Il Vincenzo Gioberti (da www.naviearmatori.net,
utente Anton Shitarev)
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Cacciatorpediniere
della classe Oriani, nota anche come classe Poeti (dislocamento standard 1750
tonnellate, 2130 in carico normale, 2320 a pieno carico).
Durante il secondo
conflitto mondiale effettuò 216 missioni di guerra (12 di ricerca del nemico
con le forze navali, 60 di scorta convogli, 31 di trasporto, 23 di
addestramento, tre di bombardamento controcosta, una di posa di mine, una di
caccia antisommergibili, 85 di altro tipo), percorrendo in tutto 74.071 miglia nautiche
e trascorrendo 4556 ore in mare e 197 giorni ai lavori.
Breve e parziale cronologia.
2 gennaio 1936
Impostazione nei
cantieri Odero Terni Orlando di Livorno.
19 settembre 1936
Varo nei cantieri
Odero Terni Orlando di Livorno.
27 ottobre 1937
Entrata in servizio.
Suo primo comandante è il capitano di fregata Corso Pecori Giraldi, assegnato
al suo allestimento dal 19 settembre 1937.
Genova, 1938: il Gioberti (in seconda posizione)
ormeggiato insieme alle torpediniere Lira
(in primo piano), Circe, Clio e Calliope ed al transatlantico Rex
(g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net)
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1937-1938
Partecipa alle
operazioni connesse alla guerra civile spagnola, al comando di Pecori Giraldi.
5 maggio 1938
Partecipa alla
rivista navale «H» tenuta nel Golfo di Napoli per la visita in Italia di Adolf
Hitler.
Il Gioberti nel 1938 (Coll. E. Bagnasco, via M. Brescia e www.associazione-venus.it)
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1939
Prende parte alla
crociera della I Squadra Navale (della quale fa parte insieme alle unità
gemelle Alfieri, Oriani e Carducci, colle
quali forma la IX Squadriglia Cacciatorpediniere) in Portogallo e Spagna ed a
Tangeri.
6-7 aprile 1939
Partecipa alle
operazioni di occupazione dell’Albania (Operazione "Oltre Mare Tirana",
OMT), assegnata al II Gruppo Navale, quello principale, incaricato dello sbarco
a Durazzo: oltre al Gioberti, lo
compongono i gemelli Alfieri, Oriani e Carducci, gli incrociatori pesanti Zara, Pola, Fiume e Gorizia, le torpediniere Lupo,
Lince, Libra e Lira, la nave
appoggio idrovolanti Giuseppe Miraglia
– carica di carri armati –, la nave officina Quarnaro, le cisterne militari Tirso
ed Adige ed i mercantili requisiti Adriatico, Argentario, Barletta, Palatino, Toscana e Valsavoia.
Il II Gruppo
(ammiraglio di divisione Ettore Sportiello; truppe da sbarco al comando del
generale Alfredo Guzzoni) deve sbarcare il grosso delle forze, incaricate di
conquistare Tirana.
Le navi da guerra
giungono a Durazzo già nel pomeriggio del 6 aprile (e la torpediniera Lupo, prima di ricongiungersi alle altre
unità, raggiunge il molo per recuperare il personale militare e diplomatico
italiano), mentre quelle mercantili ed ausiliarie (ossia le navi con le truppe
ed i materiali da sbarcare) solo alle 4.50 del 7, con mezz’ora di ritardo a
causa della nebbia incontrata. Alle 5.25 ha inizio lo sbarco, che procede pur
con qualche inconveniente (ordini di precedenza non rispettati per il ritardo
di alcuni trasporti, impossibilità per alcuni di essi di entrare in porto a
causa dell’eccessivo pescaggio).
Le prime truppe a
prendere terra sono i distaccamenti da spiaggia e le compagnie da sbarco delle
navi da guerra: a dispetto della calma apparente (la città è illuminata), non
appena i militari italiani scendono sui moli divengono il bersaglio di violento
tiro di fucili e mitragliatrici appostate tra i vicini edifici portuali.
La difesa albanese è
comandata dal maggiore Abaz Kupi della gendarmeria e dal suo parigrado Alibali
dell’esercito albanese; a contrastare lo sbarco vi sono un battaglione di
guardia di frontiera, un battaglione dell’esercito albanese, un plotone di fanteria
di Marina, una compagnia del Genio, una batteria da montagna (con due cannoni
da 75/13 mm) e numerosi volontari, armati di fucili oltre a tre mitragliatrici
Schwarzlose ed appoggiati dalla batteria costiera "Prandaj" (dotata
di quattro cannoni Skoda da 75/27 mm, al comando del maggiore Gaqe Jorgo).
Quest’ultima apre il fuoco sulle navi italiane, colpendo, secondo alcune fonti,
la catapulta dell’idrovolante del Fiume;
anche la Lupo viene colpita dal tiro
proveniente da terra, senza riportare danni di rilievo ma subendo perdite tra
l’equipaggio.
La forza attaccante, al comando del generale Giovanni Messe, consiste in due
battaglioni del 3° Reggimento Granatieri di Sardegna, un battaglione del 47°
Reggimento Fanteria, cinque battaglioni di Bersaglieri (due del 2° Reggimento
Bersaglieri, uno del 3°, uno del 7° ed uno dell’11°), due battaglioni di carri
leggeri L3/35, una batteria d’artiglieria da 65/17 mm ed una batteria
contraerei da 20/65 mm.
Gli scontri a Durazzo
sono piuttosto accesi e si protraggono per alcune ore, con perdite da entrambe
le parti ed anche combattimenti corpo a corpo; l’intervento delle artiglierie
delle navi, ordinato dal capitano di vascello Carlo Daviso di Charvensod,
risolve la situazione in favore delle truppe italiane, che conquistano la città
entro le nove del mattino (grazie anche allo sbarco dei carri armati ed alle
incursioni dei bombardieri IMAM Ro. 37).
Quella vista a
Durazzo è stata la più intensa resistenza opposta dalle truppe albanesi allo
sbarco italiano. Contrastanti i dati sulle perdite: secondo le fonti italiane
dell’epoca, vi sarebbero stati 25 morti e 97 feriti da parte italiana, e 160
morti e diverse centinaia di feriti da parte albanese; da parte albanese si
parla di circa 400 italiani uccisi. Probabilmente entrambe le stime sono
alterate; quella italiana al ribasso, quella albanese al rialzo.
Il Gioberti negli anni Trenta (U. S. Naval History and Heritage
Command).
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1939-1940
Subisce lavori di
modifica con cui le quattro mitragliere contraeree binate da 13,2/76 mm vengono
sostituite da otto più efficienti Breda singole da 20/65 mm mod. 1939-1940.
10 giugno 1940
All’entrata
dell’Italia nella seconda guerra mondiale, il Vincenzo Gioberti fa parte della IX Squadriglia Cacciatorpediniere,
che forma insieme ai gemelli Vittorio
Alfieri (caposquadriglia), Alfredo
Oriani e Giosuè Carducci. La IX Squadriglia
è assegnata alla I Divisione incrociatori (I Squadra Navale).
12 giugno 1940
Il Gioberti, con il resto della IX
Squadriglia, la XVI Squadriglia (Nicoloso
Da Recco, Emanuele Pessagno ed Antoniotto Usodimare) e la I
(incrociatori pesanti Zara, Fiume e Gorizia) e VIII Divisione Navale (incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe
Garibaldi), salpa da Taranto alle 00.20 in appoggio alla formazione navale
(incrociatore pesante Pola, III
Divisione Navale, XI e XII Squadriglia Cacciatorpediniere) uscita da Messina
per intercettare due incrociatori britannici (il Caledon ed il Calypso)
avvistati da dei ricognitori a sud di Creta, diretti verso ovest (gran parte
della Mediterranean Fleet, al pari di una squadra navale francese, è infatti
uscita in mare a caccia, infruttuosa, di naviglio italiano). Alle 9, dato che
nuovi voli di ricognizione non sono più riusciti a trovare le navi nemiche,
tutte le unità italiane ricevono ordine di tornare in porto. Durante la
navigazione di ritorno nel Mar Ionio si verificano ben cinque infruttuosi
attacchi subacquei contro gli incrociatori della I e della VIII Divisione: i
cacciatorpediniere della scorta contrattaccano e ritengono di aver danneggiato
od affondato i sommergibili attaccanti, ma si sbagliano.
22-24 giugno 1940
La IX Squadriglia
prende il mare insieme alle Squadriglie Cacciatorpediniere X e XII, alle
Divisioni incrociatori I, II e III ed all’incrociatore pesante Pola (tutta la II Squadra Navale, più la
I Divisione) per fornire copertura alla VII Divisione ed alla XIII Squadriglia
Cacciatorpediniere, inviate a compiere un’incursione contro il traffico
mercantile francese nel Mediterraneo occidentale. Le forze della II Squadra,
partite da Messina (Pola e III
Divisione), Augusta (I Divisione, lì giunta da Taranto la notte tra il 21 ed il
22) e Palermo (II Divisione) il 22 giugno, si riuniscono al tramonto dello
stesso giorno a nord di Palermo. L’operazione non porta comunque ad incontrare
alcuna nave nemica.
2-4 luglio 1940
Il Gioberti, i tre gemelli, la I Divisione
(Zara, Fiume e Gorizia), la II
Divisione (incrociatori leggeri Giovanni
delle Bande Nere e Bartolomeo
Colleoni) e la X Squadriglia Cacciatorpediniere (Maestrale, Grecale, Libeccio e Scirocco) forniscono scorta indiretta ai trasporti truppe Esperia e Victoria, di ritorno vuoti da Tripoli (da dove salpano alle 13 del
2) a Napoli (dove giungono indenni alle 23 del 4) con la scorta diretta delle
torpediniere Procione, Orsa, Orione e Pegaso.
7-11 luglio 1940
Il Gioberti ed il resto della IX
Squadriglia prendono il mare insieme al resto della II Squadra Navale
(incrociatore pesante Pola, I, III e
VII Divisione incrociatori con nove unità in tutto e XI, XII e XIII Squadriglia
Cacciatorpediniere) per scortare a distanza un convoglio diretto in Libia
(motonavi da carico Marco Foscarini, Francesco Barbaro e Vettor Pisani, motonavi passeggeri Esperia e Calitea, con la
scorta diretta dei due incrociatori leggeri della II Divisione, dei quattro
cacciatorpediniere della X Squadriglia, delle quattro torpediniere della IV
Squadriglia e delle vecchie torpediniere Rosolino
Pilo e Giuseppe Missori). La I
Squadra Navale (V Divisione con le corazzate Giulio Cesare e Conte di
Cavour, IV e VIII Divisione con sei incrociatori leggeri, VII, VIII, XV e
XVI Squadriglia Cacciatorpediniere con 13 unità) esce anch’essa in mare a
sostegno dell’operazione. Le unità della I e della II Squadra salpano tra le
12.30 e le 18 del 7 luglio da Augusta (Pola,
I e II Divisione), Messina (III Divisione), Palermo (VII Divisione) e Taranto
(IV, V e VIII Divisione).
La II Squadra si pone
35 miglia ad est del convoglio, tranne la VII Divisione con la XIII
Squadriglia, che viene invece posizionata 45 miglia ad ovest.
L’operazione va a
buon fine, ma alle 15.20 dell’8 luglio, a seguito dell’avvistamento di una
formazione britannica – anche la Mediterranean Fleet, infatti, è in mare a
protezione di convogli – la I e la II Squadra Navale dirigono per intercettare
le navi nemiche (che si teme dirette a bombardare Bengasi), con l’intento di impegnarle
in combattimento almeno un’ora prima del tramonto.
Alle 19.20, però, in
seguito ad ordini di Supermarina (il comando della Regia Marina, che, a
differenza dell’ammiraglio Campioni – comandante superiore in mare – ha avuto
modo di apprendere, tramite la crittografia, la reale consistenza e finalità
dei movimenti britannici) la flotta italiana accosta per 330° per rientrare
alle basi, con l’ordine di non impegnare il nemico. Durante l’accostata le navi
vengono attaccate da alcuni velivoli con una dozzina di bombe, rispondendo con
intenso tiro contraereo. La navigazione notturna di rientro si svolge senza
grossi inconvenienti, salvo due fallimentari attacchi siluranti contro la III
Divisione; la II Squadra (eccetto la VII Divisione, che è ancora separata da
essa) accosta verso nord all’1.23.
Già dalle 22 dell’8,
però, sono arrivati nuovi ordini: Supermarina teme che la Mediterranean Fleet
intenda lanciare un attacco aeronavale contro le coste italiane, perciò ordina
alle forze in mare di riunirsi nel punto 37°40’ N e 17°20’ E, 65 miglia a
sudest di Punta Stilo, entro le 14 del 9 luglio. Alle 6.40 del 9 luglio la III
Divisione si ricongiunge con Pola e I
Divisione, alle 8 viene avvistato un idroricognitore Short Sunderland che
pedina la flotta italiana (la caccia italiana, chiamata ad intervenire, non
verrà però inviata ad attaccarlo).
Nella tarda mattinata
del 9, dato che tre cacciatorpediniere (due dei quali della VII Squadriglia,
che è stata così dimezzata) sono dovuti rientrare per avarie e che alcune squadriglie
inviate a rifornirsi (VIII e XV) non sono ancora tornate, la IX Squadriglia,
facente parte della II Squadra, viene distaccata ed assegnata alla VIII
Divisione.
La IX Squadriglia
Cacciatorpediniere, insieme alla XIV Squadriglia (giunta da Taranto nel primo
pomeriggio del 9) ed alla IV e VIII Divisione incrociatori, va così a formare
la colonna sinistra dello schieramento italiano, posta ad est della V Divisione
costituita dalle corazzate Giulio Cesare
e Conte di Cavour.
Alle 14.05 ha inizio
l’avvicinamento alla flotta britannica: alle 15.15 gli incrociatori aprirono il
fuoco, seguiti alle 15.23 anche dalle corazzate. La VIII Divisione, appena
avvistato il nemico, accosta per 70° ed incrementa rapidamente la velocità a 30
nodi, per poi aprire il fuoco alle 15.20 (da 20.000 metri, con rotta 10°,
contro la 7th Cruiser Division britannica). Già dalle 15.16 (15.26
per una fonte britannica), però, la IX Squadriglia è divenuta il bersaglio del
tiro dell’incrociatore leggero britannico Orion:
alle 15.08 gli incrociatori britannici della 7th Division, subito dopo aver
avvistato la IX Squadriglia, mettono la prua verso di essa, riducono le
distanze sino a 18.000 metri e poi accostano a dritta per poter puntare il
maggior numero possibile di cannoni contro la VIII Divisione e la IX
Squadriglia. Gli incrociatori britannici aprono poi il fuoco con i loro pezzi
da 152, mentre i cacciatorpediniere della IX Squadriglia (che comunicano
l’avvistamento alle 15.16) non possono rispondere al fuoco con i loro cannoni
da 120, non essendo la distanza abbastanza ridotta per la loro gittata. Alle
15.19 vengono avvistate dall’Alfieri
fumo e sagome di altre navi maggiori non identificabili. Essendo vincolata dai
suoi compiti informativi, e comunque appoggiata dalla VIII Divisione, la IX
Squadriglia non contromanovra per allontanarsi fino a quando, calata la
distanza a 16.000 metri, non viene ricevuto l’ordine del comandante della VIII
Divisione di raggiungere il posto assegnato nel dispositivo di combattimento.
La IX Squadriglia accosta perciò in fuori e si posiziona come da ordini.
Incrociatori e
corazzate cessano poi il fuoco rispettivamente alle 15.31 ed alle 15.35, per
poi riprenderlo dalle 15.48 alle 16.04 (corazzate) e dalle 15.56 alle 16.15
(incrociatori). In questo frangente, dalle 15.23, la IV e la VIII Divisione
vengono inquadrate da dieci salve da 381 mm sparate dalle corazzate britanniche
Warspite e Malaya, che cadono molto vicine, costringendo alle 15.33 le due
divisioni a portarsi fuori tiro accostando a sinistra (la VIII passa, con
questa manovra, tra la I e la II Squadra, per poi assumere rotta verso nord).
Durante questa fase, in cui gli opposti schieramenti si scambiano cannonate da
grande distanza senza costrutto, la IX Squadriglia non ha parte rilevante. Alle
15.59, però, la Cesare, la nave
ammiraglia, viene danneggiata da un proiettile da 381 mm, dovendo ridurre la
velocità. A seguito di questo evento l’ammiraglio Inigo Campioni, comandante
superiore in mare delle forze italiane, decide di rompere il contatto per
rientrare alle basi, ed alle 16.05 dirama l’ordine generale per le squadriglie
di cacciatorpediniere di attaccare con il siluro le navi della Mediterranean
Fleet, in modo da facilitare lo sganciamento delle navi maggiori.
Già alle 15.45, prima
ancora di ricevere l’ordine, la IX Squadriglia si trova un miglio a
nord-nord-est dell’incrociatore pesante Bolzano
(la nave in testa alla formazione navale), con rotta nord, intenta a manovrare
con rotta dapprima 40° e poi 60° per ridurre le distanze con il nemico a
sufficienza per lanciare. Alle 16 la IX Squadriglia viene presa sotto il tiro
degli incrociatori britannici, aprendo a sua volta il fuoco alle 16.01 ma
cessandolo già alle 16.05; secondo alcune fonti, in questa fase il Gioberti avrebbe arrecato alcuni danni
all’incrociatore leggero britannico Neptune.
Proprio alle 16.05 viene ricevuto l’ordine di attacco, ed un minuto dopo le
unità della IX Squadriglia lanciano cinque siluri da una distanza di 13.500
metri (sono i primi cacciatorpediniere dello schieramento italiano a lanciare i
siluri), con beta 32°, verso gli incrociatori britannici di testa, per poi
ripiegare verso ovest-nord-ovest coprendo la propria ritirata con cortine
nebbiogene. Alle 16.16 le navi britanniche cessano di sparare contro la IX Squadriglia,
che si ricongiunge poi con la VIII Divisione.
Nessuno dei siluri
lanciati va a segno; sono probabilmente proprio dei siluri della IX Squadriglia
le scie che, alle 16.10, vengono viste passare nella formazione della 14th
Destroyer Flotilla britannica, in procinto di contrattaccare. Tra le 16.19 e le
16.30 tre squadriglie di cacciatorpediniere britannici (2th, 10th
e 14th Flotilla) aprono il fuoco contro quelli italiani da
11.250-12.500 metri, appoggiati tra le 16.39 e le 16.41 dal tiro dei pezzi secondari
da 152 mm delle corazzate Warspite e Malaya. Alle 16.49 la “mischia” tra
cacciatorpediniere, svoltasi a grande distanza, ha termine senza che nessuna
unità sia stata colpita.
Terminata la
battaglia, la flotta italiana si avvia alle proprie basi. L’aliquota più
consistente delle unità italiane, compreso il Gioberti, dirige su Augusta: nel pomeriggio del 9 luglio la
corazzata Conte di Cavour, gli
incrociatori pesanti Pola, Zara, Fiume e Gorizia, gli
incrociatori leggeri Alberico Da Barbiano,
Alberto Di Giussano, Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi ed i 36
cacciatorpediniere delle Squadriglie VII, VIII, IX, XI, XIV, XV e XVI fanno il
loro ingresso nella base siciliana. Poco dopo mezzanotte, però, a seguito
dell’intercettazione e decifrazione di messaggi radio britannici che fanno
presagire un imminente attacco di aerosiluranti contro il naviglio ormeggiato
ad Augusta, Supermarina ordina a tutte le navi di lasciare la base: dopo
essersi frettolosamente rifornite, le unità ripartono per le basi di
assegnazione (Napoli e Taranto). La IX Squadriglia, insieme alla Cavour con i quattro incrociatori
pesanti ed alle Squadriglie Cacciatorpediniere VII e VIII partono per prime,
alle 00.55 del 10 luglio, alla volta di Napoli.
Il Gioberti, al centro, tra Carducci
ed Oriani durante la battaglia di
Punta Stilo (da www.marinai.it)
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30 luglio-1° agosto 1940
Il Gioberti fornisce protezione a distanza,
insieme alle tre unità gemelle, agli incrociatori pesanti Pola (nave ammiraglia della II Squadra), Zara, Fiume, Trento e Gorizia (I Divisione), agli incrociatori leggeri Alberico Da Barbiano, Alberto Di Giussano (IV Divisione), Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi, Eugenio
di Savoia, Raimondo Montecuccoli
e Muzio Attendolo (VII Divisione) ed
alla XII, XIII e XV Squadriglia Cacciatorpediniere (undici unità in tutto), a
due convogli diretti in Libia (partiti da Napoli e diretti l’uno a Tripoli e
l’altro a Bengasi) e comprensivi in tutto di dieci trasporti (Maria Eugenia, Gloria Stella, Mauly, Bainsizza, Col di Lana, Francesco Barbaro, Città di Bari, Marco Polo,
Città di Napoli e Città di Palermo), quattro cacciatorpediniere
(Maestrale, Grecale, Libeccio e Scirocco) e dodici torpediniere (Orsa, Procione, Orione, Pegaso, Circe, Climene, Clio, Centauro, Airone, Alcione, Aretusa ed Ariel).
L’operazione è denominata «Trasporto Veloce Lento». Entrambi i convogli
raggiungono senza danni le loro destinazioni tra il 31 luglio ed il 1° agosto.
1° settembre 1940
A seguito della
riorganizzazione delle due Squadre Navali, la IX Squadriglia (Gioberti, Alfieri, Oriani, Carducci) rimane dislocata a Taranto,
assegnata alla I Divisione Navale.
31 agosto-2 settembre 1940
La IX Squadriglia
parte da Taranto alle sei del mattino del 31 agosto insieme alla IX Divisione
(corazzate Littorio, nave di
bandiera dell’ammiraglio di squadra Inigo Campioni, e Vittorio Veneto), alla V Divisione
(corazzate Duilio, Conte di Cavour e Giulio Cesare, quest’ultima aggregatasi
solo il 1° settembre a causa di avarie), alla I Divisione (incrociatori
pesanti Zara, Pola, Fiume e Gorizia),
all’VIII Divisione (incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli
Abruzzi e Giuseppe
Garibaldi) ed ad alle Squadriglie Cacciatorpediniere VII (Freccia, Dardo, Saetta, Strale), VIII (Folgore, Fulmine, Lampo, Baleno), X (Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco),
XIII (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino),
XV (Alvise Da Mosto, Giovanni Da Verrazzano, Antonio Pigafetta, Nicolò Zeno) e XVI (Nicoloso Da Recco, Emanuele Pessagno, Antoniotto Usodimare). Complessivamente
all’alba del 31 prendono il mare da Taranto, Brindisi e Messina 4 corazzate, 13
incrociatori della I, III (Trento, Trieste e Bolzano, da Messina), VII (Eugenio
di Savoia, Raimondo Montecuccoli, Muzio Attendolo, Emanuele Filiberto Duca d’Aosta, da Brindisi) e VIII
Divisione e 39 cacciatorpediniere (oltre a quelli già menzionati, anche Aviere, Artigliere, Geniere e Camicia Nera della XI
Squadriglia, e Lanciere, Carabiniere, Ascari e Corazziere della
XII Squadriglia). Obiettivo, contrastare l’operazione britannica «Hats»
(consistente in varie sotto-operazioni: trasferimento da Gibilterra ad
Alessandria, per rinforzare la Mediterranean Fleet, della corazzata Valiant, della portaerei Illustrious e degli
incrociatori Calcutta e Coventry; invio di un convoglio da
Alessandria a Malta e di uno da Nauplia a Porto Said; bombardamenti su basi
italiane in Sardegna e nell’Egeo): Supermarina ha infatti saputo che sia la
Mediterranean Fleet (da Alessandria) che la Forza H (da Gibilterra) sono uscite
in mare, e si è accordata con la Regia Aeronautica per attaccare la prima con
le forze navali di superficie ed attacchi aerei e la seconda con aerei e
sommergibili.
Le due Squadre Navali
italiane (la I Squadra è composta dalle Divisioni V, VII, VIII e IX e dalle
Squadriglie Cacciatorpediniere VII, VIII, X, XIII, XV e XVI; la II Squadra
dal Pola, dalle Divisioni I e
III e dalle Squadriglie Cacciatorpediniere IX, XI e XII), riunite, dirigono per
lo Ionio orientale con rotta 150°. Le forze navali sono però uscite in mare
troppo tardi, hanno l’ordine di evitare uno scontro notturno ed hanno una
velocità troppo bassa (20 nodi), ed hanno l’ordine di cambiare rotta e
raggiungere il centro del Golfo di Taranto se non riusciranno ad entrare in
contatto con il grosso nemico entro il tramonto. Tutto ciò impedisce alle forze
italiane di intercettare quelle britanniche; alle 16 Supermarina ordina un cambiamento
di rotta, che impedisce alla II Squadra, che si trova in posizione più avanzata
della I, di proseguire verso le forze nemiche (l’ammiraglio Iachino, comandante
la II Squadra, ha chiesto ed ottenuto alle 16.30 libertà di manovra per
dirigere contro le forze britanniche, segnalate alle 15.35 a 120
miglia di distanza, ma alle 16.50 tale autorizzazione viene
annullata; comunque la II Squadra non sarebbe egualmente riuscita a
raggiungere le unità avversarie). Alle 17.27 la II Squadra riceve l’ordine d’invertire
la rotta ed assumere rotta 335° e velocità 20 nodi, come la I Squadra.
Alle 22.30 del 31 la
formazione italiana, che procede a 20 nodi, riceve l’ordine di impegnare le
forze nemiche lungo la rotta 155°, a nord della congiungente Malta-Zante,
dunque deve cambiare la propria rotta per raggiungerle (o non potrebbe prendere
contatto con esse), dirigendo più verso sudovest (verso Malta) e superando la
congiungente Malta-Zante. Il mattino del 1° settembre, tuttavia, il vento, già
in aumento dalla sera precedente, dà origine ad una violenta burrasca da
nordovest forza 9; le forze italiane si allontanano nuovamente dal Golfo di
Taranto per cercare di nuovo quelle avversarie lungo la rotta 155° ma con
l’ordine di non oltrepassare la congiungente Malta-Zante, il che tuttavia le
tiene lontane dalle rotte possibili da Alessandria a Malta. Verso le 13 la
burrasca costringe la flotta italiana a tornare alle basi, perché i
cacciatorpediniere non sono in grado di tenere il mare compatibilmente con le
necessità operative (non potendo restare in formazione né usare l’armamento).
Poco dopo la mezzanotte del 1° settembre le unità italiane entrano nelle
rispettive basi; tutti i cacciatorpediniere sono stati danneggiati (specie alle
sovrastrutture) dal mare mosso, alcuni hanno perso degli uomini in mare.
Le navi verranno
tenute pronte a muovere sino al pomeriggio del 3 settembre, ma non si
concretizzerà alcuna nuova occasione.
7-9 settembre 1940
La flotta italiana (5
corazzate, 6 incrociatori e 19 cacciatorpediniere) lascia Taranto alle 16 del 7
diretta a sud della Sardegna, per intercettare la Forza H britannica che si
presume diretta verso Malta. La ricognizione aerea, tuttavia, non avvista
nessuna nave nemica (la Forza H, infatti, aveva lasciato Gibilterra per
un’operazione da svolgersi non nel Mediterraneo ma nell’Atlantico), dunque alle
16 dell’8 settembre la formazione italiana, arrivata a sud della Sardegna,
inverte la rotta e raggiunge le basi del Tirreno meridionale, da dove il 10
tornerà nelle basi di dislocazione normale (Taranto e Messina).
29 settembre-2 ottobre 1940
Alle 18.05 del 29
settembre escono in mare da Taranto il Pola,
la I Divisione con Zara, Fiume e Gorizia e la IX Squadriglia Cacciatorpediniere (Gioberti, Alfieri, Oriani,
Carducci) più l’Ascari della XII Squadriglia, seguiti alle 19.30 dalle
Divisioni V (corazzate Giulio Cesare e Conte di Cavour), VI (corazzata Duilio), VII (incrociatori leggeri Muzio Attendolo e Raimondo Montecuccoli, da Brindisi),
VIII (incrociatori leggeri Giuseppe
Garibaldi e Luigi di Savoia
Duca degli Abruzzi) e IX
(corazzate Littorio e Vittorio Veneto) e dalle Squadriglie
Cacciatorpediniere VII (Dardo, Saetta, Strale), X (Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco),
XIII (Granatiere, Bersagliere, Alpino), XV (Da Mosto, Da Verrazzano) e XVI (Pessagno, Usodimare), per contrastare un’operazione britannica in corso, la
«MB. 5» (invio a Malta degli incrociatori Liverpool e Gloucester con
1200 uomini e rifornimenti, invio da Porto Said al Pireo del convoglio «AN. 4»,
il tutto con l’uscita in mare delle corazzate Valiant e Warspite,
della portaerei Illustrious, degli
incrociatori York, Orion e Sydney e di undici cacciatorpediniere a copertura
dell’operazione). Al contempo da Messina prende il mare la III Divisione (Trento, Trieste, Bolzano) assieme
ai quattro cacciatorpediniere della XI Squadriglia (Aviere, Artigliere, Geniere e Camicia Nera). La formazione uscita da Taranto assume rotta 160° e
velocità 18 nodi, riunendosi con le navi provenienti da Messina alle 7.30 del
30 settembre, mentre si accorge di essere tallonata da ricognitori britannici.
In mancanza di elementi sufficienti ad apprezzare la composizione ed i
movimenti della Mediterranean Fleet ed in considerazione dello svilupparsi di
una burrasca da scirocco (che avrebbe reso impossibile una navigazione ad alta
velocità verso sud da parte dei cacciatorpediniere) Supermarina decide di
rinunciare a contrastare l’operazione ed ordina alle unità in mare di invertire
la rotta alle 6.25 del 30 ed incrociare dapprima tra i paralleli 37° e 38°, poi
(dalle 10.30) 38° e 39° ed alle 14 fare rotta verso sudovest sino a raggiungere
il 37° parallelo, poi, alle 17.20, di rientrare alle basi. Navigando nella
burrasca, la flotta italiana raggiunge le basi tra l’una e le quattro del
mattino del 1° ottobre, vi si rifornisce in fretta e rimane in attesa di
un’eventuale nuova uscita per riprendere il contrasto, ma in base alle nuove
informazioni ottenute ciò risulterà impossibile, pertanto, alle 14.00 del 2
ottobre, le navi riceveranno l’ordine di spegnere le caldaie.
6 ottobre 1940
Salpa da Taranto in
mattinata insieme al resto della IX Squadriglia, al Pola (nave di bandiera della II Squadra Navale) ed alla I Divisione
(Zara, Fiume e Gorizia), in
appoggio all’operazione «C.V.», consistente nell’invio da Taranto a Lero delle
due veloci e moderne motonavi Calitea
e Sebastiano Venier, cariche di
rifornimenti destinati alle isole del Dodecaneso e scortate dalla XII
Squadriglia Cacciatorpediniere (Ascari,
Lanciere, Corazziere e Carabiniere).
L’operazione (il convoglio è partito la sera del 5, ed il 6 mattino, oltre al
gruppo cui appartiene il Gioberti,
sono salpate da Messina anche la III Divisione con Trento, Trieste e Bolzano e la XI Squadriglia
Cacciatorpediniere con Aviere, Artigliere, Geniere e Camicia
Nera) viene però interrotta il mattino stesso del 6 ottobre, dopo che la
ricognizione aerea dell’Egeo ha segnalato due corazzate, due incrociatori e
sette cacciatorpediniere britannici sulla rotta Alessandria-Caso, ossia dove
dovrebbero passare le navi dirette nel Dodecaneso. Tutte le unità italiane
vengono fatte rientrare alle basi; «C.V.» non si farà più.
11-12 novembre 1940
Gioberti, Alfieri, Oriani e Carducci sono presenti a Taranto (ormeggiati a nordovest del centro
del Mar Grande, ad est del recinto retale che racchiude le navi della I
Divisione – Zara, Fiume, Gorizia –) durante l’attacco aerosilurante britannico che affonda
la corazzata Conte di Cavour e pone
fuori uso le corazzate Littorio e Duilio (“notte di Taranto”). Le unità
della IX Squadriglia non subiscono danni; uno Swordfish (l’E4F, Pilotato dal tenente di vascello D. C.
Maud e col sottotenente di vascello W. A. Bull come osservatore) sorvola il Gioberti a bassissima quota, senza che
questi faccia in tempo ad aprire il fuoco, mentre un altro (l’E4H dei tenenti
di vascello G. W. Bayley, Pilota, e
H. J. Slaughter, osservatore) precipita tra il Gioberti ed il Gorizia.
Tra le 14.30 e le
16.45 del 12 novembre la IX Squadriglia, insieme alla XI Squadriglia, al Pola ed alla I Divisione, lascia
Taranto, valutata ormai insicura, per raggiungere Napoli.
16-18 novembre 1940
Alle 10.30 del 16
prendono il mare le corazzate Vittorio
Veneto e Cesare, il Pola come
nave comando della II Squadra, la I Divisione con Fiume e Gorizia (tutti
da Napoli), la III Divisione con Trento, Trieste e Bolzano (da Messina) e le Squadriglie Cacciatorpediniere IX (Gioberti, Alfieri, Oriani,
Carducci), XII (Lanciere, Carabiniere, Ascari, Corazziere), XIII (Bersagliere,Granatiere, Fuciliere, Alpino) e
XIV (Vivaldi, Da Noli, Tarigo, Malocello;
questi ultimi da Palermo) per intercettare una formazione britannica diretta
verso est. Si tratta della Forza H dell’ammiraglio James Somerville
(incrociatore da battaglia Renown,
portaerei Argus e Ark Royal, incrociatori leggeri Sheffield, Despatch e Newcastle,
otto cacciatorpediniere) uscita da Gibilterra per l’operazione «White», che
prevede l’invio a Malta di aerei decollati dall’Argus per rinforzarne le difese, un’azione di bombardamento di
Alghero (velivoli dell’Ark Royal) ed
il trasporto a Malta di uomini e materiali della RAF sul Newcastle. Le
navi uscite da Napoli, prive di dati precisi sul nemico, dirigono verso sud nel
Basso Tirreno; nel pomeriggio del 16 si uniscono la III Divisione e la XII e
XIV Squadriglia da Messina e Palermo. La forza così riunita sotto il comando
dell’ammiraglio Campioni assume quindi rotta verso est verso l’8° meridiano, a
sudovest della Sardegna, procedendo a 18 nodi, ridotti a 14 nella notte del 17
per agevolare la navigazione dei cacciatorpediniere, resa difficoltosa da un
vento da sudovest.
