Il Fuciliere (Coll. Guido Alfano, via Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net) |
Cacciatorpediniere
della prima serie della classe Soldati (dislocamento standard 1850 tonnellate,
in carico normale 2140 tonnellate, a pieno carico 2460 tonnellate). Durante il
conflitto 1940-1943 effettuò in totale 180 missioni di guerra (15 di ricerca
del nemico, otto di caccia antisommergibili, cinque di trasporto, 37 di scorta
convogli, 42 di trasferimento, 44 per esercitazione e 29 di altro tipo),
percorrendo 61.766 miglia nautiche e passando 2758 ore in mare e 279 giorni ai
lavori.
Il suo motto era "Idem
animus eadem voluntas" (“pari alla volontà il coraggio”).
Breve e parziale cronologia.
2 maggio 1937
Impostazione presso i
Cantieri Navali Riuniti di Ancona (numero di costruzione 163).
31 luglio 1938
Varo presso i
Cantieri Navali Riuniti di Ancona. Presenzia al varo il principe ereditario
Umberto di Savoia.
Impostazione della chiglia del Fuciliere (Coll. Aldo Cavallini, via www.naviearmatori.net) |
Il Fuciliere (al centro) in costruzione ad Ancona nel 1937 insieme all’Alpino (a destra) ed al dragamine D 1 (a sinistra) (Coll. Aldo Cavallini, via www.naviearmatori.net) |
Novembre 1938
Prove in mare.
10 gennaio 1939
Entrata in servizio.
Suo primo comandante è il capitano di fregata Francesco Luigi Padolecchia, 39
anni, da Massa.
Giugno 1939
Riceve a Livorno la
bandiera di combattimento, insieme ai gemelli; la bandiera di ciascuna unità è
offerta dall’associazione d’arma del corpo cui la nave è intitolata.
Il Fuciliere va poi a formare la XIII Squadriglia
Cacciatorpediniere insieme a Granatiere,
Bersagliere ed Alpino. La Squadriglia è assegnata alla VII Divisione (incrociatori
leggeri Eugenio di Savoia, Emanuele Filiberto Duca d’Aosta, Muzio Attendolo e Raimondo Montecuccoli), facente parte della 2a Squadra
Navale.
1939
Compie una crociera
nel Mediterraneo occidentale, con scali in porti spagnoli e portoghesi.
Il Fuciliere a fine 1939 (Coll. Maurizio Brescia, via www.associazione-venus.it) |
Febbraio 1940
Assume il comando del
Fuciliere, al posto del capitano di
fregata Padolecchia, il parigrado Alfredo Viglieri, 39 anni, da Sarzana.
2 maggio 1940
Il Fuciliere ed il gemello Alpino, salpati da Messina, rilevano in
tarda mattinata, all’imboccatura dello stretto, i cacciatorpediniere Leone Pancaldo ed Emanuele Pessagno nella scorta della nuovissima corazzata Vittorio Veneto, in corso di
trasferimento da Trieste a La Spezia dopo la sua consegna alla Regia Marina.
3 maggio 1940
Alle nove del mattino
le tre navi attraversano il Canale di Piombino, ed all’una del pomeriggio, con
La Spezia ormai in vista, Fuciliere
ed Alpino ricevono libertà di
movimento. La Vittorio Veneto si
ormeggerà in rada cinquanta minuti più tardi.
Maggio 1940
Il Fuciliere forma la XIII Squadriglia
Cacciatorpediniere insieme ai gemelli Granatiere,
Bersagliere ed Alpino. La Squadriglia è assegnata alla VII Divisione (incrociatori
leggeri Eugenio di Savoia, Emanuele Filiberto Duca d’Aosta, Raimondo Montecuccoli e Muzio Attendolo), inquadrata nella 2a
Squadra Navale.
10 giugno 1940
All’ingresso
dell’Italia nella seconda guerra mondiale, il Fuciliere (capitano di fregata Alfredo Viglieri) fa sempre parte
della XIII Squadriglia Cacciatorpediniere, assegnata alla VII Divisione Navale,
insieme a Granatiere, Bersagliere ed Alpino.
Il Fuciliere, in secondo piano, segue l’Alpino in una foto del 1940 (da www.wiki.wargaming.net) |
7-11 luglio 1940
Il Fuciliere parte da Palermo alle 12.35 (o
11.50) del 7 luglio insieme al resto della XIII Squadriglia Cacciatorpediniere
(Granatiere, Bersagliere, Alpino) ed alla VII Divisione (incrociatori leggeri Muzio Attendolo, Eugenio di Savoia, Emanuele
Filiberto Duca d’Aosta e Raimondo
Montecuccoli) con il compito di dare scorta indiretta ad un convoglio
diretto a Bengasi (motonavi da carico Marco
Foscarini, Francesco Barbaro e Vettor Pisani, motonavi passeggeri Esperia e Calitea, con la scorta diretta dei due incrociatori leggeri della
II Divisione, dei quattro cacciatorpediniere della X Squadriglia, delle quattro
torpediniere della IV Squadriglia e delle vecchie torpediniere Rosolino Pilo e Giuseppe
Missori) con un carico di 232 veicoli, 10.445 tonnellate di materiali vari
e 5720 tonnellate di carburante, oltre a 2190 uomini.
VII Divisione e XIII
Squadriglia si posizionano 45 miglia ad ovest del convoglio, per fornire
protezione a distanza contro provenienze da Malta.
Il resto della 2a
Squadra Navale (incrociatore pesante Pola,
I e III Divisioni incrociatori con cinque navi in tutto e IX, XI e XII
Squadriglia Cacciatorpediniere) fornisce anch’essa scorta indiretta al
convoglio, stando però 35 miglia ad est di esso, per la protezione a distanza
contro provenienze da est.
La 1a
Squadra Navale (V Divisione con le corazzate Giulio Cesare e Conte
di Cavour, IV e VIII Divisione con sei incrociatori leggeri, VII, VIII, XV
e XVI Squadriglia Cacciatorpediniere con tredici unità) esce anch’essa in mare
a sostegno dell’operazione.
Viene prevista anche
intensa ricognizione aerea, la posa di un campo di mine al largo di Bengasi (da
parte del posamine ausiliario Barletta)
ed un potenziamento dello schieramento dei sommergibili in agguato nel
Mediterraneo orientale, portato a 14 unità.
Le unità della 1a
e della 2a Squadra (ammiraglio Inigo Campioni, comandante superiore
in mare) salpano tra le 12.30 e le 18 del 7 luglio da Augusta (Pola, I e II Divisione), Messina (III
Divisione), Palermo (VII Divisione) e Taranto (IV, V e VIII Divisione).
All’1.50 dell’8
luglio, a seguito della (erronea) segnalazione da parte di Supermarina (sulla
scorta di rilevazioni radiogoniometriche e della ricognizione aerea) circa la
presenza di forze navali britanniche 60 miglia a nord di Ras el Tin,
provenienti da Alessandria, l’ammiraglio Campioni – comandante superiore in
mare – ordina al convoglio di passare dalla rotta 147° (per Bengasi) a 180°,
per un eventuale dirottamento su Tripoli; la VII Divisione modifica anch’essa
la rotta per dirigersi verso il convoglio.
Alle cinque del
mattino Attendolo e Montecuccoli catapultano i loro
idrovolanti da ricognizione, ma questi non trovano traccia delle forze nemiche.
Alle 7.10, tuttavia,
dato che i due ricognitori catapultati non hanno trovato nulla, Campioni ordina
al convoglio di rimettersi in rotta per Bengasi, ed alla VII Divisione di
accompagnarlo.
L’operazione va a
buon fine, ma alle 14.30 ed alle 15.20 dell’8 luglio, a seguito
dell’avvistamento di una formazione britannica – anche la Mediterranean Fleet,
infatti, è in mare (con le corazzate Warspite, Malaya e Royal Sovereign, la portaerei Eagle, cinque incrociatori leggeri e 17 cacciatorpediniere) a
protezione di due convogli da Malta ad Alessandria (operazione «MA 5») – prima
la 2a e poi la 1a Squadra Navale dirigono verso
nord-nordovest per intercettare le navi nemiche (che si teme dirette a
bombardare Bengasi), con l’intento di impegnarle in combattimento almeno un’ora
prima del tramonto.
Alle 19.20, però, in
seguito ad ordini di Supermarina (il comando della Regia Marina, che – a
differenza di Campioni – ha avuto modo di apprendere, tramite la crittografia,
la reale consistenza e finalità dei movimenti britannici) la flotta italiana
accosta per 330° per rientrare alle basi, con l’ordine di non impegnare il
nemico. Anche la VII Divisione riceve da Campioni l’ordine di rientrare, e
dirige pertanto verso lo stretto di Messina, per rientrare a Palermo.
Nel mentre la VII
Divisione, posto il convoglio al sicuro, ha ricevuto (nel primo pomeriggio)
l’ordine di invertire la rotta per rientrare; alle 19.20 essa si dirige verso
lo stretto di Messina, con l’ordine di tenersi sulla sinistra rispetto al
grosso della flotta.
Alle 22 dell’8, però,
arrivano nuovi ordini: Supermarina teme che la Mediterranean Fleet intenda
lanciare un attacco aeronavale contro le coste italiane, perciò ordina alle
forze in mare di riunirsi nel punto 37°40’ N e 17°20’ E, 65 miglia a
sudest di Punta Stilo, entro le 14 del 9 luglio.
Alcune ore dopo
(secondo il giornalista Vero Roberti, imbarcato sull’Eugenio di Savoia come corrispondente di guerra, l’ordine
giunse a mezzanotte e stabiliva di accompagnare ad Augusta l’Attendolo e la XIII Squadriglia,
bisognosi di rifornimento, per poi raggiungere il punto di riunione entro le 14
dell’indomani) l’ammiraglio Paladini, comandante della II Squadra, ordina
pertanto alla VII Divisione di non rientrare a Palermo ma invece di dirigere
verso il punto 37°40’ N e 17°20’ E (65 miglia a sudest di Punta Stilo),
indicato come punto di riunione delle forze navali italiane. In base alle
disposizioni emanate la VII Divisione, quando si sarà ricongiunta con il resto
della flotta, dovrà disporsi in colonna sull’ala sinistra della formazione
italiana.
Alle 11.11 del 9
luglio la VII Divisione avvista a grande distanza due idroricognitori Short
Sunderland; viene aperto il fuoco (dal solo Montecuccoli; l’Attendolo farà
lo stesso più tardi, alle 13.44), ma i due velivoli non sono colpiti, perché
troppo lontani.
Poco dopo le
13.26, 45 miglia ad est-sud-est di Capo Spartivento, la VII
Divisione, proveniente da sud-sud-ovest, viene finalmente avvistata, su
rilevamento 210°, da bordo della Cesare,
nave ammiraglia di Campioni. Sulle prime, a causa dell’angolo visuale e della
difficoltà di osservazione (la VII Divisione proviene proprio dalla direzione
del sole), gli incrociatori di Sansonetti vengono scambiati per tre corazzate
britanniche, tanto che Campioni ordina di assumere rotta 270°; subito dopo,
però, un ricognitore segnala l’avvistamento delle vere corazzate britanniche in
tutt’altra direzione (80 miglia a nordest), contribuendo a chiarire l’equivoco.
La VII Divisione raggiunge il punto di riunione alle 13.45.
Alle 14.05
ha inizio l’avvicinamento alla flotta britannica, e tra le 15.15 e le
15.40 viene aperto il fuoco dai due schieramenti.
Dato che la
Mediterranean Fleet si trova nella direzione opposta della VII Divisione,
rispetto al grosso della flotta, quest’ultimo, nel dirigere incontro al nemico,
ritarda il congiungimento con la VII Divisione. Gli incrociatori di Sansonetti
(e con essi i cacciatorpediniere della XIII Squadriglia), rimasti scaduti, non
avranno così modo di partecipare allo scontro.
La mancata
partecipazione della VII Divisione alla battaglia sarà oggetto di studi e
critiche nei decenni successivi: per la lentezza del suo avvicinamento al
grosso della squadra italiana (causato dai continui cambiamenti di rotta di
quest’ultima, ma anche dalla velocità troppo bassa tenuta dalla VII Divisione:
pur potendo raggiungere i 35-36 nodi, gli incrociatori di Sansonetti mantennero
un’andatura di crociera); per la posizione assunta quando – alle 15.20 – iniziò
la battaglia (a poppavia della V Divisione e leggermente spostata verso
sinistra, anziché in testa alla formazione, sul lato opposto rispetto ad IV e
VIII Divisione, com’era stato ordinato: secondo storici come Giorgio
Giorgerini, sembra strano che non potesse raggiungere la posizione assegnata,
sfruttando la propria velocità). Campioni scriverà, nel suo rapporto finale, di
non aver ritenuto necessario attendere la VII Divisione, dato che la sua
formazione già godeva di considerevole superiorità sull’avversario per quanto
riguardava gli incrociatori.
