Il Baleno (da www.navyworld.narod.ru) |
Cacciatorpediniere
della classe Folgore (dislocamento standard 1450 tonnellate, a pieno carico
2130 tonnellate).
Durante il conflitto
effettuò 64 missioni di guerra (22 di scorta convogli, 7 di caccia
antisommergibili, 3 con le forze navali, 5 di addestramento e 27 di
trasferimento o di altro tipo), percorrendo complessivamente 18.782 miglia
nautiche, trascorrendo 1238 ore in mare e passando 33 giorni ai lavori. Affondò
il sommergibile britannico Odin.
Breve e parziale cronologia.
1° maggio 1930
Impostazione presso i
Cantieri del Quarnaro di Fiume.
22 marzo 1931
Varo presso i
Cantieri del Quarnaro di Fiume.
15 giugno 1932
Entrata in servizio.
Primo comandante del Baleno è il
capitano di corvetta Ferrante Capponi.
Il Baleno a Fiume il 15 giugno 1932, data della sua entrata in servizio (Coll. Luigi Accorsi, via www.associazione-venus.it) |
1934
Il Baleno fa parte della II
Squadriglia Cacciatorpediniere con i gemelli Folgore, Fulmine e Lampo. La II Squadriglia, insieme alla I
(Freccia, Dardo, Saetta, Strale) forma la 1a Flottiglia
Cacciatorpediniere (conduttore l’esploratore Antonio Pigafetta), inquadrata nella I Squadra Navale.
26 dicembre 1936-26 maggio 1937
E' comandante del Baleno il capitano di corvetta Giuseppe De Angioy (36 anni, da Sassari).
26 dicembre 1936-26 maggio 1937
E' comandante del Baleno il capitano di corvetta Giuseppe De Angioy (36 anni, da Sassari).
Sopra e
sotto, quattro immagini del Baleno
scattate nel 1936 (Coll. Luigi Accorsi, via www.associazione-venus.it)
7-9 aprile 1939
Il Baleno, inquadrato nel IV Gruppo Navale dell’ammiraglio
di divisione Oscar Di Giamberardino, partecipa all’occupazione di Santi
Quaranta durante le operazioni per l’invasione dell’Albania (Operazione
"Oltre Mare Tirana", OMT).
Il IV Gruppo Navale,
oltre al Baleno, comprende gli
incrociatori leggeri Luigi di Savoia
Duca degli Abruzzi e Giuseppe
Garibaldi (aventi a bordo 600 uomini del Regio Esercito), il
cacciatorpediniere Freccia, le
torpediniere Alcione, Airone, Aretusa ed Ariel,
le navi cisterna e da sbarco Scrivia e Sesia, la nave cisterna Garda, il trasporto militare Asmara (con a bordo 800 uomini del Regio
Esercito) e la motonave requisita Marin
Sanudo (con a bordo 54 carri armati nonché materiale militare). La colonna
che deve sbarcare a Santi Quaranta, al comando del colonnello Mario Carasi, è
composta dal XX Battaglione Bersaglieri (3° Reggimento Bersaglieri), dal XXIII
Battaglione Bersaglieri (12° Reggimento Bersaglieri), dal III Gruppo Squadroni
Carri Veloci L3/35 "San Giorgio" e da due compagnie del Battaglione
"San Marco".
Baleno e Freccia hanno a
bordo 160 uomini del Battaglione "San Marco", che sbarcano sotto la
protezione degli incrociatori; proprio questi fanti di Marina, che prendono
terra con la prima ondata, hanno un ruolo determinante nel travolgere la
(debole) resistenza albanese. Alcuni civili armati aprono il fuoco verso le
truppe italiane, ma rientrano nelle loro case dopo che uno degli incrociatori
ha sparato qualche cannonata nella loro direzione.
Dopo alcune
scaramucce con gli uomini del "San Marco", le poche truppe albanesi
si ritirano, e Santi Quaranta passa in mano italiana. Da qui la colonna del
colonnello Carasi punterà poi su Delvino e Argirocastro.
Il Baleno nel 1938 (Coll. Aldo Fraccaroli, via Luigi Accorsi e www.associazione-venus.it) |
Luglio 1939
Il Baleno si reca a Mahon (Minorca)
facendo parte di una squadra navale (al comando dell’ammiraglio Oscar Di
Giamberardino) che comprende gli incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi ed i cacciatorpediniere Dardo, Freccia, Strale, Folgore, Fulmine e Lampo.
Alcune
foto del Baleno e del suo equipaggio,
scattate durante una cerimonia di commemorazione dei marinai caduti in guerra
tenuta a Salerno (da Eboli Archivio Digitale):
1939-1940
Lavori di modifica:
le due mitragliere singole Vickers-Terni 1917 da 40/39 mm e le due mitragliere
binate Breda da 13,2/76 mm vengono sbarcate, mentre in loro sostituzione
vengono installate cinque o sei mitragliere singole Breda 1939/1940 da 20/65
mm.
Il Baleno ed i tre gemelli ormeggiati a pacchetto a Genova negli anni Trenta (Coll. Erminio Bagnasco, via www.associazione-venus.it) |
10 giugno 1940
All’entrata
dell’Italia nella seconda guerra mondiale, il Baleno (capitano di corvetta Carlo Maffei Faccioli, che comanderà
la nave fino al gennaio 1941) forma la VIII Squadriglia Cacciatorpediniere,
insieme ai gemelli Folgore, Fulmine e Lampo.
14 giugno 1940
All’1.57 il Baleno (capitano di corvetta Carlo
Maffei Faccioli), impegnato in un rastrello antisommergibili – ordinato da
Supermarina in seguito all’avvistamento, il giorno precedente, da parte della I
e VIII Divisione uscite in mare da Taranto, di diversi sommergibili nemici – nel
Golfo di Taranto (tra capo Colonne e capo Santa Maria di Leuca) insieme ad
unità della VII, VIII e XV Squadriglia Cacciatorpediniere, avvista un
sommergibile nemico in fase di emersione, ad un chilometro di distanza: si
tratta del britannico Odin (capitano
di corvetta Kenneth Maciver Woods), già attaccato e danneggiato con bombe di
profondità, poche ore prima (in un punto distante nove miglia), dal
cacciatorpediniere Strale. Maffei Faccioli
ordina la massima velocità ed il Baleno
manovra per speronare il sommergibile, ma l’Odin
torna rapidamente ad immergersi; passando sopra il punto in cui il sommergibile
è appena scomparso, il Baleno lancia
due bombe di profondità, poi inverte rapidamente la rotta, torna sul posto e ne
lancia altre tre.
Sul momento,
l’oscurità impedisce di accertare gli esiti dell’azione, ma il mattino seguente
un idroricognitore dell’Aviazione Ausiliaria della Marina avvisterà nel punto
dell’attacco una chiazza di olio di 350 metri per 450, che il giorno successivo
assumerà dimensioni di dieci miglia per lato: è l’epitaffio dell’Odin, affondato con tutto l’equipaggio dalle
bombe di profondità del Baleno, in
posizione 39°47' N e 17°33' E (o 39°30’ N e 17°30’ E; 17 miglia ad est-nord-est
di Punta Alice, nel Golfo di Taranto). L’intero equipaggio di 56 uomini ha
trovato la morte nell’affondamento.
L’Odin è il primo sommergibile britannico
ad essere affondato da unità italiane nella seconda guerra mondiale.
7 luglio 1940
Il Baleno salpa da Taranto alle 14.10
con i tre gemelli, la VII Squadriglia Cacciatorpediniere (Freccia, Dardo, Saetta e Strale) e le corazzate Giulio
Cesare e Conte di Cavour,
nonché le Divisioni Navali IV (incrociatori leggeri Alberico Da Barbiano, Alberto
Di Giussano, Luigi Cadorna, Armando Diaz) e VIII (incrociatori
leggeri Luigi di Savoia Duca degli
Abruzzi e Giuseppe Garibaldi), e
le Squadriglie Cacciatorpediniere XV (Antonio
Pigafetta, Nicolò Zeno) e XVI (Nicoloso Da Recco, Emanuele Pessagno, Antoniotto
Usodimare) per fornire sostegno a distanza ad un convoglio di quattro
mercantili salpati da Napoli alle 19.45 del 6 e diretti a Bengasi. Il
convoglio, formato dai trasporti truppe Esperia e Calitea e
dalle moderne motonavi da carico Marco
Foscarini, Vettor Pisani e Francesco
Barbaro, trasporta complessivamente 232 veicoli, 10.445 tonnellate di
materiali vari, 5720 tonnellate di carburante e 2190 uomini, ed ha la scorta
diretta della II Divisione Navale (incrociatori leggeri Giovanni delle Bande Nere e Bartolomeo Colleoni), della X
Squadriglia Cacciatorpediniere (Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco)
e di sei torpediniere (le moderne Orsa,
Procione, Orione e Pegaso della
IV Squadriglia e le vetuste Rosolino
Pilo e Giuseppe Cesare Abba)
e la scorta a distanza dell’incrociatore pesante Pola, delle Divisioni
Navali I, III e VII e delle Squadriglie Cacciatorpediniere IX, XI, XII e XIII
(la 2a Squadra Navale, al comando dell’ammiraglio di squadra Ricardo
Paladini, imbarcato sul Pola), partite da Augusta, Palermo e Messina.
Comandante superiore
in mare è l’ammiraglio di squadra Inigo Campioni, con bandiera
sulla Cesare.