Per tutta la giornata
del 16 non si ricevono informazioni sulle forze nemiche; solo alle 10.15 del 17
queste vengono avvistate da ricognitori, che però non precisano né la rotta né
la velocità. Campioni dirige verso sud, in direzione di Bona, sperando di
riuscire ad intercettare le unità britanniche nel pomeriggio, se esse
proseguono verso est.
Raggiunto alle 16.30
un punto prestabilito 45 miglia a nord-nord-est di Ustica, la formazione
italiana dirige poi verso ovest ed alle 17.30 arriva 35 miglia a sudovest di
Sant’Antioco. Dopo aver navigato per un po’ in direzione dell’Algeria, nella
totale mancanza su dove sia il nemico e dove esso sia diretto, la squadra
italiana riceve l’ordine rientrare. Campioni rileverà che le condizioni del
mare – onde molto lunghe da sudovest – hanno causato forte rollio e beccheggio
in tutte le sue navi, corazzate comprese, tanto da impedire l’uso dei cannoni
se dirette verso sud. Durante il ritorno le navi italiane eseguono
esercitazioni di tiro contro la scogliera La Botte, a sud di Ponza.
Ancorché infruttuosa,
l’uscita in mare delle forze italiane ha contribuito al parziale fallimento
dell’operazione «White»: a seguito dell’avvistamento della squadra italiana da
parte dei ricognitori di Malta, infatti, Somerville ha fatto lanciare gli aerei
dall’Argus tenendo la portaerei
quanto più ad ovest possibile, cioè più lontana da Malta di quanto inizialmente
pianificato, prolungando di molto la distanza sulla quale gli aerei dovranno
volare. Il risultato sarà che su quattordici aerei decollati dall’Argus (dodici Hawker Hurricane e
due Blackburn Skua) solo cinque (quattro Hurricane ed uno Skua) giungeranno a
Malta: gli altri esauriranno il carburante e precipiteranno in mare a seguito
di errori di navigazione e stime sbagliate sugli effetti del vento.
26-28 novembre 1940
Tra le 11.50 e le
12.30 del 26 il Gioberti lascia
Napoli unitamente alle altre unità della IX Squadriglia (Alfieri, Oriani e Carducci), di cui è caposquadriglia,
alla I Divisione (Fiume e Gorizia) ed al Pola (prendono il mare al contempo anche le corazzate Vittorio Veneto e Giulio Cesare e le
Squadriglie Cacciatorpediniere VII e XIII con rispettivamente tre e quattro
unità). La formazione italiana (vi sono anche la III Divisione e la XII Squadriglia
Cacciatorpediniere partite da Messina) si riunisce 70 miglia a sud di Capri
alle 18.00 del 26 novembre, assumendo poi rotta 260° e velocità 16 nodi, per
intercettare un convoglio britannico (quattro mercantili scortati da due
incrociatori leggeri, tre cacciatorpediniere e quattro corvette e con
l’appoggio delle Forze D e H, che vedono in mare complessivamente la
corazzata Ramillies,
l’incrociatore da battaglia Renown e
la portaerei Ark Royal della
Forza H, l’incrociatore pesante Berwick,
gli incrociatori leggeri Manchester, Newcastle, Sheffield e Southampton della
Forza D ed undici cacciatorpediniere della Forza H) diretto a Malta
(l’operazione britannica «Collar»).
Tra le 8.30 e le 9.10
la I Squadra, rimanendo indietro rispetto agli incrociatori (che formano la II
Squadra), a poppavia dei quali sta procedendo, accelera a 17 e poi a 18 nodi
per ridurre la distanza. Alle 9.50 le corazzate avvistano un ricognitore
britannico Bristol Blenheim, contro cui aprono il fuoco alle 10.05 (il velivolo
si allontana). Alle 11 la formazione inverte la rotta ed aumenta la velocità da
16 a 18 nodi, ed alle 11.28 assume rotta 135°, per intercettare la formazione
britannica che (dalle segnalazioni dei ricognitori) risulta avere posizione
differente da quella prevista. Alle 12.07, in seguito alla constatazione che la
formazione britannica appare superiore a quella italiana (i cui ordini sono di
impegnarsi solo se in condizioni di sicura superiorità) l’ammiraglio Inigo
Campioni, al comando della flotta italiana, ordina di assumere rotta 90° per
rientrare alle basi senza ingaggiare il combattimento, e di aumentare la
velocità. Alle 12.15, tuttavia, vengono avvistate le sopraggiungenti navi
britanniche, pertanto viene ordinato di incrementare ancora la velocità (che è
di 25 nodi per la I Squadra e di 28 per la II Squadra, che deve riunirsi alla I
essendo più indietro). Alle 12.16 la IX Squadriglia, che si trova circa 3 km a
sud degli incrociatori della II Squadra, segnala alla Vittorio Veneto (dove il messaggio viene ricevuto alle 12.27) di
aver avvistato una corazzata e tre incrociatori britannici su rilevamento 180°
(verso sud). Alle 12.20 gli incrociatori della II Squadra aprono il fuoco da
21.500-22.000 metri (il tiro degli incrociatori sarà intenso dalle 12.20 alle
12.42, intermittente dalle 12.42 alle 12.49 a causa delle continue accostate
eseguite per disturbare degli aerosiluranti britannici frattanto sopraggiunti,
che poi attaccheranno le corazzate, di nuovo intenso dalle 12.49 alle 12.53 e
poi più sporadico dalle 12.53 alle 13.05, a causa delle distanze crescenti).
Alle 13.00 la Vittorio Veneto apre il
fuoco da poco meno di 29.000 metri, ma le unità britanniche subito accostano a
dritta e la distanza aumenta a 31.000 metri, costringendo la corazzata a
cessare il fuoco già alle 13.10. Alle 13.05, su richiesta del Fiume (nave di bandiera dell’ammiraglio
Pellegrino Matteucci, comandante la I Divisione), le unità della IX Squadriglia
stendono una cortina nebbiogena, disturbando il tiro degli incrociatori
britannici contro quelli italiani. Alle 13.15, essendo la distanza (della II
Squadra dalle forze britanniche) salita a 26.000 metri, il tiro viene cessato
anche dagli incrociatori, viene rotto il contatto. Ha così fine l’inconclusiva
battaglia di Capo Teulada. Alle 15.20 le unità della II Squadra vengono
attaccate da nove aerosiluranti decollati dalla portaerei Ark Royal: l’attacco si protrae per dieci minuti, ma nessun siluro
(lanciati tutti contro Pola, Fiume e Gorizia) va a segno. Alle 21 del 27 novembre le navi italiane assumono
rotta nord a 15 nodi e procedono sino alle 00.30, poi dirigono verso est fino
alle 7.30 del 28, dopo di che seguono le rotte costiere, arrivando a Napoli tra
le 13.25 e le 14.40 del 28.
La IX Squadriglia
lascia Napoli alle 20.35 del 28 stesso per scortare a Messina la III Divisione,
che ha “perso” la propria Squadriglia Cacciatorpediniere – la XII – a seguito
del danneggiamento in battaglia del caposquadriglia Lanciere, poi dirottato su Cagliari insieme al gemello Ascari.
La nave nel 1940 (da
Navypedia).
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15 dicembre 1940
Intorno alle 17 la IX
Squadriglia, le Squadriglie Cacciatorpediniere VII e XIII, le corazzate Giulio Cesare e Vittorio Veneto e gli incrociatori pesanti Zara e Gorizia lasciano
Napoli diretti a La Maddalena, dove le navi sono state temporaneamente
trasferite per sottrarle ad altri attacchi aerei britannici dopo che, nelle
settimane precedenti, vari bombardamenti hanno causato vari danni. Le unità
rimangono a La Maddalena, porto non molto più al sicuro di Napoli dagli
attacchi aerei, solo per i pochi giorni necessari all’approntamento a Napoli di
adeguate contromisure contro i bombardamenti (tra cui impianti per
l’annebbiamento del porto).
20 dicembre 1940
Le navi rientrano a
Napoli.
27 dicembre 1940
Partecipa ad
operazioni di bombardamento di posizioni costiere greche in Albania e Grecia, a
supporto delle operazioni di terra delle truppe italiane (la XI Armata),
insieme ad Alfieri e Carducci.
6 gennaio 1941
Gioberti, Alfieri (caposquadriglia), Carducci (la IX Squadriglia, meno l’Oriani), cui è stato aggregato il cacciatorpediniere Fulmine, partono da Valona insieme alla
XIV Squadriglia Torpediniere (Pallade,
Partenope, Andromeda, Altair) e
bombardano all’alba le posizioni greche nel settore costiero di Porto Palermo
(Albania), per poi tornare a Valona prima di mezzogiorno.
26 marzo 1941
Alle 23 del 26 marzo il
Gioberti al comando del capitano di fregata
Marc’Aurelio Raggio, salpa da Taranto insieme al resto della IX Squadriglia al
completo (Alfieri, Oriani e Carducci; caposquadriglia è il capitano di vascello Salvatore Toscano
dell’Alfieri, che è anche il
sezionario del Gioberti) ed alla I
Divisione (Zara, Pola, Fiume) per
raggiungere un punto di riunione fissato circa 55 miglia a sudest di Capo
Spartivento Calabro. Nelle stesse ore prendono il mare anche la corazzata Vittorio Veneto, scortata dalla X
Squadriglia Cacciatorpediniere (Maestrale,
Grecale, Libeccio e Scirocco, poi
rilevati da Granatiere, Bersagliere, Fuciliere ed Alpino della
XIII Squadriglia), da Napoli, la III Divisione (Trento, Trieste, Bolzano) con la XII Squadriglia (Ascari, Corazziere, Carabiniere)
da Messina e la Divisione (incrociatori leggeri Duca degli Abruzzi e Giuseppe
Garibaldi) con la XVI Squadriglia (Nicoloso
Da Recco, Emanuele Pessagno) da
Brindisi.
Tutte queste unità si
devono riunire nel punto prestabilito per poi partecipare all’operazione
«Gaudo», un’incursione contro il naviglio britannico nel Mediterraneo
orientale, a nord di Creta.
La I e la VIII
Divisione, con le rispettive squadriglie di cacciatorpediniere, dovranno
riunirsi 55 miglia
a sudest di Capo Spartivento Calabro formando un unico gruppo.
Dopo la riunione, la
flotta italiana dovrà dirigere verso la Libia per trarre in inganno eventuali
ricognitori britannici, finché, giunta in un punto prestabilito al largo di
Capo Passero, si dividerà nuovamente nei due gruppi che avrebbero poi diretto
verso i rispettivi obiettivi.
La I e la VIII
Divisione (insieme ai sei cacciatorpediniere della IX e XVI Squadriglia),
riunite sotto il comando dell’ammiraglio Cattaneo, devono portarsi a nord di
Creta, passando tra Cerigotto e Capo Spada, poi proseguire sino a giungere a 30 miglia a sud di
Stampalia per la loro puntata offensiva; la Vittorio Veneto (nave di bandiera dell’ammiraglio di squadra
Angelo Iachino, comandante superiore in mare) e la III Divisione, insieme alla
XII e XIII Squadriglia Cacciatorpediniere (sette unità), devono invece
raggiungere le acque di Gaudo, a sud di Creta, per compiervi una scorreria.
Entrambi i gruppi sono incaricati di attaccare i convogli britannici in
navigazione tra la Grecia e l’Egitto (nell’ambito dell’operazione britannica
«Lustre»), se in condizioni di superiorità, per poi fare rapidamente alle basi
ritorno dopo aver inflitto il maggior danno possibile. Qualora siano avvistate
da superiori forze avversarie prima di arrivare nelle acque di Creta, le navi
italiane dovranno abortire l’operazione, venendo a mancare la sorpresa.
L’ordine d’operazione
per il Gruppo «Zara», formato dalla I e VIII Divisione con le relative
squadriglie di cacciatorpediniere, recita «Gruppo Zara composto I e VIII
Divisione navale lasci base prime ore giorno X-1 et regoli propri movimenti in
modo trovarsi alle 20.00 giorno X-1
in punto lat. 35°46’ e long. 19°34’ et diriga poi per
passare ore 04.00 giorno X fra Cerigotto et Capo Spada alt Prosegua quindi per
levante fino at meridiano Capo Tripiti e poi per scoglio Karavi dove dovrà
trovarsi ore 08.00 giorno X alt Da tale punto diriga per ripassare fra Capo
Spada e Cerigotto et quindi per punto miglia 90 a ponente di Cerigotto dove
dovrà trovarsi ore 13.30 giorno X et quindi per rientro basi alt In caso
avvistamento unità nemiche attaccare a fondo soltanto se in condizioni
favorevoli di relatività di forze alt». La segretezza dell’operazione «Gaudo»,
fondamentale per la sua riuscita, è però svanita prima ancora del suo inizio:
l’aumento delle ricognizioni effettuate dalla Regia Aeronautica in Mar Egeo è
stato notato dall’ammiraglio Andrew Browne Cunningham, comandante della
Mediterranean Fleet; ed i ricognitori decollati da Malta hanno avvistato la I
Divisione a Taranto, base che fino ad allora, dopo la notte di Taranto, era
stata abbandonata da ogni nave maggiore. Intuendo che la Marina italiana stia
preparando una mossa contro i convogli britannici per la Grecia, Cunningham ha
ordinato che le ricognizioni sulle principali basi navali italiane e sulle
probabili rotte che la flotta italiana potrebbe seguire vengano aumentate sino
al massimo possibile, e disloca in quelle acque tutti i sommergibili
disponibili.
Le decrittazioni, da
parte di “ULTRA”, di comunicazioni della Luftwaffe in cui si annuncia che
questa darà ad una forte squadra navale italiana che dovrà presto effettuare
una scorreria in Egeo, hanno dato a Cunningham la conferma circa le sue
supposizioni; infine, il 25 marzo “ULTRA” ha intercettato una comunicazione di
Supermarina (partita da Roma e diretta a Rodi) in cui si dice che «Oggi 25
marzo est giorno X meno 3». Tra il 25 ed il 26, ulteriori intercettazioni hanno
aggiunto informazioni a quelle già note ai britannici, pur non componendo ancora
un quadro particolarmente nitido.
Cunningham ha subito
preso tutti i provvedimenti del caso, ordinando ricognizioni aeree su Taranto,
Napoli, Brindisi e Messina per il pomeriggio del 27, la sospensione di ogni
traffico da e per la Grecia – tranne i convogli «AG 8», già partito il 26 marzo
da Alessandria per la Grecia con la scorta di due incrociatori antiaerei e tre
cacciatorpediniere, e «GA 8» (un mercantile, l’incrociatore leggero Bonaventure e due
cacciatorpediniere), che sarebbe partito il 29 seguendo la rotta opposta ed
arrivando ad Alessandria due giorni dopo (senza il Bonaventure, affondato dal sommergibile italiano Ambra) –, il ritiro di tutte le unità di
vigilanza in servizio a Suda ed al Pireo per porle sotto la protezione delle
difese locali, l’immediato stato di allerta per tutta la Mediterranean Fleet;
l’uscita dal Pireo, il 27 marzo (il giorno prima di quello fissato per
l’operazione italiana), della 7th Cruiser Division (Forza B)
dell’ammiraglio Henry Pridham-Wippell per un pattugliamento del mare attorno a
Gaudo, isolotto a sud di Creta (le navi di Pridham-Wippell salperanno la sera
del 27, con l’ordine di essere 30 miglia a sud di Gaudo per le 6.30 del 28),
l’invio dei sommergibili Rover e Triumph in probabili punti di passaggio
della squadra italiana, il rinforzo delle difese contraeree di Suda (con
l’invio dell’incrociatore antiaereo Carlisle),
il potenziamento delle squadriglie di aerosiluranti di Creta e della Cirenaica
(e si preparano anche reparti di bombardieri Bristol Blenheim).
27 marzo 1941
Alle 10.30 del 27 la
I e la VIII Divisione (con IX e XVI Squadriglia) si riuniscono 55 miglia a sudest di
Capo Passero, poi si posizionano 16 miglia a poppavia della Vittorio Veneto, che è a sua volta
preceduta di 7 miglia
dalla III Divisione. La foschia ed il vento di scirocco ostacolano il
mantenimento della formazione, mentre non vi sono difficoltà nel mantenere la
velocità prefissata.
La navigazione
prosegue senza incidenti – ma nella preoccupante assenza della poderosa scorta
aerea tedesca prevista: non si vedono che idrovolanti CANT Z. 506 che
forniscono per qualche ora scorta antisommergibile, e più tardi qualche aereo
tedesco in lontananza che passa senza dar segno d’aver visto le navi – sino
alle 12.25, quando il Trieste annuncia
che la III Divisione è stata localizzata da un idroricognitore britannico Short
Sunderland (un velivolo del 230th Squadron RAF decollato dalla base
greca di Scaramanga, ai comandi del capitano pilota D. G. Bohem). Compreso che
la sorpresa, presupposto fondamentale per la riuscita della missione, non c’è
più, Iachino domanda quindi a Supermarina se debba annullare la missione e
rientrare alla base; in una concitata riunione si conclude che la sorpresa è
venuta a mancare, ma che il ricognitore non ha avvistato che una porzione della
squadra italiana, pertanto si decide di proseguire, preferendo rischiare una trappola,
che far sembrare ai tedeschi (che hanno sollecitato un atteggiamento più
offensivo da parte della Marina italiana, in risposta a cui è stata pianificata
l’operazione «Gaudo») ed a Mussolini che la Marina si ritiri alle prime
difficoltà.
In seguito a ciò, la
formazione italiana, poco dopo le 14, accosta per 150° (prima la rotta era
134°) per ingannare il ricognitore, e mantiene questa rotta sino alle 16, dopo
di che riaccosta per 130°, e poi – alle 19.30 – per 98° portando la velocità a
23 nodi, così da giungere nel punto prestabilito a sud di Gaudo all’alba del
28. Alle 22 Supermarina annulla l’attacco a nord di Creta, dato che la
ricognizione ha rivelato che non c’erano convogli da attaccare (ed anche per il
rischio che gli incrociatori del gruppo «Zara» vengano attaccati da forze
britanniche, di cui si ha contezza dopo l’avvistamento del Sunderland),
pertanto la I e VIII Divisione ricevono l’ordine di ricongiungersi con la Vittorio Veneto e la III Divisione
all’alba del giorno seguente, al largo di Gaudo («Destinatati V. VENETO per
Squadra e ZARA per Divisione alt
Modifica ordine di operazione gruppo Cattaneo si riunisca dopo alba domani 28
corrente gruppo Iachino alt Programma Iachino resta invariato»). In base a
rilevazioni radiogoniometriche, si ritiene che in quella zona si troveranno, il
giorno seguente, alcuni incrociatori leggeri e cacciatorpediniere britannici.
Intanto, alle 19, il
grosso della Mediterranean Fleet – le corazzate Barham, Valiant e Warspite, la portaerei Formidable e nove
cacciatorpediniere, cioè la Forza A e la Forza C – è salpato furtivamente da
Alessandria, sotto il comando di Cunningham, per intercettare la formazione di
Iachino. Unico intoppo nel piano britannico, la bassa velocità (19-20 nodi) che
la forza navale deve tenere per non lasciare indietro la Warspite, che ha aspirato della sabbia nell’uscire dal porto con
conseguenze ostruzione dei condensatori dell’apparato evaporatore. Ciò
ritarderà la riunione tra le Forze A e C e la Forza B di Pridham-Wippell,
impedendo che tali forze riunite incontrino quelle di Iachino già nella
giornata del 28 marzo. Da parte italiana si è all’oscuro di tutto ciò.
28 marzo 1941
Alle 6.35 del mattino
un idroricognitore catapultato dalla Vittorio
Veneto avvista la Forza B britannica (composta dagli incrociatori leggeri Orion, Ajax, Perth e Gloucester e dai cacciatorpediniere Vendetta, Hasty, Hereward ed Ilex), in navigazione con rotta stimata
135° e velocità 18 nodi una quarantina di miglia ad est-sud-est dall’ammiraglia
italiana. Alle 6.57, mentre la III Divisione riceve l’ordine di assumere rotta
135° e velocità 30 nodi (per raggiungere gli incrociatori britannici, poi
dirigere verso la Vittorio Veneto ed
attirarli così verso la corazzata), il resto della formazione italiana aumenta
la velocità a 28 nodi (in quel momento il gruppo «Zara» – che si sarebbe dovuto
congiungere con la Vittorio Veneto
all’alba –, di cui la IX Squadriglia fa parte, si trova in leggero ritardo;
alle 6.30 è circa 16 miglia a nordovest delle altre unità, ed alle 6.57 riceve
ordine dalla nave ammiraglia di accelerare).
Alle 7.55 la III
Divisione avvista la Forza B, ma dato che anche la Forza B intende cercare di
attirare le navi italiane verso il grosso della Mediterranean Fleet (della cui
presenza in mare gli italiani sono del tutto all’oscuro) e pertanto si ritira,
la manovra pianificata dall’ammiraglio di squadra Angelo Iachino (comandante la
squadra italiana) non si concretizza, e sono invece le navi italiane ad
inseguire quelle britanniche. Ha così inizio lo scontro di Gaudo: tra le 8.12 e
le 8.55 la III Divisione insegue la Forza B cannoneggiandola con i propri
cannoni da 203, ma non riesce a mettere a segno alcun colpo e alla fine, dato
che le distanze restano costanti, interrompe l’inseguimento dietro ordine di
Iachino.
Intanto, alle 8.38,
il gruppo «Zara» riceve ordine da Iachino di assumere rotta 300° e di ridurre
la velocità a 20 nodi, a seguito di un’avaria di macchina del Pessagno.
Concluso il vano
inseguimento e scambio di cannonate – al quale la I e VIII Divisione, non
ancora ricongiuntesi al resto della formazione, non possono partecipare –,
le navi italiane alle 8.55 accostano per 270° ed assumono rotta 300° e velocità
di 28 nodi, seguite a distanza dalla Forza B, che tiene informato il resto
della Mediterranean Fleet dei movimenti delle unità italiane. Quando se ne
accorge, alle 10.02, l’ammiraglio Iachino ordina alla III Divisione di
proseguire sulla sua rotta, mentre la Vittorio
Veneto e le altre navi invertono la rotta (assumendo rotta 90°) per
sorprendere alle spalle la Forza B (portandosi ad est delle navi britanniche e
poi accostando verso sud), porla tra due fuochi (la III Divisione ed il resto
della formazione italiana) e così impedirne la ritirata. L’esecuzione di questa
manovra viene però temporaneamente ritardata in quanto, alle 10.10, lo Zara lancia un segnale di scoperta col
quale riferisce di aver avvistato fumo o alberatura sospetta per 300°; Iachino
attende che tale avvistamento venga chiarito, ma alle 10.34 lo Zara annulla il segnale di scoperta e la
manovra riprende.
Le unità della Forza
B sono però più a nord di quanto ritenuto (e segnalato) e pertanto l’incontro
avviene alle 10.50: alle 10.56 la Vittorio
Veneto apre il fuoco da 23.000 metri, e la Forza B subito accosta verso sud
e si ritira inseguita dalle navi italiane, ma le distanze vanno aumentando ed
il tiro della Vittorio Veneto risulta
inefficace. Solo l’Orion ed
il Gloucester (per altre fonti
anche il Perth) subiscono lievi
danni per proiettili caduti vicini. Alle 10.57 vengono avvistati sei aerei che
si rivelano poi essere aerosiluranti britannici (decollati dalla Formidable), che alle 11.18 attaccano:
la corazzata italiana accosta sulla dritta, e la XIII Squadriglia si porta in
posizione adatta ad impedire l’attacco, aprendo intenso fuoco contraereo; alle
11.25 gli aerosiluranti lanciano, ma sono costretti a farlo da una distanza
eccessiva, ed i siluri non vanno a segno.
L’attacco aerosilurante
ha però obbligato le navi italiane a cessare il fuoco, consentendo alla Forza B
di sfuggire ad una situazione di grave pericolo. In tutto, le navi di Iachino
hanno sparato 94 colpi da 381 mm e 542 da 203 mm.
In questa zona le
navi di Iachino dovrebbero fruire della copertura aerea dei caccia di Rodi
(dodici caccia FIAT CR. 42 dell’Aeronautica dell’Egeo, muniti di serbatoi
supplementari per incrementarne l’autonomia, di base a Scarpanto), ma questi
velivoli non si fanno vedere (per altra fonte sono presenti sul cielo della
formazione, ma solo saltuariamente ed in numero modesto, nel corso della
mattinata); intervengono invece due aerei tedeschi (gli unici che si vedranno
durante tutta la battaglia), due Junkers Ju 88 che tentano valorosamente d’ingaggiare
i tre caccia Fairey Fulmar di scorta agli aerosiluranti. Il violento scontro
aereo finisce male per i tedeschi: uno Ju 88 viene abbattuto, l’altro viene
messo in fuga. Le navi italiane non si accorgono neanche dell’intervento degli
Ju 88.
Nel frattempo, alle
11.07, la I Divisione avvista un sommergibile a 3000 metri per 280°,
segnalandolo alla nave ammiraglia.
Successivi messaggi e
segnalazioni, che confermano l’assenza di traffico convogliato britannico da
attaccare, ed insieme ad essi l’ormai conclamata assenza della copertura aerea
e la continua diminuzione delle scorte di carburante dei cacciatorpediniere,
portano l’ammiraglio Iachino, alle 11.40, a disporre rotta verso nordovest: si
torna alla base.
Se in mattinata
l’appoggio dato dai CR. 42 dell’Aeronautica dell’Egeo è stato pressoché
inconsistente, nel pomeriggio esso cessa del tutto e definitivamente: col
rapido allontanamento della flotta italiana in direzione di Taranto, infatti,
questa si viene presto a trovare al di fuori dei limiti dell’autonomia dei CR.
42, anche se questi impiegano serbatoi supplementari.
Nel pomeriggio del 28
marzo, la flotta italiana viene lungamente sorvolata da un idroricognitore
britannico. Lo pilota il capitano di corvetta Bolt, dello Stato Maggiore di
Cunningham, catapultato dalla Warspite:
durante la sua missione ha modo di aggiornare il suo ammiraglio circa
posizione, composizione, rotta e velocità delle navi italiane, con notevole
accuratezza.
Cunningham si è reso
conto che la formazione di Iachino, più veloce della sua, rischia di sfuggire
facilmente all’inseguimento (del quale non sa nemmeno di essere oggetto):
sempre che non si provveda a rallentarla. Questo si può fare danneggiando
qualche nave, lanciando attacchi di bombardieri ed aerosiluranti dalle basi di Creta
e dalla Formidable. Cunningham,
pertanto, ordina ripetuti attacchi aerei contro le navi di Iachino. Nel corso
del pomeriggio, un totale di 30 bombardieri Bristol Blenheim della RAF
(decollati da basi aeree della Grecia) e 18 aerosiluranti Fairey Albacore e
Fairey Swordfish della Fleet Air Arm (decollati dall’aeroporto di Maleme, a
Creta, e dalla Formidable) effettua
rispettivamente cinque e tre attacchi sulla formazione italiana.
Alle 13.23 la I
Divisione si trova a 56 miglia per 266° da Gaudo. Alle 15.17 il gruppo «Zara»
viene attaccato da sei bombardieri britannici Bristol Blenheim (che attaccarono
lo Zara ed il Garibaldi), attacco che si ripete alle 15.26, alle 16.30 ed infine
alle 16.44. Nello stesso lasso di tempo anche la Vittorio Veneto e la III Divisione vengono più volte attaccate
da aerei (rispettivamente tre e due volte): uno solo causa danni, ma basterà a
pregiudicare le sorti della battaglia.
Alle 15.19, infatti,
tre aerosiluranti britannici attaccano la Vittorio
Veneto, mentre dei caccia attaccano le unità della XIII Squadriglia
mitragliandone la coperta; anche dei bombardieri in quota parteciparono
all’attacco. L’intenso tiro contraereo dei cacciatorpediniere della XIII
Squadriglia colpisce uno degli aerosiluranti (pilotato dal capitano di corvetta
John Dalyell-Stead), che però, prima di precipitare in mare con la morte dei
tre uomini di equipaggio (così divenendo l’unica perdita britannica nella
battaglia), riesce a ridurre le distanze con la Vittorio Veneto a meno di 1000 metri ed a lanciare un siluro, che
colpisce la nave da battaglia a poppa, in posizione 35°00’ N e 22°01’ E. Alle
15.30 la Vittorio Veneto, che ha
imbarcato 4000 tonnellate d’acqua, si immobilizza, ma dopo sei minuti rimette
in moto, sebbene a fatica: solo alle 17.13 riesce a sviluppare una velocità di
19 nodi.
La flotta italiana
dirige su Taranto, ed alle 16.38 l’ammiraglio Iachino, in previsione di altri
attacchi aerei in arrivo al tramonto, ordina che le altre unità si dispongano
intorno alla danneggiata Vittorio Veneto
per proteggerla da altri attacchi. Proprio a quell’ora la I Divisione riceve
l’ordine di riunirsi al resto della formazione e portarsi presso la Vittorio Veneto; alle 18.18 la I
Divisione riceve dalla nave ammiraglia l’ultimo messaggio contenente le istruzioni
sulla formazione da assumere, ed alle 18.40 il gruppo «Zara» raggiunge il posto
assegnato, completando così lo schieramento. La formazione è su cinque colonne
di unità disposte in linea di fila: da destra a sinistra, la IX Squadriglia
Cacciatorpediniere (Alfieri in testa,
Gioberti in seconda posizione, Carducci terzo ed Oriani in coda), la I Divisione (Zara, Pola, Fiume), la Vittorio Veneto preceduta da Granatiere
e Fuciliere e seguita da Bersagliere ed Alpino, la III Divisione (Trieste,
Trento, Bolzano) e la XII Squadriglia Cacciatorpediniere (Corazziere, Carabiniere, Ascari).
Già alle 18.10, da
bordo della Vittorio Veneto, viene
comunicato a tutte le altre navi che a breve, dopo il tramonto, la squadra
italiana verrà attaccata da aerosiluranti: il reparto di crittografi imbarcati
sulla corazzata ha infatti intercettato un messaggio britannico che ordina
attacchi di aerosiluranti da Maleme per il tramonto.
La previsione si
avvera appena tredici minuti più tardi: alle 18.23 (nel frattempo la velocità
della Vittorio Veneto è scesa a 15
nodi) venngono avvistati nove aerosiluranti britannici, che si tengono a
distanza ad est delle navi italiane, fuori tiro e bassi sul mare (tranne uno
che, restando in quota dalla parte del sole, comunica agli altri la posizione e
gli elementi del moto delle unità italiane). Alle 18.51 tramonta il sole. Alle
18.58 Iachino ordina a tutte le navi di tenersi pronte ad accendere i
proiettori e stendere cortine nebbiogene, alle 19.15 la formazione italiana
accosta per conversione ed assume rotta 270° (in modo che le navi siano meno
illuminate possibile dal sole che tramonta) e nove minuti più tardi i cacciatorpediniere
in coda iniziano a stendere cortine nebbiogene. Alle 19.28 gli aerosiluranti si
avvicinano – le navi più esterne accendono perciò i proiettori su ordine di
Iachino – ed alle 19.30, su ordine dell’ammiraglio Iachino, vi è una nuova
accostata per conversione (rotta assunta 300°). Sei minuti dopo tutti i
cacciatorpediniere emettono cortine fumogene ed aprono il fuoco, mentre gli
aerei passano all’attacco: molti, non riuscendo ad oltrepassare la barriera
costituita dal tiro dei cacciatorpediniere, dai fasci dei proiettori e dalle
cortine nebbiogene, sganciano in maniera imprecisa, ma intorno alle 19.50 il Pola viene colpito ed immobilizzato da
un siluro. Cessato l’attacco, e calato il buio, alle 19.50 si spengono i
proiettori e viene cessato il fuoco contraereo, ed alle 20.11 cessa anche
l’emissione di cortine fumogene. Alle 20.05 l’ammiraglio Iachino, inconsapevole
di quanto accaduto al Pola (alle
20.07 l’ammiraglio ha chiesto alle Divisioni se vi sia niente di nuovo), ordina
alla I Divisione di posizionarsi 5000 metri a prua. Proprio in quel momento,
però (anche se il messaggio giungerà nelle mani dell’ammiraglio Iachino solo
alle 20.16), lo Zara comunica alla Vittorio Veneto la ferale notizia: il Pola è stato silurato, ed ora è fermo.
Alle 20.16
l’ammiraglio di divisione Carlo Cattaneo, comandante la I Divisione (con
bandiera sullo Zara), comunica che
salvo contrordini distaccherà due cacciatorpediniere (della IX Squadriglia) per
scortare il danneggiato Pola. È
probabilmente la decisione più sensata: inviare al soccorso del Pola l’intera I Divisione sarebbe di
scarsa utilità e sproporzionato ai rischi, dato che è in mare, a sole 55 miglia
di distanza (Iachino pensa 75, a causa di errori nelle rilevazioni
radiogoniometriche usate per localizzare le navi nemiche), una formazione
britannica di dimensioni sconosciute, chiaramente all’inseguimento delle navi
italiane. Si tratta del gruppo che comprende Barham, Valiant, Warspite e Formidable, ma Iachino pensa che l’entità della formazione
britannica sia molto minore, e che nessuna corazzata ne faccia parte.
Un paio di
cacciatorpediniere probabilmente basterebbero, l’uno per prendere il Pola a rimorchio e l’altro per
scortarlo, e, nel caso siano raggiunti dalle navi britanniche, per evacuarlo ed
affondarlo con i siluri; al più si potrebbe inviare al suo soccorso tutta la IX
Squadriglia. Iachino, però, è di diversa opinione (affermerà in seguito che due
cacciatorpediniere avrebbero potuto solo affondare il Pola, non sarebbero nemmeno bastati a salvarne l’equipaggio e non
avrebbero avuto l’autorità necessaria a decidere se affondare o meno
l’incrociatore), ed alle 20.18 ordina che tutta la I Divisione (Zara, Fiume e IX Squadriglia) si rechi a soccorrere la nave danneggiata,
reiterando l’ordine alle 20.38 («ZARA
FIUME et 9a squadriglia
vada soccorrere POLA»), dal momento
che Cattaneo, essendosi reso conto – dalle segnalazioni dei ricognitori
tedeschi e dalle intercettazioni delle comunicazioni radio britanniche – che
una squadra britannica stava seguendo quella italiana, tarda ad eseguire
l’ordine. Alle 20.24 Cattaneo, che sulle prime è stato riluttante a tornare
indietro con tutte le sue navi, chiede se possa invertire la rotta per
assistere il Pola, ed alle 21 Iachino
risponde affermativamente. Già prima di questa conferma finale, probabilmente
in seguito alla ricezione dell’ordine delle 20.38, la I Divisione accosta ad un
tempo di 180° sulla dritta ed invertì la rotta alle 21.06, dirigendosi verso il
Pola. Le navi procedono in linea di
fila: lo Zara, nave ammiraglia, in
testa, seguito dal Fiume, poi l’Alfieri come caposquadriglia della IX
Squadriglia, quindi il Gioberti,
dietro di lui il Carducci, e per
ultimo l’Oriani in coda.