Conclusa la battaglia
in un nulla di fatto, la VII Divisione con la XIII Squadriglia, senza neanche
riunirsi alla flotta italiana, fa rotta su Palermo (prima, però, catapulta un
ricognitore, che riferisce a Campioni che la flotta britannica si dirige verso
ovest, ma in termini alquanto vaghi), e successivamente, attraversato lo
stretto di Messina, riceve l’ordine di dirigere su Napoli, dove arriva tra le
8.25 e le 9 del 10 luglio.
30 luglio-1° agosto 1940
Il Fuciliere prende il mare, insieme
alle altre unità della XIII Squadriglia (Granatiere, Bersagliere, Alpino) ed alla VII Divisione (Eugenio
di Savoia, Muzio Attendolo, Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Raimondo Montecuccoli), nonché alla I
Divisione (incrociatori pesanti Zara, Fiume e Gorizia, con i cacciatorpediniere Lanciere, Corazziere, Carabiniere ed Alpino della XII Squadriglia), alla
IV Divisione (incrociatori leggeri Alberico
Da Barbiano ed Alberto Di
Giussano con i cacciatorpediniere Antonio Pigafetta, Lanzerotto
Malocello e Nicolò Zeno della
XV Squadriglia) ed agli incrociatori pesanti Pola (nave di bandiera dell’ammiraglio Paladini, comandante
superiore in mare) e Trento, per
fornire protezione a distanza ai convogli diretti in Libia nell’ambito
dell’operazione «Trasporto Veloce Lento». Tali convogli sono tre: il n. 1
(lento, partito da Napoli alle 8.30 del 27 a 7,5 nodi di velocità) è formato
dalle navi da carico Maria Eugenia, Gloria Stella, Mauly, Bainsizza, Barbaro e Col di
Lana e dall’incrociatore ausiliario Città di Bari (qui usato come trasporto) scortati dalle
torpediniere Procione, Orsa, Orione e Pegaso (poi
rinforzate dai cacciatorpediniere Maestrale, Grecale, Libeccio e Scirocco);
il n. 2 (veloce, partito da Napoli alle 00.30 del 29 alla velocità di 16 nodi)
è composto dai trasporti truppe Marco
Polo, Città di Napoli e Città
di Palermo, scortati dalle torpediniere Alcione, Aretusa, Airone ed Ariel; il n. 3 (partito da Trapani) è composto dai piroscafi Bosforo e Caffaro, scortati dalle torpediniere Vega, Perseo, Generale Antonino Cascino e Generale Achille Papa.
Sempre a protezione
dei convogli, viene potenziato lo schieramento di sommergibili nel Mediterraneo
orientale ed occidentale, portandolo in tutto a 23 battelli, e vengono disposte
numerose ricognizioni aeree speciali con mezzi della ricognizione marittima e
dell’Armata Aerea (Armera).
A seguito della
notizia dell’uscita in mare sia del grosso della Mediterranean Fleet da
Alessandria, che da gran parte della Forza H da Gibilterra (incrociatore da
battaglia Hood, corazzate Valiant e Resolution, portaerei Argus ed Ark Royal), che si presume essere dirette
verso il Mediterraneo centrale, i convogli n. 1 e 2 vengono dirottati l’uno a
Catania e l’altro a Messina, dove giungono rispettivamente la sera del 28 ed
alle 13.30 del 29.
Il 30 luglio i due
convogli, più il n. 3 che salpa solo ora, prendono nuovamente il mare per la
Libia, e salpa anche la forza navale di copertura che comprende il Fuciliere. La I e VII Divisione, insieme
a Pola e Trento ed alla XII Squadriglia
Cacciatorpediniere frattanto inviata, si portano in posizione idonea a
proteggere il convoglio n. 2, diretto a Bengasi (gli altri sono diretti a
Tripoli) dalle provenienze da levante. La sera del 31 luglio, quando ormai non
vi sono più pericoli, la formazione degli incrociatori inverte la rotta e
rientra le basi.
Tutti i convogli
raggiungono senza danni le loro destinazioni tra il 31 luglio ed il 1° agosto.
La VII Divisione viene poi inviata a Napoli.
Il Fuciliere nel 1940 (foto Aldo Fraccaroli, via Coll. Luigi Accorsi e www.associazione-venus.it) |
22 agosto 1940
Il Fuciliere, insieme a Bersagliere ed Alpino (caposquadriglia) ed alle torpediniere Circe e Clio, salpa da
Napoli alle 20 per scortare a Bengasi, via Tripoli, il trasporto truppe Esperia.
Le due torpediniere
lasciano il convoglio a Palermo, dopo di che l’Esperia prosegue con la scorta della XIII Squadriglia. (Per altra
versione, la XIII Squadriglia avrebbe rilevato Circe e Clio nella scorta
dell’Esperia al largo di Marettimo).
24 agosto 1940
Il convoglio sosta a
Tripoli dalle 7 alle 11, per poi proseguire verso Bengasi.
25 agosto 1940
Esperia e scorta arrivano a Bengasi alle 9.30.
26 agosto 1940
Fuciliere, Bersagliere, Alpino (caposquadriglia) e le
torpediniere Andromeda ed Aldebaran lasciano Bengasi alle 19.30
per scortare a Napoli l’Esperia.
28 agosto 1940
I tre
cacciatorpediniere si separano dal convoglio a Trapani; l’Esperia, scortato dalle due torpediniere, giungerà a Napoli l’indomani.
1° settembre 1940
Fuciliere, Granatiere, Bersagliere ed Alpino, insieme alla X Squadriglia Cacciatorpediniere (Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco), sono assegnati alla IX
Divisione Navale (corazzate Littorio,
nave ammiraglia del comandante in capo della flotta da battaglia nonché della 1a
Squadra Navale, e Vittorio Veneto).
1-2 settembre 1940
Il Fuciliere partecipa all’uscita in
mare della flotta a contrasto dell’operazione britannica «Hats», consistente in
varie sotto-operazioni: trasferimento da Gibilterra ad Alessandria, per
rinforzare la Mediterranean Fleet, della corazzata Valiant, della portaerei Illustrious e
degli incrociatori Calcutta e Coventry; invio di un convoglio da
Alessandria a Malta e di uno da Nauplia a Porto Said; bombardamenti su basi
italiane in Sardegna e nell’Egeo. Supermarina ha infatti saputo che sia la
Mediterranean Fleet (da Alessandria) che la Forza H (da Gibilterra) sono uscite
in mare, e si è accordata con la Regia Aeronautica per attaccare la prima con
le forze navali di superficie ed attacchi aerei e la seconda con aerei e
sommergibili.
La XIII Squadriglia
cui appartiene il Fuciliere (con Granatiere, Bersagliere ed Alpino)
parte da Taranto alle sei del mattino del 31 agosto insieme alla IX Divisione
(corazzate Littorio, nave di
bandiera dell’ammiraglio di squadra Inigo Campioni, e Vittorio Veneto), alla V Divisione
(corazzate Duilio, Conte di Cavour e Giulio Cesare, quest’ultima aggregatasi
solo il 1° settembre a causa di avarie), alla I Divisione (incrociatori pesanti Zara, Pola, Fiume e Gorizia), all’VIII Divisione
(incrociatori leggeri Luigi di
Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe
Garibaldi) ed ad alle Squadriglie Cacciatorpediniere VII (Freccia, Dardo, Saetta, Strale), VIII (Folgore, Fulmine, Lampo, Baleno), X (Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco), XV (Antonio Pigafetta, Alvise Da Mosto, Giovanni Da Verrazzano e Nicolò Zeno), e XVI (Nicoloso Da Recco, Emanuele Pessagno, Antoniotto Usodimare). Complessivamente,
all’alba del 31 prendono il mare da Taranto, Brindisi e Messina 4 corazzate, 13
incrociatori della I, III, VII e VIII Divisione e 39 cacciatorpediniere.
Le due Squadre Navali
italiane (la 1a Squadra è composta dalle Divisioni V, VII, VIII
e IX e dalle Squadriglie Cacciatorpediniere VII, VIII, X, XIII, XV e XVI; la 2a Squadra
dal Pola, dalle Divisioni I e
III e dalle Squadriglie Cacciatorpediniere IX, XI e XII), riunite, dirigono per
lo Ionio orientale con rotta 150°. Le forze navali sono però uscite in mare
troppo tardi, hanno l’ordine di evitare uno scontro notturno ed hanno una
velocità troppo bassa (20 nodi), ed hanno l’ordine di cambiare rotta e
raggiungere il centro del Golfo di Taranto se non riusciranno ad entrare in
contatto con il grosso nemico entro il tramonto. Tutto ciò impedisce alle forze
italiane di intercettare quelle britanniche; alle 16 Supermarina, che ha
posticipato l’orario del ritorno, ordina un cambiamento di rotta, che impedisce
alla 2a Squadra, che si trova in posizione più avanzata della 1a,
di proseguire verso le forze nemiche (l’ammiraglio Angelo Iachino, comandante
la 2a Squadra, ha chiesto ed ottenuto alle 16.30 libertà di
manovra per dirigere contro le forze britanniche, segnalate alle 15.35
a 120 miglia di distanza, ma alle 16.50 tale autorizzazione viene
annullata; comunque la 2a Squadra non sarebbe egualmente
riuscita a raggiungere le unità avversarie). Alle 17.27 la 2a Squadra
riceve l’ordine d’invertire la rotta ed assumere rotta 335° e velocità 20 nodi,
come la 1a Squadra.
Alle 22.30 del 31 la
formazione italiana, che procede a 20 nodi, riceve l’ordine di impegnare le
forze nemiche lungo la rotta 155°, a nord della congiungente Malta-Zante,
dunque deve cambiare la propria rotta per raggiungerle (o non potrebbe prendere
contatto con esse), dirigendo più verso sudovest (verso Malta) e superando la
congiungente Malta-Zante. Il mattino del 1° settembre, tuttavia, il vento, già
in aumento dalla sera precedente, dà origine ad una violenta burrasca da
nordovest forza 9; le forze italiane si allontanano nuovamente dal Golfo di
Taranto per cercare di nuovo quelle avversarie lungo la rotta 155° ma con
l’ordine di non oltrepassare la congiungente Malta-Zante, il che tuttavia le
tiene lontane dalle rotte possibili da Alessandria a Malta. Verso le 13 la
burrasca costringe la flotta italiana a tornare alle basi, perché i
cacciatorpediniere non sono in grado di tenere il mare compatibilmente con le
necessità operative (non potendo restare in formazione né usare l’armamento).
Poco dopo la mezzanotte del 1° settembre le unità italiane entrano nelle
rispettive basi; tutti i cacciatorpediniere sono stati danneggiati (specie alle
sovrastrutture) dal mare mosso, alcuni hanno perso degli uomini in mare. Le
navi verranno tenute pronte a muovere sino al pomeriggio del 3 settembre, ma
non si concretizzerà alcuna nuova occasione.
Il convoglio
britannico subirà alcune modeste perdite (grave danneggiamento del piroscafo Cornwall, lieve danneggiamento del
cacciatorpediniere Garland) ad opera
della Regia Aeronautica.
7-9 settembre 1940
Il Fuciliere lascia Taranto alle 16
del 7, insieme ai tre gemelli della XIII Squadriglia, al resto della 1a Squadra
Navale (corazzate Littorio e Vittorio Veneto della IX
Divisione, Cesare e Cavour della V Divisione e Duilio della VI Divisione;
cacciatorpediniere Maestrale, Grecale, Libeccio e Scirocco della
X Squadriglia, Freccia, Saetta e Dardo della VII Squadriglia, Folgore, Fulmine e Baleno dell’VIII Squadriglia) ed
alla 2a Squadra (incrociatore pesante Pola, ammiraglia della squadra; incrociatori pesanti Zara e Gorizia della I Divisione, Trento, Trieste e Bolzano della III Divisione;
cacciatorpediniere Carabiniere, Ascari e Corazziere della XII Squadriglia, Alfieri della IX Squadriglia e Geniere della XI Squadriglia).
La flotta italiana,
che procede a 24 nodi, è diretta a sud della Sardegna (in modo da trovarsi 50
miglia a sud di Cagliari entro le 16 del giorno seguente), per intercettare la
Forza H britannica che si presume diretta verso Malta; qualora non sia
possibile ottenere il contatto con il nemico, gli ordini prevedono di dirigere
per il Basso Tirreno a levante della congiungente Capo Carbonara-Marettimo, poi
raggiungere il meridiano 8° Est per le ore 7 del 9 settembre.
In realtà la Forza H,
salpata da Gibilterra il 6 settembre, ha soltanto simulato un’incursione in
Mediterraneo, per coprire il vero obiettivo per della propria uscita in mare:
dirigersi in Atlantico e raggiungere Freetown, per poi attaccare le forze
francesi a Dakar.
