uniscono ai
piroscafi Orsa e Menes, provenienti rispettivamente da
Brindisi e Napoli il primo senza scorta ed il secondo scortato dal
cacciatorpediniere Folgore, e
vanno a formare il convoglio «L». Tale convoglio viene avvistato da ricognitori
nemici ed attaccato da aerei alcune volte durante la notte, ma non si
registrano danni.
Tutte le navi
giungeranno a Bengasi alle 11.30 del giorno seguente.
13 maggio 1942
Saetta (caposcorta) ed Orsa
lasciano Bengasi alle 19.30 scorando i piroscafi Capo Arma ed Anna Maria Gualdi.
15 maggio 1942
All’alba il
convoglio, al largo di Leuca, si divide: Saetta
e Capo Arma fanno rotta su Taranto,
dove arriveranno alle 21.15, mentre Orsa
e Gualdi puntano su Brindisi, dove
giungeranno alle 21.30.
23 maggio 1942
Il Saetta ed il cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco (caposcorta) partono da Brindisi alle 10.30, per
scortare a Bengasi le motonavi Monviso ed Ankara.
24 maggio 1942
Avvistato da
ricognitori, il convoglio subisce pesanti attacchi aerei dalle 00.30 alle due
di notte, ma non subisce danni. Saetta
e Da Recco avvolgono le due motonavi
nelle cortine fumogene ed abbattono un aerosilurante (colpito e danneggiato dal
Da Recco e poi incendiato e distrutto
dal Saetta).
Alle 18 un
sommergibile lancia due siluri, che il convoglio evita con la manovra; il Saetta esegue poi caccia
antisommergibili per mezz’ora, senza risultato.
25 maggio 1942
Il convoglio arriva a
Bengasi alle 14. Saetta e Da Recco ne ripartono alle 19.30 di
scorta alle motonavi Nino Bixio e Mario Roselli, dirette a Brindisi.
26 maggio 1942
All’1.30 il
convoglio, avvistato da ricognitori, inizia a subire attacchi aerei; i due
cacciatorpediniere occultano i mercantili con cortine nebbiogene, vanificando
l’attacco nemico.
Alle 7.30 un attacco
da parte di un sommergibile viene sventato dalla reazione della scorta.
27 maggio 1942
Il convoglio giunge a
Brindisi alle 10.30.
Il Saetta a metà 1942, con colorazione mimetica (sotto: Coll. E. Bagnasco via M. Brescia e www.associazione-venus.it; sopra: da www.campo57.com)
14 giugno 1942
Dietro ordine del
sottocapo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio Luigi Sansonetti, il Saetta ed un altro cacciatorpediniere,
l’Antonio Pigafetta, che si trovano a
Brindisi, accendono le caldaie e si pongono agli ordini dell’ammiraglio di
squadra Angelo Iachino, comandante della flotta italiana con base a Taranto. Saetta e Pigafetta dovranno andare a rinforzare la scorta di
cacciatorpediniere delle navi maggiori che, nelle ore successive, prenderanno
il mae per contrastare l’operazione britannica «Vigorous» (invio di un
convoglio di rifornimenti da Alessandria a Malta, con undici mercantili
scortati da otto incrociatori e 26 cacciatorpediniere oltre a naviglio minore
ed ausiliario) nel corso della battaglia aeronavale di Mezzo Giugno.
Lasciata Brindisi, Saetta e Pigafetta si uniscono alla formazione dell’ammiraglio Iachino,
salpata da Taranto alcune ore prima, al largo di Vela di Santa Maria di Leuca,
come ordinato loro da Iachino stesso intorno a mezzogiorno.
Tale formazione è
composta dalle Divisioni Navali III (incrociatori pesanti Trento e Gorizia),
VIII (incrociatori leggeri Garibaldi
e Duca d’Aosta) e IX (corazzate Littorio e Vittorio Veneto) e dalle Squadriglie
Cacciatorpediniere VII (Freccia, Folgore e Legionario), XI (Aviere, Geniere, Corazziere, Camicia Nera)
e XIII (Mitragliere, Bersagliere ed Alpino).
Il Saetta viene aggregato alla VII Squadriglia,
la quale, insieme alla XIII, è assegnata alla scorta delle due corazzate.
Dopo l’arrivo di Saetta e Pigafetta, alle 18.06 la squadra italiana assume rotta 180° e
dirige per il punto prestabilito «Alfa» (34°00’ N e 18°20’ E) per intercettare
il convoglio britannico. Calata la notte, gli otto cacciatorpediniere della VII
e XIII Squadriglia si dispongono attorno a Littorio e Vittorio
Veneto: Alpino e Legionario – i capisquadriglia –
procedono a proravia della formazione, il primo a sinistra ed il secondo a
dritta, mentre gli altri sei procedono su due colonne (VII Squadriglia a dritta
e XIII a sinistra) ai lati delle due corazzate. Essendo stata avvistata alle
17.45 da ricognitori, la squadra italiana prosegue verso sud fino alle 22, poi,
alle 22.03, accosta per 140°, riassumendo rotta 180° solo a mezzanotte, allo
scopo di disorientare le forze nemiche.
15 giugno 1942
Intorno alle 2.30,
essendo stati rilevati aerei britannici ed essendo prossimo il loro attacco
(diretto contro il gruppo «Littorio»), la squadra italiana inizia ad emettere
cortine nebbiogene ed accosta ad un tempo di 40° a sinistra, ritenendo
l’ammiraglio Iachino che l’attacco aereo sia in arrivo da tale lato (ed in tal
caso sarebbe vantaggioso puntare la prua sugli aerei per ridurre le probabilità
di essere colpiti, ed al contempo per allontanarsi dai bengala, che usualmente
vengono sganciati dal lato opposto a quello dove si verifica l’attacco), ma
poi, dato che si sentono rumori di aerei in arrivo anche da altre direzioni,
viene ripresa la navigazione verso sud in linea di fila. Alle 2.40, appena è
stata riassunta rotta 180°, iniziano ad accendersi bengala a sinistra, quindi
la squadra italiana accosta di 40° a dritta per allontanarsi, e procede con
tale rotta sino alle 3.31, poi accosta di 30° a dritta e dopo altri cinque
minuti di 30° a sinistra (per confondere i piloti degli aerei), fino a che alle
3.56, non vedendosi più bengala, viene ripresa la rotta 180° e cessa
l’emissione di cortine fumogene. I quattro aerosiluranti Vickers Wellington,
infatti, si sono ritirati non essendo riusciti ad individuare le navi italiane
nelle cortine nebbiogene, eccetto uno che ha lanciato un siluro contro una
corazzata ma senza risultati.
Alle 4.15 la
formazione italiana, essendo andata più ad ovest della rotta prevista, accosta
per 160° dirigendo per il punto «Alfa» per non ritardare l’incontro con il
convoglio britannico (che tuttavia, all’insaputa dei comandi italiani, ha già
invertito la rotta alle 00.45 rinunciando a raggiungere Malta, in seguito sia a
danni e perdite causati dagli attacchi aerei che all’impossibilità di sostenere
uno scontro con la forza navale italiana, di molto superiore; il convoglio
dirigerà di nuovo su Malta dalle 5.30 alle 8.40, per poi invertire
definitivamente la rotta e tornare ad Alessandria).
Poco dopo le cinque
del mattino del 15 giugno i quattro incrociatori, che con la XI Squadriglia
procedono 15 miglia a poppavia del gruppo «Littorio», vengono
attaccati da nove aerosiluranti britannici Bristol Beaufort del 217th
Squadron R.A.F. di Malta, uno dei quali colpisce il Trento sulla dritta, nel locale caldaie prodiero, immobilizzandolo
ed incendiandolo. Poi, tre degli aerosiluranti attaccano anche il gruppo «Littorio»:
le due corazzate aprono il fuoco con i cannoni da 90 mm ed i cacciatorpediniere
sparano alcune salve con i pezzi principali da 120 mm quando gli
aerei sono lontani, poi aprono il fuoco anche con le mitragliere non appena la
distanza si è sufficientemente ridotta, continuando inoltre ad eseguire
accostate per impedire il lancio simultaneo dei siluri. Il primo aereo lancia,
infruttuosamente, alle 5.26 da 4500 metri, un altro lancia da 1500 ma
l’arma viene evitata con le manovre, il terzo si allontana per poi ritornare
all’attacco e, nonostante l’intenso tiro contraereo (tutte le armi sono dirette
contro di lui), alle 5.51 riesce a sganciare da 2000 metri e poi si
allontana indenne dopo essere passato tra le due corazzate. Il siluro, diretto
contro la Vittorio Veneto, non
va a segno.
Molto grave la
situazione del Trento, che è
immobilizzato con un violento incendio a bordo, avvolto in una cortina
nebbiogena che il Camicia Nera emette
girandogli intorno. Dopo una comunicazione col comandante dell’incrociatore
(che riferisce che la nave è stata colpita da un solo siluro, e che sta
tentando di rimettere in moto le due macchine interne), l’ammiraglio Iachino
ordina a Saetta e Pigafetta di avvicinarsi al Trento per fornirgli assistenza e,
qualora fosse in grado di rimettere in moto, scortarlo. Il resto della squadra
italiana, invece, prosegue per la sua rotta; con la prospettiva di un incontro
con il convoglio britannico nelle ore a venire, non è possibile distaccare
altri cacciatorpediniere, oltre a Saetta
e Pigafetta.
Per ore l’equipaggio
del Trento lotta contro gli incendi per
salvare la propria nave; il capitano di vascello Stanislao Esposito, comandante
del Trento, preoccupato – a ragione –
dall’eventualità di nuovi attacchi aerei da Malta, od anche dell’arrivo di
qualche sommergibile in agguato nella zona, ordina a Saetta e Pigafetta di
circondare l’incrociatore con una fitta cortina di nebbia artificiale, per
impedirne l’avvistamento ad aerei e sommergibili avversari.
