Motosilurante tipo
CRDA da 60 tonnellate, prima serie (dislocamento di 62,5 tonnellate, lunghezza
28 metri, larghezza 4,30 e pescaggio 1,29, propulsa da tre motori diesel su tre
eliche, velocità 30 nodi; armata con due tubi lanciasiluri da 533 mm, due
mitragliere da 20/65 mm, due da 6,5 mm e due tramogge per otto bombe di
profondità). Il progetto di tali unità era derivato, con poche modifiche, dallo
studio di alcune motosiluranti jugoslave catturate nel 1941, a seguito
dell’invasione della Jugoslavia: queste ultime, di costruzione tedesca, erano
una versione da esportazione della prima classe di Schnellboote tedesche, la
classe S-1. Le loro forme di carena permettevano il raggiungimento di velocità
elevate unito ad una tenuta del mare molto migliore di quella dei MAS, inadatti
all’impiego in mare aperto con tempo non ottimale.
La MS 16, insieme alla gemella MS 22, fu l’autrice dell’affondamento
dell’incrociatore leggero britannico Manchester
(dislocamento a pieno carico di 11.930 tonnellate): la più grande nave da
guerra affondata da motosiluranti di qualsiasi nazionalità durante la seconda
guerra mondiale. (Lo stesso primato, relativo alla prima guerra mondiale,
appartiene anch’esso alla Marina italiana: la corazzata austroungarica Szent Istvan, colata a picco dal MAS 15 il 10 giugno 1918).
Breve e parziale cronologia.
25 settembre 1941
Impostazione nei
Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Monfalcone (numero di costruzione 1294).
3 febbraio 1942
Varo nei Cantieri
Riuniti dell’Adriatico di Monfalcone.
13 giugno 1942
Entrata in servizio.
Fine luglio 1942
Assegnata alla II
Squadriglia Motosiluranti, la MS 16
viene dislocata nelle basi del Canale di Sicilia.
11 agosto 1942
La MS 16 (capitano di corvetta Giorgio
Manuti), insieme al resto della II Squadriglia Motosiluranti (MS 22, MS 23, MS 25, MS 26 e MS 31), alle Squadriglie MAS XV (MAS 543, 548, 549 e 563), XVIII (MAS 533, 553, 556,
560 e 562) e XX (MAS 552, MAS 554, MAS 557, MAS 564) ed alla 3. Schnellboot-Flotille
tedesca (motosiluranti S 30, S 36, S 58 e S 59), viene
inviata nel Canale di Sicilia per tendere un agguato al grande convoglio
britannico diretto a Malta nell’ambito dell’operazione «Pedestal».
Quest’ultima consiste
nell’invio a Malta – particolarmente alle strette dopo la battaglia di Mezzo
Giugno, che ha impedito a quasi tutti i rifornimenti di altri due convogli di
raggiungere l’isola assediata – di un convoglio di 14 mercantili (le navi da
carico Almeria Lykes, Melbourne Star, Brisbane Star, Clan Ferguson,
Dorset, Deucalion, Wairangi, Waimarama, Glenorchy, Port Chalmers,
Empire Hope, Rochester Castle e Santa
Elisa e la nave cisterna Ohio)
carichi di vitali rifornimenti, con forte scorta: quattro incrociatori leggeri
(Nigeria, Kenya, Cairo e Manchester) e dodici cacciatorpediniere
(Ashanti, Intrepid, Icarus, Foresight, Derwent, Fury, Bramham, Bicester, Wilton, Ledbury, Penn e Pathfinder) per la
scorta lungo tutto il tragitto (Forza X), e ben quattro portaerei (Eagle, Furious, Indomitable e Victorious), due corazzate (Rodney e Nelson), tre incrociatori leggeri (Sirius, Phoebe e Charybdis) e dodici cacciatorpediniere (Laforey, Lightning, Lookout, Tartar, Quentin, Somali, Eskimo, Wishart, Zetland, Ithuriel, Antelope e Vantsittart)
come ulteriore scorta nella prima metà del viaggio (fino all’imbocco del Canale
di Sicilia).
Il Comando Marina di
Trapani, prevedendo che il convoglio britannico, diretto verso Malta, seguirà
la rotta a sud di Pantelleria oppure quella che, superato Capo Bon, proseguiva
verso sudest fin nei pressi di Ras Mahmur, ha inviato i propri mezzi insidiosi
proprio in tale area.
La MS 16 e le altre unità della II Squadriglia
Motosiluranti (della quale proprio il capitano di corvetta Manuti, comandante
della MS 16, è caposquadriglia),
partite da Trapani, vengono assegnate alla zona d’agguato «Gamma 3», al largo
della costa tunisina, delimitata da Ras el Mihr da una parte e Ras Mahmur
dall’altra. La zona «Gamma 3» viene a sua volta divisa in tre sottozone,
ciascuna delle quali è assegnata ad una sezione di tre motosiluranti.