Le due squadre navali
attraversano lo stretto di Messina nella notte tra il 7 e l’8 e raggiungono il
punto prestabilito a sud della Sardegna alle 16 dell’8 settembre; però, dato
che la ricognizione non ha avvistato alcuna nave nemica (visto che la Forza H,
dopo la “finta”, si è diretta in Atlantico), la formazione italiana inverte la
rotta e, per ordine di Supermarina, raggiunge le basi del Tirreno meridionale
(Napoli per la 1a Squadra, Palermo e Messina per la I e III
Divisione rispettivamente). Le navi si riforniscono di carburante e rimangono
pronte a muovere, ma non ci sono novità sul nemico, ergo nel pomeriggio
del 10 settembre lasciano Napoli e Palermo per tornare nelle basi di
dislocazione; la 1a Squadra giungerà a Taranto nel tardo
pomeriggio dell’11.
La XIII Squadriglia –
che procede in avanguardia rispetto al gruppo formato da Littorio, Cesare e Cavour – è protagonista, la sera del 7
settembre, di un incidente di fuoco amico che avrebbe potuto avere tragiche
conseguenze: alle 20.50 del 7, a 14 miglia per 138° da Capo Colonne, il Granatiere avvista il sommergibile
italiano Uarsciek (tenente di
vascello Carlo Zanchi) da 5 km di distanza e – non sapendo della sua presenza
in zona, dato che l’Uarsciek avrebbe
dovuto lasciarla già da diverse ore – lo scambia per un sommergibile britannico
delle classi Phoenix o Regulus; apre pertanto il fuoco contro di esso, sparando
due salve dai cannoni prodieri, prontamente imitato dal Bersagliere, e poi manovra per speronarlo. L’Uarsciek s’immerge precipitosamente a 90 metri, dopo di che il Granatiere lancia sei bombe di
profondità, causando alcuni lievi danni al sommergibile; Fuciliere ed Alpino
vengono poi incaricati di proseguire la caccia, fortunatamente senza successo.
(g.c. Giorgio Parodi, via www.naviearmatori.net) |
11-12 novembre 1940
Il Fuciliere (capitano di fregata
Alfredo Viglieri) si trova ormeggiato alle boe in Mar Piccolo a Taranto,
insieme al resto della XIII Squadriglia (Granatiere,
Bersagliere, Alpino) ed agli incrociatori pesanti Trieste e Bolzano, quando
la base viene attaccata da aerosiluranti britannici che affondano la
corazzata Conte di Cavour e
pongono fuori uso la Littorio e
la Duilio. I quattro
cacciatorpediniere della XIII Squadriglia, al momento dell’attacco, sono
ormeggiati a poppavia dei due incrociatori: Bersagliere
e Granatiere rispettivamente a
poppavia dritta e sinistra del Trieste,
Fuciliere ed Alpino a poppavia dritta e sinistra del Bolzano, che è ormeggiato più ad est del Trieste.
Mentre gli
aerosiluranti attaccano le corazzate, cinque bombardieri attaccano a più
riprese le unità presenti in Mar Piccolo, a scopo diversivo, sganciando
complessivamente una sessantina di bombe.
Alle 23.15 dell’11 le
navi in Mar Piccolo aprono il fuoco contro alcuni aerei che sganciano bombe da
una quota valutata in 500 metri; solo due degli ordigni vanno a segno, colpendo
il cacciatorpediniere Libeccio e
l’incrociatore pesante Trento,
ormeggiati con numerose altre unità alla banchina torpediniere ed alla banchina
di Porta Ponente, ma nessuna delle due unità subisce danni seri, in quanto le
bombe non esplodono.
Nel pomeriggio del 12
novembre la XIII Squadriglia, insieme alla X Squadriglia ed alle
corazzate Vittorio Veneto, Giulio Cesare ed Andrea Doria (uniche uscite indenni
dall’attacco), lascia Taranto, base non più sicura, per trasferirsi a Napoli.
16 novembre 1940
La XIII Squadriglia
Cacciatorpediniere (Fuciliere, Bersagliere,Granatiere, Alpino)
salpa da Napoli alle 10.30 del 16, insieme alle corazzate Vittorio Veneto (nave ammiraglia
dell’ammiraglio Campioni, comandante della 1a Squadra) e Cesare, al Pola (nave ammiraglia della 2a Squadra,
ammiraglio Iachino), alla I Divisione con Fiume e Gorizia ed
alla IX Squadriglia Cacciatorpediniere (Alfieri, Oriani, Gioberti, Carducci),
per intercettare una formazione britannica partita da Gibilterra e diretta
verso est, che è stata segnalata nel Mediterraneo occidentale. Si tratta della
Forza H dell’ammiraglio James Somerville (incrociatore da battaglia Renown, portaerei Argus e Ark Royal, incrociatori leggeri Sheffield, Despatch e Newcastle, otto cacciatorpediniere)
uscita da Gibilterra per l’operazione «White», che prevede l’invio a Malta di
14 aerei decollati dall’Argus per
rinforzarne le scarse difese, nonché un’azione di bombardamento di Alghero
(velivoli dell’Ark Royal) ed il
trasporto a Malta di uomini e materiali della RAF sul Newcastle.
Contemporaneamente alla partenza da Napoli del grosso della flotta, escono in
mare da Messina anche la III Divisione (Trento, Trieste, Bolzano) e la XII Squadriglia Cacciatorpediniere (Lanciere, Carabiniere, Ascari, Corazziere), mentre da Palermo salpa la
XIV Squadriglia Cacciatorpediniere (Vivaldi, Da Noli, Tarigo, Malocello).
Le navi uscite da Napoli, prive di dati precisi sul nemico, dirigono verso sud
nel Basso Tirreno; nel pomeriggio del 16 si uniscono al grosso la III Divisione
e la XII e XIV Squadriglia. La forza così riunita sotto il comando
dell’ammiraglio Campioni assume quindi rotta verso est verso l’8° meridiano, a
sudovest della Sardegna, procedendo a 18 nodi, ridotti a 14 nella notte del 17
per agevolare la navigazione dei cacciatorpediniere, resa difficoltosa da un
vento da sudovest.
Per tutta la giornata del 16 non si ricevono informazioni sulle forze nemiche.
17 novembre 1940
Alle 10.15 le forze britanniche vengono avvistate da ricognitori, che però
non precisano né la rotta né la velocità. Campioni dirige verso sud, in
direzione di Bona, sperando di riuscire ad intercettare le unità britanniche
nel pomeriggio, se esse proseguono verso est.
Raggiunto alle 16.30 un punto prestabilito 45 miglia a nord-nord-est di Ustica,
la formazione italiana dirige poi verso ovest ed alle 17.30 arriva 35 miglia a
sudovest di Sant’Antioco. Dopo aver navigato per un po’ in direzione
dell’Algeria, nella totale mancanza su dove sia il nemico e dove esso sia
diretto, la squadra italiana riceve l’ordine rientrare. Campioni rileverà che
le condizioni del mare – onde molto lunghe da sudovest – hanno causato forte
rollio e beccheggio in tutte le sue navi, corazzate comprese, tanto da impedire
l’uso dei cannoni se dirette verso sud. Durante il ritorno le navi italiane
eseguono esercitazioni di tiro contro la scogliera La Botte, a sud di Ponza;
raggiungono le rispettive basi tra il 17 ed il 18 novembre.
Sebbene non vi sia stato contatto tra le opposte formazioni navali, l’uscita in
mare delle forze italiane ha indirettamente causato il fallimento
dell’operazione «White»: a seguito dell’avvistamento della squadra italiana da
parte dei ricognitori di Malta, infatti, Somerville ha fatto lanciare gli aerei
dall’Argus tenendo la portaerei
quanto più ad ovest possibile, cioè più lontana da Malta di quanto inizialmente
pianificato, prolungando di molto la distanza sulla quale gli aerei dovranno
volare. Il risultato sarà che su quattordici aerei decollati dall’Argus (dodici Hawker Hurricane e
due Blackburn Skua) solo cinque (quattro Hurricane ed uno Skua) giungeranno a
Malta: gli altri esauriranno il carburante e precipiteranno in mare a seguito
di errori di navigazione e stime sbagliate sugli effetti del vento, tranne uno
che dovrà effettuare un atterraggio d’emergenza presso Siracusa, venendo
catturato.
Un’altra immagine della nave nel 1940 (foto Signorinello, via Coll. Luigi Accorsi e www.associazione-venus.it) |
26 novembre 1940
Tra le 11.50 e le 12.30
(per una fonte, a mezzogiorno) il Fuciliere lascia
Napoli unitamente a Granatiere, Bersagliere, Alpino, alla VII Squadriglia Cacciatorpediniere (Freccia, Dardo, Saetta) ed alle
corazzate Vittorio Veneto e Giulio Cesare, per intercettare un
convoglio britannico diretto a Malta.
Tale convoglio,
entrato in Mediterraneo il 24 novembre, è composto dai mercantili New Zealand Star, Clan Forbes e Clan Fraser, con la scorta diretta
dell’incrociatore leggero Despatch,
dei cacciatorpediniere Duncan, Wishart ed Hotspur e delle corvette Hyacinth, Peony, Salvia e Gloxinia. La Forza F di protezione
ravvicinata (ammiraglio Lancelot Holland) comprende gli incrociatori
leggeri Manchester, Sheffield e Southampton, mentre come forza di
copertura a distanza è uscita da Gibilterra la Forza H (ammiraglio James
Somerville) con l’incrociatore da battaglia Renown, la portaerei Ark
Royal e sette cacciatorpediniere (Kelvin, Jaguar, Encounter, Faulknor, Firedrake, Fury, Forester). La
Forza H ha raggiunto il convoglio il mattino del 25 dopo che questo, nella
notte precedente, è entrato in Mediterraneo; ad essa dovrà unirsi la formazione
salpata da Alessandria, demominata Forza D (composta dalla corazzata Ramillies, dall’incrociatore
pesante Berwick,
dall’incrociatore leggero Newcastle,
dall’incrociatore antiaerei Coventry e
dai cacciatorpediniere Gallant, Greyhound, Griffin, Diamond, Defender e Hereward), che ha preso il mare nel
pomeriggio del 24 novembre. La Ramillies con Griffin, Greyhound ed Hereward dovrà
unirsi alla Forza H, Berwick e Newcastle alla Forza F,
mentre Gallant e Coventry rinforzeranno la scorta
diretta del convoglio.
Supermarina ha saputo
per la prima volta dell’intensa attività navale nemica il mattino del 25,
quando informatori attivi a Gibilterra hanno comunicato che alle 8.25 la Forza
H è partita con rotta verso est; successivamente l’alto Comando della Regia
Marina ha appreso anche dell’uscita in mare di forze navali britanniche dalla
base di Alessandria.
Da Napoli, oltre al
gruppo che comprende il Fuciliere e
le corazzate, prendono il mare anche l’incrociatore pesante Pola, la I Divisione con due unità
(incrociatori pesanti Fiume e Gorizia) e la IX Squadriglia
Cacciatorpediniere con Vittorio
Alfieri, Alfredo Oriani, Vincenzo Gioberti e Giosuè
Carducci; da Messina salpano alle 12.30 la III Divisione Navale
(incrociatori pesanti Trento, Trieste e Bolzano, al comando dell’ammiraglio Luigi Sansonetti) e la XII
Squadriglia Cacciatorpediniere (Lanciere, Ascari, Corazziere e Libeccio).
I tre gruppi si
riuniscono 70 miglia a sud di Capri (nel punto 39°20’ N e 14°20’ E) alle 18.00,
assumendo poi rotta 260° e velocità 16 nodi, per intercettare la squadra
britannica proveniente da Gibilterra. VII e XIII Squadriglia scortano le due
corazzate (così formando la 1a Squadra). Comandante della 1a Squadra
è l’ammiraglio Inigo Campioni, con bandiera sulla Vittorio Veneto; comandante della 2a Squadra è
l’ammiraglio Angelo Iachino, imbarcato sul Pola.
27 novembre 1940
Alle otto del
mattino, la formazione italiana procede nel seguente ordine: in testa sono
il Pola, nave ammiraglia della 2a Squadra
(che è formata dalla I e dalla III Divisione), e la I Divisione, con rotta 250°
e velocità 16 nodi; la III Divisione procede a cinque miglia per 180° dal
gruppo Pola-I Divisione; la 1a Squadra
(le due corazzate ed i cacciatorpediniere della VII e della XIII Squadriglia,
al comando dell’ammiraglio Campioni) è più a poppavia.
La formazione
italiana ha rotta 260°, verso la Sardegna, ed il mattino del 27 incrocia nove
miglia a sud di Capo Spartivento Sardo, per intercettare uno dei due gruppi
britannici in mare (uno partito da Alessandria ed uno da Gibilterra) prima che
possano riunirsi.
