Il
Muzio Attendolo (da www.naviearmatori.net, utente egidio)
|
Incrociatore leggero della classe Montecuccoli del tipo Condottieri
(dislocamento standard 7405 tonnellate, in carico normale 8814 tonnellate, a
pieno carico 8848 tonnellate). Si distingueva dal capoclasse Montecuccoli per
uno scafo leggerissimamente più corto (166,2 metri anziché 166,7), un diverso
apparato motore (turbin Parsons anziché Belluzzo) ed una riserva di carburante
leggermente minore (1275 tonnellate anziché 1275).
Le artiglierie dell’Attendolo (da www.lasegundaguerra.com) |
Effettuò in guerra 6 missioni di ricerca del nemico, 7 di posa di mine, una di trasporto, 13 di scorta e protezione al traffico, 20 di trasferimento, quattro di esercitazione e due di altro tipo, percorrendo in tutto 29.235 miglia nautiche, trascorrendo 1575 ore in mare e passando 448 giorni ai lavori.
Breve e parziale
cronologia.
10 aprile 1933
Impostazione presso i Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Trieste.
L’Attendolo in costruzione (da www.lasegundaguerra.com) |
La
nave pronta al varo (Coll. Guido Alfano, via Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net)
|
9 settembre 1934
Varo presso i Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Trieste.
Alle prove in mare raggiungerà una velocità massima di 36,78 nodi.
Una
serie di immagini del varo dell’Attendolo
(sopra: www.segundaguerra.com;
Profile Morskie no. 70 via Giuseppe Garufi; sotto: g.c. Giorgio Parodi).
7 agosto 1935
Entrata in servizio.
Dislocato a La Spezia, insieme al gemello Montecuccoli, completa l’allestimento, imbarca in Arsenale
l’armamento secondario ed antiaereo, ed è inizialmente impegnato nell’addestramento
dell’equipaggio.
Suo primo comandante, dal febbraio 1935 (ad allestimento ancora in corso) al novembre 1936, è il capitano di vascello Manlio Tarantini.
Suo primo comandante, dal febbraio 1935 (ad allestimento ancora in corso) al novembre 1936, è il capitano di vascello Manlio Tarantini.
Sopra:
l’Attendolo a Trieste il 7 agosto
1935 (g.c. Carlo Di Nitto); sotto, l’Attendolo
ed il cacciatorpediniere Ardimentoso a
Trieste nell’agosto 1935 (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net)
6 settembre 1935
Assegnato alla 2a Squadra Navale. Attendolo e Montecuccoli,
insieme all’incrociatore leggero Emanuele
Filiberto Duca d’Aosta, formano la VII Divisione Navale (ammiraglio di
divisione Salza), inquadrata nella 2a Squadra. A questa si
aggiungerà poco dopo, una volta completato, anche l’Eugenio di Savoia, gemello del Duca
d’Aosta.
S’imbarca sull’Attendolo, in
questo periodo, il tenente di vascello Luigi Zamboni, futura MOVM: promosso
primo direttore del tiro, resterà sull’Attendolo
per ben sette anni, circostanza più unica che rara, fino all’agosto 1942
(praticamente l’intera vita della nave).
L’Attendolo nel 1935 (Naval History and
Heritage Command, via Dante Flore e www.naviearmatori.net)
|
24 luglio 1936
In seguito allo scoppio della guerra civile spagnola, l'Attendolo (capitano di vascello Manlio Tarantini) riceve in serata ordine di salpare da La Maddalena per raggiungere Malaga, allo scopo di proteggere i cittadini italiani ivi residenti dalle violenze scoppiate in città in seguito alla fallita insurrezione da parte dei militari nazionalisti.
26 luglio 1936
L'Attendolo arriva a Malaga in mattinata, dando fondo in rada. A terra continuano i saccheggi e le esecuzioni sommarie, ma la maggior parte degli italiani residenti in città hanno trovato rifugio a bordo del piroscafo Silvia Tripcovich, che li ha portati a Tangeri.
Nei due giorni successivi l'Attendolo imbarca un totale di 23 profughi: tredici italiani, tre ungheresi, tre cecoslovacchi, due svizzeri, un belga ed un colombiano.
28 luglio 1936
In serata l'Attendolo lascia Malaga per Barcellona.
29 luglio 1936
Arriva a Barcellona in mattinata e si ancora fuori dalla diga del porto.
31 luglio 1936
Nel pomeriggio imbarca altri profughi trasbordati dall'incrociatore pesante Fiume, che li ha soccorsi nei giorni precedenti, tra cui il cardinale Francisco Vidal y Barraquer, arcivescovo di Tarragona (arrestato e condannato a morte dalle autorità repubblicane subito dopo l'insurrezione ma poi rilasciato), monsignor Bilbao Ugarizza, arcivescovo di Tortosa, ed altri prelati.
In tarda serata l'Attendolo lascia Barcellona per l'Italia.
1° agosto 1936
Arriva a La Spezia.
Nei mesi successivi effettua diverse crociere di scorta
indiretta a convogli che trasportano in Spagna uomini e materiali del Corpo
Truppe Volontarie.
L’incrociatore
a La Spezia nell’agosto del 1936 (da www.lasegundaguerra.com)
|
15 settembre 1936
Attendolo, Montecuccoli, Eugenio di Savoia e Duca
d’Aosta, insieme alla Squadriglia Cacciatorpediniere «Maestrale»,
raggiungono Portoferraio, dove Benito Mussolini sale sull’Eugenio di Savoia (nave ammiraglia) dopo di che la Divisione si
trasferisce a Napoli e poi effettua un’esercitazione tattica mentre rientra a
La Spezia.
26 ottobre 1936
Dopo una sosta a Gaeta, la Divisione giunge a Napoli, dove prende parte
alla rivista navale in onore di Miklos Horthy, reggente d’Ungheria.
Dicembre 1936
L’Attendolo diviene la prima
unità della Regia Marina ad imbarcare un idrovolante da ricognizione del nuovo
modello IMAM Ro. 43, che diventerà l’aereo da ricognizione imbarcato su tutte
le navi maggiori della flotta italiana. È anche il primo ad essere dotato di
catapulta tipo «Gagnotto» per il lancio degli idrovolanti.
E' comandante dell'Attendolo il capitano di vascello Francesco Mazzola.
1937
Dislocato per qualche tempo a Tangeri come stazionario.
17 gennaio 1937
L'Attendolo viene incaricato di trasportare da Messina a Ceuta (porto sotto il controllo delle forze
nazionaliste spagnole) i MAS 435 e 436, che in base a nuovi accordi tra la Marina italiana e quella franchista dovranno condurre incursioni notturne contro il naviglio repubblicano davanti al porto di Malaga.
Sbarcati gli idrovolanti da ricognizione per fare spazio per i due MAS, che vengono sistemati ai lati della catapulta, l'Attendolo lascia Messina il 17 gennaio.
20 gennaio 1937
Arriva a Ceuta in serata e sbarca i due MAS.
1° febbraio 1937
A sud di Capo Spartivento l'Attendolo assume la scorta dei due grossi trasporti truppe Sardegna e Calabria, partiti da Gaeta e diretti a Cadice con truppe e materiali del Corpo Truppe Volontarie che combatte a fianco dei nazionalisti nella guerra civile spagnola. In tutto i due piroscafi hanno a bordo 4863 tra ufficiali e soldati (2648 sul Sardegna e 2215 sul Calabria), 57 automezzi (20 sul Sardegna e 37 sul Calabria) e 21 tonnellate di materiali vari. Il Sardegna trasporta truppe della 4a Divisione Fanteria "Littorio" (lo Stato Maggiore della Divisione, un reggimento d'artiglieria, una compagnia mista del Genio, una sezione di carabinieri ed una di approvvigionamento), il Calabria ha a bordo cinque battaglioni di camicie nere, due batterie d'artiglieria, un plotone di mortai d'assalto ed i comandi del battaglione carri d'assalto e del 7° e 8° Gruppo Banderas.
6 febbraio 1937
Il convoglio giunge a Cadice.
14-21 marzo 1937
La VII Divisione, insieme al resto delle due Squadre Navali, staziona a
Tripoli in occasione di una visita di Mussolini in Libia.
L’Attendolo fotografato il 15 maggio 1937
(g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net)
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Agosto 1937
L'Attendolo ed il gemello Eugenio di Savoia, successivamente sostituito dal più anziano incrociatore leggero Giovanni delle Bande Nere, vengono dislocati a Cagliari dove si tengono pronti ad intervenire in sostegno dei cacciatorpediniere impegnati in crociere di vigilanza contro il traffico repubblicano spagnolo nelle acque della Tunisia, nel quadro del dispositivo di blocco aeronavale istituito nel Canale di Sicilia nell'estate del 1937 per bloccare l'afflusso di rifornimenti verso i porti spagnoli controllati dai repubblicani.
Dal momento che le navi repubblicane aggirano il blocco navigando nottetempo entro le acque territoriali della Tunisia (possedimento francese), è stato infatti deciso di inviare dei cacciatorpediniere a pattugliare in sezione (Nicoloso Da Recco-Euro, Leone Pancaldo-Turbine, Turbine-Ostro, Euro-Zeffiro) la fascia costiera compresa tra le 10 e le 30 miglia dalla costa tunisina tra La Galite e Capo Ténès; siccome queste crociere, della durata di tre giorni ciascuna, si svolgono in acque dov'è possibile l'incontro con navi da guerra repubblicane, gli incrociatori sono tenuti pronti ad intervenire in loro appoggio qualora dovessero imbattersi in superiori forze navali avversarie. Questa eventualità, ad ogni modo, non si concretizzerà mai.
27 agosto 1937
Con il resto delle due Squadre Navali, presenzia al varo, a Genova,
della nuova corazzata Littorio.
1937-1938
E' comandante dell'Attendolo il capitano di vascello Guido Mengoni.
1937-1938
E' comandante dell'Attendolo il capitano di vascello Guido Mengoni.
La nave nel Golfo di Napoli nel 1938 (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net) |
5 maggio 1938
L'Attendolo (capitano di vascello Guido Mengoni) partecipa alla
rivista navale "H", organizzata nel Golfo di Napoli in occasione della visita in Italia di Adolf
Hitler, con la partecipazione di quasi tutta la flotta.
In particolare, l'Attendolo fa parte della
VII Divisione dell’ammiraglio Augusto Mengotti (Muzio
Attendolo, Eugenio di Savoia, Emanuele Filiberto Duca d'Aosta),
inquadrata nella II Squadra Navale (ammiraglio Wladimiro Pini) che è formata, oltre che da tale Divisione, dagli
incrociatori pesanti Trento, Trieste e Bolzano della III Divisione (ammiraglio Wladimiro Pini), dalle Divisioni di incrociatori leggeri degli ammiragli
Pietro Barone (Alberto Di Giussano, Giovanni delle Bande Nere, Bartolomeo Colleoni: II Divisione) e Giuseppe Romagna Manoia (Alberico Da Barbiano, Luigi Cadorna ed Armando Diaz: IV Divisione), da due squadriglie di esploratori classe Navigatori
(Antonio Da Noli, Antoniotto Usodimare, Luca Tarigo, Ugolino Vivaldi, Nicolò Zeno,
Giovanni Da Verrazzano, Alvise Da Mosto ed Antonio Pigafetta) e da una squadriglia di cacciatorpediniere (Maestrale, Grecale, Libeccio e Scirocco). Partecipano alla rivista "H"anche la I Squara (ammiraglio Arturo Riccardi) con le corazzate Cesare e Cavour della V Divisione, gli incrociatori pesanti della I Divisione e quelli leggeri della VIII Divisioine e tre squadriglie di cacciatorpediniere, la Squadra Sommergibili (contrammiraglio Antionio Legnani) con ben 85 unità, la Flottiglia torpediniere su quattro squadriglie, e numerose unità minori ed ausiliarie.
Nei mesi successivi esegue normale attività addestrativa.
29 maggio 1938
Assume il comando dell'Attendolo il capitano di vascello Federico Martinengo.
La poppa dell’Attendolo illuminata di notte, La Spezia, marzo 1939 |
La torpediniera Antares segue l’Attendolo nella scia, marzo 1939 |
Esplosione di una bomba di profondità da 100 kg a cento meti dalla nave, marzo 1939 |
Vittorio Villa in tenuta da sbarco |
Il guardiamarina Malfatti (a destra) ed il tenente medico De Pirro della compagnia da sbarco nel marzo 1939 |
Il tenente medico De Pirro |
I guardiamarina Camilletti, Odorici e Frosi a bordo dell’Attendolo nel marzo 1939 |
Il guardiamarina Frosi nel marzo 1939 |
I guardiamarina Nardin, Vittorio Villa e Frosi |
I guardiamarina Odorici e Camilletti |
Il guardiamarina Odorici |
Le torri da 152 mm poppiere dell’Attendolo |
Un locale interno |
Il quadrato guardiamarina dell’Attendolo |
Il torrione in una foto del marzo 1939 |
Il guardiamarina Andrea Arcamonte a Palermo nell’aprile 1939 |
I guardiamarina Braschi, Vittorio Villa e Malfatti a Palermo nell’aprile
1939, in attesa di compiere un sorvolo del porto su un idroricognitore
In volo sopra Palermo: i quattro incrociatori della VII Divisione… |
…la città… |
…le ostruzioni portuali. |
L’altro Ro. 43 in volo su Palermo
Vittorio Villa ed il sottotenente G. N. Della Penna a Palermo nell’aprile 1939 |
Marinai dell’Attendolo davanti ad un idrovolante IMAM Ro. 43 a Gaeta nel maggio 1939 |
Il cannoniere Loi ed il marinaio Tiozzo |
Due immagini scattate dall’Attendolo
a Gaeta nel maggio 1939
Il Castello di Gaeta
La Montagna Spaccata di Gaeta |
Il tenente pilota Fabbri davanti al suo idrovolante da ricognizione a Gaeta, maggio 1939 |
Navi in rada nel Golfo di Napoli, maggio 1939 |
La Stazione Marittima di Napoli ed il Molo Luigi Razza visti dall’Attendolo, maggio 1939 |
5 giugno 1939
Esce da Napoli e va incontro al convoglio che riporta in Italia i
legionari italiani reduci dalla Spagna, dove la guerra civile si è appena
conclusa con la vittoria dei nazionalisti.
Luglio 1939
Si reca in visita a Malaga e Barcellona.
L’Attendolo a Barcellona nel luglio 1939.
Sotto, alcune immagini del porto di Barcellona con ancora visibili i danni
provocati dalla guerra appena conclusa (g.c. Alberto Villa)
Vittorio
Villa a Malaga nel luglio 1939 (g.c. Alberto Villa)
Il Duca d’Aosta visto dall’Attendolo (g.c. Alberto Villa) |
Lancio di un siluro (g.c. Alberto Villa) |
Il sottotenente G. N. Della Penna (g.c. Alberto Villa) |
Alcuni membri dell’equipaggio in una foto scattata a Livorno il 10 agosto 1939 (g.c. Alberto Villa) |
Una lunga
serie di immagini dell’Attendolo in
bacino di carenaggio a Napoli nel settembre 1939 (g.c. Alberto Villa):
Il guardiamarina Nardin accanto ad una delle eliche dell’Attendolo (g.c. Alberto Villa) |
Imbarco di munizioni da 100/47 mm sull’Attendolo a Napoli, settembre 1939 (g.c. Alberto Villa) |
I guardiamarina Sorrentino ed Odorici a Napoli, settembre 1939 (g.c. Alberto Villa) |
Il guardiamarina Paolo Frosi (g.c. Alberto Villa) |
Marinai dell’Attendolo presso la torre numero 4 da 152 mm (g.c. Alberto Villa) |
Quadrato guardiamarina dell’Attendolo (g.c. Alberto Villa) |
Vista del ponte di poppa dell’Attendolo (g.c. Alberto Villa) |
1939
Intensificazione delle esercitazioni; nella seconda metà dell’anno, col
precipitare della situazione internazionale, vengono richiamati a bordo i
complementi di guerra.
10 giugno 1940
L'Italia entra nella seconda guerra mondiale. L'Attendolo (capitano di vascello Federico Martinengo) fa ancora parte della VII Divisione Navale (facente parte
della 2a Squadra Navale, assieme alla II e III Divisione), insieme
al gemello Raimondo Montecuccoli ed
ai di poco differenti Eugenio di Savoia
(nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Luigi Sansonetti, comandante la
VII Divisione) ed Emanuele Filiberto Duca
d'Aosta. Nel momento della dichiarazione di guerra, gli incrociatori sono a
Napoli; i comandanti, radunati in assemblea mentre le caldaie sono già accese,
commentano la dichiarazione di guerra.
Lo stesso 10 giugno, alle 19.10, l'Attendolo
ed il resto della VII Divisione salpano da Napoli per fornire copertura alla X
Squadriglia Cacciatorpediniere (Maestrale,
Grecale, Libeccio, Scirocco),
inviata ad effettuare una ricognizione notturna tra Marettimo e Capo Bon.
La mattina dell'11 giugno, la VII Divisione si unisce ad un altro
gruppo partito da Messina e composto dagli incrociatori pesanti Pola (nave ammiraglia), Trento e Bolzano (III Divisione Navale) e da quattro cacciatorpediniere. Le
navi procedono poi fino a nord di Favignana, a protezione sia della X
Squadriglia che di un gruppo di unità (gruppo «Da Barbiano») che rientrano alla
base dopo aver posato il campo minato «L. K.».
Tutte le navi rientrano alle basi entro la sera dell'11 giugno.
L’Attendolo (più vicino) ed il Montecuccoli (dietro) fotografati da
bordo del Duca d’Aosta l’11 giugno
1940 (g.c. STORIA militare)
|
21-22 giugno 1940
Durante la notte, la VII Divisione viene trasferita da Napoli a
Cagliari, in vista di una prossima incursione contro il traffico mercantile
francese nel Mediterraneo occidentale (tra la Provenza e l’Algeria),
ripetutamente segnalato da aerei.
Altre
due immagini dell’Attendolo con Montecuccoli e Duca d’Aosta durante la guerra (sopra: g.c. Carlo Di Nitto; sotto:
da www.marina.difesa.it)
22-23 giugno 1940
Alle 19.30 del 22 la VII Divisione (ammiraglio Sansonetti, sull’Eugenio di Savoia), insieme alla XIII
Squadriglia Cacciatorpediniere, salpa da Cagliari per dare inizio alla
scorreria contro il traffico francese. Quale forza di appoggio a distanza,
salpano da Messina, Augusta e Palermo anche le Divisioni incrociatori I, II e
III, l’incrociatore pesante Pola e le
Squadriglie Cacciatorpediniere IX, X e XII (tutta la II Squadra Navale, più la
I Divisione).
Gli ordini per la VII Divisione sono di raggiungere all’alba del 23 un
punto situato 30 miglia ad est di Port Mahon, indi procedere verso nord fino
alle 8.30 e poi, se non dovesse incontrare alcuna nave nemica, tornare a
Cagliari. In caso d’incontro, la Divisione dovrà impegnare decisamente il
nemico se questi non si troverà in condizioni di superiorità; se invece dovesse
trovare forze nettamente superiori, dovrà prendere caccia per attirarle in un
punto situato 40 miglia ad est dell’isola di San Pietro, dove troverà ad attenderlo
le unità della forza di appoggio. La ricognizione marittima della Sardegna è
incaricata di esplorare l’area che la VII Divisione dovrà percorrere, oltre a
tenere sott’occhio le acque del Nordafrica francese (in modo da aggiornare le
unità italiane circa i movimenti delle unità francesi dislocate ad Algeri e
Biserta).
La VII Divisione esegue la missione come da ordini; pur avendo
catapultato due idroricognitori, uno alle 6.45 ed uno alle 8.30, non riesce a
trovare traccia di navi francesi, mentre alle 13.45 viene avvistata da un
idrovolante francese, che la segue fino alle 16.30 (tenendosi in vista, ma al
di fuori della portata delle armi contraeree degli incrociatori italiani). Alle
17 la formazione viene attaccata da un solitario bombardiere francese, che
manca i bersagli e poi si eclissa tra le nuvole.
Non avendo trovato nulla, la VII Divisione fa ritorno a Cagliari alle
19.30 del 23; dopo aver fatto rifornimento, prosegue per Napoli, poiché si
temono attacchi aerei contro le navi se rimanessero nel porto di Cagliari
(difatti, il mattino del 24 una dozzina di bombardieri britannici attacca tale
porto, ma non trova nessuna nave).
Foto
aerea dell’Attendolo (da www.lavocedelmarinaio.com)
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7-11 luglio 1940
L’Attendolo (capitano di
vascello Federico Martinengo) parte da Palermo alle 12.35 (o 11.50) del 7
luglio insieme al resto della VII Divisione (Eugenio di Savoia, Emanuele
Filiberto Duca d’Aosta e Raimondo
Montecuccoli) ed alla XIII Squadriglia Cacciatorpediniere (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino), con il compito di dare scorta
indiretta ad un convoglio diretto a Bengasi (motonavi da carico Marco Foscarini, Francesco Barbaro e Vettor
Pisani, motonavi passeggeri Esperia
e Calitea, con la scorta diretta dei
due incrociatori leggeri della II Divisione, dei quattro cacciatorpediniere
della X Squadriglia, delle quattro torpediniere della IV Squadriglia e delle
vecchie torpediniere Rosolino Pilo e Giuseppe Missori) con un carico di 232
veicoli, 10.445 tonnellate di materiali vari e 5720 tonnellate di carburante,
oltre a 2190 uomini.
VII Divisione e XIII Squadriglia si posizionano 45 miglia ad ovest del
convoglio, per fornire protezione a distanza contro provenienze da Malta.
Il resto della II Squadra Navale (incrociatore pesante Pola, I e III Divisioni incrociatori con
cinque navi in tutto e IX, XI e XII Squadriglia Cacciatorpediniere) fornisce
anch’essa scorta indiretta al convoglio, stando però 35 miglia ad est di esso,
per la protezione a distanza contro provenienze da est.
La I Squadra Navale (V Divisione con le corazzate Giulio Cesare e Conte di Cavour, IV e VIII Divisione con
sei incrociatori leggeri, VII, VIII, XV e XVI Squadriglia Cacciatorpediniere
con 13 unità) esce anch’essa in mare a sostegno dell’operazione.
Viene prevista anche intensa ricognizione aerea, la posa di un campo di
mine al largo di Bengasi (da parte del posamine ausiliario Barletta) ed un potenziamento dello schieramento dei sommergibili
in agguato nel Mediterraneo orientale, portato a 14 unità.
Le unità della I e della II Squadra (ammiraglio Inigo Campioni,
comandante superiore in mare) salpano tra le 12.30 e le 18 del 7 luglio da
Augusta (Pola, I e II Divisione),
Messina (III Divisione), Palermo (VII Divisione) e Taranto (IV, V e VIII
Divisione).