L’ordine, sia per le
motosiluranti che per i MAS, è di effettuare un primo rastrello della zona
assegnata (senza vincoli di limiti di zona) e, in caso d’intercettazione di
segnali di allarme, di precipitarsi sul posto per attaccare il nemico; i
comandanti dovranno agire con il massimo spirito offensivo.
Ha così inizio la
battaglia di Mezzo Agosto.
13 agosto 1942
Nelle prime ore della
notte, come previsto, scatta l’attacco dei mezzi insidiosi, che, grazie alle condizioni
ottimali per una attacco del genere – convoglio frammentato, mare non molto
mosso, scarsa visibilità – mietono numerose vittime tra le navi del convoglio,
già indebolito e disperso dai precedenti attacchi aerei e subacquei.
La Forza X britannica
(cioè la forza di scorta diretta del convoglio), per non passare nelle acque
minate ad est di Capo Bon, costeggia la costa tunisina a sud dell’isola di
Zembra, transitando nelle acque territoriali del Nordafrica francese; i
cacciatorpediniere approfittano del periodo di calma seguito alla prima ondata
di attacchi nella zona del banco di Skerki per riordinare e ricompattare
(relativamente il convoglio). Alle 23.54 Forza X e convoglio raggiungono Capo
Bon ed iniziano a piegare verso sud, seguendo la costa in modo da passare al
largo di Kelibia: il faro di quella località, però, illumina il mare ed agevola
di molto l’avvistamento delle navi (secondo un superstite del convoglio, la
luce del faro rendeva le sagome delle navi visibili a dieci miglia di distanza).
Il convoglio avanza in formazione piuttosto disordinata: in avanguardia i
cacciatorpediniere Ashanti (con a
bordo il caposcorta, contrammiraglio Burrough, trasbordato dal danneggiato
incrociatore Nigeria), Icarus e Fury, seguiti dagli incrociatori Kenya e Manchester e dai
mercantili Glenorchy, Wairangi ed Almeria Lykes. Gli altri
mercantili, e parte dei cacciatorpediniere, sono più arretrati, in ordine
sparso: le motonavi Melbourne Star, Waimarama, Santa Elisa e Dorset
formano un primo gruppo, scortato dal solo cacciatorpediniere Pathfinder; più indietro la
danneggiatissima petroliera Ohio
assistita dal cacciatorpediniere Ledbury,
il piroscafo Port Chalmers scortato
dal cacciatorpediniere Penn, e per
ultimi il piroscafo Brisbane Star
assistito dal cacciatorpediniere Bramham.
All’1.02 la MS 16, in agguato al largo di Ras
Mustafà (costa della Tunisia) insieme alla sezionaria MS 23, avvista delle sagome di navi nemiche (si tratta delle unità
di testa della Forza X) e si dirige verso di esse per attaccare. La manovra
d’attacco è facilitata dalla subitanea accensione di un proiettore su una delle
navi (che il comandante Manuti della MS
16 ritiene essere un incrociatore classe Arethusa), che illumina altre
sagome di prora, e consente così alle motosiluranti italiane di selezionare il
proprio bersaglio.
La MS 16 si dirige lentamente proprio
contro l’incrociatore “classe Arethusa”, contro cui all’1.04 lancia il siluro
di dritta, da 800 metri di distanza; ma a causa, presumibilmente, di
malfunzionamento degli apparati di direzione (in particolare, del giroscopio di
manovra del timone verticale), il siluro devia dalla traiettoria prevista e
manca il suo bersaglio, passando a proravia della MS 22.
Durante la manovra di
disimpegno, dopo aver rinunciato a lanciare il secondo siluro contro un
bersaglio che ormai si sta allontanando, la MS
16 accosta per avvicinarsi ad una delle navi che seguono quella oggetto del
primo attacco, ed improvvisamente viene a trovarsi in posizione favorevole per
un nuovo lancio contro un secondo incrociatore, che si trova a poppavia di
quello oggetto del suo primo ed infruttuoso lancio; all’1.07, pertanto, viene
lanciato il siluro di sinistra, da una distanza di circa 600 metri. Dopo 27
secondi, il siluro colpisce a poppa la nave nemica (la cui parte poppiera viene
vista sollevarsi ed illuminarsi di un bagliore rosso-arancione).
