domenica 19 novembre 2017

Ircania

La nave con l’originario nome di Howick Hall a Vancouver (City of Vancouver – Walter Frost, via www.clydeships.co.uk)

Piroscafo da carico da 4815,34 tsl, 2905,35 tsn e 8097 tpl, lungo 122,2-125,91 metri, largo 15,69 e pescante 8,23, con velocità di 10 nodi. Appartenente alla Società Anonima Cooperativa di Navigazione Garibaldi, con sede a Genova, ed iscritto con matricola 2026 al Compartimento Marittimo di Genova; nominativo di chiamata IBLP.
Era una delle poche navi da carico dell’epoca ad avere due fumaioli ("prerogativa", più che altro, delle navi passeggeri) anziché uno, peraltro in una singolare posizione ravvicinata. Fu anche uno dei primi piroscafi da carico ad avere struttura longitudinale.

Breve e parziale cronologia.

1° ottobre 1910
Varato come Howick Hall (numero di cantiere 212) dai cantieri William Hamilton & Co. Ltd. di Port Glasgow.
1910
Completato come Howick Hall per la compagnia Charles G. Dunn & Co. di Liverpool. Porto di registrazione Liverpool, nominativo di chiamata HRTN. Stazza lorda e netta originarie sono di 4923 tsl (successivamente portata a 5096 tsl) e 3131 tsn.
Noleggiato alla U.S. Steel Export Company, subito dopo il completamento viene inviato negli Stati Uniti ed impiegato sulle rotte tra New York ed il Sud America, per le quali è stato espressamente progettato.


L’Howick Hall a New York intorno al 1910 (United States Navy Historical Centre).

21 ottobre 1914
Venduto alla United States Steel Products Co. Inc. di New York, viene utilizzato ancora sulle rotte New York-Sud America. Registrato a New York, nominativo di chiamata LDQF.
31 ottobre 1914
L’Howick Hall è la prima nave della Isthmian Line ad attraversare il Canale di Panama dall’Atlantico al Pacifico.
1915
Trasferito alla Isthmian Line, una sussidiaria della U. S. Steel Productions.
18 gennaio 1915
È la prima nave della Isthmian Line ad effettuare il circuito completo utilizzando il Canale di Panama in entrambe le direzioni, risparmiando 50 giorni e 10.000 dollari in carbone.
12 settembre 1917
Durante la prima guerra mondiale, la nave viene requisita dallo United States Shipping Board.
14 settembre 1917
Consegnata al War Department Service, a Baltimora, alle tre antimeridiane. Noleggiata all’Esercito statunitense (United States Army) come trasporto.
24 agosto 1918
Incorporata nella United States Navy, come trasporto USS Howick Hall (ID-1303), entrando in servizio a Baltimora il 24 agosto 1918. Suo primo comandante è il capitano di corvetta Gust E. Jonsson.
Armata con un cannone da 100/45 mm ed uno da 76/50 mm, ha un equipaggio di 91 uomini.
In questo ruolo, l’Howick Hall riuscirà a compiere un unico viaggio per l’Europa e ritorno.
Settembre 1918
Dopo aver imbarcato a Baltimora un carico di rifornimenti per il corpo di spedizione statunitense in Francia (la nave opera alle dipendenze del Naval Overseas Transportation Service), l’Howick Hall si unisce a New York ad un convoglio per l’Europa, raggiungendo Saint Nazaire il 30 settembre 1918.
Scaricato il carico, riparte per l’America.
31 ottobre 1918
Giunge a Baltimora, concludendo il primo viaggio.


L’Howick Hall nel 1917 circa (da www.navsource.org)