All’1.50 dell’8 luglio, a seguito della (erronea) segnalazione da parte
di Supermarina (sulla scorta di rilevazioni radiogoniometriche e della
ricognizione aerea) circa la presenza di forze navali britanniche 60 miglia a
nord di Ras el Tin, provenienti da Alessandria, l’ammiraglio Campioni –
comandante superiore in mare – ordina al convoglio di passare dalla rotta 147°
(per Bengasi) a 180°, per un eventuale dirottamento su Tripoli; la VII
Divisione modifica anch’essa la rotta per dirigersi verso il convoglio.
Alle cinque del mattino Attendolo
e Montecuccoli catapultano i loro
idrovolanti da ricognizione, ma questi non trovano traccia delle forze nemiche.
Alle 7.10, tuttavia, dato che i due ricognitori catapultati non hanno
trovato nulla, Campioni ordina al convoglio di rimettersi in rotta per Bengasi,
ed alla VII Divisione di accompagnarlo.
L’operazione va a buon fine, ma alle 14.30 ed alle 15.20 dell’8 luglio,
a seguito dell’avvistamento di una formazione britannica – anche la
Mediterranean Fleet, infatti, è in mare (con le corazzate Warspite, Malaya e Royal
Sovereign, la portaerei Eagle,
cinque incrociatori leggeri e 17 cacciatorpediniere) a protezione di due
convogli da Malta ad Alessandria (operazione «MA 5») – prima la II e poi la I
Squadra Navale dirigono verso nord-nordovest per intercettare le navi nemiche
(che si teme dirette a bombardare Bengasi), con l’intento di impegnarle in
combattimento almeno un’ora prima del tramonto.
Alle 19.20, però, in seguito ad ordini di Supermarina (il comando della
Regia Marina, che – a differenza di Campioni – ha avuto modo di apprendere,
tramite la crittografia, la reale consistenza e finalità dei movimenti
britannici) la flotta italiana accosta per 330° per rientrare alle basi, con
l’ordine di non impegnare il nemico. Anche la VII Divisione riceve da Campioni
l’ordine di rientrare, e dirige pertanto verso lo stretto di Messina, per
rientrare a Palermo.
Nel mentre la VII Divisione, posto il convoglio al sicuro, ha ricevuto
(nel primo pomeriggio) l’ordine di invertire la rotta per rientrare; alle 19.20
essa si dirige verso lo stretto di Messina, con l’ordine di tenersi sulla
sinistra rispetto al grosso della flotta.
Alle 22 dell’8, però, arrivano nuovi ordini: Supermarina teme che la
Mediterranean Fleet intenda lanciare un attacco aeronavale contro le coste
italiane, perciò ordina alle forze in mare di riunirsi nel punto 37°40’ N e
17°20’ E, 65 miglia
a sudest di Punta Stilo, entro le 14 del 9 luglio.
Alcune ore dopo (secondo il giornalista Vero Roberti, imbarcato sull’Eugenio di Savoia come corrispondente di
guerra, l’ordine giunse a mezzanotte e stabiliva di accompagnare ad Augusta l’Attendolo e la XIII Squadriglia,
bisognosi di rifornimento, per poi raggiungere il punto di riunione entro le 14
dell’indomani) l’ammiraglio Paladini, comandante della II Squadra, ordina
pertanto alla VII Divisione di non rientrare a Palermo ma invece di dirigere
verso il punto 37°40’ N e 17°20’ E (65 miglia a sudest di Punta Stilo),
indicato come punto di riunione delle forze navali italiane. In base alle
disposizioni emanate la VII Divisione, quando si sarà ricongiunta con il resto
della flotta, dovrà disporsi in colonna sull’ala sinistra della formazione
italiana.
Alle 11.11 del 9 luglio la VII Divisione avvista a grande distanza due
idroricognitori Short Sunderland; viene aperto il fuoco (dal solo Montecuccoli; l’Attendolo farà lo stesso più tardi, alle 13.44), ma i due velivoli
non sono colpiti, perché troppo lontani.
Poco dopo le 13.26, 45
miglia ad est-sud-est di Capo Spartivento, la VII
Divisione, proveniente da sud-sud-ovest, viene finalmente avvistata, su
rilevamento 210°, da bordo della Cesare,
nave ammiraglia di Campioni. Sulle prime, a causa dell’angolo visuale e della
difficoltà di osservazione (la VII Divisione proviene proprio dalla direzione
del sole), gli incrociatori di Sansonetti vengono scambiati per tre corazzate
britanniche, tanto che Campioni ordina di assumere rotta 270°; subito dopo,
però, un ricognitore segnala l’avvistamento delle vere corazzate britanniche in
tutt’altra direzione (80 miglia a nordest), contribuendo a chiarire l’equivoco.
La VII Divisione raggiunge il punto di riunione alle 13.45.
Alle 14.05 ha
inizio l’avvicinamento alla flotta britannica, e tra le 15.15 e le 15.40 viene
aperto il fuoco dai due schieramenti.
Dato che la Mediterranean Fleet si trova nella direzione opposta della
VII Divisione, rispetto al grosso della flotta, quest’ultimo, nel dirigere
incontro al nemico, ritarda il congiungimento con la VII Divisione. Gli
incrociatori di Sansonetti, rimasti scaduti, non avranno così modo di
partecipare allo scontro.
La mancata partecipazione della VII Divisione alla battaglia sarà
oggetto di studi e critiche nei decenni successivi: per la lentezza del suo
avvicinamento al grosso della squadra italiana (causato dai continui
cambiamenti di rotta di quest’ultima, ma anche dalla velocità troppo bassa
tenuta dalla VII Divisione: pur potendo raggiungere i 35-36 nodi, gli
incrociatori di Sansonetti mantennero un’andatura di crociera); per la
posizione assunta quando – alle 15.20 – iniziò la battaglia (a poppavia della V
Divisione e leggermente spostata verso sinistra, anziché in testa alla
formazione, sul lato opposto rispetto ad IV e VIII Divisione, com’era stato
ordinato: secondo storici come Giorgio Giorgerini, sembra strano che non
potesse raggiungere la posizione assegnata, sfruttando la propria velocità).
Campioni scriverà, nel suo rapporto finale, di non aver ritenuto necessario
attendere la VII Divisione, dato che la sua formazione già godeva di
considerevole superiorità sull’avversario per quanto riguardava gli
incrociatori.
Conclusa la battaglia in un nulla di fatto, la VII Divisione con la
XIII Squadriglia, senza neanche riunirsi alla flotta italiana, fa rotta su
Palermo (prima, però, catapulta un ricognitore, che riferisce a Campioni che la
flotta britannica si dirige verso ovest, ma in termini alquanto vaghi), e
successivamente, attraversato lo stretto di Messina, riceve l’ordine di
dirigere su Napoli, dove arriva tra le 8.25 e le 9 del 10 luglio.
Una
salva britannica cade a poppavia dell’Attendolo
(da www.marina.difesa.it)
|
13 luglio 1940
L’Attendolo ed il resto della
VII Divisione si trasferiscono a Palermo.
30 luglio-1°
agosto 1940
L’Attendolo prende il mare,
insieme alle altre unità della VII Divisione (Eugenio di Savoia, Luigi di
Savoia Duca degli Abruzzi e Raimondo
Montecuccoli) ed alla XIII Squadriglia Cacciatorpediniere ad essa aggregata
(Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino), alla I Divisione (incrociatori
pesanti Zara, Fiume e Gorizia, con i
cacciatorpediniere Lanciere, Corazziere, Carabiniere ed Alpino
della XII Squadriglia), alla IV Divisione (incrociatori leggeri Alberico Da Barbiano ed Alberto Di Giussano con i
cacciatorpediniere Antonio Pigafetta,
Lanzerotto Malocello e Nicolò Zeno della XV Squadriglia) ed
agli incrociatori pesanti Pola (nave
di bandiera dell’ammiraglio Paladini, comandante superiore in mare) e Trento, per fornire protezione a distanza
ai convogli diretti in Libia nell’ambito dell’operazione «Trasporto Veloce
Lento». Tali convogli sono tre: il n. 1 (lento, partito da Napoli alle 8.30 del
27 a 7,5 nodi di velocità) è formato dalle navi da carico Maria Eugenia, Gloria Stella,
Mauly, Bainsizza, Barbaro e Col di Lana e dall’incrociatore
ausiliario Città di Bari (qui usato
come trasporto) scortati dalle torpediniere Procione,
Orsa, Orione e Pegaso (poi
rinforzate dai cacciatorpediniere Maestrale,
Grecale, Libeccio e Scirocco); il
n. 2 (veloce, partito da Napoli alle 00.30 del 29 alla velocità di 16 nodi) è
composto dai trasporti truppe Marco Polo,
Città di Napoli e Città di Palermo, scortati dalle
torpediniere Alcione, Aretusa, Airone ed Ariel; il n. 3
(partito da Trapani) è composto dai piroscafi Bosforo e Caffaro,
scortati dalle torpediniere Vega, Perseo, Generale Antonino Cascino e Generale
Achille Papa.
Sempre a protezione dei convogli, viene potenziato lo schieramento di
sommergibili nel Mediterraneo orientale ed occidentale, portandolo in tutto a
23 battelli, e vengono disposte numerose ricognizioni aeree speciali con mezzi
della ricognizione marittima e dell’Armata Aerea (Armera).
A seguito della notizia dell’uscita in mare sia del grosso della
Mediterranean Fleet da Alessandria, che da gran parte della Forza H da
Gibilterra (incrociatore da battaglia Hood,
corazzate Valiant e Resolution, portaerei Argus ed Ark Royal), che si presume essere dirette verso il Mediterraneo
centrale, i convogli n. 1 e 2 vengono dirottati l’uno a Catania e l’altro a
Messina, dove giungono rispettivamente la sera del 28 ed alle 13.30 del 29.
Il 30 luglio i due convogli, più il n. 3 che salpa solo ora, prendono
nuovamente il mare per la Libia, e salpa anche la forza navale di copertura che
comprende l’Attendolo. La I e VII
Divisione, insieme a Pola e Trento ed alla XII Squadriglia
Cacciatorpediniere frattanto inviata, si portano in posizione idonea a
proteggere il convoglio n. 2, diretto a Bengasi (gli altri sono diretti a
Tripoli) dalle provenienze da levante. La sera del 31 luglio, quando ormai non
vi sono più pericoli, la formazione degli incrociatori inverte la rotta e
rientra le basi.
Tutti i convogli raggiungono senza danni le loro destinazioni tra il 31
luglio ed il 1° agosto. La VII Divisione viene inviata a Napoli.
16 agosto 1940
Attendolo e Montecuccoli sono trasferiti a Palermo.
29 agosto 1940
Attendolo e Montecuccoli sono trasferiti a Brindisi.
La
nave a Taranto nel 1940 (foto Luigi Fumarola)
|
31 agosto-1
settembre 1940
La VII Divisione (Attendolo, Eugenio di Savoia, Duca d’Aosta, Montecuccoli),
accompagnata da quattro cacciatorpediniere della XV Squadriglia (Antonio Pigafetta, Alvise Da Mosto, Giovanni Da
Verrazzano, Nicolò Zeno), salpa
da Brindisi alle 03.00 del 1° settembre (per altra fonte, il 31 agosto) per
partecipare alle operazioni di contrasto all’operazione britannica «Hats».
Complessivamente, all’alba del 31, prendono il mare da Taranto, Brindisi e
Messina 4 corazzate della V (Cesare, Duilio e Cavour) e IX (Littorio e Vittorio Veneto) Divisione, 13
incrociatori della I (Pola, Zara, Fiume, Gorizia), III (Trento, Trieste e Bolzano), VII e
VIII (Duca degli Abruzzi e Garibaldi) Divisione e 39
cacciatorpediniere. La VII Divisione ha ordine di congiungersi con il grosso
delle forze italiane a mezzogiorno dell’indomani.
Alle 14.52, poco dopo che la VII Divisione e la XV Squadriglia si sono
riunite con la VIII Divisione e la XVI Squadriglia Cacciatorpediniere (Nicoloso Da Recco, Emanuele Pessagno, Antoniotto
Usodimare), il sommergibile britannico Parthian
(capitano di corvetta Richard Micaiah Towgood Peacock) lancia sei siluri contro
Duca degli Abruzzi e Garibaldi, in posizione 37°45’ N e
18°22’ E (105 miglia ad est/sudest di Capo Spartivento), mancandoli.
Alle 22.30 la formazione italiana riceve l’ordine di portarsi per le
sei dell’indomani, con rotta 150° e velocità 20 nodi, in un punto 36 miglia ad
ovest di Santa Maria di Leuca, onde impegnare le forze nemiche a nord della
congiungente Malta-Zante, dunque deve cambiare la propria rotta per
raggiungerle (o non potrebbe prendere contatto con esse), dirigendo più verso
sudovest (verso Malta) e superando la congiungente Malta-Zante. Il mattino del
1° settembre, tuttavia, il vento, già in aumento dalla sera precedente, dà
origine ad una violenta burrasca, che costringe la flotta italiana a tornare
alle basi, perché i cacciatorpediniere non sono in grado di tenere il mare
compatibilmente con le necessità operative. Poco dopo la mezzanotte del 1°
settembre le unità italiane entrano nelle rispettive basi; tutti i
cacciatorpediniere sono stati danneggiati (specie alle sovrastrutture) dal mare
mosso, alcuni hanno perso degli uomini in mare. Le navi verranno tenute pronte
a muovere sino al pomeriggio del 3 settembre, ma non si concretizzerà alcuna
nuova occasione.
29 settembre-1°
ottobre 1940
L’Attendolo lascia Brindisi
la sera del 29 settembre, insieme al Montecuccoli,
e si unisce ad una forza navale salpata da Taranto – l’incrociatore
pesante Pola, alle Divisioni I
(incrociatori pesanti Zara, Fiume, Gorizia), V (corazzate Giulio
Cesare e Conte di Cavour), VII
(incrociatori leggeri Muzio Attendolo
e Raimondo Montecuccoli), VIII
(incrociatori leggeri Giuseppe Garibaldi
e Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi)
e IX (corazzate Littorio e Vittorio Veneto) e le Squadriglie
Cacciatorpediniere VII (Dardo, Saetta, Strale), X (Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco), XIII
(Granatiere, Bersagliere, Alpino), XV
(Da Mosto, Da Verrazzano) e XVI (Pessagno,
Usodimare) – e da Messina – la III
Divisione con 4 cacciatorpediniere – per contrastare un’operazione britannica
in corso, la «MB. 5». La formazione uscita da Taranto, cui si uniscono presto
anche Attendolo e Montecuccoli (per altra fonte sarebbero
salpati anch’essi da Taranto), assume rotta 160° e velocità 18 nodi, riunendosi
con le navi provenienti da Messina alle 7.30 del 30 settembre. In mancanza di
elementi sufficienti ad apprezzare la composizione ed i movimenti della
Mediterranean Fleet ed in considerazione dello svilupparsi di una burrasca da Scirocco (che avrebbe reso impossibile
una navigazione ad alta velocità verso sud da parte dei cacciatorpediniere)
Supermarina decide di rinunciare a contrastare l’operazione ed ordina alle
unità in mare di invertire la rotta alle 6.25 del 30 ed incrociare dapprima tra
i paralleli 37° e 38°, poi (dalle 10.30) 38° e 39° ed alle 14 fare rotta verso
sudovest sino a raggiungere il 37° parallelo, poi, alle 17.20, di rientrare
alle basi. Navigando nella burrasca, la flotta italiana raggiunge le basi tra
l’una e le quattro del mattino del 1° ottobre, vi si rifornisce in fretta e
rimane in attesa di un’eventuale nuova uscita per riprendere il contrasto, ma
in base alle nuove informazioni ottenute ciò risulterà impossibile, pertanto,
alle 14.00 del 2 ottobre, le navi riceveranno l’ordine di spegnere le caldaie.
Ottobre 1940
La VII Divisione, Attendolo
compreso, rimane a Brindisi, tranne che per un breve trasferimento a Taranto
dal 10 al 16 ottobre.
L’Attendolo in virata, pronto a
catapultare un idrovolante, nell’autunno del 1940 (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net)
|
Novembre 1940
Nei giorni seguenti alla “notte di Taranto”, a seguito dell’incursione
diversiva effettuata da incrociatori britannici nel canale d’Otranto
contemporaneamente all’attacco su Taranto, che ha portato alla distruzione di
un convoglio di quattro mercantili, la VII Divisione, dislocata a Brindisi
insieme alla XV Squadriglia Cacciatorpediniere, riceve ordine per tenersi
pronta a muovere (in alternanza con VIII Divisione e VIII Squadriglia) per
contrastare eventuali nuove puntate offensive britanniche nel canale d’Otranto,
che comunque non avranno luogo.
15 novembre 1940
Durante la notte, la VII Divisione effettua una crociera d’interdizione
e vigilanza nel Basso Adriatico.
28 novembre 1940
Il porto di Brindisi viene bombardato da aerei britannici mentre la VII
Divisione si trova all’ormeggio; gli incrociatori aprono il fuoco di
sbarramento. L’Attendolo rimane
indenne, il Montecuccoli subisce
lievi danni da schegge.
Inverno 1940-1941
Partecipa, con il resto della VII Divisione (Eugenio di Savoia, Montecuccoli
e Duca d’Aosta) ed altre unità
(incrociatori leggeri Duca degli Abruzzi
e Garibaldi dell’VIII Divisione,
cacciatorpediniere Freccia, Dardo, Saetta e Strale della VII
Squadriglia e cacciatorpediniere Folgore,
Fulmine, Lampo e Baleno della VIII
Squadriglia), a crociere notturne (tra i paralleli 39°45’ N e 40°18’ N, con
l’impiego di due incrociatori ed una squadriglia di cacciatorpediniere ogni
volta) a protezione dei convogli che trasportano in Albania i rifornimenti per
le truppe italiane impegnate sul fronte greco-albanese.
3-4 dicembre 1940
La VII Divisione esce in mare a protezione del traffico dell’Albania,
nonché per eventuale intercettazione di forze nemiche.
10 dicembre 1940
Il capitano di vascello Martinengo viene avvicendato al comando dell'Attendolo dal parigrado Giorgio Conti.
13-14 dicembre
1940
La VII Divisione effettua un’altra crociera di protezione del traffico,
identica a quella di dieci giorni prima.
22-23 dicembre
1940
In un momento particolarmente critico della guerra sul fronte
greco-albanese, Attendolo e Montecuccoli, scortati dai
cacciatorpediniere Folgore, Fulmine e Baleno, effettua una missione di trasporto urgente di truppe
(dell’8° Reggimento Fanteria «Cuneo» nonché tre battaglioni di camicie nere) e
materiali, con destinazione Valona, dove vengono trasbordati sulla cisterna e
nave da sbarco Sesia (affiancata ai
due incrociatori).
Sopra: militi del XVI Battaglione Camicie Nere salgono sull’Attendolo a Brindisi il 23 dicembre 1940 (si notano i salvagente consegnati ai soldati in banchina); sotto, l’incrociatore in navigazione ad alta velocità durante la missione del 23 dicembre (g.c. STORIA militare)
24 dicembre 1940
Verso le 14.30 vengono intravisti sette bombardieri Bristol Blenheim di
poppa, tra i piovaschi; gli incrociatori aprono il fuoco con i pezzi antiaerei,
nei momenti in cui la visibilità è sufficiente, ed i velivoli avversari
spariscono immediatamente.
28 dicembre 1940
Attendolo, Montecuccoli e scorta rientrano a
Taranto.
9-10 gennaio 1941
A seguito della notizia di movimenti navali britannici nel Mediterraneo
(si tratta dell’operazione «Excess», volta a rifornire Malta con due convogli
da Gibilterra ed Alessandria, ma questo Supermarina non può saperlo), la VII e
VIII Divisione, insieme alla XV e XVI Squadriglia Cacciatorpediniere, vengono
inviate a compiere una crociera nel Canale d’Otranto (nella notte tra il 9 ed
il 10 e per tutta la giornata del 10) per tutelare il traffico con l’Albania da
possibili attacchi di unità britanniche, a scopo precauzionale.
L’Attendolo non vi prende
però parte, essendo ai lavori a Taranto.
9 febbraio 1941
Attendolo e Montecuccoli effettuano una crociera
d’interdizione nel Canale d’Otranto.
16 febbraio 1941
Attendolo e Montecuccoli compiono un’altra crociera
d’interdizione nel Canale d’Otranto.
27 marzo 1941
Partecipa ad un’esercitazione.
6 aprile 1941
L’Attendolo effettua un’altra
crociera d’interdizione.
18 aprile 1941
Tra le 20 e 24 l’Attendolo
(capitano di vascello Giorgio Conti), ormeggiato nel recinto “B” nel Mar Piccolo a
Taranto, imbarca con le proprie gruette le mine che dovrà posare
nell’operazione di posa della prima tratta («S 11») della prima spezzata («S
1», che si estenderà dal punto 37°00’ N e 11°08’ E al punto 37°27’ N e 11°17’
E) del campo minato «S». Sull’Attendolo
vengono imbarcate 124 boe esplosive e 37 mine ad antenna.
19 aprile 1941
Le navi incaricate dell’operazione – l’Attendolo, il Montecuccoli
(capitano di vascello Solari), l’Eugenio (capitano
di vascello Lubrano, nave di bandiera dell’ammiraglio Casardi), il Duca d’Aosta (capitano di vascello
Rogadeo) ed i cacciatorpediniere Alvise
Da Mosto (capitano di fregata Ollandini), Nicoloso Da Recco (capitano di vascello Muffone, caposquadriglia
della XVI Squadriglia Cacciatorpediniere), Giovanni
Da Verrazzano (capitano di fregata Avelardi), Emanuele Pessagno (capitano di fregata Scammacca), Antonio Pigafetta (capitano di vascello
Mezzadra, caposquadriglia della XV Squadriglia Cacciatorpediniere) e Nicolò Zeno (capitano di fregata
Piscicelli) – iniziano a muovere alle 2.50. Alle 3.55 al formazione supera le
ostruzioni foranee: in testa Da Recco,
Pigafetta, Pessagno e Zeno, adibiti
alla scorta, poi i quattro incrociatori (nell’ordine Eugenio di Savoia, Montecuccoli,
Duca d’Aosta e per ultimo Attendolo) ed infine Da Mosto e Da Verrazzano in posizione di scorta arretrata notturna (mentre di
giorno saranno in posizione di scorta laterale a dritta ed a sinistra). Le mine
sistemate sulla coperta delle navi sono occultate con sferzi mimetizzati con
strisce bianche; si pone grande attenzione nel non fare fumo, per non essere
avvistati da aerei avversari. La formazione, al comando dell’ammiraglio di
divisione Ferdinando Casardi, prosegue tenendosi al largo della costa,
zigzagando nello stretto di Messina.