La I Divisione assume
quindi rotta 135°, ed alle 21.07 Cattaneo ordina di portare la velocità a 16
nodi, che aumenta a 22 nodi alle 21.25 per poi ridurla nuovamente a 16 alle
22.03. Questa velocità, non particolarmente elevata, è dovuta al fatto che i
cacciatorpediniere della IX Squadriglia sono ormai a corto di carburante (fatto
che viene segnalato allo Zara, che a
sua volta comunica a Iachino alle 21.50, nel suo ultimo messaggio: “L’autonomia
rimasta alla Squadriglia Alfieri è
molto limitata e non permette un ingaggio d’emergenza, che pensiamo essere
quasi certo”), rimasto in quantità appena sufficiente a tornare alla base: il
caposquadriglia Toscano, in particolare, è preoccupato dalla poca nafta che è
rimasta al Carducci, che alle 21 ha
solo 125 tonnellate di carburante nei serbatoi (il 28 % del totale, e bastante
per meno di 200 miglia alla velocità da tenere in battaglia), mentre gli altri
tre ne hanno 145 ciascuno. La ridotta riserva di combustibile rimasta ai cacciatorpediniere
è anche uno dei motivi per i quali Cattaneo, essendosi trovato con la IX
Squadriglia a poppavia dei suoi incrociatori a seguito dell’inversione di
rotta, non ordina loro di portarsi a proravia di questi ultimi, dato che per
portarsi nuovamente in testa allo schieramento i cacciatorpediniere di Toscano dovrebbero
incrementare considerevolmente la velocità, consumando così più carburante.
La formazione assunta
da Cattaneo, con la IX Squadriglia a poppavia degli incrociatori, invece che a
proravia degli stessi, desterà in seguito molte perplessità e polemiche, dal
momento che, se i cacciatorpediniere fossero stati posizionati in posizione di
scorta avanzata notturna (4 km a proravia degli incrociatori, con un intervallo
di 2 km tra ogni cacciatorpediniere), gli eventi successivi avrebbero potuto
prendere una piega differente. Da molte parti, ancor oggi, si sostiene che
ponendo la IX Squadriglia a poppavia degli incrociatori Cattaneo contravvenne
alle regole vigenti sulla navigazione notturna in tempo di guerra, che
prevedevano invece che i cacciatorpediniere venissero posizionati a proravia
delle navi maggiori, formando uno schermo difensivo. In realtà, tuttavia, le
norme di Squadra (come evidenziato dallo storico Francesco Mattesini, autore di
una monumentale opera su Capo Matapan), prevedevano un’eccezione alla
summenzionata regola: quella di condizioni pessime di visibilità notturna. In
tal caso, le norme stabilivano che i cacciatorpediniere dovessero navigare – in
singola o doppia linea di fila – a poppavia delle navi maggiori, anziché a
proravia, perché in caso di incontro improvviso con unità nemiche avrebbero
dovuto essere le navi maggiori ad aprire il fuoco per prime (un controsenso, in
effetti, se si pensa che gli equipaggi di tali navi, a differenza di quelli dei
cacciatorpediniere, non erano addestrati al combattimento notturno, e gli
incrociatori di notte viaggiavano con i cannoni per chiglia, del tutto
impreparati ad un’azione di fuoco): l’articolo 68 della direttiva SM-11-S del
gennaio 1936 disponeva che “All’approssimarsi della notte le Unità del naviglio
sottile che il C.C. [Comandante in Capo] intende far navigare in unione con le
unità maggiori, vengono inviate di poppa alla formazione di queste, in unica e
doppia linea di fila”. Tanto che Supermarina, nelle relazioni sul disastro, non
diede alcuna importanza al fatto che la IX Squadriglia si fosse trovata dietro
e non davanti agli incrociatori (il primo a sollevare tale questione fu invece,
nel dopoguerra, l’ammiraglio Iachino, che cercava di alleggerire la propria
responsabilità dell’accaduto imputandolo anche ad errori commessi da Cattaneo).
E “pessime condizioni di visibilità notturna” definisce esattamente la fatidica
notte del 28 marzo, una notte senza luna, estremamente buia, con alcune nuvole
che riducevano molto la visibilità, specie verso est. Dunque Cattaneo non
contravviene alle regole, ma vi si attiene alla lettera, anche in
considerazione del fatto che la carente visibilità potrebbe causare errori di
riconoscimento con i cacciatorpediniere, qualora vengano posti a proravia, e
specialmente sarebbe d’intralcio al tiro degli incrociatori in caso d’incontro
con le unità britanniche. Peraltro, Cattaneo stesso (come Iachino) si aspetta
di incontrare le unità britanniche – che anche lui pensa essere solo
incrociatori e cacciatorpediniere, non corazzate – molto più tardi, quando il Pola sarà già stato preso a rimorchio,
ed i cacciatorpediniere saranno stati disposti tutt’attorno agli incrociatori
per proteggerli su tutti i lati.
Alle 21.24 Iachino
autorizza Cattaneo ad abbandonare il Pola
qualora attaccato da forze nemiche di entità superiore, e dieci minuti più
tardi inizia lo scambio di informazioni tra Zara
e Pola per preparare le operazioni di
rimorchio, una volta le navi di Cattaneo sarà giunte sul posto.
All’insaputa di
Cattaneo e di Iachino, però, già dalle 20.15 il radar dell’incrociatore
britannico Orion, inviato con il
resto della Forza B alla ricerca della formazione italiana, ha individuato il
relitto galleggiante del Pola. Dopo
aver effettuato vari rilevamenti radar senza essere riuscito ad identificare il
contatto (il Pola non è infatti stato
visivamente avvistato), l’ammiraglio Pridham-Wippell, comandante della Forza B,
avendo comunicato al suo comandante in capo (l’ammiraglio Andrew Browne
Cunningham, comandante della Mediterranean Fleet ed imbarcato sulla Warspite) la posizione della nave
sconosciuta perché decida sul da farsi, decide di proseguire senza curarsene
ulteriormente.
Alle 21.55 (od alle
21.15, o poco dopo le 22) un altro degli incrociatori di Pridham-Wippell, l’Ajax, rileva un nuovo contatto radar:
stavolta sono tre navi, che si trovano cinque miglia a sud della Forza B (che è
in quel momento nel punto 35°19’ N e 21°15’ E), su rilevamento compreso tra
190° e 252°. Sono probabilmente il Gioberti,
il Carducci e l’Oriani, che assieme al resto della I Divisione stanno procedendo su
rotta opposta a quella della Forza B, rispetto alla quale si trovano
effettivamente poco più di cinque miglia a sud: Pridham-Wippell, però, pensa
trattarsi di tre degli otto cacciatorpediniere della 14th Destroyer
Flotilla del capitano di vascello Philip Mack, inviati anch’essi alla ricerca
delle navi italiane: lo stesso pensa il comandante Mack, che ha ricevuto la
comunicazione radio dell’avvistamento, e risponde all’Ajax che le navi da loro avvistate devono essere le sue. La Forza
B, pertanto, alle 22.02 accosta verso nord per allontanarsi, onde evitare
incidenti con le navi di Mack. Le navi di Cattaneo superano quindi indenni ed
ignare sia la Forza B (passando a sud di essa) sia le navi di Mack (ad una
decina di miglia di distanza), procedendo su rotta opposta.
Ricevuta la
segnalazione di Pridham-Wippell sul relitto del Pola (che ancora non si sa essere tale), Cunningham assume con le sue
navi (Barham, Valiant, Warspite, Formidable ed i cacciatorpediniere Stuart, Havock, Griffin e Greyhound) rotta 280° per scoprire la
sua identità, e distruggerlo. Dopo un’ora la Valiant, unica corazzata munita di radar, che subito dopo il
mutamento di rotta ha iniziato a scandagliare la zona con il suo radar per
cercare la nave immobilizzata, localizza il Pola
6 miglia a prua sinistra, e tutte le navi di Cunningham accostarono di 40° a
sinistra. L’ammiraglio britannico pensa di trovarsi di fronte alla Vittorio Veneto: di conseguenza, ordina
ai suoi cacciatorpediniere di scorta (Stuart
ed Havock sono a dritta delle
corazzate, Greyhound e Griffin a sinistra) di spostarsi tutti a
dritta per liberare il campo di tiro verso sinistra, mentre 24 cannoni da 381 mm
– l’armamento principale delle tre corazzate – vengono puntati verso il punto
in cui il radar della Valiant ha
localizzato la nave ignota, pronti ad aprire il fuoco non appena verrà
avvistata con i binocoli.
Alle 22.23, prima di
completare la manovra di spostamento per liberare il campo di tiro delle
corazzate, lo Stuart segnala Urgentissimamente a Cunningham “Unità
sconosciuta per 250° a 4 miglia di distanza”, seguito alle 22.25 da un’altra
nave che comunica “J – 300 – 6”, cioè “rilevo unità di superficie nemica per
rombo 300° a distanza 6”: sono le navi del gruppo «Zara», che vengono a soccorrere il Pola.
Prima ancora che il
messaggio dello Stuart venga ricevuto
sulla Warspite, comunque, è il
commodoro J. H. Edelsten, capo di Stato Maggiore di Cunningham, ad avvistare le
navi italiane. Mentre tutte le vedette, i puntatori e gli ufficiali britannici
cercano nel buio a sinistra, dove il radar della Valiant ha localizzato il relitto del Pola, Edelsten sta tranquillamente controllando l’orizzonte sulla
destra, con un binocolo, dalla plancia ammiraglio della Warspite. Alle 22.25 Edelsten dice con calma a Cunningham di aver
avvistato due grandi incrociatori, preceduti da uno di dimensioni minori, che
stanno attraversando la rotta della formazione britannica a proravia della
stessa, ad una distanza di un paio di miglia, sulla dritta. Il comandante della
Mediterranean Fleet si accerta egli stesso dell’esattezza dell’avvistamento, ed
il capitano di fregata Power, esperto nel riconoscimento delle navi italiane,
conferma che si tratta di due incrociatori classe Zara e (erroneamente) uno da
5000-6000 tonnellate, probabilmente tipo Colleoni. Sono le navi di Cattaneo, in
navigazione in linea di fila su rotta 130°.
Le navi britanniche sono
tutte munite di colorazione mimetica, che ne diminuisce di molto la probabilità
di avvistamento, mentre quelle italiane, a parte il Fiume, hanno ancora la loro colorazione grigio chiaro, senza
mimetizzazione, che le rende molto più visibili di notte.
Proprio in quei
minuti, alle 22.29, le navi di Cattaneo hanno avvistato un razzo Very rosso
levarsi nel cielo a poca distanza, a 40° di prora sinistra: l’ha lanciato il Pola, per farsi vedere, temendo che le
sagome scure che ha visto transitare nei suoi pressi poco prima siano le navi
di Cattaneo, e che non l’abbiano visto (in realtà sono le corazzate di
Cunningham). Di conseguenza la I Divisione, ridotta la velocità a 16 nodi,
inizia ad accostare a sinistra, verso il punto da cui è partito il razzo.
Cunningham ordina che
la formazione accosti ad un tempo di 40° sulla dritta, ricostituendo la linea
di fila sul rombo 280°; poi le torri dei cannoni delle tre corazzate vengono
puntate nella direzione da cui provengono le navi della I Divisione. La Formidable riceve l’ordine di uscire
dalla formazione ed allontanarsi verso destra, essendo al momento inutile ed
anzi a rischio di essere coinvolta in un combattimento notturno nel quale non
avrebbe modo di difendersi adeguatamente se attaccata.
Sulle navi italiane
nessuno sospetta di niente.
Alle 22.30 la Warspite apre il fuoco per prima, da
3500 metri di distanza. Subito la seguono la Valiant e la Barham:
ventiquattro cannoni da 381 mm riversano un diluvio di proiettili sui due
incrociatori della I Divisione, mentre i proiettori del cacciatorpediniere Greyhound e delle corazzate illuminano
lo Zara, il Fiume e l’Alfieri.
Lo Zara ed il Fiume, colti completamente alla sprovvista, non hanno nemmeno il
tempo di abbozzare una reazione: entrambi gli incrociatori vengono ridotti, in
capo a tre minuti, a due relitti galleggianti, devastati dall’uragano di fuoco
che si è abbattuto su di loro.
Alle 22.35 (o 22.33)
la Barham apre il fuoco per ultima, prima
contro l’Alfieri e poi contro lo Zara.
Poco dopo i
proiettori delle navi britanniche avvistano tre dei quattro cacciatorpediniere
della IX Squadriglia: ai britannici sembra che questi, sbucati da dietro gli
incrociatori, si siano inizialmente diretti verso la formazione britannica e
poi, probabilmente dopo aver lanciato i siluri, abbiano accostato a dritta per
poi allontanarsi coprendosi la ritirata con cortine fumogene.
Niente di tutto
questo è in realtà avvenuto: le quattro unità della IX Squadriglia, benché – a
differenza degli incrociatori – abbiano le proprie artiglierie ed i propri tubi
lanciasiluri armati e pronti al fuoco (come di norma per la navigazione
notturna delle siluranti in tempo di guerra), sono state talmente colte di
sorpresa e frastornate da quanto sta accadendo – all’iniziale sorpresa seguono
violente e rapide raffiche di proiettili da 152 mm – che non sparano un colpo
né tentano il contrattacco silurante. La loro posizione è particolarmente
sfavorevole; sono centrati dal tiro delle navi britanniche, che sparano
defilandosi dietro gli incrociatori della I Divisione: i cacciatorpediniere non
possono così impiegare le armi, perché rischierebbero di colpire gli
incrociatori di Cattaneo.
L’Alfieri per primo, e subito dopo gli
altri tre (per imitazione della manovra del caposquadriglia), accostano
immediatamente a dritta per disimpegnarsi, ed accelerano tentando di fuggire
coprendosi con cortine nebbiogene, senza capire cosa stia accadendo, investite
dal tiro delle navi britanniche ed abbagliate dai fasci luminosi dei proiettori
puntati su di esse.
Gioberti ed Oriani accostano
subito ad un tempo assumendo rotta sud (170°-180°), stendendo cortine di nebbia
artificiale per occultarsi, mentre il Carducci
esegue un’accostata di maggiore ampiezza. In questa fase Gioberti, Oriani e Carducci vengono a trovarsi su rotte
parallele, in linea di rilevamento nell’ordine appena menzionato, costituendo
un gruppo che si trova ad ovest rispetto alle altre quattro navi italiane (Gioberti ed Oriani hanno infatti accostato subito verso sud, mentre il Carducci lo ha fatto dopo la seconda
accostata, per correggere in senso inverso una prima accostata troppo ampia).
Il supposto attacco
silurante dei cacciatorpediniere italiani porta però le corazzate (o forse solo
la Warspite) ad aprire il fuoco con i
cannoni di medio calibro (152 mm) verso le navi della IX Squadriglia (secondo
fonti britanniche, proprio il Gioberti
sarebbe stato il bersaglio della prima salva da 152 della Warspite, sparata alle 22.31 dal 2290 metri e su rilevamento 239°,
che, insieme ad una salva da 381, inquadrò ma mancò il bersaglio perché, causa
un’avaria al sistema di illuminazione automatico, il fuoco fu aperto in
ritardo, quando la distanza dal bersaglio era già cresciuta eccessivamente),
mentre i cacciatorpediniere britannici – Stuart,
Havock, Griffin e Greyhound – si
lanciano al contrattacco aprendo il fuoco con i propri cannoni. Nella
confusione generale, anzi, l’Havock
scorda di accendere i fanali di riconoscimento in uso nelle azioni notturne e viene
perciò scambiato per italiano e fatto segno di due salve da 152 della Warspite, uscendone tuttavia indenne.
Il Gioberti, non appena avvista le navi
britanniche, accosta con tutta la barra a dritta, imitato da Oriani e Carducci, e si copre con cortine nebbiogene, cercando di
disimpegnarsi alla massima forza. Alle 22.32 assume rotta 210°; tenta di
puntare i tubi lanciasiluri sul brandeggio 105° sulla dritta, ma non lancia
perché avvista a non più di 300 metri il Carducci,
in accostata verso sud e già scaduto a poppavia del traverso, avvolto in una
densa nube di fumo nero. Alle 22.36 il Gioberti
assume rotta 270° ed emette una cortina fumogena per disturbare la punteria al
nemico, alle 22.40 assume rotta 235° ed alle 22.41 ritorna per 260°.
Intanto il Carducci, giunto all’altezza del Gioberti, assume rotta parallela alla
sua e, passandogli di poppa, emette una cortina fumogena per coprirlo e
permettergli di disimpegnarsi; il Gioberti,
trovandosi dietro al Carducci, viene
immediatamente occultato dalla cortina, e poco dopo anche l’Oriani vi si infila, così riuscendo a
far perdere le proprie tracce alle navi nemiche.
Per due volte il Gioberti interrompe la manovra di
allontanamento (accostando dapprima verso ovest e poi verso nord/nordovest,
ritenendo che le navi britanniche siano dirette verso ovest) per cercare di
portarsi in una posizione idonea a lanciare i siluri contro le navi britanniche:
la prima volta alle 22.31, quando accosta per breve tempo su rotta 170° e cerca
di portarsi al lancio su brandeggio 105° a sinistra, contro tre unità
britanniche identificate come di medio tonnellaggio (incrociatori), delle quali
non riesce però ad apprezzare alcun elemento di conferma. Viene investito da
violentissimo tiro nemico, ma prosegue nella manovra; il Gioberti non apre il fuoco coi cannoni, perché il direttore di tiro
(che si trova sull’ala di plancia di dritta) ed i cannonieri sono costantemente
abbagliati dai proiettori delle navi britanniche, che impediscono loro di
distinguere adeguatamente le navi nemiche. Il capitano di corvetta Eugenio
Henke, comandante in seconda del Gioberti,
si trova in plancia e manda i tubi di lancio 90° a sinistra, pronti al lancio,
ma non ordina di lanciare perché il campo di tiro del cacciatorpediniere è
ingombrato dagli incrociatori della I Divisione, che si rischierebbe di
colpire.
Alle 22.32, ricevuta
segnalazione che il campo di tiro è ora sgombro, il comandante Raggi ordina di
accostare a dritta, per ripetere l’attacco tentando di portarsi in un’altra
posizione più favorevole al lancio (il primo attacco è stato vanificato
dall’intenso tiro nemico, effettuato con armi di ogni calibro). Il Gioberti accosta quindi a dritta per
170°, emettendo una cortina fumogena dal fumaiolo per disturbare il tiro
nemico, che sta nuovamente inquadrando la nave con grande accuratezza; la nave
mantiene tale rotta e seguita ad emettere fumo per cinque minuti, nei quali il
tiro avversario va via via diminuendo in intensità ed efficacia. Alle 22.49,
pertanto, l’unità italiana accosta nuovamente a dritta per 270°, per effettuare
un lancio poppiero; ma viene nuovamente inquadrato da salve d’artiglieria nemiche,
così che interrompe l’attacco e deve anzi accostare d’Urgenza a sinistra per schivare un siluro, la cui scia è stata
avvistata a dritta.
Secondo un autore
britannico, sarebbe probabilmente stato l’attacco silurante del Gioberti, pur interrotto prima del
lancio, ad indurre le corazzate britanniche a cessare il tiro ed allontanarsi.
A quel punto, ad ogni modo, la I Divisione non esisteva già più.
Abbandonato
definitivamente ogni tentativo di contrattacco, il Gioberti avvista alle 22.55 un altro cacciatorpediniere italiano,
nella luce dei proiettili illuminanti sparati dalle navi britanniche. Il Gioberti si allontana quindi verso sud
insieme a tale unità, che Raggio stima essere l’Oriani; esso si sta dirigendo verso sud, apparentemente
danneggiato, inseguito da un’unità sottile. (Più verosimilmente era il Carducci, oppure erano due
cacciatorpediniere britannici).
Del resto della IX
Squadriglia, l’Alfieri viene subito
colpito ed immobilizzato dal tiro della Barham,
e poi attaccato dai cacciatorpediniere Stuart
ed Havock; si difende rispondendo al
fuoco con cannoni e Mitragliere e
lanciando alcuni siluri, ma viene colpito ancora ed affonda tra le 23.30 e
mezzanotte. Il Carducci, come detto,
tenta d’interporsi tra le navi britanniche ed il resto della IX Squadriglia
stendendo una cortina nebbiogena per coprire le navi sorelle e permettere loro
di mettersi in salvo, ma viene anch’esso colpito ed immobilizzato,
autoaffondandosi in seguito (alle 22.41 il Gioberti
vede un cacciatorpediniere incendiarsi a centro nave e spezzarsi in due; a
bordo si ritiene che sia il Carducci).
L’Oriani viene colpito e seriamente
danneggiato alle 22.40 mentre tenta di aggirare la formazione britannica per
attaccare col siluro, ma riesce ad allontanarsi.
Intanto, dopo appena
tre minuti di fuoco, le corazzate di Cunningham spengono i proiettori alle
22.32 ed accostano ad un tempo di 90° sulla dritta per evitare gli ipotetici
(ma inesistenti) siluri lanciati dalla IX Squadriglia (in questa fase la Warspite tira alla cieca una salva da
381 contro i cacciatorpediniere italiani, cui è più vicina), dopo di che si
allontanano rapidamente dal luogo dello “scontro”. Su ordine di Cunningham, Stuart, Havock, Griffin e Greyhound rimangono sul posto per dare
il colpo di grazia alle navi semidistrutte (i primi due, come detto, finiscono
l’Alfieri ed il Carducci), mentre le tre corazzate e la Formidable si riuniscono e riformano la linea di fila, assumendo
rotta 10°, per poi allontanarsi verso nordest. I quattro cacciatorpediniere
britannici incroceranno a lungo nelle acque del disastro, attaccando
saltuariamente i relitti galleggianti delle navi italiane.
Alle 22.40, Griffin e Greyhound si mettono all’inseguimento di Gioberti ed Oriani, che
hanno visto accostare verso ovest; aprono il fuoco e vedono alcuni colpi andare
a segno (sull’Oriani), dopo di che le
navi italiane, alle 23.20, accostano verso sud e si dileguano nell’oscurità,
coprendosi con cortine fumogene. Secondo una versione, Griffin e Greyhound si
spingono nella cortina fumogena stesa dal Carducci
per inseguire Oriani e Gioberti, ma nella nebbia artificiale
non riescono più a trovarli.
Il Gioberti, intanto, si trova la rotta
nuovamente sbarrata dal tiro nemico, che gli impedisce di riavvicinarsi alla
nave identificata come l’Oriani; gli
passa allora di poppa e, durante tale manovra di allontanamento, perde di vista
la formazione britannica.
A questo punto il Gioberti tenta ripetutamente di chiamare
via radio il caposquadriglia Alfieri,
dal quale però non ottiene risposta; cerca allora di contattare per radio l’Oriani ed il Carducci, chiedendo loro di dare notizia, ma nemmeno essi
rispondono.
I bagliori
dell’azione di fuoco si sono ormai spenti, ed il Gioberti, solo nella notte, dirige per mezz’ora verso nord,
cercando di riprendere contatto con le navi britanniche, che Raggio presume
trovarsi in tale direzione. Ma non incontra più nessuno, né amico né nemico.
29 marzo 1941
Perso il contatto con
tutte le altre unità e raggiunto il limite di autonomia, il Gioberti dirige da solo verso Augusta,
base italiana più vicina.
Alle cinque del
mattino il Gioberti è la prima unità
della I Divisione a mettersi in contatto con l’ammiraglio Iachino (che nelle
ore precedenti ha ripetutamente chiamato tutte le unità della I Divisione,
cercando di scoprire cosa sia accaduto, ma senza mai avere risposta),
comunicando di aver perso il contatto con la I Divisione, di non ricevere
alcuna risposta dalle altre navi della IX Squadriglia, di aver cercato il
nemico fino al raggiungimento dei limiti d’autonomia e di essere ora diretto ad
Augusta.
Qui il
cacciatorpediniere arriva alle 10.30 del 29 marzo. (Secondo una fonte ne
sarebbe uscito nuovamente, dopo essers rifornito, per andare in cerca dell’Oriani, che non dava più sue notizie, e
lo avrebbe trovato il 30 marzo mentre dirigeva verso Augusta con morti e feriti
a bordo).
Il Gioberti è così l’unica unità della I
Divisione a sfuggire senza un graffio alla mattanza di Capo Matapan.
Curiosamente, il Gioberti sarà invece l’unico
cacciatorpediniere della IX Squadriglia ad essere menzionato per nome nel
bollettino radiofonico britannico del 31 marzo 1941, nel quale lo si indica
come una delle navi affondate. I britannici ritengono infatti, correttamente,
di avere affondato due cacciatorpediniere, ma non ne conoscono i nomi (nessun
naufrago di Alfieri e Carducci è stato recuperato dalle navi
britanniche: i pochi sopravvissuti saranno salvati in seguito dal
cacciatorpediniere greco Hydra e
dalla nave ospedale italiana Gradisca),
e per motivi sconosciuti (forse sulla base del racconto di qualche naufrago
degli incrociatori) riferiscono inizialmente di aver affondato il Gioberti ed il Maestrale, nemmeno presente a Matapan.
L’ammiraglio Iachino
criticherà poi il comandante Raggio del Gioberti,
ritenendo che il suo atteggiamento durante il contrattacco fosse stato
piuttosto rinunciatario: il 5 maggio gli chiederà “Vogliate riferire le ragioni
per le quali, passato il primo momento di sorpresa, non avete reagito nè
tentato di reagire con le artiglierie contro le unità nemiche che Voi vedevate
e che erano certamente a distanza di tiro”, al che Raggio risponderà, il 20
maggio (dopo aver lungamente descritto l’accaduto), “Il GIOBERTI è venuto improvvisamente a trovarsi già a distanza ed in
posizione di lancio al primo avvistamento di un proiettore e della
contemporanea salva diretti sullo ZARA.
La immediata contromanovra è stata intesa al fine di tentare un lancio multiplo
su brandeggio largo nel pieno della formazione nemica rilevatasi subito dopo
l’accensione di altri proiettori, e di accostare nel senso più conveniente per
far variare in maggior misura il rilevamento (Accostata verso poppa del
bersaglio). In questa fase l’impiego delle artiglierie, per le quali erano
stati tempestivamente impartiti gli ordini di approntamento al tiro, è stato precluso
dalla mancanza di tempo e dall’aver manovrato il Ct. per eseguire il lancio al
più presto”. I successivi contrattacchi erano stati frustrati dalla mancanza di
dati cinematici attendibili per lanciare i siluri e dal violento fuoco
avversario, effettuato con l’ausilio del forte bagliore degli illuminanti, che
aveva impedito di portarsi in posizione adeguata al lancio dei siluri.
A seguito della
perdita di Alfieri e Carducci a Matapan, la IX Squadriglia
Cacciatorpediniere viene sciolta e le due unità superstiti vengono aggregate
alla X Squadriglia (Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco).
16 aprile 1941
Il marinaio
ventitreenne Gennaro De Filippis, napoletano, imbarcato sul Gioberti, risulta disperso nel
Mediterraneo Centrale.
24-30 aprile 1941
Il Gioberti, insieme ai cacciatorpediniere Ascari e Carabiniere, agli incrociatori pesanti Trieste e Bolzano
della III Divisione ed all’incrociatore leggero Eugenio di Savoia della VII Divisione, scorta a distanza un
convoglio (mercantili italiani Rialto
e Birmania, mercantili
tedeschi Marburg, Reichenfels e Kybfels, con la scorta diretta dei
cacciatorpediniere Fulmine ed Euro e delle torpediniere Procione, Orione e Castore) in
navigazione in convoglio da Napoli (da dove è partito alle 23 del 24) verso la
Libia.
A causa del mare
mosso e delle notizie sugli spostamenti delle forze navali britanniche, il
convoglio viene fatto sostare a Palermo e Messina (diviso in due gruppi)
finché, riunito al largo Augusta, può infine partire per la Libia solo tra il
29 ed il 30 aprile. Giungerà indenne a Tripoli ale 23 del 1° maggio.
In navigazione (g.c. Marcello
Risolo, via www.naviearmatori.net)
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2 giugno 1941
Il Gioberti (capitano di fregata
Marc’Aurelio Raggio), aggregato alla XVI Squadriglia Cacciatorpediniere, salpa
da Augusta insieme al cacciatorpediniere Scirocco
(capitano di fregata Domenico Emiliani) per scortare gli incrociatori leggeri Giovanni delle Bande Nere (capitano di
vascello Sesto Sestini, nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Guido Porzio
Giovanola) ed Alberto Di Giussano
(capitano di vascello Giovanni Marabotto) della IV Divisione, incaricati, con
altre unità, di posare alcune spezzate dello sbarramento minato difensivo «T»
al largo di Tripoli.
Alle 18.10 Gioberti, Scirocco e la IV Divisione giungono in vista delle altre navi
incaricate dell’operazione, cioè la VII Divisione dell’ammiraglio Ferdinando
Casardi, comandante superiore in mare (incrociatori leggeri Eugenio di Savoia, Muzio Attendolo ed Emanuele
Filiberto Duca d’Aosta), la XV
Squadriglia Cacciatorpediniere (Antonio
Pigafetta, Alvise Da Mosto e Giovanni Da Verrazzano) e parte della
XVI Squadriglia (Nicoloso Da Recco ed
Antoniotto Usodimare); alle 18.30 assumono la loro posizione in formazione.
Gli ordini prevedono di portare la velocità a 22 nodi, ma essa dev’essere
tenuta sui 18 nodi a causa di un’avaria del Da
Mosto; in serata sarà possibile portare la velocità a 20 nodi. Alle 22.12 è
lo Scirocco ad essere colto da
un’avaria, questa volta al timone, ma riesce a ripararla ed a riassumere la sua
posizione alle 22.52.
3 giugno 1941
All’alba la
formazione, che a causa dell’avaria del Da
Mosto ha accumulato due ore di ritardo, si ritrova senza scorta aerea,
perché il ghibli e la scarsa visibilità impediscono agli aerei di decollare ed
individuare le navi. Alle 10.05 viene avvistato il fumo emesso dalla
torpediniera Castore per segnalare la
posizione della posa, ed alle 10.37, dopo aver via via ridotto la velocità, le
unità ricevono l’ordine di dividersi nei gruppi stabiliti per la posa.
Mentre le altre
unità, riunite nel gruppo «Eugenio», effettuano dalle 11.31 alle 12.51 la posa
delle linee «b» (Bande Nere, 139
mine; Di Giussano, 139 mine; Eugenio di Savoia, 228 boe esplosive; Da Mosto, 116 boe strappanti; e Da Verrazzano, 95 boe strappanti e 17
esplosive) e «c» (Attendolo, 88 mine,
ed Eugenio di Savoia, 88 mine), il Gioberti, lo Scirocco ed il Pigafetta
scortano il Duca d’Aosta intento, da
solo, nella posa delle linee «h» (95 mine tedesche), «ha» (40 mine tedesche) e
«hb» (40 mine tedesche) di mine antisommergibile.
Alle 14.10 le quattro
navi si ricongiungono con le altre, già riunitesi alle 13.30 (meno il Da Mosto, mandato a Tripoli per via
dell’avaria), dopo di che viene assunta rotta per il rientro e velocità 22
nodi. Alle 14.52 vengono avvistati degli aerei da caccia che si allontanano, ed
alle 17 il Di Giussano avvista un
ricognitore sconosciuto, che viene perso di vista dopo poco. Da Malta decollano
degli aerosiluranti, e Supermarina, debitamente informata, ne avvisa le navi in
mare alle 23.15; Casardi decide di proseguire sulla rotta transitoria 45°,
invece che accostare per nord come deciso precedentemente, così da mantenere la
luna nei settori poppieri e permettere ai cacciatorpediniere della scorta
avanzata di vegliare sul settore più pericoloso; dato che tale diversione
provocherà un allungamento del percorso, l’ammiraglio fa anche aumentare la
velocità a 25 nodi, in modo da trovarsi lo stesso, all’alba, sotto la
protezione dei caccia della Regia Aeronautica (nonché allo scopo di
incrementare la possibilità di manovra delle sue navi). Vi sono due allarmi, a poca
distanza l’uno dall’altro, a seguito di presunti avvistamenti da parte di Usodimare e Bande Nere; la formazione accosta per imitazione di manovra, ma
nessuna nave apre il fuoco e non si verificano attacchi.
4 giugno 1941
All’1.14, dato che la
luna più bassa mette in risalto le sagome delle navi, queste accostano per
rotta 70° così da avere la luna di poppa, ma all’1.53, tramontata la luna,
riassumono rotta verso nord.
7 giugno 1941
Il Gioberti, insieme ai
cacciatorpediniere Freccia (caposcorta), Saetta e Strale, salpa da Napoli alle 2.50 per scortare a Tripoli i
trasporti truppe Esperia, Victoria e Marco Polo.
Tra l’8 ed il 9
giugno il convoglio (che procede sulla rotta di levante di Malta) fruisce anche
della scorta a distanza degli incrociatori pesanti Trieste e Bolzano (III
Divisione Navale) e dei cacciatorpediniere Ascari, Lanciere e Corazziere.
9 giugno 1941
Il convoglio arriva a
Tripoli alle 15.
12 giugno 1941
Gioberti, Freccia (caposcorta), Saetta e Strale ripartono da Tripoli per Napoli alle 15, scortando Esperia, Marco Polo e Victoria che
tornano scarichi.
14 giugno 1941
Il convoglio giunge a
Napoli alle 2.30.
25 giugno 1941
Il Gioberti, insieme ai
cacciatorpediniere Aviere (caposcorta,
capitano di vascello Luciano Bigi), Geniere
ed Antonio Da Noli ed alla
torpediniera Calliope, salpa da
Napoli alle 4.30, per scortare a Tripoli un convoglio composto dai trasporti
truppe Esperia (capoconvoglio,
contrammiraglio Luigi Aiello), Marco
Polo, Neptunia ed Oceania.