25 dicembre 1918
A guerra ormai conclusa, l’Howick Hall salpa da Newport News carico di rifornimenti per un secondo viaggio verso l’Europa, diretto a Le Verdon-sur-Mer, in Francia.
3 febbraio 1919
Dopo essersi rifornito di carburante a Bassens, il piroscafo riparte per gli Stati Uniti.
21 febbraio 1919
A seguito di un caso di meningite spinale tra l’equipaggio, l’Howick Hall deve interrompere il viaggio e viene messo in quarantena al largo della costa di Bermuda; all’equipaggio non viene permesso alcun contatto con l’isola fino al 25 febbraio, quando la nave riparte per Baltimora.
5 marzo 1919
Arriva a Baltimora, dopo aver fatto scalo a Newport News.
13 marzo 1919
Radiato dai quadri della U.S. Navy a Baltimora.
16 marzo 1919
Restituito agli armatori dal War Department (a New York), l’Howick Hall torna al servizio commerciale per la United States Steel Productions (più precisamente, per la Isthmian Line).
3 maggio 1924
L’Howick Hall si reca in soccorso della petroliera Frank H. Buck, incagliatosi sulle scogliere di Point Pinos.
Ottobre 1929
Venduto alla Exeter Shipping Company di Londra e ribattezzato Dovenden. Registrato a Londra, nominativo di chiamata LFKH.
1930
Dopo una collisione a New York, rimane in disarmo in tale porto per la maggior parte dell’anno.
Ottobre 1930
Si trasferisce a Rotterdam, dove rimane poi fermo ed inattivo.
Fine 1932
Acquistato dall’armatore britannico John McAllum & Co. (McAllums Steamship Company), con sede a Londra. Rimane però fermo a Rotterdam.


Il Dovenden a Capetown (John H. Marsh Maritime Research Centre – Capetown, via Mauro Millefiorini e www.naviearmatori.net)

1932 o 1933
Venduto alla Lambert Brothers Co. Ltd. di Londra. Sempre in disarmo a Rotterdam.
Gennaio 1935
Venduto per 7500 sterline a Halford Constant, di Londra. Sempre registrato a Londra, ma il nominativo di chiamata cambia in GQWN.
La nave è stata venduta a Costant per essere demolita, ma intanto scoppia la Guerra d’Etiopia; il governo italiano necessita di navi per trasportare rifornimenti per le proprie truppe operanti in Africa Orientale, e molti armatori italiani fanno incetta di vecchie carrette per sfruttare tale necessità e fare lauti guadagni.  
1935
Acquistato dalla Ditta Luigi Pittaluga Vapori di Genova, e ribattezzato Ircania; registrato a Genova, nominativo di chiamata IBLP.
Nello stesso anno l’Ircania, insieme ad altri mercantili come i piroscafi BainsizzaProvvidenza e le navi cisterna Riva Sarda, Riva Ligure e Luisiano, nonché alla portaidrovolanti Giuseppe Miraglia, viene impiegata nel trasporto di materiali per conto della Regia Aeronautica da Napoli a Massaua e Mogadiscio, nell’ambito dell’invasione dell’Etiopia. Le navi formano il Reparto Tappa Africa Orientale.
(Per altra fonte, subito dopo l’acquisto da parte della ditta Pittaluga l’Ircania sarebbe stato requisito per le esigenze legate alla guerra d’Etiopia, e dato in gestione alla Cooperativa Garibaldi. L’acquisto della nave da parte di quest’ultima risulterebbe però avvenuto nel 1937).
30 agosto 1935
L’Ircania salpa da Napoli per l’Africa Orientale, durante la guerra d’Etiopia, trasportando 200 aerei tra ricognitori e bombardieri.
10 settembre 1935
L’Ircania trasporta in Eritrea 40 biplani da ricognizione e bombardamento IMAM Ro. 1 (10 della 38a Squadriglia, 10 per la 116a Squadriglia, 10 per la 118a Squadriglia e 10 per la 131a Squadriglia) e cinque bombardieri leggeri Caproni Ca 111 della 17a Squadriglia da Bombardamento Notturno.


L’Ircania con la livrea della Cooperativa Garibaldi (g.c. Guglielmo Lepre via www.grupsom.com)

30 ottobre 1935
L’Ircania trasporta in Eritrea 14 Ca 111 delle Squadriglie 10a e 19a (XXVIII Gruppo), dieci biplani da ricognizione IMAM Ro. 37 bis (105a Squadriglia) e quattro monoplani da collegamento e ricognizione Breda Ba.39 (Squadriglia S.M. Eritrea).
1937
Trasferito alla Società Anonima Cooperativa di Navigazione Garibaldi, con sede a Genova.
1938
L’Ircania trasporta a Hodeidah (Yemen) 4879 casse contenenti quattro batterie di cannoni da 75 mm, una batteria contraerea da 20 mm, 10.000 fucili Mannlicher, un numero imprecisato di mitragliatrici e le relative munizioni, il tutto accompagnato dal capitano Giovanni D’Avossa e da tre sottufficiali. Le armi sono state vendute alle autorità dello Yemen, cui vengono consegnate; nelle settimane successive il capitano D’Avossa seguirà l’addestramento di un reggimento d’artiglieria yemenita.
Gennaio 1938
L’Ircania trasporta a Dairen, in Corea, i primi esemplari di un lotto di 82 bombardieri FIAT BR. 20 ordinati dal Giappone per l’impiego nella guerra sino-giapponese (si tratta della maggiore esportazione aeronautica compiuta dall’Italia dell’epoca).