Il bersaglio è
l’incrociatore leggero britannico Manchester
(dislocamento 11.350 tonnellate a pieno carico), unico incrociatore della Forza
X rimasto indenne fino a quel momento (degli altri tre, il Cairo è stato affondato e Kenya
e Nigeria hanno subito gravi danni,
tutti per opera di sommergibili italiani), che aveva doppiato Capo Bon e stava
costeggiando la costa nordorientale della Tunisia. Al largo di Kelibia, la nave
britannica ha avvistato le motosiluranti italiane ed ha aperto subito il fuoco
con le torri prodiere da 152 mm, accostando rapidamente per evitare i siluri,
ma invano: colpito dal siluro della MS 16,
il Manchester si ferma quasi subito e
viene poco dopo colpito anche da un secondo siluro, lanciato dalla MS 22 (tenente di vascello Franco
Mezzadra).
Questo secondo le
stime dei comandanti delle due motosiluranti italiane, che ritengono entrambi
di aver colpito l’incrociatore con un siluro. Da parte britannica, tuttavia,
risulta invece che il Manchester sia
stato colpito da un solo siluro; da bordo del Manchester vennero infatti avvistati due siluri in avvicinamento,
dei quali uno venne evitato grazie alla rapida accostata, mentre il secondo
andò a segno.
Rimane quindi il
dubbio su quale unità, tra MS 16 e MS 22, sia stata l’autrice del
siluramento del Manchester. Secondo
l’analisi che Supermarina fece dell’azione, il bersaglio del primo ed
infruttuoso attacco della MS 16
(quello dell’1.04), che il comandante Manuti aveva identificato come
incrociatore classe Arethusa, era in realtà (sulla base della forma dei
fumaioli) il Kenya, che precedeva il Manchester nella formazione. Il secondo
attacco della motosilurante (quello dell’1.07) era stato invece diretto contro
un incrociatore ritenuto appartenente alla classe Southampton, e che era
indubbiamente il Manchester; 27
secondo dopo il lancio del siluro, l’equipaggio della MS 16 aveva visto la poppa dell’incrociatore sollevarsi ed
illuminarsi di un colore arancione, cui era seguito un bagliore rosso.
La MS 22, dopo aver abbandonato un attacco
contro un cacciatorpediniere classe Tribal (l’HMS Ashanti, che precedeva il Kenya),
aveva a sua volta manovrato per attaccare la grossa unità verso cui si stava
dirigendo la MS 16, che si trovava
circa 200 metri a poppa della MS 22;
nel corso di questa manovra, tutti gli uomini della MS 22 che erano in coperta videro un siluro, proveniente da poppa,
passare sulla sinistra della loro unità, davanti alla prua, e perdersi nella
scia del Manchester. Subito dopo, la MS 22 lanciò entrambi i suoi siluri
contro l’incrociatore, da 600 metri di distanza; uno passò a proravia di esso
per un errore di angolazione, mentre l’altro fu visto esplodere dopo 30
secondi, in corrispondenza del fumaiolo poppiero.
Supermarina accreditò
il siluramento del Manchester alla MS 16, dato che Manuti, più esperto di
Mezzadra, aveva cronometrato la corsa dei siluri; lo storico Francesco
Mattesini, invece, ritiene più verosimile – dato che l’equipaggio britannico
avvistò due siluri in arrivo con breve intervallo di tempo, uno dei quali
andato a segno – che il siluro che colpì il Manchester
fu l’ultimo dei tre lanciati (il primo dalla MS 16, gli altri due dalla MS
22), pertanto uno di quelli della MS
22. Il siluro lanciato dalla MS 16
all’1.07 sarebbe quello visto dalla MS 22
prima di lanciare, arrivato da poppa, passato sulla sua sinistra e poi
scomparso senza fare danni nella scia dell’incrociatore. Il dubbio permane.
Silurato il Manchester, MS 16 e MS 22, senza più
siluri, si disimpegnano defilando lungo il convoglio sotto violento tiro nemico
(la MS 16 segnalerà più tardi un
piroscafo alle MS 23 e 25, che lo attaccheranno alle 5.20 senza
risultato). Zigzagando per rendere più difficile il puntamento ai cannonieri
nemici, le due motosiluranti si dirigono sotto costa ad elevata velocità per
sottrarsi al tiro avversario, e finiscono entrambe con l’arenarsi in bassi
fondali sulla costa tunisina. La MS 16,
in particolare, gira intorno al relitto del cacciatorpediniere britannico Havock (incagliatosi il precedente 6
aprile ed abbandonato dall’equipaggio), che nel buio ha scambiato per una nave
del convoglio, e poi si arena con la prua sulla spiaggia presso Ras el Mir.
Entrambe le unità riusciranno comunque a disincagliarsi con l’assistenza dei
rimorchiatori Trieste e Montecristo.
