giovedì 2 marzo 2017

Dessiè

Il Dessiè nel 1938 (g.c. Marcello Risolo, via Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net

Sommergibile di piccola crociera della classe Adua (698 tonnellate di dislocamento in superficie e 866 t in immersione).
Svolse in guerra 27 missioni di vario tipo (18 offensive, una di trasporto e 8 di trasferimento), percorrendo in tutto 15.193 miglia in superficie e 4263 in immersione.

Breve e parziale cronologia.

20 aprile 1936
Impostazione nei cantieri Franco Tosi di Taranto.
20 novembre 1936
Varo nei cantieri Franco Tosi di Taranto.
14 aprile 1937
Entrata in servizio. Assegnato alla XLIII Squadriglia Sommergibili, con base a Taranto.
Tra i suoi primi comandanti vi sono il tenente di vascello Gino Birindelli, e successivamente Primo Longobardo: entrambi future M.O.V.M. (Birindelli giungerà inoltre ai vertici della Marina negli anni ’70).
20 agosto 1937
Al comando del tenente di vascello Mario Muro, il Dessiè salpa da Lero per partecipare alla guerra civile spagnola, con una missione clandestina in Mar Egeo contro il traffico di rifornimenti per le forze repubblicane spagnole.
29 agosto 1937
Rientra a Lero, terminando la missione senza aver colto risultati.
1938
Dislocato a Tobruk.
1940
Trasferito a Taranto e successivamente ad Augusta.
10 giugno 1940
All’entrata in guerra dell’Italia, il Dessiè (capitano di corvetta Fausto Sestini) fa parte della XLVI Squadriglia Sommergibili (IV Grupsom di Taranto), insieme ai gemelli Dagabur, Uarsciek e Uebi Scebeli.
8 agosto 1940
Inviato in pattugliamento a sudovest di Creta, tra il parallelo di Gaudo, la costa di Creta ed il meridiano di Cerigotto. È la sua prima missione di guerra, al comando del capitano di corvetta Fausto Sestini.
13 agosto 1940
Avvista in serata un piroscafo veloce diretto verso est e lo insegue in superficie, ma non riesce a portare a termine la manovra d’attacco, perché il mercantile sfrutta l’elevata velocità per sfuggire.
16 agosto 1940
Conclude la missione, rientrando alla base.
28 ottobre 1940
È tra i sommergibili inviati a formare uno sbarramento tra Mar Ionio e Mar Egeo. Nonostante l’uscita in mare della Mediterranean Fleet (che opera proprio in quell’area, spingendosi fino ad ovest delle Isole Ionie), il Dessiè, inviato a sud di Creta, non avvista nulla: lo sbarramento che forma con altri tre battelli (Luigi Settembrini, Ciro Menotti, Tricheco) è infatti a maglie troppo larghe.
25 novembre 1940
Il Dessiè (tenente di vascello Adriano Pini) viene inviato al largo di Malta per partecipare al contrasto all’operazione britannica «Collar» (trasferimento di navi da Alessandria a Gibilterra, invio di convogli con rifornimenti da Gibilterra a Malta ed ai porti del Levante, il tutto col concorso della Forza H e della Mediterranean Fleet: ne scaturirà l’inconclusiva battaglia di Capo Teulada).
28 novembre 1940
Alle 3.02 il Dessiè, in agguato 50 miglia ad est/sudest di Pantelleria (e ad ovest di Malta), avvista in posizione 36°30’ N e 12°59’ E tre unità maggiori che procedono in linea di fila con rotta stimata 270° (verso ovest) e velocità 20 nodi: è il 3rd Cruiser Squadron britannico, con l’incrociatore pesante York e gli incrociatori leggeri Glasgow e Gloucester, in mare nell’ambito del traffico di convogli britannici connesso all’operazione «Collar». Alle 3.05 il sommergibile lancia due siluri dai tubi poppieri, da una distanza di 3500 metri, contro la nave centrale (il Glasgow); poi si disimpegna in immersione. Vengono sentiti due scoppi e poi una violenta esplosione; in realtà, tuttavia, nessuna nave è stata colpita.
16-25 dicembre 1940
Inviato a pattugliare, insieme ai sommergibili Fratelli Bandiera e Serpente, le acque attorno a Malta.
Gennaio 1941
Infruttuoso agguato al largo di Derna.
20 maggio 1941
Inviato in agguato tra Creta, Alessandria d’Egitto e Sollum, insieme a numerosi altri sommergibili, in appoggio all’invasione tedesca di Creta (Operazione «Merkur»).
21-22 luglio 1941
Inviato tra Pantelleria e Malta, unitamente ad altri tre sommergibili (Fratelli Bandiera, Luciano Manara e Ruggero Settimo; i battelli sono schierati a venti miglia l’uno dall’altro), a contrasto dell’operazione britannica «Substance», consistente nell’invio a Malta di un convoglio di rifornimenti – sei navi da carico ed un trasporto truppe – scortato dalla corazzata Nelson, dagli incrociatori leggeri Edinburgh, Manchester ed Arethusa e da 11 cacciatorpediniere, e nel contemporaneo rientro da Malta di sei mercantili scarichi e della cisterna militare Breconshire, scortati dal cacciatorpediniere Encounter. La Forza H, uscita in mare con l’incrociatore da battaglia Renown, la portaerei Ark Royal, l’incrociatore leggero Hermione e sei cacciatorpediniere, dà copertura all’operazione, mentre unità della Mediterranean Fleet uscite da Haifa ed Alessandria compiranno azioni diversive. Il Dessiè non avvista il convoglio britannico.