L’Ircania scarica i FIAT BR. 20 a Dairen nel 1938 (da it.wikipedia.org)

Ottobre 1938
L’Ircania trasporta in Africa Orientale i primi Caproni Ca 148 della neonata società Avio Trasporti S.A., intenzionata ad inaugurare un servizio di collegamento aereo interno in Africa Orientale Italiana (Massaua-Addis Abeba e Addis Abeba-Assab).

Dalla Florida all’Artico

L’Ircania, al comando del capitano Nicola Marchesa, stava caricando rottami di ferro a Jacksonville (Florida), negli Stati Uniti, quando lo raggiunse la notizia dell’ingresso dell’Italia nel secondo conflitto mondiale (10 giugno 1940).
Poco dopo l’annuncio dell’entrata in guerra, l’Ircania interruppe le operazioni di carico; ormai non poteva più tornare in Italia, con Gibilterra in mano britannica ed unità della Royal Navy che incrociavano per l’Atlantico in cerca di navi dell’Asse.
Internato quale nave di Paese belligerante in un porto neutrale, pochi giorni dopo il piroscafo si trasferì sul fiume St. Johns, dove il 30 luglio 1940 iniziò a scaricare i rottami di ferro del carico. Dato che gli Stati Uniti non rientravano tra i Paesi la cui neutralità era benevola verso l’Asse, ed anzi erano piuttosto favorevoli agli Alleati, si era giudicato da parte italiana che i molti mercantili internati in porti statunitensi non avrebbero avuto speranze di intraprendere con successo un tentativo di forzamento del blocco.
L’Ircania rimase così inattivo, per i mesi successivi, al suo ormeggio sul fiume St. Johns. Gli faceva compagnia un altro piroscafo italiano, il Confidenza, anch’esso sorpreso dall’entrata in guerra mentre caricava rottami ferrosi a Jacksonville.

L’internamento a Jacksonville di Ircania e Confidenza si protrasse fino al 30 marzo 1941, quando le autorità degli Stati Uniti d’America, pur essendo tale nazione ancora neutrale, procedettero all’arbitraria confisca di tutte le navi italiane, tedesche e di Paesi alleati od assoggettati all’Asse presenti nei porti statunitensi, oltre che alla confisca di tutti i patrimoni tedeschi negli Stati Uniti. Si trattò del primo uso della forza militare da parte degli Stati Uniti nella seconda guerra mondiale: in tutto vennero confiscati 28 mercantili italiani, due tedeschi e 35 danesi, per un totale di 296.615 tsl; ad essi si sarebbero aggiunti, in pochi giorni, molti altri mercantili confiscati da diversi Stati dell’America centrale e meridionale, in imitazione della mossa statunitense.
La confisca fu ordinata dalla Tesoreria statunitense, che giustificò il provvedimento con la “casuale” scoperta che cinque navi italiane erano state preparate all’autoaffondamento ai loro ormeggi, ed altre 20 sabotate dai loro equipaggi. Il segretario della tesoreria Morgenthau dichiarò che si trattava non di una confisca ma di una misura preventiva, sostenendo che l’intervento militare statunitense fosse stato necessario per arrestare il sabotaggio delle navi da parte dei loro equipaggi, in base a quanto stabilito dall’Espionage Act del 1917 ed al Merchant Shipping Control Act. Il sabotaggio delle navi, si disse, metteva a repentaglio i porti in cui si trovavano, dunque era stato necessario intervenire a protezione dei porti statunitensi.