8 luglio 1940
Il mattino dell’8
luglio il sommergibile britannico Phoenix (capitano
di corvetta Gilbert Hugh Nowell) lancia alcuni siluri contro Cesare e Cavour scortate dalle quattro unità della VII Squadriglia, in
posizione 35°36’ N e 18°28’ E (circa duecento miglia ad est di Malta). Le armi
mancano i loro bersagli e non vengono nemmeno avvistate.
L’operazione va a
buon fine (il convoglio raggiunge Bengasi tra le 18 e le 22 dell’8), ed alle
14.30 le navi delle due squadra navali iniziano la navigazione di rientro.
Ma alle 15.20, a
seguito dell’avvistamento di una formazione britannica – anche la Mediterranean
Fleet, infatti, è in mare a protezione di convogli – la 1a e la
2a Squadra Navale dirigono per intercettare le navi nemiche
(che si teme dirette a bombardare Bengasi), con l’intento di impegnarle in
combattimento almeno un’ora prima del tramonto. La flotta britannica in mare,
al comando dell’ammiraglio Andrew Browne Cunningham, consiste in tre corazzate
(Warspite, Malaya e Royal Sovereign),
una portaerei (la Eagle), cinque
incrociatori leggeri (Orion, Neptune, Sydney, Liverpool, Gloucester) e 16 cacciatorpediniere (Nubian, Mohawk, Decoy, Hasty, Hero, Hereward, Stuart, Decoy, Hostile, Hyperion, Ilex, Dainty, Defender, Janus, Juno, Vampire e Voyager).
Alle 19.20, però, in
seguito ad ordini di Supermarina (il comando della Regia Marina, che, a
differenza dell’ammiraglio Campioni ha avuto modo di apprendere, tramite la
crittografia, la reale consistenza e finalità dei movimenti britannici) la
flotta italiana accosta per 330° per rientrare alle basi, con l’ordine di non
impegnare il nemico. Durante l’accostata le navi vengono attaccate da alcuni
velivoli con una dozzina di bombe, rispondendo con intenso tiro contraereo. Le
bombe cadono vicine agli incrociatori, ma non causano danni.
Il Baleno il 9 luglio 1940, poche ore prima della battaglia di Punta Stilo (Coll. E. Bagnasco, via M. Brescia e www.associazione-venus.it) |
9 luglio 1940
La navigazione
notturna di rientro si svolge senza grossi inconvenienti, salvo due
fallimentari attacchi siluranti contro la III Divisione.
Già dalle 22 dell’8,
però, sono arrivati nuovi ordini: Supermarina teme che la Mediterranean Fleet
intenda lanciare un attacco aeronavale contro le coste italiane, perciò ordina
alle forze in mare di riunirsi nel punto 37°40’ N e 17°20’ E, 65 miglia a
sudest di Punta Stilo, entro le 14 del 9 luglio.
Verso le 4.30, la XV
Squadriglia Cacciatorpediniere avvista delle grosse ombre verso est, il lato da
cui si prevede che possa essere il nemico, e lo comunica all’ammiraglio
Campioni. Si tratta degli incrociatori pesanti della III Divisione (Trento, Trieste e Bolzano)
che stanno passando ad est del gruppo «Cesare» a seguito di un ordine
dell’ammiraglio Paladini, ma Campioni, che Paladini – ritenendo che questi
avesse intercettato l’ordine, inviato a mezzo radiosegnalatore – non ha
informato dell’ordine alla III Divisione di proseguire verso nord (che
contrasta con quanto ordinato in precedenza da Campioni), ritiene che siano
navi nemiche e manda la XV Squadriglia ad attaccarle (questa lancia due siluri,
per fortuna senza colpire), e poco dopo impartisce analogo ordine anche alla
VIII Squadriglia. Quest’ultima riconosce però il profilo delle navi “nemiche”
come quello di incrociatori classe Trento, e permette così di chiarire
l’equivoco senza danni.
Verso le 13, dopo una
mattinata di infruttuosi voli di ricognizione, un velivolo italiano avvista la
Mediterranean Fleet 80 miglia a nordest della V Divisione, ossia molto più a
nord di quanto previsto, ed in posizione adatta ad interporsi tra la flotta
italiana e la base di Taranto: l’ammiraglio Campioni inverte allora la rotta,
ed ordina a Paladini, che si trova più a sud e sta dirigendo per
ovest-sud-ovest, di fare altrettanto, accostando ad un tempo per riunire più
rapidamente le due Squadre.
La VIII Squadriglia,
tuttavia, come altre squadriglie di cacciatorpediniere, viene autorizzata a
rifornirsi ad Augusta prima di riprendere il mare per il previsto punto di
riunione delle forze navali italiane (37°40’ N e 17°20’ E, 65
miglia a sudest di Punta Stilo, con incontro previsto per le 14 od al
massimo, per i cacciatorpediniere distaccati a rifornirsi, per le 16).
Le unità della VIII
Squadriglia non faranno però in tempo a ricongiungersi col grosso delle forze
navali prima che la battaglia cominci, e ne resteranno così escluse.
Terminata la
battaglia senza vincitori né vinti, la flotta italiana si avvia alle proprie
basi. La VIII Squadriglia, insieme alle Squadriglie Cacciatorpediniere VII, IX,
XI, XIV, XV e XVI (36 unità in tutto), alla corazzata Conte di Cavour, agli incrociatori pesanti Pola, Zara, Fiume e Gorizia ed agli incrociatori
leggeri Alberico Da Barbiano, Alberto Di Giussano, Luigi di
Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe
Garibaldi, entra ad Augusta nel pomeriggio del 9 luglio. Poco dopo mezzanotte,
però, a seguito dell’intercettazione e decifrazione di messaggi radio
britannici che facevano presagire un imminente attacco di aerosiluranti contro
il naviglio ormeggiato ad Augusta, Supermarina ordina a tutte le navi di
lasciare la base: dopo essersi frettolosamente rifornite, le unità ripartono
per le basi di assegnazione. VIII, VII e IX Squadriglia salpano alle 00.55 del
10 luglio scortando Cavour, Pola e I Divisione (Zara, Fiume, Gorizia),
raggiungendo poi Napoli.
31 agosto-2 settembre 1940
Il Baleno partecipa all’uscita in mare
della flotta a contrasto dell’operazione britannica «Hats» (consistente in
varie sotto-operazioni: trasferimento da Gibilterra ad Alessandria, per
rinforzare la Mediterranean Fleet, della corazzata Valiant, della portaerei Illustrious e
degli incrociatori Calcutta e Coventry; invio di un convoglio da
Alessandria a Malta e di uno da Nauplia a Porto Said; bombardamenti su basi
italiane in Sardegna e nell’Egeo): Supermarina ha infatti saputo che sia la
Mediterranean Fleet (da Alessandria) che la Forza H (da Gibilterra) sono uscite
in mare, e si è accordata con la Regia Aeronautica per attaccare la prima con
le forze navali di superficie ed attacchi aerei e la seconda con aerei e
sommergibili.
La VIII Squadriglia
cui appartiene (con Folgore, Fulmine e Lampo) parte da Taranto alle sei del mattino del 31 agosto insieme
alla IX Divisione (corazzate Littorio,
nave di bandiera dell’ammiraglio di squadra Inigo Campioni, e Vittorio Veneto), alla V Divisione
(corazzate Duilio, Conte di Cavour e Giulio Cesare, quest’ultima
aggregatasi solo il 1° settembre a causa di avarie), alla I Divisione
(incrociatori pesanti Zara, Pola, Fiume e Gorizia),
all’VIII Divisione (incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi) ed ad alle Squadriglie Cacciatorpediniere VII (Freccia, Dardo, Saetta, Strale), X (Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco), XIII (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino),
XV (Antonio Pigafetta, Alvise Da Mosto, Giovanni Da Verrazzano, Nicolò Zeno) e XVI (Nicoloso Da Recco, Emanuele
Pessagno, Antoniotto Usodimare).
Complessivamente all’alba del 31 prendono il mare da Taranto, Brindisi e
Messina 4 corazzate, 13 incrociatori della I, III, VII e VIII Divisione e 39
cacciatorpediniere.
Le due Squadre Navali
italiane (la 1a Squadra è composta dalle Divisioni V, VII, VIII e IX
e dalle Squadriglie Cacciatorpediniere VII, VIII, X, XIII, XV e XVI; la 2a
Squadra dal Pola, dalle
Divisioni I e III e dalle Squadriglie Cacciatorpediniere IX, XI e XII),
riunite, dirigono per lo Ionio orientale con rotta 150°. Le forze navali sono
però uscite in mare troppo tardi, hanno l’ordine di evitare uno scontro
notturno ed hanno una velocità troppo bassa (20 nodi), ed hanno l’ordine di
cambiare rotta e raggiungere il centro del Golfo di Taranto se non riusciranno
ad entrare in contatto con il grosso nemico entro il tramonto. Tutto ciò
impedisce alle forze italiane di intercettare quelle britanniche; alle 16
Supermarina ordina un cambiamento di rotta, che impedisce alla 2a Squadra,
che si trova in posizione più avanzata della 1a, di proseguire verso
le forze nemiche (l’ammiraglio Iachino, comandante la 2a Squadra, ha
chiesto ed ottenuto alle 16.30 libertà di manovra per dirigere contro le forze
britanniche, segnalate alle 15.35 a 120 miglia di distanza, ma
alle 16.50 tale autorizzazione viene annullata; comunque la 2a
Squadra non sarebbe egualmente riuscita a raggiungere le unità avversarie).