Intanto gli sforzi
per domare l’incendio sembrano avere successo; occorrendo però molto tempo per
riaccendere le caldaie, poco dopo le otto il comandante Esposito ordina al Pigafetta di smettere di emettere nebbia
artificiale e di prepararsi invece a prendere a rimorchio il Trento. Il Pigafetta esegue, portandosi a proravia dell’incrociatore e
preparandosi a distendere i cavi di rimorchio, mentre il Saetta continua a girare intorno al Trento avvolgendolo nella sua cortina nebbiogena. Alle nove gli
incendi sull’incrociatore sono stati quasi completamente soffocati, e le tre
navi si trovano nelle posizioni appena menzionate.
Purtroppo, però, la
cortina nebbiogena stesa intorno al Trento
non è bastata ad impedire che l’incrociatore venisse avvistato da ben tre
sommergibili britannici, il P 31, il P 34 ed il P 35, richiamati sul posto dall’altissima colonna di fumo levatasi
nelle ore precedenti dalla nave in fiamme. Dei tre, che manovrano tutti per
avvicinarsi ed attaccare, il P 35
(tenente di vascello Stephen Lynch Conway Maydon), che stava osservando la
formazione italiana da prima dell’attacco degli aerosiluranti (ed ha già
tentato, senza successo, di attaccare le corazzate), riesce per primo a
portarsi a distanza di lancio. La manovra di attacco del sommergibile ha inizio
alle 6.19, quando esso dista circa 5 km dal Trento;
alle 7.16 l’avvicinamento dei cacciatorpediniere lo costringe a scendere in
profondità e dirigere verso nord, ritardando il ricaricamento dei siluri nei
tubi, ma alle 8.15 il P 35 può
tornare a quota periscopica ed avvista il Trento
ancora in fiamme, su rilevamento 159°, con Saetta
e Pigafetta intenti a stendere una
cortina fumogena. Alle 9.06, nel punto 35°55’ N e 18°59’ E, il P 35 lancia due siluri.
Alle 9.10 viene
avvistata dal Trento, di prora a
sinistra, una scia di siluro che si avvicina rapidamente: la nave, immobile,
non può fare niente per evitarlo, e viene colpita in prossimità del deposito
munizioni della torre numero 2, che dopo pochi secondi esplode. Dilaniato dalla
terribile esplosione, che solleva il ponte di coperta a prua ed abbatte il
tetrapode e la sovrastruttura prodiera, l’incrociatore sbanda fortemente sulla
dritta ed affonda rapidissimamente nel punto 36°10’ N e 18°40’ E, portando con
sé il comandante Esposito e quasi metà dell’equipaggio.
A Saetta e Pigafetta non rimane che recuperare i naufraghi, che sbarcheranno
poi a Messina. (Secondo alcune fonti avrebbero anche contrattaccato con bombe
di profondità; il rapporto del P 35
parla di sette bombe di profondità, esplose vicine ma senza causare danni, e di
caccia terminata alle 10.40). Successivamente verranno inviate sul posto, per
partecipare alle operazioni di soccorso, anche le navi ospedale Aquileia e Città di Trapani e due torpediniere.
Su 1151 uomini che
componevano l’equipaggio del Trento,
ne vengono tratti in salvo in tutto 602, 172 dei quali feriti; ventuno di
questi moriranno nei giorni successivi per le ferite riportate.
10 luglio 1942
Alle 18 il Saetta, partito da
Navarino, raggiunge il convoglio «S» (motonavi Unione, Apuania, Lerici e Ravello, cacciatorpediniere Freccia
– caposcorta – e torpediniere Orsa, Pallade, Polluce, Partenope e Calliope), in navigazione verso la
Libia. Dopo un’ora e mezza il Saetta
lascia il convoglio, seguito da Lerici e Polluce, facendo rotta per Suda.
13 luglio 1942
Il Saetta, scortato dalla torpediniera Polluce, rimorchia da Navarino a Suda
l’ex sommergibile Millelire,
trasformato in bettolina per trasporto carburanti.
Ca. 18 luglio 1942
Il Saetta trasporta da Suda a Tobruk un
carico urgente di cannoni contraerei, dietro richiesta del generale comandante
le forze armate tedesche sul fronte sud.
20 luglio 1942
Il Saetta parte da Tobruk alle 19.15
scortando la nave cisterna Alberto Fassio, diretta a Suda.
22 luglio 1942
Saetta e Fassio arrivano a
Suda alle otto; successivamente proseguono per Taranto.
29 luglio 1942
Il Saetta, il cacciatorpediniere Bersagliere (caposcorta) e le
torpediniere Lince e Sagittario partono da Suda alle 23.30
per scortare a Bengasi i piroscafi Aventino
e Milano, aventi a bordo 1871
militari, 15 tra automezzi e rimorchi e 213 tonnellate di materiali vari,
munizioni e materiale d’artiglieria.
31 luglio 1942
Il Milano giunge a Bengasi alle 9.45,
mentre l’Aventino, rallentato da
danni alle macchine subiti nel corso di precedenti attacchi aerei, vi arriva
tre ore più tardi.
2 agosto 1942
Il Saetta salpa da Suda alle 21.30 scortando
il piroscafo Tagliamento, diretto a
Bengasi. Successivamente la scorta viene rinforzata dalla torpediniera Orsa, inviata da Bengasi.
4 agosto 1942
Il convoglietto
arriva a Bengasi alle 20. Subito dopo Saetta,
Orsa e la torpediniera Pegaso assumono la scorta della motonave
Tergestea, partita da Bengasi alle 19
e diretta a Brindisi (convoglio «T»). Il Saetta
è caposcorta.
6 agosto 1942
Alle cinque del
mattino il Saetta lascia il
convoglio.
14 agosto 1942
Alle tre di notte il Saetta (caposcorta) salpa dal Pireo
scortando, insieme alle torpediniere Sirio e Orione, la motonave Foscolo (carica di 1009 tonnellate di munizioni e materiali e 94
automezzi, oltre a 137 uomini).
Alle 8.30 il Saetta lascia la scorta (la Foscolo raggiungerà Tripoli alle 9.30 del
giorno seguente).
16 agosto 1942
Alle 15 il Saetta (capitano di corvetta Enea
Picchio) salpa da Bengasi per scortare, insieme al cacciatorpediniere Da Recco (caposcorta, capitano di
vascello Aldo Cocchia) ed alle torpediniere Castore
e Orione, le motonavi Nino Bixio e Sestriere, che rientrano in Italia con
2800 prigionieri di guerra ciascuna (per altra fonte, sulla Bixio se ne trovano 3200).
17 agosto 1942
Alle 16 il
sommergibile britannico Turbulent (capitano
di fregata John Wallace Linton) avvista a 12.800 metri per 160° il convoglio,
scortato anche da diversi aerei, ed alle 16.33 lancia quattro siluri da 3300
metri. Una delle armi, con giroscopio difettoso, torna indietro e compie due
giri passando sopra il Turbulent,
ma altre due centrano la Nino Bixio nel
punto 36°36’ N e 21°30’ E o 36°35’ N e 21°34’ E (al largo di Sapienza e dodici
miglia a sudovest di Navarino; le fonti italiane, indietro di un’ora rispetto
all’orario del Turbulent,
indicano il siluramento come avvenuto alle 15.30).
Mentre Castore e Da Recco (caposcorta) proseguono con l’indenne Sestriere (mancata dai siluri),
il Saetta – per decisione presa
d’iniziativa dal comandante Picchio, senza attendere ordini dal caposcorta
Cocchia, che poi l’approverà in pieno –, prende subito a rimorchio la Bixio. Assistito dall’Orione e poi anche
dalla torpediniera Polluce, uscita
da Navarino, il Saetta riesce a
rimorchiare a Navarino la grossa motonave danneggiata. Scriverà il
caposcorta Cocchia, in proposito, nelle sue memorie: «…il Saetta, comandato dal capitano di corvetta Picchio, senza nemmeno
attendere i miei ordini, già si predispone al rimorchio della motonave colpita.
Ordino all’Orione di restare col Saetta e, assieme al Castore ed al Sestriere,
proseguo per Brindisi. Il Saetta, con magiStrale operazione, riesce a
rimorchiare fino a Navarino la motonave ferita, nonostante l’enorme
sproporzione fra il proprio tonnellaggio e il dislocamento dell’unità da
rimorchiare resa ancor più pesante dall’acqua imbarcata in ben due stive.
Bisogna convenire che il capitano di corvetta Enea Picchio diede, in quell’occasione, prova di capacità
marinaresche fuori dal comune».
18 agosto 1942
Il Saetta con la Bixio a rimorchio, Polluce
ed Orione entrano a Navarino alle
sette.
La motonave viene
così salvata, ma si lamentano comunque 434 vittime, tra cui 336 prigionieri.
Per il salvataggio
della Bixio, il comandante Picchio
del Saetta riceverà la Medaglia di
Bronzo al Valor Militare, con motivazione: «Comandante di cacciatorpediniere,
di scorta a convoglio, colpito con due siluri un piroscafo da sommergibile
nemico, provvedeva, con prontezza ed elevata perizia marinaresca alle
operazioni di salvataggio dell’unità sinistrata e, nonostante la perdurante
insidia avversaria e le difficili condizioni atmosferiche, ne effettuava audacemente
il rimorchio fino ad una nostra base».
27 agosto 1942
Alle sei del mattino
il Saetta va a rinforzare il Folgore (caposcorta) e le torpediniere
Aretusa e Calliope nella scorta alla
motonave Unione, partita dal Pireo cinque ore prima e diretta a Bengasi.
