Motozattera della seconda serie della classe MZ, tipo
"MZ-B", costruita per trasportare anche carri armati grazie ad una
stiva più alta ed al portellone di sbarco rinforzato rispetto alle unità della
serie precedenti. Lunga 46,50 metri e larga 6,50, con un pescaggio di 1,18
metri se scarica, dislocava 140 o 174 tonnellate, che salivano a 279 a pieno
carico (poteva caricare 65 tonnellate di materiali). Era propulsa da tre motori
diesel prodotti dalle Officine Meccaniche di Milano, della potenza complessiva
di 450 HP, su altrettante eliche; raggiungeva una velocità di 11-12 nodi, con
un’autonomia di 1450 miglia a 8 nodi. L’armamento consisteva in un cannone da
76/40 mm e due mitragliere da 20/70 mm.
Impostata dai Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Monfalcone nel novembre 1942, la MZ 786 (numero di costruzione 1428) venne varata il 19 febbraio 1943 e completata il 5 marzo dello stesso anno.
La vita della MZ
786 fu brevissima: tra la sua entrata in servizio e la sua perdita non passarono
che sedici giorni.
Il 19 marzo 1943 la MZ 786, dopo aver caricato quattro carri armati M. 13 a Reggio Calabria, lasciò la città sullo stretto diretta a Biserta, al comando del guardiamarina Mario Lanfredi. L’equipaggio era composto da quindici uomini, cui si aggiungevano per la traversata i quattro carristi che accompagnavano i loro mezzi in Africa.
Navigando da sola, la MZ 786 raggiunse Palermo, dove sostò brevemente per completare il carico con della benzina da portare in Tunisia; il prezioso ma pericoloso liquido venne pompato nei doppi fondi. Lasciato il capoluogo siciliano, nella notte tra il 20 ed il 21 marzo la piccola unità si aggregò, come precedentemente stabilito, ad un convoglio di motozattere (MZ 778, MZ 779, MZ 781, MZ 782, MZ 783) salpato da Trapani alle sette di sera del 20 e diretto a Biserta. Il congiungimento con il convoglio avvenne circa a metà della traversata del Canale di Sicilia; la MZ 786 prese posizione sulla sinistra della MZ 778, l’unità capoconvoglio, comandata dal tenente di vascello Giorgio Lupo.
Alle cinque del mattino del 21 marzo il direttore di macchina della MZ 786, capo Alfonso Ghirardini, smontò dalla guardia e venne avvicendato nel locale motori dal sottocapo motorista Sergio Cavicchini; si ritirò quindi per riposare nel locale di poppa, dove già stavano dormendo i quattro carristi ed il motorista Sergio Duse.
Meno di mezz’ora dopo, alle 5.28, le altre motozattere del convoglio videro un’enorme vampata levarsi dalla MZ 786, seguita da una violenta esplosione; subito la motozattera venne avvolta dalle fiamme, alimentate dalla benzina che portava nei doppifondi. Riversatosi in mare, il carburante incendiato galleggiava tutt’attorno alla piccola nave, costringendo le altre motozattere ad allontanarsi per non esserne travolte; uniche eccezioni furono la MZ 783, che non correva pericolo perché sopravvento, e la MZ 781, il cui comandante prese l’iniziativa di cercare eventuali superstiti dell’unità gemella, compiendo un ampio giro attorno al relitto in fiamme. Non vide, però, nessun naufrago.