Il convoglio imbocca
la rotta di levante (stretto di Messina e poi ad est di Malta), ritenuta, come
detto, la più adatta per i convogli veloci per trasporto truppe; i suoi lati
vantaggiosi sono una maggior elasticità per eventuali dirottamenti, maggior
spazio di manovra, la possibilità di tenere il convoglio al di fuori del raggio
d’azione degli aerosiluranti di Malta, la facilità di confondere il nemico
circa la rotta seguita; i lati svantaggiosi, un percorso più lungo (per questo
la si fa percorrere ai convogli più veloci), la possibilità di attacchi a
sorpresa di navi di superficie inviate da Alessandria o da Tobruk (in mano
britannica da gennaio), comunque poco probabile, e la maggior difficoltà a
garantire scorta aerea di giorno.
Dopo aver
attraversato lo stretto di Messina, la scorta del convoglio viene rinforzata
dalla XII Squadriglia Cacciatorpediniere (Ascari, Lanciere, Corazziere e Carabiniere;
per altra versione il Lanciere
faceva invece parte della scorta diretta, fin dall’inizio del viaggio) e più
tardi (dal tramonto) dalla III Divisione (incrociatori pesanti Trieste e Gorizia), quest’ultima partita da Messina alle 19, quale scorta
indiretta.
Alle 18.25, mentre le
navi sono ancora a nord del parallelo di Murro di Porco (precisamente, a 32
miglia per 90° da Murro di Porco, non lontano da Siracusa), il convoglio viene
avvistato da un ricognitore; alle 20.20, poco dopo che la scorta aerea (due
bombardieri Savoia Marchetti S.M. 79 "Sparviero" e quattro caccia
Macchi MC. 200) se ne è andata, ad eccezione di un singolo caccia che è ancora
sul cielo del convoglio, vengono avvistati tre velivoli tipo Martin Maryland
che volano a 2500 metri di quota, proprio sopra il convoglio. Viene dato
l’allarme; sia i mercantili che i cacciatorpediniere aprono subito il fuoco con
le mitragliere. Gli aerei sganciano cinque bombe, ma nessuna va a
segno; si ritiene che uno degli attaccanti, colpito, sia caduto in mare in
fiamme.
Alle 20.30, terminato
il lancio, i bombardieri si allontanano, ma poco dopo un altro aereo avversario
si avvicina da sinistra, volando a 1500 metri; fatto oggetto del violento tiro
di tutte le navi del convoglio, rinuncia all’attacco e si allontana prima di
poter giungere sulla verticale del convoglio. Da poppa sopraggiunge un altro Bombardiere, ma è seguito dall’unico
caccia rimasto della scorta aerea, e lascia dietro di sé una scia di fumo; due
membri del suo equipaggio si lanciano col paracadute, poi il Bombardiere precipita in mare. Alle
20.40 vengono avvistati altri due bombardieri, provenienti da dritta, anch’essi
accolti dal tiro delle navi della scorta: uno dei due spara raffiche di
mitragliera, poi si allontana senza sganciare bombe; l’altro giunge sul cielo
del convoglio e sgancia una bomba, che cade in mare senza fare danni. Alle 21,
Supermarina “informa” il convoglio che alle 18.35 questo è stato avvistato da
un ricognitore avversario.
Alle 21.10 un bengala
si accende a proravia del convoglio, a circa 3000 metri di quota (resta acceso
8-9 minuti); dato che l’esperienza precedente insegna che questo è il preludio
ad un attacco di aerosiluranti, le navi della scorta iniziano ad emettere
cortine fumogene, per occultare le navi del convoglio. Alle 21.29 gli
aerosiluranti – velivoli dell’830th Squadron della Fleet Air
Arm – attaccano: provenienti da dritta e restando in formazione, si portano a
proravia del convoglio, poi sul suo lato sinistro, indi si separano ed
attaccano dai quartieri prodieri. Le navi aprono il fuoco con le mitragliere.
Vengono lanciati almeno quattro siluri: uno di essi passa vicino al Gioberti, che lo evita con la manovra.
Mentre ancora non si
è concluso l’attacco degli aerosiluranti, alle 21.37, vengono lanciati in mezzo
al convoglio tre bengala che galleggiano sul mare (si tratta di fuochi al
cloruro di calcio, una nuova invenzione al suo primo impiego nella battaglia
dei convogli): due si spengono quasi subito, ma il terzo resta acceso per un
paio di minuti, illuminando a giorno il convoglio con la sua fortissima luce
gialla; le navi si diradano ed intanto avvistano sul loro cielo i fanalini di
navigazione di altri aerei, contro i quali sparano con tutte le mitragliere.
Gli aerei sganciano delle bombe di grosso calibro; nessuna va a segno, ma una
esplode a pochi metri dall’Esperia,
che subisce lievi danni ed alcune perdite tra il personale imbarcato.
Alle 21.45 gli aerei
se ne vanno, inseguiti dal fuoco delle mitragliere; uno di essi, un Fairey
Swordfish dell’830th Squadron F. A. A. (sottotenente D. A. R.
Holmes, aviere J. R. Smith).
Tanto accanimento non
è casuale. Il convoglio «Esperia» detiene infatti il dubbio onore di essere
stato il primo convoglio ad essere attaccato sulla base delle informazioni
fornite da “ULTRA”, l’organizzazione segreta britannica dedita alla
decrittazione dei messaggi in codice dell’Asse. Già il 23 giugno, due giorni
prima della partenza, i britannici sanno così che un convoglio formato da Neptunia, Oceania, Marco Polo ed Esperia (in realtà, inizialmente, i
britannici commettono un errore ed identificano la quarta nave come Victoria, ma questo viene prontamente
corretto il 24 giugno), scortato da cinque cacciatorpediniere, deve partire da
Napoli alle 3.30 diretto a Tripoli, con arrivo previsto per le 16.30 del 27,
navigando ad una velocità di 17,5 nodi. Ulteriori intercettazioni, sempre
compiute il 23 giugno, permettono ai britannici di apprendere anche che il
convoglio deve attraversare il parallelo 34°30’ N alle sette del mattino del
26, che sarà scortato anche da aerei, e che dopo aver scaricato i materiali
dovrà tornare a Napoli seguendo la rotta ad ovest della Sicilia.
26 giugno 1941
Vista la violenza
degli attacchi aerei, nel fondato timore che essi debbano proseguire per il
resto della notte ed anche la mattina successiva – mentre il convoglio è al di
fuori del raggio operativo della caccia italiana –, oltre che in seguito alla
notizia dell’avvistamento di un sommergibile in agguato lungo la rotta del
convoglio (avvistato ed attaccato da un velivolo della ricognizione marittima),
Supermarina ordina sia al convoglio che alla III Divisione di dirottare su
Taranto. Qui le navi giungono alle 17.
27 giugno 1941
Il convoglio riparte
da Taranto per Tripoli alle 17, con scorta diretta ed indiretta invariate,
seguendo una rotta che lo tenga quanto più possibile lontano da Malta. Anche
questa volta “ULTRA” intercetta e decifra i relativi messaggi, ma stavolta la
reazione britannica sarà assai meno violenta e tempestiva.
28 giugno 1941
In mattinata il
convoglio viene avvistato da un ricognitore britannico; il segnale di scoperta
da esso lanciato viene però intercettato e decifrato da Supermarina, che ne
informa il convoglio. Questi modifica allora notevolmente la rotta, ma nel
pomeriggio viene avvistato di nuovo; non si verificano però attacchi aerei
durante il giorno, né nella notte successiva.
29 giugno 1941
Intorno alle 9 il
convoglio, giunto in prossimità di Tripoli ed ormai lasciato dalla III
Divisione (che rientra a Messina, dove giunge alle 11) ma raggiunto dalla
scorta aerea (due caccia Macchi MC. 200, due S.M. 79 e due idrovolanti CANT Z.
501) viene attaccato da bombardieri britannici, i quali sganciano poche bombe
che non causano nessun danno.
Il convoglio giunge a
Tripoli alle 10.30 (o 11.15).
Nemmeno con l’arrivo
in porto, però, le traversie sono finite: tra le 18.30 ed il 19.45 alcuni
ricognitori britannici sganciano delle bombe sul porto, senza colpire le navi
(i trasporti hanno comunque già sbarcato le truppe, subito allontanate dal
porto); dalle 21.48 alle 23.49 il porto viene nuovamente attaccato da un
nutrito numero di bombardieri, ma le molte bombe lanciate finiscono anch’esse
in mare (alcune, inesplose, vengono scambiate per mine magnetiche, tanto che
all’alba si inizia un’operazione di dragaggio magnetico per preparare una rotta
d’uscita di sicurezza: ma di mine non ve ne sono).
30 giugno 1941
Alle 9.15 (o 9.30)
quattro bombardieri britannici Bristol Blenheim, provenienti da ovest, arrivano
sul porto di Tripoli a motore spento, volando a bassissima quota; la fittissima
foschia, causata da forte ghibli, impedisce alle stazioni di vedetta di
avvistarli prima che giungano sul porto. In un fulmineo attacco, i Blenheim
colpiscono l’Esperia, causando danni
e vittime.
Alle
20, nel corso di un nuovo attacco aereo sul porto, Gioberti, Aviere (caposcorta), Geniere e Da Noli ripartono per scortare a Napoli Esperia (sommariamente riparata ed in grado di riprendere a
navigare), Neptunia e Marco Polo. Nella notte si uniscono al
convoglio anche l’Oceania ed
il Lanciere, a loro volta
salpati da Tripoli alle 22. Questa volta si seguono le rotte di ponente.
2 luglio 1941
Il
convoglio arriva a Napoli alle 7.
16 luglio 1941
Gioberti, Oriani, Lanciere, Geniere e la torpediniera Centauro salpano
da Taranto per Tripoli alle 16, scortando i trasporti truppe Marco Polo, Neptunia ed Oceania.
Gli
incrociatori pesanti Trieste e Bolzano (III Divisione Navale) ed i cacciatorpediniere Ascari, Corazziere e Carabiniere
forniscono scorta a distanza.
Secondo
alcune fonti il convoglio sarebbe infruttuosamente attaccato, alle 13.35 (23
miglia a sud-sud-ovest di Messina), dal sommergibile britannico Unbeaten, ma si tratta probabilmente di
un errore.
18 luglio 1941
Il
convoglio giunge a Tripoli alle 14.30.
19 luglio 1941
Gioberti, Oriani, Lanciere e Geniere (caposcorta) lasciano Tripoli per Taranto alle 20.30,
scortando Neptunia, Oceania e Marco Polo. La III Divisione Navale fornisca ancora scorta
indiretta.
21 luglio 1941
Il
convoglio giunge a Taranto alle 16.30.
27 luglio 1941
Gioberti, Oriani, Aviere (caposcorta), Geniere e Camicia Nera salpano da Taranto per Tripoli alle 14, scortando Marco Polo, Neptunia ed Oceania
diretti a Tripoli lungo la rotta di levante. Le navi si tengono molto a levante
di Malta, per restare fuori dal raggio d’azione degli aerosiluranti ivi basati,
dirigendo all’incirca a metà strada fra Napoli e Bengasi, salvo accostare per
Tripoli la sera del 28, evitando i ricognitori nemici.
Il sommergibile
britannico Otus (tenente di vascello
Richard Molyneux Favell), inviato ad intercettare il convoglio in posizione
34°25’ N e 19°40’ E, non riesce a trovarlo.
29 luglio 1941
Il convoglio
raggiunge Tripoli alle 13; dopo che i tre trasporti hanno sbarcato le truppe,
essi ripartono già alle 21 per tornare a Napoli, sempre scortati da Gioberti, Oriani, Aviere
(caposcorta), Geniere e Camicia Nera. Rotta di ponente.
31 luglio 1941
Il convoglio arriva a
Napoli alle 4.
4 agosto 1941
Gioberti, Oriani, Aviere (caposcorta), Geniere, Camicia Nera e Calliope
salpano da Napoli alle 21 diretti a Tripoli, scortando un convoglio formato dai
piroscafi Castelverde, Aquitania, Nita, Nirvo ed Ernesto.
5 agosto 1941
Alle 13 si unisce al
convoglio anche la moderna motonave cisterna Panuco (per altra fonte, Pozarica),
proveniente da Palermo.
6 agosto 1941
Durante il
pomeriggio, a sud di Pantelleria, il convoglio viene avvistato da ricognitori
britannici; i segnali di scoperta da questi lanciati vengono immediatamente
intercettati sia dal caposcorta che da Supermarina, il che permette di intuire
che un attacco aereo da Malta è imminente.
Alle 16.40 vengono
avvistati aerei britannici, che tuttavia non attaccano, probabilmente perché il
convoglio è ancora munito di robusta scorta aerea (due bombardieri Savoia
Marchetti S.M. 79 "Sparviero" e sei aerei da caccia). Dopo una
incerta puntata contro il convoglio, gli aerei nemici si allontanano alle
16.48.
Alle 22, quando –
calato il buio – non vi è più scorta aerea, i britannici tornano all’attacco:
l’Aviere avvista cinque aerosiluranti
(sono Fairey Swordfish dell’830th Squadron della Fleet Air Arm) di
prora a sinistra, cioè nella direzione di Malta (ed anche della luna), ad un
centinaio di metri di quota.
I cacciatorpediniere
di prua aprono il fuoco per primi con le loro mitragliere, subito imitati dai
piroscafi ed in breve da tutte le navi del convoglio. Nonostante l’intenso e
serrato tiro delle navi, gli aerei britannici non demordono; tagliano la rotta
del convoglio passandogli 400 metri a proravia, indi defilano controbordo ai
piroscafi e lanciano cinque bengala, di cui tre (molto luminosi) rimangono
sospesi in aria e due si depositano sulla superficie del mare, galleggiando ed
emettendo poca luce. Viene dato l’allarme, ed i mercantili – molto ben
affiatati tra loro e con la scorta, grazie alle precedenti navigazioni compiute
insieme: si cerca di far navigare sempre insieme le stesse navi proprio per
questo scopo – accostano mettendo la prua sulla luna, così da minimizzare la
sagoma e di conseguenza il bersaglio; la Calliope
ritiene di vedere un aereo precipitare in fiamme a poppavia del convoglio.
Gli aerosiluranti
finiscono con lo sganciare un po’ a casaccio, ma un siluro va egualmente a
segno: la vittima è il Nita, ultimo
della formazione, colpito alle 22.10. Calliope
e Camicia Nera rimangono ad
assisterlo.
7 agosto 1941
Dopo ulteriori
attacchi aerei, il Nita affonda
all’1.30. Calliope e Camicia Nera recuperano tutti gli uomini
a bordo, tranne uno.
Alle 5.50 il resto
del convoglio, che prosegue verso Tripoli a 7 nodi, avvista a poppavia del
traverso, sulla sinistra, due bombardieri britannici Bristol Blenheim
(appartenenti al 105th Squadron della Royal Air Force), che si
avvicinano volando a bassa quota. È l’alba; la scorta aerea non è ancora
arrivata. Uno dei Blenheim mantiene le distanze, l’altro si avvicina con
decisione: piroscafi e navi scorta aprono il fuoco con cannoni e mitragliere.
Il Blenheim si tiene basso fino a poche centinaia di metri dal convoglio, indi
cabra e lancia quattro bombe contro l’Aquitania,
che non subisce danni seri (due bombe esplodono in mare, provocando danni da
schegge; altre due rimbalzano contro la murata, per poi cadere in mare
inesplose), per poi allontanarsi sorvolando gli altri piroscafi. Il secondo
Blenheim, compiuto un ampio giro, si porta a poppa dritta del convoglio ed
attacca a sua volta: accolto dal violentissimo fuoco delle navi, non sgancia le
bombe, ma passa tra mercantili e navi della scorta volando bassissimo sul mare,
si allontana, fa un altro giro, si porta nuovamente a poppa dritta del
convoglio e torna alla carica. Di nuovo, piroscafi e navi da guerra aprono un
furioso tiro contraereo con cannoni e mitragliere; l’aereo rinuncia di nuovo a
sganciare le bombe, passa bassissimo (2-3 metri sopra la superficie del mare)
tra i piroscafi e stavolta si allontana definitivamente verso est.
Alle 6.10, ad attacco
ancora in corso, giunge sul cielo del convoglio un idrovolante CANT Z. 1007
della Regia Aeronautica (che però non vede il Blenheim); più tardi arrivano
anche un S.M. 79 e due caccia biplani FIAT CR. 42.
Alle 6.45 il
convoglio attraversa una zona ove la sera prima è stato avvistato un
sommergibile, pertanto i mercantili zigzagano, mentre le navi scorta evoluiscono
ad alta velocità e lanciano bombe di profondità. A mezzogiorno Tripoli comunica
di essere sotto bombardamento aereo, ed alle 12.35 vengono avvistati tre aerei
sospetti in lontananza, sulla sinistra; non si verificano, però, altri
attacchi.
Il resto del
convoglio raggiunge Tripoli alle 18.
8 agosto 1941
Gioberti, Oriani, Aviere (caposcorta) e Camicia Nera lasciano Tripoli alle 15
per scortare a Napoli le motonavi Andrea
Gritti, Vettor Pisani, Rialto ed Ankara (tedesca).
10 agosto 1941
Il convoglio arriva a
Napoli alle 9.30.
19 agosto 1941
Alle due di notte il Gioberti, insieme all’Oriani ed ai cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi (caposcorta,
contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone) e Nicoloso
Da Recco, salpa da Napoli diretto a Tripoli per scortarvi un convoglio
veloce composto dai trasporti truppe Esperia,
Marco Polo (capoconvoglio,
contrammiraglio Francesco Canzonieri), Neptunia
ed Oceania. Il convoglio deve seguire
la rotta che passava a ponente di Malta, passando per il Canale di Sicilia,
Pantelleria e le Kerkennah.
Alle 13.30 si unisce
alla scorta la vecchia torpediniera Giuseppe
Dezza, proveniente da Trapani, ed alle 14.50, sempre quale rinforzo, anche
i cacciatorpediniere Maestrale, Grecale e Scirocco.
Vi è inoltre una
scorta aerea, presente continuamente durante le ore diurne fino alle 21 (sia
nel Tirreno che nel Canale di Sicilia), consistente in bombardieri S.M. 79 e
caccia FIAT CR. 42 nonché, nel tardo pomeriggio del 19, idrovolanti CANT Z. 506
in funzione antisommergibili.
Il convoglio procede a
zig zag, seguendo la rotta che passa a ponente di Malta, passando per il Canale
di Sicilia, Pantelleria e le Kerkennah.
Nel tardo pomeriggio
il convoglio, che si trovava a nord di Pantelleria, incappa in uno sbarramento
di sommergibili britannici, venendo attaccato pressoché contemporaneamente
dall’Urge (tenente di vascello Edward
Philip Tomkinson) e dall’Unbeaten
(capitano di corvetta Edward Arthur Woodward). Quest’ultimo avvista il
convoglio alle 18.18 (inizialmente i soli fumaioli, a 8700 metri di distanza
per 325°; le navi intere alle 18.22, quando la distanza era scesa a 7315 metri)
in posizione 37°02’ N e 12°00’ E, circa 15 miglia a nord di Pantelleria, ed
alle 18.31 lancia tre siluri (un quarto non parte) da 5945 metri; le armi
passano tutte molto a proravia del convoglio, senza colpire nulla, ed un CANT
Z. 501 della 196a Squadriglia avvista le scie e lancia due bombe
contro l’Unbeaten, che tuttavia è già
sceso in profondità dopo il lancio. L’Urge,
invece, avvista il convoglio (avente rotta 180°) alle 18.26, nel punto 37°04’ N
e 11°51’ E (una quindicina di miglia a nord-nord-ovest di Pantelleria), a
6400-7315 metri per 30°, e manovra per attaccare, ma alle 18.32 la sua manovra
d’attacco viene interrotta da un’accidentale perdita di assetto, e dal contemporaneo
rapido avvicinamento di un cacciatorpediniere, avvisato da un aereo che lo ha
avvistato alle 18.15. Tra le 18.36 e le 19.25 Gioberti e Vivaldi bombardano
l’Urge con bombe di profondità, senza
riuscire a danneggiarlo, ma costringendolo a ritirarsi verso nordovest ed a
rinunciare all’attacco. Prima di questi attacchi, alle 17.20 (a nord di
Pantelleria), il Marco Polo ha già
evitato due siluri con la manovra, dopo la diramazione del segnale «Scie di
siluri a sinistra».
20 agosto 1941
All’una di notte Maestrale e Grecale lasciano il convoglio per tornare a Trapani, mentre alle
8.30 – quando il convoglio imbocca la rotta di sicurezza numero 3 (rotta vera
138°) – si aggregano alla scorta la torpediniera Partenope (con funzioni di pilotaggio) e due MAS inviati da
Tripoli; il convoglio è inoltre preceduto da un gruppo di dragamine, che già da
diverse ore stanno passando a setaccio quel tratto di mare. Le navi procedono a
17 nodi di velocità, zigzagando fin dall’alba (tranne la Partenope); pur essendo già sulla rotta di sicurezza, il caposcorta
ha preferito mantenere la formazione di navigazione in mare aperto e lo
zigzagamento, quale ulteriore precauzione contro i molti sommergibili che si
sapeva infestare le acque antistanti le coste della Libia. In prossimità del
punto «A» di atterraggio a Tripoli, l’Oriani
lancia sei bombe di profondità a scopo intimidatorio.
Il convoglio procede
su quattro colonne, due di mercantili e due di navi scorta: da sinistra, una
prima colonna formata da Vivaldi (a
proravia) e Gioberti (poppavia, al
traverso a sinistra dell’Esperia),
con un MAS sul lato esterno; più a dritta, la colonna formata da Marco Polo (a proravia) ed Esperia (a poppavia); a dritta di
queste, la Neptunia seguita dall’Oceania (al traverso a dritta dell’Esperia); poi un altro MAS (a proravia
sinistra della Neptunia) e, sul lato
esterno a dritta, una colonna formata da Da
Recco (a proravia), Oriani (al
centro) e Scirocco (a poppavia). La Partenope procede in testa al convoglio,
mentre la Dezza lo chiude in coda, a
poppavia di Esperia ed Oceania.
Fin dall’alba del 20
torna sul cielo del convoglio la scorta aerea, costituita da due caccia e da
due idrovolanti CANT Z. 501 per scorta antisommergibili.
Tra le 6.36 e le 7.25
il sommergibile britannico Unique
(tenente di vascello Anthony Richard Hezlet) avvista la Partenope ed i MAS diretti incontro al convoglio e tre dei
dragamine (che passano a circa un miglio di distanza del sommergibile, più
vicini alla costa): ciò gli permette di dedurre la posizione del canale dragato,
e di posizionarsi vicino al suo imbocco per attendere il previsto arrivo del
convoglio. Alle 9.56 il sommergibile avvista nel punto 33°03’ N e 13°03’ E, a
otto miglia per 305°, quattro transatlantici in avvicinamento con rotta 155°;
alle 10.10 la distanza si è ridotta a 5945 metri, e Hezlet inizia a distinguere
alcune unità della scorta. Alle 10.19, dopo aver superato lo schermo della
scorta, l’Unique lancia una salva di
quattro siluri da appena 600 metri di distanza, contro l’Esperia, per poi scendere subito a 27 metri ed iniziare a ritirarsi
verso nord.
Alle 10.20 l’Esperia viene colpito in rapida
successione da tre siluri, ed inizia rapidamente a sbandare sulla sinistra.
Il resto del
convoglio accosta immediatamente sulla dritta, come prescritto dalle norme, poi
il Marco Polo segnala alle altre navi
di seguirlo e dirige a tutta forza verso il vicino porto, preceduto dalla Partenope e seguito dagli altri
trasporti (arriveranno tutti indenni a Tripoli, alle 12.30).
Pochi minuti dopo il
siluramento, i velivoli della scorta aerea sganciano alcune bombe contro l’Unique, circa un chilometro al traverso
a sinistra dell’Esperia; a questo
punto il caposcorta Nomis di Pollone, acclarato che la nave è stata silurata da
un sommergibile (prima vi era incertezza, sulle altre unità, se le esplosioni
fossero dovute a siluri oppure a mine), ordina al Gioberti ed ai MAS di dare la caccia al sommergibile, al Da Recco di accompagnare i trasporti nel
primo tratto dell’allontanamento (poi lo richiama perché si unisca al Gioberti nella caccia antisommergibili)
ed a Dezza, Oriani e Scirocco di
provvedere al salvataggio dei naufraghi, cui inoltre partecipa con il suo
stesso Vivaldi.
In soli dieci minuti
l’Esperia affonda nel punto 33°03’ N
e 13°03’ E, a 11 miglia per 318° dal faro di Tripoli, tra il caos totale dovuto
al panico che ha invaso le truppe imbarcate.
Per un’ora e mezza Oriani, Vivaldi, Scirocco e Dezza recuperano dal mare centinaia di
naufraghi; mezzogiorno sopraggiungono tre rimorchiatori ed alcuni motovelieri
di Marina Tripoli; dato che le navi della scorta hanno già recuperato la
maggior parte dei superstiti, ed è pericoloso che si trattenessero ancora in
zona insidiata dai sommergibili con centinaia di naufraghi a bordo, Nomis di
Pollone ordina ad Oriani e Scirocco di raggiungere Tripoli, e
lascia sul posto i rimorchiatori e motovelieri di Marina Tripoli per completare
l’opera di salvataggio, sotto la protezione della Dezza.
Grazie all’operato
delle unità soccorritrici, ben 1139 dei 1182 uomini imbarcati sull’Esperia (oltre il 96 %) vengono tratti
in salvo, nonostante la rapidità e caoticità dell’affondamento.
Terminata la caccia
senza risultato positivo, il Gioberti
entra a Tripoli.
21 agosto 1941
Il Gioberti lascia Tripoli alle 17 insieme
a Vivaldi (caposcorta), Oriani, Da Recco e Scirocco, per
scortare a Napoli Marco Polo, Neptunia ed Oceania.
Durante la notte le
navi vengono violentemente attaccate da aerei, ma le unità della scorta
vanificano l’attacco emettendo cortine fumogene e dirottando la formazione.
23 agosto 1941
Il convoglio giunge a
Napli alle 7.
29 agosto 1941
Il Gioberti, insieme ai cacciatorpediniere Aviere (caposcorta), Camicia Nera, Emanuele Pessagno, Antonio Da Noli ed Antoniotto Usodimare,
salpa da Napoli per Tripoli alle 11.15, scortando i grossi trasporti truppe Victoria, Neptunia ed Oceania.
A mezzogiorno il
sommergibile britannico Urge (tenente
di vascello Edward Philip Tomkinson) avvista il convoglio mentre transita nella
Bocca Piccola diretto verso sud, per poi disporsi su due colonne (Neptunia e Oceania nella colonna di dritta, Victoria da sola in quella di sinistra) ed assumere rotta 215°.
Dopo essere temporaneamente sceso a 15 metri (dalle 12.14 alle 12.16) per non
essere avvistato da un cacciatorpediniere che ha ridotto le distanze, alle
12.18 l’Urge, nel punto 40°25’ N e
14°25’ E (al largo di Capri), lancia tre siluri da 3660 metri contro il
trasporto più vicino: la Victoria,
che Tomkinson ha scambiato per un più grande e vecchio transatlantico del tipo
“Duilio”. La motonave viene mancata
dai siluri, così come l’Urge viene
mancato dalle 26 bombe di profondità gettate dalla scorta tra le 12.24 e le
12.55 (nessuna esplode particolarmente vicino al sommergible), così ritirandosi
verso sudest con l’errata impressione di avere colpito il bersaglio.
31 agosto 1941
Alle 6.30 il
sommergibile britannico Upholder
(tenente di vascello Malcolm David Wanklyn) rileva rumori di navi in
avvicinamento, nota del fumo e poi avvista il convoglio (con i trasporti truppe
disposti su due colonne) in avvicinamento su rotta 250°, poi 225°. Avvicinatosi
con un’accostata verso nord, il battello britannico lancia una salva di quattro
siluri, da 5500-6400 metri di distanza, alle 7.10, contro Neptunia e Oceania (in
posizione 32°50’ N e 13°55’ E, a levante di Tripoli). Nessuna delle armi va a
segno, e dalle 7.16 alle 7.30 due dei cacciatorpediniere contrattaccano con il
lancio di 23 bombe di profondità, che tuttavia non danneggiano l’Upholder il quale frattanto si ritira
verso nord.
Il convoglio giunge a
Tripoli alle 9.30.
Gioberti, Pessagno, Usodimare, Da Noli, Aviere
(caposcorta) e Camicia Nera ripartono
da Tripoli già alle 20.30, scortando Victoria,
Neptunia ed Oceania che rientrano vuote a Taranto.
2 settembre 1941
Il convoglio arriva a
Taranto alle 15.
16 settembre 1941
Il Gioberti salpa da Taranto alle 20.20,
insieme ai cacciatorpediniere Da Recco
(caposcorta, capitano di vascello Stanislao Esposito), Pessagno, Da Noli, Usodimare ed Oriani, per scortare a Tripoli un convoglio veloce formato dalle
motonavi Vulcania, Neptunia ed Oceania, cariche di truppe italiane e tedesche.
Il convoglio non
segue subito la rotta diretta per Tripoli, mantenendosi invece molto più ad
est, in modo da tenersi al di fuori del raggio operativo degli aerosiluranti di
base a Malta (è previsto di accostare per Tripoli solo quando si sarà giunti
nei pressi della costa libica). Inizialmente la navigazione del convoglio si
svolge approssimativamente lungo la tangente al cerchio avente centro Malta e
raggio 160 miglia; poi, dopo l’accostata, le navi imboccheranno un corridoio
stretto tra il predetto cerchio di raggio 160 miglia, a nord, ed i campi
minati, a sud.
E proprio nel tratto
finale di questo “corridoio”, dove il percorso è obbligato, sono stati inviati
in agguato, a seguito di decrittazioni di “ULTRA” su orari e rotte del
convoglio, quattro sommergibili britannici: l’Unbeaten (100 miglia ad est di Tripoli), l’Upholder (10 miglia a nordovest dell’Unbeaten) e l’Upright (20
miglia a nordovest dell’Unbeaten), a
formare uno sbarramento perpendicolare alla presunta rotta dei convogli diretti
da Tripoli e provenienti da est; e l’Ursula,
30 miglia ad est di Tripoli, all’imbocco della rotta di sicurezza.
17 settembre 1941
In mattinata, il
convoglio viene avvistato da un ricognitore britannico, avvistato dall’Usodimare alle otto del mattino. Alle
16.52 l’Usodimare avvista un
sommergibile su rilevamento 140°, a 7000 metri di distanza; mentre il convoglio
accosta a dritta, Pessagno ed Usodimare, che sono in posizione di
scorta laterale a sinistra, lasciano la formazione e danno la caccia al
sommergibile; il Gioberti viene
mandato dal caposcorta a rimpiazzare il Pessagno,
e riceve ordine, unitamente al Da Noli,
di lanciare bombe di profondità a scopo intimidatorio (qualora dovesse trovarsi
in zona anche un secondo sommergibile). Alle 17.20 Pessagno ed Usodimare si
riuniscono al convoglio che, già pochi minuti dopo l’avvistamento, è tornato
sulla rotta originaria (180°). Probabilmente si è trattato di un falso allarme,
non risultando che vi fossero sommergibili britannici nella zona attraversata
in quel momento.
Alle 19.15 il
convoglio assume rotta 255° (per giungere al punto di atterraggio "B",
tra Homs e Tripoli), ed alle 21.05 il Pessagno
segnala al caposcorta l’avvistamento di un bengala del tipo utilizzato dai
britannici, spentosi immediatamente.
Il convoglio procede
con le motonavi disposte in formazione a triangolo (Oceania a dritta, Vulcania
a sinistra, Neptunia in coda tra le
due), con i cacciatorpediniere tutt’intorno (il Da Recco in testa, quale caposcorta).
18 settembre 1941
Alle 3.30 appare la
luna all’ultimo quarto, a poppavia sinistra del convoglio. Alcuni minuti prima,
alle 3.07, l’Unbeaten (il più a sud
dei tre sommergibili dislocati a cavallo della rotta) ha avvistato le navi
italiane dirette verso Tripoli; essendo troppo lontano per lanciare i siluri
con concrete possibilità di successo, il battello britannico comunica
l’avvistamento per radio ai tre “colleghi” in agguato nelle vicinanze, che
ricevono tutti il messaggio. Anche Supermarina intercetta e decifra il
messaggio dell’Unbeaten, che
ritrasmette il prima possibile al Da
Recco, per avvisarlo: ma è già troppo tardi.
L’Upholder, infatti, non appena ricevuto
il messaggio si è mosso verso il convoglio, l’ha avvistato alle 3.50 a 6 miglia
per 045° (la visibilità del convoglio è aumentata da un problema della Vulcania, dal cui fumaiolo esce un
vistoso pennacchio di scintille) ed ha lanciato una salva di siluri, alle 4.06
(orario britannico), da 4570 metri di distanza.
Alle 4.15 (orario
italiano), due delle armi vanno a segno: in posizione 33°02’ N e 14°42’ E
(fonti italiane; 33°01’ N e 14°49’ E per l’Upholder),
la Neptunia e l’Oceania vengono colpite, una dopo l’altra. Il disastro coglie il
convoglio del tutto di sorpresa: nessuno, né sulle motonavi né sui
cacciatorpediniere, ha avvistato il sommergibile o le scie dei siluri, neanche
all’ultimo momento.
Mentre la Vulcania, unica rimasta indenne,
prosegue per Tripoli con la scorta dell’Usodimare
(capitano di freagata Galleani) per ordine del caposcorta (le due navi
giungeranno indenni a destinazione, dopo aver eluso un attacco da parte dell’Ursula), gli altri quattro
cacciatorpediniere si portano subito sotto le navi colpite, per fornire
soccorso.
La Neptunia è, delle due, quella in
condizioni più critiche: il siluro è esploso a poppavia del traverso,
probabilmente sotto la chiglia, provocando immediatamente l’immobilizzazione
della nave e la cessazione dell’erogazione dell’energia elettrica. La motonave
inizia subito ad appopparsi ed a sbandare sulla sinistra (inizialmente 9°-10°);
il Gioberti riceve ordine dal Da Recco di prestarle assistenza, e di
recuperare gli uomini che si stanno gettando in mare. Successivamente anche il Da Noli viene inviato a cooperare col Gioberti nel recupero dei naufraghi.