Alle 14.10 il
sommergibile britannico P 35 (tenente
di vascello Stephen Lynch Conway Maydon) avvista il convoglio che procede a
12-14 nodi su rotta 270° (225° dopo un’accostata effettuata alle 14.20), ed
alle 14.29 lancia tre siluri in posizione 35°35’ N e 23°03’ E. Proprio mentre i
siluri vengono lanciati, però, l’Unione compie
un’altra accostata per 170°, così nessuna delle armi va a segno. Le navi
italiane avvertono due esplosioni subacquee, ma non vedono scie di siluri.
Alle 22.30 il
convoglio viene avvistato da ricognitori avversari, ed alle 23.45 hanno inizio
gli attacchi aerei.
28 agosto 1942
Senza aver subito
altri danni, il convoglio giunge a Bengasi alle 14.15.
Alle 19 il Saetta ne riparte insieme a Da Recco (caposcorta), Folgore ed alla torpediniera Climene, scortando le motonavi Foscolo e Ravello.
30 agosto 1942
Alle 6.30 il
convoglio giunge al Pireo. Il Saetta
e la torpediniera Lince scortano poi
la Ravello da Patrasso a Taranto.
13 settembre 1942
Il Saetta (capitano di corvetta Enea Picchio),
munito di attrezzatura per rimorchi veloci, salpa da Taranto alle 8.45
rimorchiando il vecchio sommergibile Millelire,
completamente svuotato degli apparati interni, trasformato in bettolina col
nome di G.R. 248 e carico di
carburante (247 tonnellate di benzina e 443 di gasolio), che deve portare a
Tobruk. Saetta e Millelire sono scortati dalla torpediniera Castelfidardo; la navigazione con l’inusuale rimorchio può avvenire
ad una buona velocità, 14 nodi.
14 settembre 1942
Saetta, Millelire e Castelfidardo giungono alle 11 a
Navarino, dove sosteranno fino all’indomani.
15 settembre 1942
Il piccolo convoglio
lascia Navarino alle 7.15, procedendo a 14 nodi lungo le rotte costiere della
Grecia occidentale.
Durante la
navigazione le unità sono sorvolate da ricognitori e bengalieri, ma non
subiscono danni.
17 settembre 1942
Le unità giungono a
Tobruk alle 10.
Il Saetta lascia Tobruk per Bengasi alle
16, scortando il piroscafo Siculo.
19 settembre 1942
Saetta e Siculo arrivano a
Bengasi alle 14.30.
24 settembre 1942
Il Saetta scorta da Patrasso a Taranto, via
Prevesa, la piccola nave cisterna Alfredo.
3 ottobre 1942
Alle 15.15 (o 14.30)
il Saetta (capitano di corvetta Enea
Picchio), insieme ai cacciatorpediniere Antonio
Pigafetta (capitano di vascello Enrico Mirti della Valle, caposcorta;
con a bordo il contrammiraglio Lorenzo Gasparri, comandante il Gruppo
Cacciatorpediniere di Squadra) e Camicia
Nera (capitano di fregata Adriano Foscari), parte da Taranto per scortare a
Bengasi la motonave Valfiorita (comandante
civile capitano Giovanni Salata, comandante militare capitano di corvetta
Giuseppe Folli), avente a bordo 4171 tonnellate di materiali (tra cui bombe e
centinaia di veicoli) e 210 militari tra italiani e tedeschi.
Fino alla sera la
navigazione procede senza problemi, alla velocità di 14 nodi, ma alle 23.06 ha
inizio un attacco aereo: mentre diversi bengala iniziano ad accendersi attorno
al convoglio a gruppi, in successione, viene dato l’allarme aereo.
Gli attaccanti sono
quattro Vickers Wellington del 69th Squadron della Royal Air
Force, due dei quali carichi di bombe e due armati con siluri. A segnalar loro
la posizione del convoglio è stato un Supermarine Spitfire da ricognizione a
lunga autonomia, che a sua volta ha trovato le navi italiane in base alle
informazioni fornite da “ULTRA”, che dalle sue decrittazioni ha avvisato
della partenza per Bengasi della Valfiorita .
Sulla Valfiorita – munita anche di un pallone
frenato a 450 metri per ostacolare gli aerei attaccanti – viene attivato
l’impianto nebbiogeno, ed anche le navi della scorta la avvolgono nella nebbia
artificiale, ma l’attacco, Fulmineo e
preciso, coglie tutti di sorpresa, e la reazione contraerea delle unità del
convoglio – sia il mercantile che la scorta – non riesce ad essere efficace. I
Wellington attaccano planando a motore spento da 1370 metri di quota, ed una
bomba da 1000 libbre cadde meno di 140 metri a poppavia della Valfiorita.
4 ottobre 1942
Uno degli
aerosiluranti, essendo la motonave troppo poco illuminata (grazie probabilmente
all’impianto nebbiogeno), non riesce ad attaccare, ma poco dopo il secondo
Wellington silurante (l’HX605/L del sottotenente W. H. Matthews), volando a
bassissima quota, sgancia il suo siluro da 640 metri; l’arma
colpisce la Valfiorita a poppa
alle 00.25-00.29 (nel punto 39°16’ N e 19°13’ E, 46 miglia ad ovest di Paxo e
circa 42 miglia ad ovest dell’estremità meridionale di Corfù), provocando un
grave allagamento ed un incendio. Poco dopo l’aereo di Matthews, in
allontanamento, viene colpito dal tiro contraereo, subendo un ferito tra
l’equipaggio e venendo costretto in seguito ad un atterraggio d’emergenza a
Luqa.
Sulla Valfiorita, 30 uomini cercano
precipitosamente di calare una scialuppa, ma finiscono col farla capovolgere,
cadendo in mare; uno rimane ferito, due scompaiono.
Dopo una ventina di
minuti la Valfiorita, per quanto
danneggiata, riesce a rimettere in moto ancora a 14 nodi; il caposcorta decide
di puntare su Corfù, porto più vicino, dove il convoglio giunge verso le 8.10.
Qui la motonave, per scongiurarne l’affondamento, viene portata ad incagliare
vicino alla riva.
5 ottobre 1942
Alle 6.25 Saetta (capitano di corvetta Enea
Picchio), Camicia Nera (capitano
di fregata Adriano Foscari) e Pigafetta (capitano
di vascello Enrico Mirti della Valle) vanno a rinforzare la scorta –
cacciatorpediniere Folgore (capitano
di corvetta Renato D’Elia) e Nicolò Zeno (capitano
di fregata Roberto Lo Schiavo) e torpediniera Antares (capitano di corvetta Maurizio Ciccone) – della
motonave Sestriere (carica
di 3030 tonnellate di carburante, 1060 tonnellate di altri materiali, 70
tonnellate di munizioni, 28 carri armati e 144 veicoli), partita il giorno
precedente da Brindisi e diretta a Bengasi. Il Pigafetta diviene caposcorta.
Per meglio godere
della protezione della caccia aerea (la scorta aera sarà pressoché ininterrotta
fino alla sera del 6), fino all’altezza di Creta il convoglio si mantiene
vicino alla costa greca.
6 ottobre 1942
Alle 5.20 Zeno e Camicia Nera lasciano il convoglio e raggiungono Navarino.
Alle 10 Supermarina
avverte il caposcorta che alle 8.15 il convoglio è stato avvistato da
ricognitori, una trentina miglia ad est di Cerigotto. Tra le 12 e le 16 un
piovasco e poi un banco di densa foschia danno ulteriore “protezione” al
convoglio, privandolo però della scorta aerea.
Alle 17.40, trenta
miglia ad ovest di Cerigotto, la Sestriere avvista
aerei sospetti alla sinistra – sono quattro bombardieri quadrimotori, che
volano ad alta quota in direzione del convoglio – e viene dato l’allarme aereo.
La scorta aerea è costituita in questo momento da tre bombardieri tedeschi
Junkers Ju 88 e da altrettanti caccia Messerschmitt Me 111 della Luftwaffe.
Le navi della scorta
aprono il fuoco con le mitragliere, ma alle 17.46 il tiro viene cessato perché
inutile – gli aerei nemici volano troppo alti, oltre la portata delle armi di
bordo – e superfluo – la scorta aerea sta passando al contrattacco. Uno degli
aerei nemici è abbattuto da un caccia tedesco, gli altri tre attaccano alle
17.48; le loro bombe mancano di poco la Sestriere ed il Pigafetta,
ma non ci sono danni. Inseguiti dai caccia tedeschi, i bombardieri si ritirano
verso est, mentre alle 18 il convoglio può tornare ad assumere rotta e
formazione originaria. Mezz’ora dopo gli aerei di scorta se ne vanno.
7 ottobre 1942
Il convoglio giunge a
Bengasi alle 11.30, senza aver avuto altri problemi.
8 ottobre 1942
Alle 5.40 il Saetta e la torpediniera Antares, in trasferimento da Bengasi a
Tobruk, arrivano sul luogo del siluramento del piroscafo Dandolo, colpito da aerosiluranti alcune ore prima durante la
navigazione da Suda a Tobruk. La torpediniera Giacomo Medici (tenente di vascello di complemento Antonio Furlan)
sta cercando di rimorchiare il Dandolo,
ma ogni sforzo è vano; alle 6.36 il piroscafo affonda e le siluranti ne
recuperano i naufraghi, dopo di che dirigono su Tobruk, dove arriveranno nel
pomeriggio.
11 ottobre 1942
Il Saetta (capitano di corvetta Enea
Picchio) lascia Tobruk alle 16 rimorchiando lo scafo del sommergibile Millelire, trasformato in cisterna
galleggiante per trasporto nafta, insieme alla motonave Col di Lana. Scortano lo strano convoglio il cacciatorpediniere Freccia (capitano di fregata Giuseppe
Andriani) e le torpediniere Lupo
(capitano di corvetta Carlo Zinchi) ed Antares
(capitano di corvetta Maurizio Ciccone). Il Saetta
deve rimorchiare il Millelire a
Navarino, mentre la Col di Lana è
diretta a Salonicco.