L’Ircania venne pertanto catturato a Jacksonville dalla Guardia Costiera statunitense, il 30 marzo 1941. Stessa sorte ebbe il Confidenza; proprio nella confisca di Ircania e Confidenza i militari statunitensi incontrarono resistenza – secondo quando dichiarato ai giornali, “qualche piccola difficoltà” – mentre negli altri porti non era stata opposta resistenza (al di fuori del sabotaggio delle navi).
Prima della cattura, l’equipaggio dell’Ircania riuscì a sabotare l’apparato motore della nave, demolendone buona parte e mettendolo fuori uso. L’intervento statunitense impedì ai marittimi italiani di provocare ulteriori danni.
Secondo il ricordo di Leonard Kiesel, di Lakewood – all’epoca un Marine di ventidue anni assegnato alla Naval Air Station di Jacksonville –, e di altri tre suoi colleghi, raccontato in un articolo del “Cleveland Plain Dealer” del 1998, le navi italiane presenti a Jacksonville avrebbero tentato di salpare e farsi strada verso il mare aperto, speronando deliberatamente un ponte mobile che bloccava loro la via di fuga; il comandante della base di Jacksonville, capitano di vascello Charles Mason, avrebbe ordinato a Kiesel ed agli altri membri del locale distaccamento di Marines (30 in tutto) di salire su tre chiatte e catturare le navi italiane. Dopo averle raggiunte con le chiatte, i Marines le avrebbero abbordate usando cime e reti per il carico, per poi radunare gli agitati marittimi italiani e spingerli, baionette inastate sui fucili, per farli scendere nelle chiatte, con le quali sarebbero poi stati trasferiti in un’improvvisata prigione temporanea stabilita in una caserma della stazione aerea.
Non esistono però documenti che confermino quanto affermato da Kiesel, il cui racconto presenta peraltro almeno due elementi incompatibili con quanto è noto: secondo Kiesel, la cattura sarebbe avvenuta il 7 dicembre 1941, subito dopo l’attacco a Pearl Harbour (e gli italiani sarebbero rimasti prigionieri nella stazione aerea di Jacksonville almeno fino al febbraio 1942, sempre secondo il suo ricordo), anziché a marzo; ed inoltre, Kiesel parla di tre navi italiane catturate, mentre a Jacksonville c’erano soltanto Ircania e Confidenza.

In tutto, il 30 marzo 1941 la Guardia Costiera statunitense catturò 28 navi mercantili italiane, per un tonnellaggio complessivo di 168.744 tsl, e 3 tedesche, per un tonnellaggio totale di 14.096 tsl. Furono anche messe in sicurezza 40 navi mercantili danesi, per totali 142.641 tsl, ma su queste ultime – essendo la Danimarca un Paese Alleato sotto occupazione tedesca – non vi furono sabotaggi né resistenze. 600 marittimi italiani e tedeschi vennero imprigionati od internati.
27 delle navi italiane ed una di quelle tedesche erano state sabotate dai loro equipaggi; per 16 di esse i costi di riparazione andavano dai 60.000 ai 550.000 dollari. Nel caso dell’Ircania, fu valutato che i danni ammontassero a 350.000 dollari.

L’equipaggio dell’Ircania, al pari di quello del Confidenza (e di quasi tutti quelli delle altre navi sabotate e confiscate nei porti statunitensi), finì sotto processo da parte della locale corte federale distrettuale, con l’accusa di cospirazione e sabotaggio. I marittimi italiani ammisero il sabotaggio, contestando però di aver meramente eseguito gli ordini impartiti dall’ambasciata italiana a Washington.
Dopo una vertenza giudiziaria durata poco più di un mese, il 6 maggio 1941 il giudice federale Louie W. Strum li assolse dall’accusa di cospirazione, ma li giudicò colpevoli di “grande ed effettivo sabotaggio”: il comandante Marchesa ed il direttore di macchina dell’Ircania, Ferruccio Magni (i quali avevano cercato di procurarsi un cannello acetilenico per poter meglio effettuare le demolizioni in sala macchine), vennero condannati a quattro anni di carcere; il resto dell’equipaggio – 37 uomini – venne condannato ad un anno e mezzo di prigione. La sentenza era stata decisa a tavolino; i giurati deliberarono dopo appena mezz’ora di dibattimento.
Simili condanne (quattro anni per comandante e direttore di macchina, due anni per il resto dell’equipaggio) colpirono anche i marittimi del Confidenza.
Gli avvocati difensori dei marittimi tentarono il ricorso in appello, ma annunciarono al contempo che i marittimi intendevano iniziare subito a scontare la pena, senza attendere l’appello, dal momento che l’inizio del secondo processo avrebbe richiesto circa sei mesi, e gli italiani, essendo stranieri, sarebbero rimasti probabilmente in custodia delle autorità preposte al controllo dell’immigrazione.
I marittimi dell’Ircania (e del Confidenza) vennero successivamente trasferiti nel carcere di Tallahassee (poco lontano da Jacksonville), riservato ai detenuti alla loro prima condanna, eccetto che per un piccolo di cabina di 17 anni, il quale, essendo minorenne, venne mandato in un riformatorio federale.
Tra il 1942 e gli inizi del 1943, grazie anche all'intercessione del Vaticano, i marittimi italiani condannati ed incarcerati nei penitenziari statunitensi per il sabotaggio delle loro navi vennero quasi tutti trasferiti nel campo di internamento di Fort Missoula, nel Montana, dove già erano stati concentrati i loro colleghi cui non erano state imputate particolari responsabilità nel danneggiamento dei bastimenti.