Così viene fatto: Gioberti e Da Noli si portano sulla dritta della Neptunia (cioè sopravento), fermandosi a 50-100 metri dalla
motonave, mentre questa cala tutte le scialuppe, cariche di soldati. Molti
altri soldati si sono gettati direttamente in acqua; quelli rimasti a bordo
dopo la partenza delle scialuppe ricevono istruzione di calarsi in mare lungo
corde e biscagline, mentre vengono gettati in mare tutti gli zatterini e
centinaia di galleggianti di fortuna, quali tavole e pannelli da boccaporto. Gioberti e Da Noli recuperano incessantemente i naufraghi dalle imbarcazioni e
dal mare; tutti indossano i giubbotti salvagente e sono privi delle scarpe. L’appoppamento
e lo sbandamento della Neptunia si
aggravano sempre più; alle 6.20, fallito ogni tentativo di contenere gli
allagamenti, viene dato l’ordine di abbandono generale della nave (a bordo sono
rimasti pochi soldati e parte dell’equipaggio).
Alle 6.50 la Neptunia s’inabissa con la poppa in
verticale. Gioberti e Da Noli continuano a recuperare i
naufraghi; verso le 7.30 si unisce a loro anche il Da Recco.
Maggiori speranze si
nutrono per l’Oceania, che – colpita
a poppa – non ha subito danni tali da comprometterne la galleggiabilità: gli
allagamenti vengono contenuti, e la maggior parte dell’apparato propulsivo
(eccetto la motrice interna di sinistra, che dev’essere fermata per probabile
perdita dell’elica) rimane in funzione. Prima di tentare un rimorchio,
comunque, il suo comandante decide di trasferire le truppe sul Pessagno.
Nel mentre, i
britannici sono ancora all’opera: alle cinque del mattino l’Upright, avvistando le due motonavi
immobilizzate, ha dato inizio ad una manovra d’attacco per dare loro il colpo
di grazia, salvo rinunciare alle 5.25 per la presenza dei cacciatorpediniere.
Per giunta l’Upholder, sceso in profondità dopo
l’attacco (alle 4.08) per ripiegare verso sud, alle 4.45 è riemerso ed ha
osservato la scena delle due motonavi colpite con i cacciatorpediniere
impegnati nei soccorsi, e Wanklyn ha deciso di spostarsi verso est per ricaricare
i siluri ed attaccare nuovamente all’alba: alle 5.30 l’Upholder torna ad immergersi e si avvicina alle navi italiane,
ricaricando i tubi di lancio, ed alle 6.30 avvista l’Oceania ed il Pessagno,
decidendo di attaccare la prima.
Alle 6.52 anche l’Unbeaten (capitano di corvetta Edward
Arthur Woodward) avvista l’Oceania
danneggiata e si avvicina per attaccare, ma viene dissuaso dalla presenza dei
cacciatorpediniere.
Alle 7.56 l’Upholder sta per lanciare i siluri,
quando un cacciatorpediniere classe Navigatori (probabilmente il Pessagno od il Da Recco) gli passa vicino, inducendo Wanklyn a scendere in
profondità; alle 7.59 l’Upholder
scende a 21 metri e manovra per portarsi di nuovo in poszione di attacco. Intanto,
il Da Recco giunge sul posto per
sostituire il sovraccarico Pessagno
(ha a bordo oltre 2000 uomini) nell’opera di soccorso.
Alle 8.51 l’Upholder lancia un’altra salva di siluri
contro l’Oceania: colpita da due
delle armi, la motonave affonda in sette minuti. Al Da Recco non resta che recuperare i naufraghi, operazione alla
quale partecipano anche le torpediniere Perseo,
Centauro, Circe e Clio (giunte
verso le otto) e la nave soccorso Laurana,
inviate sul posto da Marina Libia.
La perdita dei due
transatlantici è un duro colpo, ma grazie all’alacre opera di soccorso delle
siluranti risulta possibile salvare la larghissima maggioranza del personale
imbarcato: 5434 uomini su 5818, cioè il 93 %. Il Gioberti ha salvato 582 uomini; il Pessagno ne ha recuperati 2083, il Da Recco 1302, il Da Noli
682, l’Usodimare (tornato sul posto
dopo aver accompagnato a Tripoli la Vulcania)
485, la Clio 163, la Perseo 131, la Circe 3 ed altri tre gli idrovolanti di soccorso.
Molti gli episodi di
altruismo e di vero e proprio eroismo: diversi marinai dei cacciatorpediniere
si sono tuffati in acqua per sostenere e soccorrere i soldati che versavano in
condizioni peggiori; una volta a bordo, i naufraghi sono stati rifocillati e
rivestiti con indumenti offerti spontaneamente da ufficiali e marinai delle
unità soccorritrici.
19 settembre 1941
Lasciata Tripoli, il Gioberti raggiunge in mattinata un
convoglio in navigazione da Napoli a Tripoli (piroscafo Caterina, motonavi Marin
Sanudo e Col di Lana, nave
cisterna Minatitlan, scortate dai
cacciatorpediniere Freccia –
caposcorta –, Euro, Dardo e Folgore), che alle quattro del giorno precedente è stato attaccato
da aerosiluranti britannici al largo di Misurata, abbattendo un velivolo ma
subendo il grave danneggiamento della Col
di Lana. Il Gioberti si unisce
alla scorta del convoglio (del quale non fa più parte la danneggiata Col di Lana, che viene rimorchiata a
Trapani dai rimorchiatori Liguria e Montecristo, con l’assistenza del Dardo), che raggiunge Tripoli alle
12.30.
20 settembre 1941
Gioberti, Freccia (caposcorta,
capitano di fregata Giorgio Ghè), Folgore
ed Euro lasciano Napoli per Tripoli
alle 20.20, scortando i piroscafi Tembien,
Giulia, Nirvo e Bainsizza,
seguendo la rotta di ponente.
21 settembre 1941
Alle 19.45, dopo il
tramonto, il convoglio viene attaccato a sorpresa da due bombardieri; il Tembien viene colpito. L’Euro viene lasciato sul posto per
assistere la nave danneggiata, mentre il resto del convoglio prosegue.
22 settembre 1941
Alle 00.06 Euro e Tembien si ricongiungono con il convoglio, ed il Tembien riassume il suo posto in
formazione. Alle 7.30, su ordine del caposcorta, il Tembien lascia nuovamente il convoglio, scortato dall’Euro, e dirige verso Pantelleria. In
prossimità del porto dell’isola, l’Euro
trasborda sul Tembien 28 naufraghi
illesi recuperati in precedenza, poi si riunisce al convoglio, mentre il Gioberti assume la scorta del piroscafo.
Il Tembien prosegue a lento moto per
Trapani, dove giunge alle 17, scortato dal Gioberti.
(Per altra fonte il Tembien sarebbe
invece giunto a Napoli con le altre navi, alle 23 del 23 settembre.)
26-29 settembre 1941
Il Gioberti, temporaneamente aggregato alla
XIII Squadriglia Cacciatorpediniere, salpa da Napoli insieme al resto di tale
Squadriglia (Granatiere –
caposquadriglia –, Bersagliere e Fuciliere) nonché alle navi da battaglia
Littorio e Vittorio Veneto (IX Divisione) ed alla XVI Squadriglia
Cacciatorpediniere (Folgore, Da Recco, Pessagno) per raggiungere ed attaccare un convoglio britannico
diretto a Malta e scortato dalla Forza H britannica con tre corazzate ed una
portaerei, oltre a cinque incrociatori e 18 cacciatorpediniere (operazione
britannica «Halberd»). Partono anche la III (Trento, Trieste, Gorizia) e la VIII Divisione (Duca degli Abruzzi, Attendolo) rispettivamente da Messina e La Maddalena, accompagnate
rispettivamente dalla XII (Lanciere, Carabiniere, Corazziere, Ascari) e
dalla X Squadriglia Cacciatorpediniere (Maestrale,
Grecale, Scirocco). A mezzogiorno del 27 la III, la VIII e la IX Divisione,
con le rispettive squadriglie di cacciatorpediniere, si riuniscono una
cinquantina di miglia ad est di Capo Carbonara, per intercettare il convoglio,
poi dirigono verso sud a 24 nodi per l’intercettazione. Risultando però – in
seguito alle segnalazioni dei ricognitori – in inferiorità rispetto alla forza
britannica, e per giunta sprovvista di copertura aerea, la squadra italiana
alle 14.30 inverte la rotta per portarsi fuori dal raggio degli aerosiluranti
nemici. Alle 15.30 sopraggiungono tre caccia italiani FIAT CR. 42 assegnati
alla scorta aerea, ma, per via della loro somiglianza agli aerosiluranti
britannici (sono anch’essi biplani), vengono inizialmente scambiati per aerei
inglesi ed il Fuciliere ne abbatte il
capo pattuglia, mentre gli altri due si allontanano. Il pilota dell’aereo,
fortunatamente, rimane illeso e può paracadutarsi, venendo poi recuperato dal Granatiere. Alle 17.18, avendo ricevuto
comunicazioni secondo cui la squadra britannica avrebbe subito pesanti danni a
causa degli attacchi aerei, la formazione italiana dirige nuovamente verso sud
(prima stava procedendo verso nord), salvo invertire nuovamente la rotta alle
18.14, portandosi al centro del Mar Tirreno. Alle otto del mattino del 28 le
navi italiane, come ordinato, raggiungono un punto 80 miglia ad est di Capo
Carbonara, poi fa rotta per ovest-sud-ovest ma infine, alle 14.00, dato che i
ricognitori non trovano più alcuna nave nemica a sud ed ad ovest della Sardegna
(il convoglio è infatti passato) viene ordinato il rientro alle basi. La XIII
Squadriglia e la IX Divisione arrivano a Napoli nella mattina del 29.
2 ottobre 1941
Il Gioberti parte da Napoli per Tripoli
alle 22.30, insieme ai cacciatorpediniere Antonio Da Noli (caposcorta, capitano di fregata Luigi Cei
Martini), Antoniotto Usodimare ed Euro, di scorta ad un convoglio composto
dalle motonavi Vettor Pisani, Rialto, Fabio Filzi e Sebastiano
Venier, italiane, Ankara e Reichenfels, tedesche. In tutto le navi
del convoglio trasportano 828 veicoli, 12.110 tonnellate di materiali vari,
provviste e munizioni, 3162 tonnellate di carburante e 1060 uomini: circa metà
della loro portata, per frazionare il carico tra più navi in modo da ridurre le
perdite nel caso dell’affondamento di una di esse.
Il convoglio,
denominato «Pisani», segue la rotta di levante, per lo stretto di Messina ed ad
est di Malta (a circa 90 miglia dall’isola, perché la recente introduzione dei
bombardieri ed aerosiluranti Vickers Wellington, dotati di maggiore autonomia
dei Fairey Swordfish ed Albacore sino ad ora impiegati, rende inutile viaggiare
a distanza maggiore: in tali condizioni, allora, tanto vale viaggiare più
vicini a Malta, per ridurre la durata della traversata e prolungare il tempo in
cui la caccia proveniente dalla Sicilia può tenere il convoglio sotto la
propria protezione).
La velocità del
convoglio dovrebbe essere di 14 nodi, ma il Reichenfels ha problemi di macchina che costringono a ridurla
a 10 nodi, che più avanti è possibile portare a 13.
4 ottobre 1941
Alle 14 Rialto e Reichenfels si scambiano di posto nella formazione, per ordine
del caposcorta.
Nelle giornate del 3
e 4 ottobre, di giorno, il convoglio fruisce della scorta aerea di bombardieri
Savoia Marchetti SM. 79 "Sparviero" della Regia Aeronautica e di
caccia Messerschmitt della Luftwaffe, ma poco dopo le dieci del mattino del 4
ottobre viene avvistato da ricognitori britannici provenienti da Malta, che
informano subito i propri comandi.
Supermarina
intercetta i segnali di scoperta lanciati dai ricognitori, e richiede a
Superaereo di sottoporre Malta, in serata, ad un violento bombardamento, così
da impedire che gli aerei destinati ad attaccare il convoglio nottetempo
possano decollare; il bombardamento avrà luogo, ma per “ragioni di forza
maggiore” non sarà intenso come richiesto da Supermarina, così gli aerei di
Malta possono decollare egualmente.
Dopo
l’intercettazione del segnale di scoperta, Supermarina ne mette al corrente
anche il caposcorta Cei Martini, che dopo il tramonto fa coprire tutto il
convoglio con cortine nebbiogene, così che i ricognitori nemici non lo vedano
accostare, poi modifica la rotta nel tentativo di ingannare gli aerei
britannici.
Il provvedimento
sembra avere un temporaneo successo, ma tra l’una e le due di notte del 5
ottobre i ricognitori nemici ritrovano il convoglio.
5 ottobre 1941
Alle 00.45, un
sommergibile attacca infruttuosamente il convoglio e l’Usodimare contrattacca, ritenendo di averlo danneggiato.
Poco dopo le 2.52 del
5 ottobre ha inizio un attacco aereo; viene dato l’allarme, ed i
cacciatorpediniere della scorta riescono ad occultare i mercantili con cortine
di nebbia. Non appena gli aerei si avvicinarono, tutte le navi del convoglio
aprono un violento fuoco di sbarramento, che costringe gli attaccanti a
ritirarsi. La navigazione prosegue, con vigilanza rafforzata.
Alle 3.52, una
settantina di miglia a nord di Misurata (per altra fonte, 80 miglia a
nord-nord-est di tale città), ha inizio un secondo attacco, da parte di quattro
aerosiluranti Fairey Swordfish dell’830th Squadron della Fleet Air Arm
decollati da Malta. Il caposcorta Cei Martini fa emettere nuovamente cortine
fumogene, ma si accorge che, con il vento che spira dai settori poppieri, la
cortina non è efficace; risale quindi il convoglio su rotta invertita ed
emettendo fumo, così riuscendo ad occultare tutto il lato sinistro. Il lato
dritto, quello opposto alla luna, resta però scoperto; e da quel lato attaccano
gli aerosiluranti, che alle 3.57 colpiscono la Rialto con uno o due siluri. Uno degli aerei viene abbattuto,
ma la motonave rimane immobilizzata ed inizia a sbandare fortemente.
Inizialmente l’Euro viene inviato ad
assisterla, ma poco dopo, quando esso riferisce di essere sorvolato da aerei,
il caposcorta decide di mandare il Gioberti
a sostituirlo: ciò allo scopo di mantenere sul posto per breve tempo (il tempo
necessario all’avvicendamento) due cacciatorpediniere, e poi lasciare quello
dei due che ha il maggiore armamento contraereo (il Gioberti).
Nelle ore successive,
Gioberti ed Euro recuperano dal mare e dalle imbarcazioni i naufraghi della Rialto (il Gioberti mette a mare, a tale scopo, la sua motobarca). Su
richiesta del regio commissario della Rialto
(al quale anzi, in un primo momento, è stato proprio il comandante del
cacciatorpediniere ad ordinare di tornare a bordo), il Gioberti si avvicina alla motonave agonizzante per verificare le
possibilità di un salvataggio, ma giunti a distanza utile l’impraticabilità di
tale idea risulta evidente, dato lo sbandamento eccessivo assunto dalla
motonave; avvicinandosi alla Rialto,
però (il regio commissario ha informato il comandante del Gioberti della presenza, a bordo della Rialto, di documenti segreti ancora intatti, per cui è necessario
procedere alla loro distruzione o recupero oppure accelerare l’affondamento
della motonave), il Gioberti ha modo
di avvistare due artiglieri che, presi dal panico, sono ancora a bordo della
motonave. Messo a mare un battellino al comando del regio commissario della Rialto, i due artiglieri vengono
faticosamente tratti in salvo.
La Rialto affonderà alle dieci del
mattino, dopo che i due cacciatorpediniere avranno recuperato 145 dei 165
uomini imbarcati.
Il resto del
convoglio, proseguito dopo il siluramento, viene raggiunto dalle
torpediniere Partenope (dopo
rastrello antisommergibile) e Calliope (per
pilotaggio e rinforzo alla scorta) inviate da Tripoli, ed arriva nel porto
libico alle 15 (o 15.30) dello stesso giorno.
7 ottobre 1941
Il Gioberti (caposcorta) ed il
cacciatorpediniere Emanuele Pessagno salpano da Tripoli per Napoli
alle 17.30, scortando il piroscafo scarico Amsterdam.
9 ottobre 1941
Nella notte tra l’8
ed il 9, a nordest di Marettimo, le navi sono oggetto di attacco aereo, durante
il quale l’Amsterdam viene colpito da
una bomba a prua; nonostante il danno, la nave è in grado di proseguire con i
propri mezzi, senza nemmeno dover ridurre la velocità.
Le tre navi giungono
a Napoli alle 18.15.
16 ottobre 1941
Il Gioberti (capitano di fregata Vittorio
Prato) salpa da Napoli alle 13.30 facendo parte della scorta del convoglio
«Beppe», composto dalle motonavi Marin
Sanudo, Probitas, Beppe, Paolina e Caterina e
scortato, oltre che dal Gioberti,
dai cacciatorpediniere Alfredo
Oriani, Folgore (caposcorta,
capitano di fregata Giuriati), Fulmine ed Antoniotto Usodimare e dalla torpediniera Cigno.
Alle 16.50 il Probitas viene colto da un’avaria e
deve rientrare a Napoli scortato dal Fulmine,
mentre la minuscola motonave Amba
Alagi si unisce al convoglio a Trapani, dove viene invece lasciata la Cigno.
17 ottobre 1941
Il 17 ottobre
“ULTRA”, la celebre organizzazione britannica dedicata alla decrittazione dei
messaggi in codice dell’Asse, intercetta e decifra un messaggio relativo al
convoglio «Beppe» (da esso chiamato «Caterina»), apprendendone così la
composizione (6 mercantili e 4 cacciatorpediniere), data e luogo di partenza
(Napoli, ore 11 del 16) ed arrivo (Tripoli, ore 18 del 19), rotta seguita (a
ponente di Malta) e velocità (9 nodi); da Malta vengono pertanto fatti
decollare dei ricognitori, che rintracciano le navi italiane a mezzogiorno.
Nella notte tra il 17
ed il 18 il convoglio, che procede a velocità molto bassa e si trova a sud di
Pantelleria, viene informato via radio da Supermarina di essere stato avvistato
da un ricognitore britannico. Un’ora dopo si verificano i primi attacchi da
parte di almeno tre aerosiluranti: questi attaccano dopo aver lanciato dei
razzi illuminanti, ma l’attacco può essere eluso grazie a manovre difensive ed
alla pronta stesura di cortine nebbiogene, attorno ai mercantili, da parte
della scorta (grazie anche alla rotta seguita, 188°, ed al leggero vento di
poppa).
18 ottobre 1941
Mentre il convoglio è
a sud di Lampedusa (nel punto 35°25' N e 11°39' E), ed a 140
miglia da Tripoli (per altra fonte, 45 miglia ad ovest di
Lampedusa e 85 miglia ad ovest-nord-ovest di Tripoli), il
sommergibile britannico Ursula (tenente
di vascello Arthur Richard Hezlet, che ha avvistato il convoglio alle 8.06 nel
punto 35°27'N e 11°45'E, con rilevamento 306°) lancia quattro siluri da
5500-6400 metri contro le navi italiane: alle 9.10 il Beppe avvista due siluri; riesce ad
evitarne uno, ma l’altro lo colpisce a prua, lasciandolo immobilizzato,
fortemente appruato, sbandato ed abbandonato da parte dell’equipaggio. Un’unità
della scorta contrattacca con nove bombe di profondità tra le 9.25 e le 10,
senza riuscire a danneggiare l’attaccante. Il caposcorta distacca per
l’assistenza l’Oriani ed
il Gioberti, ma poco dopo
richiama l’Oriani, a seguito della
notizia che altri due cacciatorpediniere, il Nicoloso Da Recco ed
il Sebenico, sono salpati da Tripoli allo stesso scopo. Il resto del
convoglio prosegue (raggiungerà la destinazione, ma perdendo il Caterina, affondato da aerosiluranti).
Mentre il Gioberti si avvicina al Beppe, gran parte dell’equipaggio e del
personale militare imbarcato abbandonano frettolosamente la nave su due
scialuppe; il comandante del piroscafo, che si è fortemente appruato, comunica
al Gioberti (che ha chiesto notizie
sulla sua situazione) di essere stato colpito dal siluro a prua, ma di sperare
di riuscire a proseguire coi propri mezzi; il regio commissario del Beppe chiede che sia reimbarcato almeno
il personale di macchina, per poter proseguire. Il Gioberti mette a mare la motolancia e recupera i naufraghi, gran
parte dei quali si sono frattanto gettati in mare dalle imbarcazioni; 68 di
essi, non necessari per il governo o la difesa del Beppe, vengono trattenuti sul cacciatorpediniere (anche perché
ormai il Beppe è quasi sprovvisto di
mezzi di salvataggio), mentre gli altri, fuochisti e mitraglieri, vengono
trasbordati sul piroscafo. Intanto, il Gioberti
comunica al capoconvoglio che il Beppe
è stato colpito nel gavone di prua e può proseguire a circa 7 nodi.
Dato che la bussola
del piroscafo non funziona a dovere, il Gioberti
lo precede. Alle 14.15 l’assetto peggiora, costringendo il mercantile a ridurre
la velocità a 4 nodi, governando con crescente difficoltà (il timone è quasi
tutto fuor d’acqua). Il cacciatorpediniere contatta Marilibia Tripoli spiegando
che è necessario l’invio di rimorchiatori; alle 18.30 è il Gioberti stesso, su richiesta del regio commissario del piroscafo,
a prendere il Beppe a rimorchio, ma
il cavo si spezza poco dopo. Allora, il comandante Prato ordina al piroscafo di
dare fondo presso la boa n. 3 delle Kerkennah, portandosi se possibile in acque
basse, decisione che riferisce a Supermarina alle 19.18, aggiungendo che il Gioberti – salvo contrordini – incrocerà
sul posto per tutta la notte.
Il Beppe dà fondo poco dopo il tramonto, ed
il Gioberti si porta ad incrociare a
sud della boa 4 delle Kerkennah; alle 22.10 Marilibia Tripoli informa Prato che
il Da Recco è uscito in mare per
rinforzare la scorta, ed il rimorchiatore Ciclope
per prendere il Beppe a rimorchio.
19 ottobre 1941
Il Gioberti si congiunge col Da Recco, dirigendo insieme ad esso in
modo da essere nei pressi del piroscafo poco dopo l’alba. Dato che ormai la
riserva d’acqua del Gioberti è appena
bastante per il tratto fino a Tripoli, il Da
Recco gli ordina di raggiungere Tripoli, cosa che fa.
Il Beppe riuscirà a raggiungere
Tripoli dopo altri due giorni di difficilissima navigazione, entrando in porto alle
8 del 21.
19 novembre 1941
Gioberti, Oriani e Maestrale (caposcorta, capitano di
vascello Stanislao Caraciotti) salpano da Napoli alle 20 di scorta alle
motonavi Ankara (tedesca) e Sebastiano Venier, che costituiscono il
convoglio «Alfa» diretto a Tripoli nell’ambito di un’operazione di traffico
volta ad inviare urgenti rifornimenti in Libia, dov’è iniziata da pochi giorni
un’offensiva britannica (operazione «Crusader») e dopo che la distruzione del
convoglio «Duisburg», avvenuta il 9 novembre ad opera della Forza K britannica,
ha provocato la perdita di un ingente quantitativo di rifornimenti diretti in
Africa Settentrionale.
Dopo qualche giorno
di parziale stasi dovuto al disastro del 9 novembre, infatti, il capo di Stato
Maggiore generale, maresciallo Ugo Cavallero, ha dato ordine il 13 novembre di
far partire immediatamente per la Libia le motonavi già cariche e pronte alla
partenza, con poderosa scorta di almeno due divisioni di incrociatori, con
operazione da svolgersi al più presto, al fine di “sfruttare il vantaggio della
sorpresa”.
Supermarina,
d’accordo con Superareo, ha quindi subito provveduto a dare le disposizioni per
l’invio a Tripoli delle sei motonavi già pronte a Napoli (Monginevro, Ankara, Sebastiano Venier, Vettor Pisani, Napoli ed Iridio Mantovani), lungo la rotta di levante, passando per lo Stretto di
Messina e tenendosi poi al di fuori del raggio d’azione degli aerosiluranti d
Malta (190 miglia).
L’operazione vede in
mare altri due gruppi di due moderne motonavi ciascuno: i due scaglioni del
convoglio «C», il primo partito da Napoli alle 20 del 20 (motonavi Napoli e Vettor Pisani, cacciatorpediniere Turbine, torpediniera Perseo)
ed il secondo salpato anch’esso da Napoli m alle 5.30 del 21 (motonave Monginevro, nave cisterna Iridio Mantovani, cacciatorpediniere Nicoloso
Da Recco, torpediniera Enrico Cosenz). La III e VIII Divisione
Navale dovranno dare loro protezione; dallo stretto di Messina in poi, dovranno
navigare ad immediato contatto col convoglio «C», quasi incorporate in esso.
Al contempo, una
motonave veloce (la Fabio Filzi) sarà
inviata sempre a Tripoli ma sulla rotta di ponente (per il Canale di Sicilia),
con la scorta di un paio di cacciatorpediniere (oltre che di aerei: sia sui due
convogli che sulla Filzi la scorta
aerea dovrà essere continua, nelle ore diurne, dal 20 al 23 novembre), per non
dare nell’occhio. Contestualmente saranno inviati a Bengasi l’incrociatore
leggero Luigi Cadorna in missione di
trasporto di carburante (da Brindisi) e le motonavi Città di Palermo e Città di
Tunisi cariche di truppe (da Taranto), e verranno fatte rientrare in Italia
le navi rimaste bloccate a Tripoli dall’inizio di novembre. L’idea è che un
tale numero di navi in movimento contemporaneamente, divise in più convogli
sparsi su una vasta area, confonda e disorienti la ricognizione maltese; che i
convogli finiscano col coprirsi a vicenda; che la presenza in mare della III e
VIII Divisione scoraggi interventi da parte della Forza K britannica (autrice
della distruzione del convoglio «Duisburg»), notevolmente inferiore per numero
e potenza (incrociatori leggeri Aurora
e Penelope e cacciatorpediniere Lance e Lively). L’Aeronautica, oltre alla scorta antiaerea ed
antisommergibile dei convogli, effettuerà anche azioni di ricognizione e di
bombardamento degli aeroporti di Malta. Alcuni sommergibili vengono disposti in
agguato nelle acque circostanti l’isola.
21 novembre 1941
Il convoglio «Alfa»,
protetto da caccia della Regia Aeronautica, dovrebbe attraversare lo stretto di
Messina ed unirsi al convoglio «C» nella giornata del 23, ma viene localizzato
da un ricognitore britannico (nonostante questo venga avvistato dai
cacciatorpediniere e segnalato alla scorta aerea) e sottoposto a pesanti
attacchi aerei, che lo costringono a riparare ad Argostoli tra le 9.30 e le 10
(per altra versione il caposcorta decide di puggiare ad Argostoli dopo aver
intercettato un messaggio radio che segnala la presenza di una forza navale
britannica in acque non lontane).
22 novembre 1941
Il convoglio «Alfa»
lascia Argostoli alle 4.45 diretto a Taranto, dove arriva alle 19.30.
1° dicembre 1941
In un momento
particolarmente critico della battaglia dei convogli, Gioberti e Maestrale
(capo sezione) salpano da Patrasso per Derna alle 8.30, in missione di
trasporto urgente di 50 tonnellate di benzina in fusti ed in latte.
In precedenza Gioberti, Oriani e Maestrale (che
costituiscono la X Squadriglia Cacciatorpediniere) avevano raggiunto Argostoli,
scortando poi da tale porto a Patrasso il piroscafo tedesco Bellona, carico di benzina in fusti. Il Bellona è stato dislocato ad Argostoli
proprio per fungere da deposito galleggiante di carburante, dal quale devono
prelevare quanta più benzina possibile le unità militari adibite alle missioni
di trasporto veloce di carburante in Nordafrica. A Patrasso Gioberti e Maestrale hanno prelevato dal Bellona
quanti più fusti di benzina possibile (imbarcando inoltre alcuni militari
diretti in Libia), poi sono partiti dopo essersi riforniti di nafta dall’Oriani, rimasto in porto.
2 dicembre 1941
I due
cacciatorpediniere arrivano davanti a Derna alle 7.30; danno fondo a 200 metri
dall’imboccatura del porto, ma vengono raggiunti da un’imbarcazione con a bordo
un ufficiale, il quale spiega che devono entrare in porto prima di gettare in
mare i fusti (mancando mezzi e manovalanza per metterli a terra, è questo
l’unico metodo di scaricarli in tempi rapidi): durante una precedente missione,
infatti, altri cacciatorpediniere li hanno buttati in acqua stando fuori dal
porto, e gran parte del carico non è stato recuperato, andando così perduto. La
richiesta non può essere esaudita, perché i fondali del porto sono troppo bassi
per potervi entrare (meno di quattro metri); al momento, comunque, la corrente
e la maretta di nordest spingono i fusti galleggianti all’interno del porto,
come si constata gettandone in mare alcuni. Gioberti
e Maestrale gettano quindi in mare
tutti i fusti e le lattine di benzina che hanno a bordo, e la corrente spinge
il tutto verso il porto abbastanza rapidamente.
Alle 8.10, terminato
lo sbarco della benzina, i due cacciatorpediniere ripartono, diretti a Taranto.
Alle 10.15 vengono infruttuosamente attaccati da aerei.
3 dicembre 1941
Alle 8.13 il fumo dei
cacciatorpediniere viene avvistato in posizione 37°43’ N e 20°22’ E (15 miglia
ad ovest di Zacinto), su rilevamento 140°, dal sommergibile britannico Trusty (capitano di corvetta William
Donald Aelian King), che poco dopo avvista anche le navi, aventi rotta e
velocità stimate 310° e 26 nodi. Trovandosi proprio davanti ai cacciatorpediniere,
il Trusty manovra per lanciare coi
tubi poppieri, e lancia tre siluri su rilevamento 85°, da una distanza di soli
550 metri, con intervalli di quattro secondi tra un siluro e l’altro. Le navi
italiane non vengono colpite; probabilmente i siluri passano sotto i loro
scafi, senza esplodere.
Gioberti e Maestrale arrivano a
Taranto alle 18.25.
13 dicembre 1941
Alle 18.40 il Gioberti, aggregato alla X Squadriglia
Cacciatorpediniere insieme ad Oriani
e Maestrale, salpa da Taranto con le
due succitate unità, nonché la corazzata Duilio
(nave ammiraglia dell’ammiraglio di squadra Carlo Bergamini), l’incrociatore
pesante Gorizia (con a bordo
l’ammiraglio di divisione Angelo Parona) e l’VIII Divisione Navale
(incrociatori leggeri Montecuccoli e Garibaldi, nave di bandiera
dell’ammiraglio Giuseppe Lombardi) nell’ambito dell’operazione di traffico «M.
41».
Dopo le gravi perdite
subite dai convogli diretti in Libia nelle settimane precedenti, le forze
italo-tedesche in Nordafrica si trovano in situazione di grave carenza di
rifornimenti proprio mentre è in corso una nuova offensiva britannica,
l’operazione «Crusader», ed urge rifornirle.
Con la «M. 41»,
Supermarina intende inviare a Tripoli e Bengasi tutti i mercantili già carichi
presenti nei porti dell’Italia meridionale, mobilitando per la loro protezione,
diretta e indiretta, pressoché tutta la flotta in condizioni di efficienza.
Sono previsti tre
convogli: l’«A», da Messina a Tripoli, formato dalle moderne motonavi Fabio Filzi e Carlo Del Greco scortate dai cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco ed Antoniotto Usodimare (poi dirottato su Taranto per
unirsi da subito all’«L» ma distrutto durante tale percorso dal sommergibile
britannico Upright); l’«L», da
Taranto per Tripoli, formato dalle motonavi Monginevro,
Napoli e Vettor Pisani scortate dai
cacciatorpediniere Freccia ed Emanuele Pessagno (con a bordo il contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone) e
dalla torpediniera Pegaso; e l’«N»,
da Navarino ed Argostoli per Bengasi, costituito dai piroscafi Iseo e Capo Orso e dai cacciatorpediniere Turbine e Strale, cui si
devono aggiungere la motonave tedesca Ankara,
il cacciatorpediniere Saetta e la
torpediniera Procione provenienti da
Argostoli.
Ogni convoglio deve
fruire della protezione di una forza navale di sostegno, che di giorno si terrà
in vista dei trasporti e di notte a stretto contatto con essi.
Il gruppo che
comprende il Gioberti è assegnato
alla protezione dei convogli «A» e «L», mentre il convoglio «N» sarà protetto
dalla corazzata Andrea Doria, dagli
incrociatori leggeri Muzio Attendolo
ed Emanuele Filiberto Duca d’Aosta e dai cacciatorpediniere Ascari, Aviere e Camicia Nera.
Infine, a tutela
dell’intera operazione contro un’eventuale uscita in mare delle corazzate della
Mediterranean Fleet, prende il mare la IX Divisione Navale (ammiraglio di
squadra Angelo Iachino, comandante superiore in mare) con le moderne corazzate Littorio e Vittorio Veneto, scortate dalla XIII Squadriglia Cacciatorpediniere
(Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino). Queste navi si dovranno
posizionare nel Mediterraneo centrale.
A completamento dello
schieramento, un gruppo di sommergibili viene dislocato nel Mediterraneo
centro-orientale con compiti esplorativi ed offensivi; è inoltre previsto un
imponente intervento della Regia Aeronautica.
Per via della carenza
di navi scorta e del tempo necessario a reperirne, l’operazione, inizialmente
prevista per il 12 dicembre, viene posticipata di un giorno.
Nel tardo pomeriggio
del 13, quando i convogli sono già in mare, la ricognizione aerea comunica a
supermarina che una consistente forza britannica, comprensiva di corazzate ed
incrociatori (in realtà sono solo quattro incrociatori leggeri: i ricognitori
hanno grossolanamente sovrastimato la composizione e potenza della forza
avvistata), si trova tra Tobruk e Marsa Matruh, diretta verso ovest. La somma
delle forze italiane in mare è complessivamente superiore, ma si trova divisa
in gruppi tra loro distanziati e vincolati a convogli lenti e poco manovrieri;
per questo, alle ore 20 Supermarina decide di sospendere l’operazione, ed i
convogli ricevono ordine di rientrare. Ciò non basterà ad evitare danni:
durante la notte, il sommergibile britannico Urge silurerà la Vittorio
Veneto, danneggiandola gravemente.