12 ottobre 1942
Tra le 00.00 e l’1.40
il convoglio viene attaccato da bombardieri una settantina di miglia a nord di
Tobruk: verso l’una di notte l’Antares
viene colpita da alcune bombe, subendo gravi danni e perdite tra l’equipaggio
(31 morti e 37 feriti). La Lupo
prende a rimorchio la torpediniera danneggiata e la porta a Suda, dove
arriveranno alle 13 dell’indomani.
Il resto del convoglio
prosegue e, alle 17 del 12, si divide: Col
di Lana, Freccia e la
torpediniera Perseo (mandata da Suda)
dirigono per il Pireo; il Saetta col
suo rimorchio fa invece rotta su Navarino, scortato dalla torpediniera Lira, inviata da Suda.
13 ottobre 1942
Saetta, Millelire e Lira entrano a Navarino alle 2.30.
4 dicembre 1942
Nelle prime ore del
mattino il Saetta ed il
cacciatorpediniere Granatiere
(caposcorta) sostituiscono a Trapani un altro cacciatorpediniere, l’Alpino, nella scorta della motonave
tedesca Ankara, partita da Taranto e
diretta a Tunisi. Fanno parte della scorta anche le torpediniere Partenope e Perseo.
Alle 7.57 il
sommergibile britannico P 219
(tenente di vascello Norman Limbury Auchinleck Jewell) avvista del fumo su
rilevamento 030°, ed accosta per avvicinarsi; alle 8.13 avvista i velivoli
della scorta aerea (un idrovolante e due bombardieri) ed alle 8.45 vede
dapprima una nave ospedale e poi (ad una distanza di circa 2750 metri) il
convoglio di cui fa parte il Saetta,
che procede a circa 15 nodi su rotta 250°.
Alle 9.18, in
posizione 37°59’ N e 11°35’ E (una ventina di miglia ad ovest di Marettimo), il
P 219 lancia una salva di sei siluri
contro l’Ankara. I caccia della Regia
Aeronautica di scorta aerea avvistano le scie dei siluri e lanciano l’allarme,
permettendo al convoglio di evitare indenne l’attacco: il Granatiere viene mancato da due siluri che gli passano
rispettivamente a proravia ed a poppavia, mentre l’Ankara viene anch’essa mancata da un altro siluri.
Alle 16.30 le navi
arrivano a Tunisi.
5 dicembre 1942
Alle 8.40 il Saetta (caposcorta), insieme alla
torpediniera Procione
(frettolosamente riparata dopo i seri danni subiti, tre giorni prima, nella
battaglia del banco di Skerki), lascia Tunisi per scortare a Trapani le navi
cisterna tedesche Sudest e Noroit.
Poche ore dopo la
partenza, all’uscita del Canale di Tunisi, la Noroit urta una mina magnetica e cola a picco. Le altre navi
proseguono; alle 13.40 vengono avvistate dal sommergibile britannico P 45 (tenente di vascello Hugh Bentley
Turner), che alle 14.33 (in posizione 37°23’ N e 10°41’ E, a nord del Golfo di
Tunisi) lancia due siluri contro la Sudest,
da una distanza di 1100 metri. I siluri non vanno a segno.
6 dicembre 1942
Alle 11.50 Saetta, Procione e Sudest entrano
a Trapani, ed alle 19.35 giungono a Palermo.
Foto aerea: ma in realtà il “Saetta” in questa foto è il gemello Freccia, la cui immagine è stata ritoccata dal fotografo (mediante la sostituzione della sigla “FR” con “SA”) allo scopo di vendere immagini di entrambe le navi, a partire da quella del solo Freccia. Un trucco abbastanza semplice e diffuso nel periodo interbellico (da www.marina.difesa.it via Marcello Risolo) |
1942-1943
Lavori di modifica
dell’armamento: vengono eliminate tre mitragliere singole da 20/65 mm ed un
impianto lanciasiluri trinato da 533 mm, mentre vengono installate due
mitragliere singole Breda 1939 da 37/54 mm e sei mitragliere da 20/70 mm
Scotti-Isotta Fraschini 1939 in impianti binati.
5 gennaio 1943
Il Saetta (caposcorta) e le moderne
torpediniere di scorta Groppo e Animoso partono da Palermo per Biserta
alle 22, di scorta alle motonavi Ankara (tedesca)
e Calino.
6 gennaio 1943
Il convoglio giunge a
Biserta alle 13.
7 gennaio 1943
Il Saetta (caposcorta) parte da
Palermo alle 12.50, insieme alle torpediniere Cigno e Calliope,
scortando i piroscafi XXI Aprile e Skotfoss (tedesco) e la
pirocisterna tedesca Sudest.
8 gennaio 1943
Il convoglio si
divide: XXI Aprile e Skotfoss dirigono per Tunisi (dove
giungeranno alle 19), la Sudest per
Biserta (dove arriverà alle 7.50 del 9 gennaio).
10 gennaio 1943
Saetta (caposcorta) ed Animoso
partono da Tripoli alle 17 per scortare a Napoli la motonave Monreale.
12 gennaio 1943
Le tre navi giungono
a Napoli alle 8.45.
17 gennaio 1943
Il Saetta (capitano di corvetta Enea
Picchio, caposcorta) e la torpediniera di scorta Uragano (capitano di corvetta Luigi Zamboni) partono da Palermo per
Biserta alle 23.30, scortando la motonave tedesca Ankara, avente a bordo 153 veicoli, 47 motociclette, 160 tonnellate
di benzina, 666 tonnellate di munizioni e 800 tonnellate di altri rifornimenti.
18 gennaio 1943
Alle 13.15 il
convoglio ne sorpassa un altro, molto più lento, in navigazione sulla stessa
rotta (motonave italiana Col di Lana,
piroscafi tedeschi Gerd ed Henry Estier, torpediniere Ardito,
Animoso e Generale Antonino Cascino
e due dragamine tedeschi).
Alle 14.10 (o 14.15),
nel punto 37°24’ N e 10°18’ E (45 miglia ad est dell’Isola dei Cani), l’Ankara urta contro due mine
(appartenenti, a seconda delle fonti, ad un campo minato posato poche ore prima
dal sommergibile britannico Rorqual,
oppure ad un campo minato posato il precedente 29 novembre dal posamine
britannico Manxman) che scoppiano sul
lato di dritta, nella parte poppiera, in corrispondenza della stiva numero 4.
Il Saetta prende a rimorchio l’Ankara entro le 14.47 ed inizia a
rimorchiarla, ma la motonave si appoppa sempre più, costringendolo a mollare il
rimorchio; intanto, alle 15.05 l’Uragano
si affianca al bastimento tedesco e ne prende a bordo 175 uomini tra militari
di passaggio (26 italiani e 92 tedeschi) ed il personale di macchina (ormai
superfluo, dato che il motore non è più inutilizzabile), lasciando a bordo
soltanto il personale di coperta. L’Ankara
affonda alle 15.30, circa cinque miglia a nordest dell’Isola dei Cani; parte
dei naufraghi viene recuperata dalla torpediniera Cascino, appositamente distaccata dall’altro convoglio (per altra
fonte, sarebbe stato proprio il Saetta
a recuperare 109 naufraghi, senza nessuna vittima tra il personale imbarcato
sulla nave). Il Saetta segnala alla Cascino tre mine alla deriva, che
vengono distrutte dalla torpediniera durante la breve navigazione verso il
luogo di affondamento dell’Ankara. La
perdita della motonave tedesca, unica nave mercantile dotata di argani adatti a
caricare carri armati pesanti tipo “Tigre” (e dotata anche della reputazione di
“nave fortunata” per aver eluso di stretta misura la fine già in più di
un’occasione), è un duro colpo per le forze dell’Asse che combattono in
Tunisia.
Questo episodio, in
certo qual modo, sembra prefigurare l’analoga ma ben più tragica sorte che
toccherà proprio a Saetta ed Uragano appena due settimane più tardi.
26 gennaio 1943
Il Saetta (capitano di corvetta Enea
Picchio) ed il cacciatorpediniere Lampo
(caposcorta, capitano di corvetta Loris Albanese) partono da Napoli alle 4.30,
scortando i piroscafi Noto e Spoleto, diretti a Biserta.
Tra le 6.34 e le 6.37
il convoglio viene avvistato nel punto approssimato 40°22’ N e 14°22’ E (una
dozzina di miglia a sud della Bocca Piccola) dal sommergibile britannico P 211 (poi Safari, capitano di fregata
Benjamin Bryant), che alle 6.48 lancia quattro siluri da 2750 metri contro il
mercantile più vicino. A causa di un errore di sottostima della velocità da
parte di Bryant, tutti i siluri mancano il bersaglio; le navi non si accorgono
neanche di essere state attaccate.
Alle 18 il convoglio
raggiunge Palermo, dove sosta alcune ore.
27 gennaio 1943
Il convoglio riparte
da Palermo all’una di notte; alla scorta si è unita la torpediniera di scorta Ciclone (capitano di corvetta Luigi Di
Paola).
Alle 4.15, circa
cinque miglia a nord di Trapani, il convoglio viene attaccato da un singolo
aerosilurante, che lancia infruttuosamente il suo siluro.
Alle 8.22 il
convoglio viene avvistato dal sommergibile britannico Turbulent (capitano di fregata John Wallace Linton), che alle 8.55,
in posizione 37°46’ N e 11°14’ E, lancia quattro siluri da 2750 metri contro i
due mercantili, per poi scendere in profondità.
Subito dopo il lancio
(le fonti italiane indicano le 8.54, con leggerissima discrepanza rispetto
all’orario di lancio indicato dal Turbulent),
i velivoli della scorta aerea segnalano al convoglio le scie dei quattro siluri,
in arrivo da sinistra: il caposcorta ordina a tutte le navi di accostare ad un
tempo di 90° a dritta, manovra che viene prontamente eseguita, permettendo così
di evitare tutti i siluri. Due corvette in zona per una crociera
antisommergibili si occupano di dare subito la caccia all’attaccante (senza
però riuscire a danneggiarlo), mentre il convoglio prosegue.