Alle 17.27 la 2a Squadra riceve l’ordine d’invertire la rotta ed
assumere rotta 335° e velocità 20 nodi, come la 1a Squadra.
Alle 22.30 la
formazione italiana, che procede a 20 nodi, riceve l’ordine di impegnare le
forze nemiche lungo la rotta 155°, a nord della congiungente Malta-Zante,
dunque deve cambiare la propria rotta per raggiungerle (o non potrebbe prendere
contatto con esse), dirigendo più verso sudovest (verso Malta) e superando la
congiungente Malta-Zante. Il mattino del 1° settembre, tuttavia, il vento, già
in aumento dalla sera precedente, dà origine ad una violenta burrasca da nordovest
forza 9, che verso le 13 costringe la flotta italiana a tornare alle basi,
perché i cacciatorpediniere non sono in grado di tenere il mare compatibilmente
con le necessità operative (non potendo restare in formazione né usare
l’armamento). Poco dopo la mezzanotte del 1° settembre le unità italiane
entrano nelle rispettive basi; tutti i cacciatorpediniere sono stati
danneggiati (specie alle sovrastrutture) dal mare mosso, alcuni hanno perso
degli uomini in mare. Le navi verranno tenute pronte a muovere sino al
pomeriggio del 3 settembre, ma non si concretizzerà alcuna nuova occasione.
7-9 settembre 1940
Il Baleno, insieme a Folgore e Fulmine, alle
Squadriglie Cacciatorpediniere VII (Freccia, Dardo, Saetta), X (Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco) e
XIII (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino)
ed alla IX Divisione Navale (corazzate Littorio e Vittorio Veneto), cioè alla 1a
Squadra Navale, nonché alla 2a Squadra (incrociatore pesante Pola, ammiraglia di squadra, I Divisione
con gli incrociatori pesanti Zara e Gorizia, III Divisione con gli
incrociatori pesanti Trento, Trieste e Bolzano, cacciatorpediniere Vittorio Alfieri della IX Squadriglia, Geniere della XI Squadriglia
ed Ascari, Carabiniere e Corazziere della XII Squadriglia)
lascia Taranto alle 16 del 7 diretto a sud della Sardegna, per intercettare la
Forza H britannica, che si presume diretta verso Malta.
In realtà tale
formazione, salpata da Gibilterra alle 6, ha soltanto simulato un’incursione in
Mediterraneo, per coprire il vero obiettivo per della propria uscita in mare:
dirigersi in Atlantico e raggiungere Freetown, per poi attaccare le forze
francesi a Dakar. Qualora non sia possibile ottenere il contatto con il nemico,
gli ordini prevedono di dirigere per il Basso Tirreno a levante della
congiungente Capo Carbonara-Marettimo, poi raggiungere il meridiano 8° Est per
le ore 7 del 9 settembre.
Le due squadre navali
italiane attraversano lo stretto di Messina nella notte tra il 7 e l’8, e
raggiungono il punto prestabilito a sud della Sardegna alle 16 dell’8
settembre; però, dato che la ricognizione non ha avvistato alcuna nave nemica
(visto che la Forza H, dopo la “finta”, si è diretta in Atlantico), la
formazione italiana inverte la rotta e, per ordine di Supermarina, raggiunge le
basi del Tirreno meridionale (Napoli per la 1a Squadra, Palermo
e Messina per la I e III Divisione rispettivamente). Le navi si riforniscono di
carburante e rimangono pronte a muovere, ma non ci sono novità sul
nemico, ergo nel pomeriggio del 10 settembre lasciano Napoli e Palermo per
tornare nelle basi di dislocazione; la 1a Squadra giungerà a Taranto nel
tardo pomeriggio dell’11.
Il Baleno nel 1940 (Navypedia) |
11 novembre 1940
Il Baleno è a Taranto, ormeggiato in
Mar Grande vicino ai tre gemelli ed alla corazzata Conte di Cavour (le unità della VIII Squadriglia sono tutte
ormeggiate nel lato sudorientale del Mar Grande, all’interno della diga della
Tarantola, e sono disposte quasi a semicerchio ad ovest della Cavour: in senso orario Fulmine, Lampo, Baleno e Folgore) quando la base viene attaccata
da aerosiluranti britannici decollati dalla portaerei Illustrious, che silurano le corazzate Littorio, Duilio e Conte di Cavour nella cosiddetta
“notte di Taranto”.
Nei giorni seguenti,
la VIII Squadriglia Cacciatorpediniere è uno dei pochi reparti navali che
vengono mantenuti a Taranto, mentre quasi tutte le altre unità vengono evacuate
verso porti ritenuti più sicuri dall’offesa aerea. A seguito dell’incursione
diversiva effettuata da incrociatori britannici nel canale d’Otranto
contemporaneamente all’attacco su Taranto, che ha portato alla distruzione di
un convoglio di quattro mercantili, la VIII Squadriglia viene designata per
tenersi pronta a muovere insieme alla VIII Divisione (in alternanza con VII
Divisione e XV Squadriglia) per contrastare eventuali nuove puntate offensive
britanniche nel canale d’Otranto, che comunque non avranno luogo.
31 dicembre 1940
Baleno e Folgore forniscono
scorta a distanza a due convogli in navigazione da Bari a Durazzo, il primo
partito alle 4 e giunto a Durazzo alle 13.30 (trasporti truppe Italia, Città di Palermo e Città di
Genova, con 2667 uomini e 126,5 tonnellate di materiali, scortati dal
cacciatorpediniere Carlo Mirabello)
ed il secondo partito da Bari alle 4.50 ed arrivato a Durazzo alle 18 (motonave
Puccini, piroscafi Acilia e Monstella, con in tutto 746 uomini, 635 quadrupedi e 128 tonnellate
di materiali, scortati dall’incrociatore ausiliario Capitano A. Cecchi).
Inverno 1940-1941
Partecipa, con altre
unità (incrociatori leggeri Eugenio
di Savoia, Duca d’Aosta, Attendolo e Montecuccoli della
VII Divisione, incrociatori leggeri Duca
degli Abruzzi e Garibaldi dell’VIII
Divisione, cacciatorpediniere Freccia, Dardo, Saetta e Strale della
VII Squadriglia nonché i suoi compagni di squadriglia Folgore, Fulmine e Lampo), a crociere notturne (tra i
paralleli 39°45’ N e 40°18’ N, con l’impiego di due incrociatori ed una
squadriglia di cacciatorpediniere ogni volta) a protezione dei convogli che
trasportano in Albania i rifornimenti per le truppe italiane impegnate sul fronte
greco-albanese, nonché ad azioni di bombardamento navale a supporto delle
stesse operazioni.
Il Baleno (ultimo a destra) ormeggiato a Gaeta nel 1935 insieme a (da sinistra a destra) Strale, Freccia, Fulmine, Lampo e Folgore (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net) |
24 febbraio 1941
Il Baleno, insieme al
cacciatorpediniere Camicia Nera (caposcorta)
ed alle torpediniere Orione ed Aldebaran, salpa da Napoli per Tripoli
alle 20, scortando i trasporti truppe Esperia, Victoria, Conte Rosso e Marco
Polo riuniti in convoglio veloce. Capoconvoglio è il contrammiraglio Luigi
Aiello, imbarcato sull’Esperia, e su
ogni trasporto è imbarcato come comandante militare un ufficiale superiore
della riserva navale. Alla scorta si uniscono successivamente anche i
cacciatorpediniere Geniere e Saetta; vi è anche una scorta a
distanza, costituita dagli incrociatori leggeri Bande Nere e Diaz (cioè
la IV Divisione dell’ammiraglio Alberto Marenco di Moriondo, con bandiera
sul Bande Nere) e dai
cacciatorpediniere Ascari e Corazziere.
25 febbraio 1941
Alle 3.40, mentre il
convoglio si trova nei pressi delle isole Kerkennah, il Diaz viene centrato da due siluri
lanciati dal sommergibile britannico Upright:
devastato dall’esplosione di un deposito munizioni, l’incrociatore affonda in
soli sei minuti, portando con sé 484 dei 633 uomini dell’equipaggio. Ascari e Corazziere ne recuperano i superstiti; il primo ritorna poi a
seguire il convoglio (che prosegue per la sua rotta), mentre il secondo rientra
a Palermo insieme al Bande Nere.
26 febbraio 1941
Il convoglio arriva a
Tripoli alle 15.45. Esperia, Victoria, Conte Rosso e Marco
Polo imbarcano altri 3750 profughi civili e 1860 militari (1200
dell’Aeronautica, 400 dell’Esercito e 260 della Marina, compresi alcuni
naufraghi del Diaz) rimpatriati dalla Cirenaica invasa dai britannici.
27 febbraio 1941
I quattro piroscafi,
con il loro carico umano, salpano da Tripoli alle 19 diretti a Napoli, scortati
dal Baleno, dal Saetta, dall’Ascari e da
un altro cacciatorpediniere, l’Antonio Da
Noli (caposcorta).
1° marzo 1941
Il convoglio giunge a
Napoli a mezzogiorno.