Il Dessiè fotografato nel 1941, probabilmente fuori Taranto (g.c. STORIA militare)

3 gennaio 1942
Inviato in agguato a sud di Malta (l’agguato ha inizio a mezzogiorno del 3 gennaio), nell’area compresa tra i meridiani 23°20’ E e 23°40’ E ed i paralleli 33°00’ N e 33°40’ N, col compito di avvistare ed attaccare eventuali forze navali britanniche che dovessero prendere il mare per contrastare l’operazione «M. 43», consistente nell’invio di un grosso convoglio di rifornimenti in Libia. Tale minaccia non si manifesterà.
11 giugno 1942
Il battello viene inviato, assieme ad altri quattro sommergibili (Onice, Ascianghi, Aradam e Corallo) in agguato nel triangolo compreso tra Malta, Pantelleria e Lampedusa a contrasto dell’operazione britannica «Harpoon» (convoglio fortemente scortato da Gibilterra a Malta), nell’ambito della battaglia di Mezzo Giugno. Il Dessiè non avvista, tuttavia, alcuna nave.
15 luglio 1942
Il Dessiè, assieme ad altri sommergibili, viene inviato in agguato tra La Galite, l'Isola dei Cani, Capo Bon e Capo Kelibia per intercettare il posamine veloce britannico Welshman, diretto a Malta con rifornimenti urgenti. Non avvista l’unità britannica.
11 agosto 1942
Al comando del tenente di vascello Renato Scandola, il Dessiè parte da Trapani diretto in un settore a nord del Golfo di Tunisi, per partecipare al contrasto al convoglio britannico «Pedestal» diretto a Malta: operazione che porterà alla più grande battaglia aeronavale della guerra del Mediterraneo, la battaglia di Mezzo Agosto. Il Dessiè, insieme ad Otaria, Dandolo, Emo, Avorio, Cobalto, Alagi, Ascianghi, Axum e Bronzo, forma uno sbarramento di dieci sommergibili a nord della Tunisia, tra i meridiani degli Scogli Fratelli e del Banco Skerki (dalle acque ad est di La Galite fino agli approcci del Canale di Sicilia), costituendo una linea a sbarramento dell’ingresso occidentale del Canale di Sicilia, a nord della congiungente La Galite-Banco Skerki. Gli ordini sono di agire con grande decisione offensiva, lanciando quanti siluri possibile contro ogni bersaglio, mercantile o militare, più grande di un cacciatorpediniere. La specifica zona di agguato del Dessiè si trova 80 miglia a nord della Tunisia, nel canale del Banco di Skerki.
12 agosto 1942
Alle 5.22 il Dessiè s’immerge, entrando nella zona assegnata.
Alle 18.07 un idrofono capta un rumore indistinto su rilevamento 270°, ma l’osservazione al periscopio non rivela nulla; il sommergibile allora manovra per avvicinarsi alla sorgente del rumore, la rotazione del cui rilevamento dà al comandante Scandola l’impressione che essa stia scadendo leggermente verso la costa. Il Dessiè assume rotta perpendicolare al rilevamento, ed alle 19 avvista al periscopio le cime degli alberi ed il fumo emesso dalle navi del convoglio (secondo una fonte, il Dessiè sarebbe stato guidato verso il convoglio anche dal fumo degli incendi della portaerei Indomitable, gravemente danneggiata dagli attacchi aerei dell’Asse).
Alle 19.07 il Dessiè osserva un attacco da parte di aerei italiani contro il convoglio, le cui navi procedono in ordine sparso, zigzagando sotto la protezione dei cacciatorpediniere. Alle 19.10, Scandola conta al periscopio 24 navi: 14 mercantili e 10 cacciatorpediniere. Diversi grossi mercantili stanno formando un nucleo compatto (avente rotta vera 110° e velocità stimata di 15 nodi), mentre alcuni altri proseguono in ordine sparso; tre cacciatorpediniere incrociano a proravia del gruppo più numeroso, ed altri due ne difendono il lato sinistro verso poppa. Altri due cacciatorpediniere, più a nord, tengono il Dessiè su beta circa zero.