Quanto al Manchester (capitano di vascello Harold
Drew), il siluro andato a segno lo colpisce sul lato di dritta, uccidendo 13
uomini, facendo esplodere un deposito di proiettili da 102 mm ed allagando
immediatamente la sala macchine di poppa ed i compartimenti contigui
dell’estrema poppa, tra cui la sala caldaie poppiera, il citato deposito da 102
mm ed i serbatoi di carburante; il timone rimane immobilizzato, al pari di tre
dei quattro assi portaeliche (solo l’asse esterno di sinistra rimane intatto). Dallo
squarcio nello scafo fuoriescono fumo e vapore. Due dinamo vanno inoltre in
avaria, ed il Manchester si trova
così senza energia elettrica, oltre che senza governo; propulso da una sola
delle sue quattro eliche, l’incrociatore colpito descrive lentamente un arco di
cerchio, poi si ferma, assumendo un sbandamento di 12° sulla dritta. I tre
mercantili che seguivano il Manchester
devono manovre per evitare la collisione, finendo con lo sbandarsi; Waimarama ed Almeria Lykes seguono l’incrociatore nel cerchio, evitando entrambi
di stretta misura la collisione con il Manchester.
Il Waimarama, ultimo della fila,
finisce col ritrovarsi isolato per qualche tempo, mentre l’Almeria Lykes si allontana di un miglio verso il largo (anche se
poi riesce a tornare sulla scia dell’incrociatore Kenya).
Sul Manchester viene dato l’ordine di
“emergency stations”, e si cercano volontari per liberare gli uomini
intrappolati in sala macchine; poi l’equipaggio viene radunato sul ponte
superiore, dove, secondo il ricordo di un sopravvissuto, il comandante Drew
spiega che la nave “può sviluppare 2-2,5 nodi di velocità, e talvolta non
risponde al timone”.
All’1.40 il
cacciatorpediniere Pathfinder
(capitano di fregata E. A. Gibbs) si avvicina al Manchester e ne preleva 158 uomini, tra feriti e personale ritenuto
non indispensabile, prima di doversi allontanare per riunirsi al convoglio che
è ancora sotto attacco. L’incrociatore si trova così isolato ed indifeso, in
situazione estremamente precaria per i gravissimi danni subiti; vengono
attivati i gruppi elettrogeni d’emergenza e lo sbandamento viene ridotto a 5°
controallagando alcuni compartimenti, ma le macchine non sono in grado di
funzionare, così che il Manchester
rimane immobilizzato. Ripetuti e strenui tentativi, da parte dell’equipaggio,
di rimettere in moto risultano infruttuosi: l’incrociatore rimane immobile.
Alle due di notte il
comandante Drew, giunto alla conclusione che la nave non sia riparabile in
tempo utile, che sia impossibile rimetterla in condizione di navigare (tre dei
quattro assi delle eliche, tra l’altro, sono permanentemente inutilizzabili) e
che rischi di cadere in mano nemica (e con essa i suoi apparati radar), ordina
l’abbandono e l’autoaffondamento della nave. Brillate le cariche per
l’autoaffondamento, gli ultimi uomini abbandonano l’incrociatore alle 2.45.
L’agonia del Manchester si protrae ancora per tre
ore; nella fase conclusiva, l’incrociatore accelera fortemente il suo
sbandamento sulla dritta da 45° a 70°-80°, poi fino a 90° e oltre. Toccando il
fondale con la poppa, la nave arresta il suo capovolgimento e rimane ‘sospesa’
per un po’, poi s’inabissa definitivamente alle 5.50, a sei miglia dalla costa
tunisina (o quattro miglia ad est di Kelibia), nel punto 36°50’ N e 11°10’ E.
163 naufraghi, dopo
aver trascorso diverse ore in acqua e su zatterini, verranno raccolti il
mattino del 13 dai cacciatorpediniere HMS Eskimo
e Somali, rimandati sul posto, mentre
altri 378 o 403 (compreso il comandante Drew) raggiungeranno a nuoto o con le
imbarcazioni di bordo la costa tunisina, dove verranno internati in campo di
concentramento dalle autorità della Francia di Vichy. Secondo alcune fonti, tra
i 132 ed i 150 uomini del Manchester
sarebbero scomparsi in mare a seguito dell’abbandono della nave, ma
l’informazione non sembra confermata da fonti ufficiali e potrebbe essere
semplicemente il frutto di qualche discrepanza nei calcoli del numero totale
dell’equipaggio, dei superstiti recuperati da unità britanniche e dei naufraghi
approdati in Tunisia.