Le navi entrano a
Biserta alle 16.30.
31 gennaio 1943
Il Saetta e le torpediniere Sirio (caposcorta), Clio, Monsone ed Uragano salpano da Napoli per Biserta
alle 4.30, scortando le moderne motonavi Manzoni,
Mario Roselli ed Alfredo Oriani.
1° febbraio 1943
Il convoglio entra a
Palermo alle 17.45, sostandovi per qualche ora.
2 febbraio 1943
Il convoglio lascia
Palermo alle 00.30 diretto a Biserta, dove giunge alle 15.
Una bella foto del Saetta in navigazione (g.c. Marcello Risolo via www.naviearmatori.net) |
Mine
Alle 5.30 del mattino
del 3 febbraio 1943 il Saetta, al
comando del capitano di corvetta Enea Picchio, lasciò Biserta insieme alle
torpediniere Sirio (capitano di
corvetta Sandro Cetti, caposcorta) e Clio
(tenente di vascello Carlo Brambilla) ed alle torpediniere di scorta Monsone (capitano di fregata Emanuele
Filiberto Perucca) ed Uragano
(capitano di corvetta Luigi Zamboni), per scortare a Napoli la grossa nave
cisterna Thorsheimer, che rientrava
scarica in Italia. Capoconvoglio era il capitano di vascello Corrado
Tagliamonte, comandante della flottiglia di scorta di Napoli, in
quell’occasione imbarcato sulla Sirio,
il cui comandante – capitano di corvetta Sandro Cetti – ricopriva invece
l’incarico di caposcorta.
Il cielo era sereno,
ma la visibilità risultava mediocre; il mare era molto agitato, con forte vento
da maestrale che aveva preso a soffiare durante la notte.
Le sei navi uscirono
da Biserta in linea di fila ed a lento moto, poi accelerarono fino a
raggiungere la velocità stabilita per la navigazione. Alle 6.50, al traverso
dell’Isola dei Cani (una decina di miglia a nordest di Biserta), il convoglio
assunse la formazione su colonne parallele: il Saetta e l’Uragano proteggevano
la Thorsheimer sul lato di dritta,
mentre Sirio e Clio facevano lo stesso su quello sinistro; la Monsone conduceva la navigazione, procedendo 1500 metri a proravia
del convoglio. Per ordine del caposcorta, le unità procedevano piuttosto vicine
le une alle altre; tra ogni colonna e le altre vi era una distanza di 300 metri
(altra fonte parla di 500 metri).
Monsone ed Uragano, moderne
unità in servizio da pochi mesi, erano munite di ecogoniometro, ma il mare
molto agitato da maestrale (forza 5-6), con le conseguenti forti rollate,
creava grossi problemi al funzionamento di tali strumenti, come comunicarono
alle 8.17. Il rollio generava infatti echi accessori, che disturbavano lo
scandaglio acustico, e gli impediva di localizzare gli eventuali oggetti
sommersi che si trovavano intorno alle navi: sommergibili ed anche mine.
Il convoglio seguì
inizialmente una rotta verso nord; tra le 8.40 e le 9.26 il mare molto agitato
da nordovest ed il vento forza 6 da maestrale provocarono forte rollio e
scarrocciamento delle navi, che unitamente alla foschia impedivano di prendere
il punto nave con sufficiente accuratezza. Si temeva che il convoglio potesse
finire fuori rotta e capitare sui campi minati difensivi italiani (da
rilevamenti eseguiti in seguito emerse che il convoglio era scaduto di un
miglio verso est).
Alle 9 del mattino la
Thorsheimer comunicò che, a causa del
mare burrascoso, avrebbe dovuto ridurre la velocità a circa 10 nodi. Alle 9.30
il convoglio accostò a dritta, assumendo una rotta verso Marettimo.
Alle 9.38, poco dopo
che il convoglio aveva cambiato rotta, l’Uragano
urtò una mina nel punto 37°35’ N e 10°37’ E (a 27 miglia e mezzo per 54° dall’Isola
dei Cani, cioè ad est di tale isola). Era entrata in un campo minato composto
da ben 160 ordigni (divisi in due spezzate: una più a nord, di 70 mine, ed una
più a sud, di 90), posati quasi un mese prima, il 9 gennaio, dal posamine
veloce britannico Abdiel, a nordest
di Biserta ed a sud di Marettimo. Su quelle mine era già affondato, lo stesso 9
gennaio, il cacciatorpediniere Corsaro,
mentre aveva perduto al poppa il cacciatorpediniere Maestrale, che aveva potuto essere fortunosamente rimorchiato in
porto. L’Uragano, con ogni
probabilità, era finita sulla spezzata settentrionale, quella di 70 mine, la stessa
in cui erano già incappati Maestrale
e Corsaro.
L’esplosione asportò
parte della poppa della torpediniera, lasciandola ancora galleggiante, ma
immobilizzata e senza governo: iniziava così la tragedia.
Sul Saetta l’ufficiale di guardia e
comandante in seconda, il tenente di vascello Franco Traverso, chiamò in
plancia il comandante Picchio, che stava carteggiando nel casotto di rotta. L’Uragano aveva trasmesso il segnale
«colpito da mina».
Il caposcorta
Tagliamonte ordinò a Saetta e Clio di dare assistenza all’Uragano. Sul Saetta il comandante Picchio, assunta la direzione della manovra,
fece mettere le macchine avanti a mezza forza, riducendo così di molto la
velocità, e virò con tutta la barra a sinistra, in modo da portarsi a poppavia
della Thorsheimer, con il proposito
di accodarsi ad essa; al caposcorta, Picchio fece trasmettere il messaggio «Faccio
presente che sono quello che pesca di più» (ossia il Saetta, essendo l’unità col pescaggio maggiore tra quelle presenti,
era anche quella più a rischio di urto contro mine), ma Tagliamonte non rispose
all’obiezione.
Al comandante Picchio
non rimase dunque che eseguire l’ordine; dispose di avvicinarsi all’Uragano, ed ordinò al comandante in
seconda Traverso di preparare il rimorchio. Traverso, guardando l’immobilizzata
Uragano che, traversata al mare,
scarrocciava verso i campi minati italiani, situati un po’ più a sudest,
commentò a Picchio: “Qui va a finire che ci lasciamo le penne!”.
Picchio e Traverso si
misero ad esaminare i provvedimenti da adottare per poter attuare il difficile
rimorchio dell’Uragano con condizioni
del mare tanto avverse, ma alle 9.48 il Saetta
– che, procedendo con prua quasi perpendicolare alla direttrice di marcia, si
era frattanto quasi portato nella scia della Clio, e si trovava circa 200 metri a poppavia dell’Uragano – venne scosso da una tremenda
esplosione, che lo spezzò in due. A conferma della fondatezza dei timori del
comandante Picchio, la nave aveva anch’essa urtato una mina dell’Abdiel. (Per altra fonte il Saetta avrebbe urtato la mina tre minuti
dopo l’Uragano, il che
significherebbe che l’urto avvenne alle 9.41. La posizione era a circa 27
miglia per 60° dall’Isola dei Cani.).
Sollevati in alto
dall’esplosione, i due tronconi ricaddero in acqua ed iniziarono rapidamente ad
affondare; mentre una colonna d’acqua, nafta, fumo e vapore si levava nel cielo
per una cinquantina di metri, con uno schianto terribile, il Saetta, spezzato in chiglia, si piegò a
“V”. Al comandante Picchio non rimase che ordinare di abbandonare la nave.
Furono messe in mare
le zattere e l’equipaggio si gettò in acqua, mentre i due tronconi s’infilavano
rapidamente sotto la superficie. Il comandante in seconda Traverso indossò il
salvagente e rimase in plancia ad attendere, assieme al comandante Picchio;
quando l’acqua raggiunse la plancia, Traverso si gettò in mare, seguito da
Picchio, che fu così l’ultimo ad abbandonare la nave. Una volta in acqua,
Traverso dovette nuotare affannosamente per evitare di essere travolto dalle
sovrastrutture della controplancia e dell’albero prodiero, che si stavano
abbattendo nella sua direzione; nuotando verso la zattera più vicina, vide la
sua nave che affondava sollevando verso il cielo le eliche e la prua.
La fine del Saetta fu rapidissima: in capo a
cinquanta secondi, del cacciatorpediniere non restavano più che pochi rottami,
zattere e decine di naufraghi.
Alle 9.51 il
caposcorta Tagliamonte ordinò alla Clio
di mettere a mare il suo battello per recuperare i naufraghi del
cacciatorpediniere, ma mantenendosi nella posizione in cui si trovava, onde
evitare che finisse anch’essa sulle mine. Non è chiaro se tale ordine sia mai
stato ricevuto dalla Clio (nel
brogliaccio delle ultracorte della Sirio
venne annotato il ricevuto, ma dal rapporto di navigazione della Clio non risulterebbe invece la
ricezione di tale messaggio), ma in ogni caso Tagliamonte, riflettendo per
qualche minuto, giunse alla conclusione che il mare ed il vento avrebbero
potuto spostare la Clio dalla sua
posizione, spingendola verso le mine, e che il mare era troppo agitato perché
il battello potesse essere di aiuto ai naufraghi (più probabilmente avrebbe
finito col capovolgersi, come fecero tutte le imbarcazioni messe a mare dall’Uragano). Alle 10, pertanto, ordinò alla
Clio di proseguire col convoglio, seguendo
la Sirio nella scia, mentre alle 9.55
(10.55 per altra fonte) comunicò a Supermarina che il Saetta era affondato e che il vento ed il mare forza 5 impedivano a
qualsiasi unità di prestare soccorso ai naufraghi di quella nave ed all’Uragano, che ancora galleggiava; alle
10.05 richiese a Mariafrica (Biserta) di inviare dei mezzi di soccorso il prima
possibile, richiesta poi reiterata alle 12.05.