Il mare è calmissimo, il sole basso sull’orizzonte; il Dessiè si porta su rotta d’attacco per impatto 110°, ed alle 19.38 (in posizione 37°38’ N e 10°25’ E, 45 miglia a nordovest di Capo Bon), da una distanza stimata di 1800 metri, lancia ad intervalli di tre secondi i quattro siluri dei tubi prodieri, con divergenza di due gradi tra l’uno e l’altro. Il bersaglio è un gruppo di otto grossi mercantili (stazza stimata 10.000-15.000 tsl) molto vicini tra loro (al punto che la prua di alcuni “copre” la poppa di altri), dalle linee moderne (prua slanciata e poppa ad incrociatore) e propulsi da turbine.
Dopo il lancio il Dessiè affiora involontariamente con la torretta; Scandola ordina di scendere a 40 metri di profondità, e mentre ciò avviene, vengono sentite le detonazioni di due siluri dopo 1 minuto e 40 secondi dal primo lancio. Agli idrofoni si sentono continui scoppi, che impediscono di capire se qualche nave si sia fermata; il comandante Scandola decide allora di tornare a quota periscopica, per attaccare altre navi, se possibile, con i siluri dei tubi poppieri.
Alle 19.56, mentre il Dessiè sta risalendo, ha inizio il contrattacco della scorta. Tre unità nemiche, dotate di sonar e probabilmente di idrofoni, lanciano circa 120 bombe di profondità nello spazio di un’ora e mezza; nessuna, tuttavia, esplode abbastanza vicina da arrecare danni al sommergibile, che è fermo a 90 metri, in assetto silenzioso. Ad ogni riaccensione dei motori, la caccia riprende con maggiore intensità.
Alle 21.20 le sorgenti divengono più flebili sino a scomparire, ed alle 21.27 la caccia antisommergibili è finalmente terminata. Il comandante Scandola ha auto l’impressione che il lancio dei siluri abbia colto risultati, perché il contrattacco è giunto solo dopo venti minuti e due dei cacciatorpediniere avversari si sono mantenuti sempre in uno stesso settore (quello dove Scandola pensa si trovino i mercantili colpiti), allontanandosene solo per lanciare le bombe di profondità.
L’esito dei lanci del Dessiè è tuttora oggetto di discussione: diversi storici ritengono probabile che fu uno dei suoi siluri a colpire la grossa motonave britannica Brisbane Star, di 12.791 tsl, che subì gravi danni (rimasta inizialmente immobilizzata, riuscì in breve a rimettere in moto; alcune ore più tardi fu colpito da un secondo siluro, lanciato da aerei) ma fu uno dei pochi mercantili del convoglio a riuscire a raggiungere Malta. Alcuni ritengono anche che uno o più siluri del Dessiè abbiano affondato la motonave britannica Deucalion, di 7516 tsl (inabissatasi in posizione 37°38’ N e 10°25’ E, cinque miglia ad est dell’Isola dei Cani e 39 miglia a nordest di Biserta), già danneggiata da attacchi aerei tedeschi; ma le accurate ricerche dello storico Francesco Mattesini, così come la maggioranza degli storici, accreditano invece l’affondamento della Deucalion alla sola azione di aerosiluranti tedeschi Heinkel He 111. Dato che il momento dell’attacco del Dessiè coincise anche con quello di un attacco aereo italo-tedesco, con lanci di siluri da parte di velivoli italiani Savoia Marchetti SM. 79 “Sparviero” e tedeschi Junkers Ju 88 ed Heinkel He 111, non vi è certezza assoluta nemmeno sul fatto che il Brisbane Star sia stato colpito da un siluro del Dessiè, piuttosto che da uno degli aerosiluranti.
Alle 22.12 il Dessiè emerge. A poppa, a circa un miglio e mezzo di distanza, sono visibili due piroscafi incendiati, e nei loro pressi una densa nube nera nella quale s’intravedono bagliori, che viene ritenuta essere un terzo piroscafo, anch’esso in fiamme. La violenza degli incendi sui piroscafi porta Scandola a ritenere che siano tutti già condannati; in considerazione della carica dell’aria e dell’energia elettrica, Scandola decide di allontanarsi per tornare sul posto il prima possibile. Alle 23.50 il piroscafo nella nube di fumo, colpito da siluri, esplode; le fiamme divampano ancora più violente.
13 agosto 1942