Durante il rientro,
anche i piroscafi Iseo e Capo Orso entreranno in collisione,
riportando gravi danni.
14 dicembre 1941
Il gruppo del Gioberti arriva a Taranto alle 23.
16 dicembre 1941
Il 16 dicembre, alle 20,
il Gioberti lascia Taranto insieme ai
cacciatorpediniere Maestrale, Oriani (coi quali forma la X
Squadriglia), Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino (XIII
Squadriglia), Corazziere, Carabiniere ed Usodimare (XII Squadriglia), agli incrociatori pesanti Trento e Gorizia (III Divisione) ed alle corazzate Giulio Cesare, Andrea Doria
e Littorio (IX Divisione; comandante
superiore in mare, ammiraglio di squadra Angelo Iachino) per fornire sostegno
all’operazione «M 42», che prevede l’invio in Libia di quattro mercantili (Vettor Pisani, Monginevro, Napoli ed Ankara, che trasportano 14.770 t di
materiali e 212 uomini) scortati da sette cacciatorpediniere (Saetta, Vivaldi, Malocello, Da Recco, Da Noli, Pessagno e Zeno) ed una torpediniera (la Pegaso), divisi in due convogli (Ankara, Saetta e Pegaso dirette a
Bengasi come convoglio "N", le altre unità dirette a Tripoli come
convoglio "L"). L’operazione fruisce anche di scorta aerea assicurata
dalla Regia Aeronautica e dalla Luftwaffe e di una forza navale di copertura
ravvicinata (corazzata Duilio, con a
bordo l’ammiraglio Carlo Bergamini, comandante del gruppo; incrociatori leggeri
Duca d’Aosta – con a bordo
l’ammiraglio Raffaele De Courten, comandante della VII Divisione –, Attendolo e Montecuccoli; cacciatorpediniere Ascari, Aviere e Camicia Nera).
Una volta in
franchia, il gruppo di appoggio di cui fa parte il Gioberti assume rotta 156° e velocità 20 nodi; Gioberti, Oriani e Maestrale, unitamente alla III
Divisione, si portano 10 miglia a proravia della Littorio.
Alle 22.10 il
sommergibile britannico Utmost
(capitano di corvetta Richard Douglas Cayley) avverte rumore di unità navali su
rilevamento 335°, ed alle 22.20, in posizione 39°33’ N e 17°41’ E (nel Golfo di
Taranto), avvista la III Divisione e la X Squadriglia su rilevamento 315°, a
distanza di 6 miglia, mentre procedono su rotta 140° a velocità 20 nodi. Alle
22.34 l’Utmost lancia quattro siluri
da grande distanza contro uno degli incrociatori, ma manca il bersaglio.
Poco prima di
mezzanotte il gruppo «Littorio» viene avvistato dal sommergibile britannico Unbeaten, che ne comunica la scoperta al
proprio comando, il quale a sua volta ne informa l’ammiraglio Philip Vian,
comandante della scorta di un convoglio in navigazione da Alessandria verso
Malta. Si tratta della sola cisterna militarr Breconshire, con 5000 tonnellate di carburante destinate a Malta,
scortata dagli incrociatori leggeri Naiad
(nave ammiraglia di Vian) ed Euryalus,
dall’incrociatore antiaerei Carlisle
e dai cacciatorpediniere Jervis, Havock, Hasty, Hiram, Kimberley, Kingston, Kipling e Decoy. Vian distacca il Carlisle con due cacciatorpediniere
perché si allontanino verso est ed effettuino false trasmissioni radio tese ad
ingannare i comandi italiani circa la direzione del convoglio, per poi
rientrare ad Alessandria; la sua formazione verrà più tardi raggiunta e
rinforzata (alle 8 del 17) da altri due incrociatori leggeri (Aurora e Penelope) e da sette cacciatorpediniere (Sikh, Legion, Maori, Lance, Lively, Legion ed Isaac Sweers, quest’ultimo olandese).
17 dicembre 1941
Alle 9 la formazione
britannica viene avvistata da un ricognitore tedesco; l’ammiraglio Iachino ne
viene informato alle 10.24, anche se le notizie riferite dal ricognitore
contengono vari errori (la velocità, di 16 nodi, è sovrastimata a 20, e
soprattutto la Breconshire è stata
scambiata per una corazzata). Iachino sapeva già della presenza in mare di una
formazione britannica (già prima della partenza ne è stato informato da un
primo ricognitore tedesco, che ha anch’esso scambiato la Breconshire per una corazzata); ora ne conosce anche, sia pure
sommariamente, rotta e posizione.
Curiosamente, tutti
gli aerei italiani e tedeschi avvicendatisi sul cielo del convoglio britannico
persisteranno nello scambiare la Breconshire
per una corazzata.
In seguito a tale
comunicazione il gruppo «Littorio» aumenta la velocità (24 nodi) e modifica la
rotta (prima 180°, poi 224°) per stabilire il contatto con essa quanto prima
(Iachino crede che le navi britanniche siano in mare per attaccare il convoglio
che è sotto la sua protezione, non essendo al corrente della presenza della Breconshire diretta a Malta; suo
obiettivo primario è quindi impedire questo presunto attacco).
Nel primo pomeriggio,
sulla base delle comunicazioni dei ricognitori (e di un avvistamento di fumo
all’orizzonte da parte dell’Oriani,
poi risultato errato, alle 15.43), l’ammiraglio Iachino ritiene che l’incontro
con i britannici sia imminente, e dispone le sue navi di conseguenza (la X
Squadriglia Cacciatorpediniere viene lasciata dove si trova, a 10 miglia per
200° dalla Littorio, mentre la XII e
XIII Squadriglia ricevono ordine di portarsi nelle posizioni stabilite per il
combattimento); alle 16.40, però, viene informato dai ricognitori che le navi
britanniche hanno accostato per sud. Dieci minuti dopo, ritenendo di non poter
raggiungere il nemico prima della notte, Iachino decide di rinunciare
all’incontro, anche per non allontanarsi troppo dal convoglio, pertanto fa
ridurre la velocità a 20 nodi (alle 16.59 la XII e XIII Squadriglia
Cacciatorpediniere ricevono ordie di assumere posizione di scorta ravvicinata)
e cessare il posto di combattimento (17.05), disponendo nuovamente le navi in
linea di fila, dirigendo verso sud.
Proprio a questo
punto, quando non si crede d’incontrare più i britannici, la Littorio avvista vampate di intenso
fuoco contraereo al traverso a sinistra (in direzione inaspettata, rispetto
alla posizione stimata sulla base delle notizie dei ricognitori): le navi di
Vian. Sono le 17.23.
Ritenendo di poter
dare battaglia prima di notte, Iachino fa nuovamente accelerare a 24 nodi ed
accostare le navi ad un tempo di 90° a sinistra (verso ovest), dirigendo verso
il nemico.
Alle 17.40, mentre il
sole tramonta, vengono avvistati dapprima fumi e poi sagome di navi a 30° di
prora a dritta; alle 17.45 la formazione italiana accosta ad un tempo di 90° a
dritta, così effettuando lo spiegamento, per aprire il fuoco su brandeggio
adeguato.
Alle 17.52
l’ammiraglio Vian, avendo avvistato le navi italiane, ordina alla Breconshire di allontanarsi verso sud
con la scorta di Havock e Decoy, poi
dirige verso la squadra italiana col resto della sua formazione: il suo
obiettivo è di occultare la Breconshire
con cortine fumogene ed al contempo, mandando i cacciatorpediniere all’attacco
silurante, indurre le navi italiane ad allontanarsi verso nord. Più o meno a
quell’ora, le corazzate e gli incrociatori di Iachino e Parona aprono il fuoco
contro le navi di Vian, a ritmo alquanto lento, essendo il bersaglio poco
visibile.
Le navi britanniche
(in netta inferiorità) simulano un contrattacco con gli incrociatori leggeri Aurora, Penelope, Naiad ed Euryalus e 10 cacciatorpediniere,
avvicinandosi ed aprendo il fuoco. I cacciatorpediniere britannici vengono
inviati all’attacco degli incrociatori italiani, ed in risposta (alle 18.02,
secondo il rapporto di Iachino) la X e XIII Squadriglia Cacciatorpediniere, Gioberti compreso, sono mandate al
contrattacco silurante, dirigendo incontro al nemico alla massima velocità e
sparando anche con tutti i pezzi sulle navi britanniche.
Calato poi il buio,
alle 17.57, Vian richiama i suoi cacciatorpediniere, indi accosta verso est: ha
raggiunto il suo scopo, prendendo tempo per difendere la Breconshire in attesa che calasse il buio, ed ora non intende
perseverare in uno scontro con una formazione italiana nettamente superiore.
Tra le 17.59 e le 18.07 le navi maggiori italiane cessano il fuoco, seguite,
alle 18.10, dalle unità sottili (alle 18.12 Iachino ordina ai
cacciatorpediniere di riunirsi al grosso, restando di poppa). Lo scontro ha
così termine in un nulla di fatto, perché l’ammiraglio Iachino, temendo – a
torto, in seguito ad errate informazioni della ricognizione aerea – la presenza
in mare di almeno una corazzata britannica, decide di non portare a fondo
l’attacco, data l’inferiorità della Marina italiana nel combattimento notturno,
e ritenendo di aver respinto un attacco (in realtà mai verificatosi, e frutto
di un reciproco equivoco) contro il convoglio da lui scortato.
Alle 18.28 la
formazione italiana accosta ad un tempo di 90° a dritta; le navi maggiori si
dispongono in linea di fila, mentre i cacciatorpediniere ricevono ordine di
assumere la posizione di scorta ravvicinata su una linea di fila unica, ad est
della formazione.
Durante la sera e la
notte, il gruppo segue alternativamente rotte 40° e 220°, tenendosi ad est del
convoglio.
18 dicembre 1941
Alle sei del mattino,
Granatiere e Corazziere entrano in collisione, distruggendosi a vicenda la prua.
Alle 7.12 Gioberti, Maestrale ed Oriani, insieme alla III Divisione, ricevono ordine di dare loro
assistenza; alle 14.15 la III Divisione riceverà ordine di lasciare i
cacciatorpediniere alle 18, dirigendo per Taranto.
Gioberti, Maestrale ed Oriani, cui più tardi si unisce lo Strale, rimangono ad assistere Granatiere e Corazziere, che riusciranno a raggiungere Navarino.
Alle 15 del 18
dicembre sia il gruppo di copertura ravvicinata che quello di scorta a distanza
lasciano la scorta dei due convogli, che arriveranno a destinazione l’indomani
(pur subendo il leggero danneggiamento della Napoli), e fanno ritorno a
Taranto, con rotta 45 e velocità 20 nodi.
19 dicembre 1941
Il gruppo «Littorio»
arriva a Taranto alle 17 (per altra fonte, a Napoli alle 18.15).
Il Gioberti e gli altri cacciatorpediniere che
assistono Granatiere e Corazziere raggiungono Navarino lo
stesso giorno.
20 dicembre 1941
Alle 16.50, mentre il
Gioberti si trova ormeggiato nella
baia di Navarino, il sommergibile britannico Torbay (capitano di corvetta Anthony Cecil Capel Miers), penetrato
nella baia, gli lancia un siluro.
L’arma è però
difettosa, e per un problema al giroscopio non si dirige verso il Gioberti, ma assume invece traiettoria
circolare: il Torbay è costretto a
scendere in profondità per non essere colpito dal suo stesso siluro.
La nave fotografata,
probabilmente, nel 1942 o 1943 (www.lanazione.it)
|
3 gennaio 1942
Il Gioberti parte da Taranto alle 16
insieme ai cacciatorpediniere Maestrale,
Scirocco ed Oriani, agli incrociatori leggeri Emanuele Filiberto Duca
d’Aosta (nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Raffaele De
Courten), Muzio Attendolo, Raimondo Montecuccoli e Giuseppe Garibaldi ed alla nave da
battaglia Duilio (nave di bandiera
dell’ammiraglio di squadra Carlo Bergamini), formando il gruppo di scorta per i
tre convogli diretti a Tripoli da Messina, Taranto e Brindisi per l’operazione
di traffico «M. 43». Oltre ai tre convogli con le relative scorte dirette ed al
gruppo scorta di cui fa parte il Gioberti
(gruppo «Duilio»), è in mare anche un gruppo di appoggio (gruppo «Littorio»)
con le corazzate Littorio (ammiraglio
di squadra Angelo Iachino, comandante superiore in mare), Doria (ammiraglio di divisione Guido Porzio Giovanola) e Cesare, gli incrociatori pesanti Gorizia (ammiraglio di divisione Angelo
Parona) e Trento ed i
cacciatorpediniere Aviere, Alpino, Geniere, Carabiniere, Ascari, Camicia Nera, Antonio
Pigafetta ed Antonio Da Noli. Il
gruppo di scorta, che navigherà per la prima volta ad immediato contatto con il
convoglio, sin quasi a formare un tutt’uno con esso ("scorta indiretta
incorporata nel convoglio", ideata dall’ammiraglio Bergamini), ha il
compito di respingere eventuali attacchi da parte di formazioni navali leggere
(incrociatori leggeri e cacciatorpediniere) come la Forza K, mentre il gruppo
di appoggio si terrà pronto ad intervenire contro un eventuale attacco con
forze pesanti da parte della Mediterranean Fleet (che comunque è rimasta senza
più corazzate efficienti dall’incursione della X MAS ad Alessandria del 19
dicembre, ma questo in Italia ancora non lo si sa).
Aerei impiegati in
compiti di ricognizione e bombardamento sulle basi aeree e navali di Malta e
della Cirenaica, nonché scorta da caccia, antiaerosilurante ed antisommergibile
sulle navi e sul porto di Tripoli, e sommergibili dislocati ad est di Malta e
tra Creta e la Cirenaica completano l’imponente dispiegamento di forze
predisposto a tutela dell’importante convoglio (il cui carico assomma a 15.379
tonnellate di carburante, 2417 tonnellate di munizioni, 10.242 tonnellate di
altri materiali, 144 carri armati, 520 automezzi e 901 uomini).
4 gennaio 1942
Il gruppo «Duilio»
raggiunge i tre convogli, che si sono frattanto riuniti come previsto in un
unico grande convoglio composto dalle moderne motonavi da carico Nino Bixio, Lerici, Monginevro, Monviso e Gino Allegri e dalla grande nave cisterna Giulio Giordani, scortate dai cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi (caposcorta,
contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone), Nicoloso
Da Recco, Antoniotto Usodimare, Bersagliere, Freccia e Fuciliere e
dalle torpediniere Castore, Orsa, Aretusa, Procione ed Antares.
Mentre al gruppo «Duilio»
si unisce al convoglio «Allegri» (Allegri,
Freccia e Procione) la III Divisione (Trento
e Gorizia) viene avvistata da un
ricognitore britannico; più tardi il convoglio viene avvistato anche da un
altro aereo avversario, ma la formazione aerea inviata da Malta ad attaccarlo
non riuscirà a trovarlo.
Al tramonto il gruppo
«Duilio» s’incorpora nella formazione; durante la notte le navi assumono rotta
per Tripoli, e poco dopo le tre di notte del 5 gennaio il gruppo «Duilio»
lascia il convoglio e si allontana a 22 nodi verso est. I mercantili
giungeranno in porto alle 12.30 dello stesso giorno, senza nemmeno essere stati
attaccati.
6 gennaio 1942
Il Gioberti ed il resto del gruppo di
scorta indiretta rientrano a Taranto alle 4.20.
Febbraio-Maggio 1942
Lavori di modifica:
viene installato un ecogoniometro di fabbricazione tedesca. Viene inoltre
modificato l’armamento, con lo sbarco di uno dei due impianti lanciasiluri
trinati da 533 mm e l’installazione di un obice illuminante OTO 1933/1934 da
120/15 mm, due mitragliere singole Breda 1939 da 37/54 mm, due mitragliere
binate Scotti-Isotta Fraschini 1939 da 20/70 mm e due ulteriori scaricabombe
per bombe di profondità.
(Altra fonte dà
invece informazioni parzialmente differenti: sarebbe stato imbarcato un
ecogoniometro di produzione tedesca; sostituita l’originaria tramoggia per
bombe di profondità con due più moderne; installati tre mitragliere binate da
20/65 mm a puntamento vincolato – due al posto degli obici illuminanti, una
sulla tuga tra i tubi lanciasiluri –; installate due mitragliere singole da
20/65 a punteria libera sulla controplancia, in sostituzione di altrettante mitragliere
binate).
13 giugno 1942
Il Gioberti, insieme ad Oriani ed Ascari (che con il Gioberti
ed il Premuda formano la X
Squadriglia Cacciatorpediniere), salpa da Cagliari alle 16.30 per trasferirsi a
Palermo, scortando la VII Divisione Navale (incrociatori leggeri Raimondo Montecuccoli ed Eugenio di Savoia).
Alle 18.16 la
formazione viene avvistata a sud della Sardegna dal sommergibile britannico P 43 (tenente di vascello Arthur Connuch
Halliday), che alle 18.31 lancia quattro siluri in posizione 38°56’ N e 09°40’
E. Le armi non vanno a segno.
Alle 20.17 è il
sommergibile britannico P 211 (poi Safari, capitano di fregata Benjamin
Bryant) ad avvistare le navi italiane in posizione 38°42’ N e 10°29’ E, ma
questi non attacca, perché le navi italiane sono troppo lontane.
14 giugno 1942
Il Gioberti salpa da Palermo alle 19.24
insieme ad Oriani ed Ascari, alla XIV Squadriglia
Cacciatorpediniere (Ugolino Vivaldi, Lanzerotto Malocello, Nicolò Zeno) ed alla VII Divisione Navale
(incrociatori leggeri Raimondo
Montecuccoli ed Eugenio di Savoia,
al comando dell’ammiraglio di divisione Alberto Da Zara, imbarcato sull’Eugenio), per partecipare alla battaglia
aeronavale di Mezzo Giugno.
La formazione sopra
citata, alla quale dovrà unirsi nelle ore successive anche il Premuda (proveniente da Trapani), ha il
compito di attaccare un convoglio con rifornimenti in navigazione da Gibilterra
a Malta nell’ambito dell’operazione britannica «Harpoon».
Poco dopo la partenza
da Palermo, tuttavia, il Gioberti
viene colto da un’avaria di macchina non riparabile in navigazione (non può
neanche raggiungere i 22 nodi di velocità), pertanto è costretto a tornare in
porto, rinunciando a partecipare alla battaglia. Accade lo stesso anche allo Zeno.
18 luglio 1942
Il Gioberti (capitano di fregata Vittorio
Prato) salpa da Napoli alle 14.55 insieme al resto della X Squadriglia
Cacciatorpediniere (Maestrale ed Oriani) ed alla VII Divisione Navale (Eugenio di Savoia e Montecuccoli, sempre al comando dell’ammiraglio Da Zara) per
intercettare il posamine veloce britannico Welshman,
di ritorno da Malta, dove ha appena trasportato rifornimenti urgenti. La
formazione italiana incrocia durante la notte a sud della Sardegna, ma non
incontra il Welshman.
19 luglio 1942
Il Gioberti e le altre navi ricevono
l’odine di dirigere su Cagliari, dato che alle 9.20 un ricognitore ha avvistato
il Welshman ormai in posizione tale
da rendere impossibile una sua intercettazione.
11 agosto 1942
Alle 20 il Gioberti, insieme ad Oriani, Maestrale e Fuciliere ed
agli incrociatori Montecuccoli ed Eugenio di Savoia (nave di bandiera
dell’ammiraglio di divisione Alberto Da Zara, comandante della VII Divisione),
salpa da Cagliari per attaccare il convoglio britannico diretto a Malta
nell’ambito dell’operazione «Pedestal» e già pesantemente danneggiato da
attacchi da parte di aerei, sommergibili e motosiluranti durante la grande
battaglia aeronavale di Mezzo Agosto.
12 agosto 1942
Poco dopo le 14, si
unisce alla VII Divisione anche l’incrociatore leggero Muzio Attendolo, salpato da Napoli.
Alle 19 le navi
salpate da Cagliari si congiungono, nel Basso Tirreno, con la III Divisione
(incrociatori pesanti Trieste, Gorizia e Bolzano, più i cacciatorpediniere Grecale, Corsaro, Legionario, Aviere, Geniere, Ascari e Camicia Nera), partita da Messina alle 9.40.
Le due Divisioni
dovrebbero intercettare i resti del convoglio, dispersi e danneggiati, per
ultimarne la distruzione, verosimilmente nella mattina del 13, a sud di
Pantelleria, nel punto più stretto del Canale di Sicilia. Alle 22 Supermarina
ordina agli incrociatori di ridurre la velocità (che è in quel momento di 20
nodi), in modo da arrivare al largo di Capo San Vito non prima di mezzanotte.
Alle 22.37, tuttavia,
la formazione viene avvistata e segnalata, 80 miglia a nord dell’estremità
occidentale della Sicilia e con rotta sud, da un ricognitore Vickers Wellington
(che viene a sua volta localizzato dal radar del Legionario). I comandi britannici, resisi conto del rischio che gli
incrociatori italiani rappresentano nei confronti di ciò che resta del
convoglio, ordinano dapprima al Wellington autore dell’avvistamento, e poi
anche agli altri ricognitori avvicendatisi nel pedinare la formazione italiana,
di sganciare bombe e bengala, in modo da far credere alle unità italiane di
essere sotto ripetuti attacchi aerei e dissuaderle così dal proseguire nella
navigazione verso il convoglio, giungendo anche ad ordinare loro – in chiaro,
in modo da essere intercettati – di comunicare la posizione della forza italiana
per permetterne l’attacco da parte di inesistenti bombardieri B-24 "Liberator".
Supermarina cade
nell’inganno, e già alle 00.30 del 13 ordina il rientro alla formazione (che si
trova in quel momento a circa venti miglia da Capo San Vito) di virare verso
est, temendo attacchi aerei nemici a seguito dell’intercettazione dei numerosi
messaggi radio avversari tra i ricognitori ed i comandi delle forze aeree di
Malta, in realtà provocata appositamente per ingannare i comandi italiani ed
indurli ad ordinare il rientro degli incrociatori.
Lo stratagemma
britannico è solo una delle molteplici ragioni che inducono a dare il discusso
ordine: Supermarina, infatti, in ogni caso non intende inviare le proprie navi
a sud di Pantelleria senza un’adeguata copertura aerea, che viene però negata
dai comandi tedeschi, che preferiscono impiegare tutti i velivoli disponibili
nell’attacco al convoglio; inoltre, a seguito dell’avvistamento (da parte di un
U-Boot tedesco) di quattro incrociatori e dieci cacciatorpediniere britannici
nel Mediterraneo orientale, apparentemente diretti verso Malta, Supermarina ha
deciso di inviare la III Divisione nello Ionio, anziché nel Tirreno, per unirsi
all’VIII Divisione (uscita da Navarino) onde attaccare tali navi, facendo al
contempo rientrare la VII Divisione. In realtà, anche le unità avvistate nel
Mediterraneo orientale (che sono in realtà due incrociatori, cinque
cacciatorpediniere ed alcuni mercantili) sono una "finta" organizzata
dai comandi britannici, un convoglio fasullo che finge di essere diretto verso
Malta per ingannare i comandi italiani.
I finti attacchi e
messaggi proseguono comunque anche nelle ore successive, per evitare che i
comandi italiani possano cambiare idea ed ordinare agli incrociatori di
riprendere la navigazione verso ovest per attaccare il convoglio.
13 agosto 1942
Alle 00.30 del 13
Supermarina ordina alla formazione degli incrociatori, che si trovava in quel
momento a circa venti miglia da Capo San Vito (a ponente di Trapani), di virare
verso est per rientrare, temendo attacchi aerei nemici a seguito
dell’intercettazione dei numerosi messaggi radio inviati da Malta ai propri
ricognitori. Tre minuti dopo, tutti gli incrociatori evoluiscono per evitare
siluri lanciati da aerei.
Supermarina decide di
inviare la III Divisione nello Ionio, anziché nel Tirreno, per unirsi all’VIII
Divisione (uscita da Navarino) onde attaccare le navi avvistate nel
Mediterraneo orientale, facendo al contempo rientrare la VII Divisione.
Alle 00.30, a seguito
dell’ordine di Supermarina, la III Divisione più l’Attendolo fa rotta su Messina, la VII Divisione su Napoli.
Il Gioberti, insieme all’Oriani ed al Maestrale, scorta Montecuccoli
ed Eugenio diretti a Napoli; qui le
cinque navi giungono senza inconvenienti.
Diversa sorte ha la
formazione diretta a Messina, che alle 8.06 dello stesso giorno (dopo che il
sommergibile Safari ha già
avvistato le navi italiane a nord di Palermo senza poterle attaccare) incappa
nel sommergibile britannico Unbroken (tenente
di vascello Alastair C. G. Mars): con un lancio di quattro siluri, questi
colpisce sia l’Attendolo, che perde
la prua ma riesce a raggiungere Messina, che il Bolzano, il quale, incendiato e con danni gravissimi, dev’essere
preso a rimorchio dall’Aviere e
dal Geniere e portato a
posarsi su bassifondali dell’isola di Panarea, alle 13.30.
Il Gioberti nell’estate del 1942 (Coll. Erminio Bagnasco, via Maurizio Brescia e www.associazione-venus.it) |
Mitragliamento
Alle otto del mattino
del 15 agosto 1942 il Gioberti, al
comando del capitano di fregata Gianroberto Burgos, salpò da Napoli insieme al
cacciatorpediniere Maestrale
(caposcorta, capitano di vascello Riccardo Pontremoli), per scortare a Tripoli
la motonave Rosolino Pilo, avente a
bordo 112 tra automezzi e rimorchi, 17 cannoni, tre barche a motore e 3439
tonnellate di materiali vari, nonché 101 militari di passaggio.
Prima di partire da
Napoli, il caposcorta Pontremoli aveva personalmente domandato a Supermarina
notizie su quali forze britanniche si trovassero in quel momento a Malta, ma
gli fu risposto che mancavano informazioni precise; Marina Messina gli avrebbe
dato informazioni più particolareggiate l’indomani. Ciò, però, non accadde.
Giunto a Trapani
nelle prime ore del 16 agosto, il piccolo convoglio vi sostò per circa un
giorno, poi ripartì alle 6.30 del 17 a 15 nodi, diretto a Tripoli. I due
cacciatorpediniere erano in posizione di scorta avanzata prodiera, Gioberti a dritta e Maestrale a sinistra (in base alle norme vigenti sarebbe dovuto
essere il contrario, ma all’uscita da Trapani il caposcorta Pontremoli aveva
comunicato che, per una sua avaria alle colonnine di punteria di dritta, il Maestrale si sarebbe dovuto posizionare
sulla sinistra della Pilo, ed il Gioberti a dritta, sul lato del sole);
vi era inoltre scorta aerea con il concorso di numerosi velivoli della
Luftwaffe.
Secondo Carlo
Sabatini, ufficiale di guardia sul Gioberti
al momento dell’attacco, gli aerei tedeschi lasciarono il convoglio intorno
alle 15, avendo raggiunto il limite dell’autonomia. Restava quindi solo la
scorta navale quando, alle 15.30 (o 15.40; per altra fonte le 17.17) dello
stesso 17 agosto, comparvero all’orizzonte dieci aerei britannici diretti verso
il convoglio. Le navi si trovavano in quel momento 45-50 miglia a sud di
Pantelleria.
Secondo le fonti
ufficiali italiane, invece, i velivoli della Luftwaffe erano ancora sul cielo
del convoglio quando si verificò l’attacco; non furono però di alcun beneficio,
ed anzi il caposcorta Pontremoli asserì nel suo rapporto che la scorta aerea
aveva “forse concorso a ritardare la messa in allarme delle unità”.
L’attacco non era
casuale: i britannici avevano saputo che la Pilo
era pronta già il 14 agosto, mediante le decrittazioni di “ULTRA”, che aveva
anche precisato la composizione del carico. Lo stesso 17 agosto, poi, nuove
intercettazioni avevano rivelato che la Pilo,
giunta a Trapani, ne sarebbe ripartita alle sei del mattino del 17, con arrivo
a Tripoli previsto per le 12.30 del 18. Un ricognitore, pilotato dal capitano
(Flight Lieutenant) Donald Charles Scharman, aveva localizzato il convoglio, e
da Malta erano decollati sei aerosiluranti Bristol Beaufort dell’86th
Squadron della Royal Air Force (altra fonte parla del 39th
Squadron), scortati da cinque caccia Bristol Beaufighter ed otto Supermarine
Spitfire degli Squadrons 235 e 252.
Mentre i Beaufighter
e gli Spitfire attaccavano gli Ju 88 della scorta aerea e li allontanavano dal
convoglio, gli aerosiluranti sganciarono i loro siluri nei settori poppieri
della Pilo (lasciati completamente
scoperti dalla posizione di scorta avanzata prodiera di Maestrale e Gioberti:
Pontremoli criticò anche questa decisione nel suo rapporto, affermando la
necessità che almeno una terza nave scorta si trovasse in coda al convoglio,
per proteggere dalle provenienze poppiere; era necessario tenere a proravia le
altre due unità, non solo per attacchi aerei provenienti da prua, ma anche per
la difesa contro i sommergibili), da 550 metri, ed intanto altri aerei da
caccia – i Beaufighter del 252nd Squadron del maggiore Derek Frecker
– effettuarono mitragliamento di tutte e tre le navi.
L’ufficiale di
guardia Sabatini, al momento dell’attacco, si trovava sull’ala di plancia di
sinistra; egli ricordò poi che le vedette del Gioberti erano all’erta, in una giornata di sole infuocato i cui
raggi erano riflessi dall’acqua, quando alle 15.50 venne segnalato "aerei
ore 6". Sabatini si girò nella direzione indicata, li vide e, gridando "Sono
troppi e troppo bassi!" corse a dare l’allarme col clacson; gli aerei, in
avvicinamento ad elevata velocità, si allargarono verso l’esterno ed
attaccarono il convoglio con rotta perpendicolare alla sua, dal lato di dritta,
avendo il sole alle spalle. I velivoli britannici sparavano con tutte le armi
contro il Gioberti, che a sua volta
reagì con un furioso tiro contraereo; uno degli aerei eseguì un passaggio
mitragliando a volo radente la plancia, facendo strage degli uomini che si
trovavano sul lato attaccato, dal FAPG a sottocastello. L’aereo sganciò anche
un siluro; il comandante Burgos, già ferito dalla prima raffica di
mitragliatrice, si rialzò appena in tempo per ordinare "Tutta la barra a
dritta!", ed il timoniere eseguì l’ordine subito prima di essere colpito
ed ucciso dalla seconda raffica. Grazie alla fulminea accostata, il Gioberti poté evitare il siluro di
stretta misura (passò pochi metri a poppavia). L’aereo attaccante cabrò
visibilmente sulla verticale del Gioberti;
il puntatore di una mitragliera binata da 20 mm, anch’egli ferito, ritenne di
averlo colpito, ma apparentemente senza effetto.
Il marinaio
cannoniere Primo Veronese, ventunenne padovano, era di vedetta con un
commilitone al momento dell’attacco; le raffiche di mitragliatrice uccisero il
compagno e ferirono Veronese alle gambe, specie in un ginocchio. Nonostante le
gravi ferite, Veronese si prodigò ancora nello spegnimento di un incendio
scoppiato in una riservetta di munizioni, fino all’esaurimento delle forze;
venne in seguito decorato con la Medaglia di Bronzo al Valor Militare, con
motivazione “Imbarcato su
cacciatorpediniere di scorta a convoglio, durante un attacco di aerei nemici,
benché malato e febbricitante, insisteva per recarsi al suo posto di
combattimento. Gravemente ferito, nel corso dell’intenso mitragliamento
avversario, si prodigava per lo spegnimento di un incendio presso una
riservetta di munizioni e non desisteva dal compito finché le forze non gli
venivano meno. Venuto a conoscenza che sarebbe rimasto fisicamente menomato,
non aveva alcun rimpianto per sé, ma si doleva soltanto di non poter più
continuare a combattere”. La gamba ferita in modo più grave rimase rigida e
più corta di circa otto centimetri; a distanza di molti anni, si sarebbero
riaperte delle piccole ferite, dalle quali sarebbero fuoriuscite delle schegge.
Primo Veronese sarebbe morto nel 1980, all’età di 59 anni.
Marcello Zanfagnin,
marinaio cannoniere di leva, friulano, rimase al suo posto alla mitragliera benché
gravemente ferito; sarebbe spirato il 21 agosto nell’Ospedale Torrebianca di
Trapani. Alla sua memoria venne conferita la Croce di Guerra al Valor Militare
(“Imbarcato su C.T. di scorta a
convoglio, attaccato a volo radente da aerei nemici, sebbene gravemente ferito
dalla mitraglia avversaria, non abbandonava il suo posto di combattimento.
Conscio dell’imminente fine, si dichiarava soddisfatto di aver donato la vita
alla Patria nell’adempimento del dovere”).
Il Gioberti fu colpito non solo dalle raffiche
degli aerei, ma probabilmente anche dalle Mitragliere
contraeree della Pilo, i cui
artiglieri tirarono forse troppo basso nella concitazione dell’attacco; inoltre
venne centrato da alcuni spezzoni sganciati dai velivoli britannici.
Mentre il Maestrale riportò solo leggeri danni per
il mitragliamento (la Pilo, intanto,
venne immobilizzata da un siluro), il Gioberti
subì conseguenze più serie; scoppiarono a bordo dei principi d’incendio, che
poterono essere rapidamente domati, ma soprattutto risultarono gravissimi gli
effetti dell’attacco sull’equipaggio. Sette uomini rimasero uccisi (il numero
delle vittime sarebbe in seguito salito a 13, con la morte di diversi feriti
gravi) e molti altri furono feriti gravemente; tra questi anche il comandante
Burgos e quasi tutti gli ufficiali in plancia (il comandante in seconda, il
direttore del tiro e il suo sottordine, l’ufficiale tiratore e l’ufficiale
medico; di tutto lo Stato Maggiore della nave, rimasero illesi solo l’ufficiale
di rotta ed il suo sottordine), tanto che ad assumere il comando dovette essere
un sottotenente di vascello, il più giovane di tutti, il pisano Giulio Ruschi
di soli ventun anni (poi decorato con la Croce di Guerra al Valor Militare, con
motivazione: “Ufficiale di rotta di C.T.,
di scorta a convoglio, attaccato a volo radente da aerei nemici, che in
ripetute azioni di mitragliamento avevano ferito gli ufficiali più anziani,
dirigeva con sereno coraggio, perizia e ardimento la condotta dell’unità fino
al rientro in un porto nazionale, dimostrando elevate qualità marinaresche e
militari”).