Tra le 8.30 e le 9.10
la 1a Squadra, rimanendo indietro rispetto agli incrociatori
(che formano la 2a Squadra), a poppavia dei quali sta
procedendo, accelera a 17 e poi a 18 nodi per ridurre la distanza.
Le flotte
contrapposte si trovano in quel momento a non grande distanza l’una dall’altra,
ma nessuna conosce con esattezza la posizione dell’avversario; il primo a sapere
con certezza della presenza nei pressi di una potente formazione nemica è
l’ammiraglio Somerville, che di conseguenza, dopo essersi congiunto con la
Forza D (il che fa sì che le forze ai suoi ordini divengano leggermente più
potenti di quelle italiane, mentre Supermarina pianificava uno scontro in
condizioni di superiorità, con la sola Forza H), ordina al convoglio di
proseguire con la protezione di tre cacciatorpediniere e dell’incrociatore
antiaerei Coventry, mentre il
resto della flotta britannica si appresta a fronteggiare quella italiana.
Alle 9.50 le
corazzate italiane avvistano un ricognitore britannico Bristol Blenheim, contro
cui aprono il fuoco alle 10.05 (il velivolo si allontana). Alle 9.45, intanto,
il gruppo britannico proveniente da Alessandria viene avvistato da un
idroricognitore lanciato dal Bolzano alle
7.55, che comunica che una corazzata, due incrociatori e quattro
cacciatorpediniere si trovano a 26 miglia per 20° da Cap de Fer, con rotta 90°
e velocità 16 nodi. Il messaggio del ricognitore viene ricevuto alle 10.05
dall’ammiraglio Iachino e dieci minuti dopo dall’ammiraglio Campioni. Poco dopo
il velivolo aggiunge che si mantiene in contatto visivo con le navi nemiche;
continuerà a tenere il contatto fino alle 10.40.
Sebbene la posizione
indicata sia piuttosto lontana dal vero (troppo ad ovest), questo avvistamento
è il primo concreto segnale, per il comandante superiore in mare, della
presenza delle forze nemiche.
A questo punto, la
formazione italiana dirige per sudest, in modo da intercettare il gruppo nemico
e tagliargli la rotta.
Alle 11 la formazione
inverte la rotta ed aumenta la velocità da 16 a 18 nodi, ed alle 11.28 assume
rotta 135°, per intercettare la formazione britannica che (dalle segnalazioni
dei ricognitori) risulta avere posizione differente da quella prevista. Alle
11.35 Campioni l’ammiraglio Campioni ordina a Iachino di portarsi su
rilevamento 195° rispetto alla sua nave ammiraglia (la Vittorio Veneto), in modo che la
formazione divenga perpendicolare alla probabile direzione d’avvicinamento
della squadra britannica.
Alle 11.55 Campioni
viene informato della presenza del convoglio e di una seconda corazzata,
accompagnata da alcuni incrociatori, non lontano dalla Forza H. Alle 12.07, in
seguito alla constatazione che la formazione britannica appare superiore a
quella italiana (i cui ordini sono di impegnarsi solo se in condizioni di
sicura superiorità) l’ammiraglio Campioni ordina di assumere rotta 90° per
rientrare alle basi senza ingaggiare il combattimento, e di aumentare la
velocità.
Alle 12.15, tuttavia,
le unità della 2a Squadra avvistano improvvisamente quattro
cacciatorpediniere britannici, diretti verso gli incrociatori italiani: le
siluranti nemiche spariscono subito, avendo apparentemente invertito la rotta,
ma poco dopo vengono avvistati altri cacciatorpediniere, incrociatori,
corazzate: è la squadra britannica, che comprende le corazzate Renown e Ramillies, la portaerei Ark
Royal e gli incrociatori Berwick (pesante), Sheffield, Southampton, Newcastle e Manchester (leggeri), oltre a
numerosi cacciatorpediniere. L’ammiraglio Campioni ordina pertanto di
incrementare ancora la velocità (che è di 25 nodi per la 1a Squadra
e di 28 per la 2a Squadra, che deve riunirsi alla
1a essendo più indietro): inizia così la battaglia di Capo Teulada.
Alle 12.20 gli
incrociatori della 2a Squadra aprono il fuoco da 21.500-22.000
metri. Subito gli incrociatori britannici (uno, il Manchester, viene mancato dalla prima salva italiana, sparata
dal Trieste o dal Trento, scartata lateralmente di circa
90 metri) rispondono al fuoco; Berwick, Manchester, Sheffield e Newcastle concentrano
il loro tiro contro le unità della III Divisione. Gli incrociatori italiani
della 2a Squadra, in linea di fila, sono in posizione
favorevole (da “taglio del T”) per sparare con tutte le artiglierie su quelli
britannici, che si trovano invece in linea di fronte e possono usare solo le
torri prodiere, ma per via dell’ordine di Campioni di disimpegnarsi devono
accostare verso nordest.
Per avvicinarsi
rapidamente alla 2a Squadra, alle 12.27 la 1a Squadra
inverte la rotta ad un tempo sulla dritta, ed alle 12.35 inverte nuovamente la
rotta, sempre a dritta; poco dopo un gruppo di aerosiluranti britannici,
decollati dalla portaerei Ark Royal,
si porta a 650 metri dalle corazzate (tra queste ed i cacciatorpediniere della
scorta) e lancia infruttuosamente i propri siluri, undici, tutti evitati con la
manovra. I cacciatorpediniere rispondono con un intenso tiro delle mitragliere
contraeree, così come le corazzate (con i loro pezzi da 90 ed anche da 152 mm
oltre alle mitragliere).
Il tiro degli
incrociatori italiani è intenso dall’apertura del fuoco fino alle 12.42, poi
diventa intermittente tra le 12.42 e le 12.49 a causa di ripetute accostate
necessarie a disturbare l’attacco di aerosiluranti britannici frattanto
apparsi, poi nuovamente intenso dalle 12.49 alle 12.53 e poi, a causa
dell’aumento delle distanze e del fumo (causato soprattutto dalla combustione
forzata delle caldaie, in particolare sulle navi della III Divisione), il ritmo
di tiro deve di nuovo calare, fino a cessare alle 13.15, quando la distanza è
diventata di 26.000 metri.
Due salve da 203 mm
degli incrociatori italiani colpiscono, alle 12.22 ed alle 12.35,
l’incrociatore pesante britannico Berwick:
la prima uccide sette uomini, ne ferisce nove e mette fuori uso la terza torre
da 203 dell’unità britannica, la seconda danneggia il quadrato ufficiali ed i
locali adiacenti, ma il Berwick continua
a fare fuoco con le torri rimaste funzionanti. Nello schieramento italiano, tra
le 12.33 e le 12.40 tre colpi sparati da un incrociatore britannico colpiscono
in sala macchine il cacciatorpediniere Lanciere,
che rimane immobilizzato e verrà successivamente preso a rimorchio dal
gemello Ascari.
Fino alle 12.40 le
navi britanniche (soprattutto gli incrociatori) sparano intensamente contro la
III Divisione, poi spostano il tiro sulla I Divisione, che è divenuta più
vicina (ma il loro tiro è disturbato dal fumo prodotto dalle navi italiane). Le
corazzate britanniche intervengono solo sporadicamente, trovandosi più indietro
rispetto agli incrociatori, senza comunque colpire nulla.
Alle 13.00 la Vittorio Veneto apre il fuoco da
poco meno di 29.000 metri, ma le unità britanniche subito accostano a dritta e
la distanza aumenta a 31.000 metri, costringendo la corazzata a cessare il
fuoco già alle 13.10. Alle 13.15, essendo la distanza (della 2a Squadra
dalle forze britanniche) salita a 26.000 metri, il tiro viene cessato anche
dagli incrociatori, viene rotto il contatto. Ha così fine l’inconclusiva
battaglia di Capo Teulada. Alle 21 del 27 novembre le navi italiane assumono
rotta nord a 15 nodi e procedono sino alle 00.30, poi dirigono verso est fino
alle 7.30 del 28, dopo di che seguono le rotte costiere.
28 novembre 1940
La flotta italiana
arriva a Napoli tra le 13.25 e le 14.40.
Medaglietta ricordo del Fuciliere (da www.wiki.wargaming.net) |
8-11 febbraio 1941
Alle 18.30 dell’8
febbraio il Fuciliere salpa da
La Spezia insieme a Granatiere ed Alpino, nonché alle corazzate Vittorio Veneto (ammiraglia
dell’ammiraglio Iachino), Giulio
Cesare ed Andrea Doria (della
V Divisione) ed alla X Squadriglia Cacciatorpediniere (Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco) per intercettare l’aliquota della Forza H britannica
(incrociatore da battaglia Renown,
corazzata Malaya,
portaerei Ark Royal,
incrociatore leggero Sheffield,
cacciatorpediniere Fury, Foxhound, Foresight, Fearless, Encounter, Jersey, Jupiter, Isis, Duncan e Firedrake)
che sta facendo rotta su Genova con l’intento di bombardare il capoluogo ligure
(ma l’obiettivo della Forza H non è noto ai comandi italiani). Una volta in
mare la XIII Squadriglia assume posizione di scorta ravvicinata a sinistra (la
X Squadriglia assume invece la scorta ravvicinata a dritta) delle tre navi da
battaglia, che procedono su rotta 220° ad una velocità di 16 nodi. Alle otto
del mattino del 9 le unità uscite da La Spezia si riuniscono, a 40 miglia ad
ovest di Capo Testa sardo, alla III Divisione (Trento, Trieste, Bolzano) partita da Messina unitamente
ai cacciatorpediniere Carabiniere e Corazziere della XII Squadriglia, ed
alle 8.25 l’intera formazione assume rotta 230°, dirigendo per quella che è
ritenuta la probabile zona ove si trovano le navi nemiche, nell’ipotesi,
errata, che la loro azione sia diretta contro la Sardegna.
La squadra italiana,
in navigazione verso sudest (verso la posizione in cui si ritiene probabile
trovarsi il nemico), non raggiunge così la Forza H prima che il bombardamento
di Genova si compia (questo avviene dalle 8.14 alle 8.54, mentre la squadra
italiana, del tutto ignara di quanto sta accadendo, si sta radunando al largo
dell’Asinara, e la ricognizione aerea sta cercando inutilmente il nemico ad
ovest della Sardegna: le navi britanniche sparano 273 colpi da 381 mm, 782 da
152 mm e 405 da 114 mm, distruggendo o danneggiando gravemente 254 edifici,
uccidendo 144 civili e ferendone 272 ed affondando due mercantili), e viene
inviata alla sua ricerca mentre questa rientra a Gibilterra: alle 9.35 le navi
italiane assumono rotta 270° (verso ovest), ed alle dieci, in seguito alle
informazioni pervenute con nuovi messaggi (solo alle 9.50 Iachino viene a
sapere del bombardamento di Genova), fanno rotta verso nord, con le corazzate
precedute di 10 km dalla III Divisione. La formazione si trova 30 miglia più a
sud di quanto previsto. Alle 12.44, dopo vari messaggi contraddittori su rotta
e posizione delle forze britanniche, la formazione italiana assume rotta 330°
in modo da poterle intercettare nel caso stiano navigando verso ovest
costeggiando la Provenza (una ipotesi corretta, che avrebbe effettivamente permesso
alle forze italiane di intercettare la Forza H entro un’ora), ma alle 13.16,
dopo aver ricevuto nuovi messaggi su (errati) avvistamenti delle navi
britanniche (una portaerei ancora nel Golfo di Genova, diretta a sud, ed altre
tre navi ad ovest-sud-ovest di Capo Corso con rotta nordest: queste ultime sono
in realtà un convoglio francese, il «CN 4», in navigazione da Tolone a Bona),
che spingono Iachino a pensare che le forze britanniche, divise in due gruppi,
intendano riunirsi ad ovest di Capo Corso per poi ritirarsi verso sud lungo la
costa occidentale della Sardegna (impressione rafforzata dal fatto che un
idroricognitore catapultato dal Trieste non
ha avvistato nulla nelle acque della Provenza, nonché da rilevamenti
radiogoniometrici sospetti che sembrano confermare tale ipotesi), le corazzate
accostano di 60° assumendo rotta 30° (la III Divisione assume invece rotta 50°
alle 13.07), accelerando a 24 nodi (30 per gli incrociatori), e la XIII
Squadriglia riceve l’ordine di riunirsi e posizionarsi all’estremità meridionale
della formazione (analogamente fa la XIII Squadriglia, che però si posiziona
all’estremità settentrionale).