7 marzo 1941
Il Baleno (capitano di corvetta Giuseppe
Arnaud) parte da Napoli per Tripoli alle 11.30, insieme ai cacciatorpediniere Fulmine (caposcorta, capitano di
corvetta Della Corte) e Turbine,
scortando un convoglio formato dalla motonave italiana Rialto e dalle tedesche Alicante,
Arcturus e Wachtfels (convoglio "Arcturus"), che trasportano i primi
carri armati del 5. Panzerregiment dell’Afrika Korps.
Poco dopo la
partenza, il convoglio torna in porto per allarme navale.
8 marzo 1941
Il convoglio lascia
nuovamente Napoli alle 14 e, dopo una breve sosta a Trapani, prosegue verso
Tripoli.
La VIII Squadriglia Cacciatorpediniere nel Canale della Giudecca, a Venezia, a fine anni Trenta (Foto Baschetti, Coll. M. Brescia, via www.associazione-venus.it) |
10 marzo 1941
Durante la
navigazione verso Tripoli, poco prima delle sette di mattina, le navi del
convoglio avvistano una fiammata in lontananza: si tratta dell’esplosione del
piroscafo Fenicia, in navigazione da
Trapani a Tripoli con la scorta dell’incrociatore ausiliario Attilio Deffenu, che è stato appena
silurato dal sommergibile britannico Unique.
Il caposcorta Della
Corte, dopo l’avvistamento della fiammata, ordina che tutto il convoglio
accosti rapidamente ad un tempo, allo scopo di allontanarlo dal punto in cui
deve trovarsi il sommergibile nemico, ed ordina al Baleno di portarsi sul luogo del siluramento, per prestare
assistenza al Fenicia (che è ancora a
galla, sebbene avvolto dalle fiamme) e proteggere il Deffenu nella sua opera di salvataggio dei naufraghi.
Per il Fenicia non c’è più nulla da fare,
essendo il piroscafo già in fase di affondamento (s’inabisserà infine alle nove
del mattino); il Baleno rimane sul
posto per proteggere il Deffenu,
fermo a raccogliere i superstiti del Fenicia,
gettando ad intervalli alcune bombe di profondità.
Alle 10.10 un
presunto avvistamento di sommergibile fa scatenare un nuovo allarme; il Baleno lancia altre bombe di profondità,
mentre il Deffenu spara alcune
cannonate contro quello che ritiene essere un periscopio.
Alle 10.30, mentre il
Deffenu si allontana verso Tripoli
con 14 naufraghi a bordo, il Baleno (che
in tutto ha lanciato dieci cariche di profondità, senza recar danno all’Unique, che era piuttosto lontano) lascia
la zona e si ricongiunge al convoglio "Arcturus".
12 marzo 1941
Il convoglio arriva a
Tripoli alle 19.30.
Baleno e Turbine
(caposcorta), lasciato il convoglio, assumono la scorta della motonave Giulia e del piroscafo Sabaudia, partiti da Tripoli per Napoli
a mezzogiorno.
14 marzo 1941
Il convoglio arriva a
Napoli alle 22.
19 marzo 1941
Baleno, Fulmine e Saetta (caposcorta) partono da Napoli
per Tripoli alle 2.30 scortando i piroscafi tedeschi Arcturus, Santa Fè, Procida e Wachtfels.
21 marzo 1941
Il convoglio arriva a
Tripoli alle 15.
23 marzo 1941
Baleno, Fulmine e Saetta (caposcorta) ripartono da Tripoli
alle 8.30 per scortare Arcturus, Procida, Santa Fè e Wachtfels che
tornano a Napoli.
25 marzo 1941
Il convoglio arriva a
Napoli alle 13.
1° aprile 1941
Alle 11 il Baleno ed i cacciatorpediniere Euro e Luca Tarigo (caposcorta, capitano di fregata Pietro De
Cristofaro) salpano da Napoli per Tripoli scortando i trasporti truppe Conte Rosso, Marco Polo, Esperia
e Victoria. Da Tripoli escono
successivamente le torpediniere Polluce e Partenope, per rinforzare la scorta.
Il convoglio segue la
rotta di levante (che è quella solitamente seguita dai convogli veloci per
trasporto truppe): attraversa lo stretto di Messina, poi passa circa 150 miglia
ad est di Malta (in modo da restare al di fuori del raggio d’azione degli aerosiluranti
là basati) a 15-17 nodi di velocità. Di giorno, le navi fruiscono di una scorta
aerea assicurata da due-tre idrovolanti CANT Z. 501 per protezione
antisommergibili e due caccia FIAT CR. 42 per protezione da attacchi aerei.
Durante il viaggio,
una sola volta viene segnalato un sommergibile in zona; la scorta reagisce al
possibile attacco zigzagando e lanciando bombe di profondità a scopo
intimidatorio.
2 aprile 1941
Il convoglio arriva a
Tripoli alle 19.30.
7 aprile 1941
Baleno, Euro, Lampo e Tarigo (caposcorta) ripartono da Tripoli alle 17, scortando Conte Rosso, Marco Polo, Esperia
e Victoria che tornano a Napoli.
La rotta seguita è ancora quella di levante.
8 aprile 1941
Alle 00.05 il
sommergibile britannico Upright (tenente
di vascello Edward Dudley Norman) avvista il convoglio in posizione 34°30’ N e
12°51’ E (un centinaio di miglia a nord-nord-ovest di Tripoli), su rilevamento
143° e con rotta 350°. Alle 00.21 il battello lancia due siluri contro i
mercantili di testa delle due colonne del convoglio (che si “sovrappongono”
nella visuale del periscopio) e poi altri due al mercantile di coda.
Nessun’arma va a segno, e probabilmente l’attacco non viene nemmeno notato.
9 aprile 1941
Le navi giungono a
Napoli alle 7.30.
Il Baleno a metà anni Trenta (sopra: g.c.
Giuseppe Garufi; sotto: da “Mussolini’s Navy” di Maurizio Brescia). Insieme al
Fulmine, era l’unica unità del gruppo “Freccia/Folgore” ad avere sovrastrutture
arrotondate verso prua, mentre le altre unità delle due classi avevano
sovrastrutture più squadrate.
Convoglio Tarigo
Nel febbraio 1941, a
seguito della disfatta italiana in Nord Africa provocata dall’offensiva
britannica «Compass», Mussolini aveva deciso di accettare l’aiuto tedesco,
sotto forma di una grande unità il cui nome sarebbe presto divenuto famoso:
l’Afrika Korps del generale Erwin Rommel.
Il trasferimento in
Libia delle truppe tedesche e dei loro materiali aveva avuto inizio durante la
seconda settimana di febbraio, per mezzo di convoglio di navi mercantili
tedesche (in maggioranza) ed italiane, scortate da navi da guerra italiane. Per
due mesi il traffico dei convogli tra Italia e Libia procedé senza intoppi; l’Afrika
Korps giunse in Libia senza subire per mare alcuna perdita di rilievo, e poté
quindi organizzarsi rapidamente e poi passare all’offensiva congiuntamente alle
forze italiane già in loco, riconquistando in poche settimane l’intera
Cirenaica. Entro il 10 aprile, Bengasi e Derna erano state riconquistate, e
Tobruk circondata e posta sotto assedio.
Nella sua continua
spola tra Italia e Libia, il Baleno
fu in “prima linea” in questo vitale traffico: molti dei convogli da esso
scortati nel febbraio-marzo 1941, infatti, trasportavano proprio truppe e
materiali dell’Afrika Korps.
Ma proprio a metà
aprile, mentre le truppe italo-tedesche passavano il confine tra Libia ed
Egitto, il traffico dei convogli dell’Afrika Korps doveva subire un duro colpo.
Alle 21.30 del 13
aprile 1941 il Baleno, al comando del
capitano di corvetta Giuseppe Arnaud, lasciò Napoli per scortare a Tripoli il
ventesimo dei convogli che trasferivano l’Afrika Korps in Africa Settentrionale
(per altra versione, il convoglio partì alle 23 del 13, mentre il Baleno uscì in mare all’una di notte del
14).
Lo componevano i
piroscafi tedeschi Arta, Adana, Aegina ed Iserlohn,
carichi di truppe (10 ufficiali e 184 sottufficiali e soldati sull’Arta, 13 ufficiali e 326 sottufficiali e
soldati sull’Adana, 11 ufficiali e
206 tra sottufficiali e soldati sull’Aegina,
14 ufficiali e 278 sottufficiali e soldati sull’Iserlohn), automezzi (62 sull’Arta,
148 sull’Adana, 64 sull’Aegina e 118 sull’Iserlohn) e materiali (487 tonnellate sull’Arta, 409 sull’Adana, 493
sull’Aegina e 608 sull’Iserlohn), ed il piroscafo italiano Sabaudia, carico di 1371 tonnellate di
munizioni.
Le altre due unità
della scorta erano il Lampo (capitano
di corvetta Enrico Marano) ed il più grande cacciatorpediniere Luca Tarigo (capitano di fregata Pietro
De Cristofaro), che ricopriva il ruolo di caposcorta; il convoglio era infatti denominato
«Tarigo».
Secondo la
pianificazione originaria, Baleno e Lampo non avrebbero dovuto far parte
della scorta di questo convoglio: era infatti previsto che insieme al Tarigo andassero i cacciatorpediniere Euro e Strale. Un nuovo ordine, però, aveva cambiato le assegnazioni,
destinando Baleno e Lampo al convoglio «Tarigo».
Uno scambio che per
il Baleno sarebbe risultato fatale.