L’ufficiale di
guardia, Sabatini, indicò successivamente le perdite subite nell’attacco in 16
morti e 67 feriti. Solo il personale di macchina, per ovvie ragioni, non aveva
subito perdite: gravi invece erano state le perdite tra cannonieri, mitraglieri
e personale di plancia. Sabatini stesso fu ferito alla mano destra; il sergente
infermiere, che avrebbe dovuto curare i feriti, era rimasto a sua volta ferito
gravemente, così fu Sabatini ad assumersi l’incombenza del soccorso ai molti
feriti, con l’assistenza dei due ecogoniometristi, che proprio lui aveva
precedentemente addestrato come infermieri ausiliari.
Tra i tanti feriti
gravi c’era anche il marinaio servizi vari Giovanni Battiloro, giovane
pescatore di Torre del Greco, ripostiere del quadrato ufficiali. Il suo posto
di combattimento era al complesso poppiero da 120, quale rifornitore di
munizioni, ma poco prima dell’attacco era salito in plancia per portare il
caffè al comandante; nel successivo mitragliamento era rimasto gravemente
ferito all’addome, ed era stato successivamente trasportato sul divano del
comandante, in sala nautica, mentre Burgos stesso (anch’egli seriamente ferito,
ma in modo meno grave) veniva sistemato su una sedia a sdraio accanto al
divano. Battiloro era un marinaio gentile, disciplinato e servizievole, ma "reo"
di trascurare la propria divisa: un giorno il comandante Burgos, trovandolo "sporco",
lo aveva rimbrottato, ordinando di allontnarlo dal quadrato ufficiali e
minacciando persino di sbarcarlo. Assegnato al quadrato sottufficiali, era
stato allontanato anche da qui, "degradato" al ruolo di marinaio
addetto alle pulizie del sottocastello: a questo punto, tuttavia, aveva
iniziato a curare maggiormente la propria persona, al punto di riconquistare la
fiducia perduta e tornare al ruolo di ripostiere del quadrato ufficiali. Così,
trovandosi in plancia in assolvimento del suo compito di ripostiere, era
rimasto mortalmente ferito.
Morente, chiese che
lo spostassero dal divano del comandante, perché "non stava bene che lì ci
fosse proprio lui"; ovviamente venne lasciato sul divano. Ad un certo
punto si rivolse a Burgos, con la poca voce che gli restava mentre le forze lo
lasciavano, e gli disse "Vedete, Comandante, ora sono pulito e Voi non mi
sbarcherete più. Vero? Ora sono ferito, ma quando sarò guarito tornerò a bordo
e allora Voi mi terrete ancora?". Burgos rispose allora di aver già notato
come la sua divisa fosse in ordine, poi aggiunse che sarebbero andati insieme
in ospedale e poi in licenza e che, una volta guariti e tornati in forze,
sarebbero tornati a bordo del Gioberti.
Battiloro, sempre più debole, assentiva con la testa; poi chiese al comandante
Burgos di prendergli la mano. Burgos acconsentì, e lo tenne per mano e seguitò
a parlargli mentre la vita, lentamente, lasciava il marinaio.
Così spirò Giovanni
Battiloro, a soli ventun anni.
In quelle precarie
condizioni (l’efficienza della nave, di per sé, non era materialmente
compromessa, ma più di un terzo dell’equipaggio era morto o ferito), il Gioberti dovette abbandonare la scorta,
allontanandosi verso nord.
Era ormai notte
quando il cacciatorpediniere, col suo carico dolente di morti e feriti (tutti
medicati nei limiti del possibile e provvisti di cartellino che indicava le
lesioni riportate), fece il suo ingresso nel porto di Trapani. Per l’ormeggio
col fianco alla banchina, operazione particolarmente difficile per via della
presenza di altre navi ormeggiate di poppa, il comandante Burgos riassunse
personalmente la direzione della manovra; non potendo reggersi in piedi, era
sostenuto da due uomini. I cannonieri che avrebbero dovuto essere al posto di
manovra a poppa erano morti quasi tutti: li sostituì il personale di macchina,
diretto da Sabatini. Nonostante l’inesperienza degli uomini addetti alla
manovra, il Gioberti riuscì
finalmente ad ormeggiarsi alla banchina.
Le vittime del mitragliamento sul Gioberti:
Giovanni Battiloro, marinaio, 21 anni, da
Torre del Greco, deceduto il 18.8.1942
Giovanni Berganton, marinaio, 21 anni, da
Papozze, deceduto il 18.2.1942
Alfio Cardoni, sottocapo nocchiere, 18 anni,
da Rio Marina, deceduto il 17.8.1942
Giulio Cionini, sergente furiere, 22 anni, da
Portoferraio, deceduto il 17.8.1942
Remo Sebastiano Di Dio, sergente S.D.T., 22
anni, da Enna, deceduto il 24.8.1942
Donato Di Iura, marinaio cannoniere, 22 anni,
da San Bartolomeo in Galdo, deceduto il 17.8.1942
Aldo Gatto, marinaio furiere, 19 anni, da
Ronco Scrivia, deceduto il 17.8.1942
Pasquale Grande, secondo capo furiere, 23
anni, da Napoli, deceduto il 24.8.1942
Giuseppe Ruvio, marinaio S.D.T., 18 anni, da
Licata, deceduto il 17.8.1942
Ciro Taroni, sottocapo nocchiere, 20 anni, da
Bagnacavallo, deceduto il 21.8.1942
Arnaldo Usai, sottocapo cannoniere, 20 anni,
da Sassari, deceduto il 17.8.1942
Pasquale Verdicchio, sottocapo cannoniere, 21
anni, da Maddaloni, deceduto il 17.8.1942
Marcello Zanfagnin, marinaio cannoniere, 20
anni, da San Giorgio di Nogaro, deceduto il 21.8.1942
17 ottobre 1942
Alle 17 il Gioberti (capitano di fregata Pietro
Tona) salpa da da Napoli per Tripoli insieme ai cacciatorpediniere Alfredo Oriani (capitano di fregata
Paolo Pesci) e Giovanni Da
Verrazzano (capitano di fregata Carlo Rossi), scortando il convoglio «D»
formato dai piroscafi Capo Orso, Beppe e Titania.
18 ottobre 1942
Alle 12.30 si
uniscono al convoglio anche la nave cisterna Saturno, proveniente da Cagliari, la vecchia torpediniera Nicola Fabrizi (tenente di
vascello Augusto Bini) che la scorta ed i cacciatorpediniere Antonio Da Noli (capitano di fregata
Pio Valdambrini) ed Ascari (capitano
di fregata Teodorico Capone) usciti da Palermo (si tratta del convoglio «C»);
le navi si riuniscono a nord delle Egadi formando un unico convoglio, che alle
12.35 vinne raggiunto dal cacciatorpediniere Antonio Pigafetta (capitano di vascello Enrico Mirti della
Valle), il quale ne assume il comando della scorta.
Alle 20 dello stesso
giorno la Fabrizi viene
fatta dirigere per Trapani, venendo sostituita dalla più moderna
torpediniera Centauro (capitano
di corvetta Luigi Zerbi).
Nelle giornate del 18
e 19 ottobre, fino anche alle prime ore notturne, il convoglio gode anche di
una forte scorta aerea. La sera del 18, e nella prima metà della notte
seguente, vengono avvertiti rumori di aerei (nemici) in volo e vengono avvistate
delle cortine di bengala che si accendono a poppavia delle navi, il che indica
che il convoglio è stato localizzato e seguito dalle forze avversarie.
In realtà la "scoperta"
è ancora antecedente: il 18 ottobre, infatti, le decrittazioni di “ULTRA” hanno
permesso ai comandi britannici di sapere che la Saturno è partita da Cagliari alle 16 del 17 e che alle 12.30
del 18 si deve unire a Capo Orso, Beppe e Titania partiti da Napoli alle 16 del 17, dopo di che il
convoglio deve proseguire sulla rotta a ponente di Malta a 8 nodi, per giungere
a Tripoli alle 13 del 20 ottobre.
Ricognitori vengono
inviati per trovare e seguire il convoglio, e ben cinque sommergibili ricevono
l’ordine di attaccarlo: il P 37 (poi Unbending), il P 42 (poi Unbroken),
il P 44 (poi United), il P 211 (poi Safari)
e l’Utmost. Il comandante della
flottiglia sommergibili di Malta, Simpson, li dispone in modo da formare una
linea di sbarramento orientata da nord verso sud: nell’ordine, Utmost, P 211, P 37, P 42 e P 44.
19 ottobre 1942
Alle 9.25, dato che
Supermarina ha segnalato la presenza di un sommergibile, la Centauro viene distaccata per
dargli la caccia, mentre il suo posto nella scorta viene preso dalla
torpediniera Sagittario (capitano
di corvetta Lanfranco Lanfranchi) appositamente inviata.
Il primo sommergibile
ad attaccare è l’Utmost (tenente
di vascello John Walter David Coombe): avvista il convoglio alle 8.40, in
posizione 36°03’ N e 11°56’ E (tra Pantelleria e Lampedusa) su rilevamento
350°, identifica le navi alle 8.50 come tre navi mercantili di medie dimensioni
scortate da sette cacciatorpediniere disposti su ogni estremità, lato e quarto
del convoglio nonché a poppavia dello stesso, ed alle 9.32 avvista anche
la Saturno, che diviene il suo
bersaglio. Alle 10.03 l’Utmost lancia
due siluri, da 5500 metri, contro la petroliera, ma nessuna arma va a
segno, e l’attacco passa inosservato. Più tardi riemerge per segnalare la
presenza del convoglio.
Viene poi il turno
del P 37 (poi Unbending, tenente di vascello Edward
Talbot Stanley), che ha assunto la sua posizione nello sbarramento alle sei del
mattino del 18. Nove aerei, uno dei quali antisommergibili, sono in volo sul
cielo del convoglio, ma nessuno vede l’unità britannica immersa a quota
periscopica. Il convoglio si trova 70 miglia a sud di Pantelleria.
Alle 11.48 il P 37 ha avvistato degli aerei che volano
con ampi zig zag sia a sud che a nord della sua posizione, e cinque minuti dopo
ha avvistato, su rilevamento 360°, anche il convoglio. Le navi mercantili,
disposte su due colonne di due unità ciascuna, procedono su rotta 180°; degli
aerei procedono a zig zag davanti ad esse, mentre lo schermo dei
cacciatorpediniere procede un miglio a poppavia dei velivoli, nonché a proravia
dei trasporti.
Alle 12.15 il
convoglio accosta su rotta 156°, ed il sommergibile passa tra i due
cacciatorpediniere che coprono il suo fianco sinistro; poi, alle 12.49,
il P 37 lancia quattro
siluri da 915 metri, contro il mercantile in testa alla colonna di
sinistra (posizionando la mira a proravia del mercantile di circa mezza
lunghezza, e poi lanciando i siluri a intervalli di 13 secondi nella speranza
che quelli che fossero passati a prua od a poppa del bersaglio colpiscano il
mercantile in testa all’altra colonna, più lontana). Subito dopo scende in profondità.
Alle 12.53 (in
posizione 35°52’ N e 12°05’ E, 28-30 miglia a sudovest dell’isolotto di
Lampione), senza alcun preavviso, il Beppe venne
colpito da un siluro a poppa sinistra; un minuto più tardi anche il Da Verrazzano, dopo aver evitato un
primo siluro, viene colpito da una seconda arma, che gli asporta la poppa.
Il resto del
convoglio accosta subito di 90° a dritta, ma ormai il danno è fatto: il Pigafetta ordina all’Oriani di dare assistenza al Beppe ed alla Sagittario di dare assistenza
al Da Verrazzano, nonché
al Gioberti di dare la
caccia al sommergibile; quest’ultima venne cessata dopo che il
cacciatorpediniere vede apparire in superficie un’ampia chiazza di nafta,
riferendolo al caposcorta (secondo fonti italiane, l’Unbending venne seriamente danneggiato dalle bombe di
profondità; dal suo giornale di bordo risulta però che tra le 12 e le 15 furono
lanciate 24 bombe di profondità, di cui solo due esplosero vicine).
Per le due navi
colpite non c’è niente da fare: il Beppe
cola a picco già alle 13.43, dopo che l’Oriani ne
ha recuperato i sopravvissuti; la Sagittario tenta
di prendere a rimorchio il Da
Verrazzano mentre il Gioberti (finita
la caccia) dà loro scorta, ma il cacciatorpediniere affonda alle 15.30 nel
punto 35°12’ N e 12°05’ E, a sud di Pantelleria ed a 25 miglia da
Lampedusa.
Gioberti e Sagittario
recuperano 255 dei 275 membri dell’equipaggio del Da Verrazzano; il Gioberti
sbarca i naufraghi a Lampedusa e poi si riunisce al convoglio (navigando
insieme all’Oriani, che ha sbarcato a
Lampedusa i naufraghi del Beppe),
mentre la Sagittario viene
fatta rientrare a Trapani.
Alle 16.19 un
sommergibile lancia due siluri contro la Saturno,
mancandola.
Intorno alle 19 viene
ricevuto un messaggio da Supermarina, che annuncia che un attacco aerosilurante
è probabilmente in arrivo; poco dopo le 20, difatti, Gioberti (che si trova insieme all’Oriani e sta per raggiungere il convoglio) ed Ascari riferiscono al Pigafetta
di avvertire rumori di aerei sul loro cielo. L’unico velivolo della scorta
aerea, un aereo tedesco, ha da poco lasciato il convoglio.
Le siluranti della
scorta circondano i mercantili con cortine nebbiogene, ma alle 23.06, durante
l’attacco degli aerosiluranti, il Titania
viene colpito da un siluro, restando immobilizzato. L’Ascari riesce a prenderlo a rimorchio, portandolo verso Tripoli; l’Oriani rimane per dargli assistenza,
mentre il resto del convoglio, Gioberti
compreso, prosegue verso Tripoli.
20 ottobre 1942
Gli attacchi aerei
continuano: tra le 00.10 e le 00.22 Oriani
ed Ascari vengono attaccati da
bombardieri in picchiata ed aerosiluranti, ed alle 00.36 anche il Da Noli viene mancato di stretta misura
da alcune bombe.
Il caposcorta decide
dunque di dividere il convoglio in due gruppi, in base alla velocità: Capo Orso (capace di navigare a 10
nodi), Gioberti e Da Noli formano il primo; la Saturno (8,4 nodi) ed il Pigafetta costituiscono il secondo. Alle
3.05 il Da Noli avvista un
sommergibile emerso e tenta di speronarlo, ma questi s’immerge prima della
collisione; tra le 4.25 e le 4.45 entrambi i gruppi vengono attaccati da
bombardieri ed aerosiluranti, ma non subiscono danni. Alle 7.15 il convoglio
viene raggiunto dalla torpediniera Circe
(capitano di corvetta Stefano Palmas), mandata da Tripoli per rinforzare la
scorta e pilotare il convoglio in porto; sopraggiunge anche un gruppo di aerei,
che assume la scorta aerea delle navi.
Alle 7.20 il Titania, colpito da un altro siluro
(lanciato dal sommergibile britannico P
211), affonda in posizione 33°53’ N e 12°30’ E. Le altre navi arrivano a
Tripoli alla spicciolata: per primo l’Oriani,
con feriti del Titania, alle 10,
quindi Gioberti e Capo Orso, alle 11, poi Saturno, Pigafetta, Circe e Da Noli, alle 13.40. L’Ascari (avendo poca nafta, e non
essendovene a sufficienza a Tripoli) rientra invece a Trapani, dove giungerà il
mattino del 21.
4 novembre 1942
Gioberti, Maestrale
(caposcorta), Grecale, Oriani, il cacciatorpediniere Velite e le torpediniere Clio ed Animoso salpano da Napoli alle 17 per scorare a Tripoli il
piroscafo Veloce e le motonavi Giulia e Chisone. Gioberti e Grecale, oltre a far parte della scorta,
sono anche in missione di trasporto di 52 tonnellate di munizioni.
5 novembre 1942
Alle dieci del
mattino un sommergibile attacca il convoglio, ma l’attacco è sventato dalla
scorta. Alle 19.40 inizia una serie di pesanti attacchi aerei, che si
protrarranno fino all’una di notte del 6.
7 novembre 1942
L’Animoso lascia la scorta del convoglio
alle otto del mattino; le altre navi arrivano a Tripoli alle 18.15.
Questo è uno degli
ultimi convogli a raggiungere la Libia senza subire perdite.
11 novembre 1942
Gioberti, Oriani, Maestrale (caposcorta) e Grecale, insieme alla torpediniera Clio, salpano da Napoli alle 16, per
scortare a Biserta la motonave Caterina
Costa e l’incrociatore ausiliario Città di Napoli.
12 novembre 1942
Il convoglio giunge a
Biserta alle 16.
14 novembre 1942
Gioberti, Oriani, Maestrale (caposquadriglia) e Grecale salpano da Palermo per Biserta
alle 7, per una missione di trasporto. Hanno a bordo un reparto organico di 480
uomini del 10° Reggimento Bersaglieri e 165 tonnellate di benzina in latte.
Alle 14.24 i
cacciatorpediniere vengono avvistati dal sommergibile britannico P 45 (tenente di vascello Hugh Bentley
Turner), a cinque miglia di distanza, in posizione 37°27’ N e 10°12’ E; il P 45 riduce le distanze fino a 3 miglia
e mezzo, poi rinuncia ad attaccare.
Alle 16 il Gioberti trae in salvo l’equipaggio di
un idrovolante CANT Z abbattuto da quattro caccia britannici; poco dopo le navi
arrivano a Biserta (per altra fonte l’arrivo a Biserta avviene alle 15).
Già alle 17.30 i
cacciatorpediniere, messe a terra truppe e benzina, lasciano Biserta diretti a
Napoli.
15 novembre 1942
Le quattro unità
arrivano a Napoli alle 8.10.
23 novembre 1942
Il Gioberti ed il moderno cacciatorpediniere
Corsaro (capo sezione) salpano da
Cagliari per Biserta all’1.30, trasportando 700 uomini del Reggimento «San
Marco». Le due unità raggiungono Biserta dopo sette ore di navigazione;
sbarcate le truppe, ripartono alle 11.30 dirette a Napoli.
Il Gioberti a Biserta nel novembre 1942, al termine di una missione di
trasporto truppe (Coll. Erminio Bagnasco, via Maurizio Brescia e www.associazione-venus.it).
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28 novembre 1942
Gioberti e Corsaro giungono a
Napoli alle 00.10.
6-7 dicembre 1942
Il Gioberti, insieme ai cacciatorpediniere Maestrale, Legionario (coi quali forma la X Squadriglia Cacciatorpediniere), Aviere, Geniere, Corsaro e Bombardiere (XI Squadriglia
Cacciatorpediniere) salpa da Napoli nella tarda serata del 6 per scortare alle
moderne corazzate Littorio, Vittorio Veneto e Roma (che formano la IX Divisione
Navale), delle quali è stato ordinato il trasferimento nella più sicura base di
La Spezia dopo che un bombardamento su Napoli, due giorni prima, ha
semidistrutto la VII Divisione Navale. Nell’uscire dal porto, un’elica
del Bombardiere s’impiglia
nelle ostruzioni retali ed il cacciatorpediniere rimane bloccato a Napoli,
dovendo così essere sostituito dal più anziano Freccia.
La formazione, che
fruisce anche della scorta aerea di tre idrovolanti CANT Z. 501 in funzione
antisommergibili, percorre i canali dragati occidentali del golfo di Napoli,
con le corazzate in linea di fila (nell’ordine Littorio, Vittorio
Veneto e Roma) precedute dalla XI Squadriglia e seguite dalla X
Squadriglia. Superato Capo Miseno, la XI Squadriglia si pone in posizione di
scorta ravvicinata a dritta e la X Squadriglia fa lo stesso a sinistra. La
navigazione notturna procede senza problemi, ed al mattino successivo arrivano
tre CANT Z. 501 che scortano le navi sino a La Spezia; alle otto del mattino
il Bersagliere, partito da La
Spezia, si unisce alla X Squadriglia. A partire da mezzogiorno dapprima i
cacciatorpediniere e poi anche le corazzate eseguono prove di emissione di
cortine fumogene, ed alle 15.30 la formazione entra nel canale dragato che
porta a La Spezia.
10 dicembre 1942
Il Gioberti salpa da Napoli per Biserta
alle 15.30, insieme al Maestrale
(caposcorta), per scortare a Biserta la motonave Monginevro (avente a bordo il personale destinato ad armare il
naviglio francese catturato in Tunisia a seguito dell’occupazione italo-tedesca
della Francia di Vichy e della Tunisia).
11 dicembre 1942
Aerosiluranti
attaccano la Monginevro alle
3.30, ma la nave ne esce indenne.
Il convoglietto
giunge a Biserta alle 19.
19 dicembre 1942
Gioberti e Geniere lasciano
Biserta all’1.20, per scortare a Napoli gli avvisi-dragamine francesi Commandant Rivière e La Batailleuse, catturati a Biserta
dalle forze dell’Asse a seguito dell’occupazione italo-tedesca della Francia di
Vichy e della Tunisia. Su Gioberti e Geniere sono imbarcati 587 ufficiali e
marinai della Marina francese, smobilitati a seguito della soppressione delle
ridotte forze armate di Vichy, che devono essere rimpatriati.
20 dicembre 1942
Le quattro navi
raggiungono Napoli alle 16.
19 dicembre 1942
Gioberti, Geniere (caposcorta)
ed un altro cacciatorpediniere, il Lampo,
partono da Palermo alle due di notte, insieme alla Clio, per scortare in Tunisia un convoglio formato dalle moderne
motonavi Calino, Mario Roselli ed Alfredo
Oriani.
Durante la
navigazione, il convogli si divide: Gioberti,
Geniere e Roselli dirigono per Biserta, dove giungono alle 17.25, mentre le
altre navi fanno rotta per Tunisi, ove arrivano alle 18.30.
(Riportato nella
cronologia USMM, sembra incoerente con la missione citata più sopra).
8 gennaio 1943
Gioberti, Pigafetta
(caposquadriglia) e Granatiere,
aventi a bordo truppe (960 uomini), personale della Marina e materiali vari,
salpano da Palermo all’una di notte per una missione di trasporto. Arrivano a
Biserta alle 12.15.
9 gennaio 1943
Il Gioberti (capitano di fregata
Pierfrancesco Tona), insieme al Granatiere
(capitano di fregata Giuseppe Gregorio) ed al Pigafetta (caposcorta, capitano di vascello Rodolfo Del Minio),
lascia Biserta alle 7.45, per scortare a Napoli la Calino e la motonave tedesca Ankara.
Alle 16.40 il Pigafetta, a corto di
nafta (non ha fatto in tempo a rifornirsi prima di lasciare Biserta; non
l’hanno fatto neanche Gioberti e Granatiere, che però hanno un’autonomia
maggiore) lascia la scorta delle due motonavi e dirige invece per Palermo, dove
arriverà alle 21.31. Il ruolo di caposcorta passa al Granatiere.
Calato il buio, il
convoglio si disperde, a causa della difficoltà di comunicazione degli ordini
di rotta e velocità alle motonavi. La Calino,
il cui radiosegnalatore funziona molto male, viene persa di vista, nonostante i
tentativi del Gioberti di
rintracciarla e riportarla in rotta.
10 gennaio 1943
Non avendo ricevuto
gli ordini (neanche quelli che il Gioberti
ha ripetuto con mezzi ottici), la Calino
non imbocca la rotta di sicurezza a sud di Capri, finendo invece con l’entrare
nel vicino campo minato difensivo. Alle 5.30, al largo di Punta Campanella, la Calino – non ancora ricongiuntasi al
resto del convoglio – urta una mina, subendo gravi danni; l’equipaggio
abbandona la nave.
Il Gioberti rintraccia la motonave alle
5.45, poco dopo l’urto contro la mina: la Calino
appare immobile e sbandata, ad una decina di miglia da Punta Campanella. Il
vento di nordovest spinge la motonave alla deriva verso il largo; il Gioberti attende quindi che essa esca
dalla zona minata, recupera i naufraghi imbarcati su due scialuppe (20 di essi
sono feriti) ed alle 8.55 prende a rimorchio la Calino, tentando di condurla in salvo. Alle 9.20 il Granatiere, lasciata l’Ankara all’entrata del porto, raggiunge
il Gioberti per fornirgli assistenza
nel rimorchio; ma cedimenti interni decretano la fine della Calino, che si capovolge ed affonda di
prua alle 11.28, in posizione 42°32’ N e 14°10’ E. Tutto l’equipaggio viene
tratto in salvo, ad eccezione di nove uomini.
Il Gioberti torna poi, assieme al Granatiere, ad assumere la scorta dell’Ankara, con la quale arriva a Napoli
alle 14.
23 gennaio 1943
Gioberti, Granatiere, Camicia Nera e Premuda (caposquadriglia) partono da Palermo per Tunisi alle 23.30,
trasportando truppe (1150 uomini), personale della Marina e materiali vari.
24 gennaio 1943
I quattro
cacciatorpediniere arrivano a Tunisi a mezzogiorno, sbarcano truppe e materiali
ed imbarcano circa 600 uomini che rimpatriano dalla Tripolitania ormai
abbandonata, per poi ripartire alle 14.
25 gennaio 1943
Le quattro navi
arrivano a Palermo alle 2.30.
26 gennaio 1943
Gioberti, Granatiere, Camicia Nera e Premuda (caposquadriglia) ripartono da Palermo per Tunisi alle
23.30, trasportando truppe (1200 uomini), personale della Marina e materiali
vari.
27 gennaio 1943
I quattro
cacciatorpediniere arrivano a Tunisi alle 11, sbarcano truppe e materiali ed
imbarcano altri 300 uomini rimpatrianti dalla Tripolitania, indi ripartono alle
13.30 per tornare a Palermo, dove arrivano alle 23.45.
30 gennaio 1943
Gioberti, Camicia Nera, Premuda ed un altro cacciatorpediniere,
il Mitragliere (caposquadriglia),
partono da Palermo per Tunisi alle 00.30, con a bordo truppe (1200 uomini),
personale della Marina e materiali vari; raggiunta Tunisi alle 13, sbarcano
truppe e materiali, imbarcano altri 600 rimpatrianti dalla Tripolitania e
ripartono alle 13.50.
31 gennaio 1943
Le quattro unità
arrivano a Palermo all’una di notte.
1° febbraio 1943
Gioberti, Mitragliere
(caposquadriglia), Camicia Nera e Premuda salpano da Palermo per Tunisi
alle 23.10, trasportando 1200 soldati nonché materiali vari.
2 febbraio 1943
Alle 5.15 un
sommergibile immerso lancia due siluri contro il Mitragliere, che li evita con la manovra. Alle 10.40 i
cacciatorpediniere giungono a Tunisi, dove sbarcano truppe e materiali,
imbarcano 130 rimpatrianti e ripartono alle 11.20 alla volta di Palermo, dove
arrivano alle 21.15.
5 febbraio 1943
Gioberti, Mitragliere
(caposquadriglia), Camicia Nera e Premuda lasciano Palermo diretti Tunisi
alle 00.30, trasportando 960 soldati oltre a materiali vari. Giungono a Tunisi
alle 11, sbarcano truppe e materiali, imbarcano 230 rimpatrianti, ripartono per
Palermo alle 13.30.
6 febbraio 1943
Le quattro navi
arrivano a Palermo all’1.45.
19 marzo 1943
Il Gioberti (capitano di fregata Pietro
Tona) assume la scorta del cacciatorpediniere Lampo, il quale, colto da grave avaria di macchina durante una
missione di scorta da Messina a Biserta, sta venendo rimorchiato a Napoli dalla
torpediniera Cassiopea.
20 marzo 1943
Gioberti, Lampo e Cassiopea arrivano a Napoli alle 2.50.
21 marzo 1943
Il Gioberti salpa da Pozzuoli alle 19, per
una missione di trasporto verso Tunisi. Una volta in mare aperto si congiunge
con i cacciatorpediniere Ascari
(partito da Palermo alle 22) e Legionario
(partito da Gaeta alle 17.50).
22 marzo 1943
Gioberti, Ascari e Legionario arrivano a Tunisi alle 11, e
ne ripartono tre ore più tardi.
Successivamente la
formazione si divide: Gioberti e Legionario fanno rotta per Gaeta, mentre
l’Ascari raggiunge Palermo alle
22.50.
23 marzo 1943
Gioberti e Legionario
raggiungono Gaeta alle 5.30.
5 aprile 1943
A seguito della
riorganizzazione delle forze navali, il Gioberti
viene assegnato alla XIV Squadriglia Cacciatorpediniere, insieme a Legionario e Camicia Nera.
14 aprile 1943
Nella notte tra il 13
ed il 14 aprile, 199 bombardieri britannici del Bomber Command della Royal Air
Force (su un totale di 211 quadrimotori, 208 Avro Lancaster e tre Handley Page
Halifax, che sono decollati dalle basi nell’Inghilterra) attaccano La Spezia,
sganciando 393 tonnellate di bombe dirompenti e 98 di bombe incendiarie.
Si tratta del primo
vero bombardamento subito dalla città ligure, dopo due blande incursioni
effettuate con pochissimi aerei il 4 ed il 14 febbraio precedenti. È
un’incursione del tipo detto "area bombing", in cui l’obiettivo è
devastare deliberatamente la città, senza cercare di colpire specifici
obiettivi (molto difficili da colpire, specie di notte), bensì cercando di
terrorizzare quanto più possibile la popolazione civile, in modo da indurla a
sfollare lasciando così inattive, per mancanza di manodopera, le industrie
belliche, anche se queste non vengono colpite. Si tratta di uno dei
bombardamenti più pesanti effettuati, fino a questo momento, dal Bomber Command
sull’Italia.
I bombardieri sono
preceduti da un gruppo di aerei "battipista" ("pathfinder")
dotati di radar tipo H2S, che li guidano sull’obiettivo.
L’incursione inizia
all’1.40 e termina alle 2.23; i bombardieri sganciano il loro carico da quote
medie, e vengono avvistati in tempo perché le corazzate siano occultate dalle
cortine fumogene emesse sia dalle navi che dagli apparati di annebbiamento
situati a terra. Dopo le due, tuttavia, il vento disperde parte del fumo,
scoprendo soprattutto la Littorio,
illuminata dai bengala e dagli incendi: la corazzata viene così colpita da una
bomba, che danneggia una delle torri del calibro principale.
L’unica altra nave
colpita è proprio il Gioberti: una
bomba incendiaria ne perfora il ponte di coperta e scatena un incendio nei
sottostanti alloggi dell’equipaggio, ma le fiamme vengono rapidamente estinte.
Il bombardamento non
risulta molto concentrato, ma l’enorme quantitativo di esplosivo sganciato è
comunque sufficiente ad arrecare danni enormi sia alla città che alla base
navale.
Le vittime del
bombardamento tra la popolazione livornese ed il personale militare sono in
tutto 68 (24 militari e 44 civili), meno di quanto ci si potrebbe aspettare di
fronte a tale devastazione, soprattutto grazie alla maggior sicurezza dei
rifugi antiaerei di La Spezia (ricavati in gallerie invece che negli scantinati
di edifici che avrebbero potuto crollarvi sopra). Quasi metà delle vittime, per
contro, si è verificata proprio all’ingresso di una di tali gallerie-rifugio,
la galleria Spallanzani, perché i lavori di costruzione non sono ancora stati
ultimati e quindi essa non offre sufficiente protezione.
Gli attaccanti
subiscono la perdita di quattro bombardieri (nessuno, però, abbattuto sopra La
Spezia) ed il danneggiamento di altri due.
16 aprile 1943
Nonostante i danni
subiti da Littorio e Gioberti nel bombardamento, entrambe le
navi escono in mare col resto della IX Divisione per effettuare esercitazioni
di tiro e di cooperazione aeronavale, le prime tenute dall’autunno del 1942.
Escono così in mare
le tre corazzate della IX Divisione (Roma, Littorio,
Vittorio Veneto), la XIII Squadriglia
Cacciatorpediniere (Fuciliere, Oriani, Alpino) e la XIV Squadriglia Cacciatorpediniere (Gioberti, Legionario, Camicia Nera).
Aerei da caccia ed idrovolanti antisom completano la formazione, con funzioni
di scorta aerea.
Le esercitazioni, che
consistono in prove di tiro delle corazzate contro aerei e bersagli navali
rimorchiati, manovre in formazione ed un attacco simulato da parte di
aerosiluranti, si tengono durante il mattino ed il pomeriggio, in condizioni di
mare calmo e scarsa visibilità.
7 giugno 1943
Il Gioberti salpa da La Maddalena, insieme
a Legionario e Fuciliere, per una missione di scorta ad un convoglio composto dai
piroscafi Canosa, Melfi e Cassino. Alle 5.50 i fumi del convoglio vengono avvistati dal
sommergibile britannico Safari
(tenente di vascello Richard Barkie Lakin), che alle 6.34 avvista il convoglio
in avvicinamento, diretto verso sud, a sette miglia di distanza. Il Safari si avvicina per 25 minuti ad alta
velocità, poi, alle 7.19 (in posizione 41°46’ N e 09°30’ E) lancia quattro
siluri da 6400 metri di distanza, contro due dei mercantili; nessuna delle armi
va a segno, ed esse esplodono anzi contro la costa, avvertendo il Gioberti del pericolo.
Alle 7.26 il Gioberti contrattacca con 14 bombe di
profondità, che scoppiano tutte piuttosto vicine al sommergibile, causando però
soltanto danni leggeri.
Alle 8.23 il battello
britannico torna a quota periscopica ed avvista il Gioberti quasi 3660 metri a poppavia; il comandante britannico
decide di avvicinarsi e preparare due tubi al lancio per attaccarlo, ma
abbandona ogni proposito offensivo quando, alle 9, il Gioberti accelera e gli si dirige incontro.
Il Safari scende in profondità, ed alle
9.04 il cacciatorpediniere lancia altre tre bombe di profondità, che esplodono
vicine; seguono, alle 9.36, altri due pacchetti di 3 e 4 cariche di profondità,
anch’esse esplose vicine al bersaglio.