La notizia della condanna dell’equipaggio dell’Ircania su un giornale statunitense

Il 6 giugno 1941 fu firmato lo Ship Requisition Act, che consentiva alla Guardia Costiera statunitense di sequestrare navi straniere da impiegarsi nello sforzo bellico.
Il 24 giugno 1941 l’Ircania venne formalmente confiscato dagli Stati Uniti per ordine esecutivo del presidente, e trasferito alla United States Maritime Commission (War Shipping Administration). Ribattezzato Raceland, venne registrato sotto bandiera panamense (per evitare le complicazioni che avrebbe comportato l’iscrizione al registro navale statunitense, trattandosi di una nave piuttosto vecchia), con nominativo di chiamata HPYY.
Dopo i necessari lavori di riparazione, effettuati nei cantieri Merrill-Stevens Dry Dock & Repair Co., il piroscafo venne armato con alcune mitragliere calibro 30; il 31 dicembre 1941 fu affidato dalla War Shipping Administration alla South Atlantic Steamship Line (porto di matricola Savannah, in Georgia), sempre a Jacksonville.
Il nuovo equipaggio del Raceland era a dir poco multinazionale: il grosso del personale era composto da marittimi scandinavi – 17 norvegesi, 6 danesi e 4 svedesi –, ma c’erano anche britannici (6), canadesi (4), estoni (2), polacchi (2), statunitensi (due), olandesi (1), belgi (1), russi (1) e spagnoli (1), nonché militari della United States Navy Armed Guard addetti all’armamento di bordo. Il comandante, Sverre Bekke, era norvegese.