Alle 13.21 viene
diramato l’ordine a tutte le unità di prepararsi al combattimento, ritenendo
prossimo l’incontro con il nemico, ed alle 15.24 e 15.38 vengono avvistate
delle navi sospette, che però si rivelano essere mercantili francesi in
navigazione: quelli del convoglio «CN 4». Alle 15.50 la squadra italiana
accosta verso ovest (rotta 270°) e prosegue a 24 nodi (per il gruppo delle
corazzate; 30 per gli incrociatori) per intercettare la Forza H nel caso stia
navigando verso ovest lungo la costa francese (infatti Supermarina ha
comunicato che tra le 12 e le 13 aerei italiani hanno avvistato ed attaccato la
Forza H a sud della Provenza), ma alle 17.20 la velocità viene ridotta a 20
nodi, mentre vengono meno le speranze di trovare le navi britanniche. Alle 18
le navi accostano verso nord, ed alle 19 verso est, riducendo la velocità a 18
nodi e cessando il posto di combattimento. Durante la notte, in seguito ad un
ordine ricevuto alle 22.50, la squadra italiana incrocia nel golfo di Genova a
15 nodi (accelerando poi a 20 nodi alle otto del mattino del 10), venendosi
così a trovare, alle nove del mattino del 10, al centro del quadratino 19-61,
come ordinato. Alle 9.07 viene ricevuto l’ordine di rientrare a Napoli (Messina
per la III Divisione), dove le navi arrivano nel mattino dell’11 febbraio, in
quanto l’accesso al porto di La Spezia è temporaneamente ostruito dalle mine
lanciate da aerei britannici durante l’attacco; dragate queste ultime, il
gruppo delle corazzate potrà lasciare Napoli nel tardo pomeriggio dell’11,
giungendo a La Spezia nel pomeriggio del 12.
22 marzo 1941
La XIII Squadriglia
Cacciatorpediniere, insieme alla X Squadriglia ed ad una sezione della VII
Squadriglia, lasciano La Spezia per Napoli, scortando la corazzata Vittorio Veneto, che giunge nel
porto partenopeo il mattino del 23, per poi attendere l’inizio
dell’operazione «Gaudo». La XIII Squadriglia prosegue poi per Messina.
27 marzo 1941
Fuciliere (capitano di fregata Alfredo Viglieri), Granatiere, Bersagliere
ed Alpino lasciano Messina, assegnati
alla scorta della corazzata Vittorio
Veneto (nave di bandiera dell’ammiraglio Angelo Iachino, comandante della
Squadra Navale), che insieme alla I Divisione (Zara, Pola, Fiume: ammiraglio di divisione Carlo
Cattaneo), alla III Divisione (Trento, Trieste, Bolzano: ammiraglio di divisione Luigi Sansonetti), alla VIII
Divisione (incrociatori leggeri Duca
degli Abruzzi e Giuseppe
Garibaldi: ammiraglio di divisione Antonio Legnani), alla IX Squadriglia
Cacciatorpediniere (Vittorio Alfieri, Alfredo Oriani, Vincenzo Gioberti, Giosuè Carducci), alla XII Squadriglia (Ascari, Corazziere, Carabiniere)
ed alla XVI Squadriglia (Nicoloso Da
Recco, Emanuele Pessagno), deve
partecipare all’operazione «Gaudo», un’incursione contro il naviglio britannico
nel Mediterraneo orientale, a nord di Creta.
Alle 6.15, davanti a
Messina, la XIII Squadriglia rileva la X Squadriglia (Maestrale, Grecale, Libeccio e Scirocco) che ha scortato la Vittorio Veneto da Napoli sino a
lì, e che entra a Messina, rifornendosi e restandovi poi pronta a muovere. Più
o meno alla stessa ora, la III Divisione scortata dalla XII Squadriglia assume
posizione sette miglia a proravia della corazzata: queste unità formano il
gruppo «Vittorio Veneto», sotto il diretto comando dell’ammiraglio Iachino,
mentre I e VIII Divisione costituiscono il gruppo «Zara» al comando
dell’ammiraglio Cattaneo.
La navigazione
prosegue senza incidenti sino alle 12.25, quando il Trieste comunica a Iachino la presenza di un ricognitore
britannico Short Sunderland a sud della III Divisione (e che continuerà a
tenerla d’occhio per mezz’ora); in seguito a questo – alle 12.20 il Sunderland
ha comunicato l’avvistamento di tre incrociatori ed un cacciatorpediniere a
cinque miglia per 270°, al largo di Capo Passero, per poi precisare alle 12.35
che le navi avvistate hanno rotta 120° e velocità 15 nodi: entrambi i messaggi
vengono intercettati dalla Vittorio
Veneto –, la squadra italiana, poco dopo le 14, accosta per 150°
(prima la rotta era 134°) per trarre in inganno il velivolo (il cui messaggio
rischia di rivelare la destinazione, e dunque le intenzioni, della squadra
italiana), e segue questa rotta sino alle 16, per poi riaccostare per 130°, e
poi – alle 19.30 – per 98° portando la velocità a 23 nodi, in modo da arrivare
nel punto prestabilito a sud di Gaudo all’alba del 28. Alle 22 Supermarina
annulla il pianificato attacco a nord di Creta, dato che dalla ricognizione
risulta che non vi sono convogli da attaccare.
28 marzo 1941
Alle 6.35 del mattino
un idroricognitore catapultato dalla Vittorio
Veneto avvista a sud di Gaudo la Forza B britannica (composta dagli
incrociatori leggeri Orion, Ajax, Perth e Gloucester e
dai cacciatorpediniere Vendetta, Hasty, Hereward ed Ilex),
in navigazione con rotta stimata 135° e velocità 18 nodi una quarantina di
miglia ad est-sud-est dall’ammiraglia italiana. Alle 6.57, pertanto, mentre la
III Divisione riceve l’ordine di assumere rotta 135° e velocità 30 nodi (per
raggiungere gli incrociatori britannici, poi dirigere verso la Vittorio Veneto ed attirarli così
verso la corazzata), la Vittorio
Veneto ed il sopraggiungente gruppo «Zara» (che si riunisce al resto
della squadra nelle prime ore del 28, 55 miglia a sudest di Capo Spartivento
Calabro) aumentano la velocità a 28 nodi. Iachino intende far raggiungere alla
III Divisione gli incrociatori britannici, poi farla dirigere verso la Vittorio Veneto ed attirarli così
verso la corazzata, e di conseguenza alle 7.34 ordina alla III Divisione di
ripiegare verso la Vittorio Veneto dopo
aver avvistato le forze britanniche. A quell’ora le navi di Sansonetti
aumentano la velocità cercando il nemico, non ancora visibile, che secondo le
informazioni del ricognitore dovrebbe trovarsi a sudest, cioè all’incirca di
prora a dritta. Pochi minuti dopo, alle 7.39, la III Divisione viene avvistata
da un ricognitore decollato dalla portaerei britannica Formidable.
Alle 7.55 la III
Divisione avvista la Forza B, comunicandolo a Iachino, ma dato che anche la
Forza B cerca di attirare le navi italiane verso il grosso della Mediterranean
Fleet (uscita in mare al comando dell’ammiraglio Andrew Browne Cunningham con
le corazzate Barham, Valiant e Warspite e la portaerei Formidable, della cui presenza in mare gli italiani sono del tutto
all’oscuro), e pertanto si ritira, la manovra pianificata dall’ammiraglio
Iachino non si concretizza, e sono invece le navi italiane ad inseguire quelle
britanniche. Ha così inizio lo scontro di Gaudo.
Alle 8.12 la III
Divisione apre il fuoco sulla Forza B da 22.000 (fonti italiane)-23.000 (fonti
britanniche) metri, mentre le unità britanniche, i cui cannoni da 152 mm
(essendo tutti incrociatori leggeri) hanno gittata minore dei 203 dei “Trento”,
non aprono il fuoco per un quarto d’ora, tranne il Gloucester, il quale, essendo la nave in coda e dunque più vicina a
quelle italiane, spara tre salve, che cadono corte, a partire dalle 8.27-8.29,
da 21.000 metri di distanza. È proprio il Gloucester, per via della sua posizione, a costituire il bersaglio
principale dei cannoni della III Divisione, dovendo iniziare a zigzagare per
evitare di essere colpito dall’accurato tiro delle navi di Sansonetti, che poco
dopo accostano in fuori di 25°, passando da rotta 160° a rotta 135° (così
portandosi fuori portata dei cannoni della Forza B), per poi riassumere, verso
le 8.36, rotta nuovamente parallela a quella della Forza B.
Alle 8.36 Iachino
ordina alla III Divisione di dirigere verso ovest ed interrompere il
combattimento qualora non riesca a raggiungere le navi nemiche, ritenendo, a
ragione, pericoloso spingersi troppo verso est, in zona dove il controllo dei
cieli è in mano britannica.
La III Divisione
continua il tiro fino alle 8.55, ma non riesce a colpire nessuna nave: tutte le
salve cadono corte tranne un proiettile del Bolzano che colpisce il Gloucester senza esplodere, mentre Orion e Perth subiscono
solo lievi danni da schegge.
Terminato
l’infruttuoso inseguimento e scambio di cannonate, le navi italiane alle 8.55
accostano per 270° ed assumono rotta 300° e velocità di 28 nodi, seguite a
distanza dalla Forza B, che tiene informato il resto della Mediterranean Fleet
dei movimenti delle unità italiane. Essendosene reso conto, alle 10.02 (per
altra fonte, le 10.17) l’ammiraglio Iachino ordina alla III Divisione di
proseguire sulla sua rotta fino a nuovo ordine e tenersi pronta al
combattimento, mentre la Vittorio
Veneto (scortata dalla XIII Squadriglia) e le altre navi invertono la
rotta (assumendo rotta 90°) per sorprendere alle spalle la Forza B (portandosi
ad est delle navi britanniche e poi accostando verso sud), porla tra due fuochi
(la III Divisione ed il resto della formazione italiana) ed impedirne la
ritirata.
Le unità della Forza
B sono però più a nord di quanto ritenuto (e segnalato) e pertanto l’incontro
avviene alle 10.50: sulle prime la Forza B, incerta se le navi avvistate siano
amiche o nemiche, effettua il segnale di riconoscimento, ma alle 10.56 la Vittorio Veneto apre il fuoco da
23.000 metri, ordinando al contempo alla III Divisione di invertire la rotta e
riprendere il combattimento. La Forza B accosta subito verso sud e si ritira
inseguita dalle navi italiane, ma le distanze vanno aumentando ed il tiro
della Vittorio Veneto risulta
inefficace. Alle 10.57 vengono avvistati sei aerei che si rivelano poi essere
aerosiluranti britannici (Fairey Swordfish decollati dalla Formidable), che alle 11.18 attaccano:
la corazzata italiana accosta sulla dritta, e la XIII Squadriglia (compreso l’Alpino) si porta in posizione adatta ad
impedire l’attacco, aprendo intenso fuoco contraereo; alle 11.25 gli
aerosiluranti lanciano, ma sono costretti a farlo da una distanza eccessiva, ed
i siluri non vanno a segno. Lo scontro di Gaudo, combattuto a distanze
variabili tra i 22.000 ed i 26.000 metri, si è concluso senza risultati
tangibili, all’infuori di qualche danno da schegge sulle navi britanniche per
colpi caduti vicini.
Successivi messaggi e
segnalazioni, che confermano l’assenza di traffico convogliato britannico da
attaccare, fanno decidere all’ammiraglio Iachino di proseguire nella
navigazione di ritorno verso le basi italiane, ed alle 11.30 la formazione di
Iachino si avvia sulla rotta di rientro.
Alcune ore prima,
alle nove del mattino, un ricognitore ha comunicato alla Vittorio Veneto la presenza di una
portaerei, due corazzate e naviglio minore in una posizione vicina a quella
delle navi italiane: Iachino e Supermarina hanno però pensato che il
ricognitore abbia semplicemente avvistato la squadra italiana, scambiandola per
nemica. E invece è davvero il nemico: il grosso della Mediterranean Fleet al
comando dell’ammiraglio Cunningham.
Nemmeno una nuova
segnalazione delle 14.25, secondo cui alle 12.15 un aereo ha avvistato una
corazzata, una portaerei, sei incrociatori e cinque cacciatorpediniere 79
miglia ad est della Vittorio
Veneto, verrà presa in considerazione: Supermarina e Iachino la riterranno
sbagliata, dato anche che un precedente rilevamento radiogoniometrico ha
individuato la squadra britannica come a 170 miglia da quella
italiana. Mezz’ora dopo Supermarina comunica a Iachino che «Dalle intercettazioni radiogoniometriche
nave nemica ore 13.15 a miglia 110 per 60° da Tobruk trasmette ordini
a Creta e ad Alessandria»; alle 11.15 i crittografi imbarcati sulla Vittorio Veneto decrittano un
messaggio dell’ammiraglio Henry Pridham-Wippel, comandante della Forza B, che
dice a Cunningham «Dirigo per incontrarvi».
Ma la granitica certezza di Iachino, che Cunningham e corazzate siano ad
Alessandria, non viene scossa.