20 aprile 1941
Alle 3.50, ad ovest di Trapani, la formazione s’imbatte in una petroliera
isolata che procede oscurata verso nord; la nave defila lungo gli incrociatori
e poi accosta a sinistra, passando tra Da
Mosto e Da Verrazzano, così
vicino da costringere quest’ultimo a compiere una manovra d’emergenza per non
entrare in collisione. Alle 6 le navi italiane riducono la velocità a 14 nodi;
a causa della scarsa visibilità, l’ammiraglio Casardi decide di proseguire a
velocità ridota in attesa di migliori condizioni, tali almeno da riconoscere la
costa, prima di procedere alla posa delle mine, a costo di ritardarla. Alle
6.27, sette minuti dopo l’arrivo di un idrovolante che funge da scorta
antisommergibile (i caccia previsti non decolleranno invece da Pantelleria a
causa della foschia), è possibile riportare la velocità a 18 nodi, ed alle 6.52
le navi incaricate della posa (cioè gli incrociatori, il Da Mosto ed il Da Verrazzano)
iniziano la manovra per disporsi in linea di fronte, con distanza di 300 metri tra gli
incrociatori e 200 tra gli incrociatori ed i cacciatorpediniere, posizionati
sui lati esterni. Tra le 7.07 e le 7.41 viene eseguita la posa delle mine, che
si svolge senza particolari problemi esclusa l’esplosione prematura di 22
ordigni. L’Attendolo, che occupa la
seconda fila da dritta (alla sua dritta c’è il Da Verrazzano che posa 122 boe strappanti, mentre alla sua
sinistra, nell’ordine, il Duca d’Aosta
ed il Montecuccoli che posano
ciascuno 112 mine ad antenna, l’Eugenio
di Savoia che posa 124 boe esplosive e 37 mine ad antenna, ed il Da Mosto che posa 122 boe strappanti; le
file, dal Da Mosto al Da Verrazzano, sono denominate in ordine
da «A» a «F»), posa le sue 124 boe esplosive e 37 mine ad antenna (regolate per
tre metri di profondità e sfalsate rispetto alle boe strappanti della fila «F»
del Da Verrazzano) ad intervalli di
60 metri per le boe (su una lunghezza di quattro miglia) e di 200 metri per le
mine (su una lunghezza di altre quattro miglia). Terminata la posa (durante la
quale si verificano 22 esplosioni premature, come talvolta avviene), eseguita a
14 nodi, gli incrociatori lanciano quattro boette luminose fornite da Marisub
Taranto per contrassegnare l’estremità settentrionale delle file posate.
Alle 7.52 la formazione inizia la navigazione di ritorno.
Alle 9.25 il Da Mosto avvista
una mina alla deriva nel punto 37°41’ N e 11°34’ E e la affonda a colpi di
mitragliera. Alle 9.51 il Pessagno dà
l’allarme per sommergibile avvistato sulla dritta; mentre questi lancia tredici
bombe di profondità, la formazione esegue un’accostata d’urgenza di 50° a
sinistra, per poi tornare sulla rotta originaria una volta a distanza di
sicurezza dal presunto avvistamento.
Alle 10.35 vi è un nuovo allarme antisom: il Pigafetta avvisa la scia di un siluro, dà l’allarme e piomba sul
sommergibile attaccante insieme allo Zeno.
Pigafetta e Zeno lanciano rispettivamente 9 e 4 bombe di profondità, fino alla
comparsa di grosse chiazze di nafta.
Alle 10.50 l’ammiraglio Casardi, in base agli ordini prestabiliti,
ordina a Da Mosto e Da Verrazzano di raggiungere Trapani per
rifornirsi e poi aspettare nuovi ordini. Tra le 22 e le 00.30, la VII Divisione
si ormeggia nel porto di Messina.
Sullo sbarramento «S 11» andranno perduti il piroscafo francese S.N.A. 7 (27 aprile 1941), i piroscafi
britannici Parracombe (2 maggio 1941)
ed Empire Song (9 maggio 1941) e
probabilmente il sommergibile britannico Usk
(forse intorno al 2 maggio 1941).
22 aprile 1941
Alle 21, l’Attendolo ed il Duca d’Aosta, scortati da Da Recco e Pessagno, lasciano Messina alla volta di Augusta.
23 aprile 1941
Attendolo, Duca d’Aosta, Da Recco e Pessagno
entrano ad Augusta alle cinque del mattino, e qui i due incrociatori iniziano
ad imbarcare le mine destinate alla posa del secondo tratto («S 12» e «S 13»)
della prima spezzata («S 1») dello sbarramento «S». L’operazione dura più del previsto,
a causa di avarie alle gruette dell’Attendolo,
terminando infine alle 10.30.
Alle 11.20 Attendolo, Montecuccoli, Duca d’Aosta ed Eugenio di
Savoia, scortati da Pessagno, Pigafetta, Da Recco e Zeno, salpano
da Augusta diretti verso lo Stretto di Messina. Nel primo tratto della
navigazione le navi sono scortate da aerei da caccia per protezione contro
attacchi aerei nemici; per tutta la durata del giorno fruiscono inoltre di
scorta antisommergibili da parte di velivoli della ricognizione marittima.
Le
immagini dell’Attendolo nel manuale
di riconoscimento “ONI 202 – Italian Naval Vessels”, realizzato nel 1942-1943
dall’Office of Naval Intelligence della Marina statunitense.
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24 aprile 1941
Alle cinque, in mare aperto, la formazione viene raggiunta anche da Da Mosto e Da Verrazzano, provenienti da Trapani.
Alle 4.27, intanto, le navi di Casardi sono arrivate in zona; di nuovo
la visibilità è mediocre, pertanto si attende di poter meglio determinare la
propria posizione prima di procedere alla posa. Alle 6.24 sopraggiungono otto
caccia, che assumono la scorta aerea della formazione; alle 6.37 il Pigafetta avvista una mina, che viene
affondata a colpi di mitragliera dallo Zeno.
Alle 6.52, migliorata la visibilità, le navi iniziano a manovrare per portarsi
in linea di fronte a distanza ravvicinata, come previsto, ed alle 7.34 iniziano
la posa delle mine. L’operazione, svoltasi regolarmente, ha termine alle 9. La
posa avviene in linea di fronte con, da sinistra verso dritta, Da Mosto, Da Verrazzano, Eugenio di
Savoia, Montecuccoli, Duca d’Aosta ed Attendolo; la distanza tra le navi è di 300. L’Attendolo e gli altri incrociatori posano 144 mine ad antenna
ciascuno (sfalsate e regolate per 3 metri di profondità), mentre Da Mosto e Da Verrazzano posano ciascuno 82 mine ad antenna (le file di mine
sono denominate, dal Da Mosto all’Attendolo, da «G» a «N»). Attendolo, Montecuccoli e Duca d’Aosta
posano tutti un primo tratto di 62 mine ad antenna distanziate tra loro di 200
metri, su una lunghezza di 6,6 miglia, e poi un secondo tratto di altre 82 mine
ad antenna distanziate tra loro di 150 metri, lungo altre 6,6 miglia.
Anche in questo caso la posa viene effettuata a 14 nodi e, terminata la
posa, gli incrociatori ancorano ciascuno una boetta luminosa per segnalare
l’estremità settentrionale della fila.
Alle 7.54, però, la vecchia torpediniera Simone Schiaffino – cui Casardi ha appena accordato il permesso di
lasciare l’area dopo che, concluso un rastrello antisommergibile preventivo,
era rimasta sul posto ad attendere la VII Divisione come da ordini – urta una
delle mine del primo tratto ed affonda in tre minuti, portando con sé 79 dei
118 uomini dell’equipaggio. I naufraghi vengono recuperati dallo Zeno.
Dopo la fine della posa il Montecuccoli,
come da ordini ricevuti da Casardi, viene lasciato libero di proseguire per La
Spezia con Da Recco e Pessagno, mentre le altre navi si
avviano sulla rotta di rientro. Alle 9.49 il Duca d’Aosta prima, ed altre unità poi, avvistano ad est un aereo
sospetto – forse un ricognitore britannico – e dà l’allarme; l’ammiraglio
Casardi ordina il diradamento della formazione, che si ricostituisce poco dopo
in seguito all’allontanamento del velivolo. Ad est di Capo Lilibeo, dov’è stato
segnalato un sommergibile, la formazione procede a zig zag e modifica la rotta
per passare a non meno di dieci miglia dal punto dell’avvistamento; nei suoi
pressi il Da Mosto, su ordine
dell’ammiraglio Casardi, lancia quattro bombe di profondità a scopo
intimidatorio.
25 aprile 1941
Alle 10 la formazione, giunta presso il punto «A 1» di Taranto, non
riesce ad avvistare punti cospicui della costa a causa della foschia, così deve
invertire la rotta ed aspettare l’arrivo del battello pilota. Alle 13 le navi
riusciranno infine ad ormeggiarsi a Taranto.
29 aprile 1941
Tra le 20 e le 23.30 l’Attendolo
(capitano di vascello Giorgio Conti), ormeggiato alla banchina frigorifero nel porto di
Taranto, imbarca a mezzo gruette le mine per le linee «d», «e», «f» e «i» del
nuovo sbarramento difensivo «T» al largo di Tripoli. Fanno lo stesso anche Eugenio di Savoia, Duca d’Aosta, Da Mosto e Da Verrazzano.
30 aprile 1941
La formazione inizia a muovere alle 4.30, ed alle 5.50 supera le
ostruzioni foranee: in testa sono Da
Recco (capitano di vascello Muffone), Pigafetta
(capitano di vascello Mezzadra), Pessagno
(capitano di fregata Scammacca) e Zeno
(capitano di vascello Piscicelli) di scorta, seguiti nell’ordine da Eugenio di Savoia (capitano di vascello
Lubrano, nave di bandiera dell’ammiraglio Casardi), Duca d’Aosta (capitano di vascello Rogadeo), Attendolo, Da Mosto (capitano
di fregata Ollandini) e Da Verrazzano
(capitano di fregata Avelardi). Tra le 10.10 e le 11.05, al largo di Capo
Colonne, la formazione zigzaga.
Alle 12.45 le navi entrano in un denso banco di nebbia, che riduce la
visibilità a non più do 600
metri , uscendone solo alle 14.20. Alle 15.30 giunge sul
cielo della formazione una scorta di caccia e bombardieri (prima vi erano degli
aerei da ricognizione marittima), che resteranno sino al tramonto; alle 16.05
le navi ricominciano a zigzagare, proseguendo sino alle 20. Durante la sera,
alle 21.05, le unità italiane assistono in lontananza ad un’incursione aerea su
Malta.
1° maggio 1941
La formazione arriva nella zona stabilita per la posa, ma la densa
foschia (visibilità 5-7 km )
complica e ritarda l’individuazione dei punti di riferimento assegnati per
iniziare la posa, finché, alle 10.15, viene avvistato il fumo della
torpediniera Partenope, mandata da
Marilibia a segnare con la sua presenza l’estremità nordoccidentale della linea
«f». Alle 10.22, data libertà di manovra a Da
Mosto e Da Verrazzano (scortati
da Pigafetta e Zeno) per posare la loro linea di mine, gli incrociatori iniziano
la manovra per disporsi in formazione di posa; alle 10.52 l’Attendolo ed il Duca d’Aosta iniziano la posa della linea «f» (140 mine tedesche ad
antenna disposte su due file sfalsate, con un intervallo di 300 metri tra le
due file e di 100 metri tra le mine di una stessa fila); successivamente l’Attendolo e l’Eugenio di Savoia posano la linea «d» e Duca d’Aosta ed Eugenio di
Savoia posano la linea «e», entrambe identiche alla «f».
La posa delle tre file termina alle 12.27; solo cinque mine ad antenna
esplodono prematuramente, evento abbastanza comune durante le pose.
Entro le 13 la formazione si è di nuovo riunita, e si mette pertanto in
rotta per tornare alla base. Stante la fitta foschia ed il conseguente rischio
di attacchi da parte di navi nemiche, i cacciatorpediniere vengono posizionati
a 4000 metri
dagli incrociatori, in posizione di scorta avanzata.
2 maggio 1941
Alle 5.30, in base ad ordini ricevuti alle 18.30 della sera precedente,
l’ammiraglio Casardi distacca l’Attendolo
con Da Recco e Pessagno perché raggiungano Messina, mentre il resto delle navi
entra ad Augusta alle 6.30. Attendolo,
Da Recco e Pessagno arrivano a Messina alle 9.15.
L’Attendolo a Taranto nel 1941 (da www.lasegundaguerra.com) |
4-5 maggio 1941
Attendolo, Eugenio di Savoia (nave di bandiera
dell’ammiraglio Casardi), Duca d’Aosta
Da Mosto, Da Recco, Da Verrazzano, Zeno e Pigafetta escono in mare per fornire copertura a due convogli in
navigazione tra l’Italia e la Libia: uno composto dalle motonavi Victoria, Calitea, Andrea Gritti, Marco Foscarini, Sebastiano Venier, Barbarigo
ed Ankara (tedesca), partite da
Napoli all’1.15 del 4 e dirette a Tripoli con la scorta dei cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi (caposcorta), Lanzerotto Malocello ed Antonio Da Noli e delle torpediniere Orione, Pegaso e Cassiopea;
l’altro formato dal trasporto truppe Marco
Polo e dalle motonavi Rialto, Reichenfels, Marburg e Kibfels (la
prima italiana, le altre tre tedesche), salpate da Tripoli alle 9.30 del 5 e
dirette a Napoli con la scorta delle torpediniere Procione (caposcorta), Orsa,
Centauro, Cigno e Perseo e dei
cacciatorpediniere Fulmine ed Euro. La VII Divisione viene inviata a
proteggere i due convogli perché sono presenti a Malta alcune unità leggere di
superficie britanniche (che il precedente 16 aprile hanno attaccato e distrutto
il convoglio «Tarigo»).
Alle 20.03 del 4 la VII Divisione, con due successive accostate ad un
tempo, prende posizione circa 3 km a proravia del convoglio «Victoria» e
dispone i cacciatorpediniere in posizione di scorta avanzata. La VII Divisione
procede in linea di fila, mentre il convoglio avanza in tre colonne, con scorta
laterale; l’ammiraglio Casardi ritiene che questa sia la posizione più adatta
affinché gli incrociatori possano reagire contro navi di superficie britanniche
che attacchino nei settori più pericolosi (e più probabili; sembra invece improbabile
un attacco da poppa, data la posizione e velocità del convoglio, quindi si
lascia alla scorta diretta il compito di proteggere quel lato), senza essere
intralciati dalle manovre di convoglio e scorta diretta, ed in modo tale da
permettere a quest’ultimo di allontanarsi senza perdite. Fino al tramonto il
convoglio gode di forte scorta aerea, svolta sia da caccia che da bombardieri.
La navigazione notturna si svolge senza problemi; alle 5.45 la VII
Divisione inizia la manovra per portarsi sulla congiungente Malta-convoglio,
posizione nella quale resterà per il resto del giorno, procedendo a zig zag e
tenendosi in vista del convoglio. Alle 6.40 sopraggiungono i primi velivoli
della scorta aerea, questa volta composta da idrovolanti da ricognizione marittima
e da bombardieri.
Alle 14.26 viene avvistato il convoglio «Marco Polo», e la VII
Divisione assume direttrice di marcia 16°, mantenendosi di prora a tale
convoglio, seguitando a zigzagare, mentre il convoglio «Victoria» si dirige
verso Tripoli, dove giungerà senza alcun danno. Alle 19.50 la Divisione si
posiziona 4 km a proravia del convoglio «Marco Polo». La visibilità è cattiva
per il resto della giornata; la navigazione notturna procede senza intoppi, con
formazione analoga a quella della notte precedente. Alle 5.45 la VII Divisione
lascia la scorta ravvicinata del convoglio, e si porta alla sua sinistra; alle
6.40 viene avvistato il primo aereo della scorta, mentre la Divisione prosegue
a zig zag a 16 nodi. Il convoglio arriverà a Napoli indenne.
6 maggio 1941
Alle 12.26 Attendolo, Eugenio di Savoia, Duca d’Aosta Da Mosto, Da Recco, Da Verrazzano, Pigafetta
e Zeno, mentre sono in navigazione a
18 nodi ad est della Sicilia, vengono avvistati in posizione 37°34’ N e 15°27’
E (su rilevamento 080°) dal sommergibile britannico Unique (tenente di vascello Anthony Foster Collett), che tuttavia,
essendo a nove miglia di distanza, non può attaccare.
22 maggio 1941
L’Attendolo salpa da Taranto
per partecipare ad un’esercitazione.
1° giugno 1941
In serata, tra le 21 e le 24, l’Attendolo
(capitano di vascello Giorgio Conti), ormeggiato alla banchina frigorifero del porto di
Taranto, l’Eugenio di Savoia, il Duca d’Aosta, il Da Mosto ed il Da Verrazzano
imbarcano, come al solito con le proprie gruette, le mine per le nuove linee
dello sbarramento «T».
2 giugno 1941
Alle tre di notte le navi iniziano a mollare gli ormeggi; due ore dopo
i tre incrociatori ed i cacciatorpediniere Da
Mosto (capitano di fregata Ollandini), Da
Verrazzano (capitano di vascello Avelardi), Da Recco (capitano di vascello Muffone), Pigafetta (capitano di vascello Mezzadra) ed Antoniotto Usodimare (capitano di fregata Galleani), in franchia
delle rotte di sicurezza, assumono rotta 160° con velocità di 18 nodi. La
navigazione procede con mare calmo e brezza da sub; la visibilità è buona. Tra
le 8 e le 9 e tra le 14 e le 18.14, quando le navi si trovano a passare vicine
alla costa, procedono a zig zag. Alle 18.10 viene avvistata, a 20.000 metri , la IV
Divisione (incrociatori leggeri Giovanni
delle Bande Nere, nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Porzio
Giovanola, ed Alberto Di Giussano e
cacciatorpediniere Scirocco e Vincenzo Gioberti), che dovrà
partecipare anch’essa alla posa, e che alle 18.30 assume la sua posizione in
formazione. Proprio in quel momento, però, il Da Mosto viene colto da un’avaria di macchina; la velocità della
formazione, che avrebbe dovuto essere incrementata a 22 nodi, viene pertanto
mantenuta a 18. Visto che il Da Mosto
ha a bordo metà delle boe strappanti da posare a protezione della linea “b”,
l’ammiraglio Casardi preferisce non privarsene, dato che altrimenti la posa ne
risulterebbe parzialmente menomata; ma per evitare che la formazione non si
venga a trovare all’alba del 3 e del 4 troppo lontana dalle coste italiane e così
sprovvista di scorta di caccia, è necessario mantenere una velocità di almeno
20 nodi. Casardi decide quindi di tenere con sé il Da Mosto fino a posa avvenuta, se riuscirà a tenere una velocità di
20 nodi, per poi mandarlo a Tripoli, ed altrimenti di farlo rientrare ad
Augusta.
Alle 22.12 anche lo Scirocco,
di scorta avanzata, viene colto da un’avaria, questa volta al timone, ma riesce
a ripararla celermente ed a tornare in posizione in 40 minuti.
3 giugno 1941
All’alba la formazione, che a causa dell’avaria del Da Mosto ha accumulato due ore di
ritardo, si ritrova senza scorta aerea, perché il ghibli e la scarsa visibilità
impediscono agli aerei di decollare ed individuare le navi. Alle 10.05 viene
avvistato il fumo emesso dalla torpediniera Castore
per segnalare la posizione della posa, ed alle 10.37, dopo aver via via ridotto
la velocità, le unità ricevono l’ordine di dividersi nei gruppi stabiliti per
la posa.
Alle 11.06 le unità del gruppo «Eugenio» (Eugenio di Savoia, Attendolo,
Di Giussano, Bande Nere, Da Mosto e Da Verrazzano; si sono separati Duca d’Aosta, Pigafetta, Gioberti e Scirocco) iniziano a manovrare per
assumere rotta e formazione di posa; l’Usodimare
è colto da avaria al timone, ma la risolve rapidamente. La posa della linea «b»
(effettuata da Bande Nere, Di Giussano, Eugenio di Savoia e Da Mosto)
inizia alle 11.31 e finisce alle 12.15, quella della linea «c» comincia alle
12.22 e termina alle 12.51; entrambe vengono compiute a 10 nodi. L’Attendolo e l’Eugenio di Savoia posano ciascuno 88 mine ad antenna per la linea
«c»; il Da Mosto posa 116 boe
strappanti, il Da Verrazzano ne posa
altre 95 strappanti e 17 esplosive, mentre Bande
Nere, Di Giussano ed Eugenio di Savoia posano rispettivamente
139 mine ciascuno i primi due e 228 boe esplosive il terzo (linea «b»), prima
che quest’ultimo si unisca all’Attendolo
nella posa della linea «c».
Le due file di mine sono distanziate di 300 metri , quella di boe
esplosive è a 200 metri
dalla seconda fila di mine e la fila di boe strappanti è a 200 metri da
quest’ultima. Si tratta di uno sbarramento sostanzialmente indragabile, ma la
sua posa richiede grande coordinazione e precisione.
Alle 13.30 le navi del gruppo «Eugenio» giungono nel punto di riunione,
e Casardi ordina al Da Mosto di
raggiungere Tripoli.
Nel mentre, Scirocco, Gioberti e Pigafetta scortano il Duca
d’Aosta intento, da solo, nella posa delle linee «h» (95 mine tedesche),
«ha» (40 mine tedesche) e «hb» (40 mine tedesche) di mine antisommergibile.
Alle 14.10 queste quattro navi si ricongiungono con le altre, dopo di che viene
assunta rotta per il rientro e velocità 22 nodi. Alle 14.52 vengono avvistati
degli aerei da caccia che si allontanano, ed alle 17 il Di Giussano avvista un ricognitore sconosciuto, che viene perso di
vista dopo poco. Da Malta decollano degli aerosiluranti, e Supermarina,
debitamente informata, ne avvisa le navi in mare alle 23.15; Casardi decide di
proseguire sulla rotta transitoria 45°, invece che accostare per nord come
deciso precedentemente, così da mantenere la luna nei settori poppieri e
permettere ai cacciatorpediniere della scorta avanzata di vegliare sul settore
più pericoloso; dato che tale diversione provocherà un allungamento del
percorso, l’ammiraglio fa anche aumentare la velocità a 25 nodi, in modo da trovarsi
lo stesso, all’alba, sotto la protezione dei caccia della Regia Aeronautica
(nonché allo scopo di incrementare la possibilità di manovra delle sue navi).
Vi sono due allarmi, a poca distanza l’uno dall’altro, a seguito di presunti
avvistamenti da parte di Usodimare e Bande Nere; la formazione accosta per
imitazione di manovra, ma nessuna nave apre il fuoco e non si verificano
attacchi.
Un’altra
immagine dell’Attendolo (da
www.lasegundaguerra.com)
|
4 giugno 1941
All’1.14, dato che la luna più bassa mette in risalto le sagome delle
navi, queste accostano per rotta 70° così da avere la luna di poppa, ma
all’1.53, tramontata la luna, riassumono rotta verso nord, raggiungendo
successivamente la base.
Sullo sbarramento «T» capiterà, il 19 dicembre, la Forza K britannica;
l’incrociatore leggero Neptune ed il
cacciatorpediniere Kandahar
affonderanno sulle mine, mentre gli incrociatori leggeri Aurora e Penelope saranno
entrambi danneggiati, il primo dei quali in modo grave. Proprio grazie a questo
campo minato, sarà così eliminata una delle più grandi minacce al traffico
italiano con la Libia.