Il convoglio avrebbe dovuto
seguire la rotta che passava attraverso il Canale di Sicilia (a ponente della
Sicilia), raggiungendo la costa tunisina a Capo Bon e seguendola poi attraverso
la zona delle Isole Kerkennah.
Già nel pomeriggio
del 13 aprile, ancor prima che le navi del convoglio lasciassero il porto, il
Comando Marina della Sicilia aveva informato Supermarina, per via telefonica,
che i ricognitori del X Corpo Aereo Tedesco (X CAT) avevano avvistato a Malta
quattro nuovi cacciatorpediniere, avvisando inoltre che gli aerei della
Luftwaffe avrebbero effettuato una nuova ricognizione al tramonto e si
sarebbero tenuti pronti per un eventuale bombardamento notturno.
Visto che il carico
imbarcato sui mercantili del convoglio «Tarigo» era richiesto con urgenza dal
Comando tedesco, e che non si trattava della prima volta che unità sottili
britanniche sostavano a Malta (senza che questo determinasse ogni volta la
sospensione dei traffici con l’Africa Settentrionale), Supermarina non diede
molto peso alla notizia, tanto da non informarne neanche il caposcorta.
Ma si sbagliava,
perché le navi avvistate dai ricognitori a Malta erano quelle della 14th
Destroyer Flotilla britannica, al comando dell’esperto capitano di vascello
Philip John Mack: la formavano i moderni e potenti cacciatorpediniere Jervis (al comando dello stesso Mack), Janus (capitano di fregata John Anthony
William Tothill), Nubian (capitano di
fregata Richard William Ravenhill) e Mohawk
(capitano di fregata John William Musgrave Eaton). I primi due appartenevano
alla classe J, gli ultimi due alla classe Tribal (la più grande e meglio armata
classe di cacciatorpediniere della Royal Navy); tre su quattro erano muniti di
radar. Poco più di due settimane prima le navi di Mack avevano partecipato alla
battaglia di Capo Matapan, dove il Jervis
ed il Nubian avevano finito, coi loro
siluri, gli incrociatori pesanti Zara
e Pola (messi fuori uso,
rispettivamente, dal tiro delle corazzate della Mediterranean Fleet e da un
aerosilurante).
Il 10 aprile
l’ammiraglio Andrew Browne Cunningham (comandante della Mediterranean Fleet),
dopo insistenti pressioni da Londra (ostacolare il traffico navale con la Libia
era divenuto di vitale importanza per i britannici, dato che il flusso
ininterrotto di uomini e materiali dei mesi precedenti aveva consentito la
travolgente offensiva di Rommel), aveva accondisceso a trasferire la flottiglia
di Mack da Suda a Malta, con il preciso incarico di insidiare i convogli italiani.
I quattro cacciatorpediniere erano già usciti in mare due volte, la prima nella
notte tra l’11 ed il 12 aprile e la seconda in quella tra il 12 ed il 13, ma in
tali occasioni, nonostante la cooperazione con i ricognitori, non erano
riuscite ad intercettare alcunché. Stavolta non sarebbe andata così.
La tabella di marcia
del convoglio era stata pensata affinché la parte più pericolosa della
navigazione (quella che si sarebbe dovuta svolgere alla minima distanza da
Malta) avvenisse di giorno, quando le navi avrebbero potuto anche essere
scortate da aerei italiani e tedeschi.
La navigazione del
convoglio, alla velocità di 10 nodi, si svolse senza intoppi fino a Marettimo.
Superata quest’isola, tuttavia, si levò un forte vento da scirocco ed il tempo
andò deteriorandosi, con mare agitato, foschia e piovaschi. A causa del
maltempo, nel corso della notte tra il 14 ed il 15 aprile il convoglio andò
disperdendosi; alle quattro del mattino del 15 l’Arta, prima nave della colonna di sinistra, accostò improvvisamente
a sinistra, indicando rotta vera 180° al Lampo;
quest’ultimo e tutta la colonna di sinistra, pensando che la nave tedesca
avesse ricevuto ordini diretti dal Tarigo,
accostarono a loro volta su quella rotta, ma il Baleno e la colonna di dritta non fecero altrettanto.
Nel frattempo, Capo
Bon era apparso alla vista; il Tarigo
venne informato via radiosegnalatore dal Lampo,
accortosi che doveva esservi stato qualche errore, che questi stava procedendo
a 8 nodi su rotta 180°: il caposcorta gli ordinò di assumere rotta 40° e di
restare su quella rotta fino all’alba, quando avrebbero cercato di riunire i
due pezzi del convoglio (in quel momento la visibilità era troppo scarsa, e si
sarebbe rischiato un grave incidente). Il deterioramento delle condizioni meteorologiche,
unitamente ad altre manovre sbagliate da parte dei mercantili, portarono però
il convoglio a disperdersi ancora di più; solo verso le 10 del 15 aprile fu
possibile ricomporlo e riprendere la navigazione verso le Kerkennah.
Tra tutto si erano perse
quattro ore, ritardo che andava a mutare radicalmente le previsioni della
tabella di marcia: ora, l’attraversamento del tratto più pericoloso sarebbe
avvenuto proprio di notte, quando non vi potevano essere ricognizione e scorta
aerea.
I piovaschi continuarono
per tutta la giornata, caratterizzata anche da vasti banchi di nebbia, che
impedirono agli aerei del X CAT di dare scorta aerea al convoglio.
Il maltempo fermò gli
aerei della ricognizione marittima di Tripoli, che sospesero ogni attività, ma
non quelli di Malta: alle 13.45 (secondo i volumi dell’USMM; però le fonti
britanniche indicano già alle 11.57 un messaggio di un ricognitore, che
segnalava cinque navi mercantili, scortate da tre cacciatorpediniere, al largo
della costa tunisina nei pressi di Capo Bon, con rotta sud e velocità stimata 9
nodi) uno di questi, un Martin Maryland denominato OHSF e pilotato dal comandante
del 69th Squadron E. A. Whiteley, avvistò il convoglio qualche
miglio a sud di Kelibia. Apprezzandone correttamente rotta (verso sud),
posizione (36°12’ N e 11°16’ E, 160 miglia ad ovest di Malta), composizione
(cinque mercantili in linea di fronte, preceduti da due cacciatorpediniere e
con un terzo cacciatorpediniere al traverso a sinistra) e velocità (8 nodi –
anche se questa, a detta di Whiteley, era la velocità che lui stimava sempre
per i convogli che avvistava, sembrandogli una media abbastanza plausibile: in
questo caso, era esatta), il ricognitore riferì il tutto a Malta. Whiteley
ricordò poi che l’avvistamento del convoglio avvenne in modo del tutto
improvviso ed inaspettato: stava volando con il suo aereo tra la nebbia e la
pioggia, quando le navi italo-tedesche si erano materializzate davanti a lui,
tanto all’improvviso che, volando a bassa quota, per poco non si era schiantato
contro l’albero di una di esse.
Il Baleno avvistò a sua volta il
ricognitore, e segnalò al Tarigo (che
a sua volta lo comunicò al Lampo) di
aver avvistato un aereo sospetto con rotta sud; non fu però possibile
abbatterlo, e così l’aereo poté pedinare il convoglio per buona parte del
pomeriggio, inviando regolari rapporti a Malta. Alle 14.22 l’OHSF contattò
nuovamente Malta per aggiornare sulla posizione del convoglio; questa volta
Supermarina riuscì ad intercettare e decifrare il messaggio. Ne diede quindi
notizia a Marina Messina ed a Superaereo, e sollecitò la prima a richiedere
l’intervento del X CAT (sia contro i ricognitori, che contro eventuali attacchi
al convoglio), ed il secondo ad intervenire esso stesso, con aerei da caccia, per
la protezione del convoglio, oltre che con ricognitori da Malta verso le
Kerkennah.
Alle 15.50, tuttavia,
Superaereo rispose telefonicamente che, fintanto che il maltempo persisteva,
l’Aeronautica della Sicilia non poteva fare nulla. Alle 16 Supermarina ordinò per
radio al convoglio «Tarigo» di modificare la rotta: una volta giunto alla boa
numero 4 delle secche di Kerkennah, avrebbe dovuto dirigere verso la boa n. 6,
per poi atterrare a Turgoeness. Questo dirottamento doveva servire a vanificare
il precedente avvistamento da parte dei ricognitori di Malta; ma il convoglio,
a causa del ritardo accumulato la notte precedente, era ancora nelle acque
delle Kerkennah, in zona dove la rotta era obbligata, e dovette proseguire
lungo quella rotta per tutta la notte.
Alle 17.07 Supermarina
contattò per telegrafo Marina Tripoli e dispose affinché quel Comando inviasse
già nelle prime ore del mattino dell’indomani velivoli per la scorta aerea ed
unità che andassero a rinforzare la scorta navale.
Alle 17.15 Superareo riferì
a Supermarina che, a seguito dell’avvistamento di un aereo, erano decollati da
Siracusa due aerosiluranti Savoia Marchetti S.M. 79, con il compito
d’intercettarlo ed al contempo di effettuare ricognizione e vigilanza sul
convoglio. In realtà, però, dei due S. 79 uno solo era effettivamente
decollato, ed anche questo dovette rientrare poco dopo a causa del maltempo
(venti di 80 km/h), senza aver visto niente (ciò fu riferito da Superaereo a
Supermarina alle 18.45).