Alle 3.15 le ultime fiamme dei tre piroscafi si spengono; il Dessiè si dirige verso tale zona, attraversando il mare cosparso di nafta e rottami. Alle 5.36 s’immerge, ed alle 10.47 riceve un messaggio cifrato (064113) che gli ordina di emergere per portarsi nella sua zona di rastrellamento, cosa che fa. Alle 11.59 vengono avvistati tre bombardieri diretti verso ovest e distanti 10 km, in volo a circa 200 metri di quota; viene ordinata l’immersione rapida. Un’ora più tardi, il Dessiè riemerge, per poi immergersi nuovamente con la rapida alle 14.27; alle 15.22 torna in superficie, ma alle 15.37 torna ad immergersi con la rapida per avvistamento aerei. Alle 16.12 emerge ancora una volta, e dopo tre minuti avvista a sud un’immensa colonna di fumo, segno di una nave in fiamme. Alle 16.26 vengono avvistati anche due aerei che girano intorno all’incendio, ed alle 17.08 il Dessiè si dirige in quella direzione; velivoli della Regia Aeronautica e della Luftwaffe sorvolano continuamente il sommergibile, che scambia con essi segnali di riconoscimento. Alle 17.14 il Dessiè avvista alcune imbarcazioni nelle vicinanze dell’incendio; alle 17.30, mentre l’incendio prosegue, Scandola conclude che la nave è probabilmente affondata.
Alle 17.56 un ennesimo avvistamento di aerei costringe il Dessiè ad immergersi ancora una volta fino alle 18.48, quando il battello riemerge e si dirige verso i relitti, per cercare qualcosa che permetta di risalire all’identità della nave affondata. Alle 19.20 il sommergibile si porta sotto una scialuppa di salvataggio, ma è vuota, come pure quelle vicine; vengono però recuperati alcuni oggetti, per risalire al nome della nave. Alle 19.30 il Dessiè si allontana a tutta forza, mentre le fiamme che galleggiano sul mare vanno spegnendosi.
Alle 19.35 il sommergibile avvista formazioni di bombardieri tedeschi, che sganciano bombe nei pressi dell’incendio; accende due fumate di riconoscimento e spiega in plancia una bandiera italiana di seconda grandezza, ma i bombardieri – una dozzina – attaccano lo stesso il Dessiè. Una prima scarica di bombe cade in mare a proravia del sommergibile, quelle successive lo inquadrano lateralmente; il comandante Scandola, altri tre ufficiali, due sottufficiali e due marinai rimangono feriti dalle schegge delle bombe, che causano anche vari danni all’unità. Uno dei feriti, il marinaio siracusano Antonio Fontana, di 23 anni, morirà a bordo del Dessiè il giorno seguente, 14 agosto, per la gravità delle ferite riportate.
Alle 19.38, dopo che l’aereo di punta ha compiuto un giro di ricognizione sopra la plancia del Dessiè, i bombardieri se ne vanno; alle 19.40 s’inizia la verifica dei danni subiti (le bombe degli aerei hanno provocato diverse avarie allo scafo ed alle apparecchiature di bordo, rompendo tra l’altro alcuni elementi delle batterie accumulatori, e così provocando delle perdite di acido), assumendo intanto rotta per l’estremità nordorientale del settore assegnato. Viene chiesto a Maricosom di mandare una torpediniera, per trasbordarvi i feriti più gravi; Maricosom replica ordinando invece al sommergibile di rientrare alla base, dato che i danni provocati dall’attacco aereo impediscono di immergersi.
Alle 21.27 viene trasmesso il telegramma di rientro. Alle 23.50, durante la navigazione di rientro (che deve essere condotta dal comandante in seconda, essendo Scandola ferito), alcuni aerei lanciano quattro bengala a poppavia del Dessiè, a 2 km di distanza.
14 agosto 1942
Alle 2.22 il Dessiè trasmette il telegramma di approdo. Attraversate le ostruzioni alle otto del mattino, il sommergibile si ormeggia mezz’ora più tardi.
2 novembre 1942
Il Dessiè salpa da Messina alle 21.15 diretto a Tobruk, per una missione di trasporto di 20 tonnellate di munizioni. Sta infuriando la seconda battaglia di El Alamein, che segnerà le sorti dell’Asse in Nordafrica.
5 o 6 novembre 1942
Arriva a Tobruk alle otto del mattino, sbarca il carico e riparte alle 16.10 per tornare a Messina.
A seguito della disfatta dell’armata corazzata italo-tedesca, Tobruk cadrà in mano britannica il 13 novembre.
11 novembre 1942
Arriva a Messina alle 8.15.