26 giugno 1941
L’Attendolo salpa da Taranto
alle 17.20, insieme a Duca d’Aosta
(nave di bandiera dell’ammiraglio Casardi), Da
Mosto, Da Recco, Da Verrazzano, Pessagno e Pigafetta, per
la posa della seconda spezzata («S 2») dello sbarramento minato offensivo «S»
nel canale di Sicilia. Le mine saranno posate dagli incrociatori, dal Pigafetta e dal Pessagno.
27 giugno 1941
Vicino ad Augusta Pessagno e Pigafetta vengono distaccati per recarsi
a Trapani, dove imbarcheranno le loro mine, mentre l’Attendolo e le altre navi entrano ad Augusta alle 6.40 del mattino;
qui gli incrociatori iniziano subito ad imbarcare 120 mine ad antenna ciascuno,
operazione completata in un paio d’ore. Alle 10.17 viene dato l’allarme aereo,
essendo stati avvistati velivoli nemici dalle stazioni di vedetta meridionali
della piazzaforte di Augusta, quindi Casardi, per non rischiare che le navi
siano bombardate in porto con il pericolosissimo carico di mine a bordo, fa attivare
i fuochi e partire la formazione con un’ora di anticipo.
28 giugno 1941
Alle 5.10 Pessagno e Pigafetta, provenienti da Trapani, si
ricongiungono con il resto della formazione. Alle 6.54 le navi iniziano la posa
delle mine, che concludono alle 7.32; tutto si svolge regolarmente, salvo per
lo scoppio prematuro di sei mine. L’Attendolo
posa le sue mine in un’unica linea, con un intervallo di 100 metri tra gli
ordini, regolati per una profondità di tre metri.
L’Attendolo e le altre navi,
eccetto Pigafetta e Pessagno (nuovamente inviati a Trapani),
arrivano ad Augusta a mezzanotte.
6 luglio 1941
Dopo aver caricato 146 mine ad antenna, l’Attendolo salpa da Augusta alle 13.30 insieme al Duca d’Aosta, scortato da Da Recco, Da Mosto e Da Verrazzano.
L’operazione, ancora una volta al comando dell’ammiraglio Casardi sul Duca d’Aosta, è la posa della terza
tratta («S 3», con le spezzate «S 31» e «S 32» per un totale di 292 mine e 444
boe esplosive) dello sbarramento «S». A sud dello stretto di Messina, essendo
stata constatata la presenza di un sommergibile, le navi procedono a zig zag, e
dalle 15.45 alle 16.33 portano la velocità a 25 nodi.
7 luglio 1941
Alla formazione si uniscono dapprima, alle 5.23, Pessagno e Pigafetta
partiti da Trapani, e poco dopo anche la IV Divisione (Bande Nere e Di Giussano
scortati da Maestrale, Grecale, Libeccio e Scirocco),
partita da Palermo al comando dell’ammiraglio Porzio Giovanola per partecipare
alla posa.
Alle 5.37 l’Attendolo, in
base ad ordine impartito da Casardi alle 5.25, catapulta un idrovolante da
ricognizione per controllare la zona ad ovest della formazione. Il lancio
dell’idrovolante avviene restando in formazione, aumentando la velocità solo
per qualche secondo; alle 5.52, però, il velivolo, dopo aver oscillato in modo
anomalo, precipita in mare a poppa sinistra dell’Attendolo. Pilota ed osservatore cadono in mare; i loro paracadute
si aprono all’ultimo momento, pochi metri prima che finiscano in mare, appena
in tempo per salvare loro la vita. Verranno recuperati entrambi, illesi, dal Da Verrazzano, inviato sul posto per
soccorrerli.
Alle 7 le navi (le mine saranno posate dagli incrociatori nonché da Pessagno e Pigafetta) iniziano a manovrare per assumere rotta e formazione di
posa (Duca d’Aosta, Attendolo, Bande Nere e Di Giussano,
in linea di rilevamento 47°), ed alle 7.45 iniziano a posare le mine,
terminando alle 8.57. Quindici minuti dopo l’inizio dell’operazione, Attendolo e Duca d’Aosta rilevano fondali di profondità superiore ai 400 metri
(troppi, per potervi ancorare le mine), in un punto dove questi erano già stati
segnalati dalla nave idrografica Cariddi; l’ammiraglio Casardi, sapendo (dai
dati forniti dal Cariddi) che tali alti fondali hanno scarsa estensione, non
ordina agli incrociatori di interrompere la posa delle mine, onde evitare
possibili complicazioni o ritardi nella ripresa.
L’operazione di posa avviene con manovre più complesse del solito,
poiché sulla terza e quarta linea devono posare le torpedini prima i
cacciatorpediniere e poi gli incrociatori, senza soluzione di continuità nel
ritmo e nell'equidistanza; le navi danno comunque prova di buon addestramento
ed affiatamento in tali operazioni di precisione, sovente effettuate con pochi
elementi per la determinazione della posizione, oltre che in zone pericolose
per possibili attacchi nemici.
La VII Divisione dirige poi per Taranto, mentre la IV Divisione verrà
lasciata libera di raggiungere Palermo alle 15.11.
26 luglio 1941
L’Attendolo esce in mare per
esercitazioni.
2 agosto 1941
Il capitano di vascello Conti cede il comando dell'Attendolo al parigrado Mario Schiavuta.
4 agosto 1941
L’Attendolo si trasferisce a
Palermo, dove già si trova il Montecuccoli.
6 agosto 1941
Partecipa ad esercitazioni con il Duca
degli Abruzzi.
18 agosto 1941
Partecipa ad altre esercitazioni con il Duca degli Abruzzi.
24-25 agosto 1941
Alle 5.30 del 24 agosto l’VIII Divisione (ammiraglio di divisione
Giuseppe Lombardi), formata temporaneamente da Attendolo, Montecuccoli e
Duca degli Abruzzi, salpa da Palermo
assieme a cinque cacciatorpediniere per compiere una crociera fino all’isola di
La Galite e Capo Serrat (Tunisia), nell’ambito del contrasto all’operazione
britannica «Mincemeat», che vede l’uscita da Gibilterra di parte della Forza H
(comprese la portaerei Ark Royal e la
corazzata Nelson) per bombardare gli
stabilimenti industriali ed i boschi di sughero nella Sardegna settentrionale
(con gli aerei dell’Ark Royal), posare mine al largo di Livorno
(con il posamine veloce Manxman) e
dissuadere, con tale dimostrazione di forza, la Spagna dall’entrare in guerra a
fianco dell’Asse. I veri obiettivi dell’azione britannica non sono comunque
noti a Supermarina, che pensa soprattutto ad un nuovo tentativo britannico di
inviare a Malta un convoglio di rifornimenti; l’VIII Divisione ha il compito
d’intercettarlo, se dovesse passare nella zona in questione.
Escono in mare anche la III Divisione (incrociatori pesanti Trieste, Trento, Bolzano e Gorizia, più i cacciatorpediniere Lanciere, Corazziere, Ascari e Carabiniere della XII Squadriglia, cui
in seguito si aggiungono anche Maestrale
e Scirocco), partita da Messina alle
9.50, e la IX Divisione (corazzate Littorio
e Vittorio Veneto e
cacciatorpediniere Aviere e Camicia Nera della XI Squadriglia e Granatiere, Bersagliere, Fuciliere ed
Alpino della XIII Squadriglia),
salpata da Taranto alle 16 e successivamente rinforzata dai cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi, Nicoloso Da Recco e Lanzerotto
Malocello da Napoli, ed Antonio
Pigafetta e Giovanni Da Verrazzano
da Trapani. Queste due Divisioni vengono inviate al centro del Tirreno.
Alle 10.20 il sommergibile britannico Upholder (capitano di corvetta Malcolm David Wanklyn) avvista su
rilevamento 270° tre unità maggiori e diversi cacciatorpediniere che procedono
con rotta 215° e velocità 25 nodi: sono l’Attendolo,
il Montecuccoli ed il Duca degli Abruzzi, ed i loro cinque
cacciatorpediniere di scorta. Alle 10.34 l’Upholder
lancia due siluri all’incrociatore di coda, in posizione 38°30’ N e 12°00’ E
(al largo dell’estremità nordoccidentale della Sicilia), da una distanza di
5030 metri. Nessuno dei siluri va a segno; il Duca degli Abruzzi ne avvista le scie, che gli passano una
cinquantina di metri a proravia. I cacciatorpediniere danno la caccia all’Upholder mentre si ritira ad elevata
velocità verso est/nordest; vengono lanciate 32 bombe di profondità, ma nessuna
esplode abbastanza vicia da danneggiarlo.
Verso le 16 il Comando Squadra, dato che la ricognizione aerea,
spintasi fino al 3° meridiano, non ha trovato tracce di convogli, ordina
all’VIII Divisione di non proseguire oltre le 17 nella puntata verso La Galite
(che ormai è già in vista) e di assumere rotta 30°, in previsione di un possibile
ricongiungimento con il gruppo «Littorio». A quell’ora, l’Attendolo catapulta un idrovolante da ricognizione, che però non
avvista niente.
Alle 16.56 l’VIII Divisione comincia ad accostare per assumere la rotta
ordinata (per una possibile riunione con la III e IX Divisione), assumendo la
velocità di 22 nodi, ma all’1.25 del 25 Supermarina ordina alla Divisione di
rientrare a Palermo. Qui gli incrociatori arrivano verso le 8.45.
L’Attendolo a Palermo nell’agosto 1941 (da
www.lasegundaguerra.com)
|
7/8 settembre 1941
Durante la notte, bombardieri britannici (della RAF di Malta) vengono
inviati ad attaccare l’Attendolo ed
il Montecuccoli, ormeggiati nel porto
di Palermo. Vengono sganciate una quarantina di bombe, in più ondate, tra le
23.30 e le 4; né l’Attendolo né il Montecuccoli – che si uniscono al tiro
della difesa contraerea – sono colpiti (ma il secondo subisce danni da
schegge). Il porto e la città subiscono danni contenuti, ma 41 persone perdono
la vita, e 56 sono ferite; un aereo viene abbattuto.
8/9 settembre 1941
Nuova incursione aerea notturna, dalle 23.15 dell’8 alle 3.30 del 9,
visto che la precedente non ha prodotto molti risultati. Anche stavolta,
nessuno dei due incrociatori (che aprono il fuoco con i loro pezzi contraerei)
viene colpito; della cinquantina di bombe sganciate, alcune cadono in mare ed
altre sulle abitazioni di Palermo, uccidendo una decina di civili.
12 settembre 1941
Nuovo bombardamento aereo britannico sul porto di Palermo, tra l’1.15 e
le 4.10 della notte, con lo sgancio di 16 tonnellate di bombe; l’Attendolo, ancora in porto (mentre non
c’è più il Montecuccoli, partito il
9), apre il fuoco contro i velivoli attaccanti, coordinandosi con la difesa
contraerea a terra. La nave non riporta danni; qualche bomba cade sulla città,
provocando quattro vittime e 12 feriti.
14 settembre 1941
Ancora un bombardamento di Palermo; ancora l’Attendolo partecipa al tiro contraereo con il proprio armamento.
25 settembre 1941
Attendolo, Duca degli Abruzzi e X Squadriglia
Cacciatorpediniere (Maestrale, Grecale e Scirocco) si trasferiscono a La Maddalena da Palermo, in
preparazione della loro partecipazione al contrasto dell’operazione britannica
«Halberd».
L’Attendolo nel bacino galleggiante G.O. 24 (dal libro “O.T.O. 1939”, via Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net) |
26-29 settembre
1941
Il 26 settembre l’Attendolo,
ancora assegnato temporaneamente alla VIII Divisione insieme al Duca degli Abruzzi, salpa da La
Maddalena unitamente ai cacciatorpediniere Maestrale,
Grecale e Scirocco (X Squadriglia) per raggiungere ed attaccare un convoglio
britannico diretto a Malta (cisterna militare Breconshire e mercantili Ajax,
City of Calcutta, City of Lincoln, Clan Ferguson, Clan MacDonald, Imperial Star, Dunedin Star
e Rowallan Castle, con 81.000
tonnellate di rifornimenti) e scortato dalla Forza H britannica con tre
corazzate (Nelson, Rodney e Prince of Wales) ed una portaerei (Ark Royal), oltre a cinque incrociatori (Kenya, Edinburgh, Sheffield, Hermione ed Euryalus) e
18 cacciatorpediniere (i britannici Cossack,
Duncan, Farndale, Fury, Forester, Foresight, Gurkha, Heythrop, Laforey, Lance, Legion, Lively, Lightning, Oribi e Zulu, i polacchi Garland
e Piorun e l’olandese Isaac Sweers) nell’ambito
dell’operazione britannica «Halberd». Da parte italiana, però, si ignora del
vero obiettivo dei britannici: i comandi italiani, dato che la ricognizione ha
avvistato solo parte delle navi nemiche, pensano che i britannici intendano
lanciare un bombardamento aeronavale contro le coste italiane, e al contempo
rifornire Malta di aerei. L’ordine per le forze italiane è di riunirsi a nord
della Sardegna in una posizione difensiva, e di non ingaggiare il nemico a meno
di non essere in condizioni di netta superiorità (precisamente: radunarsi alle
12 del 27 cinquanta miglia a sud di Capo Carbonara per intercettare il
convoglio intorno alle 15, ad est di La Galite, e di attaccare solo se
l’Aeronautica riuscirà a danneggiare almeno una delle corazzate che saranno
presumibilmente presenti).
Partono anche la III (Trento,
Trieste, Gorizia) e la IX Divisione (Littorio,
Vittorio Veneto) rispettivamente da
Messina e Napoli, accompagnate rispettivamente dalla XII (Lanciere, Carabiniere, Corazziere, Ascari) e dalla XIII (Granatiere,
Bersagliere, Fuciliere e Gioberti) e
XVI Squadriglia Cacciatorpediniere (Folgore,
Da Recco, Pessagno).
A mezzogiorno del 27 la III, la VIII e la IX Divisione, con le
rispettive squadriglie di cacciatorpediniere, si riuniscono una cinquantina di
miglia ad est di Capo Carbonara (l’VIII Divisione si posiziona a 10.000 metri
per 240° dalla IX Divisione), per intercettare il convoglio, poi dirigono verso
sud (o sudest) a 24 nodi (altra fonte: rotta 244°, velocità 22 nodi; poi 210°
per dirigere incontro al nemico, alle 12.30 e 180° alle 13, per tagliare la
rotta alle forze britanniche, aumentando la velocità a 24 nodi) per
l’intercettazione, con gli incrociatori che precedono di 10.000 metri le
corazzate. A mezzogiorno, dato che la ricognizione ha avvistato una sola
corazzata britannica ed una portaerei, e che la Regia Aeronautica sta per
attaccare in massa (gli aerosiluranti italiani, al prezzo di sette velivoli
abbattuti, riusciranno a silurare e danneggiare la Nelson), la flotta italiana viene autorizzata ad ingaggiare
battaglia (Iachino riceve libertà d’azione); alle 14 viene ordinato il posto di
combattimento, e le corazzate sono schierate nella direzione di probabile
avvicinamento del nemico. Quando però il contatto appare imminente, in seguito
a nuove segnalazioni dei ricognitori viene appreso che le forze britanniche
ammontano in realtà a due corazzate (in realtà tre), una portaerei e sei
incrociatori, il che pone la squadra italiana in condizioni di inferiorità
rispetto alla forza britannica, e per giunta la prima è sprovvista di copertura
aerea (soltanto sei caccia, con autonomia dalle basi non superiore a 100 km),
mentre le navi italiane sono tallonate da ricognitori maltesi dalle 13.07 (e
più tardi, dalle 15.15 alle 17.50, da aerei dell’Ark Royal) ed esposte ad attacchi di aerosiluranti lanciati dalla
portaerei. Alle 14.30, considerata la propria inferiorità numerica, la scarsa
visibilità e la mancanza di copertura, la squadra italiana inverte la rotta per
portarsi fuori dal raggio degli aerosiluranti nemici. Alle 15.30 sopraggiungono
tre caccia italiani FIAT CR. 42 assegnati alla scorta aerea, ma, per via della
loro somiglianza agli aerosiluranti britannici (sono anch’essi biplani),
vengono inizialmente scambiati per aerei inglesi ed il Fuciliere ne abbatte il capo pattuglia (il pilota sarà tratto in
salvo dal Granatiere), mentre gli
altri due si allontanano. Alle 17.18, avendo ricevuto comunicazioni secondo cui
la squadra britannica avrebbe subito pesanti danni (una corazzata e due incrociatori
silurati e daneggiati, un incrociatore affondato) a causa degli attacchi aerei,
la formazione italiana dirige nuovamente verso sud (prima stava procedendo
verso nord), salvo invertire nuovamente la rotta (dirigendo per est-nord-est)
alle 18.14, portandosi al centro del Mar Tirreno, come ordinato da Supermarina
perché ormai non è più possibile intercettare il convoglio prima del tramonto.
Alle otto del mattino del 28 le navi italiane attraversano il canale di
Sardegna e, come ordinato, raggiungono un punto 80 miglia ad est di Capo
Carbonara, poi fanno rotta per ovest-sud-ovest ma infine, alle 14.00, dato che
i ricognitori non trovano più alcuna nave nemica a sud ed ad ovest della
Sardegna (il convoglio è infatti passato) viene ordinato il rientro alle basi;
l’VIII Divisione viene fatta dirigere a Messina, mentre lo Scirocco viene mandato a Cagliari a seguito di un’avaria.
Alle 17.22 l’Attendolo
avvista scie di siluri ed accosta immediatamente a sinistra; così fa anche il Montecuccoli, che lo segue e vede
passare due siluri a soli 20 metri, sulla dritta. Le navi lanciano in mare
alcune bombe di profondità.
L’VIII Divisione raggiunge Messina alle otto del 29.
L’Attendolo in navigazione di guerra (g.c.
Stefano Cioglia)
|
1° ottobre 1941
Attendolo e VIII Divisione
si trasferiscono a Taranto.
8 ottobre 1941
L’Attendolo esce da Taranto
per un’esercitazione. Rimarrà poi in porto sino al 28 novembre. In questo
periodo, dopo l’intensa attività dei mesi precedenti, agli equipaggi sono
concessi un po’ di riposo e delle brevi licenze, e le navi sono sottoposte a
lavori di manutenzione ordinaria.
21 novembre 1941
Muore in territorio metropolitano, probabilmente a Napoli per
incursione aerea, il marinaio Antonio Bertogna dell’Attendolo.
29-30 novembre
1941
Dato che tra il 28 ed il 30 novembre sono partiti, o devono partire,
quattro convogli e cinque unità militari in missione di trasporto verso la
Libia (piroscafi Iseo e Capo Faro e torpediniera Procione, da Brindisi a Bengasi;
motonave Sebastiano Venier e
cacciatorpediniere Giovanni Da Verrazzano,
da Taranto a Bengasi; incrociatore ausiliario Adriatico, da Argostoli a Bengasi; nave cisterna Iridio Mantovani e cacciatorpediniere Alvise Da Mosto, da Trapani a Tripoli;
cacciatorpediniere Antonio Da Noli,
da Argostoli a Bengasi; cacciatorpediniere Nicolò
Zeno, da Taranto a Bengasi; cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi ed Emanuele
Pessagno, da Argostoli a Derna; sommergibile Pietro Micca, da Taranto a Derna) e che il rischio di attacchi
navali britannici è altissimo (la Forza K, di base a Malta, ha distrutto due
convogli il 9 ed il 24 novembre), viene deciso di fare uscire in mare, a
protezione di tale traffico da eventuali puntate offensive di incrociatori
britannici, una consistente forza di protezione consistente nella corazzata Duilio (comandante superiore in mare,
ammiraglio di divisione Guido Porzio Giovanola), nella VII Divisione (Attendolo, Montecuccoli e Duca d’Aosta)
con la XI Squadriglia Cacciatorpediniere (Aviere,
Geniere, Camicia Nera) e nella VIII Divisione (il solo incrociatore leggero Giuseppe Garibaldi, più due
cacciatorpediniere della XIII Squadriglia, mentre il resto di tale squadriglia
accompagna la Duilio).
La VII Divisione (ammiraglio di divisione Raffaele De Courten), punta
avanzata della formazione italiana, salpa da Taranto a mezzogiorno (od alle 13)
del 29, e si disloca a metà strada tra Taranto e Bengasi, mentre Duilio, Garibaldi e XIII Squadriglia salpano da Taranto nel pomeriggio
dello stesso giorno, a sostegno della VII Divisione.
Nel pomeriggio dello stesso 29 novembre, alle 17.05, il sommergibile
britannico P 31 (poi Uproar, al comando del tenente di
vascello John Bertram de Betham Kershaw) sente rumore di navi in movimento a
nord-nord-est mentre è immerso in posizione 39°20’ N e 17°33’ E (nel Golfo di
Taranto), si porta a quota periscopica ed avvista la VII Divisione. Alle 17.19
il P 31 lancia quattro siluri contro
l’Attendolo, seconda unità della
fila; l’incrociatore avvista tuttavia le armi, e le evita con un’improvvisa
accostata a sinistra, subito imitata dal Montecuccoli,
che lo segue in formazione (le scie dei siluri vengono viste passare a dritta
del Montecuccoli, tra i due
incrociatori). Però la formazione italiana, diretta a sud, è stata scoperta dai
britannici. Questi ultimi, d’altra parte, apprendono del cospicuo traffico
navale italiano anche mediante decrittazioni di “ULTRA” relative ai convogli in
partenza.
Da Malta, pertanto, il mattino del 30 novembre prendono il mare con
l’obiettivo di intercettare i convogli italiani l’ormai famigerata Forza K
(capitano di vascello William Gladstone Agnew), costituita dagli incrociatori
leggeri Aurora (nave di bandiera del
comandante Agnew) e Penelope e dal
cacciatorpediniere Lively, e la Forza
B (contrammiraglio Rawlings), formata dagli incrociatori leggeri Ajax e Neptune e dai cacciatorpediniere Kingston e Kimberley. Per
tutta la giornata del 30, aerei britannici tengono sott’occhio sia i mercantili
diretti a Bengasi che le navi da guerra italiane, nonostante la scorta aerea
con caccia della Regia Aeronautica.
Nemmeno l’uscita in mare delle navi britanniche sfugge alle forze
italiane, grazie al loro avvistamento dapprima da parte del sommergibile
Tricheco e poi di ricognitori dell’Aeronautica, pertanto Supermarna ordina alla
VII Divisione di tenersi ad immediato contatto con la motonave Venier, la più importante tra quelle in
mare ad est di Malta ed esposte al pericolo dell’incursione navale britannica.
Così viene fatto, e per tutta la giornata la Divisione si tiene tra la Venier e le unità britanniche in
avvicinamento.