Dopo un periodo di lavori a New Orleans, il 4 febbraio 1942 il Raceland salpò da Boston, facendo successivamente scalo a Norfolk ed in vari altri porti della costa atlantica degli Stati Uniti, dove caricò materiale bellico destinato alla Russia: 36 carri armati sistemati sul ponte, aerei, autocarri, macchine per la lavorazione dei minerali, armi, cibo in scatola, cuoio e barili di nitroglicerina. In tutto, 9000 tonnellate di materiali destinati all’Unione Sovietica in base alla legge affitti e prestiti.
Giunto poi ad Halifax, il Raceland ne partì l’11 febbraio con il convoglio SC 69 (composto da 27 navi mercantili: 17 britanniche, 4 norvegesi, due belghe, due statunitensi, una greca e la Raceland, unica battente bandiera panamese), scortato dal Task Group 4.1.1. fino al 21 febbraio e poi dal gruppo B3 fino all’arrivo a Liverpool, il 24 febbraio. Non vi furono attacchi di alcun tipo durante la navigazione.
Da qui, il Raceland si trasferì a Loch Ewe (o Greenock), in Scozia, da dove il 10 marzo ripartì con il convoglio PQ 13, diretto in Russia per la rotta del mar glaciale Artico, una delle più famigerate della seconda guerra mondiale: qui, alle offese della Marina e dell’aviazione tedesche si univano condizioni climatiche impietose, con frequente maltempo e temperature polari. Il Raceland era la nave più vecchia tra i 19 mercantili (7 britannici, 4 statunitensi, 4 panamensi, uno polacco ed uno honduregno) che componevano il convoglio PQ 13. Tra i bastimenti del convoglio, c’erano altre tre navi ex italiane: i piroscafi panamensi Gallant Fox, Ballot e Bateau erano infatti gli ex italiani Giuan, Alberta ed Euro, catturati dagli Stati Uniti proprio come l’Ircania.
Le navi del convoglio, sotto il comando del commodoro D. A. Casey, raggiunsero inizialmente Reykjavik, in Islanda, con la scorta di due cacciatorpediniere ed un peschereccio antisommergibili. Giunto a Reykjavik il 16 marzo, il convoglio ripartì il 20 diretto a Murmansk, in Russia, con la scorta diretta dell’incrociatore leggero Trinidad (caposcorta), due cacciatorpediniere britannici e due pescherecci antisom pure britannici, cui il 23 marzo si aggiunsero un terzo cacciatorpediniere, due pescherecci armati britannici e tre baleniere armate, queste ultime destinate alla consegna alla Marina sovietica. Una poderosa forza di copertura a distanza (a tutela di eventuali attacchi da parte delle navi maggiori tedesche di base in Norvegia, tra cui la corazzata Tirpitz), che avrebbe seguito il convoglio fino all’altezza dell’Isola degli Orsi, comprendeva le corazzate King George V e Duke of York, l’incrociatore da battaglia Renown, la portaerei Victorious, l’incrociatore pesante Kent, l’incrociatore leggero Edinburgh e 16 cacciatorpediniere.
Nella notte il 24 ed il 25 marzo, tuttavia, il convoglio incontrò una burrasca da nordest che disperse le navi in un’area di oltre 150 miglia: i mercantili si ritrovarono così a procedere isolati od in piccoli gruppi. Sulle sovrastrutture delle navi iniziò ad accumularsi una crescente quantità di ghiaccio, come sempre accadeva in queste circostanze, e nella notte del 24 la baleniera HMS Sulla scomparve senza lasciare traccia: probabilmente si capovolse sotto il peso del ghiaccio accumulatosi sulle sue sovrastrutture, senza lasciare alcun superstite.
Il mattino del 28 marzo i mercantili vennero avvistati dai velivoli della Luftwaffe, e presto iniziarono gli attacchi.