Alle 13.04
Supermarina dovette ordinare alla Sirio
di proseguire la navigazione con tutto il convoglio: ulteriori tentativi di
soccorso avrebbero portato soltanto alla perdita di altre navi.
L’agonia dell’Uragano, rimasta alla deriva in mezzo ai
campi minati, si protrasse per quasi quattro ore: soltanto intorno alle 13.35
di quel triste 3 febbraio la torpediniera colò infine a picco, portando con sé
il suo comandante, che non l’aveva voluta abbandonare. Per il suo equipaggio,
129 uomini, iniziava un’odissea analoga a quella dei naufraghi del Saetta.
Questi ultimi, in
quel momento, si trovavano in acqua già da quattro ore. Franco Traverso, il
comandante in seconda del Saetta,
dopo l’affondamento aveva raggiunto una zattera cui era aggrappata una ventina
di uomini; nelle vicinanze si vedevano altre sei o sette zattere, anch’esse
affollate dai naufraghi. Traverso tentò di riunire le zattere, chiamandole a
voce ed incitando i marinai della sua a “vogare” con le mani (la zattera era
troppo piena per poter permettere l’uso dei remi) verso le altre, ma non servì
a nulla: in breve tempo, il mare disperse le zattere del Saetta, e Traverso ed i suoi uomini si ritrovarono ben presto soli.
Potevano vedere l’Uragano, che in
quel momento galleggiava ancora, che scarrocciava verso sudest, allontanandosi
sempre di più; anche il convoglio si stava allontanando, mentre anche le altre
zattere si allontanavano fino a sparire dalla vista. Poco dopo, intorno alla
zattera di Traverso no si vedeva più nulla all’infuori del mare e del cielo.
Gli uomini aggrappati
alla zattera iniziarono presto a soccombere al freddo ed al mare. Il mare
agitato fece capovolgere più e più volte la zattera; ogni volta che essa si
capovolgeva, gli uomini che si rimanevano sopravento rispetto ad essa non
riuscivano più a raggiungerla, e scomparivano tra le onde. Traverso cercò di
far disporre gli uomini in modo da impedire altri capovolgimenti, ma ogni volta
che arrivava un frangente più violento degli altri, il piccolo galleggiante si
rovesciava lo stesso. Molti marinai iniziarono a sprofondare in uno stato di
depressione morale e di apatia, lasciandosi andare; Traverso cercò di
ridestarli con le parole e distribuendo loro il cognac contenuto nelle
dotazioni della zattera, incitandoli a non abbandonarsi, ma col passare del
tempo molti si rassegnavano alla morte.
Verso le 15
sopraggiunsero sul luogo dell’affondamento numerosi aerei italiani, tedeschi e
della Croce Rossa, che però, a causa delle proibitive condizioni del mare, non
poterono fare altro che lanciare nelle vicinanze dei salvagente contenenti
generi di conforto, che gli uomini della zattera non riuscirono però a
recuperare. Intorno alle 16 la zattera di Traverso raggiunse un’altra zattera,
distante circa trenta metri, sulla quale parve a Traverso di vedere il
comandante Picchio; al richiamo ad alta voce dalla zattera di Traverso giunse
in risposta un cenno di saluto. Incitati da Traverso, i marinai cercarono di
avvicinarsi all’altra zattera, ma ancora una volta fu tutto inutile, ed essa
sparì alla vista dopo breve tempo.
L’ammiraglio Luigi
Biancheri, comandante di Mariafrica, fece partire alle 16.20 da La Goletta
(Tunisi) il rimorchiatore Ciclope,
per mandarlo in soccorso dei naufraghi delle due unità affondate; dato il suo
elevato pescaggio e la sua bassa velocità, tuttavia, il Ciclope non rappresentava la nave più indicata per raggiungere il
luogo del disastro con sufficiente celerità, né per operare con sicurezza in
zona minata. Come se non bastasse le condizioni del mare, peggiorate di molto
nelle ore seguenti, indussero Supermarina, a mezzanotte, ad ordinare al Ciclope di tornare in porto.
Il mare, intanto,
continuava a mietere vittime tra i naufraghi del Saetta. Quando calò la sera del 3 febbraio, otto ore dopo
l’affondamento del cacciatorpediniere, della ventina di uomini che
originariamente occupavano la zattera del tenente di vascello Traverso soltanto
nove erano ancora vivi; e molti di essi stavano a loro volta rassegnandosi
passivamente alla morte. Di nuovo Traverso cercò di disporre gli uomini in modo
da impedire che la zattera si rovesciasse, e di nuovo la zattera si rovesciò lo
stesso. Aperto, per ordine di Traverso, il bidone contenente i viveri, i
naufraghi scoprirono che il contenitore non era perfettamente a tenuta stagna:
le gallette erano inzuppate d’acqua salata e l’acqua dolce era diventata
imbevibile, inquinata dalla salsedine. In questo modo, le dotazioni di
provviste erano ridotte a qualche scatoletta di carne ed una di latte; Traverso
fece distribuire il latte agli uomini che apparivano più stremati, mentre gli
altri si divisero due scatolette di carne.
Calò intanto la
notte: Traverso cercò di rianimare i suoi uomini, esortandoli a recitare una
preghiera, ma la situazione non accennava a migliorare. Il mare, sempre molto
agitato, capovolse la zattera ancora molte volte; tra le continue cadute
nell’acqua gelida ed il vento freddo che soffiava da maestrale, i superstiti
iniziarono a manifestare sintomi sempre più gravi di assideramento. A tratti
Traverso si sorprese a pensare, “con una strana calma”, che non avrebbe visto
l’alba.
Dei nove occupanti
della zattera morì assiderato, nel corso della notte, il tenente del Genio
Navale Direzione Macchine Antonio Aiello. Gli altri otto erano invece ancora
vivi quando sorse il sole; attesero fino a mezzogiorno prima di buttare in mare
la salma di Aiello.
La giornata del 4
febbraio fu meno terribile di quella precedente: il vento era pressoché cessato
ed anche il mare andava rapidamente calmandosi; il sole riscaldò con la sua
luce i naufraghi semiassiderati. Nonostante il netto miglioramento delle
condizioni meteorologiche, tuttavia, passò tutto il giorno senza che si vedesse
traccia di mezzi di soccorso di qualsiasi tipo.
Traverso si rese
conto che nessuna nave era in vista perché il mare aveva portato la zattera in
mezzo ai campi minati, ergo soltanto un idrovolante avrebbe potuto soccorrerli;
senza rivelarlo, per non aumentare lo scoramento degli altri naufraghi – cui
pareva di essere stati abbandonati al proprio destino –, cercò di convincerli
che dovevano certamente esservi dei gravi motivi che impedivano l’arrivo delle
unità soccorritrici. Essendo non lontani da Capo Bon, Traverso ordinò che i
marinai, a turno, remassero verso la costa; in cuor suo non credeva possibile
raggiungere la terra, stante la scarsissima governabilità della zattera, ma
riteneva che questa illusione servisse almeno a distrarre i marinai e a dar
loro speranza, mantenendone alto il morale. Siccome uno dei due remi in
dotazione alla zattera era stato portato via dal mare, Traverso fabbricò un
secondo remo legando con un fazzoletto una scatoletta di carne appiattita alla
gaffa d’accosto.
Prima di notte i
naufraghi vennero sorvolati da un aereo tedesco, il quale lanciò loro un’altra
zattera, che però non riuscirono a recuperare. Calava ora la seconda notte in
balia del mare; Traverso fece recitare di nuovo la preghiera, e per tutta la
notte i marinai remarono verso il faro di Capo Bon, la cui luce fendeva
l’oscurità circostante. La notte tra il 4 ed il 5 febbraio fu più tranquilla di
quella precedente, dato che non c’era più vento ed anche il mare si era
calmato, ragion per cui la zattera non si rovesciava più. Ad un certo punto il
comandante in seconda del Saetta
iniziò ad avere qualche effimera speranza di poter davvero raggiungere la
terra, ma queste illusioni svanirono all’alba, quando il vento girò a Scirocco ed iniziò ad allontanare sempre
più la zattera dalla costa tunisina.
Intorno alle otto del
mattino del 5 febbraio, il vento girò di nuovo e tornò a soffiare da maestra,
facendo nuovamente sorgere la speranza di poter raggiungere Capo Bon; circa
un’ora più tardi, Traverso avvistò un aereo che volava a bassa quota nelle
vicinanze, e lo riconobbe come un Messerschmitt Bf 110. Fece allora legare sul
remo e sulla gaffa una camicia ed un paio di mutande, che vennero usate per
richiamare l’attenzione del velivolo; il tentativo ebbe successo, e poco dopo
l’aereo tedesco sorvolò la zattera, mostrando di aver visto i naufraghi. Il
Messerschmitt si allontanò e tornò alle 9.30 guidando sul posto un idrovolante
italiano CANT Z. 506, che prese a sorvolare a più riprese la zattera: c’era
ancora un po’ di maretta, ed il pilota stava valutando il miglior modo per
ammarare. Alle 9.45, infine, l’idrovolante ammarò nei pressi della zattera e ne
recuperò gli otto sopravvissuti, tra cui Traverso.
Tra il 4 ed il 5
febbraio, grazie al miglioramento delle condizioni meteorologiche, era stato
finalmente possibile organizzare un’operazione di soccorso con aerei, MAS, VAS,
vedette, motozattere e navi soccorso mandate da Tunisi, da Biserta, da Trapani
e da Pantelleria. Su 338 uomini che componevano gli equipaggi delle due navi
affondate, nonostante gli sforzi dei soccorritori, soltanto 54 poterono essere
tratti in salvo: 15 dell’Uragano e 39
del Saetta.