Ma la sfortuna si accanisce contro i piani italiani: nel pomeriggio del
30 il Garibaldi viene colto da una
grave avaria alle caldaie, che lo lascia immobilizzato. Dopo alcune ore, dato
che il problema non è ancora risolto (sebbene il Garibaldi abbia ripreso a navigare) e c’è rischio di un attacco
contro l’incrociatore in difficoltà, l’ammiraglio Porzio Giovanola ripiega
verso est con Duilio, Garibaldi e XIII Squadriglia. Alle 17.45
Supermarina, dato che la sola VII Divisione si troverebbe in condizioni di
inferiorità numerica alle Forze B e K qualora si dovessero riunire, ordina a
tutta la forza di copertura, compresa la VII Divisione, di rientrare a Taranto.
Qui la VII Divisione giunge alle 11.20 del 1° dicembre, non prima di aver
scampato un grave pericolo: alle 4.37, in posizione 39°08’ N e 17°31’ E (nel
Golfo di Taranto), essa è stata avvistata dal sommergibile Upholder (capitano di corvetta Malcolm David Wanklyn), mentre
procedeva con rotta 030°. Immersosi alle 4.47 (due minuti dopo che la VII
Divisione, compiendo una manovra a zig zag, ha accostato proprio nella sua
direzione), il sommergibile ha lanciato quattro siluri alle 5.01 contro
l’incrociatore di poppa, da 915 metri, senza colpire.
La Forza K intercetterà ed affonderà l’Adriatico, il Da Mosto e
la Mantovani.
13 dicembre 1941
L’Attendolo, insieme al Duca d’Aosta (nave di bandiera
dell’ammiraglio di divisione Raffaele De Courten, comandante la VII Divisione)
ed alla corazzata Andrea Doria, salpa
da Taranto alle 19.40 nell’ambito dell’operazione di traffico «M. 41».
Dopo le gravi perdite subite dai convogli diretti in Libia nelle
settimane precedenti, le forze italo-tedesche in Nordafrica si trovano in
situazione di grave carenza di rifornimenti proprio mentre è in corso una nuova
offensiva britannica, l’operazione «Crusader», ed urge rifornirle.
Con la «M. 41», Supermarina intende inviare a Tripoli e Bengasi tutti i
mercantili già carichi presenti nei porti dell’Italia meridionale, mobilitando
per la loro protezione, diretta e indiretta, pressoché tutta la flotta in
condizioni di efficienza.
Sono previsti tre convogli: l’«A», da Messina a Tripoli, formato dalle
moderne motonavi Fabio Filzi e Carlo Del Greco scortate dai
cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco
ed Antoniotto Usodimare (poi
dirottato su Taranto per unirsi da subito all’«L» ma distrutto durante tale
percorso dal sommergibile britannico Upright);
l’«L», da Taranto per Tripoli, formato dalle motonavi Monginevro, Napoli e Vettor Pisani scortate dai
cacciatorpediniere Freccia ed Emanuele Pessagno (con a bordo il
contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone) e dalla torpediniera Pegaso; e l’«N», da Navarino ed
Argostoli per Bengasi, costituito dai piroscafi Iseo e Capo Orso e dai
cacciatorpediniere Turbine e Strale, cui si devono aggiungere la
motonave tedesca Ankara, il
cacciatorpediniere Saetta e la
torpediniera Procione provenienti da
Argostoli.
Ogni convoglio deve fruire della protezione di una forza navale di
sostegno, che di giorno si terrà in vista dei trasporti e di notte a stretto
contatto con essi. Attendolo, Duca d’Aosta e Doria sono assegnati alla protezione del convoglio «N», mentre gli
altri due convogli saranno protetti dalla corazzata Duilio (nave ammiraglia dell’ammiraglio di squadra Carlo Bergamini)
e da un’eterogenea VIII Divisione composta per l’occasione dagli incrociatori
leggeri Giuseppe Garibaldi (nave di
bandiera dell’ammiraglio Giuseppe Lombardi, comandante della VIII Divisione) e Raimondo Montecuccoli e
dall’incrociatore pesante Gorizia
(con a bordo l’ammiraglio di divisione Angelo Parona).
Infine, a tutela dell’intera operazione contro un’eventuale uscita in
mare delle corazzate della Mediterranean Fleet, prende il mare la IX Divisione
Navale (ammiraglio di squadra Angelo Iachino, comandante superiore in mare) con
le moderne corazzate Littorio e Vittorio Veneto, scortate dalla XIII
Squadriglia Cacciatorpediniere (Granatiere,
Bersagliere, Fuciliere, Alpino).
Queste navi si dovranno posizionare nel Mediterraneo centrale.
A completamento dello schieramento, un gruppo di sommergibili viene
dislocato nel Mediterraneo centro-orientale con compiti esplorativi ed
offensivi; è inoltre previsto un imponente intervento della Regia Aeronautica.
Per via della carenza di navi scorta e del tempo necessario a
reperirne, l’operazione, inizialmente prevista per il 12 dicembre, viene
posticipata di un giorno.
Nel tardo pomeriggio del 13, quando i convogli sono già in mare, la
ricognizione aerea comunica a supermarina che una consistente forza britannica,
comprensiva di corazzate ed incrociatori (in realtà sono solo quattro
incrociatori leggeri: i ricognitori hanno grossolanamente sovrastimato la
composizione e potenza della forza avvistata), si trova tra Tobruk e Marsa
Matruh, diretta verso ovest. La somma delle forze italiane in mare è
complessivamente superiore, ma si trova divisa in gruppi tra loro distanziati e
vincolati a convogli lenti e poco manovrieri; per questo, alle ore 20
Supermarina decide di sospendere l’operazione, ed i convogli ricevono ordine di
rientrare. Ciò non basterà ad evitare danni: durante la notte, il sommergibile
britannico Urge silurerà la Vittorio Veneto, danneggiandola
gravemente.
Durante il rientro, anche i piroscafi Iseo e Capo Orso
entreranno in collisione, riportando gravi danni.
L’Attendolo a Taranto alla fine del 1941 (Coll.
Maurizio Brescia, via www.associazione-venus.it)
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16-19 dicembre
1941
L’Attendolo, insieme a Montecuccoli e Duca d’Aosta (nave di bandiera dell’ammiraglio De Courten), alla
corazzata Duilio (nave di bandiera
dell’ammiraglio Carlo Bergamini, comandante del gruppo) ed ai
cacciatorpediniere Ascari, Aviere e Camicia Nera, salpa da Taranto alle 15 del 16 per costituire il
gruppo di sostegno a due convogli diretti in Libia (convoglio “N”: motonave Ankara, cacciatorpediniere Saetta e torpediniera Pegaso, dirette a Bengasi; convoglio
“L”: motonavi Vettor Pisani, Monginevro e Napoli, cacciatorpediniere Vivaldi,
Malocello, Da Recco, Da Noli, Pessagno e Zeno, diretti a Tripoli) con 14.770 tonnellate di materiali e 212
uomini. L’operazione, denominata «M 42», prevede anche un gruppo di appoggio
composto dalle corazzate Giulio Cesare,
Andrea Doria e Littorio (nave di bandiera dell’ammiraglio Angelo Iachino,
comandante superiore in mare), dagli incrociatori pesanti Trento e Gorizia (nave di
bandiera dell’ammiraglio di divisione Angelo Parona, comandante della III
Divisione) e dai cacciatorpediniere Granatiere,
Bersagliere, Corazziere, Fuciliere, Carabiniere, Alpino, Oriani, Gioberti ed Usodimare, nonché ricognizione e scorta aerea assicurata dalla
Regia Aeronautica e dalla Luftwaffe, l’invio dei sommergibili Topazio, Santarosa, Squalo, Ascianghi, Dagabur e Galatea in
agguato nel Mediterraneo centro-orientale, e la posa di ulteriori campi minati
al largo della Tripolitania.
Gli ordini per il gruppo di sostegno, del quale il Montecuccoli fa parte, sono di tenersi ad immediato contatto col
convoglio fino alle otto del mattino del 18, poi spostarsi verso est in modo da
poter intervenire in caso di minaccia navale proveniente da Malta.
Già prima della partenza, i comandi italiani e l’ammiraglio Iachino
sono stati informati dell’avvistamento alle 14.50, da parte di un ricognitore
tedesco, di una formazione britannica che comprende una corazzata. In realtà,
di corazzate britanniche in mare non ce ne sono: il ricognitore ha scambiato
per corazzata la nave cisterna militare Breconshire,
partita da Alessandria per Malta con 5000 tonnellate di carburante destinato
all’isola, con la scorta degli incrociatori leggeri Naiad, Euryalus e Carlisle e dei cacciatorpediniere Jervis, Havock, Hasty, Nizam, Kimberley, Kingston, Kipling e Decoy, il tutto sotto il comando dell’ammiraglio Philip L. Vian.
Comunque, Supermarina decide di procedere egualmente con l’operazione, sia per
via della disperata necessità di far arrivare rifornimenti in Libia al più
presto, sia perché la formazione italiana è comunque molto più potente di
quella avversaria. Convoglio e gruppo di sostegno procedono dunque lungo la
rotta prestabilita.
Poco prima di mezzanotte, il sommergibile britannico Unbeaten avvista parte delle unità
italiane e ne informa il comando britannico; quest’ultimo ne è in realtà già al
corrente grazie alle decrittazioni di “ULTRA”, che tra il 16 ed il 17 dicembre
forniscono a più riprese molte informazioni su mercantili, scorte dirette ed
indirette (compresa la presenza in mare della VII Divisione, con
“probabilmente” Attendolo e Duca d’Aosta, a protezione del
convoglio), porti ed orari di partenza e di arrivo. I comandi britannici,
tuttavia, non si trovano in condizione di poter organizzare un attacco contro
il convoglio italiano.
Nel tardo pomeriggio del 17 dicembre il gruppo «Littorio» si scontra
con la scorta della Breconshire, in
un breve ed inconclusivo scambio di colpi chiamato prima battaglia della Sirte.
Iniziato alle 17.23, lo scontro si conclude già alle 18.10, senza danni da ambo
le parti; Iachino, ancora all’oscuro dell’invio a Malta della Breconshire e convinto che navi da battaglia
britanniche siano in mare, attacca gli incrociatori di Vian per tenerli lontani
dal suo convoglio (ritiene infatti che gli incrociatori britannici siano lì per
attaccare i mercantili italiani, mentre in realtà non vi è alcun tentativo del
genere da parte britannica) e rompe il contatto al crepuscolo, per evitare un
combattimento notturno, per il quale la flotta italiana non è preparata.
Alle 17.56, per evitare un pericoloso incontro del convoglio con unità
di superficie britanniche (si crede ancora che in mare ci siano una o più
corazzate britanniche), il convoglio ed il gruppo di sostegno accostano ad un
tempo ed assumono rotta nord, sulla quale rimangono fino alle 20 circa; poi, in
base a nuovi ordini impartiti da Iachino (e per non allontanarsi troppo dalla
zona di destinazione), manovrano per conversione di 20° per volta (in modo da
mantenere per quanto possibile la formazione, in una zona ad elevato rischio di
attacchi aerei) ed effettuano un’ampia accostata sino a rimettere la prua su
Misurata. Convoglio e gruppo di sostegno sono “incorporate” in un’unica
complessa formazione (i mercantili su due colonne, con Pisani in posizione avanzata a sinistra, Monginevro in posizione avanzata a dritta, seguite rispettivamente
da Ankara e Napoli, il Vivaldi in
testa, Da Noli e Malocello rispettivamente 30° di prora a dritta e sinistra di Pisani e Monginevro, Zeno e Da Recco 70° di prora a dritta e
sinistra di Pisani e Monginevro, Saetta a sinistra della Pisani
e Pessagno a dritta della Napoli; seguite dal gruppo di sostegno
su due colonne, con Duca d’Aosta
seguito da Attendolo e Camicia Nera a sinistra, Duilio seguita da Montecuccoli ed Aviere a
dritta, più Pigafetta a sinistra di
Aosta ed Attendolo e Carabiniere a dritta di Duilio e Montecuccoli), il che fa sì che occorra più del previsto perché la
formazione venga riordinata sulla rotta 210°: ciò accade alle 22 del 17.
Durante la notte il convoglio, che avanza a 13 nodi, viene avvistato da
ricognitori nemici, ma non subisce attacchi.
Poco prima dell’alba del 18, i cacciatorpediniere Granatiere e Corazziere
entrano in collisione, distruggendosi a vicenda la prua; gli incrociatori della
VII Divisione prestano loro soccorso. Alle 13 la Duilio si riunisce al gruppo «Littorio», lasciando la VII Divisione
a protezione immediata dei mercantili. Il convoglio «N» dirige per Bengasi,
mentre il convoglio «L» prosegue per Tripoli con la scorta e diretta e, fino al
tramonto, anche quella della VII Divisione. Calato il buio, anche la VII
Divisione lascia il convoglio per rientrare a Taranto.
Alle 16.15 del 19 dicembre il sommergibile britannico P 31 (sempre al comando del tenente di
vascello Kershaw, col quale ha già “incontrato” l’Attendolo) avvista un aereo, e poi, alle 16.32, un
cacciatorpediniere che emette una cortina fumogena a 8230 iarde per 135°;
iniziata la manovra d’avvicinamento, alle 16.40 avvista due grandi navi ad il
fumo di una terza a 8230 iarde per 151°. Dopo sei minuti di avvicinamento ad
alta velocità, il P 31 avvista
quattro cacciatorpediniere; alle 16.48 nota che le navi avvistate cambiano
rotta, venendosi così a trovare a 25° di loro prora sinistra. I
cacciatorpediniere procedono a zig zag ad alta velocità; le grandi navi (gli
incrociatori della VII Divisione) vengono scambiate per corazzate. Alle 16.52 il
sommergibile scende temporaneamente a 15 metri per evitare un
cacciatorpediniere, che passa sulla sua verticale senza notarlo, ed alle 16.54
trna a quota periscopica e, vedendo che le navi italiane hanno nuovamente
mutato rotta, cambia rotta a sua volta. Alle 16.58, in posizione 39°05’ N e
17°31’ E, il P 31 lancia quattro
siluri da 915 metri, contro uno degli incrociatori; subito dopo scende in
profondità ed inizia la manovra per allontanarsi. Il Montecuccoli avvista le scie dei siluri (crede addirittura di
vederne cinque, una in più del numero di siluri effettivamente lanciati), che
lo mancano; l’Attendolo getta subito
in mare alcune bombe di profondità a scopo intimidatorio, e lo stesso fanno i
cacciatorpediniere, lanciandone in tutto 27 (nonostante non ci sia un tentativo
di localizzare ed attaccare il sommergibile, Kershaw noterà che la seconda
scarica di bombe è esplosa piuttosto vicina, anche se non tanto da arrecare
danni).
La VII Divisione giunge a Taranto la sera del 19; il convoglio
raggiungerà indenne Tripoli lo stesso giorno, nonostante alcuni attacchi aerei
britannici.
3 gennaio 1942
L’Attendolo parte da Napoli
(o Taranto) alle 16 insieme a Duca
d’Aosta (nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Raffaele De
Courten), Montecuccoli ed al più grande
Giuseppe Garibaldi, nonché la
corazzata Duilio (nave di bandiera
dell’ammiraglio di squadra Carlo Bergamini) ed i cacciatorpediniere Maestrale, Oriani, Gioberti e Scirocco, formando il gruppo di scorta
per i tre convogli diretti a Tripoli da Messina, Taranto e Brindisi per
l’operazione di traffico «M. 43». Oltre ai tre convogli con le relative scorte
dirette ed al gruppo scorta di cui fa parte l’Attendolo (gruppo «Duilio»),
è in mare anche un gruppo di appoggio (gruppo «Littorio») con le corazzate Littorio
(ammiraglio di squadra Angelo Iachino, comandante superiore in mare), Doria (ammiraglio di divisione Guido
Porzio Giovanola) e Cesare, gli
incrociatori pesanti Gorizia
(ammiraglio di divisione Angelo Parona) e Trento
ed i cacciatorpediniere Aviere, Alpino, Geniere, Carabiniere, Ascari, Camicia Nera, Antonio
Pigafetta ed Antonio Da Noli. Il
gruppo di scorta, che navigherà per la prima volta ad immediato contatto con il
convoglio, sin quasi a formare un tutt’uno con esso (“scorta indiretta
incorporata nel convoglio”, ideata dall’ammiraglio Bergamini), ha il compito di
respingere eventuali attacchi da parte di formazioni navali leggere
(incrociatori leggeri e cacciatorpediniere) come la Forza K, mentre il gruppo
di appoggio si terrà pronto ad intervenire contro un eventuale attacco con
forze pesanti da parte della Mediterranean Fleet (che comunque è rimasta senza
più corazzate efficienti dall’incursione della X MAS ad Alessandria del 19
dicembre, ma questo in Italia ancora non lo si sa).
Aerei impiegati in compiti di ricognizione e bombardamento sulle basi
aeree e navali di Malta e della Cirenaica, nonché scorta da caccia,
antiaerosilurante ed antisommergibile sulle navi e sul porto di Tripoli, e
sommergibili dislocati ad est di Malta e tra Creta e la Cirenaica completano
l’imponente dispiegamento di forze predisposto a tutela dell’importante
convoglio (il cui carico assomma a 15.379 tonnellate di carburante, 2417
tonnellate di munizioni, 10.242 tonnellate di altri materiali, 144 carri
armati, 520 automezzi e 901 uomini).
4 gennaio 1942
Il gruppo «Duilio» raggiunge i tre convogli, che si sono frattanto
riuniti come previsto in un unico grande convoglio composto dalle moderne
motonavi da carico Nino Bixio, Lerici, Monginevro, Monviso e Gino Allegri e dalla grande nave
cisterna Giulio Giordani, scortate
dai cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi
(caposcorta, contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone), Nicoloso Da Recco, Antoniotto
Usodimare, Bersagliere, Freccia e Fuciliere e dalle torpediniere Castore,
Orsa, Aretusa, Procione ed Antares.
Mentre al gruppo «Duilio» si unisce al convoglio «Allegri» (Allegri, Freccia e Procione) la III Divisione (Trento
e Gorizia) viene avvistata da un
ricognitore britannico; più tardi il convoglio viene avvistato anche da un
altro aereo avversario, ma la formazione aerea inviata da Malta ad attaccarlo
non riuscirà a trovarlo.
Al tramonto il gruppo «Duilio» s’incorpora nella formazione; durante la
notte le navi assumono rotta per Tripoli, e poco dopo le tre di notte del 5
gennaio il gruppo «Duilio» lascia il convoglio e si allontana a 22 nodi verso
est. I mercantili giungeranno in porto alle 12.30 dello stesso giorno, senza
nemmeno essere stati attaccati.
6 gennaio 1942
L’Attendolo ed il resto del
gruppo di scorta indiretta rientrano a Taranto alle 4.20 (per altra fonte, la
VII Divisione rientra verso le ore 17).
L’Attendolo a Napoli nel 1942 (Coll.
Erminio Bagnasco, via Maurizio Brescia e www.associazione-venus.it)
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22-25 gennaio 1942
Alle 11.00 del 22 l’Attendolo
salpa da Taranto insieme a Duca d’Aosta
(nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Raffaele De Courten) e Montecuccoli ed alla XIII Squadriglia
Cacciatorpediniere (Carabiniere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino;
quest’ultimo è il caposquadriglia, al comando del capitano di vascello Ferrante
Capponi) costituendo il gruppo «Aosta», incaricato di fornire copertura ravvicinata
all’operazione «T. 18», che prevede l’invio a Tripoli di un convoglio formato
dalla motonave passeggeri Victoria,
salpata da Taranto, e dalle moderne motonavi da carico Ravello, Monviso, Monginevro e Vettor Pisani, partite da Messina (il loro carico complessivo
consiste in 1467 uomini e 15.000 tonnellate di rifornimenti), il tutto con la
scorta diretta dei cacciatorpediniere Ugolino
Vivaldi (nave ammiraglia del contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone), Antonio Da Noli e Lanzerotto Malocello della XIV Squadriglia, Aviere (caposquadriglia, capitano di vascello Luciano Bigi), Geniere e Camicia Nera della XI Squadriglia e delle torpediniere Castore
(capitano di corvetta Congedo) ed Orsa
(capitano di corvetta Eugenio Henke).
Sei ore dopo il gruppo «Aosta», salpa da Taranto anche il gruppo «Duilio»
(al comando dell’ammiraglio di divisione Carlo Bergamini imbarcato sulla
corazzata omonima, comandante superiore in mare), formato dalla corazzata Duilio con i cacciatorpediniere Oriani, Scirocco, Ascari e Pigafetta (XV Squadriglia
Cacciatorpediniere, al comando del capitano di vascello Enrico Mirti della
Valle imbarcato sul Pigafetta),
anch’esso assegnato alla protezione del convoglio. La Victoria naviga
inizialmente insieme al gruppo «Duilio»
(convoglio n. 2, del quale è scorta diretta la XV Squadriglia
Cacciatorpediniere), mentre le altre motonavi formano un convoglio unico (n. 1)
scortato dal gruppo «Vivaldi».
Nove sommergibili sono stati inviati in agguato ad est di Malta e tra
Creta e l’Egitto occidentale, mentre la Regia Aeronautica e la Luftwaffe
forniscono copertura aerea con ricognitori, aerei antisommergibili e
soprattutto caccia, i quali di giorno saranno sempre presenti sopra le navi
italiane.
Alle 13.55 dello stesso 22 gennaio (14.50 secondo i rapporti italiani,
dato il fuso orario ed un’incongruenza di qualche minuto), nel golfo di
Taranto, il sommergibile britannico Torbay lancia sei siluri contro la
formazione da 7300 metri di distanza, ma nessuno va a segno; esplodono per fine
corsa nei pressi degli incrociatori. Un velivolo della scorta aerea lancia un
fumogeno per segnalare il sommergibile. Più tardi vengono intercettati i
segnali di scoperta di due sommergibili britannici (uno al largo di Capo
Colonne ed uno a 30 miglia da Crotone), che segnalano entrambi il passaggio
della VII Divisione.
Alle 18.00 dello stesso giorno, una quarantina di miglia ad est di
Punta Stilo, il gruppo «Aosta» prende contatto con il convoglio formato da Monviso, Monginevro e Pisani (la Ravello è rientrata a Messina per
un’avaria al timone) con le relative scorte.
Entrambi i convogli seguono rotte che, prima e dopo la riunione, li
fanno passare a 190 miglia da Malta, dieci miglia in più di quello che si
ritiene essere il massimo raggio operativo degli aerosiluranti basati in
quell’isola e nella Cirenaica (stime che però si riveleranno inesatte, causa
l’avanzata britannica in quei territori); si prevede che la sera del 23 le
navi, riunite in un unico convoglio, accosteranno per Tripoli, sempre
mantenendosi ai margini del cerchio di 190 miglia di raggio con centro su
Malta.