Nel mentre, il
convoglio proseguiva nella navigazione. Il mare ed il vento erano caduti ed
anche il barometro seguitava a scendere, ma persisteva una foschia bassa e
fitta all’orizzonte; non fu possibile avvistare né Kuriat né il faro di Capo
Africa.
Frattanto, i
britannici non stavano con le mani in mano. Ricevute le ripetute e precise
comunicazioni dell’aereo OHSF, il comando di Malta fece partire alle 18 (o
18.30) i quattro cacciatorpediniere del capitano di vascello Mack (imbarcato
sullo Jervis), con il compito di
intercettare e distruggere il convoglio avvistato. Appena superate le
ostruzioni, era stato ordinato il "posto di combattimento" ed erano
state effettuate prove degli apparati di direzione del tiro e trasmissione
degli ordini. L’eccitazione sulle navi britanniche era palpabile; circolavano voci
sull’obiettivo della missione – poi confermate da alcuni degli ufficiali – e si
confidava di riscuotere un successo, grazie all’esperienza accumulata
combattendo in Mediterraneo, in Atlantico ed in Norvegia.
Imboccato il canale
dragato orientale, i cacciatorpediniere si misero in navigazione a 26 nodi in
linea di fila, con il Jervis in
testa, seguito dal Janus, poi dal Nubian e per ultimo dal Mohawk. Alle 19.15, usciti dal canale,
assunsero rotta 248°.
Alle 19.25 il comando
di Malta informò il Jervis che un
nuovo avvistamento aereo confermava la rotta e posizione che il convoglio aveva
alle 18.36, e ne precisava la velocità in otto nodi.
Mentre la 14th
Destroyer Flotilla assumeva una rotta che l’avrebbe portata ad intercettare il
convoglio «Tarigo», sia quest’ultimo che Supermarina erano ignari di tuto: siccome
che il maltempo impedì a tutti i ricognitori italiani e tedeschi di decollare,
i cacciatorpediniere britannici passarono del tutto inosservati.
Jervis, Janus, Nubian e Mohawk giunsero così a 6 miglia dalla boa n. 4 delle Kerkennah, nel
previsto punto di passaggio del convoglio italiano, già alle 00.44 del 16
aprile (secondo i calcoli di Mack, questo avrebbe dovuto portare le sue navi a
trovarsi venti miglia a proravia del convoglio da attaccare, entro l’una di
notte). Le navi cambiarono rotta, passando su rotta 310°, e ridussero la
velocità a 20 nodi; dato però che il convoglio non era ancora arrivato, Mack
ordinò alle unità dipendenti di accostare per nord, ridurre la velocità e
cominciare un ampio zigzagamento, in modo da accrescere la zona di ricerca.
La notte era chiara,
con vento forza 5 da nordovest; la luna era al primo quarto, e si trovava a
sudest rispetto ai cacciatorpediniere della 14th Flotilla.
All’una di notte le
navi britanniche assunsero rotta 333°, che Mack riteneva essere parallela ed
opposta a quella che il convoglio avrebbe probabilmente seguito, ed all’1.10
iniziarono a zigzagare. Successivamente la 14th Flotilla virò verso
ovest, poi verso sud; all’1.42, però, i cacciatorpediniere superarono il punto
in cui sarebbe dovuto essere il convoglio italo-tedesco se la sua velocità
fosse stata di 8 nodi, pertanto Mack ordinò di accelerare a 25 nodi (secondo
una fonte in questa fase, all’1.45, i cacciatorpediniere britannici superarono
inconsapevolmente il convoglio italiano, senza che nessuno dei due gruppi si
avvedesse dell’altro, passandogli tre miglia a sinistra). All’1.55, se il
convoglio avesse avuto una velocità di 7 nodi, si sarebbe dovuto trovare solo
tre miglia più avanti dei cacciatorpediniere britannici, ma ancora non si
vedeva niente. Mack dovette concludere che la rotta da lui stimata per il
convoglio avversario non era corretta, e ipotizzò che le navi italiane si
fossero tenute più vicine alla costa; all’1.55, dunque, ordinò di virare per
214°, in modo da avvicinarsi alla boa n. 1 delle Kerkennah.
All’1.58, infine, le
navi di Mack avvistarono il convoglio italiano, che procedeva a sei miglia di
distanza, per 170°, su rilevamento di circa 140°. Non è del tutto chiaro se
l’avvistamento avvenne otticamente (come sembrerebbe dal rapporto del Jervis) oppure a mezzo radar (come è
scritto nel rapporto del Nubian:
«Prendo contatto a mezzo radar ad una distanza di 12.000 yds su rilevamento
est»); inoltre nel suo rapporto il Nubian
indicò l’orario dell’avvistamento nell’1.43, ben quindici minuti prima di
quello indicato dallo Jervis (ma
d’altra parte, il Nubian riferì anche
di aver aperto il fuoco alle 2.10, dieci minuti prima degli altri
cacciatorpediniere). Il Mohawk, nel
suo rapporto, indicò addirittura nell’1.30 l’orario in cui avvistò i primi
oggetti sospetti a prora sinistra (avvistamento a seguito del quale accostò per
avvicinarvisi ed accelerò a 25 nodi), che riconobbe come cinque navi
convogliate all’1.45 (e nel suo rapporto scrisse che il Jervis aprì il fuoco alle 2.05). Le differenze di orari indicati
tra i rapporti delle diverse navi furono in questo caso particolarmente
vistose.
Comunque sia, le
unità della 14th Destroyer Flotilla, che procedevano in linea di
fila ed avevano accelerato fino a 25 nodi, identificarono correttamente il
convoglio come composto da cinque navi mercantili e tre cacciatorpediniere di
scorta; in quel momento le navi britanniche si trovavano 20° a prora sinistra
del convoglio. Alle due di notte il Jervis,
dopo aver comunicato l’avvistamento alle unità dipendenti, accostò per 140° e
accelerò a 27 nodi.
Il convoglio
procedeva in due gruppi: davanti, l’Aegina
a dritta e l’Arta a sinistra; dietro,
Iserlohn ed Adana seguivano rispettivamente Aegina
ed Arta, mentre il Sabaudia si trovava in mezzo al secondo
gruppo, tra l’Iserlohn e l’Adana.
Il Baleno proteggeva il fianco
esterno, a dritta della colonna destra (Aegina
ed Iserlohn), ed il Lampo faceva lo stesso sul lato opposto
(colonna sinistra: Arta ed Adana); il Tarigo procedeva invece in testa alla formazione, leggermente
avanzato rispetto ad Arta ed Aegina. La velocità del convoglio, in
quel momento, era di soli sei nodi; le navi si trovavano nei pressi della boa
numero 3 delle Kerkennah.
Approfittando del fatto
che le navi dell’Asse non si erano ancora accorte della loro presenza, i cacciatorpediniere
di Mack non attaccarono subito, ma invece manovrarono per portarsi a nord (cioè
a poppavia) del convoglio, così che questi si venisse a trovare tra loro e la
luna, e le sagome delle navi italiane e tedesche risultassero ben visibili
nella luce lunare, mentre da parte loro non avrebbero potuto vedere, nel buio,
le navi britanniche.
Mentre il convoglio «Tarigo»
proseguiva, ignaro di quanto stava per abbattersi su di esso, i
cacciatorpediniere di Mack eseguirono alla perfezione la manovra ordinata: si
portarono a nord del convoglio, si dispiegarono in modo da poter meglio
attaccare, brandeggiarono i tubi lanciasiluri (alle 2.02 Mack ordinò di
brandeggiarli verso dritta, ed alle 2.05 di brandeggiarli verso sinistra),
ridussero le distanze ed accostarono per 210° (alle 2.03; alle 2.11 il Jervis accostò di nuovo, per 170°, alle
2.13 per 160°, alle 2.14 per 150°, alle 2.18 per 140°), in modo che i piroscafi
si stagliassero contro la luna, mentre loro restavano nella parte oscura
dell’orizzonte. Alle 2.20 il Jervis,
con rotta sudest, si trovava a soli 2200 metri a poppavia dritta del Baleno: fu a quel punto, quanto tutto
era pronto, che Mack diede ordine di aprire il fuoco contro le navi in coda al
convoglio.
Il Jervis aprì il fuoco alle 2.20, da 2000
metri, sparando contro un cacciatorpediniere che aveva su rilevamento 100°: il Baleno. Alle 2.22 quest’ultimo venne
colpito sia da salve da 120 mm che dalle mitragliere pesanti "pom-pom"
da 40 mm, e rispose al fuoco con raffiche di mitragliera Breda e altre salve da
120. Dopo tre minuti, il Jervis
spostò il tiro su un mercantile. In breve si scatenò una mischia confusa, in
cui le navi si scambiarono fuoco di cannoni e mitragliere di ogni calibro da
distanze che variavano da più di 1800 metri a meno di 50.
Il Janus aprì il fuoco alle 2.22, da 2000
metri (distanza misurata dal radar, che poco dopo divenne inutile perché i
bersagli divennero troppo numerosi e pertanto confusi), anch’esso contro il Baleno, centrandolo fino dalla prima
salva; subito dopo spostò il tiro sul mercantile di coda, poi su un altro
ancora, incendiandoli entrambi, dopo di che lanciò un siluro contro il Baleno, mancandolo.
Colta completamente
di sorpresa, la scorta italiana tentò di reagire, ma fu subito ridotta a mal
partito: i colpi giunsero a bordo prima ancora che si potesse aumentare la
velocità e mandare la guardia franca (la metà dell’equipaggio che era in turno
di riposo) ai posti di combattimento.