Alcuni sopravvissuti
del Saetta furono portati a Biserta,
altri invece a Trapani, all’ospedale di Torrebianca, nosocomio “in prima linea”
dove arrivavano continuamente i feriti ed i naufraghi dei tanti scontri e
affondamenti che avvenivano nel Canale di Sicilia. Il capitano di vascello Aldo
Cocchia, a quell’epoca ricoverato a Torrebianca per le gravi ustioni riportate
il 2 dicembre 1942 nella battaglia del banco di Skerki, così scrisse, nel suo
libro di memorie “Convogli”, sui sopravvissuti del Saetta: “I naufraghi superstiti, benché fossero assai vicini alle
Egadi, non furono recuperati che 48 ore dopo l’affondamento della nave e,
quando giunsero a Torrebianca, erano pochi, tanto pochi… I più non avevano
resistito due intere giornate al travaglio del mare, del freddo, della fame,
della sete…”
Non era tra di essi
il comandante Enea Picchio. Sulle esatte circostanze della sua morte sembrano
esistere notizie contrastanti; tra i naufraghi del Saetta che dopo il salvataggio furono portati a Biserta ed
interrogati tre giorni più tardi, nessuno sapeva esattamente cosa gli fosse
successo. Il comandante in seconda Traverso, come visto più sopra, riferì nel
suo rapporto che Picchio rimase in plancia con lui fin quando questa non venne
raggiunta dall’acqua, e poi si gettò in mare abbandonando per ultimo la nave;
gli parve di averlo visto in seguito a bordo di una zattera con altri naufraghi.
Il capitano di vascello Cocchia, che ebbe modo di parlare con alcuni superstiti
del Saetta portati all’ospedale
Torrebianca di Trapani, scrisse poi che dopo l’affondamento “lo videro vivo
ancora per alcune ore su una zattera, poi non se ne seppe più niente…”. Alcuni
sopravvissuti dell’Uragano,
interrogati, dissero di aver visto dalla loro nave (che quando il Saetta affondò era ancora a galla,
distante solo duecento metri) il comandante Picchio «sulla plancia [del Saetta] nel momento in cui affondava la
nave, nell'atteggiamento del saluto romano». Il sergente Egisto Ceppatelli, un
altro superstite del Saetta, avrebbe
in seguito raccontato a dei parenti che il comandante Picchio era rimasto a
bordo del Saetta con l’intenzione di
affondare con esso, ma che per cause sconosciute era finito invece in acqua con
gli altri naufraghi; questi ultimi lo avevano visto allontanarsi da loro,
aggrappato ad un rottame galleggiante, insieme al suo fido cane lupo che lo
seguiva ovunque e che portava con sé a bordo della sua nave. Non furono più
rivisti.
Enea Picchio era
giunto quasi al termine del suo periodo di imbarco (22 mesi) e qualche tempo
prima era stato mandato in licenza dopo tanto estenuante servizio di guerra
(prima al comando della torpediniera Andromeda,
poi dello Strale ed infine del Saetta), ma aveva voluto tornare a bordo
“per tornare alla vita a me appropriata”, come scrisse in una lettera, e per
non scontentare il suo equipaggio, molto attaccato al suo comandante.
Considerato tra i più competenti ed esperti comandanti di cacciatorpediniere
Regia Marina (nelle parole del capitano di vascello Aldo Cocchia, che lo aveva
avuto alle sue dipendenze in varie missioni di scorta: «…uno dei più bravi,
intelligenti e intrepidi comandanti di caccia che io abbia mai conosciuto: a
lui non era mai necessario dare ordini o spiegazioni, sapeva sempre quel che
doveva fare, il posto che doveva prendere, come doveva spostarsi, la manovra
che doveva eseguire (…) veterano di oltre 100 scorte, bravissimo ufficiale,
modesto quanto valoroso, marinaio esperto e combattente intrepido»), fu
decorato alla memoria con la Medaglia d’Oro al Valor Militare.
Su 209 uomini che
componevano l’equipaggio del Saetta, scomparvero
in mare il comandante Picchio, altri 6 ufficiali, 30 sottufficiali e 133 tra
sottocapi e marinai.
I loro nomi:
Giovanni Affinito, sottocapo meccanico,
disperso
Antonino Aiello, tenente del Genio Navale,
disperso
Girolamo Alessandrini, sottocapo elettricista,
disperso
Augusto Allegretti, marinaio elettricista,
disperso
Berto Umberto Alzini, marinaio, disperso
Vincenzo Ambrosino, marinaio motorista,
disperso
Giovanni Baggiani, marinaio motorista,
disperso
Luigi Balloni, marinaio fuochista, disperso
Carlo Banco, marinaio cannoniere, disperso
Giocondo Barattin, sottocapo S.D.T., disperso
Francesco Bardoscia, marinaio cannoniere,
disperso
Tullio Bassetti, marinaio cannoniere, disperso
Paolo Battaglia, sottocapo cannoniere,
disperso
Serafino Benevento, marinaio, disperso
Eroino Benicchi, secondo capo cannoniere,
disperso
Mario Bet, secondo capo meccanico, disperso
Fulvio Bonin, sottocapo cannoniere, disperso
Salvatore Bonomo, marinaio radiotelegrafista,
disperso
Renato Bonsignori, marinaio fuochista,
disperso
Giuseppe Borbone, marinaio, disperso
Vittorio Bortolotti, marinaio, disperso
Ercole Brunelli, capo nocchiere di terza
classe, disperso
Dino Bulgarelli, capo S.D.T. di seconda
classe, disperso
Vito Busco, marinaio cannoniere, deceduto
Remo Buselli, sergente cannoniere, disperso
Luigi Busetto, sottocapo S.D.T., disperso
Ezio Busto, marinaio cannoniere, disperso
Placido Cafeo, sergente fuochista, disperso
Felice Calcio Gaudino, marinaio, disperso
Vincenzo Carastro, marinaio cannoniere,
disperso
Antonio Carcagnin, marinaio, disperso
Domenico Carcaterra, capo meccanico di terza
classe, disperso
Giambattista Cascio, marinaio, disperso
Antonio Cavera, secondo capo cannoniere,
disperso
Giovanni Cenatiempo, marinaio nocchiere,
disperso
Loreto Serqua, marinaio cannoniere, deceduto
Quinto Cescatti, sottocapo cannoniere,
disperso
Nicola Chiaramonte, marinaio cannoniere,
disperso
Antonio Ciervo, marinaio cannoniere, disperso
Domenico Cioppa, marinaio cannoniere, disperso
Vito Cirami, sergente segnalatore, disperso
Vittorio Collovati, sottocapo meccanico,
disperso
Gianfranco Colombo, marinaio cannoniere,
disperso
Pietro Corlianò, sottocapo torpediniere,
disperso
Antonio Crialesi, marinaio nocchiere, disperso
Enrico Crotti, marinaio fuochista, disperso
Romeo D’Este, marinaio, disperso
Vincenzo D’Ischia, secondo capo furiere,
disperso
Gennaro De Costanzo, marinaio, disperso
Ciro De Martino, sergente radiotelegrafista,
disperso
Modesto Del Rosso, marinaio fuochista,
disperso
Cono Del Sole, marinaio, disperso
Alfiero Dell’Agnello, marinaio fuochista,
disperso
Bruno Derschitsch, marinaio fuochista,
disperso
Giuseppe Di Crosta, sergente cannoniere,
deceduto
Salvatore Di Lecce, marinaio cannoniere,
disperso
Luigi Ercolani, sergente cannoniere, disperso
Raffaele Esposito, marinaio cannoniere,
disperso
Livio Faes, marinaio cannoniere, disperso
Aldo Fasciolo, sottocapo meccanico, disperso
Dino Fattorini, marinaio fuochista, disperso
Giannino Fedeli, guardiamarina, disperso
Ferrante Ferramola, sottocapo infermiere,
disperso
Armando Ferrari, capo meccanico di prima
classe, deceduto
Dario Ferrari, marinaio cannoniere, disperso
Franco Fondi, marinaio silurista, disperso
Pasquale Forte, marinaio cannoniere, disperso
Rufino Fortini, marinaio S.D.T., disperso
Luigi Frangipani, sottocapo furiere, disperso
Lino Frassoldati, capo radiotelegrafista di
seconda classe, disperso
Luciano Fregoso, sergente elettricista,
deceduto
Armando Fusari, marinaio, disperso
Aldo Galelli, sergente cannoniere, disperso
Luciano Gallina, marinaio nocchiere, disperso
Antonio Gaudenzi, marinaio fuochista, disperso
Romeno Genesini, sottocapo segnalatore,
disperso
Luigi Giammarzia, marinaio, disperso
Giacomo Lorenzo Giribaldi, marinaio, disperso
Aurelio Giuntini, sottocapo elettricista,
disperso
Gino Gosetto, marinaio fuochista, disperso
Giuseppe Guatteo, marinaio fuochista, disperso
Sigfrido Hoggia, marinaio radiotelegrafista,
disperso
Salvatore Infernoso, marinaio, disperso
Ciro Ingenito, marinaio fuochista, disperso
Francesco Ivani, sottotenente di vascello,
disperso
Umberto Lagoteta, marinaio, disperso
Antonio Lamberti, secondo capo elettricista,
disperso
Alfio Leonardi, marinaio fuochista, disperso
Angelo Leonardi, marinaio, disperso
Nicola Loreto, marinaio fuochista, disperso
Francesco Lucido, marinaio, disperso
Gennaro Madaro, capo silurista di seconda
classe, disperso
Eschilo Mainardi, marinao fuochista, disperso
Giuseppe Maiorana, marinaio, disperso
Giuseppe Manzo, marinaio carpentiere, disperso
Severino Marinaz, sottocapo meccanico,
deceduto
Cosimo Marino, marinaio fuochista, disperso
Alfonso Martini, marinaio nocchiere, disperso
Raffaele Mella, marinaio cannoniere, disperso