La Royal Navy, informata dai decrittatori di “ULTRA” che «un importante
convoglio diretto a Tripoli dall’Italia e coperto dalla flotta sarà in mare
oggi [22 gennaio], così come il 23 e il 24 gennaio» (il giorno seguente “ULTRA”
riesce a fornire ai comandi britannici informazioni più dettagliate, sebbene
meno del solito, indicando che un «importante convoglio» è partito dall’Italia
per Tripoli con probabile arrivo il giorno 24, e che, sebbene la sua esatta
composizione non sia nota, probabilmente esso comprende la Victoria con mille soldati e la motonave Vettor Pisani partita da Messina il 22 mattina, il tutto coperto
«da un certo numero delle principali unità della Marina italiana»), ha disposto
numerosi sommergibili in agguato nel Golfo di Taranto; nel primo pomeriggio del
22 la VII Divisione viene avvistata da due o tre sommergibili britannici, che
segnalano l’avvistamento ai rispettivi comandi. Le basi britanniche a Malta ed
in Egitto e Cirenaica sono poste in allarme, e vengono inviati dei ricognitori
per appurare rotta, velocità e composizione delle forze italiane.
Nella sera del 22 e nella notte successiva, ricognitori britannici
avvistano il gruppo «Duilio» e ne segnalano la posizione.
Il 23 mattina, mentre sul cielo della formazione giungono i primi
bombardieri tedeschi Junkers Ju 88 della scorta aerea, compaiono nuovamente i
ricognitori britannici: restando molto lontani sia dalle navi italiane che
dagli aerei tedeschi, non vengono attaccati ed inviano alle loro basi ulteriori
informazioni, con crescente precisione, sulle navi del convoglio, senza che né
le ripetute variazioni di rotta da parte di Victoria
e Duilio, né la doppia inversione di
marcia del gruppo «Aosta» possano trarli in inganno. Dalle 11 in poi vengono
continuamente intercettate comunicazioni di ricognitori che riferiscono circa
posizione, formazione, rotta e velocità della VII Divisione e del convoglio.
Alle 15 del 23 i convogli 1 e 2, in ritardo piuttosto considerevole
rispetto al previsto, si riuniscono in una posizione prossima a quella
prestabilita; le motonavi si dispongono su due colonne di due navi ciascuna
(con la Victoria, capoconvoglio, in
testa alla colonna sinistra). La XI e XIV Squadriglia Cacciatorpediniere si
posizionano a scorta diretta intorno ai mercantili, mentre la Duilio e la VII Divisione si portano ai
lati del convoglio; il complesso navale assume una velocità di 14 nodi, sempre
pedinato dai ricognitori nemici (uno dei quali appare alle 15.55 volando a
bassissima quota, procedendo ad est delle navi italiane e mantenendo il
contatto da circa 20 km di distanza). Sia l’ammiraglio Bergamini che
l’ammiraglio De Courten hanno l’impressione che gli aerei provengano dalla
Cirenaica.
Alle 16.16 ebbero cominciano gli attacchi aerei: dapprima alcune bombe
di piccolo calibro mancano di poco la Victoria,
che non subisce danni, poi la VII Divisione (alle 16.15 Attendolo e Montecuccoli
hanno aperto il fuoco contro gli aerei che bombardano il convoglio) viene
bombardata con ordigni di maggiore calibro, ma la sua reazione contraerea
respinge l’attacco senza danni (le bombe cadono in mare attorno alla Divisione).
Ritenendo insufficiente la scorta aerea di nove bombardieri tedeschi Ju 88
presente sopra il convoglio, l’ammiraglio Bergamini chiede via radio al comando
della Luftwaffe della Sicilia – primo caso di comunicazione radio diretta
effettuata con successo tra i comandi navali ed aerei italo-tedeschi – l’invio
di altri aerei in rinforzo alla scorta; giungono perciò altri tre Ju 88, che
rafforzarono la scorta aerea.
Alle 17.25 vengono avvistati altri tre velivoli britannici: provenienti
dalla direzione del sole ormai prossimo a tramontare, si avvicinano con
decisione al convoglio volando bassi, divenendo presto oggetto di violento
fuoco contraereo da parte delle torpediniere che si trovano su quel lato del
convoglio; poi, giunti a più di un chilometro dalle siluranti ed ad oltre tre
dalla Victoria, cabrano ed
invertirono la rotta, gettando in mare il carico offensivo, senza che gli Ju 88
riescano ad evitarlo.
Agli uomini a bordo delle siluranti della scorta, che hanno negli occhi
la luce del sole basso che impedisce di vedere bene, i tre aerei attaccanti
sono sembrati dapprincipio dei bombardieri, e si pensa che abbiano rinunciato
ad attaccare, gettando in mare per alleggerirsi quelle che sembrano bombe; ma
in realtà sono aerosiluranti Bristol Beaufort del 39th Squadron
della Royal Air Force, decollati da Berka (Bengasi), e dopo 60-90 secondi, il Vivaldi avvista le scie di due siluri,
che evita passandoci in mezzo, ordinando al contempo ai mercantili di accostare
d’urgenza di 90° a dritta, ma non tutti comprendono bene l’ordine.
Alle 17.30 un siluro colpisce a poppa la Victoria, sul lato dritto, lasciandola immobilizzata e leggermente
appoppata, mentre a dritta del convoglio, gli Ju 88 attaccano ed abbattono uno
degli aerei britannici.
Ad assistere la Victoria
vengono distaccati Aviere, Ascari e Camicia Nera, mentre il resto del convoglio prosegue per non
esporsi inutilmente ad ulteriori attacchi. La Victoria sarà affondata da un nuovo attacco aerosilurante alle 19,
con la perdita di 409 uomini, mentre 1046 potranno essere tratti in salvo.
Alle 19.15 del 23 il gruppo «Duilio» lascia il convoglio, che prosegue
con la scorta diretta ed il gruppo «Aosta», per portarsi in una nuova posizione
da dove difenderlo da eventuali unità britanniche provenienti dal Mediterraneo
orientale. Tra le 21.30 e le 00.30 del 24 il convoglio subisce una nuova ed
accanita serie di attacchi aerei (dalle 21.44 in poi, lancio di bombe di ogni
calibro, di bengala, di fuochi al cloruro di calcio che galleggiano sul mare,
indicando la rotta delle navi; lancio di siluri, specie contro gli
incrociatori; mitragliamento a bassa quota), che vengono però sventati dalla
manovra, dalle cortine nebbiogene e dal tiro contraereo delle navi del gruppo
«Aosta», che poi lascia il convoglio alle 7.35 (per altra fonte le dieci) del
mattino del 24, ad una sessantina di miglia da Tripoli, quando esso ormai si
appresta ad imboccare le rotte costiere.
Il resto del convoglio giunge a destinazione alle 14 del 24. Il gruppo
«Aosta», Attendolo compreso, arriva a
Taranto alle 15.30 del 25. L’Attendolo
stazionerà in tale base fino al 6 aprile successivo.
7 aprile 1942
L’Attendolo lascia Taranto e,
dopo una sosta a Messina, si trasferisce a Napoli. Qui resterà fino al 9
luglio, per un periodo di grandi lavori.
27 giugno 1942
Muore in territorio metropolitano, probabilmente a Napoli, il marinaio
fuochista Angelo Perini, dell’Attendolo.
L’Attendolo nel luglio 1942 (g.c. Giorgio
Parodi)
|
9 luglio 1942
Muore in territorio metropolitano, probabilmente a Napoli, il marinaio
fuochista Rino Bonetti dell’Attendolo.
10-11 luglio 1942
Terminati i lavori, l’Attendolo
esce in mare per prove di tiro a seconda e terza carica contro bersagli
rimorchiati, nonché di lancio dell’idrovolante. Durante le prove a tre quarti
di potenza dell’11 luglio esplode nel locale caldaia n. 5 un tubo principale
del vapore: viene leggermente deformato il rivestimento della caldaia e molto
di più la platea; nove membri dell’equipaggio rimangono ustionati, quattro dei
quali gravemente.
21 luglio 1942
Riparati i danni, l’Attendolo
esce ancora per altre prove in mare, durante le quali tocca i 32 nodi.
30 luglio 1942
Il marinaio fuochista Salvatore Hvalich muore a bordo dell’Attendolo.
Mezzo Agosto
Alle 9.30 del 12 agosto 1942 l’Attendolo
(capitano di vascello Mario Schiavuta) salpò da Napoli (dove aveva appena
terminato alcuni lavori di riparazione) diretto verso sud, per unirsi al resto
della VII Divisione (Eugenio di Savoia,
nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Alberto Da Zara, comandante della
Divisione, e Montecuccoli, più i
cacciatorpediniere Maestrale, Gioberti, Oriani e Fuciliere) che
aveva lasciato Cagliari alle otto della sera precedente. Lo scortavano le
torpediniere Circe e Generale Achille Papa.
Alla VII Divisione era stato affidato il compito di attaccare il
convoglio britannico diretto a Malta nell’ambito dell’operazione «Pedestal», al
centro della grande battaglia aeronavale di Mezzo Agosto; l’attacco avrebbe
avuto luogo a sud di Pantelleria, quando la forza pesante di scorta (Forza Z),
comprensiva di due corazzate e tre portaerei, avrebbe lasciato il convoglio,
affidandolo ad una forza leggera composta da pochi incrociatori leggeri e da un
decina di cacciatorpediniere (Forza X). Per giunta, nel corso delle successive
ventiquattr’ore convoglio e scorta sarebbero stati decimati da ripetuti
attacchi di aerei, sommergibili e motosiluranti. In cooperazione con la III
Divisione (incrociatori pesanti Trieste
– nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Angelo Parona, comandante della
III Divisione –, Gorizia e Bolzano e cacciatorpediniere Grecale, Corsaro, Legionario, Aviere, Geniere, Ascari e Camicia Nera), salpata da Messina quasi
contemporaneamente alla partenza da Napoli dell’Attendolo, la VII Divisione avrebbe avuto buon gioco nel
distruggere quello che restava del convoglio, i cui pochi mercantili superstiti
si trascinavano disordinatamente verso Malta con la sola scorta di sette
cacciatorpediniere e due incrociatori leggeri, uno dei quali danneggiato, sotto
continui attacchi aerei, subacquei e di mezzi insidiosi.
L’impiego della squadra da battaglia era stato inizialmente preso in
considerazione, ma era stato presto scartato sia perché la Luftwaffe non
intendeva fornire copertura alla flotta italiana (si riteneva più utile mandare
gli aerei ad attaccare il convoglo), sia perché vi era poco carburante, sia
perché si riteneva che vi fossero 12-15 sommergibili britannici in agguato
lungo le rotte che dalle basi italiane portavano al luogo del probabile scontro
(in realtà erano poco più della metà). Si concluse, a ragione, che una forza di
soli incrociatori avrebbe corso meno rischi e sarebbe stata egualmente in grado
di distruggere il convoglio già disperso e decimato; si sarebbe replicato
l’attacco portato due mesi prima (battaglia di Mezzo Giugno) proprio dalla VII
Divisione (ma senza l’Attendolo)
contro il convoglio britannico «Harpoon», ma contando stavolta su una forza più
potente, e facendo tesoro dell’esperienza accumulata per evitare di ripetere
gli stessi errori che, allora, avevano permesso a due mercantili di sfuggire
insieme con la loro scorta. Memore delle perdite subite a Mezzo Giugno per mano
degli aerosiluranti di Malta (siluramento della corazzata Littorio e dell’incrociatore pesante Trento, quest’ultimo poi affondato dal sommergibile HMS Umbra), Supermarina subordinava
l’intervento degli incrociatori alla disponibilità di aerei da caccia, per la
scorta aerea; nel Mediterraneo, però, non vi erano che cinque gruppi di caccia
moderni (tre italiani e due tedeschi) per scortare 400 bombardieri ed
aerosiluranti pronti ad attaccare il convoglio dalle basi siciliane e sarde. Il
comando del Corpo Aereo Tedesco, che aveva solo 40 caccia, rifiutò la loro
assegnazione alla scorta delle navi, essendo essi necessari alla scorta degli
aerei inviati contro il convoglio; Superarereo non rifiutò ma assegnò i caccia
migliori alla scorta di bombardieri ed aerosiluranti, destinando il superfluo (modelli
più vecchi come i Macchi Mc 200, i Reggiane Re 2000, e persino gli obsoleti
biplani FIAT CR. 42; nonché alcuni dei pochi bimotori FIAT CR. 25 prodotti). Si
discusse sia al Comando Supremo che a Palazzo Venezia l’11 ed il 12 agosto, ed
alla fine il maresciallo Ugo Cavallero, capo di Stato Maggiore generale delle
forze armate italiane, convinse il generale di squadra aerea Rino Corso
Fougier, capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, ad assegnare per il 13 agosto
un buon numero di aerei da caccia, che si sarebbero alternati in turni di sei
per volta; rispetto ai 60 caccia inizialmente previsti (Supermarina ne aveva in
principio chiesti 80), ne sarebbero stati sufficienti 45.
Circa un’ora dopo la partenza, l’Attendolo
svolse una serie di tiri di esercitazione coi pezzi da 152 a terza carica,
contro un bersaglio rimorchiato. Procedendo a zig zag verso sudovest, avvistò
la VII Divisione alle 14; lasciate libere Circe
e Papa, assunse la sua posizione in
formazione.
Alle 19 del 12 agosto, la VII e III Divisione e l’Attendolo si riunirono nel Basso Tirreno; l’incontro con i resti
del convoglio era previsto per la mattina del 13, a sud di Pantelleria, nel
punto più stretto del Canale di Sicilia.
Alle 22 Supermarina ordinò agli incrociatori di ridurre la velocità
(che era in quel momento di 20 nodi), in modo da arrivare al largo di Capo San
Vito non prima di mezzanotte.
Alle 22.37, tuttavia, la formazione venne avvistata e segnalata, mentre
procedeva con rotta sud un’ottantina di miglia a nord dell’estremità
occidentale della Sicilia, da un ricognitore Vickers Wellington dotato di radar
(che fu a sua volta rilevato dal radar del Legionario).
Il comandante delle forze aeree di Malta, maresciallo dell’aria Keith Parks (un
neozelandese che era stato tra i protagonisti della battaglia d’Inghilterra),
resosi conto del rischio che gli incrociatori italiani rappresentano nei
confronti del convoglio, ordinò prima al Wellington che li aveva avvistati, e
poi anche ad un secondo Wellington da ricognizione inviato a seguire gli
spostamenti della formazione italiana (entrambi appartenevano al 69th
Squadron ed erano dotati di radar ASV, Air to Surface Vessel; li distinguevano
le lettere identificative “O” e “Z”), di sganciare bombe e bengala, per indurre
le unità italiane a ritenere di essere sotto ripetuti attacchi aerei, così da
dissuaderle dal proseguire nella navigazione verso il convoglio. Per rafforzare
l’inganno, Parks si spinse ad ordinare ripetutamente ai ricognitori – in
chiaro, al preciso scopo di essere intercettato – di comunicare la posizione
della forza italiana per consentire alle formazioni di bombardieri B-24
“Liberator” di attaccarli: formazioni di “Liberator” che, però, non esistevano
(questo fu il messaggio ricevuto dal Wellington, con un certo stupore tra il
suo equipaggio, non informato dello stratagemma «Report result your attack,
latest enemy position for Liberators, most immediate»).
C’erano invece a Malta reparti di aerosiluranti Bristol Beaufort, che
si tenevano pronti ad attaccare le navi italiane in caso di estrema necessità;
ma per il momento, furono tenuti a terra.
Supermarina cadde nell’inganno. A Roma infuriarono discussioni sul da
farsi: l’ammiraglio Arturo Riccardi, capo di Stato Maggiore della Regia Marina,
richiese al feldmaresciallo Albert Kesselring l’invio di 80 caccia della
Luftwaffe per fornire copertura aerea alle navi, che presto – si riteneva –
sarebbero state attaccate dai bombardieri di Malta (Supermarina, sempre
prudentissima, non intendeva inviare gli incrociatori più a sud di Pantelleria
senza adeguata scorta aerea); l’ammiraglio Eberhard Weichold, ufficiale di
collegamento con la Marina tedesca a Roma, appoggiò il suo collega italiano
nella richiesta a Kesselring, ed anche il maresciallo Cavallero insisté in
questo senso, temendo che l’operazione britannica potesse comprendere anche uno
sbarco sulle coste della Libia. Ma Kesselring rispose che non aveva abbastanza
caccia disponibili: quelli che c’erano sarebbero bastati solo per la scorta ai
bombardieri tedeschi, oppure solo alle navi italiane. In considerazione anche
delle deludenti prove date in precedenza dalle forze da battaglia italiane
negli attacchi ai convogli britannici – il fallimento della seconda Sirte ed il
successo solo parziale a Mezzo Giugno contro il convoglio «Harpoon» –
Kesselring, poco convinto delle probabilità di successo degli incrociatori
italiani, preferiva impiegare tutti gli aerei a sua disposizione negli attacchi
diretti contro il convoglio, e quindi assegnare i caccia alla scorta dei
bombardieri. (Kesselring aveva ragione di essere deluso per i precedenti
attacchi navali italiani contro convogli britannici; è però il caso di notare
che, contrariamente a quanto lui si aspettava, neppure gli aerei della
Luftwaffe furono poi in grado di annientare il convoglio «Pedestal»).
Il comando della Seekriegsleitung, concordando con Weichold, supportò
con tutti gli argomenti disponibili l’impiego degli incrociatori italiani, esprimendo
l’opinione che, in caso contrario, si sarebbe perduta l’occasione di
distruggere il più grande convoglio britannico mai visto nel Mediterraneo, in
condizioni di superiorità numerica e di armamento. Ma Kesselring, cui spettava
la decisione finale, non condivise tali conclusioni.
Il generale Corso Fougier, dopo molte insistenze di Cavallero, accettò
di destinare 40 caccia Macchi Mc 202 alla scorta delle navi; era un grosso
sacrificio per le sue forze, che in Sicilia disponevano già di caccia a
malapena sufficienti a scortare solo parte dei bombardieri e degli
aerosiluranti. Ma Riccardi e Cavallero non li ritennero comunque sufficienti; i
sempre ansiosi vertici di Supermarina temevano per giunta, in seguito all’interpretazione
di alcuni segnali di scoperta (quelli dei sommergibili Bronzo ed Axum, che
avevano avvistato unità navali dirette verso est a nord della costa tunisina; e
quello di un idroricognitore CANT Z. 506, che aveva segnalato “tre grandi navi”
– in realtà, l’incrociatore leggero Charybdis
ed i cacciatorpediniere Eskimo e Somali – che seguivano il convoglio, al
largo dell’Isola dei Cani), che vi potesse essere una corazzata, od anche di
più, quale forza di sostegno al convoglio nel Canale di Sicilia.
Come se non bastasse, un U-Boot tedesco riferì l’avvistamento di
quattro incrociatori e dieci cacciatorpediniere britannici nel Mediterraneo
orientale, apparentemente diretti verso Malta. Si trattava di un altro inganno:
era un convoglio “fittizio” (composto in realtà da due incrociatori, cinque
cacciatorpediniere ed alcuni mercantili) inviato verso Malta al solo scopo di
distogliere l’attenzione dei comandi italiani dal vero convoglio.
Alla fine, giunte le discussioni ad un punto morto, gli alti ufficiali
decisero di interpellare Mussolini in persona. Svegliato il dittatore,
Cavallero gli spiegò per telefono, a tinte alquanto fosche (intento suo e di
Riccardi – appoggiato in questo dal suo vice, ammiraglio Luigi Sansonetti – era
d’altra parte di strappare a Mussolini il consenso per il ritiro degli
incrociatori: Cavallero disse a Mussolini che Riccardi riteneva la missione
“troppo pericolosa per la Marina” e per giunta, giudizio discutibilissimo, “un
rischio non pagato da un redimento corrispondente”), che senza copertura aerea
sarebbero stati attaccati dai bombardieri di Malta subendo gravi danni, e gli
riferì anche della nuova notizia dell’avvistamento di navi britanniche nel
Mediterraneo orientale; affermò che avrebbe affidato all’Aeronautica il compito
di massimizzare gli sforzi contro il convoglio il giorno seguente.
Mussolini, persuaso, disse a Cavallero che non intendeva rischiare le
sue navi se i tedeschi non erano disposti a proteggerle, e si dichiarò convinto
che gli aerei e le motosiluranti italiane sarebbero riusciti comunque a
distruggere il convoglio prima che raggiungesse Malta. Conclusione: la missione
degli incrociatori era annullata. La più grande occasione che si fosse mai
presentata alla flotta italiana di trasformare un ottimo successo tattico
(colto nelle ore precedenti da sommergibili, aerei e motosiluranti) in un
grande successo strategico venne così sprecata; e le temute perdite si
sarebbero verificate egualmente, e molto presto.
L’ammiraglio Burrough, comandante della Forza X di scorta al convoglio
di «Pedestal», disse nel 1969 che fu molto grato a Mussolini per quella scelta,
in quanto l’arrivo degli incrociatori italiani addosso al convoglio, il mattino
seguente, sarebbe risultato in un massacro per le superstiti navi britanniche.
Alle 00.30 del 13 Supermarina ordinò alla formazione degli incrociatori,
che si trovava in quel momento a circa venti miglia da Capo San Vito (a ponente
di Trapani), di virare verso est per rientrare, temendo attacchi aerei nemici a
seguito dell’intercettazione dei numerosi messaggi radio inviati da Malta ai
propri ricognitori. Tre minuti dopo, tutti gli incrociatori evoluirono per
evitare siluri lanciati da aerei.
Supermarina decise di inviare la III Divisione nello Ionio, anziché nel
Tirreno, per unirsi all’VIII Divisione (uscita da Navarino) onde attaccare le
navi avvistate nel Mediterraneo orientale, facendo al contempo rientrare la VII
Divisione.
I finti attacchi aerei e messaggi proseguirono comunque anche nelle ore
successive, per evitare che i comandi italiani potessero cambiare idea ed
ordinare agli incrociatori di riprendere la navigazione verso ovest per
attaccare il convoglio.
Per buona parte della navigazione, “ULTRA” tenne sotto controllo gli
spostamenti degli incrociatori italiani, decrittando le trasmissioni radio
compilate con la macchina cifrante Enigma: dapprima apprese della partenza del Trieste da un porto dell’Alto Tirreno
(La Spezia) nella notte tra 11 e 12 agosto, diretto verso sud, e poi che tra le
8.40 e le 11 el 12 Gorizia e Bolzano, con quattro cacciatorpediniere,
erano partiti da Messina diretti verso nord; ancora, che alle 9.30 del 12 l’Attendolo e due cacciatorpediniere erano
partiti da Napoli. Altre intercettazioni rivelarono che una forza navale
italiana, di consistenza sconosciuta, aveva ricevuto alle 18.35 del 12 l’ordine
di assumere rotta sud e velocità 20 nodi, passando 90 km a nord di Trapani, e
poi (19.45) di trovarsi entro le 5.30 del 13 dieci miglia a levante di Pantelleria.
Supermarina avvisò anche gli incrociatori che torpediniere italiane (Climene e Centauro) erano in pattugliamento a ponente della longitudine
11°40’ E, con l’ordine di lasciare tale area all’alba del 13 e dirigere per
Pantelleria.