Uno dei due messaggi
sopra citati viene intercettato anche sul Fuciliere,
come ricorderà anni dopo il comandante Viglieri, che scriverà nelle sue memorie
che la nave aveva intercettato un comunicazione della Regia Aeronautica in cui
si riferiva della presenza di corazzate, una portaerei ed altre unità ad un
centinaio di miglia dalla formazione italiana, e che il suo ufficiale di rotta
aveva fornito la posizione dei britannici; Iachino aveva ritenuto trattarsi di
un falso avvistamento della squadra italiana.
Alle 12.07 la III
Divisione viene attaccata da tre aerosiluranti britannici, che lanciano contro
il Bolzano, ma riesce a sventare
l’attacco contRomanovrando ed aprendo
un intenso tiro contraereo; parimenti senza successo sono due attacchi di
bombardieri contro la stessa Divisione alle 15.20 ed alle 16.58.
Alle 14.30, 15.01 e
15.40 la Vittorio Veneto viene
attaccata da bombardieri in quota britannici (le bombe cadono a 50-150 metri
dalle navi); anche la I Divisione subisce ripetuti attacchi aerei.
Complessivamente, nel corso del pomeriggio, la squadra italiana subirà cinque
attacchi da parte di un totale di trenta bombardieri Bristol Blenheim della
Royal Air Force decollati da basi in Grecia, e tre attacchi da parte di un totale
di diciotto aerosiluranti Fairey Swordfish e Fairey Albacore della Fleet Air
Arm decollati dalla Formidable e
dalla base cretese di Maleme. I dodici caccia FIAT CR. 42 della Regia
Aeronautica di base a Scarpanto, che nel mattino sono saltuariamente apparsi
sul cielo delle navi e nei quali Iachino ripone le sue speranze per la
protezione contro gli attacchi aerei, non sono più in grado di fornire
copertura aerea alla squadra nel pomeriggio, essendosi questa allontanata oltre
il limite della loro autonomia, anche con i serbatoi supplementari.
Alle 15.19 si
verifica un secondo attacco di aerosiluranti che, in tre (su cinque Albacore
dell’829th Squadron originariamente decollati dalla Formidable), attaccano la corazzata,
mentre dei caccia attaccano le unità della XIII Squadriglia per ridurre
l’efficacia del loro tiro contraereo contro gli aerosiluranti; anche dei
bombardieri in quota partecipano all’attacco. L’intenso tiro contraereo dei
cacciatorpediniere della XIII Squadriglia (che sono disposti sui fianchi della Vittorio Veneto formando due colonne: Fuciliere seguito dal Granatiere a dritta, Bersagliere seguito dall’Alpino a sinistra) colpisce uno degli
aerosiluranti (pilotato dal capitano di corvetta John Dalyell-Stead), che però,
prima di essere colpito dal tiro incrociato del Fuciliere e della Vittorio
Veneto durante la manovra di disimpegno e precipitare in mare con la morte
dei tre uomini di equipaggio, riesce a ridurre le distanze con la Vittorio Veneto a meno di mille metri
ed a lanciare un siluro, che colpisce la nave da battaglia a poppa, in
posizione 35°00’ N e 22°01’ E: in quel momento la squadra italiana si trova a
420 miglia da Taranto.
Alle 15.30 la Vittorio Veneto, che ha imbarcato 4000
tonnellate d’acqua, si immobilizza, ma dopo sei minuti rimette in moto, sebbene
a fatica: solo alle 17.13 riesce a sviluppare una velocità di 19 nodi.
La flotta italiana
dirige su Taranto, ed alle 16.38 l’ammiraglio Iachino, in previsione di altri
attacchi aerei in arrivo al tramonto (di cui è stato informato dal gruppo di
crittografi di Supermarina imbarcato sulla Vittorio
Veneto, che ha intercettato alcune comunicazioni britanniche), lascia
l’VIII Divisione libera di rientrare a Brindisi ed ordina che le altre unità si
dispongano intorno alla danneggiata Vittorio
Veneto per proteggerla da altri attacchi. La formazione risulterà
assunta alle 18.40, con cinque colonne di unità disposte in linea di fila: da
sinistra a destra, la XII Squadriglia Cacciatorpediniere (Corazziere, Carabiniere, Ascari), la III Divisione (Trieste, Trento, Bolzano),
la Vittorio Veneto preceduta
da Granatiere (in testa)
e Fuciliere (tra il Granatiere e la corazzata) e
seguita da Bersagliere (tra
la nave da battaglia e l’Alpino)
ed Alpino (in coda), la I
Divisione (Zara, Pola, Fiume) e la IX Squadriglia (Vittorio
Alfieri, Vincenzo Gioberti, Giosuè Carducci, Alfredo Oriani). Alle 18.23 (nel
frattempo la velocità della Vittorio
Veneto è scesa a 15 nodi) vengono avvistati nove aerosiluranti britannici,
che si tengono a distanza, alle 18.51 tramonta il sole, ed alle 19.15 la
formazione italiana accosta per conversione ed assume rotta 270° (in modo da
essere meno illuminata possibile dal sole che tramonta) ed alle 19.24 i
cacciatorpediniere in coda iniziano a stendere cortine fumogene. Alle 19.28 gli
aerosiluranti si avvicinano – le navi più esterne accendono i proiettori – ed
alle 19.30 l’Alpino segnala che
gli aerei britannici sono vicinissimi: di conseguenza, su ordine
dell’ammiraglio Iachino, vi è una nuova accostata per conversione (rotta assunta
300°). Sei minuti dopo tutti i cacciatorpediniere emettono cortine fumogene ed
aprono il fuoco, mentre gli aerei passano all’attacco: intorno alle 19.50
il Pola viene colpito ed
immobilizzato da un siluro. Cessato l’attacco, e calato il buio, alle 19.50 si
spengono i proiettori ed alle 20.11 cessa l’emissione di cortine fumogene. Alle
20.05 l’ammiraglio Iachino ordina alla XIII Squadriglia di assumere posizione
di scorta ravvicinata, mentre la I e la III Divisione si posizionano 5 km
rispettivamente a prua ed a poppa della nave ammiraglia. Proprio in quei minuti
si scopre che il Pola è
stato immobilizzato (dapprima si era ritenuto che l’attacco fosse stato
respinto senza danni), ed alle 21.06 la I Divisione, su ordine di Iachino,
inverte la rotta per andare al soccorso dell’incrociatore colpito.
Questa decisione, poi
molto discussa, porterà al disastro: la I Divisione verrà infatti sorpresa
mentre raggiunge il Pola dalle
corazzate di Cunningham e sarà annientata, con la perdita di Zara, Pola, Fiume, Alfieri e Carducci oltre che dello stesso Pola (e di oltre 2300 uomini), in quella che rimarrà la
peggior sconfitta mai subita dall’Italia sul mare. Dopo la separazione dalla I
Divisione, il resto della squadra italiana prosegue con rotta 323° e velocità
19 nodi alla volta di Taranto: la navigazione prosegue senza incidenti sino
alle 22.30 quando, in lontananza, vengono avvistate le vampate di artiglierie:
le navi italiane stanno assistendo alla fine della I Divisione. Il tiro che si
osserva a distanza si svolge in più fasi, alle 22.30, 22.40 e 23.06, i bagliori
delle ultime esplosioni vengono visti alle 23.55.
29 marzo 1941
Il resto della
formazione italiana, inutilmente cercato dalla Forza B (che invece trova
il Pola immobilizzato,
scambiandolo per la Vittorio Veneto)
e da una flottiglia di otto cacciatorpediniere britannici al comando del
capitano di vascello Philip Mack fin dopo mezzanotte, viene raggiunto dall’VIII
Divisione (frattanto richiamata) alle otto del 29 marzo, a 60 miglia per 139°
da Capo Colonne; la III Divisione si pone quindi a dritta della Vittorio Veneto, con la VIII Divisione a
sinistra della corazzata. A partire dalle 6.23 giungono sul cielo della
formazione, per scortarla nella navigazione di rientro, aerei tedeschi ed
italiani: la scorta aerea, mancata – elemento cruciale – durante tutta
l’operazione, arriva solo ora, nel golfo di Taranto.
Alle 9.08 la
formazione italiana assume rotta 343°, mettendo la prua su Taranto, dove arriva
poco dopo le 15.30.
Un’altra immagine del Fuciliere (da www.piombino-storia.blogspot.com) |
22-23 aprile 1941
Pochi giorni dopo la
conclusione dell’invasione della Jugoslavia, Supermarina dispone l’invio della XIII
Squadriglia Cacciatorpediniere ad occupare le isole di Lissa, Curzola e Meleda.
I quattro cacciatorpediniere, partiti da Brindisi, arrivano a Spalato durante
la notte; il Granatiere vi rimane,
immobilizzato da un’avaria, mentre Fuciliere,
Bersagliere ed Alpino ripartono all’alba con a bordo truppe da sbarcare nelle
Curzolane (una compagnia per nave).
Il Fuciliere, in particolare, sbarca a
Curzola un reparto di camicie nere imbarcate a Brindisi.
8 maggio 1941
Fuciliere, Bersagliere ed Alpino, insieme a Maestrale e Scirocco,
salpano da Palermo dopo le 20 scortando gli incrociatori leggeri Giovanni delle Bande Nere, Luigi Cadorna, Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi, per eseguire una crociera di vigilanza a nord
della Sicilia. È in corso l’operazione britannica «Tiger», consistente
nell’invio da Gibilterra ad Alessandria di un convoglio di cinque piroscafi
veloci carichi di rifornimenti e rinforzi per le forze britanniche operanti in
Egitto (tra cui 238 carri armati e 43 aerei da caccia), e da Alessandria a
Malta di due convogli (uno veloce di quattro navi da carico, ed uno lento di
due navi cisterna) con rifornimenti per la guarnigione dell’isola (il primo è scortato
dagli incrociatori leggeri Dido, Calcutta e Phoebe e da 4 cacciatorpediniere,
il secondo dagli incrociatori antiaerei Carlisle e Coventry,
da 3 cacciatorpediniere e da 2 unità minori). Al contempo, la corazzata Queen Elizabeth e tre incrociatori
leggeri (Naiad, Fiji e Gloucester, più 5 cacciatorpediniere) si trasferiscono da
Gibilterra ad Alessandria per rinforzare la Mediterranean Fleet, che esce in
mare a copertura dell’operazione (con le corazzate Warspite, Valiant e Barham, la portaerei Formidable e 12
cacciatorpediniere), al pari della Forza H da Gibilterra (incrociatore da
battaglia Renown,
portaerei Ark Royal,
incrociatore Sheffield e 9
cacciatorpediniere).
La reazione della
Marina italiana, pur messa sull’allarme dai molti avvistamenti, non si
materializza: Supermarina, disponendo soltanto di due corazzate in efficienza (Cesare e Doria; altre due, Duilio e Littorio, sono in riaddestramento dopo
il completamento dei lavori di riparazione dei danni subiti nell’attacco di
Taranto nel mese precedente, mentre la Vittorio
Veneto è in riparazione per i danni subiti nella battaglia di Capo
Matapan), decide di non tentare di intervenire contro una forza britannica che
conta 5 tra corazzate ed incrociatori da battaglia (3 da Alessandria e 2 da
Gibilterra) più 2 portaerei, giudicando il rapporto di forze troppo
sfavorevole.
L’uscita da Palermo
della formazione che comprende il Fuciliere è
appunto l’unico provvedimento disposto da Supermarina in concomitanza con
l’operazione nemica, ordinato per l’eventualità che la flotta britannica sia
uscita in mare per lanciare un altro attacco di aerosiluranti analogo a quello
del novembre precedente contro Taranto.
Per ogni evenienza,
vengono approntate a Napoli le corazzate Cesare e Doria ed
a Taranto gli incrociatori ivi presenti, ma nessuna di queste unità prenderà il
mare. Il maltempo impedisce l’impiego di MAS e torpediniere nel Canale di
Sicilia, cui si è fatto ricorso altre volte.
Il passaggio del
convoglio britannico sarà contrastato solo dagli aerei della Regia Aeronautica,
che nonostante ripetuti attacchi non riusciranno ad affondare alcuna nave, a
causa sia del tempo fosco con nuvole basse che della reazione della scorta
aerea britannica; una bomba danneggia gravemente il cacciatorpediniere
britannico Fortune, mentre da parte italiana vengono perduti cinque aerei.
Uno dei mercantili britannici, l’Empire
Song, affonderà per urto contro mina, ma gli altri giungeranno tutti a
destinazione.
9 maggio 1941
Le navi partite da
Palermo vi fanno ritorno, dopo aver infruttuosamente percorso 296 miglia
incontrando cattivo tempo per tutta la notte.