Il comandante del Manchester, capitano di vascello Harold
Drew, venne in seguito deferito dall’Ammiragliato britannico ad una corte
marziale, con l’accusa di negligenza per aver autoaffondato la nave
prematuramente; i suoi superiori, infatti, ritennero che il Manchester sarebbe stato ancora in grado
di navigare e raggiungere un porto neutrale. Un anno prima, il 23 luglio 1941,
il Manchester era sopravvissuto ad un
siluro sganciato da un S.M. 79 "Sparviero" della Regia Aeronautica,
che lo aveva colpito anch’esso in sala macchine; in quell’occasione, la nave
era riuscita a rimettere in moto con una sola elica ed a raggiungere Gibilterra
a 12 nodi di velocità. Sulla base di questo precedente, e ritenendo che il
danno subito il 13 agosto fosse di simile entità (ma Drew doveva essere di
diversa opinione: era comandante del Manchester
anche all’epoca del primo siluramento, ed in quell’occasione si era impegnato
al massimo per salvare la nave, riuscendoci, mentre nella seconda occasione si
era convinto dell’irreparabilità della situazione), la corte marziale ritenne
che il Manchester avrebbe potuto
sopravvivere anche al suo secondo siluramento, e che anzi avrebbe potuto
incassare anche un secondo siluro (purché non in sala macchine) senza
affondare. Secondo il direttore di macchina del Manchester, la nave avrebbe potuto sviluppare una velocità pari o
superiore a dieci nodi (da altri fu valutato che avrebbe potuto procedere a 5
nodi); da alcuni venne ritenuto prematuro l’ordine di Drew di adunata
dell’equipaggio nei punti designati per le emergenze ("emergency stations",
spesso un preludio all’abbandono della nave), che venne dato già 20 minuti dopo
il siluramento, prima che il direttore di macchina avesse raccolto informazioni
abbastanza complete sulla situazione della nave e sulla gravità dei danni, ed
avesse potuto riferire in merito al comandante. Quest’ordine, insieme
all’arrivo del Pathfinder, avrebbe prodotto
un “effetto domino”, generando l’impressione che la nave stesse per affondare,
scatenando una certa confusione e panico e portando al progressivo abbandono
dei propri posti da parte del personale, fino a rendere inevitabile
l’autoaffondamento. Venne contestato a Drew che la sala caldaie prodiera era
ancora in grado di sviluppare una quantità di vapore sufficiente a mettere in
moto, e che solo uno dei quattro generatori di elettricità era fuori uso (nella
parte di nave situata a proravia della zona d’impatto del siluro, cioè della
sala macchine poppiera, l’energia elettrica era ancora disponibile). Una
singola elica, quella esterna di sinistra, era ancora funzionante, ma Drew
aveva ordinato di fermarla (portando così il Manchester alla completa immobilità) perché la nave era risultata
ingovernabile, e stava descrivendo un cerchio nelle vicinanze di un campo
minato. Secondo la corte marziale, entro il momento in cui il Pathfinder aveva lasciato il Manchester, quest’ultimo sarebbe stato
in grado di navigare con l’unico asse dell’elica rimasto sano.
L’inchiesta si concluse
con un giudizio negativo sull’operato del comandante Drew, che non ricevette
più alcun comando in mare ed ebbe solo incarichi a terra per il resto della sua
carriera; ma queste conclusioni sono state da allora contestate da molti.
La maggior parte dei
superstiti del Manchester appoggiarono
sia la valutazione di Drew circa l’irreparabilità della situazione, sia la sua
decisione di autoaffondare la nave, ritenendo che Drew fosse stato trattato
ingiustamente. Un marinaio sopravvissuto dichiarò tra l’alto che il Manchester era sbandato di quasi 45°,
con un motore distrutto e l’altro che difficilmente avrebbe potuto essere
rimesso in funzione, e le munizioni ridotte al 10-15 %; arrivata l’alba,
l’incrociatore sarebbe stato certamente finito da nuovi attacchi. Drew aveva
deciso l’autoaffondamento per mettere in salvo l’equipaggio. Secondo un altro
superstite, Roland Hindmarsh, nel momento in cui egli abbandonò il Manchester la poppa dell’incrociatore
era quasi sommersa, e l’estrema prua ormai fuori dall’acqua.
Nel 2012, una
spedizione subacquea britannica sul relitto del Manchester ha rivelato la presenza di uno squarcio enorme (“attraverso
cui sarebbe potuta passare un’automobile”) nello scafo dell’incrociatore
all’altezza della sala macchine poppiera, nonché due assi portaelica
fracassati; secondo Crispin Sadler, il capo della spedizione, il Manchester non sarebbe potuto mai
sviluppare una velocità di 10 nodi né andare da nessuna parte con danni del
genere (il porto amico più vicino distava 600 miglia, mentre la costa nemica
era a sole dodici miglia), e sarebbe affondato comunque, il che scagionerebbe
il comandante Drew.