 Due immagini del varo del Dessiè e del gemello Dagabur (sopra: g.c. Giorgio Parodi, via www.naviearmatori.net; sotto: Coll. Marcello Polacchini, via www.betasom.it



L’affondamento

Il mattino del 18 novembre 1942 il Dessiè, al comando del tenente di vascello Alberto Gorini, salpò da Messina per una nuova missione al largo di Bona (oggi Annaba), in Algeria. L’8 novembre era iniziata l’operazione «Torch», lo sbarco angloamericano nel Nordafrica francese, e da quel giorno frotte di navi mercantili Alleate seguitavano a riversare uomini e mezzi sulla coste del Marocco e dell’Algeria, firmando la condanna a morte delle truppe dell’Asse in Nordafrica, che a breve si sarebbero trovate strette tra due fuochi in Tunisia: i britannici avanzanti da est e gli statunitensi da ovest.
Molti furono i sommergibili dell’Asse inviati a contrastare l’afflusso di uomini e materiali degli Alleati in Algeria. Tanti colsero dei successi, ma quasi altrettanti non fecero ritorno.
Compito del Dessiè erano un agguato davanti a Bona e puntate offensive notturne nelle rade di Bougie e Philippeville. L’ultima comunicazione del sommergibile con la base si verificò alle 19.12 del 27 novembre 1942, quando rispose regolarmente ad una chiamata; dopo, il Dessiè non diede più sue notizie. Perduta ogni speranza, l’equipaggio fu dichiarato disperso il 23 dicembre 1942.
L’accaduto lo si seppe dopo la fine della guerra.
Inizialmente si ritenne che il Dessiè fosse stato affondato dalle bombe di profondità di un bombardiere Lockheed Hudson del 500th Squadron della Royal Air Force, ma ulteriori ricerche individuarono una versione che meglio combaciava con quanto si sapeva sulla scomparsa del sommergibile.
Alle 14.05 del 28 novembre 1942, il Dessiè era stato localizzato mentre procedeva in superficie diretto verso il porto di Bona da velivoli britannici, i quali avevano richiamato sul posto due cacciatorpediniere, l’australiano Quiberon ed il britannico Quentin.
Da poco tempo, i cacciatorpediniere delle Marine del Commonwealth avevano subito una modifica alle proprie bombe di profondità: mentre in precedenza esse potevano essere regolate per esplodere alla profondità massima di 106 metri, ora – mediante l’applicazione di un peso, che le avrebbe fatte affondare più rapidamente – potevano essere regolate per una profondità massima di 152 metri. Questo perché alcuni sommergibili, sottoposti a bombardamento con cariche di profondità, erano riusciti ad eludere la caccia scendendo fino a 150 metri di profondità, una quota che fino ad allora i britannici ritenevano impossibile da raggiungere e mantenere. Inoltre, i sonar delle navi britanniche, per la “direzione” assunta dalle onde sonore, non riuscivano a rilevare la presenza di un sommergibile immerso a 150 metri, se esso distava 600 metri o più in linea d’aria dalla loro posizione.
Il Quentin (capitano di corvetta Allan Herbert Percy Noble), essendo tra i due il cacciatorpediniere assegnato alle “emergenze primarie”, fu il primo ad essere inviato sul posto, sette miglia a nordest di Bona; effettuò numerosi attacchi con cariche di profondità, sino ad esaurire interamente la sua scorta (70 bombe), senza però ottenere il minimo segnale di danni inflitti al sommergibile: nessun rottame, nemmeno una goccia di carburante. Intanto il Quiberon (capitano di fregata Hugh Waters Shelley Browning), quale unità per “emergenze secondarie” (in servizio da pochi mesi, non aveva mai partecipato ad una vera caccia antisommergibili), restava in attesa nel caso ci fosse bisogno del suo aiuto; l’equipaggio pranzò tranquillamente, poi gli uomini non di turno andarono a riposare. Fu a quel punto che, avendo il Quentin finito le proprie bombe di profondità senza costrutto, il Quiberon ricevette ordine di andare a cacciare il sommergibile avversario.