All’1.39, “ULTRA” intercettò l’ordine PAPA (Precedenza Assoluta sulle
Precedenze Assolute) delle 23.50 in cui Supermarina ordinava «EUGENIO, MONTECUCCOLI, MAESTRALE, GIOBERTI, ORIANI dirigete subito Napoli: 3a Divisione con ATTENDOLO e rimanenti cacciatorpediniere
dirigano Messina». All’1.56, il ripiegamento verso sudest venne confermato
anche da una comunicazione da parte del Wellington “O”, subito riconfermato dal
Wellington “Z”.
Alle 00.30, a seguito dell’ordine di Supermarina, la III Divisione fece
rotta su Messina, la VII Divisione su Napoli. L’Attendolo, insieme al Grecale,
ricevette l’ordine di lasciare la VII Divisione ed unirsi alla III. Tale cambio
di assegnazione fu alquanto laborioso; all’1.10 il Gorizia comunicò rotta, posizione e velocità all’Attendolo, che lo avvistò alle 2.55 ma
riuscì ad entrare in formazione solo alle quattro del mattino, in quanto tutte
le navi avevano preso a zigzagare ad alta velocità, illuminate dalla luce di
bengala lanciati dagli aerei britannici.
Procedendo a 22 nodi, dopo aver superato Alicudi la III Divisione passò
dalla linea di fila alla doppia linea, con Trieste
e Gorizia davanti ed Attendolo e Bolzano dietro (l’Attendolo
era nella colonna destra, più vicina alla costa della Sicilia; il Bolzano a sinistra, verso il largo, pressoché
parallelo all’Attendolo, il quale
però era in posizione leggermente più avanzata del Bolzano). Due degli otto cacciatorpediniere di scorta erano dotati
di ecogoniometro; nel cielo della formazione volavano due idrovolanti CANT Z.
506 quale scorta aerea. Il mare era calmo, la visibilità ottimale; una radiosa
giornata estiva.
Sulle navi aleggiava una certa frustrazione, per via dell’ordine di
ritirarsi senza nemmeno aver tentato di attaccare un nemico che già si trovava
alle strette.
Presto l’eccessiva prudenza di Supermarina avrebbe prodotto i suoi disastrosi
risultati: quello che non si era voluto rischiare di perdere con un’azione più
ardita, lo si perse proprio per effetto della rinuncia all’attacco. L’unico vero
attacco, non aereo ma subacqueo, avvenne proprio sulla rotta di ritorno.
Dapprima, il sommergibile britannico Safari avvistò le navi italiane a nord di Palermo, ma non fu in
grado di attaccare.
Venne poi il turno dell’Unbroken,
al comando del tenente di vascello Alastair Campbell Gillespie Mars, che già
alle quattro del mattino era stato informato da Malta che incrociatori italiani
stavano venendo verso di lui. Alle 7.30 del 13 agosto – a bordo era appena
finita la colazione –, mentre si trovava in posizione 38°43’ N e 14°57’ E (al
largo della costa settentrionale della Sicilia, a nordovest dell’imbocco dello
Stretto di Messina), il sommergibile britannico rilevò rumori di macchine di
navi, su rilevamento 230°; tredici minuti dopo avvistò sullo stesso rilevamento
numerose navi italiane, che gli stavano proprio venendo incontro. Mars
identificò correttamente la colonna centrale come composta da due incrociatori
pesanti e probabilmente due incrociatori leggeri, che procedevano in linea di
fila; con la scorta di otto cacciatorpediniere di tipo moderno. Distanza 11.000
metri, velocità stimata circa 25 nodi; in realtà era di 20 nodi. Le navi
stavano transitando tra Filicudi e Panarea; erano al traverso di Salina,
Stromboli era otto miglia alla loro sinistra, Panarea cinque miglia a prora
dritta.
Iniziata la manovra d’attacco, e penetrato lo schermo dei
cacciatorpediniere (secondo Mars, tre di essi passarono vicinissimi al
periscopio del sommergibile, ma senza notarlo), alle 8.04 l’Unbroken lanciò quattro siluri contro il
più vicino dei due incrociatori pesanti; al di là di questa nave c’erano i due
incrociatori leggeri, e Mars riteneva – a ragione – che se i siluri avessero
mancato il bersaglio designato, avrebbero avuto una buona possibilità di
colpire uno dei due incrociatori leggeri. Per via della formazione italiana a
due colonne affiancate (assunta proprio mentre l’Unbroken si preparava ad attaccare), i bersagli si “sovrapponevano”
nel periscopio di Mars. L’incrociatore più vicino era a 25° di prora dritta,
distanza 2740 metri.
Subito dopo il lancio, il sommergibile scese in profondità, virò di 90°
a dritta ed aumentò la velocità per cinque minuti. Quando sentì le detonazioni,
Mars stimò che due siluri avessero centrato l’incrociatore pesanti, e che forse
gli altri avevano colpito uno degli altri.
Quel che era successo era drammaticamente corrispondente agli
apprezzamenti del comandante britannico: alle 8.05, mentre l’Unbroken lanciava suoi siluri, gli
incrociatori italiani avevano ridotto la velocità a 18 nodi, per consentire al Gorizia di lanciare un idrovolante; poco
dopo il cacciatorpediniere Fuciliere
avvistò un sommergibile sulla sinistra, ed aprì il fuoco con una mitragliera
contro il periscopio, distante solo 410 metri. Gorizia e Bolzano
avvistarono le scie dei siluri; il Gorizia
li evitò con una brusca accostata, ma il Bolzano
non fece in tempo, e venne centrato da un siluro proprio mentre stava iniziando
a virare. Il siluro lo colpì in un serbatoio di carburante (sul lato sinistro),
scatenando un furioso incendio.
L’Attendolo non aveva visto
le scie dei siluri, né ricevuto l’allarme del Fuciliere, così iniziò delle manovre evasive solo dopo aver visto
il Bolzano colpito: quasi
contemporaneamente, le vedette dell’Attendolo
segnalarono una scia di siluro sulla dritta. L’incrociatore accostò subito a
dritta, ma dopo meno di un minuto il siluro andò a segno sotto il castello,
appena più a proravia della paratia rinforzata che proteggeva i depositi
munizioni delle due torri prodiere da 152 mm.
L’effetto fu disastroso: l’intera prua dell’Attendolo, sino a pochi metri prima della torre numero 1 da 152 mm
(cioè per ventidue metri di lunghezza), si staccò dal resto della nave ed
affondò immediatamente, lasciando solo enormi ammassi di lamiere piegati verso
l’esterno.
Sorprendentemente, non vi furono vittime, e nemmeno feriti; tre marinai
furono gettati in mare dall’esplosione, ma poterono essere recuperati. Il
cappellano di bordo – don Tarcisio Beltrame Quattrocchi –, che fino a pochi attimi
prima si era trovato proprio sulla prua per scattare immagini, attribuì la
salvezza sua, dell’equipaggio e della nave all’intervento divino. Sarebbero
bastati pochi metri più a poppa perché il siluro centrasse il deposito
munizioni, rischiando una fine analoga a quella toccata, nel febbraio di due
anni prima, all’incrociatore leggero Armando
Diaz.
La situazione a bordo dell’Attendolo
era comunque grave: dopo aver sobbalzato violentemente, l’incrociatore si
appruò leggermente e sbandò sulla sinistra. Vennero fermate le macchine;
l’equipaggio al posto di navigazione di guerra rimase ai propri posti, mentre
la guardia franca corse al posto di incendio, e gli uomini del servizio di
sicurezza procedettero alla verifica dei danni ed agli interventi d’emergenza.
Alle 8.15 il comandante poté ricevere buone notizie: la paratia all’ordinata
194 aveva retto all’esplosione, ed aveva soltanto alcune infiltrazioni; squadre
di marinai stavano già puntellando le paratie coinvolte, ed avevano messo in
funzione i mezzi per l’esaurimento dell’acqua imbarcata.
Attendolo (a sinistra) e Bolzano (a destra, in fiamme) poco dopo il siluramento (g.c. STORIA
militare).
Un’altra immagine dell’Attendolo poco dopo il siluramento; si nota a destra il fumo dell’incendio del Bolzano (g.c. Carlo Di Nitto) |
Sull’Attendolo, intanto, si
lavorava alacremente per salvare la nave. Era imperativo lasciare prima
possibile la zona pericolosa: si tentarono tutte le manovre possibili, andando
a macchine indietro, ma le lamiere contorte della prua (le
strutture dell’estrema prua erano collassate, ma parte di esse era rimasta “appesa”
allo scafo), piegate verso l’esterno
specialmente sulla dritta, facevano da “timone”, e rendevano così la nave
ingovernabile. Si decise di tentare il rimorchio; venne teso un cavo tra l’Attendolo e l’Ascari, ma pochi minuti dopo le 10 il cavo si spezzò, lasciando
l’incrociatore nuovamente fermo in mezzo al mare, con un lieve abbrivio.I cacciatorpediniere della Squadriglia «Aviere», incaricati di dare
assistenza e protezione alle navi colpite, iniziarono a stendere cortine
fumogene e bombardare l’attaccante con bombe di profondità: dalle 8.09 alle
16.40 vennero lanciate ben 105 bombe di profondità, anche se l’Unbroken, allontanandosi lentamente alla
profondità di 39 metri, riuscì a far perdere le proprie tracce già alle nove
(la caccia vera e propria durò tre quarti d’ora, dopo di che i
cacciatorpediniere si limitarono a gettare bombe di profondità di tanto in tanto,
a scopo precauzionale). Il sommergibile se la cavò con danni superficiali,
subiti durante i primi 40 minuti di caccia, che Mars ritenne piuttosto accurata.
Alle 10.12 le vedette segnalarono un periscopio a circa 2000 metri a
sinistra; probabilmente era un’illusione ottica. Ad ogni moto, si decise di
risolvere drasticamente il problema delle lamiere sporgenti: ciò fu fatto
collocando e facendo detonare delle piccole cariche esplosive, su misura, in
modo da provocare il distacco delle lamiere. Fatto ciò, l’Attendolo accostò a lento moto per rivolgere la poppa verso il
pericolo. Poco dopo, due scie di siluri furono viste passare vicinissime e
parallele, sulla dritta: in realtà doveva trattarsi di un’altra illusione
ottica, dovuta alla “psicosi” che spesso si sviluppava dopo un siluramento,
dato che in quel momento l’Unbroken
si stava allontanando sotto caccia, e nessun altro sommergibile britannico
risulta aver attaccato l’Attendolo in
quella data e zona.
Più concreta la minaccia che si presentò poco dopo, provenendo stavolta
dal cielo: alle 10.24 un bombardiere Bristol Blenheim lanciò alcune bombe che
caddero intorno all’incrociatore, poi si allontanò, bersagliato dal tiro
contraereo della nave.
L’Attendolo nella tarda mattinata del 13 agosto (g.c. STORIA militare) |
Intanto il Bolzano, in
condizioni ancora peggiori, era stato portato all’incaglio sull’isola di
Panarea, per evitarne l’affondamento. Procedendo a cinque nodi, l’Attendolo passò proprio tra Panarea e
gli scogli delle Formiche, con rotta su Capo Milazzo; lo scortavano l’Ascari ed il Geniere, rinforzati tra le 14.30 e le 17.15 dai cacciatorpediniere Freccia, Corsaro e Legionario.
Alle 18.45, arrivato nei pressi di Messina, l’Attendolo fu raggiunto dai rimorchiatori, che lo condussero in
porto, dove si ormeggiò al Molo del Carbone.
Portato nell’Arsenale di Messina, l’Attendolo
vi sarebbe rimasto fino al 5 settembre, per le prime riparazioni necessarie
prima di essere trasferito a Napoli per lavori più approfonditi.
La
nave a Messina, ormeggiata al Molo del Carbone, in attesa di entrare in bacino
di carenaggio dopo aver sbarcato nafta e munizioni (sopra: g.c. Giorgio Parodi;
sotto: da media.iw.org-histomil e da www.39-45war.com)
I
resti dilaniati della prua (da www.forum.airbase.eu)
|
L’attacco dell’Unbroken agli
incrociatori italiani, nel giornale di bordo del sommergibile (da Uboat.net):
“0730 hours - When in position 38°43'N, 14°57'E HE was heard bering
230°.
0743 hours - Sighted a large number of ships bearing 230° steering
straight towards. The centre coloumn consisted of four large ships, two 8"
cruisers and possibly two 6" cruisers. The escort consisted of 8 modern
destroyers. Started attack.
0804 hours - Fired four torpedoes from yards at the nearest 8"
cruiser. Two 6" cruisers were beyond the target and if torpedoes missed
there was a good possiblity of hitting the other ships beyond. P 42 went deep
on firing and altered course 90° to starboard and increased speed for 5
minutes. It was thought two hits were obtained on the nearest 8" cruiser,
and with luch the 'overs' may have hit one of the other cruisers.
0809 hours - Intensive depth charging started, went to 120 feet and
crept away.
0900 hours - The 40th charge was dropped. By this time the enemy seemed
to have lost contact, and to be drawing astern. However depth charging
continued for 8 hours and 31 minutes, the explosions becoming more distant and
less frequent as time drew on.
1640 hours - The last depth charge was dropped at a considerable
distance. The day's total came to 105. Only some superficial damage was
sustained.
1900 hours - Returned to periscope depth. Nothing in sight.”
Altre
due immagini dell’Attendolo a Messina
il 15 agosto 1942 (g.c. STORIA militare)
5 settembre 1942
L’Attendolo, dotato di una
tozza prua “provvisoria”, lascia Messina alle 15.20. Subito fuori dal porto, ne
assumono la scorta i cacciatorpediniere Maestrale
e Grecale (scorta laterale a sinistra
ed a dritta, rispettivamente), mentre i cacciasommergibili VAS 204, VAS 210, VAS 215 e VAS 217 si portano 30 miglia a proravia della formazione,
effettuando rastrello idrofonico in linea di fronte. Arrivati nei pressi di
Punta Licosa, i cacciasommergibili si lasciano scadere, così da ridurre le
distanze con l’Attendolo ad un terzo.
L’incrociatore procede a 15 nodi ma, a causa della scarsa idrodinamicità della
sua prua di fortuna, consuma il carburante che normalmente consumerebbe per
andare a 20 nodi. Un velivolo della ricognizione marittima sorvola la
formazione, girando in cerchi di 5 km di raggio (con centro sulla formazione
stessa), mentre un sommergibile effettua ricognizione a distanza. L’Attendolo raggiungerà a Napoli, senza
inconvenienti, alle 9.10 del giorno seguente.
7 settembre 1942
Entra in bacino di carenaggio, per i lavori di ricostruzione della
prua.
18 settembre 1942
Muore il secondo capo meccanico Sirio Dal Pino, dell’Attendolo.
27 novembre 1942
Dotato di una nuova prua, l’Attendolo
esce in mare per la prima volta, per prove delle macchine e delle artiglierie.
Santa Barbara
Ultimati i lavori di riparazione, l’Attendolo
rientrò in servizio il 2 o 3 dicembre 1942. Faceva ancora parte della VII
Divisione, che comprendeva in quel periodo il Montecuccoli e l’Eugenio di
Savoia; i tre incrociatori erano tutti ormeggiati di poppa alla calata
Porta di Massa, nel porto di Napoli, in modo da massimizzare l’uso delle poche
reti parasiluri disponibili e degli apparati per l’annebbiamento artificiale.
Nel porto si trovavano anche diverse altre unità, comprese le tre moderne
corazzate della IX Divisione (Littorio,
Vittorio Veneto e Roma) ed il Bolzano, in riparazione dopo i danni
riportati a Mezzo Agosto.
La IX Divisione era stata trasferita a Napoli da poco, in vista di un
suo possibile utilizzo contro il naviglio Alleato nelle acque del Nordafrica
francese, dove continuavano a sbarcare truppe e materiali in seguito
all’operazione «Torch».
Una tale concentrazione di navi in un solo porto, però, era estremamente
pericolosa in caso di bombardamento aereo. Gli ammiragli Alberto Da Zara (comandante della VII Divisione),
Wladimiro Pini (comandante del Dipartimento Militare Marittimo del Basso
Tirreno) ed Angelo Iachino ne discussero lungamente tra di loro e con
Supermarina, ma senza costrutto. Anche il comandante della Luftwaffe Hermann
Göring, recatosi in visita in Italia, nel visitare il porto di Napoli la sera
del 2 dicembre notò che concentrare tante navi in così poco spazio significava
creare un bersaglio ideale per dei bombardieri.
Né questo era sfuggito ai comandi Alleati, specialmente a quelli della
9th Air Force dell’USAAF di base in Egitto (Northwest African Air
Force), che pianificavano una serie di bombardamenti contro i porti e le basi
navali del Sud Italia.
Ma a Napoli tutto sembrava tranquillo. A bordo di tutte le navi erano
in corso i preparativi per i festeggiamenti del 4 dicembre: Santa Barbara,
patrona, tra gli altri, dei marinai. Anche i pompieri della città si
preparavano alla festività, visto che Santa Barbara era anche loro patrona.
L’atmosfera era piuttosto lieta, compatibilmente con la situazione
bellica e le nere notizie che giungevano dall’Africa. Napoli era frequentemente
attaccata dai bombardieri Alleati, ma fino a quel momento le incursioni erano
sempre state effettuate dagli aerei della RAF di base a Malta: adeguati per
l’attacco in mare contro convogli e formazioni navali, tali mezzi erano
piuttosto limitati rispetto alle esigenze per il bombardamento di porti e basi
navali, e da quando le difese del porto di Napoli erano state rinforzate agli
inizi del 1941 – dopo che alcuni bombardamenti avevano colpito alcune
importanti unità qui ormeggiate – non una sola nave aveva subito danni di un
qualche rilievo nel porto partenopeo. Per i civili napoletani, i continui
allarmi aerei erano ormai divenuta quasi un’abitudine: angoscia e notti
insonni, ma fino a quel momento i danni materiali erano stati piuttosto
contenuti, le vittime civili relativamente poche.
Né i marinai dell’Attendolo e
delle altre navi, né gli abitanti di Napoli potevano saperlo, ma tutto ciò
stava per cambiare radicalmente.
Un nuovo nemico si affacciava sul Mediterraneo: l’USAAF, l’aviazione
dell’esercito degli Stati Uniti. Ben presto le popolazioni del Sud Italia avrebbero
imparato la differenza tra bombardamenti da parte della RAF e dell’USAAF: non
più pochi bombardieri bimotori come i Vickers Wellington ed i Bristol Blenheim,
ma decine di grossi quadrimotori Boeing B-17 “Flying Fortress” e Consolidated
B-24 “Liberator”.
Un’altra novità era nelle modalità operative dei due attaccanti: la RAF
aveva sempre bombardato di notte, col favore del buio; l’USAAF, che faceva
volare i propri bombardieri a quota assai superiore (ben al di fuori del raggio
massimo dell’artiglieria contraerea), attaccava invece di giorno.
Fu dunque una sorpresa quando, alle 16.45 del 4 dicembre 1942, i
marinai delle navi italiane ed i cittadini di Napoli si ritrovarono sotto una
pioggia di bombe.
La sfortuna ci mise del suo; non solo non ci si aspettava un’incursione
aerea diurna – non ce n’erano mai state –, ma era appena arrivato, senza
preavviso, un gruppo di una ventina di aerei da trasporto Junkers Ju 52 della
Luftwaffe, diretti all’aeroporto di Capodichino, proprio dal Nordafrica (in
questo caso, dalla Tunisia). Quando un’altra ventina di aerei spuntò da dietro
il Vesuvio, si pensò che fossero altri Ju 52 il cui arrivo, come per i
precedenti, non era stato preannunciato. Le vedette non vi fecero quindi molto
caso; non fu dato l’allarme aereo, e le batterie contraeree della DICAT (Difesa
Contraerea Territoriale) non aprirono il fuoco (lo fecero più tardi, ma solo
quando le bombe cominciarono a cadere).
Come se non bastasse, gli equipaggi delle navi erano impegnati nella
abituale cerimonia dell’ammainabandiera, che aveva luogo verso le 16.40. Folti
gruppi di marinai, a bordo delle navi, erano radunati sui ponti superiori, per
tale cerimonia ed anche per accogliere il cacciatorpediniere Camicia Nera, reduce dallo scontro del
Banco di Skeri (avvenuto due giorni prima).
Il gruppo nuovo arrivato era una formazione di 27 B-24 “Liberator”
della 9th Air Force dell’USAAF (precisamente, del 98th e del 376th
Squadron), provenienti dall’Egitto (con scalo intermedio in Cirenaica per fare
rifornimento); soltanto in 16 giunsero sui cieli di Napoli, mentre gli altri erano
tornati indietro per problemi meccanici (una formazione relativamente piccola,
peraltro, rispetto a quelle che avrebbero attaccato Napoli ed il Meridione nei
mesi a venire). Era il primo bombardamento statunitense sull’Italia.
L’obiettivo dei “Liberator” altro non era se non il porto, con le navi
ivi ormeggiate. Solo alle 16.43, quando le prime bombe iniziarono a cadere,
venne suonato l’allarme aereo e la DICAT aprì il fuoco; la confusione rimase comunque
tale che ancora alle 17 il comando delle forze navali comunicava che bisognava
aprire il fuoco soltanto contro aerei confermati come nemici. Tra le funeste
conseguenze della sorpresa vi furono il mancato invio degli equipaggi nei
rifugi antiaerei, e la mancanza di tempo per chiudere le porte stagne.
La densa nebbia artificiale emessa dagli impianti di annebbiamento del
porto, pensati proprio per occultare le navi in caso di attacco aereo ma
attivati solo quando le bombe iniziarono a cadere, non servì a nulla. I piloti
dei B-24, provenienti dalla zona del Vesuvio, avevano sottostimato i tempi
necessari ad avvistare, identificare e bersagliare le più importanti unità
italiane (le corazzate della IX Divisione) prima di effettuare correzioni della
rotta che avrebbero permesso loro di colpire i loro bersagli primari. Le
strutture terrestri e la conformazione geografica della zona confuse
ulteriormente i piloti ed i puntatori; ai loro occhi, il porto si avvicinava
rapidamente e bisognava localizzare in fretta i bersagli. Era ormai troppo
tardi per modificare la rotta in modo da poter colpire efficacemente le
corazzate, così i bombardieri decisero di attaccare un bersaglio comunque di
valore, ma meno ben difeso e più vulnerabile, che si trovava già sulla loro
rotta: gli incrociatori della VII Divisione.
Un tappeto di bombe da 454 e 907 kg (rispettivamente 25 e 33, in
grappoli in cui ogni ordigno era distanziato dagli altri di due metri e mezzo),
sganciato da 6200 metri di quota, si abbatté sui tre incrociatori. Nel volgere
di pochi minuti, la VII Divisione venne posta fuori combattimento per i mesi a
venire.
Dei tre incrociatori, l’Attendolo
ebbe la sorte peggiore: una o due bombe da 454 kg caddero tra la sala macchine
e le sale caldaie poppiere (cioè tra il tripode e la torre numero 3 da 152 mm),
all’altezza del complesso da 100/47 di poppa dritta, distruggendo gran parte di
quella zona della nave – si aprì un vero e proprio cratere –, provocando
allagamenti (vi erano gravi danni sotto la linea di galleggiamento) e
scatenando violenti incendi nella zona poppiera, che si ritrovò isolata dal
resto della nave. Altre bombe caddero in mare a brevissima distanza, causando
ulteriori danni, senza contare quelli causati dalla miriade di schegge che
investì la nave, con effetti devastanti soprattutto sull’equipaggio.