Il Lampo fu il primo cacciatorpediniere ad
essere colpito; poté sparare solo tre salve, prima che i colpi britannici
distruggessero entrambi i complessi binati da 120 mm. Il lancio dei siluri non
ebbe successo; centrato in più punti e ridotto ad un relitto galleggiante, il Lampo fu sospinto dalla corrente sulle
secche di Kerkennah, ove si adagiò. Dei 205 uomini del suo equipaggio, 141
erano rimasti uccisi.
Sul Baleno, il comandante Arnaud ordinò di
manovrare per ingaggiare le unità avversarie e di emettere fumo, ma quest’ordine
era appena stato dato, quando giunsero a bordo i primi colpi. Mentre la salva
iniziale Jervis lo mancò, il Janus fece centro al primo colpo: la
prima salva britannica colpì il Baleno
in plancia, uccidendo o ferendo a morte il comandante Arnaud e tutti gli
ufficiali ivi presenti, tranne un sottotenente di vascello (altra fonte
attribuisce questa prima e devastante salva al Nubian). Arnaud ebbe ancora la forza di impartire ordini per
reagire all’attacco, ma spirò poco dopo al suo posto di comando.
Alla memoria del
comandante Arnaud, nato a Torino il 14 maggio 1906, sarebbe stata conferita la
Medaglia d’Argento al Valor Militare, con motivazione: "Ufficiale superiore di alto valore,
comandante di unità in servizio di scorta a un importante convoglio, assalito
di notte da cinque unità nemiche, accettava l’impari lotta e con pronta
decisione ed audace fermezza si
lanciava all'attacco delle soverchianti forze
nemiche. Colpito a morte al posto di comando, lacerato e torturato nella carne,
ma non piegato nell’anima dritta e forte, impartiva ancora ordini per il combattimento,
mentre intorno a lui tutto era in fiamme e rovina. L’ufficiale che gli stava
vicino, insieme al suo ultimo respiro raccoglieva le sue ultime parole: «Viva
l’Italia». Così in morte come in vita egli era magnifico esempio delle più alte
virtù militari e delle più belle tradizioni della gente di mare".
Nel frattempo, anche
il Jervis aveva aggiustato il tiro; mentre
il Baleno accostava ed aumentava la
velocità per cercare di entrare nella mischia, altre cannonate ne devastarono
gli organi di governo, la sala macchine ed i locali caldaie. L’armamento fu
messo fuori uso e la nave rimase immobilizzata, mentre scoppiavano a bordo
violenti incendi. Secondo una fonte britannica, la violenza e la confusione
della fase iniziale del combattimento avrebbe indotto l’equipaggio del Baleno a ritenere che la nave si
trovasse sotto attacco aereo, ma questa notizia non sembra trovare altre
conferme.
Ridotto in cinque
minuti ad un relitto galleggiante, in fiamme da prora a poppa (già alle 2.27 il
Jervis lo giudicava «in stato di
affondamento»), il Baleno fu
crivellato ancora di colpi di cannone e raffiche di mitragliera; la corrente lo
fece scarrocciare verso le secche di Kerkennah, dove riuscì ad ancorarsi su
fondali di dodici metri.
La scena a bordo del Baleno era apocalittica: “Una vera
carneficina. Pezzi di corpi da tutte le parti della nave, da non
descrivere…”, come ricordò anni dopo il sottocapo infermiere Alberto Boaretto.
Sanguinante dalle orecchie e dal naso per l’effetto delle onde d’urto dei
proiettili che avevano colpito la nave, Boaretto non aveva più materiale medico
da usare: per disinfettare le ferite dei compagni, dovette usare i liquori –
cognac, whisky e grappa – trovati in quadrato ufficiali.
Il capitano di corvetta Giuseppe Arnaud (Torino, 1906-Canale di Sicilia, 1941), ultimo comandante del Baleno (da www.segretidellastoria.wordpress.com) |
Intanto, la tragedia
del convoglio si era consumata. I mercantili, armati solo con delle
mitragliere, erano solo bersagli; il Sabaudia,
che procedeva in coda al convoglio, fu tra i primi ad essere centrati e prese
fuoco, per poi esplodere alle 2.50. Adana
ed Aegina, anch’essi colpiti quasi
subito, vennero rapidamente avvolti dalle fiamme (le loro stive erano piene di
veicoli e benzina in fusti); l’Iserlohn
riuscì invece a mettere la poppa sul nemico, ma ciò servì soltanto a rimandare
la sua fine. L’Arta cercò di
approfittare della poca distanza di uno dei cacciatorpediniere britannici per
speronarlo (furono due le navi nemiche che riferirono di un episodio simile: il
Jervis, che alle 2.27 evitò di
stretta misura un tentativo di speronamento da parte di un mercantile di 3000
tsl; il Mohawk, che alle 2.30 evitò
un tentativo di speronamento da parte di un mercantile che appariva ancora
relativamente intatto), ma l’immediata contromanovra di quest’ultimo evitò la
collisione. Nella confusione generale, l’Arta
rischiò anche di speronare il Baleno,
evitandolo di stretta misura.
Le navi britanniche
sparavano con tale intensità che i bossoli dei proiettili, ammucchiandosi
accanto ai cannoni, intralciavano il loro utilizzo.
Il Tarigo, trovandosi in testa al convoglio
(cioè dalla parte opposta a quella investita per prima dal fuoco nemico), scampò
alla mattanza iniziale, ed ebbe qualche minuto a disposizione per organizzare
una reazione. Andò valorosamente al contrattacco, ma ormai era solo contro
quattro cacciatorpediniere nemici: fu crivellato di colpi di cannone e
mitragliera, che ne misero fuori uso l’apparato motore e gran parte
dell’armamento, scatenarono incendi e allagamenti, e provocarono gravi perdite
tra l’equipaggio. Ormai in procinto di affondare, il Tarigo fece ancora in tempo a lanciare tre siluri: due di essi
colpirono il Mohawk, che si rovesciò
e affondò in pochi minuti. Poco dopo, alle 3.20, anche il relitto devastato del
Tarigo s’inabissò per sempre,
portando con sé 202 dei 236 uomini del suo equipaggio.
Dopo aver incendiato
ed affondato anche l’Iserlohn e
colpito pure l’Arta, che andò poi ad
incagliarsi sulle secche (così fece anche l’Adana,
che però affondò qualche ora dopo, mentre l’Aegina
era già colata a picco), Jervis e Nubian recuperarono i naufraghi del Mohawk; alle 4.03 i tre
cacciatorpediniere britannici assunsero rotta 080° e velocità 20 nodi (poi 29
dalle 4.18) per il rientro a Malta, senza soffermarsi a finire le navi
incendiate ma ancora galleggianti od incagliate (erano quattro: Baleno, Lampo, Arta ed Adana), né a recuperarne i naufraghi.
La lunga agonia del Baleno, ancora galleggiante ma con diversi
squarci nell’opera viva, si protrasse per tutta la notte, la giornata del 16
aprile e la notte successiva, mentre l’equipaggio lottava inutilmente per
spegnere gli incendi e mantenere la nave a galla. Solo al tramonto del 17
aprile, infine, il cacciatorpediniere si capovolse ed affondò a tre miglia per
240° dalla boa numero 4 delle Kerkennah (per altra fonte, un miglio a ponente
di tale boa).
Il sottocapo
infermiere Boaretto fu tra gli ultimi ad abbandonare la nave, raggiungendo poi
una boa insieme ad altri compagni: sarebbero rimasti aggrappati alla boa per
due giorni e due notti, senza cibo né acqua, non visti, nonostante i loro richiami
e le loro segnalazioni, dalle unità soccorritrici, troppo lontane per vederli.
Alcuni dei naufraghi avrebbero finito col lasciare la boa, scomparendo tra le
onde.
Il
relitto devastato del Baleno
incagliato sulle secche di Kerkennah all’indomani dello scontro, prima di
affondare definitivamente (da www.danieleranocchia.it
e www.amicisanmartino.it)
Non appena Marilibia ebbe
notizia del disastro, venne ordinato l’invio sul posto di idrovolanti ed aerei
da trasporto, perché prestassero i primi soccorsi; furono inoltre fatti
partire, o dirottati in zona, i cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi (capitano di vascello Giovanni Galati, cui fu
assegnato il comando superiore delle operazioni di soccorso), Antonio Da Noli, Lanzerotto Malocello
e Dardo, le torpediniere Giuseppe Sirtori, Perseo, Partenope, Centauro e Clio e la nave soccorso Giuseppe
Orlando. Parteciparono al salvataggio dei naufraghi anche i piroscafi Capacitas ed Antonietta Lauro e la nave ospedale Arno, che erano in navigazione al largo di Sfax, nonché i
rimorchiatori Ciclope, Trieste, Montecristo, Pronta e Salvatore Primo. La Orlando recuperò 326 sopravvissuti e due salme, il Vivaldi 258 naufraghi e quattro corpi,
il Capacitas recuperò 148 superstiti
(tra cui 15 feriti; due erano del Baleno,
25 del Tarigo, 10 del Sabaudia, due italiani imbarcati sull’Aegina, un italiano imbarcato sull’Iserlohn e 103 tedeschi dell’Adana, dell’Aegina e dell’Iserlohn) e
due salme, li sbarcò a Susa e si mise in cerca di altri naufraghi.