Salvino Menini, marinaio silurista, disperso
Pietro Migliorini, sottocapo cannoniere,
disperso
Ennio Monti, secondo capo furiere, disperso
Carlo Mora, marinaio fuochista, disperso
Sergio Moriondo, marinaio fuochista, disperso
Arturo Moroni, marinaio silurista, disperso
Ernesto Mura, marinaio fuochista, disperso
Giuseppe Neri, marinaio cannoniere, disperso
Giovanni Noto, capo meccanico di seconda
classe, disperso
Giovanni Nucita, marinaio fuochista, disperso
Luigi Olivieri, capo meccanico di terza
classe, disperso
Marino Pacitto, marinaio fuochista, disperso
Arturo Pallastrelli, marinaio, disperso
Antonio Palumbo, marinaio cannoniere, disperso
Ugo Pardi, sergente cannoniere, deceduto
Crescenzio Pascale, marinaio cannoniere,
disperso
Salvatore Patanè, sergente silurista, disperso
Vincenzo Pernice, marinaio fuochista, disperso
Enzo Piazzi, sottotenente di vascello,
disperso
Enea Picchio, capitano di corvetta
(comandante), disperso
Giuseppe Pinna, sottocapo meccanico, deceduto
Angelo Piras, marinaio, disperso
Flaminio Pollini, marinaio fuochista, disperso
Giuseppe Pozzo, marinaio cannoniere, disperso
Gino Ramilli, marinaio fuochista, disperso
Severino Ravizza, secondo capo cannoniere,
disperso
Carmine Razzino, marinaio S.D.T., disperso
Mario Ricaldone, marinaio, disperso
Erasmo Riccà, marinaio cannoniere, disperso
Giuseppe Riolo, marinaio, disperso
Virgilio Romagnoli, marinaio cannoniere,
disperso
Angelo Romeo, sergente S.D.T., deceduto
Rosario Romeo, marinaio fuochista, disperso
Danilo Salin, marinaio fuochista, disperso
Giuseppe Salone, tenente del Genio Navale,
disperso
Rocco Santalucia, marinaio fuochista, disperso
Nicolò Santamaria, marinaio cannoniere,
disperso
Erminio Sardi, marinaio cannoniere, disperso
Osvaldo Scala, sottocapo S.D.T., disperso
Giuseppe Scarpello, sottocapo cannoniere,
disperso
Salvatore Schettino, marinaio fuochista,
disperso
Mario Schinaia, marinaio elettricista,
disperso
Angiolo Sciadini, sottocapo cannoniere,
disperso
Girolamo Sciortino, marinaio, disperso
Osvaldo Scotto Lavina, tenente di vascello,
disperso
Massimiliano Selva, marinaio cannoniere,
disperso
Elio Sernesi, sottocapo silurista, disperso
Cono Sinagra, marinaio fuochista, disperso
Antonio Solinas, marinaio S.D.T., disperso
Raffaele Sorrentino, marinaio, disperso
Nunzio Stasi, secondo capo S.D.T., disperso
Domenico Suma, marinaio cannoniere, disperso
Antonio Tagarelli, sergente meccanico,
disperso
Luigi Tasselli, secondo capo motorista,
disperso
Adriano Tassinari, marinaio fuochista,
disperso
Mario Tiengo, marinaio fuochista, disperso
Giovanni Timpanaro, marinaio cannoniere,
disperso
Carmelo Giuseppe Tinnirello, marinaio
fuochista, disperso
Paolo Torrisi, marinaio fuochista, disperso
Galileo Tosi, secondo capo meccanico, deceduto
Natale Ullo, marinaio nocchiere, disperso
Bruno Vaccani, sergente radiotelegrafista,
disperso
Francesco Valentino, sottocapo
radiotelegrafista, disperso
Marco Varricchio, marinaio fuochista, disperso
Carlo Zago, marinaio meccanico, disperso
Antonino Zanca, marinaio radiotelegrafista,
disperso
Giuseppe Zane, marinaio fuochista, disperso
Giuseppe Zilio, sottocapo meccanico, disperso
Sergio Zotti, marinaio fuochista, disperso
Due
lettere scritte a casa da Giovanni Affinito (g.c. Loredana Affinito)
Lettera
di Franco Traverso al padre di Giovanni Affinito nel giugno 1948
(g.c. Loredana Affinito)
La motivazione della
Medaglia d'Oro al Valor Militare conferita alla memoria del capitano di
corvetta Enea Picchio, nato ad Oleggio il 21 settembre 1906:
"Comandante di
silurante, eseguiva numerose e rischiose missioni di guerra in acque fortemente
controllate da aerei e sommergibili avversari, distinguendosi particolarmente
in lunga, difficile e contrastata orazione di rimorchio e di trasporto
combustibile ad un porto avanzato d'oltremare. Nella sua ultima missione di
scorta, irrimediabilmente colpita l'unità da offesa subacquea ed in condizioni
atmosferiche avverse, si preoccupava della salvezza del suo equipaggio dando
con calma e serenità le disposizioni del caso. Benché sollecitato dai suoi
dipendenti, rifiutava di portarsi in salvo e, irrigidito nella posizione di
"saluto alla bandiera", si inabissava con la sua nave, lasciando ai
posteri luminoso esempio di eroica abnegazione e di sublime attaccamento al
dovere.
Canale di Sicilia, 3 febbraio 1943."
Un’altra immagine del Saetta (g.c. Marcello Risolo via www.naviearmatori.net) |
Mio padre fu uno dei sopravvissuti del "Saetta". Ho rivissuto, leggendo questo articolo, le volte che ascoltavo dalla sua voce, io bambino, l'affondamento ed il alvataggio. Emozionato...
RispondiEliminaAnche mio padre come il tuo....Gli occhi arrossati quando chiedevo di raccontarmi quei momenti....Era segnalatore.
EliminaRivivo in questa narrativa i racconti di mio padre non più in vita, imbarcato sul Saetta giovanissimo e sfuggito all’affondamento per una miracolosa licenza dopo alcuni anni d’imbarco. Mi sarebbe piaciuto leggerli queste pagine di storia vissuta. Grazie comunque
RispondiEliminaGentilissimo Sig. Colombo,
RispondiEliminale scrivo da Genova, mi chiamo Roberto Ferrari e sono il nipote del Capo Meccanico di 1^ Cl. Armando Ferrari (detto Roberto).
Grazie per aver riassunto, dandomene conferma, tutte le notizie che mio padre aveva trovato con fatica rimanendo orfano di mio nonno; era tra i più anziani ed esperti meccanici a bordo, classe 1906 come il Com.te Enea Picchio e dai racconti di famiglia sappiamo che in quel momento non era in sala macchine ma come d'abitudine passava le sue "quattro ore" libere all'aria aperta. Si è tuffato con gli altri e testimonianze dicono che non essendo ferito ha dato precedenza a quelli messi peggio sulle zattere, rimanendo attaccato in acqua...poi l'hanno perso di vista.
E' stata una grande perdita per tutta la famiglia: ne portiamo il nome in tre. Per nostra fortuna, aveva passione per la fotografia ed abbiamo un bel tesoro in immagini ed album fotografici d'epoca.
La ringrazio ancora per il lavoro e le ricerche svolte.
Roberto Ferrari
Salve R. Ferrari, anche mio zio Pietro Corliano', di cui porto il nome, è scomparso in mare nello stesso episodio. Mi farebbe piacere se si condividessero le foto citate, nel caso vi fosse anche mio zio,altrettanto appena possibile farò anch'io. Cordiali saluti Pietro
EliminaGentile sig. Colombo,
RispondiEliminaleggendo questa sua ricerca ed esposizione sulle vicende del "Saetta" ho rivissuto le emozioni e i racconti di mio padre, Marinaio Fuochista imbarcato il 25/12/1940 e scampato anche lui al disastro, in quanto in licenza dopo 18 mesi.
Ho letto parecchi nomi di persone delle quali papà mi parlava e per le quali, oltre al vincolo di solidarietà e amicizia, si emozionava e le ricordava con le lacrime agli occhi.
NON DIMENTICHIAMOLI !
Mr. Columbo.
RispondiEliminaPlease indicate the source of this statement
- Gli Ju 88 affonderanno in successione il Lively, il Kipling e lo Jackal; soltanto il Jervis riuscirà a sottrarsi ai ripetuti attacchi aerei ed a raggiungere Alessandria (qualche fonte accredita l’affondamento del Lively a CANT Z. 1007 italiani, anziché a Ju 88 tedeschi).
All available sources claim that these were German Ju-88s and that Italian bombers were not reported anywhere in the attacks on British destroyers.
sergey
It was an article by Cernuschi and/or O'Hara, I cannot find it anymore.
EliminaÈ possibile e come, pubblicare una foto (di Pietro Corliano', sottocapo torpediniere, disperso), con altri commilitoni del Saetta?
EliminaAffinchè poi possano fare lo stesso anche altri, (R. Ferrari) condividendo eventuali immagini di interesse comune.
Buongiorno,
Eliminapuò inviarla a lorcol94@gmail.com, dopo di che sarei felice di inserirla nella pagina.
Sono Desco Andrea figlio di Antonio desco imbarcato nel saetta. Qul giorno non era a bordo. Ora non c è più però mi piacerebbe sapere se qualcuno lo ricorda grazie
RispondiEliminaDimenticavo sono Desco Andrea email andrea121253@yahoo.it
RispondiEliminagrazie per l'accurata ricostruzione storica. Sono Loredana la nipote di Giovanni Affinito.
RispondiEliminaDal sito della pro loco di Capua è possibile scaricare la sua foto e le le lettere che zio giovanni affinito scriveva al padre Antonio
RispondiEliminahttps://turismocapua.wordpress.com/documenti/
Buongiorno, potrei inserire la foto e qualche lettera in questa pagina?
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