15 agosto 1942
Disincagliata, la MS 16 rientra a Trapani.
Per l’affondamento
del Manchester, il capitano di
corvetta Giorgio Manuti (nato a Barletta il 24 aprile 1909) verrà decorato con
la Medaglia d’Argento al Valor Militare, con motivazione: “Comandante di una
Squadriglia di motosiluranti, si dedicava con slancio ed abnegazione all’addestramento
delle unità dipendenti che nel loro primo incontro con il nemico conseguivano
brillanti risultati, dimostrando ottima preparazione. Dotato di elevato spirito
combattivo, durante un agguato notturno, si portava con la sua unità
decisamente all’attacco di una formazione navale nemica composta da tre CT. e
due incrociatori. A brevissima distanza dal nemico lanciava i suoi siluri riuscendo
con il concorso del suo sezionario a provocare l’affondamento di un
incrociatore di 10.000 tonnellate. Magnifico esempio di alte virtù militari, sereno ardimento e sprezzo del pericolo
(Mediterraneo
Centrale, 16 agosto 1942).”
Fine 1942-Inizio 1943
La MS 16 continua ad operare nel Canale di
Sicilia.
30 dicembre 1942
La MS 16 la gemella MS 33, salpate da Biserta, vanno a rinforzare dalle 14.30 la scorta
(cacciatorpediniere Maestrale –
caposcorta –, Corsaro e Lampo, torpediniere Sirio e Pallade) di un
convoglio proveniente da Napoli e Palermo (le navi si sono riunite in un unico
convoglio a Palermo) e formato dalle moderne motonavi Mario Roselli ed Alfredo
Oriani.
Le due motosiluranti
rimangono con il convoglio, che viene sottoposto ad infruttuosi attacchi aerei,
fino al suo arrivo a Biserta, alle 17.30.
31 gennaio 1943
Alle 3.45 (o 4.30) la
MS 16 e la gemella MS 35 salpano da Biserta insieme alle
corvette Procellaria (tenente di
vascello Giorgio Volpe) e Persefone (tenente
di vascello Roberto Lucciardi) ed alle motozattere tedesche, la F 481 e la F 484, per scortare a Trapani il
cacciatorpediniere Maestrale (capitano
di vascello Nicola Bedeschi), privo della poppa (asportatagli proprio da una
mina appena ventidue giorni prima) e rimorchiato dalla torpediniera di
scorta Animoso (tenente di
vascello Camillo Cuzzi). Il Maestrale,
dopo le prime riparazioni provvisorie effettuate a Biserta, deve essere portato
in Italia per la ricostruzione della poppa (non effettuabile con i mezzi
disponibili in Tunisia).
L’Animoso con a rimorchio il Maestrale è al centro della
formazione, mentre Procellaria e Persefone sono a 1700 metri
rispettivamente a dritta ed a sinistra. MS
16 e MS 35, insieme alle due
motozattere della Kriegsmarine, sono a poppavia delle navi; una delle due
motosiluranti è unita con rimorchio alla poppa del Maestrale (l’Animoso lo
era invece a prua) per cooperare con l’Animoso nel
governo in rotta, sostituendo l’ormai inesistente timone del cacciatorpediniere
danneggiato. Il convoglio procede a 4-5 nodi, con tempo favorevole.
Intorno alle 8.30
l’ecogoniometro della Procellaria rileva
quello che ritiene essere un sommergibile, pertanto la corvetta lascia la
formazione, esegue un giro lanciando di cariche di profondità e poi riassume la
sua posizione.
Alle 9.30 la Procellaria, avendo rilevato nuovi echi
all’ecogoniometro – il comandante Volpe crede ancora che si tratti un
sommergibile – esce nuovamente di formazione, lancia bombe di profondità e
domanda poi al Maestrale (il
cui comandante Bedeschi, essendo il più alto di grado, è comandante superiore
in mare) se debba continuare la caccia. Dal cacciatorpediniere viene risposto
di riprendere il suo posto nella formazione, e di fare attenzione, perché la
presenza di mine non va esclusa: anche gli ecogoniometri delle altre navi
avevano iniziato a rilevare dei contatti. Infatti, lo strano convoglio è
capitato proprio su uno sbarramento “freschissimo” di ben 158 mine, posato la
notte precedente dal posamine britannico Welshman (capitano di fregata William Howard Dennis
Friedberger).
Alle 10.30 la catena
di rimorchio tesa tra Animoso e Maestrale s’impiglia in una mina,
che esplode sollevando una grossa colonna d’acqua, spezzando la catena ed
eliminando ogni dubbio sul fatto che le navi siano capitate in un campo minato.