11-14 maggio 1941
Il Fuciliere parte da Palermo alle
18.40, insieme agli incrociatori leggeri Giovanni delle Bande Nere, Luigi
Cadorna (che formano la IV Divisione), Duca degli Abruzzi e Garibaldi (che
formano la VIII Divisione) ed ai cacciatorpediniere Da Recco, Pessagno, Usodimare, Bersagliere, Alpino,
Maestrale e Scirocco (questi ultimi quattro,
insieme al Fuciliere, scortano
la IV Divisione, mentre i tre “Navigatori” scortano l’VIII Divisione), per
fornire protezione a distanza a due convogli: uno (piroscafi italiani Ernesto e Tembien, motonavi Giulia e Col di Lana, piroscafi tedeschi Preussen e Wachtfels, scortati dai
cacciatorpediniere Dardo, Aviere – caposcorta –, Geniere, Grecale e Camicia
Nera) in navigazione da Napoli (da dov’è partito alle due dell’11, dopo
essere partito già l’8 salvo poi rientrare per allarme navale) a Tripoli, dove
arriva alle 11.40 del 13; l’altro (motonavi italiane Victoria, Andrea Gritti e
Barbarigo, motonave tedesca Ankara, cacciatorpediniere Vivaldi, Malocello, Saetta e Da Noli) in navigazione in direzione
opposta (partito da Tripoli alle 19.30 del 12, arriva a Napoli alle 16.30 del
14).
La IV Divisione
raggiunge il convoglio in navigazione da Napoli a Tripoli alle cinque del
mattino del 12 maggio, ma nel pomeriggio dello stesso giorno il Bande Nere subisce delle
infiltrazioni di acqua salata nei condensatori delle caldaie poppiere, che alle
17 costringono il Comando della IV Divisione a trasbordare sul Cadorna, dopo di che il Bande Nere rientra a Palermo,
scortato dall’Alpino.
Il resto della
Divisione rientrerà a Palermo al termine dell’operazione.
2 giugno 1941
Il Fuciliere salpa da Palermo alle 19.45 insieme
a Granatiere, Bersagliere ed Alpino per scortare l’VIII Divisione Navale (ammiraglio di
divisione Antonio Legnani), formata dai moderni incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi, durante una missione
di copertura a distanza per la navigazione da Napoli (da dov’è partito alle
19.30 del 1° giugno) a Tripoli del convoglio «Aquitania», formato dai
piroscafi Beatrice C., Aquitania, Caffaro, Nirvo e Montello e dalla moderna motonave
cisterna Pozarica: si tratta di
uno dei più grandi convogli sino ad allora inviati in Libia, ed in assoluto uno
dei più grandi dell’intera battaglia dei convogli nordafricani. La scorta
diretta è composta dai cacciatorpediniere Dardo,
Aviere (caposcorta), Geniere e Camicia Nera.
3 giugno 1941
Alle 16.30, ad una
ventina di miglia dalle Kerkennah, il convoglio viene attaccato da bombardieri
britannici, che colpiscono il Montello
ed il Beatrice C: il primo, carico di
munizioni, esplode con la perdita di tutto l’equipaggio, mentre il secondo
viene incendiato e dev’essere finito dal Camicia
Nera dopo essere stato abbandonato dall’equipaggio. Un aereo viene
abbattuto.
4 giugno 1941
Alle 14.10 il resto
del convoglio raggiunge Tripoli; il gruppo di scorta a distanza rientra a
Palermo alle 18.
28 giugno 1941
Il capitano di
fregata Viglieri lascia il comando del Fuciliere,
venendo sostituito dopo pochi giorni dal parigrado Giulio Cerrina Feroni, 41
anni, da Firenze.
Alle 14.10 dello
stesso giorno Fuciliere, Bersagliere e Montecuccoli, in navigazione verso Palermo (dove arriveranno alle
15.30), vengono avvistati a cinque miglia di distanza, su rilevamento 230° e
con rotta 130°, dal sommergibile britannico Utmost
(capitano di corvetta Richard Douglas Cayley), che identifica il Montecuccoli come un incrociatore classe
Condottieri. Non riuscendo ad avvicinarsi a sufficienza per poter attaccare, l’Utmost lancia il segnale di scoperta, ma
Malta non accusa ricevuta.
10 luglio 1941
Alle 21.45 il Fuciliere salpa da Napoli per scortare a
Tripoli, insieme all’Alpino ed alle
torpediniere Orsa, Procione e Pegaso, un convoglio formato dai piroscafi Ernesto, Nita, Nirvo, Aquitania e Castelverde.
Caposcorta è proprio il Fuciliere.
11 luglio 1941
Alle 16.30 si unisce
alla scorta anche il cacciatorpediniere Lanzerotto
Malocello, proveniente da Palermo.
14 luglio 1941
Il convoglio arriva a
Tripoli alle 6.
Alle 16 (o 17) Fuciliere, Malocello (caposcorta), Alpino,
Procione, Orsa e Pegaso lasciano
Tripoli scortando le motonavi Rialto,
Andrea Gritti, Ankara (tedesca), Barbarigo
e Sebastiano Venier.
Questo convoglio,
denominato «Barbarigo», è il primo ad essere oggetto con successo delle
intercettazioni di “ULTRA”, che l’11 luglio 1941, tre giorni prima della
partenza, apprende da messaggi decrittati che un convoglio di sei mercantili di
5000 tsl, scortato da cacciatorpediniere, lascerà Tripoli alle 16 del 14
luglio, procedendo a 14 nodi, passando a est delle Kerkennah alle cinque del
mattino del 15 luglio e poi ad ovest di Pantelleria alle 14 del 15 luglio,
probabilmente diretto a Napoli.
In seguito a
quest’informazione, i comandi britannici schierano uno sbarramento di
sommergibili (tra cui l’Union ed
il P 33) attorno a Pantelleria,
dove sannno che il convoglio dovrà passare nel primo pomeriggio del 15.
Vengono anche
lanciati diversi attacchi aerei tra il 14 ed il 15 luglio, ma i velivoli –
Fairey Swordfish decollati da Malta – non riescono a localizzare il convoglio
da attaccare.
15 luglio 1941
In mattinata il
convoglio viene localizzato da un ricognitore britannico, e nel pomeriggio si
verificano gli attacchi dei sommergibili.
Alle 11.20 il Fuciliere avvista Pantelleria, su
rilevamento 24°, ed accosta in tale direzione insieme al resto del convoglio,
procedendo a zig zag; oltre ai cacciatorpediniere ed alle torpediniere, è
presente anche una scorta aerea, con due caccia e due idrovolanti CANT Z. 501.
Alle 14.07 il P 33 (tenente di
vascello Reginald Denis Whiteway-Wilkinson) avvista il convoglio nel punto
36°27’ N e 11°54’ E, da una distanza di 10 km; alle 14.16 Wilkinson ne
stima la composizione in cinque mercantili carichi a metà, in due colonne
composte da due navi ciascuna, con la quinta che procede in posizione più
avanzata, equidistante dalle due colonne, ed una scorta costituita da sei
torpediniere classe Spica, due a proravia del convoglio e due su ciascun lato,
spostate verso poppa, più un aereo.
Avvicinatosi con
l’intento di attaccare il mercantile di testa della colonna di dritta, alle
14.39 il P 33 lancia quattro siluri da 2300
metri di distanza.
Alle 14.41 il
convoglio si trova a 21 miglia per 209° da Punta Sciaccazza (a sud di
Pantelleria; altra fonte parla di otto miglia a sud di Punta Sciaccazza) quando
l’Alpino riferisce per
radiosegnalatore «Scie di siluro a dritta», mentre uno dei velivoli della
scorta aerea (l’idrovolante CANT Z. 501/6 della 144a Squadriglia
della Regia Aeronautica) si getta in picchiata sul punto dove si presume essere
il sommergibile nemico, sganciando due bombe per poi inseguire e mitragliare le
scie dei siluri. L’Alpino avvista a
2000 metri su rilevamento 110° una bolla d’aria e l’inizio della scia di un
siluro, che evita di stretta misura con un’accostata sulla dritta, dopo di che
si porta sul punto del lancio e lancia 28 bombe di profondità; anche un CANT Z.
501 (l’idrovolante numero 2 della 144a Squadriglia) lancia due
bombe di profondità, oltre a continuare ad indicare la posizione del
sommergibile. Poco dopo, alle 14.43, la Barbarigo
– prima nave della fila di dritta – viene colpita a poppa da un siluro.
Subito dopo il
siluramento della Barbarigo, il Fuciliere avvista a proravia dritta una
scia di siluro che dirige per tagliargli la rotta; il cacciatorpediniere
accosta con tutta la barra a sinistra ed avvista intanto una seconda scia di
siluro, che corre parallelamente alla prima, con rotta leggermente divergente.
Le due scie passano in mezzo al convoglio.
Il Malocello ordina alla Pegaso di dare assistenza alla Barbarigo, che ha già la poppa sommersa
e continua ad affondare, ed a Procione ed Orsa di dare la caccia al
sommergibile, in cooperazione con l’idrovolante. La Barbarigo s’inabissa definitivamente alle 15.10, nel punto 36°27’ N
e 11°54’ E.
Alle 15.26, a 11,5
miglia per 130° da Punta Sciaccazza, l’Alpino
– giunto intanto all’altezza della seconda fila del convoglio dopo aver
concluso la caccia al sommergibile – segnala di nuovo “scia di siluro sulla
dritta”, avendo avvistato l’inizio di due scie a mille metri di distanza, su
rilevamento 94°. Portatosi su tale punto, lancia un segnale e le ultime due
bombe di profondità che gli sono rimaste, mentre i mercantili, Fuciliere e Malocello accostano immediatamente di 90° a sinistra. Poco dopo il Fuciliere avvista tre scie di siluri
leggermente divergenti (con un angolo di 5°, secondo la stima del comandante
del Fuciliere) sulla sinistra, a
circa duecento metri di distanza; una volta assicuratosi che i siluri siano
passati oltre, il Fuciliere accosta
con tutta la barra a sinistra, risale la scia centrale e si dirige alla massima
velocità verso il punto di congiunzione delle tre scie, dove l’Alpino ha lanciato il suo segnale. Qui
il Fuciliere lancia tutte le bombe di
profondità a disposizione, ventotto, mentre arrivano anche due MAS da
Pantelleria. La caccia prosegue fino alle 16.05, con il lancio in tutto di 116
bombe di profondità. Solo una scarica di bombe (attribuita da alcune fonti
alla Procione) esplode vicina
al P 33, limitandosi a mettere
fuori uso alcune luci; il sommergibile riporta però gravi danni proprio durante
il tentativo di eludere la caccia, perdendo il controllo dell’assetto e
precipitando accidentalmente dai 21 metri previsti a ben 94 metri di
profondità, dove l’elevata pressione deforma lo scafo resistente e causa vie
d’acqua che costringeranno il P 33 ad
interrompere la missione e rientrare a Malta per le riparazioni.
Alle 15.40 la Pegaso comunica di aver completato il
salvataggio dei naufraghi, ed entro le 16.15 tutte le siluranti hanno riassunto
le rispettive posizioni di scorta, e la navigazione ha ripreso regolarmente,
con i soli MAS rimasti sul luogo del secondo attacco.
16 luglio 1941
Il convoglio arriva a
Napoli alle 14.30.
21 luglio 1941
Il Fuciliere (capitano di fregata Giulio
Cerrina Feroni) salpa da Palermo per Tripoli alle 23, scortando la motonave
cisterna Brarena, diretta a Tripoli
con un carico di motorina. Le due navi devono unirsi ad un più grande convoglio
salpato da Napoli alcune ore prima, formato dai piroscafi Preussen (tedesco), Caffaro,
Nicolò Odero e Maddalena Odero con la scorta dei cacciatorpediniere Folgore (caposcorta, capitano di fregata
Ernesto Giuriati), Fulmine, Euro e Saetta: Fuciliere e Brarena dovranno accodarsi al convoglio
dall’alba del 23, a sud di Pantelleria, in modo da formare quasi un unico
convoglio (la Brarena, che non riesce
a superare gli otto nodi contro i nove delle altre navi, le seguirà a breve
distanza insieme al Fuciliere).
Secondo i piani di Supermarina, nella notte tra il 22 ed il 23 i due gruppi
dovranno navigare a ridotta distanza per fornirsi reciproco supporto, e
dall’alba del 23 il convoglio “Folgore” supererà il gruppo Fuciliere-Brarena senza
però allontanarsene troppo.
22 luglio 1941
Alle 9.45 il
convoglietto viene messo in allarme da Supermarina, in seguito all’avvistamento
di nutrite forze navali britanniche in movimento nel Mediterraneo occidentale.
Successivamente il Fuciliere viene
informato che il convoglio è stato avvistato da ricognitori nemici (i cui
messaggi sono stati intercettati verso le dieci e decifrati dal servizio
intercettazione e decrittazione di Supermarina) e segnalato al Comando di
Malta.
Alle 17.15 Fuciliere e Brarena vengono sorvolati da un aerosilurante Savoia Marchetti S.M.