Quasi tutti gli uomini che si trovavano al centro ed a
prua, compreso il comandante Lanfredi, rimasero uccisi sul colpo
dall’esplosione, o rimasero mortalmente ustionati dalla benzina in fiamme che
galleggiava sul mare; solo un sergente nocchiere riuscì ad allontanarsi. Ebbero
più tempo i sei uomini che stavano dormendo nel locale situato all’estrema
poppa, che si trovavano però anch’essi in una situazione non invidiabile:
svegliati di colpo dall’esplosione, scoprirono che i sacchetti di sabbia posti
a protezione del cannone erano caduti sull’osteriggio del locale, unica via
d’uscita, bloccandolo. Dopo molti sforzi, i sei riuscirono ad aprire
l’osteriggio spingendolo con una panca da rancio; primi ad uscire furono i
carristi, che indossavano il salvagente e che si buttarono immediatamente nel
mare in fiamme. Li seguì il motorista Duse, mentre il direttore di macchina
Ghirardini, uscito per ultimo, esitò: era rimasto solo ed era senza salvagente;
la MZ 786 era completamente in
fiamme, circondata dal carburante incendiato e come se non bastasse uno dei
motori era ancora in funzione ed il timone era incatastato, così che la nave
continuava a muoversi, girando su sé stessa e continuando a spargere benzina
incendiata. Alla fine, Ghirardini si decise a tuffarsi in mare, senza
salvagente; ebbe doppiamente fortuna, perché riuscì a sfuggire alla morsa delle
fiamme ed a trovare quasi subito qualcosa a cui tenersi per restare a galla,
una passerella di legno, cui si legò con la cintura. Passarono un paio d’ore,
poi avvistò su uno zatterino senza remi su cui si era arrampicato il sergente
nocchiere, unico altro naufrago in vista; i due decisero di restare vicini in
attesa dei soccorsi.
Di questi ultimi, risultata infruttuosa la ricerca
iniziale della MZ 781, si era
incaricata la MZ 783 del guardiamarina
Gaetano Luigi Mereu: messo a mare il battellino, era riuscita a recuperare dal
mare i quattro carristi e due membri dell’equipaggio della MZ 786, il nocchiere Gioacchino Terzo ed il sergente cannoniere Antonio
Pastore, ma i sei naufraghi erano quasi irriconoscibili, in fin di vita per le
gravi ustioni riportate; Pastore morì poco dopo il salvataggio. Dovette essere
un sollievo per i soccorritori riuscire finalmente a trovare due naufraghi in
buone condizioni, Ghirardini ed il sergente nocchiere, che vennero portati a
bordo della MZ 783. Ulteriori
ricerche riuscirono del tutto vane: non c’erano altri sopravvissuti. La MZ 778 si avvicinò al relitto incendiato
della MZ 786 per accelerarne
l’affondamento a cannonate, dopo di che, alle 9.30, la flottiglia riprese la
navigazione verso Biserta, lasciandosi alle spalle la gemella ormai in via di
affondamento, in posizione 37°33' N e 10°54' E (a nord di Capo Bon).
Giunti a Biserta, la MZ
783 sbarcò i due superstiti ed i cadaveri che aveva recuperato, che furono
portati in una scuola adibita ad obitorio. Fu proprio capo Ghirardini, insieme
al cappellano militare Renato Castelli, a fabbricare delle povere bare con
delle porte di legno, ed a dare sepoltura ai morti mentre ancora era in corso
un mitragliamento aereo.
La causa esatta della perdita della MZ 786 non è mai stata determinata con certezza. Il tenente di
vascello Lupo, il capoconvoglio, scrisse nel suo rapporto che l’esplosione
doveva essere stata causata dall’accensione – dovuta ad una scintilla
prodottasi accidentalmente – dei vapori di benzina prodottisi a bordo a causa
delle infiltrazioni della benzina dai doppi fondi nei locali contigui. Il
direttore di macchina Ghirardini fu in disaccordo, sottolineando che il
comandante Lanfredi aveva preso tutte le precauzioni possibili contro
un’eventualità del genere, imponendo all’equipaggio ed ai carristi di camminare
scalzi (onde evitare l’accidentale produzione di scintille per effetto dello
sfregamento delle calzature sul ponte), facendosi consegnare tutti i fiammiferi
e le sigarette ed ordinando lo spegnimento del cucinino di bordo fin dalla sera
del 19 marzo. Ghirardini ipotizzò invece che la MZ 786 fosse saltata su una mina. Tullio Marcon, nel suo libro "I
muli del mare" (probabilmente la più completa opera esistente sulla storia
delle motozattere), commenta semplicemente: “Poteva anche aver ragione lui”; le pubblicazioni dell’Ufficio
Storico della Marina Militare sembrano però propendere per l’ipotesi dei vapori
di benzina, che in effetti sembrerebbe supportata dal fatto che le altre
motozattere parlarono di una fiammata seguita (e non preceduta) da
un’esplosione, oltre che da quello che sebbene incendiata, la MZ 786 continuò a galleggiare a lungo
dopo l’esplosione, ed ancora da quello che le altre motozattere del convoglio
continuarono ad incrociare per ore nella zona senza subire alcun danno.