La Procellaria rileva all’ecogoniometro
echi di mine tutt’attorno a sé, e tenta di uscirne a marcia indietro; ma alle
11.19, urta una mina a poppa estrema, seguita dopo neanche 30 secondi da una
seconda mina, che ne demolisce la poppa. Il comandante Bedeschi del Maestrale ordinò alle motozattere –
che, grazie al ridotto pescaggio, possono passare sulle mine correndo meno
rischi – di soccorrere l’equipaggio della corvetta, che sta affondando; durante
i soccorsi, che avvengono anche con la cooperazione di un aereo, si verifica un
allarme sommergibile e la Persefone lancia
parecchie bombe di profondità.
La vecchia
torpediniera Generale Marcello Prestinari,
uscita da Biserta per tentare il rimorchio della Procellaria, salta anch’essa su una mina ed affonda con 84 vittime.
1° febbraio 1943
Dopo essere riuscito
ad uscire dal campo minato, ed aver superato indenne diversi attacchi aerei, il
convoglietto raggiunge infine Trapani alle 11.
La MS 16 arenata a Ras El Mir il 13 agosto 1942, dopo il siluramento del Manchester (g.c. STORIA militare) |
La fine
Lasciato il Canale di
Sicilia per un periodo di lavori, che furono eseguiti a La Spezia, la MS 16 tornò operativa nell’estate del
1943. Nel frattempo, la Tunisia era caduta, e le forze aeronavali
angloamericane avevano ormai ottenuto il controllo del Canale di Sicilia; la
nuova zona d’operazioni era ora costituita dalla Sicilia stessa, dove il 10
luglio 1943 gli Alleati effettuarono il loro primo sbarco sul suolo europeo,
dando inizio alla campagna d’Italia. Le motosiluranti, insieme ai MAS ed ai
sommergibili, erano le uniche unità che potevano sperare di cogliere qualche
risultato contro il naviglio Alleato, mentre quanto restava della flotta da
battaglia non poteva sperare di raggiungere il Basso Tirreno senza essere prima
decimato dagli attacchi aerei angloamericani, e poi definitivamente distrutto
dalle superiori forze navali Alleate.
Lo strapotere aereo
Alleato si faceva però sentire anche per le unità insidiose. Mentre si trovava
nel porto di Messina, la MS 16 venne
colpita e danneggiata durante un bombardamento aereo nemico; dopo provvisorie
riparazioni svolte a Milazzo, nel luglio 1943 la motosilurante venne trasferita
a Gaeta, da dove poi fu mandata a Genova per essere sottoposta a lavori di
riparazione più estesi.
Le riparazioni erano
ancora in corso quando, l’8 settembre 1943, fu annunciato l’armistizio tra
l’Italia e gli Alleati; la MS 16, al
comando del sottotenente di vascello Fiorenzo Semini, si trovava in quel
momento sullo scalo nei cantieri Costaguti di Voltri (Genova), insieme ai MAS 502, 504 e 562, anch’essi in
riparazione.
L’ammiraglio Carlo
Pinna, comandante il Comando Marina ed il porto di Genova, ebbe l’ordine di far
partire le navi mercantili e militari in grado di muovere verso porti
saldamente controllati dalle forze italiane od Alleate, e di sabotare od
autoaffondare tutte le unità non in condizione di muovere, per evitare che
cadessero intatte in mano tedesca. Gli ordini vennero eseguiti; l’VIII
Divisione Navale dell’ammiraglio Biancheri e diverse unità minori ed ausiliarie
presero il largo nelle prime ore del 9 settembre, mentre le altre navi militari
vennero quasi tutte sabotate od autoaffondate (non fu così per i mercantili,
gran parte dei cui equipaggi non si trovavano a bordo, e che furono così
catturati intatti in massima parte). All’alba di quello stesso giorno le truppe
tedesche, dopo alcuni scontri a fuoco nei quali vennero uccise alcune
sentinelle italiane, occuparono rapidamente il porto di Genova.
Dato il loro stato,
la MS 16 ed i MAS dovettero essere
sabotati ed abbandonati sul posto, dove vennero catturati dalle forze tedesche
il 9 settembre.
Gli uomini che
avevano fatto parte dell’equipaggio della MS
16 e delle altre unità sabotate od autoaffondate si dispersero, per seguire
strade variegate e travagliate: alcuni riuscirono a rientrare presso le proprie
case, altri furono catturati dai tedeschi e deportati nei campi di prigionia
della Germania come "internati militari", altri si diedero alla
macchia per poi unirsi alla Resistenza, altri ancora aderirono invece alla
Repubblica Sociale Italiana.