Lasciato il porto di Bona, il Quiberon diresse verso il largo ad alta velocità, mentre l’equipaggio veniva mandato ai posti di combattimento previsti per azioni antisommergibili; la velocità fu poi ridotta a 15 nodi, per verificare le condizioni del sonar.
Giunto in zona, inizialmente il Quiberon non rilevò nessun eco che potesse rivelare un sommergibile immerso in un raggio di quasi due chilometri; il Dessiè era evidentemente acquattato in assetto silenzioso, approfittando anche del grande disturbo causato nella massa d’acqua dalle bombe di profondità del Quentin e dal suo lungo incrociare in zona a 12 nodi, il che confondeva gli echi che giungevano al sonar del Quiberon, disturbandone la ricerca.
Mentre il Quentin scandagliava la zona più esterna, per verificare che non vi fossero altri sommergibili nell’area, il Quiberon passò meticolosamente al “setaccio” le acque dove doveva trovarsi il sommergibile, esaminando accuratamente ogni “disturbo” della massa d’acqua. L’esperto ecogoniometrista Kendall segnalava ogni rilevamento e relativo commento al tenente medico John Hardcastle, che provvedeva a segnarli. Ad un certo punto, Kendall e l’ufficiale addetto all’armamento antisommergibili Max Darling notarono un rilevamento a breve distanza leggermente differente dagli altri: quando il Quiberon lo esaminò con l’ASDIC, non ci fu un’eco. Fu inviato un altro impulso sonoro, e di nuovo non vi fu eco: agli uomini del Quiberon tornò in mente la nota dell’Ammiragliato, di poco tempo prima, relativa ai sommergibili che evitavano i sonar immergendosi a 150 metri di profondità. Balenò loro in mente che il sommergibile potesse trovarsi immerso a quota più profonda rispetto a quella delle esplosioni delle bombe di profondità del Quentin.
Il Quiberon si allontanò di 1370 metri, poi si riavvicinò al punto sospetto scandagliando col sonar il rilevamento che lo collegava a tale posizione. Questa volta ci fu un’eco, flebile e vaga (i disturbi causati dalle bombe di profondità e dalle scie del Quentin si facevano ancora sentire, tanto da ostacolare il mantenimento del contatto); essa scomparve del tutto quando la distanza divenne di 550 metri. A questo punto, sul Quiberon si decise di effettuare un lancio di prova: cinque bombe di profondità, tre dagli scaricabombe poppieri e due dai lanciabombe laterali. Il cacciatorpediniere si allontanò quindi nuovamente di 1370 metri, portandosi nell’acqua meno “disturbata” che riuscì a trovare, tornò ad avvicinarsi lungo il rilevamento e riottenne il contatto (fievolissimo, l’eco si avvertiva a malapena a 1000 metri di distanza); esso era così debole che, se si fosse portata la velocità da quella di ricerca di 7 nodi a quella minima prescritta per l’attacco, 12 nodi, il rumore delle eliche del Quiberon sarebbe stato sufficiente a farlo perdere. A 610 metri di distanza, l’eco s’indebolì fino a svanire (mancavano ancora due minuti e 49 secondi per portarsi sulla verticale del contatto), ma la nave australiana proseguì sulla sua rotta. Quando fu giunto sulla verticale del sommergibile, il Quiberon lanciò cinque bombe di profondità nello spazio di dieci secondi, tutte regolate per scoppiare alla profondità massima, 152 metri.
L’equipaggio del cacciatorpediniere attese col fiato sospeso i 70 secondi necessari affinché le bombe scendessero fino a 150 metri di profondità prima di esplodere. Impossibile immaginare cosa stessero provando, in quello stesso momento, gli uomini del Dessiè.
Il silenzio fu rotto dalle esplosioni delle cinque bombe, in rapida successione. Gli ecogoniometristi del Quiberon, attraverso gli idrofoni, sentirono distintamente un rumore come di martellate sul metallo, forse contro una paratia stagna, poi un leggero fischio, seguito da suoni che indicavano la rottura e lo schiacciamento di qualcosa, che Kendall paragonò a gusci d’uovo che venivano schiacciati in un sacchetto di carta. Infine un tonfo sordo, e poi più nulla, solo silenzio. Erano circa le tre del pomeriggio.