Il sottocapo
infermiere Alberto Boaretto ed i suoi compagni, aggrappati alla boa, vennero
infine tratti in salvo dalla nave soccorso Giuseppe
Orlando. A bordo, Boaretto incontrò un commilitone che aveva prestato
servizio con lui all’ospedale militare di Sant’Anna, a Venezia. Dato che la Orlando aveva a bordo soltanto un medico
ed un infermiere (il suo amico dell’ospedale Sant’Anna), Boaretto, nonostante
le sue precarie condizioni, si mise a disposizione del medico di bordo per
curare i molti feriti. Indebolito dai due giorni trascorsi senza mangiare né
bere, svenne più volte mentre si prodigava per i feriti, ma ogni volta riprese
la sua opera di soccorso.
Boaretto avrebbe
ricevuto per questo una Croce di Guerra al Valor Militare, con motivazione:
"Naufrago di una silurante affondata dopo asprissimo combattimento contro
preponderanti forze navali nemiche, prestava con spontanea assiduità e costante
zelo a bordo del piroscafo sul quale era stato raccolto, la sua valida cooperazione
ad un ufficiale medico nell’opera di soccorso ai feriti".
Le ricerche si
conclusero il 18 aprile, quando i naufraghi vennero sbarcati a Tripoli. In
tutto vennero tratti in salvo 1248 o 1271 sopravvissuti, mentre le vittime
furono circa 700. (Questo è ciò che risulta dai documenti rintracciati negli
archivi dallo storico e ricercatore Platon Alexiades: la storia ufficiale
dell’USMM, invece, parla di 1248 persone salvate su 3000 imbarcate sulle navi
affondate).
Dei 210 uomini che
componevano l’equipaggio del Baleno, si erano salvati in 146, mentre i morti furono 69: persero la vita nel combattimento od in mare il comandante Arnaud, altri quattro ufficiali, undici sottufficiali e 53 tra sottocapi e marinai.
Solo tre ufficiali
erano sopravvissuti, tutti di macchina: il tenente del Genio Navale Direzione
Macchine Edoardo Repetto di Borgonovo, direttore di macchina, ed i sottotenenti
del Genio Navale Direzione Macchine Francesco Galeano e Santo Vasta.
Il capitano G.N.
Edoardo Repetto, genovese, ricevette una Medaglia di Bronzo al Valor Militare,
con motivazione: "Imbarcato su silurante in servizio di scorta ad importante
convoglio, partecipava con sereno coraggio e spirito combattivo a violentissimo
scontro con preponderanti forze navali avversarie. Ferito gravemente agli arti
inferiori, con mirabile forza d’animo, proseguiva nel dare disposizioni ai
dipendenti al fine di evitare la perdita dell’unità, dimostrando alte virtù
militari ed elevato senso del dovere".
Ai sottufficiali,
sottocapi e marinai sopravvissuti all’affondamento del Baleno venne conferita la Croce di Guerra al Valor Militare, con
motivazione per ognuno: "Imbarcato su silurante in servizio di scorta ad
un importante convoglio, attaccato da soverchianti forze navali nemiche,
partecipava con ardimento all’impari lotta, prodigandosi successivamente per un
giorno e due notti nello spegnimento degli incendi, nel soccorso dei feriti e
nei tentativi di assicurare la galleggiabilità della nave".
I caduti:
Giuseppe Arnaud, capitano di corvetta
(comandante), deceduto
Michele Barca, marinaio cannoniere, disperso
Liborio Belluomo, secondo capo
radiotelegrafista, disperso
Damiano Binda, marinaio fuochista, disperso
Silvio Bonanno, secondo capo segnalatore,
deceduto
Giuseppe Bortoletto, capo meccanico di terza
classe, disperso
Renato Campodonico, marinaio, disperso
Pietro Capone, sottocapo S.D.T., deceduto
Salvatore Carrubba, marinaio motorista,
disperso
Domenico Castellano, marinaio fuochista,
deceduto
Ettore Castiglioni, marinaio fuochista,
disperso
Nicola Castrignano, marinaio segnalatore,
disperso
Pasquale Cecere, sottocapo cannoniere,
disperso
Giovanni Cesaratto, marinaio silurista,
disperso
Severino Chiroli, sottocapo nocchiere, disperso
Severino Chiroli, sottocapo nocchiere, disperso
Vittorio Cigagna, marinaio cannoniere,
deceduto
Filippo Ciravegna, tenente di vascello,
disperso
Mario Claravezza, marinaio silurista, deceduto
Francesco Colaci, capo meccanico di seconda
classe, disperso
Domenico Colombini, marinaio, disperso
Eugenio De Bernardi, marinaio
radiotelegrafista, disperso
Angelo Dini, marinaio cannoniere, disperso
Graziano Donnini, marinaio, disperso
Mariano Englen, marinaio silurista, disperso
Silvio Fois, marinaio, disperso
Francesco Foresti, aspirante guardiamarina,
deceduto
Cesare Fornato, marinaio motorista, deceduto
Mario Franco, sottocapo nocchiere, deceduto
Pancrazio Funiati, sottocapo cannoniere,
disperso
Gennaro Gentile, marinaio, deceduto
Pietro Grach, marinaio meccanico, disperso
Vincenzo Grandillo, marinaio cannoniere,
disperso
Pietro Grosso Girardo, marinaio meccanico,
disperso
Paolo Iacovazzi, marinaio fuochista, disperso
Natale Inferrera, marinaio fuochista, disperso
Vito Limitone, marinaio fuochista, disperso
Onofrio Lo Giudice, marinaio fuochista,
disperso
Tito Magnani, sergente S.D.T., disperso
Cosimo Marzulli, marinaio fuochista, disperso
Ferdinando Mayer, sottocapo radiotelegrafista,
disperso
Giuseppe Mennuni, marinaio fuochista, disperso
Giovanni Miraglio, secondo capo cannoniere,
disperso
Vincenzo Monaco, sottocapo radiotelegrafista,
deceduto
Francesco Moscatelli, sottocapo meccanico,
disperso
Paolo Motto, marinaio, disperso
Pasquale Mucci, capo silurista di seconda
classe, disperso
Bruno Nardini, marinaio fuochista, disperso
Domenico Natoli, sottotenente di vascello,
deceduto
Vittorio Nava, marinaio nocchiere, disperso
Giuseppe Palana, secondo capo S.D.T., disperso
Bruno Palmaroli, marinaio meccanico, deceduto
Matteo Pappadopoli, marinaio, disperso
Ippazio Pignataro, marinaio, disperso
Antonio Pirrello, sottocapo meccanico,
disperso
Enrico Podio, tenente di vascello, deceduto
Ettore Rais, sottocapo meccanico, deceduto
Antonio Recchia, marinaio cannoniere, disperso
Peppino Ribuoli, sottocapo radiotelegrafista,
disperso
Giovanni Rizzi, capo meccanico di prima
classe, disperso
Armando Sbardella, sottocapo silurista,
disperso
Angelo Serventi, sottocapo fuochista, disperso
Nunzio Soraci, marinaio S.D.T., disperso
Giuseppe Tabernacolo, sottocapo S.D.T.,
disperso
Luigi Tadini, marinaio cannoniere, deceduto
Francesco Tarquini, sottocapo furiere,
disperso
Giuseppe Tenerelli, marinaio fuochista,
disperso
Lino Vidach, capo nocchiere di seconda classe,
disperso [incerto: per altra fonte, non imbarcato sul Baleno,
e disperso il 22/2/1941]
Ettore Vidali, marinaio silurista, disperso
Gustavo Zampini, secondo capo cannoniere,
disperso
Pietro Zito, marinaio, disperso
Il relitto del Baleno, affondato in acque poco
profonde, non poté riposare a lungo: già poco tempo dopo il suo affondamento,
il Servizio informazioni della Regia Marina, per mezzo del gruppo di subacquei
del comandante Nino Buttazzoni, provvide a collocare nel relitto un cifrario
fasullo realizzato allo scopo di sviare gli sforzi dei decrittatori britannici:
l’intento era di far “filtrare” notizia della sua presenza ad elementi del
controspionaggio britannico, così che esso venisse recuperato e, ritenuto
autentico, facesse perdere tempo e sforzi inutilmente agli uomini
dell’organizzazione “ULTRA”. Non è molto chiaro se questo espediente sia
riuscito o meno.
Il relitto del Baleno venne nuovamente localizzato nel
1950-1951 dalla ditta "MICOPERI" (Mini Contivecchio Recuperi: tra i
cui fondatori, ironia della sorte, era proprio Nino Buttazzoni) e in gran parte
distrutto, allo scopo di recuperarne i metalli pregiati. Fecero la stessa fine
quasi tutte le navi affondate alle Kerkennah nello scontro di dieci anni
prima.
GRAZIE
RispondiEliminaBsera. Il CC Giuseppe Arnaud era nato a Torino il 14 maggio 1906 e nel 1938 aveva gia' comandato la tropediniera Sagittario.
RispondiEliminaBgiorno Lorenzo. Il ct Baleno fu al cmando del CC Giuseppe De Angioy (nato a Sassari l'11 febbraio 1900) dal 26 dicembre 1936 al 26 maggio 1937. Grazie.
RispondiEliminaGrazie, aggiungo.
EliminaGrazie
RispondiEliminaGrazie perché ho finalmente trovato una indicazione certa sulla morte di LIBORIO Belluomo zio di mia moglie. Era telegrafista sulla nave Baleno.
RispondiElimina