L’allagamento del quadro del gruppo diesel generatori di poppa e l’avaria di
quello di prua misero fuori uso entrambi i gruppi diesel generatori, lasciando
la nave senza energia elettrica proprio nel momento del bisogno; la mancanza di
vapore impediva di usare anche i turbogeneratori. La maggior parte
dell’equipaggio non morto o ferito era rimasto a prua, tagliato fuori dalla
zona più danneggiata.
I servizi di sicurezza si misero subito all’opera e riuscirono a domare
le fiamme (opera che poté essere espletata soltanto mediante mezzi esterni, per
via della mancanza di energia elettrica; altre unità cercarono di fornire all’Attendolo anche energia elettrica, ma
senza successo) entro le 19.30, provvedendo intanto ad allagare il deposito
munizioni poppiero, per evitare esplosioni.
Il comandante della nave, capitano di vascello Mario Schiavuta, era tra
quanti erano stati uccisi dalle bombe o soprattutto dalle schegge, che
provocarono una vera carneficina tra gli uomini radunati sui ponti scoperti; era
morto anche il suo attendente, marinaio Giocondo Vianello, da Arenzano. Avevano
perso la vita anche il comandante in seconda, capitano di fregata Ugo Mazzola,
ed il direttore di macchina, maggiore del Genio Navale Eugenio Santoboni.
Verso le 20, estinte le fiamme, si iniziò a svuotare i depositi
munizioni poppieri, ed a provvedere ad altre urgenti necessità.
Pur privato del proprio comandante, l’equipaggio dell’Attendolo si prodigò per sei ore (il
bombardamento terminò alle 17.28, i soccorsi “esterni” giunsero soltanto dopo
un’ora) nel tentativo di salvare la propria nave, che era lievemente appoppata
(la poppa era più bassa sull’acqua di un metro) e leggermente sbandata a dritta
(3°-4°) ma ritenuta in assetto non pericoloso. L’equipaggio puntellò le paratie
danneggiate, svuotò i locali allagati, cercò di bilanciare lo sbandamento;
sembrò che l’Attendolo sarebbe
sopravvissuto anche questa volta, ma alle 21.17 un nuovo allarme aereo – per
giunta rivelatosi poi un falso allarme – costrinse ad interrompere i lavori e
l’esaurimento dei locali allagati, e mandò tutto in fumo: le squadre che
lavoravano al salvataggio della nave e le navi che assistevano l’Attendolo se ne allontanarono, e
tornarono solo dopo un’ora. I lavori ricominciarono alle 22.15, non appena fu
cessato l’allarme, ma alle 22.19, improvvisamente, l’Attendolo si abbatté sul lato di dritta, appoggiandosi sul fondale
con le sovrastrutture. La nave aveva toccato il fondale con la poppa; lo
scossone dell’urto, insieme all’allagamento dei locali interni – che rendeva la
nave instabile – aveva fatto il resto. Rimasero emergenti solo parte del lato
sinistro e l’elica di sinistra.
Il
relitto dell’Attendolo fotografato il
mattino del 5 dicembre 1942 (g.c. STORIA militare)
Per quanto riguarda il resto della VII Divisione, il Montecuccoli riportò gravissimi danni: una
bomba da 454 kg asportò per intero il fumaiolo prodiero e distrusse parte della
sovrastruttura situata sulla sua dritta, devastando due locali caldaie e
crivellando di schegge il resto delle sovrastrutture e parte dell’opera morta.
44 uomini rimasero uccisi, altri 36 feriti; l’incrociatore rimase a galla, ma
le riparazioni sarebbero terminate soltanto a metà luglio del 1943.
Più fortuna ebbe l’Eugenio di
Savoia, che non fu centrato da nessuna bomba; un singolo ordigno, però,
cadde vicinissimo a poppa sinistra, uccidendo 17 uomini, ferendone 46 e
causando danni che richiesero 85 giorni di riparazioni.
Secondo un rapporto datato 13 dicembre, le perdite a bordo delle unità
della VII Divisione ammontarono in tutto a 252 tra morti (2 ufficiali e 43 tra
sottufficiali e marinai) e dispersi (6 ufficiali e 201 tra sottufficiali e
marinai) oltre a 174 feriti. A terra avevano perso la vita altri 37 militari e
179 erano rimasti feriti gravemente (le perdite a terra, però, riguardavano
tutto il personale militare italiano e tedesco, non solo quello della VII
Divisione).
Delle altre navi presenti nel porto, le tre corazzate della IX
Divisione non furono toccate; subirono lievi danni la torpediniera di scorta Fortunale (colpita da schegge) e la
moderna motonave da carico Foscolo
(piccolo incendio a bordo), e danni di varia entità furono riportati anche
dalle piccole vedette foranee V 10
Eugenio, V 55 Maria S. S.
Ausiliatrice, V 101 San Francesco di Paola e V 303 Ildebrando da Soana e da altri due
motovelieri requisiti, il Costanza ed
il Salvatore M.
Gravissime furono le conseguenze anche per la città di Napoli: come
nella maggior parte dei casi, il bombardamento risultò alquanto impreciso, e
parecchie bombe mancarono il porto e finirono invece sui quartieri circostanti,
seminando ovunque morte e distruzione. Crollarono il Palazzo delle Regie Poste
e numerose case nei vicoli, a Riviera di Chiaia, a Toledo e nella zona
industriale; diversi rifugi furono centrati dalle bombe o sepolti sotto le
rovine, ed un grappolo di bombe centrò in pieno due tram pieni di passeggeri,
in via Monteoliveto, facendoli a pezzi insieme a 47 persone. Molti gli abitanti
che, colti per strada dall’inaspettato bombardamento diurno, si diedero ad una
fuga disordinata senza nemmeno sapere dove andare, mentre le bombe piovevano
tutt’intorno. Molti furono in seguito coloro che ricordarono dei morti,
decapitati dalle schegge mentre si trovavano per strada, che continuavano a
camminare senza testa per qualche secondo, prima di cadere a terra.
Sotto le macerie dei tanti edifici distrutti, giacevano i corpi di
almeno 159 civili – forse molti di più –, mentre altri 358 erano rimasti feriti.
Nei giorni seguenti i napoletani, confusi e storditi da tanta inaudita
violenza, fuggirono a migliaia verso Salerno, Sorrento, i paesi vesuviani,
qualsiasi luogo che fosse abbastanza lontano dalle bombe; treni e strade furono
intasati da gente che sfollava con ogni mezzo disponibile, al punto che fu
stabilito che solo chi aveva un lasciapassare poteva andarsene, così che molti,
anche chi non aveva più una casa, furono rimandati indietro. Gli sfollati
occuparono ogni alloggio disponibile nei paesi vicini; dopo tre giorni, scuole
elementari e medie sarebbero state chiuse a tempo indeterminato.
Non un solo bombardiere statunitense venne abbattuto.
Alcune fonti parlano di 41 dispersi, tra cui il comandante Schiavuta.
In tutto, le vittime dell’Attendolo
furono almeno 99, come attestato da una targa apposta il 4 dicembre 1967 (25°
anniversario dell’affondamento), accanto al molo dove la nave fu affondata,
dall’Associazione Nazionale Marinai d’Italia: 8 ufficiali, 9 sottufficiali, 73
marinai e 9 portuali. Diverse autorevoli opere di storici navali parlano invece
addirittura di 188 tra morti e dispersi nel solo equipaggio dell’Attendolo. Tra l’equipaggio dell’Attendolo
vi furono tra gli 86 ed i 91 feriti, mentre sul numero delle vittime esistono
cifre discordanti, perché parte dell’equipaggio era in licenza, e sia il ruolo
di bordo che i registri dell’equipaggio andarono perduti nel bombardamento. I
morti ed i dispersi vennero schedati in base a documentazione che andò
successivamente perduta a seguito dell’armistizio, e vennero riportati solo i
nomi delle vittime delle quali si era ritrovato il corpo, oppure dei dispersi
certificati da due dichiarazioni giurate. Ulteriore confusione è data dalla
presenza a bordo di personale civile militarizzato della Odero Terni Orlando,
inviato sull’Attendolo per il
collaudo dei cannoni (appena revisionati), che all’allarme aereo si rifugiò in
una delle torri da 152. Non fu possibile sapere quanti militarizzati della OTO
fossero sull’Attendolo, anche se non
si trattò comunque di più di una dozzina di uomini.
Tra le tante vittime vi fu anche il marinaio ventunenne Pietro Scanu,
da Santa Giusta in Sardegna: aveva visto la famiglia per l’ultima volta in
ottobre, durante una breve licenza, e nel ripartire si era fatto il segno della
croce, passando davanti alla basilica del paese natale. Il 4 dicembre due suoi
compaesani imbarcati anch’essi sull’Attendolo,
Giovanni Mangroni e Giovanni Marras, lo avevano invitato a fare una passeggiata
con loro in città, ma Scanu aveva preferito restare a bordo; dopo pranzo un
altro compaesano che prestava servizio a Napoli, Raimondo Massidda, lo aveva
invitato a prendere un caffè in un bar vicino al porto, e stavolta Scanu aveva
accettato, ma non appena aveva sentito l’allarme era voluto tornare subito
sull’Attendolo, essendo cannoniere.
La notizia della sua morte giunse a Santa Giusta dopo pochi giorni, ma nessuno
ebbe il coraggio di dirlo ai genitori fino al 24 dicembre; la madre non accettò
mai la morte dell’unico figlio, e negli anni successivi si recò spesso nelle
“particelle” (gli orti comunali di Santa Giusta) per strapparsi i capelli,
giungendo al punto di lasciare il paese ad ogni festività per non sentire le
campane a festa.
Sepolto nel cimitero militare di Pozzuoli con un nome sbagliato (Pietro
Scano, anziché Scanu), il marinaio non venne restituito alla famiglia, che non
seppe mai dov’era sepolto: la salma sarebbe stata “ritrovata” e riportata nel
paese natale solo settantun anni più tardi.
Altre
due immagini del relitto (sopra: da www.naviearmatori.net,
utente Carlomar; sotto, g.c. STORIA militare)
Dopo l’affondamento, si valutò che l’Attendolo potesse essere recuperata in 3-4 mesi e riparata in altri
7-8 mesi, ma non si fece alcun tentativo in questa direzione.
Il relitto rovesciato dell’Attendolo
rimase là, dov’era affondato, per diversi anni, divenendo parte integrante del
porto di Napoli: al punto che, dopo l’armistizio e l’arrivo in città degli
Alleati, lungo la parte emergente di scafo venne allestita una passerella, ed
il relitto venne così trasformato in una sorta di banchina aggiunta. I
trasporti truppe Alleati si ormeggiavano a fianco del relitto dell’Attendolo, e le truppe che sbarcavano
giungevano a terra camminando sopra la nave affondata.
Il
relitto dell’Attendolo come appariva pochi
giorni dopo l’arrivo a Napoli degli Alleati, il 7 ottobre 1943 (Naval History
and Heritage Command, via Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net)
|
Foto a colori scattata da un militare statunitense (da www.57fightergroup.org) |
Soldati
britannici s’imbarcano su un trasporto truppe passando per una passerella
realizzata sul relitto dell’Attendolo,
nella primavera del 1944 (da www.naviearmatori.net,
utente Carlomar)
|
Il
relitto nel 1945: ormeggiato dietro di esso, l’incrociatore leggero
statunitense Providence (g.c.
Cromwell Smith, da www.star77.com)
|
Foto
aerea del porto di Napoli dopo l’arrivo degli Alleati: al centro, in basso, si
nota il relitto dell’Attendolo; più
in altro a sinistra sono visibili anche i relitti della nave ospedale Sicilia (abbattuto su un fianco) e del
piroscafo Catania (in assetto di
navigazio, a sinistra della Scilla). (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net)
|
Finita anche la guerra, l’Attendolo
venne radiato dai quadri del naviglio il 18 ottobre 1946, ma per altri tre anni
nessuno toccò il suo relitto rovesciato nel porto di Napoli. Nel 1949, infine,
si procedette al recupero: la nave venne raddrizzata, riportata a galla ed
immessa in bacino, e qui si constatò che lo scafo, nonostante i quasi sette
anni passati sott’acqua, era ancora in condizioni notevolmente buone. Si
confermò anzi che i danni inflitti dalle bombe, per quanto gravi, non erano di
per sé letali, e che era stata l’interruzione dei lavori di pompaggio causata
dal nuovo allarme aereo a provocare la perdita della nave.
Durante le operazioni di recupero vennero rinvenuti nel relitto i resti
di molti uomini, privi di elementi che potessero permettere di identificarli;
macabro memento di come l’incrociatore era finito sui fondali del porto.
Tre
immagini del relitto dell’Attendolo
dopo il recupero (da un filmato dell’Istituto Luce).
Il
relitto dell’Attendolo dopo l’immissione
in bacino, il 19 settembre 1948 (g.c. STORIA militare).
|
Dato che l’Attendolo era una
nave moderna, si progettò di ricostruirlo come incrociatore antiaereo, in
sostituzione del Luigi Cadorna (unico
incrociatore lasciato all’Italia dal trattato di pace del 1947, ma tanto
obsoleto e logorato da essere pressoché inutile); la mancanza di risorse
finanziarie ed il timore che gli Alleati avrebbero proibito tale iniziativa,
tuttavia, indussero ad abbandonare tali piani quando ancora erano sulla carta,
ed il relitto della nave venne demolito tra il 1949 ed il 1950.
Il relitto dell’incrociatore il 26 agosto 1949, dopo la rimozione delle sovrastrutture (Coll. Franco Bargoni, via Maurizio Brescia e www.associazione-venus.it) |
L’Attendolo in demolizione a La Spezia
intorno al 1950 (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net)
|
Caduti tra
l’equipaggio dell’Attendolo (la lista
potrebbe essere incompleta) a seguito del bombardamento del 4 dicembre 1942:
Vincenzo Aloi,
sottocapo furiere, deceduto
Cesare Assereto,
marinaio, deceduto
Ettore Baas,
sottocapo fuochista, deceduto
Antonio Bardazzi,
sottocapo furiere, disperso
Settimio Batini,
primo tenente di vascelo, deceduto
Elvio Battista,
marinaio furiere, disperso
Ivo Beccai,
sergente meccanico, disperso
Luigi Belardinelli,
marinaio, disperso
Domenico
Bellamacina, marinaio cannoniere, disperso
Aurelio Benetti,
sottocapo elettricista, disperso
Luciano Berdini,
marinaio elettricista, deceduto
Gastone Bergamo,
marinaio, deceduto
Pierino Bertone,
marinaio musicante, disperso
Giacomo Boiocchi,
marinaio cannoniere, deceduto
Giacomo Bontempi,
marinaio, disperso
Salvatore Bruno
Giacchetta, marinaio fuochista, disperso
Giuseppe Calabrò,
marinaio, deceduto il 6 dicembre 1942
Primo Campagnoli,
sottocapo fuochista, deceduto
Angelo Caporali,
sottocapo S. D. T., disperso
Giovanni
Chiappella, marinaio elettricista, disperso
Alfonso Colella,
secondo capo S. D. T., disperso
Antonio Contu,
marinaio cannoniere, deceduto il 4 febbraio 1943
Cesare Crespiani,
marinaio, deceduto il 21 aprile 1943
Giuseppe Curtale,
marinaio cannoniere, disperso
Salvatore D’Amico,
marinaio, disperso
Francesco
D’Angelo, marinaio, disperso
Mario Daddi,
sottocapo S. D. T., deceduto
Benvenuto Dal Pez,
marinaio, disperso
Donato De
Notarpietro, marinaio, disperso
Adolfo Di Cillo,
marinaio elettricista, disperso
Enzo Di Paola,
marinaio, disperso
Venturi Dura,
marinaio cannoniere, disperso
Battista Ferri,
marinaio cannoniere, deceduto
Luigi Foglietta,
sottocapo cannoniere, deceduto
Santo Galileo,
marinaio carpentiere, deceduto
Francesco
Gianquinto, marinaio, disperso
Vincenzo Gioffrè,
marinaio, deceduto
Gino Girardi,
secondo capo, disperso
Francesco
Giribaldi, marinaio, disperso
Mario Grabbi,
marinaio cannoniere, disperso
Giorgio Guarnieri,
marinaio cannoniere, deceduto
Giuseppe Ilardi,
marinaio fuochista, deceduto
Giuseppe
Indelicato, secondo capo nocchiere, disperso
Antonio Ingemi,
marinaio fuochista, deceduto
Ottavio
Marcattili, sergente cannoniere, deceduto
Antonio
Marcolongo, marinaio fuochista, disperso
Luigi Marinelli,
marinaio, deceduto
Rodolfo Mazzini,
sottotenente di vascello, deceduto l’8 dicembre 1942
Ugo Mazzola,
capitano di fregata, deceduto
Aldo Mencaroni,
marinaio silurista, deceduto
Luciano Meroni,
marinaio, deceduto
Massimo
Micciarelli, guardiamarina, disperso
Timoteo Miolo,
secondo capo cannoniere, deceduto
Antonio
Monteferrante, sottocapo cannoniere, deceduto
Pietro Mordenti,
marinaio cannoniere, deceduto
Angelo Negri,
secondo capo cannoniere, deceduto
Nunzio Neri,
marinaio, disperso
Pasquale
Palombieri, marinaio fuochista, deceduto
Angelo Paraninfo,
marinaio, disperso
Italo Parentin,
marinaio, disperso
Giuseppe
Pasqualin, marinaio, disperso
Giuseppe
Passarino, marinaio furiere, disperso
Rocco Patete,
marinaio motorista, disperso
Santo Patti,
marinaio, deceduto il 1° maggio 1945 (?)
Sebastiano Patti,
marinaio, disperso
Brando Perusi,
marinaio motorista, disperso
Salvatore Piazza,
marinaio S. D. T., deceduto
Nicola Piombo,
marinaio, disperso
Antonio Polese,
marinaio, disperso
Velter Ridolfi,
marinaio elettricista, disperso
Donato Risolo,
marinaio S. D. T., deceduto
Emilio Rosati,
secondo capo cannoniere, disperso
Guido Roveta,
tenente del Genio Navale, deceduto
Eugenio Santoboni,
maggiore del Genio Navale, disperso
Pietro Scanu,
marinaio cannoniere, deceduto
Francesco Paolo
Scarpitta, marinaio fuochista, disperso
Mario Schiavuta,
capitano di vascello (comandante), deceduto
Andrea Sciandini,
marinaio segnalatore, deceduto
Tiberio Scrigna,
sottocapo elettricista, deceduto
Antonio Sellitto,
marinaio cannoniere, disperso
Diodato
Siniscalchi, sottotenente di vascello, disperso
Egisto Sintini,
marinaio cannoniere, deceduto il 30 gennaio 1943
Giovanni Soro,
marinaio cannoniere, deceduto
Amedeo Spanio,
marinaio, disperso
Mario Squassina,
marinaio elettricista, disperso
Vincenzo Stagnaro,
marinaio carpentiere, deceduto
Concetto
Stagnitta, marinaio cannoniere, deceduto
Luigi Zaffara,
marinaio, deceduto
Leonardo Todisco,
sottocapo meccanico, disperso
Nino Tonini,
secondo capo silurista, deceduto
Antonio Valentino,
marinaio cannoniere, deceduto
Vincenzo Venezia,
tenente commissario, disperso
Giocondo Vianello,
marinaio torpediniere, disperso
(Nota:
la lista è probabilmente incompleta; certamente non sono compresi, ad esempio,
i nove portuali la cui morte risulta dalla lapide presente sulla banchina nel
porto di Napoli, e probabilmente neanche gli operai della Odero-Terni-Orlando
presenti a bordo e deceduti nell’attacco. A meno che non sia indicata una data
differente, la morte avvenne il 4 dicembre; le date successive indicano
probabilmente feriti deceduti successivamente).
La
lapide ai caduti dell’Attendolo al
Molo Immacolatella (g.c. Dante Flore)
|
Ottimo lavoro, complimenti! Ho postato una foto su NEA da NHHC....
RispondiEliminaSaluti
geodante
La ringrazio.
EliminaMio nonno era capo Cannoniere su Attendolo - Luca Patti classe 1919
RispondiEliminaDopo il 4 dicembre è stato trasferito si cacciatorpediniere Saetta
RispondiEliminaDopo il 4 dicembre è stato trasferito si cacciatorpediniere Saetta
RispondiEliminaBuongiorno Lorenzo. Comandanti dell'Attendolo furono nel 1936-37 il CV Francesco Mazzola e nel 1937-38 il CV Guido Mengoni. Grazie.
RispondiEliminaGrazie, aggiungo questa informazione.
EliminaBgiorno Lorenzo. Il primo comandante dell'Attendolo dal termine dell'allestimento, nel febbraio 1935 sino al novembre 1936, fu il CV Manlio Tarantini da Jesi. Grazie
RispondiEliminaGrazie, aggiungo.
EliminaGrazie per ciò che hai scritto. Sono Mario Fabbrini, figio di Gabriella Schiavuta e nipote del Comandante Mario Schiavuta ,conservo le sue foto e la memoria dei racconti di mia nonna e mia madre. Sono stato a Roma anni fa e ho avuto modo di leggere presso l'archivio storico della Marina militare tutta la storia militare di mio nonno Mario, di cui porto fieramente il nome ,e dell'eroico e sfortunato Muzio Attendolo Sforza . Onore ai nostri caduti e alla Regia Marina !
RispondiEliminaLa ringrazio.
EliminaMio nonno era imbarcato sull Attendolo, mi racconto'che scampo'al bombardamento perché lui, che doveva essere di guardia, gli venne proposto un cambio da un commilitone, lui sbarcò quindi se non ricordo male per andare ad una lavanderia, purtroppo l altro ragazzo morì nel bombardamento, mio nonno era Capannini Giuseppe classe 1921 di Livorno, rileggere la storia dell incrociatoremi mi ha riportato alla memoria i racconti vissuti sulla guerra che spesso teneva mio nonno
RispondiEliminaCiao.. Volevo sapere se tuo nonno e ancora in vita.. In quanto il fratello di mia nonna era anche lui sull'attendolo e da come mi raccontava lui era alla vedette si chiamava dura Venturi e purtroppo risulta disperso. Volevo sapere appunto se e ancora in vita se si conoscevano se riesce a ricordare magari qualcosa di lui.. Ti ringrazio se risponderai😊
EliminaSe qualcuno magari ha qualche foto dell'equipaggio me le potrebbe mandare tramite ma il ne sarei grata
EliminaBuongiorno. Mario Fabbrini perché non posta le foto del nonno? Per lo stato di servizio potrei averne una copia? Sto scrivendo la biografia del CV Schiavuta e mi sarebbe utile.... giovann.pinn@tiscali.it - Grazie.
RispondiEliminaIl sottocapo elettricista Aurelio Benetti era mio zio
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