La motivazione della Medaglia di Bronzo al Valor
Militare conferita alla memoria del guardiamarina Mario Carlo Lanfredi, nato ad
Imperia il 18 luglio 1921:
"Comandante di motozattera destinata al
rifornimento di basi avanzate oltremare sottoposte a continua offesa aerea,
dimostrava in ogni occasione elevato spirito militare e sereno coraggio. Nel
corso di rischiosa azione, in seguito a perdita dell’unità, immolava per la
Patria la giovane vita. (Canale di Sicilia, marzo 1943)."
La MZ 786 sull’Historisches
Marinearchiv
La MZ 786 sul sito del Museo della Cantieristica di Monfalcone
Unità da sbarco della Regia Marina
Le motozattere classe MZ su Navypedia
Impostata dai Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Monfalcone nel novembre 1942, la MZ 786 (numero di costruzione 1428) venne varata il 19 febbraio 1943 e completata il 5 marzo dello stesso anno.
Il 19 marzo 1943 la MZ 786, dopo aver caricato quattro carri armati M. 13 a Reggio Calabria, lasciò la città sullo stretto diretta a Biserta, al comando del guardiamarina Mario Lanfredi. L’equipaggio era composto da quindici uomini, cui si aggiungevano per la traversata i quattro carristi che accompagnavano i loro mezzi in Africa.
Navigando da sola, la MZ 786 raggiunse Palermo, dove sostò brevemente per completare il carico con della benzina da portare in Tunisia; il prezioso ma pericoloso liquido venne pompato nei doppi fondi. Lasciato il capoluogo siciliano, nella notte tra il 20 ed il 21 marzo la piccola unità si aggregò, come precedentemente stabilito, ad un convoglio di motozattere (MZ 778, MZ 779, MZ 781, MZ 782, MZ 783) salpato da Trapani alle sette di sera del 20 e diretto a Biserta. Il congiungimento con il convoglio avvenne circa a metà della traversata del Canale di Sicilia; la MZ 786 prese posizione sulla sinistra della MZ 778, l’unità capoconvoglio, comandata dal tenente di vascello Giorgio Lupo.
Alle cinque del mattino del 21 marzo il direttore di macchina della MZ 786, capo Alfonso Ghirardini, smontò dalla guardia e venne avvicendato nel locale motori dal sottocapo motorista Sergio Cavicchini; si ritirò quindi per riposare nel locale di poppa, dove già stavano dormendo i quattro carristi ed il motorista Sergio Duse.
Meno di mezz’ora dopo, alle 5.28, le altre motozattere del convoglio videro un’enorme vampata levarsi dalla MZ 786, seguita da una violenta esplosione; subito la motozattera venne avvolta dalle fiamme, alimentate dalla benzina che portava nei doppifondi. Riversatosi in mare, il carburante incendiato galleggiava tutt’attorno alla piccola nave, costringendo le altre motozattere ad allontanarsi per non esserne travolte; uniche eccezioni furono la MZ 783, che non correva pericolo perché sopravvento, e la MZ 781, il cui comandante prese l’iniziativa di cercare eventuali superstiti dell’unità gemella, compiendo un ampio giro attorno al relitto in fiamme. Non vide, però, nessun naufrago.
Morti
sulla MZ 786:
Sergio
Cavicchini, marinaio motorista, da Mantova
Luigi
De Riz, marinaio cannoniere, da Polcenigo
Ermanno
Di Girolamo, marinaio segnalatore, da Pescara
Sergio
Duse, marinaio motorista, da Venezia
Eros
Giacchetti, marinaio motorista, da Firenze
Mario
Lanfredi, guardiamarina (comandante), da Imperia
Davorin
Mikac, marinaio cannoniere, da Trieste
Luigi
Monfredini, marinaio cannoniere, da Cremona
Bruno
Negri, marinaio cannoniere, da Bellano
Antonio
Pastore, sergente cannoniere, da Augusta
Rino
Peterlongo, marinaio cannoniere, da Rovereto
Gioacchino
Terzo, marinaio nocchiere, da Erice
Giuseppe
Zuccaro, marinaio nocchiere, da Catania
La MZ 786 sul sito del Museo della Cantieristica di Monfalcone
Unità da sbarco della Regia Marina
Le motozattere classe MZ su Navypedia
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