Il mattino del 9 settembre
1943 gli ufficiali, dopo uno scontro a fuoco con i militari tedeschi che
stavano per occupare il cantiere – da parte italiana, però, scarseggiavano le
munizioni –, si allontanarono in abiti civili per sottrarsi alla cattura. Il
comandante Fiorenzo Semini della MS 16
ed il parigrado Agostino Napoleone, comandante del MAS 504, dopo diversi tentativi falliti di attraversare le linee
per rientrare nei ranghi della Regia Marina, raggiunsero Roma il 16 novembre
1943, insieme ad un sottufficiale che aveva fatto parte dei loro equipaggi.
Qui, Semini e
Napoleone cercarono di unirsi al Fronte Clandestino di Resistenza della Marina,
costituitosi nella capitale; ma il sottufficiale che li aveva seguiti li tradì
per denaro, e vennero così arrestati dai nazifascisti. Semini venne torturato
dai carcerieri, in cerca di nomi, ma rifiutò di parlare.
Trovandosi in carcere
a Roma all’epoca dell’attentato di via Rasella, e figurando tra i 154 individui
a disposizione dell’AussenKommando in quanto sotto inchiesta di polizia, gli ex
comandanti della MS 16 e del MAS 504 finirono sulle liste degli
ostaggi scelti per la rappresaglia delle Fosse Ardeatine. Nel pomeriggio del 24
marzo 1944, Fiorenzo Semini ed Agostino Napoleone vennero fucilati dai tedeschi
insieme ad altri 333 ostaggi, tra cui altri quattro uomini della Regia Marina
(due ufficiali, un sottufficiale ed un marinaio).
Alla memoria del
sottotenente di vascello Fiorenzo Semini, nato a Corneliano d’Alba (Cuneo) il
24 aprile 1920, venne conferita la Medaglia d’Argento al Valor Militare con la
seguente motivazione: “Giovane ufficiale di elevate qualità morali e
professionali, rimasto all’armistizio in territorio caduto sotto controllo
nemico, si sottraeva all'internamento ed abbandonati i familiari in Italia
Settentrionale tentava attraversare le linee per raggiungere il proprio posto
di combattimento sulla Armata Navale. Fallito il tentativo entrava tra i primi
a far parte del Fronte Clandestino di resistenza della R. Marina prestandovi
per lunghi mesi molteplici attività, sprezzante di ogni rischio. Arrestato in
seguito a delazione e segregato, sopportava con tenace fermezza e virile
abnegazione estenuanti sevizie, rifiutando di tradire i compagni d’arme. Cadeva
facendo olocausto della giovane vita alla Patria in un doloroso eccidio
collettivo”.
Dopo averla in un
primo tempo incorporata nella Kriegsmarine e ribattezzata SA 1 (Schnellboot Ausland, cioè “Motosilurante [di provenienza]
straniera”), l’11 ottobre 1943 i tedeschi cedettero la MS 16 alla Marina Nazionale Repubblicana, la piccola Marina della
Repubblica Sociale Italiana (secondo una fonte, l’unità sarebbe stata
trasferita alla X Flottiglia MAS di Junio Valerio Borghese). Il servizio della
motosilurante sotto la bandiera di Salò, tuttavia, non durò che un mese: già il
19 novembre 1943, infatti, la piccola unità venne trasferita a Genova e nuovamente
trasferita alla Marina tedesca, tornando ad assumere la denominazione di SA 1. (Secondo "Navi militari
perdute", la MS 16 sarebbe stata
ribattezzata SA 1 per la prima volta
il 19 novembre 1943).
Anche sotto bandiera
tedesca, l’ex MS 16 ebbe vita breve.
Nel gennaio del 1944 la motosilurante venne colpita durante un bombardamento
aereo su Genova e definitivamente affondata. Per altra versione sarebbe stata
autoaffondata dai tedeschi, sempre a Genova, intorno al 25 aprile 1945, prima
della resa tedesca; per fonte ancora differente sarebbe stata affondata da
bombardamento aereo a Genova il 3 maggio 1945 (ma per quella data Genova era già
libera, dunque ciò sembra inverosimile), oppure autoaffondata a Genova il 3
maggio 1945 in seguito ai danni causati da un bombardamento aereo.
Il relitto venne
recuperato e demolito nel 1947.
Mio padre, Cipollini Francesco, mi risulta fosse imbarcato con il grado di secondo capo, ed ebbe la medaglia di bronzo al valore, penso assieme ai componenti dell'equipaggio, per l'affondamento dell'incrociatore leggero Manchester
RispondiEliminaBuongiorno,
Eliminaho controllato sulla banca dati dell'Istituto del Nastro Azzurro; risulterebbe che suo padre fosse imbarcato sull'altra motosilurante che silurò il Manchester, la MS 22.