Il tenente di vascello Alberto Gorini (g.c. Giovanni Pinna)

(Quanto riportato è la descrizione data da Max Darling, ecogoniometrista del Quiberon; nel volume “Navi militari perdute” dell’Ufficio Storico della Marina Militare, così come nel libro “La guerra italiana sul mare” di Giorgio Giorgerini, gli ultimi momenti del Dessiè sono invece descritti diversamente: il sommergibile sarebbe affiorato in superficie, sbandato ed impennato, evidentemente senza controllo, per poi riaffondare immediatamente di poppa, in verticale. Sarebbe poi stato localizzato sul fondale, in posizione 37°04’ N e 07°49’ E. Non è chiara la fonte di questa versione, incompatibile con quella descritta da Darling.)
Subito dopo, il Quentin apparve a poppavia del Quiberon, avanzando a 12 nodi con al vento la bandiera che segnalava l’attacco, e lanciò la sua ultima bomba di profondità (ne era rimasta una), poi si allontanò di nuovo verso il largo. Il Quiberon, allontanatosi dal punto del lancio di circa 730 metri, tornò sul posto e vide, tre minuti dopo l’esplosione delle bombe, una turbolenza biancastra perturbare la superficie del mare – per un’area di due acri abbondanti – per un paio di minuti, poi spegnersi a poco a poco nel giro di altri tre minuti. Il direttore di macchina del Quiberon ritenne che si fosse trattato dei gas prodotti dall’esplosione delle bombe, e dell’aria contenuta nel sommergibile, ed ora sfuggita dallo scafo squarciato. Entrato nella zona perturbata in cerca di prove dell’affondamento del sommergibile, il cacciatorpediniere trovò soltanto bollicine d’aria che continuavano ad affiorare in superficie, ed olio che galleggiava sulle onde; ne furono raccolti dei campioni, che vennero poi analizzati ed identificati come appartenenti a quattro tipi diversi di olio per motori. Il direttore di macchina commentò che difficilmente avrebbero trovato di più, considerato che il sommergibile era imploso alla profondità di 150 metri.
Quiberon e Quentin, terminata la loro opera, si disposero in linea di fronte e tornarono verso Bona, sempre continuando a scandagliare il mare con i loro sonar.
Così era terminata la vita del Dessiè e del suo intero equipaggio, 5 ufficiali e 43 tra sottufficiali e marinai.
Essi riposano, nella loro “bara di ferro”, nel punto 37°05' N e 07°55' E, dieci miglia a nord di Bona.