Il Gioberti, a ragione, ritiene di aver
solo danneggiato l’attaccante; le corvette Danaide
e Folaga ricevono ordine di recarsi
sul posto per proseguire la caccia, ma non riusciranno a trovare il Safari, che si ritira lentamente verso
il largo alla quota di 91 metri.
Foto aerea (da www.azionemare.org) |
L’affondamento
Alle 17.10 del 9
agosto 1943 il Gioberti, al comando
del capitano di fregata Carlo Zampari, salpò da La Spezia insieme al resto
della XIV Squadriglia Cacciatorpediniere (Mitragliere,
al comando del caposquadriglia, capitano di vascello Giuseppe Marini; Carabiniere, al comando del capitano di
fregata Gianmaria Bongioanni), cui era stato aggregato. Il capitano di fregata
Zampari aveva appena assunto il comando del Gioberti:
per lui questa era la prima missione di guerra con incarichi di comando, e la
prima uscita in mare in tempo di guerra.
I tre
cacciatorpediniere avevano l’incarico di scortare a Genova l’VIII Divisione
Navale (ammiraglio di divisione Giuseppe Fioravanzo, imbarcato sul Garibaldi), composta dagli incrociatori
leggeri Giuseppe Garibaldi ed Emanuele Filiberto Duca d’Aosta.
La Divisione
dell’ammiraglio Fioravanzo era giunta a La Spezia rientrando da una fallimentare
puntata offensiva nelle acque della Sicilia, dove infuriava la battaglia tra le
forze italo-tedesche e quelle angloamericane sbarcate il 10 luglio: i due
incrociatori, senza scorta di cacciatorpediniere, avevano lasciato Genova il 6
agosto diretti a La Maddalena, da dov’erano ripartiti la sera del 7 per
attaccare il naviglio Alleato alla fonda davanti a Palermo, occupata dalle
truppe statunitensi il 22 luglio. Aerei da ricognizione avevano però avvistato
alcune navi sconosciute dirette verso l’VIII Divisione, e l’ammiraglio
Fioravanzo, temendo una trappola, aveva interrotto la missione senza
raggiungere Palermo, invertendo la rotta e dirigendo per La Spezia, dov’era
giunto alle 19 dell’8 agosto. Questa decisione sarebbe poi costata a Fioravanzo
il comando dell’VIII Divisione e serie conseguenze sulla carriera, ma
l’ammiraglio aveva visto giusto: i decrittatori britannici di “ULTRA” avevano
intercettato dei messaggi relativi alla missione dell’VIII Divisione, e la
Marina statunitense aveva mandato gli incrociatori leggeri Philadelphia e Savannah
(ben più grandi e potentemente armati dei due incrociatori di Fioravanzo, e
dotati di radar, che le navi dell’VIII Divisione non avevano) ed i
cacciatorpediniere Rowan e Rhind ad intercettare le sue navi, organizzando
una vera e propria imboscata.
Da La Spezia, i due
incrociatori di Fioravanzo dovevano rientrare a Genova, base abituale dell’VIII
Divisione; per scortarli nel tratto di navigazione tra i due porti liguri, fu
loro assegnata la XIV Squadriglia Cacciatorpediniere. La missione dell’VIII
Divisione, nonostante tutto, non era destinata a concludersi senza perdite.
Lasciata La Spezia,
VIII Divisione e XIV Squadriglia assunsero una velocità di 24 nodi e diressero
verso Punta Mesco, seguendo la rotta di sicurezza costiera (225°). Le navi
procedevano in linea di fila: Mitragliere
in testa, poi, nell’ordine, Garibaldi,
Duca d’Aosta, Carabiniere e per ultimo il Gioberti,
in coda. La scorta aerea era costituita da quattro aerei da caccia dell’8°
Gruppo da Caccia della Regia Aeronautica e da un idrovolante CANT Z. 506,
quest’ultimo adibito alla vigilanza antisommergibili.
Giunta all’altezza di
Punta Mesco, l’VIII Divisione accostò di 90° a sinistra, volgendo la poppa alla
costa; contemporaneamente, i cacciatorpediniere di coda ebbero disposizione di
portarsi in posizione di scorta laterale, Gioberti
sul fianco dritto e Carabiniere su
quello sinistro. Dovendo cambiare rotta (da 225° a 270°) a breve, le navi
procedevano su rotta rettilinea, senza zigzagare.
Benché sia il Gioberti che il Carabiniere fossero dotati di efficienti ecogoniometri di
produzione tedesca, che per giunta avrebbero dovuto funzionare agevolmente
grazie al mare calmo, nessuno si accorse della presenza, nei pressi, del
sommergibile britannico Simoom
(tenente di vascello Geoffrey Deryck Nicholson Milner).
Alle 18.15
l’ufficiale di guardia sul Simoom,
tenente di vascello George Edward Lynton Foster Edsell, avvistò un
cacciatorpediniere che procedeva rasentando la costa: la sua colorazione
mimetica era particolarmente efficace sullo sfondo delle scogliere, tanto che
solo la plancia ed il fumaiolo risultavano discernibili. Poco dopo Edsell
avvistò gli altri due cacciatorpediniere, ed infine i due incrociatori. Tutte
le navi procedevano vicine alla costa, dirette verso nord; erano troppo lontane
per un attacco col siluro, ma alle 18.17 l’accostata di 90° a sinistra le portò
proprio verso il Simoom. Il
sommergibile iniziò allora la manovra d’attacco.
Superato il punto
terminale della rotta di sicurezza, la formazione italiana diresse verso il
punto di atterraggio «B», poco distante, da dove avrebbe poi accostato verso
Genova assumendo rotta 270° (verso ovest). In quel momento le navi si trovavano
in posizione 44°03’ N e 09°34’ E (cinque miglia a sud-sud-ovest di Levanto, e
tra tale località e Monterosso); il Garibaldi
era seguito di 500 metri dal Duca d’Aosta
e preceduto di 1000 dal Mitragliere,
mentre il Gioberti si trovava 1000
metri sulla dritta del Garibaldi e
stava risalendo la formazione per raggiungere la posizione di scorta laterale
ad esso assegnata. Il Carabiniere
stava facendo lo stesso sul lato opposto.
Alle 18.25 (ora di
bordo del Simoom) il Simoom lanciò sei siluri contro la
formazione italiana; il lancio dei siluri provocò la perdita di assetto del
sommergibile, il quale, per non venire ad affiorare, dovette immettere acqua
nelle casse: evitò l’affioramento, ma sprofondò fino alla profondità di 85
metri.
Subito dopo il lancio
(ore 18.24 per la documentazione italiana, con discordanza di un minuto
rispetto a quella britannica) il caccia pilotato dal maggiore Mario Bacich,
comandante dell’8° Gruppo da Caccia, avvistò le scie dei siluri e lo segnalò
alle navi lanciando una fumata bianca, poi si abbassò verso il mare e sparò
alcune raffiche di mitragliera sull’acqua, per indicare alle navi il punto da
cui provenivano i siluri (per altra fonte, fu il CANT Z. 506 a lanciare il
fumogeno bianco ed anche una bomba, mentre spararono contro le scie sia
l’idrovolante che uno dei caccia).
Sul Garibaldi, l’ammiraglio Fioravanzo puntò
il binocolo verso gli zampilli sollevati dai colpi di mitragliatrice
dell’aereo, ed avvistò le scie di quattro siluri che ritenne diretti contro la
sua nave (era infatti il Garibaldi
l’obiettivo del Simoom); ordinò di
accostare subito a sinistra, mentre i siluri passavano a proravia del Carabiniere. Quest’ultimo alzò bandiera
rossa (segnale che indicava la presenza di un sommergibile sulla sinistra) e lanciò
il segnale prescritto per l’attacco subacqueo sia al comando della Divisione
(in fonia, su onde ultracorte) che a tutte le altre navi della formazione (in radiotelegrafia,
sull’onda generale del radiosegnalatore, e col lampeggiatore), poi accostò verso
sinistra per portarsi verso il sommergibile attaccante.
Il Garibaldi (che aveva anch’esso alzato
bandiera rossa), intendendo dirigersi verso i siluri per passare loro di poppa,
accostò dapprima a sinistra – per temporanea incertezza – e poi a dritta; i
siluri passarono alcune decine di metri a proravia dell’incrociatore e si
diressero verso il Gioberti.
Quest’ultimo si era accorto del pericolo, avendo a sua volta alzato la bandiera
rossa ed avendo dato il ricevuto al segnale d’allarme diramato dal Comando di
Divisione.
Trovandosi sul lato
di dritta della formazione, il Gioberti
era la nave più lontana dal punto da dove il Simoom aveva lanciato i siluri, ed avrebbe avuto tutto il tempo per
effettuare a sua volta un’accostata per evitarli, avendo avvistato le scie dei
siluri da una distanza di almeno 2000 metri. Ma l’inesperienza del comandante
Zampari ne segnò invece la sorte: questi ritenne infatti che per evitare i
siluri sarebbe bastato aumentare la velocità (ma non la si poteva incrementare
di molto, perché il Gioberti stava
già avanzando ad elevata velocità), così, anziché accostare, il Gioberti proseguì per la sua rotta
rettilinea a velocità prossima a quella massima, per raggiungere il punto di
scorta laterale assegnato.
All’ultimo momento,
il comandante Zampardi si rese conto che non sarebbe riuscito ad evitare i
siluri: ordinò allora di accostare a sinistra, ma non c’era più tempo.
Il Gioberti fu colpito da due dei quattro
siluri lanciati dal Simoon; uno lo colpì a centro nave, spezzandolo in due, e
l’altro all’estrema poppa, provocando l’esplosione del deposito munizioni poppiero
(per altra versione, entrambi i siluri lo colpirono a poppa). La poppa saltò in
aria dopo circa 90 secondi, mentre il troncone prodiero, spinto dall’abbrivio, avanzò
ancora per circa cento metri, proseguendo nella manovra di accostata a
sinistra, per poi abbattersi sulla dritta ed affondare anch’esso nel giro di un
minuto e mezzo nel punto 44°04’ N e 09°32’ E, a circa cinque miglia per 210° da
Punta Mesco. Erano le 18.35.
Una sequenza di sei fotografie
che mostrano le varie fasi dell’affondamento del Gioberti (da www.lavocedelmarinaio.com):
L’esplosione del Gioberti vista dalla poppa del Carabiniere; sulla sinistra si scorge la sagoma del Garibaldi (Coll. S.T.V. Prospero Solimano, via www.sncmcamogli.org) |
Tre immagini dell’esplosione
del troncone poppiero del Gioberti:
(da www.difesaonline.it) |
Altre due foto
dell’affondamento (La Nazione)
I due incrociatori si
allontanarono subito dal luogo dell’attacco, mentre Mitragliere e Carabiniere,
insieme al CANT Z. 506, si avventarono sul Simoom
ma gettarono solo poche bombe di profondità (otto, tutte lanciate dal Carabiniere tra le 18.29 e le 18.32) nel
punto da cui erano partiti i siluri, poi si allontanarono anch’essi, ricongiungendosi
con gli incrociatori. Il Simoom non
subì danni gravi (ebbe invece seri inconvenienti col controllo della quota,
tanto che ad un certo punto sprofondò fino a quasi 150 metri); un tubo
lanciasiluri fu messo fuori uso, ma il sommergibile poté restare operativo nel
Golfo di Genova per altri sei giorni prima di rientrare alla base.
Nessuno si fermò a
recuperare i naufraghi del Gioberti; Mitragliere e Carabiniere si limitarono a contattare immediatamente La Spezia
chiedendo che fossero inviati subito mezzi veloci di soccorso, confidando che i
soccorsi sarebbero giunti entro breve, data la vicinanza della base.
Diversi naufraghi del
Gioberti si profusero di sforzi per
aiutare i propri compagni feriti a restare a galla nel mare cosparso di nafta;
tra di essi il tenente di vascello Umberto Vitti, i sottotenenti di vascello
Carlo Giordano, Vittorio Gigli e Giovanni Maynoni D’Intignano, il capo
segnalatore Giovanni De Piceis Polver, il capo silurista Marco Maffetti, il
capo meccanico Vito Calogero, il sottocapo furiere Adolfo Zovi, i marinai
Osvaldo Calligaris, Nilo Romanacci e Francesco Panariello, il marinaio
cannoniere Pietrangelo Mameli (che assisté un ufficiale rimasto senza
salvagente); tutti ricevettero la Croce di Guerra al Valor Militare. Il comandante in seconda, tenente di vascello Luigi Fulvi (31 anni, da Perugia), sarebbe stato decorato con la Medaglia di Bronzo al Valor Militare con la motivazione: "Ufficiale in seconda di ct. affondato da sommergibile avversario nel corso di una missione di guerra, rimaneva impavido al suo posto di combattimento, preoccupandosi della sorte dell'unità, dei feriti e pericolanti. Abbandonava l'unità - dopo specifico ordine del comandante - e proseguiva in mare la sua opera cedendo ai più deboli il suo posto su mezzi di salvataggio e organizzando e rincuorando i naufraghi. Esempio di ardimento, abnegazione ed elevate virtù militari".
Mario Bonetti,
marinaio, si gettò illeso in mare ed aiutò alcuni compagni a salire su una
zattera, poi rimase in acqua in attesa dei soccorsi.
Il marinaio diciannovenne Renato Bene fu pressoché miracolato: uno dei siluri esplose praticamente sotto di lui, tanto che l'esplosione gli strappò i vestiti di dosso e lo lanciò in aria, sbattendolo contro le strutture metalliche sovrastanti e ferendolo; ricadde poi in mare tra la nafta in fiamme, con diverse ustioni, una clavicola fratturata, una grossa ferita alla testa ed un'altra sul braccio sinistro dalla quale perdeva copiosamente sangue. Quando riemerse, il vento aveva spostato le fiamme; Bene avrebbe raccontato in seguito di aver avuto una visione della madre, morta alcuni anni prima proprio in quella data, che lo incoraggiò e gli disse che si sarebbe salvato. Bloccata l'emorragia al braccio con la cintura dei pantaloni, unico indumento che aveva ancora addosso, fu salvato dopo aver trascorso parecchie ore in acqua.
Nonostante le
ottimali condizioni atmosferiche ed il mare calmissimo, passò più di un’ora
prima che una squadriglia di MAS giungesse sul posto ed iniziasse a recuperare
i naufraghi. Poi arrivarono anche altri mezzi di soccorso, sempre inviati da La
Spezia.
Vennero tratti in
salvo 9 ufficiali e 162 tra sottufficiali e marinai del Gioberti, compreso il comandante Zampari, mentre 4 ufficiali e 101
tra sottufficiali e marinai risultarono morti o dispersi: gran parte delle
vittime si trovava a poppa al momento del siluramento.
I loro nomi:
Giovanni Agliata, marinaio cannoniere,
deceduto
Bruno Balestra, marinaio furiere, disperso
Enrico Balossi, marinaio cannoniere, disperso
Carlo Barone, capitano del Genio Navale,
disperso
Bartoldo Barrafato, marinaio meccanico,
disperso
Aurelio Basso, marinaio elettricista, disperso
Diego Beccari, marinaio silurista, disperso
Giovanni Bellemo, marinaio fuochista, disperso
Dario Benetel, marinaio fuochista, disperso
Angelo Bergamo, marinaio, disperso
Olimpio Bernardi, marinaio, disperso
Mario Boccone, marinaio cannoniere, deceduto
Carlo Bonelli, marinaio radiotelegrafista,
disperso
Antonio Bozzato, marinaio, disperso
Vincenzo Bozzelli, sottocapo cannoniere,
disperso
Nicola Campioni, sottocapo cannoniere,
disperso
Michele Cammarata, marinaio, deceduto
Giuseppe Cannizzaro, marinaio fuochista,
disperso
Antonio Casagrande, marinaio fuochista,
deceduto
Salvatore Castorina, marinaio, disperso
Giorgio Ceccarelli, sottocapo meccanico,
disperso
Leonardo Celestino, marinaio fuochista,
disperso
Alfonso Ciarella, aspirante guardiamarina del
Genio Navale, disperso
Antonio Cincioni, marinaio fuochista, disperso
Nicola Cirilli, marinaio torpediniere,
disperso
Fulvio Copelli, marinaio fuochista, disperso
Salvatore D’Anna, marinaio fuochista, disperso
Nicola D’Aquino, marinaio silurista, disperso
Fiorindo De Toffol, sottocapo meccanico,
deceduto
Alfredo Demini, sottotenente del Genio Navale,
disperso
Tommaso Di Giovancesario, marinaio, disperso
Francesco Esposito, secondo capo furiere,
disperso
Vittore Failoni, secondo capo meccanico,
disperso
Ermenegildo Favero, marinaio, disperso
Luigi Fino, marinaio fuochista, disperso
Antonio Franco, marinaio fuochista, disperso
Giancarlo Franzini, marinaio cannoniere,
disperso
Giuseppe Gentile, marinaio cannoniere,
disperso
Giuseppe Giacalone, marinaio, deceduto
Giovanni Giannotti, sottocapo furiere,
disperso
Matteo Granatiero, marinaio, disperso
Aldo Gregori, marinaio motorista, disperso
Roberto Harasin, marinaio silurista, disperso
Vladimiro Jurissevich, marinaio elettricista,
disperso
Luciano Kment, sottocapo nocchiere, disperso
Francesco Paolo Lanza, marinaio fuochista,
deceduto
Salvatore Lattanzio, sergente nocchiere,
disperso
Luigi Lo Scalzo, marinaio, disperso
Leo Lorenzi, marinaio cannoniere, disperso
Giuseppe Maccarone, marinaio elettricista,
disperso
Pietro Maiella, marinaio cannoniere, disperso
Giulio Maifredi, marinaio fuochista, disperso
Giuseppe Manfredonia, marinaio cannoniere,
disperso
Giovanni Marras, sergente elettricista,
disperso
Marino Martellotta, marinaio, disperso
Giovanni Martina, marinaio, disperso
Massimo Marzano, guardiamarina, deceduto
(probabilmente a terra per le ferite riportate)
Umberto Matta, marinaio meccanico, disperso
Bruno Meloni, sottocapo cannoniere, disperso
Ciro Mosca, marinaio, disperso
Antonio Donato Nettis, marinaio, disperso
Secondino Oiseau, sottocapo cannoniere,
disperso
Raffaele Paparella, marinaio cannoniere,
disperso
Giuseppe Pasquini, marinaio, disperso
Giovanni Passante, marinaio fuochista,
disperso
Pasquale Passaro, marinaio, disperso
Mario Pavan, capo meccanico di terza classe,
disperso
Attilio Piccoli, capo radiotelegrafista di
terza classe, disperso
Luigi Piovanelli, sottocapo silurista,
disperso
Gaetano Pirone, marinaio torpediniere,
disperso
Biagio Pisarra, sergente cannoniere, disperso
Giuseppe Ponzio, marinaio fuochista, disperso
Luigi Ponzoletti, marinaio fuochista, disperso
Giovanni Porqeddu, capo cannoniere di terza
classe, deceduto a terra il 10.8.1943 (probabilmente per le ferite)
Alceste Pucci, marinaio cannoniere, deceduto
Angelo Quero, sottocapo elettricista, deceduto
Francesco Ravera, sergente silurista, disperso
Marco Romani, marinaio, disperso
Ettore Roncaglio, marinaio fuochista, deceduto
Germano Ronchi, marinaio cannoniere, disperso
Daniele Rossignoli, marinaio elettricista,
disperso
Alfonso Scudellari, marinaio, disperso
Arturo Selle, marinaio fuochista, disperso
Salvatore Serraino, marinaio, disperso
Severino Silvestri, marinaio fuochista,
disperso
Riccardo Soldo, marinaio motorista, disperso
Giuseppe Spagliardi, sottocapo palombaro,
deceduto
Francesco Stefanelli, marinaio fuochista,
disperso
Giuseppe Stefanizzi, marinaio, disperso
Luigi Tavola, marinaio fuochista, deceduto
Giuseppe Todaro, marinaio fuochista, disperso
Ottavio Tognato, marinaio silurista, disperso
Luigi Tosi, marinaio fuochista, disperso
Vinicio Tricca, marinaio cannoniere, disperso
Francesco Trigili, marinaio fuochista,
disperso
Mario Trinastich, marinaio silurista, disperso
Michele Troiano, aspirante guardiamarina del
Genio Navale, deceduto
Giovanni Trombetta, sottocapo elettricista,
disperso
Gabriele Vincenti, marinaio, disperso
Michele Virgilio, secondo capo meccanico,
disperso
Iginio Visentin, marinaio fuochista, disperso
Cesare Zadra, marinaio fuochista, disperso
Vittorio Zamboni, marinaio, disperso
Ottavio Zanin, sergente cannoniere, disperso
Francesco Zappalà, marinaio cannoniere,
disperso
Altri quattro uomini del Gioberti risultano deceduti in data successiva (non è noto se in
seguito a postumi di ferite riportate, o per cause non collegate
all’affondamento):
Osvaldo Caligaris, marinaio, deceduto in
territorio metropolitano il 6.9.1945
Nello Nardi, marinaio cannoniere, deceduto in
territorio metropolitano il 25.9.1944
Pietro Odino, marinaio fuochista, deceduto in
territorio metropolitano l’1.4.1944
Giovanni Rummolo, marinaio furiere, deceduto
in territorio metropolitano l’8.10.1943
Santo Pistone a bordo del Gioberti (per g.c. del nipote Salvatore G. Musumeci) |
Santo Pistone (a sinistra) ed un amico a bordo del Gioberti (per g.c. del nipote Salvatore G. Musumeci) |
L’affondamento del Gioberti nel giornale di bordo del
Simoon (da Uboat.net):
“1815 hours - The Officer of the Watch (Lt. G.E.L.F. Edsell, RN) sighted
a destroyer close inshore. The funnel and bridge only were showing against the
background of the Cliffs. Its camouflage was extremely effective against this
background. Shortly afterwards two more destroyers were sighted and these were
followed by two cruisers. All ships were camouflaged. They were very close
inshore and proceeding Northwards. Unfortunately they were out of range for a
torpedo attack.
1817 hours - The leading destroyer altered 80° towards. Started attack
as it seemed likely that the other ships would soon follow, which was indeed
the case.
1825 hours - Fired 6 torpedoes. Upon firing Simoom lost depth control and in order not the break surface had to
take in water. She did not broach but now ended up at 280 feet. Three
explosions were heard of which two were definate torpedo explosions.
1829 hours - The first pattern of depth charges was dropped, 6 in total.
1832 hours - 6 more depth charges were dropped.
1915 hours - Simoom was now
'very heavy' and lost depth control again. She ended up at 480 feet. Control
was regained and after a while she went to 350 feet.
2115 hours - HE from the last destroyer faded out astern.
2200 hours - Came to 200 feet. Later went to 90 feet and regained normal
trim.
2238 hours - Surfaced and cleared the area.”
La motivazione della Croce di Guerra al Valor Militare conferita al
tenente di vascello in s.p.e. Umberto Vitti (nato a Casalmonferrato il 16 marzo
1913), al sottotenente di vascello in s.p.e. Carlo Giordano (nato a Pesaro il
13 luglio 1919) ed al sottotenente di vascello di complemento Giovanni Pietro
Maynoni D’Intignano (nato ad Erba il 24 luglio 1919):
«Imbarcato su Cacciatorpediniere attaccato ed affondato da sommergibile
avversario nel corso di missione di guerra, rimaneva fino all’ultimo al proprio posto di
combattimento. Successivamente — in mare — si prodigava nel soccorrere i
naufraghi feriti e pericolanti. Esempio di sereno coraggio ed elevate virtù
militari.
(Alto Tirreno, 9 agosto 1943).»
La motivazione della Croce di Guerra al Valor Militare conferita al
sottotenente di vascello in s.p.e. Vittorio Gigli, nato a Pavia il 23 ottobre
1919:
«Ufficiale di
rotta di Cacciatorpedìniere attaccato ed affondato da sommergibile nemico nel
corso di missione di guerra, rimaneva impavido fino all'ultimo al proprio posto di
combattimento. Naufrago si preoccupava di porgere aiuto ai pericolanti,
esortandoli e rincuorandoli. Esempio di abnegazione e di elevate virtù
militari.
(Alto Tirreno, 9 agosto 1943).»
La motivazione della Croce di Guerra al Valor Militare conferita al capo
segnalatore di seconda classe Giovanni De Piceis Polver (nato a Roma il 23
febbraio 1911), al capo silurista di terza classe Marco Maffetti (nato a
Nadonzo il 27 aprile 1911) ed al capo meccanico di terza classe Vito Calogero
(nato a Condrò il 3 gennaio 1911):
«Imbarcato su Cacciatorpedinìere attaccato ed affondato da sommergibile
avversario nel corso di missione di guerra, pur essendo leggermente ferito
manteneva contegno calmo ed esemplare e si prodigava con coraggio nel
salvataggio degli altri feriti e pericolanti. Esempio di sereno coraggio
edwbnegazione.
(Alto Tirreno, 9 agosto 1943).»
La motivazione della Croce di Guerra al Valor Militare conferita al
sottocapo furiere Adolfo Zovi (nato a Cinto Euganeo il 7 gennaio 1921), al
marinaio Osvaldo Calligaris (nato a Mombaruzzo il 2 agosto 1921), al marinaio
Nilo Romanacci (nato a Livorno il 29 ottobre 1922) ed al marinaio nocchiere
Francesco Panariello (nato a Torre del Greco il 4 aprile 1918):
«Imbarcato su Cacciatorpediniere attaccato ed affondato da sommergibile
avversario nel corso di missione di guerra, rimaneva impavido al proprio posto
di combattimento e, successivamente, incurante del pericolo incombente, si
prodigava nel salvataggio dei naufraghi feriti e perico-
lanti. Esempio di generoso coraggio ed elevate virtù militari.
(Alto Tirreno, 9 agosto 1943).»
La motivazione della Croce di Guerra al Valor Militare conferita al
marinaio cannoniere stereotelemetrista Pietrangelo Mameli, nato a Govino
(Sassari) il 10 settembre 1922:
«Telemetrista di Cacciatorpedinìere attaccato ed affondato da
sommergibile avversario, nel corso di missione di guerra, rimaneva impavido al
proprio posto di combattimento e, successivamente, incurante del pericolo incombente,
si preoccupava della salvezza di un Ufficiale sprovvisto di salvagente. Esampio
di sereno coraggio e devota dedizione.
(Alto Tirreno, 9 agosto 1943).»
L’ammiraglio Carlo
Bergamini, comandante in capo della Squadra Navale con base a La Spezia, fu
stupito che un sommergibile nemico si fosse potuto trovare in posizione di
attacco in un’area già ispezionata da Marina La Spezia e solitamente poco
frequentata dai sommergibili della Royal Navy, anche perché la poca distanza da
Punta Mesco permetteva di tenerla sotto controllo anche da terra.
L’ammiraglio
Fioravanzo attribuì la colpa della perdita del Gioberti al comandante Zampari, che invano aveva contattato con
segnali ottici, radio ed acustici per indurlo ad invertire la rotta (ma non era
riuscito a comunicargli via radio l’ordine di accostare); Zampari avrebbe
potuto evitare i siluri con manovra analoga a quella del Garibaldi, ma aveva invece creduto di potersi lasciar passare di
poppa i siluri, "seminandoli" alla massima velocità. Si era
sbagliato.
L’ammiraglio Vitaliano
Rauber, capo dell’USMM nel dopoguerra, criticò Fioravanzo perché, negli oltre
cento secondi passati tra l’avvistamento dei siluri e l’impatto delle armi
contro il Gioberti, l’ammiraglio
sarebbe dovuto riuscire a contattare il cacciatorpediniere per ordinargli di
accostare; se, oltre a segnalargli l’avvistamento del sommergibile, gli fosse
stato ordinato anche di accostare, la nave si sarebbe salvata.
Ma d’altra parte, era
pur sempre stato Zampari a decidere una contromisura sbagliata al lancio dei
siluri, accelerando e non accostando, manovra quest’ultima che invece avrebbe
salvato la nave. Il Gioberti avrebbe
dovuto accostare di propria iniziativa, com’era prescritto in questi casi,
senza attendere un ordine.
Il Gioberti era stato da poco tempo aggregato
alla scorta degli incrociatori, ed il suo apparato radio non era sintonizzato
sulla frequenza delle altre navi (aveva ricevuto i segnali di avvistamento in
fonia, ma forse non quelli in morse).
La colpa
dell’accaduto era anche dovuta alla scarsa attività degli incrociatori negli
ultimi mesi ed all’eccessiva attività non di squadra (scorta convogli,
trasporto) svolta dai cacciatorpediniere, che avevano perso parte della
dimestichezza con le comunicazioni, i segnali e le manovre di squadra, anche a
causa delle deficienze nell’addestramento (causate dalla scarsità di carburante
e di protezione aerea).
Il Gioberti fu l’ultimo cacciatorpediniere
perduto dalla Regia Marina nel periodo di guerra contro gli Alleati.
Il troncone prodiero
del relitto del Gioberti è stato
localizzato il 18 dicembre 2015 dall’ingegner Guido Gay, già scopritore del
relitto della corazzata Roma, mediante
il ROV Pluto Palla ed altre
sofisticate apparecchiature da egli ideate ed installate sull’avveniristico
catamarano Daedalus.
Il relitto del cacciatorpediniere
giace a 595 metri di profondità, al largo dell’isola del Tino ed a sud di Punta
Mesco. Il troncone prodiero è adagiato sul fondale sul fianco di dritta, con la
prua rivolta verso nordest; sulle lamiere cresce oggi il corallo bianco.
Il 7 aprile 2016 il
relitto è stato filmato dai mezzi di Gay, questa volta calati dal cacciamine Gaeta della Marina Militare, alla presenza
di personale della Marina e della Soprintendenza, nonché di biologi marini e
giornalisti. Le riprese effettuate hanno permesso di identificare con certezza
il relitto; un collegamento in diretta via iphone ha permesso a due anziani
superstiti viareggini del Gioberti,
il novantaquattrenne Vittorio Dini ed il novantaseienne Mario Bonetti, di
rivedere la loro nave a 73 anni di distanza.
Racconto di un superstite del Gioberti
RispondiEliminaIl 9 agosto del 1943 aveva 20 anni nemmeno compiuti da un mese,era all'esterno, uno dei siluri esplose sotto di lui, la violenza dell'esplosione gli strappò i vestiti di dosso e lo sparò in aria, ricadde in acqua fra le fiamme del gasolio incendiato con una clavicola rotta, una grossa ferita sulla testa, una forte emorragia da ferita sul braccio sinistro e molte bruciature. Tali ferite furono la conseguenza dell' urto avuto con delle parti in ferro sopra di lui (forse la coffa ). Quando riemerse il vento aveva spostato le fiamme, gli apparve sua madre, che aveva perso qualche anno prima per ironia della sorte proprio il 9 di agosto, la quale lo incoraggiò e gli diede la speranza che si sarebbe salvato. Con la cintola dei pantaloni, unica cosa rimastagli addosso, bloccò l'emorragia del braccio e fu trovato dopo 18 ore dai soccorritori, per fortuna ancora vivo. Era Renato BENE.. mio padre
La ringrazio per questa preziosa testimonianza.
EliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaMio nonno Era Arturo Zanini, classe 1914, imbarcato sulla gioberti nel 1932 era capo S. D. t. Di lui qualche foto, mi piacerebbe trovare quache altra foto, dato, documento.
RispondiEliminaGrazie
Buonasera! Sono il nipote del marinaio Pistone Santo, matr. 60545, classe 1921. Mio nonno era imbarcato sul CT V. Gioberti. Al momento dell'affondamento si prodigava per salvare vari suoi compagni, per tale ragione è stato decorato con croce al merito. All'arrivo dei mezzi di salvataggio, egli teneva a galla un compagno svenuto. I soccorritori gli dicevano di abbandonarlo credendolo svenuto. Mio nonno rispose "Io salgo solo se fate salire anche lui". Così facendo salvò la vita del suo compagno. Fu ricoverato in convalescenza presso l'ospedale di Merano. Il 9 settembre 1943 veniva catturato dalle forze armate tedesche e deportato in un campo di concemtramento in Germania (campo Meppen). Verrà rimpatriato il 06/09/1945, dopo aver patito varie sofferenze nel campo ed esser stato ferito ad una gamba, durante un mitragliamento alleato sul campo.
RispondiEliminaBuonasera,
Eliminase volesse magari potrei inserire nella pagina una foto di suo nonno insieme a quanto ha scritto qui. Potrebbe scrivermi a lorcol94@gmail.com
Sarei molto contento e ne sarebbe stato lui. Cerco le foto di mio nonno a bordo del Gioberti e gliele giro sulla mail da lei fornitami. Grazie mille!
EliminaSono io a ringraziarla.
EliminaLe ho appena inviato la mail con le foto
RispondiEliminaGrazie!
EliminaOttima ricostruzione ma segnalo l'omissione della citazione del comandante in seconda del Gioberti, tenente di vascello Luigi Fulvi, che peraltro fu decorato con la Medaglia di Bronzo al Valor Militare (4^ concessione...) per il comportamento tenuto durante l'affondamento. Di seguito la motivazione della decorazione:
RispondiElimina"Ufficiale in seconda di ct. affondato da un sommergibile avversario nel corso di una missione di guerra, rimaneva impavido al suo posto di combattimento, preoccupandosi della sorte dell'unità, dei feriti e pericolanti.
Abbandonava l'unità - dopo specifico ordine del comandante - e proseguiva in mare la sua opera cedendo ai più deboli il suo posto su mezzi di salvataggio e organizzando e rincuorando i naufraghi.
Esempio di ardimento, abnegazione ed elevate virtù militari".
(Alto Tirreno, 9 agosto 1943) (D.P. 11 aprile 1951) D.V.M. 142
La ringrazio per la segnalazione, provvederò ad aggiungerlo nei prossimi giorni.
EliminaGrazie a lei e complimenti ancora per il suo lavoro.
EliminaStefano Bagnasco
Ad integrazione del mio precedente commento, il tenente di vascello Luigi Fulvi, comandante in seconda del Gioberti, era nato a Perugia il 1 marzo 1912. Dopo aver comandato il Battaglione Caorle del Reggimento San Marco, durante la cobelligeranza, transitato in servizio permanente effettivo per merito di guerra, rimase in Marina fino al 1972, raggiungendo il grado di ammiraglio di squadra.
RispondiEliminaC'è qualcuno che mi può dare informazioni sul Sottoufficiale RT Emilio ?
RispondiElimina