Il Raceland faceva parte del gruppo più orientale del PQ 13 (sei navi), ma era rimasto indietro (a causa sia del maltempo che di ripetute avarie all’apparato motore ed agli organi di trasmissione del timone), e si era così ritrovato isolato: poco dopo le dieci del mattino del 28 marzo, venne attaccato da due bombardieri tedeschi Junkers Ju 88 del III/Kampfgeschwader 30 della Luftwaffe (capitano Hajo Hermann), circa 110 miglia a nordest di Capo Nord (ed a sud dell’Isola degli Orsi).
Due delle loro bombe, sganciate da una quota di una trentina di metri, esplosero sotto lo scafo della nave, sul lato di dritta, all’altezza della stiva numero 3. La concussione prodotta dagli scoppi (un’altra versione parla dello scoppio di un barile di nitroglicerina, provocato da detta concussione) fu sufficiente ad aprire una falla a prora dritta, tranciando le tubolature del vapore, mettendo fuori l’apparato motore e provocando il rapido allagamento della sala macchine. Subito il Raceland iniziò a sbandare sulla dritta, raggiungendo in breve uno sbandamento di 45 gradi.
L’equipaggio si precipitò subito verso le lance; ci fu qualche problema nell’ammaino, a causa del ghiaccio che si era accumulato sui tiranti, ma alla fine poterono essere calate quattro imbarcazioni, nelle quali presero posto 43 superstiti. Diciotto uomini s’imbarcarono su una scialuppa al comando del secondo ufficiale, tredici in una comandata dal primo ufficiale, sei in una lancia più piccola al comando del comandante, ed altri sei in un’altra piccola lancia affidata al nostromo.
Dato che il Raceland non stava affondando, il comandante ordinò di non allontanarsi dalla nave; le quattro imbarcazioni rimasero in attesa per dodici lunghe ore, nelle quali due uomini ebbero anche il tempo di tornare a bordo per prelevare cibo, coperte, frutta in scatola, latte, vestiti ed altri generi che sarebbero potuti essere necessari ai naufraghi. Solo alle 22.30 il piroscafo affondò, scomparendo in una tremenda esplosione, in posizione 72°40’ N e 20°20’ E.
A questo punto, le quattro lance si misero in navigazione alla volta di Murmansk, distante circa 600 miglia. Nessuna delle imbarcazioni aveva un motore; dovevano procedere a remi. Tutte e quattro erano legate tra loro; in testa c’era quella del secondo ufficiale, che, avendo un compasso funzionante, guidava la navigazione.
Nella notte successiva, tuttavia, scoppiò un violento uragano: le quattro scialuppe si persero di vista nel mare in tempesta, e le due più piccole, con i loro dodici occupanti (comandante compreso), non furono mai più riviste. Con ogni probabilità, affondarono nella tempesta; gli occupanti delle altre imbarcazioni avvistarono infatti, neanche un’ora dopo la loro sparizione, remi ed altri rottami presumibilmente appartenenti alle scialuppe scomparse.
Le altre due lance proseguirono nella navigazione, ciascuna per contro proprio, mentre il tremendo freddo dell’Artico mieteva inesorabilmente vittime tra i loro occupanti; anche la fame divenne un problema, perché tutto il cibo era andato perduto già il primo giorno.
Uno dopo l’altro, i naufraghi impazzirono e morirono; sulla lancia del secondo ufficiale, un macchinista, il primo a morire, lanciò in acqua il prezioso compasso per poi lasciarsi morire assiderato; un altro si tolse gli stivali, li gettò fuoribordo ed immerse i piedi nell’acqua, morendo nel giro di cinque minuti; un terzo si gettò in mare e morì assiderato dopo essere stato issato a bordo, un altro ancora tranciò freneticamente tutti i cavi con un’ascia, gridando e cantando, dopo di che divenne silenzioso e morì. Ultimo a morire fu il secondo ufficiale; dei diciotto uomini che erano saliti sulla scialuppa, soltanto cinque erano ancora vivi quando, dopo undici giorni di navigazione nel mare in tempesta, l’imbarcazione raggiunse finalmente l’isola norvegese di Auervaer (a 70 miglia da Tromsø). Qui, i naufraghi vennero soccorsi da alcuni pescatori e poi fatti prigionieri dalle truppe d’occupazione tedesche; presentavano tutti gravissimi sintomi di congelamento, e quattro su cinque dovettero subire l’amputazione delle gambe, andate in cancrena.
La scialuppa del primo ufficiale riuscì a raggiungere l’isola norvegese di Söröy (nel Sørsandfjord) dopo “soli” cinque giorni; ma dei suoi tredici occupanti, otto erano morti per il freddo ed il maltempo che aveva flagellato la lancia per tutta la navigazione. Soccorsi da una coppia norvegese, i sette superstiti (tra cui il primo ufficiale) vennero poi presi in consegna dalle autorità tedesche; risentivano tutti degli effetti del congelamento, e due di essi dovettero subire l’amputazione delle gambe.
Dopo le cure ospedaliere, la maggior parte dei naufraghi finì in campi di prigionia tedeschi, in maggioranza nel Milag und Marlag Nord (riservato specificamente ai marittimi Alleati fatti prigionieri). Alcuni, tra cui quelli di nazionalità norvegese (essendo la Norvegia occupata dai tedeschi), vennero rilasciati dopo alcuni mesi. Le vittime che poterono essere recuperate vennero sepolte a Söröy.
Oltre al Raceland (ed alla Sulla), del convoglio PQ 13 andarono perduti i mercantili Empire Ranger (affondato anch’esso da aerei il 28 marzo), Bateau (affondato da cacciatorpediniere tedeschi il 29), Induna ed Effingham (entrambi affondati da U-Boote tedeschi il 30 marzo). Il resto del convoglio riuscì a raggiungere Murmansk. Il cacciatorpediniere tedesco Z 26 fu affondato dopo uno scontro con la scorta diretta del convoglio, nel quale il Trinidad fu gravemente danneggiato da uno dei suoi stessi siluri, rivelatosi difettoso.

Un’altra immagine della nave come Howick Hall (da www.clydeships.co.uk)


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