I loro nomi:

Filippo Adella, sottocapo motorista, da Messina
Bernardino Alianelli, sottocapo motorista, da Bernalda
Francesco Aluffi, secondo capo silurista, da Agliano
Giordano Baldi, marinaio nocchiere, da Agliana
Attilio Bampa, marinaio fuochista, da Venezia
Mario Baroni, marinaio silurista, da San Colombano al Lambro
Ugo Bartoletti, sottocapo silurista, da Cervia
Giacomo Berlato, sottocapo elettricista, da Montegalda
Giuseppe Bilardello, secondo capo radiotelegrafista, da Villarosa
Teseo Brusadin, sottocapo radiotelegrafista, da Pordenone
Vincenzo Cardone, sottocapo elettricista, da Napoli
Luigi Carletti, secondo capo nocchiere, da Rio Marina
Giovanni Carrieri, sottocapo cannoniere, da Cisternino
Giuseppe Cingari, marinaio elettricista, da Messina
Luigi Colombo, marinaio motorista, da Legnano
Corrado Coratella, sottocapo elettricista, da Andria
Carlo Cremonesi, marinaio silurista, da Vaprio d'Adda
Domenico Crispino, marinaio motorista, da Noto
Mario D'Angelo, marinaio silurista, da Bacoli
Giuseppe Delli Noci, secondo capo motorista, da Latiano
Antonio Di Scala, marinaio, da Ischia
Michele Esposito, sottocapo nocchiere, da Massa Lubrense
Arnaldo Finocchio, marinaio elettricista, da Roma
Domenico Foresio, capo silurista di terza classe, da Manduria
Vincenzo Gambuzza, marinaio, da Rosolini
Guido Gianelli, guardiamarina, da Trieste
Alberto Gorini, tenente di vascello (comandante), da Turbigo
Alfredo Guidi, marinaio silurista, da Genova
Rosario La Monica, secondo capo motorista, da Piraino
Cesare Lugani, marinaio elettricista, da Genova
Guglielmo Lugnani, sergente elettricista, da Pirano
Felice Maranna, tenente del Genio Navale, da Milano
Alfredo Marciano, sottocapo silurista, da Trani
Ferdinando Miele, sergente furiere, da Cicciano
Giuseppe Minniti, sottocapo cannoniere, da Melito di Porto Salvo
Silvio Mura, sottotenente di vascello, da Genova
Rino Mussi, sottocapo motorista, da Aulla
Nello Orsini, sottocapo segnalatore, da Acquasanta Terme
Catello Pace, capo elettricista di seconda classe, da Sarno
Raffaele Pascali, sottocapo furiere, da Vernole
Giuseppe Piccinini, guardiamarina, da Barletta
Giovanni Pipitò, marinaio, da Patti
Ivan Rocchi, sottocapo elettricista, da Cecina
Licinio Rossi, sottocapo radiotelegrafista, da Ferrara
Angelo Santambrogio, capo meccanico di seconda classe, da Milano
Bruno Savioli, sottocapo radiotelegrafista, da Rubano
Mario Vianello, marinaio, da Venezia


Un’altra immagine del Dess (da www.portalestoria.net

5 commenti:

  1. Porto il nome del secondo capo macchnista. Rip

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  2. GIUSEPPE BILARDELLO SECONDO CAPO RADIOTELEGRAFISTA

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  3. Volevo segnalarvi un'inesattezza su "Giuseppe Delle Noci, secondo capo motorista, da Latiano". Il cognome esatto è "Delli Noci", zio di mio padre nato un anno dopo l'affondamento ed al quale mio nonno hanno dato il nome Giuseppe in memoria del compianto fratello.

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  4. La ringrazio. Le consiglio di segnalare l'errore anche ad Onorcaduti, perché la loro banca dati riporta "Delle Noci".

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