79 “Sparviero”, che poco dopo si allontana. Alle 19.04 il Fuciliere avvista un aereo sospetto a poppavia, basso
sull’orizzonte, e quattro minuti dopo viene osservata una grande esplosione su
rilevamento vero 130°: il comandante Cerrina Feroni intuisce correttamente che
si tratta dell’esplosione di un piroscafo del convoglio “Folgore”, attaccato da
aerei nemici. Il Preussen, infatti, è
esploso dopo essere stato colpito da bombe lanciate da aerei britannici. Sul Fuciliere viene alzato il segnale “aerei
nemici in vista” ed ordinato il posto di combattimento; in quel momento Fuciliere e Brarena si trovano un’ottantina di miglia a sud di Pantelleria.
Alle 19.12 vengono
avvistati dei bombardieri nemici – si tratta di Bristol Blenheim britannici –
bassi sull’orizzonte, diretti sulla dritta della Brarena portandosi dalla parte del sole. Il Fuciliere accelera e si porta a fianco della Brarena, sul lato da cui si avvicinano i bombardieri; questi per
tutta risposta accostano a sinistra, girano al largo e si portano sull’altro
lato. Di nuovo il Fuciliere manovra
per portarsi sull’altro fianco della Brarena,
ma quando non è ancora neanche all’altezza della poppa i bombardieri puntano
decisamente sulla cisterna da circa 8000 metri di distanza; il cacciatorpediniere
apre il fuoco con i cannoni da 120 mm, cui si uniscono anche le Mitragliere quando la distanza cala a
duemila metri. Alle 19.17 il primo aereo sgancia una decina di bombe
incendiarie contro la Brarena, senza
riuscire a colpirla, ed il secondo, che lo segue a poca distanza, ne lancia
anch’esso una decina, con una salva molto fitta, riuscendo a metterne tre a
segno. Una colpisce ed incendia il deposito di motorina della Brarena, le altre due ne perforano la
coperta; si alza una grande fiammata e l’equipaggio della petroliera si getta
in mare, mentre la Brarena si arresta
con un incendio a bordo. In breve tempo, tuttavia, le fiamme, invece di
crescere, vanno calando, mentre il Fuciliere
mette a mare un battellaccio per recuperare gli uomini in mare e prende a bordo
una lancia con un ferito grave (i naufraghi informano il comandante Cerrina
Feroni che a bordo della nave ci sono ancora due feriti gravi); l’altra lancia
della Brarena, sulla quale si trova
il comandante, torna indietro una volta constatato che l’incendio non è molto
esteso. Il comandante del Fuciliere
ordina anche ai naufraghi recuperati dall’altra scialuppa, meno il ferito, di
tornare a bordo per contribuire a domare le fiamme e tentare di rimettere in
moto la nave.
Alle 19.26 sopraggiungono
due S.M. 79, che ripassano di tanto in tanto sul cielo del piccolo convoglio;
alle 20.10 il Fuciliere, dopo essersi
già allontanato una prima volta dalla Brarena
per avvistamento di aerei poi rivelatisi bombardieri italiani, si riavvicina
alla petroliera e le ordina di passare i cavi per il rimorchio e di fare il
possibile per rimettere in moto la motrice e riparare l’avaria al timone. Al
contempo, vengono trasbordati sul Fuciliere
i due feriti gravi rimasti a bordo della Brarena.
Alle 20.37 l’incendio
è stato quasi completamente estinto grazi ad estintori e pompe a mano ed a
vapore, e le cime per il rimorchio sono a bordo del Fuciliere; disteso il rimorchio, il cacciatorpediniere aumenta
l’andatura e si dirige verso Lampedusa per portare la Brarena alla fonda nelle acque antistanti l’isola. Alle 21.08,
quando è ormai quasi completamente calata l’oscurità e le macchine hanno
raggiunto i 60 giri, si accende un bengala verso nord, seguito da rumori di
aerei nel cielo sopra le navi. Dato che fino a poco prima il convoglietto è
stato sorvolato da due S.M. 79, il comandante Cerrina Feroni è colto da dubbio
sulla loro nazionalità; in ogni caso dà l’allarme ed ordina al personale a
poppa di tenersi pronto a tagliare il rimorchio, mentre esamina personalmente
la parte buia dell’orizzonte. Alle 21.13 Cerrina Feroni avvista due aerei, che
identifica come Vickers Wildbeest IV (si tratta in realtà di Fairey Swordfish
dell’830th Squadron della Fleet Air Arm) che volano bassi con i
fanali di via accesi, dirigendo verso le due navi italiane da circa 2000 metri
di distanza; avendo già in punteria la colonnina, presidiata dal direttore del
tiro, ordina l’apertura del fuoco contro di essi con cannoni e Mitragliere, ed il taglio del cavo di
rimorchio a poppa, dopo di che mette le macchine avanti tutta ed accosta a
dritta con tutta la barra. Quando, tagliato il rimorchio, il Fuciliere si è allontanato di circa
quattrocento metri dalla Brarena, gli
aerosiluranti lanciano i loro siluri da ridotta distanza: uno manca di poco il Fuciliere passandogli a poppavia
(Cerrina Feroni ordina allora di zigzagare a forte velocità), ma l’altro
colpisce la petroliera.
Alle 21.20 il Fuciliere avvista verso est un altro
bengala, che Cerrina Feroni ritiene essere un segnale convenzionale di riunione
per gli aerosiluranti; alle 21.31, calata l’oscurità completa, il
cacciatorpediniere torna ad avvicinarsi alla Brarena, attorno alla quale il mare è coperto di carburante per un
raggio di due chilometri. L’incendio a bordo della nave non ha dimensioni molto
grandi, ma dall’albero in fiamme cadono continuamente in mare spezzoni
incandescenti, minacciando di incendiare il carburante. L’equipaggio, compreso
il comandante, ha abbandonato la nave prendendo posto su due zattere, finite
sottovento; il Fuciliere si avvicina
e prende a bordo i naufraghi. Una volta a bordo, il comandante della Brarena, capitano Enrico Garassini,
riferisce a Cerrina Feroni che sulla petroliera sono rimasti quattro cadaveri,
uccisi da mitragliamento da parte dei bombardieri, ma anche un uomo che non è
riuscito ad imbarcarsi sulla zattera ed è rimasto aggrappato ai paranchi.
Ritenendo imprudente rimanere ancora così vicino e sottovento alla Brarena, Cerrina Feroni si porta
sopravvento e cala in mare il battellaccio, mandandolo a cercare l’uomo rimasto
attaccato ai paranchi. L’imbarcazione compie un giro attorno alla Brarena ma non vede nessuno; gli
occupanti chiamano eventuali superstiti, ma non giunge risposta.
Ritenendo troppo
pericoloso avvicinarsi ancora alla Brarena,
circondata com’è da carburante galleggiante che potrebbe incendiarsi, e che se
anche riuscisse a riprenderla a rimorchio non potrebbe comunque giungere a
Lampedusa prima che faccia giorno (allorquando si troverebbe ancora al di fuori
dal raggio operativo della caccia italiana, e dunque vulnerabile a nuovi
attacchi aerei), mentre consistenti forze navali britanniche sono state
avvistate in avvicinamento al Canale di Sicilia, Cerrina Feroni decide di
abbandonare la Brarena e
ricongiungersi al convoglio “Folgore” per rinforzarne la scorta. Invia pertanto
un telegramma al Folgore chiedendo
autorizzazione ad affondare la nave cisterna ed unirsi poi al convoglio, mentre
provvede ad informare del tutto anche Supermarina per mezzo di telegramma
(numero 37428); il Folgore autorizza
l’affondamento della Brarena ed il Fuciliere spara contro di essa 28 colpi
a granata dirompente, mirando alla sala macchine all’altezza della linea di
galleggiamento, da 1500 metri di distanza, ma la petroliera non dà cenno di
voler affondare. Informatone il Folgore,
il Fuciliere riceve per risposta
ordine di abbandonare la petroliera alla deriva e riunirsi al convoglio, che
raggiunge nella notte.
Durante la
navigazione la scorta del convoglio viene ulteriormente rinforzata dall’Alpino e dalla torpediniera Pallade, uscita da Tripoli.
23 luglio 1941
Il convoglio giunge a
Tripoli alle 17. Due naufraghi della Brarena,
tra cui il secondo ufficiale, sono morti a bordo del Fuciliere per le ferite riportate; gli altri vengono sbarcati a
Tripoli. La petroliera, rimasta alla deriva, s’incaglierà sulle secche di
Kerkennah, dove affonderà ad inizio agosto.
27 luglio 1941
Il Fuciliere parte da Tripoli alle
sette del mattino per scortare a Napoli, insieme ai cacciatorpediniere Folgore (caposcorta), Saetta ed Alpino, i piroscafi Ernesto, Nita, Nirvo, Castelverde ed Aquitania e la cannoniera Palmaiola, che formano il convoglio
«Ernesto» (convoglio “lento”, avente una velocità di 8 nodi). Gli incrociatori
leggeri Giuseppe Garibaldi e Raimondo Montecuccoli (che formano
l’VIII Divisione, al comando dell’ammiraglio Giuseppe Lombardi) ed i
cacciatorpediniere Granatiere e Bersagliere forniscono copertura a
distanza; Fuciliere ed Alpino, che normalmente formano la XIII
Squadriglia insieme a Granatiere e Bersagliere e che con essi avrebbero
dovuto scortare i due incrociatori, sono stati distaccati per rinforzare la
scorta diretta del convoglio a causa della penuria di unità sottili.
28 luglio 1941
Alle 18.15
il cacciatorpediniere Fulmine si
unisce alla scorta del convoglio, ma alle 19.55 il Garibaldi viene silurato dal sommergibile Upholder (capitano di corvetta
Malcolm David Wanklyn) in posizione 38°04’ N e 11°57’ E (al largo di Capo San
Vito, e 20 miglia a nordovest di Marettimo), riportando seri danni, che
tuttavia non gli impediscono di continuare a navigare in formazione. Alle
20.20 Fuciliere ed Alpino ricevono ordine
dall’ammiraglio Lombardi di raggiungerlo per prestargli assistenza e
rinforzarne la scorta, così lasciando la scorta del convoglio, che ha già
superato la zona di maggior pericolo e raggiungerà indenne Napoli il 30.
I due
cacciatorpediniere raggiungono il Garibaldi
alle 21.30; l’incrociatore, che è stato colpito da un siluro a proravia dritta
ed ha imbarcato 700 tonnellate d’acqua, riesce a sviluppare una velocità di
dieci nodi.
29 luglio 1941
Scortato dalla XIII
Squadriglia, il Garibaldi raggiunge
Palermo con i suoi mezzi alle 6.30.
15 agosto 1941
In seguito ad una
riorganizzazione delle forze navali, il Fuciliere
continua a far parte del la XIII Squadriglia Cacciatorpediniere, insieme a Granatiere, Bersagliere, Alpino, Alfredo Oriani e Vincenzo Gioberti (questi ultimi aggregati alla XIII Squadriglia in
seguito alla distruzione della IX Squadriglia a Capo Matapan). La squadriglia è
sempre assegnata alla scorta della IX Divisione (Littorio e Vittorio Veneto).
23 agosto 1941
Il Fuciliere, insieme ai tre gemelli della
XIII Squadriglia, ad Aviere e Geniere della XI Squadriglia
Cacciatorpediniere ed alla IX Divisione Navale (corazzate Littorio e Vittorio Veneto), esce da Taranto alle
16 a contrasto dell’operazione britannica «Mincemeat», consistente
nell’uscita da Gibilterra di parte della Forza H (la portaerei Ark Royal, la corazzata Nelson, l’incrociatore leggero Hermione e cinque
cacciatorpediniere) con lo scopo di bombardare gli stabilimenti industriali ed
i boschi di sughero nella Sardegna settentrionale (con gli aerei dell’Ark Royal), posare mine al largo di
Livorno (con il posamine veloce Manxman)
e dissuadere, con tale dimostrazione di forza, la Spagna dall’entrare in guerra
a fianco dell’Asse. I veri obiettivi dell’azione britannica non sono comunque
noti a Supermarina, che pensa soprattutto ad un nuovo tentativo britannico di
inviare a Malta un convoglio di rifornimenti.
Altre aliquote delle
forze navali italiane escono da Palermo (VIII Divisione con Duca degli Abruzzi, Montecuccoli ed Attendolo, VIII Squadriglia
Cacciatorpediniere con Freccia, Dardo e Strale, VII Squadriglia con Folgore e Fulmine),
Messina (III Divisione con Trento, Trieste, Bolzano e Gorizia,
X Squadriglia con Maestrale e Scirocco, XII Squadriglia con Corazziere, Carabiniere, Ascari e Lanciere), Napoli
(cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi e Lanzerotto Malocello della XIV
Squadriglia e Nicoloso Da Recco della
XVI Squadriglia) e Trapani (cacciatorpediniere Antonio Pigafetta e Giovanni
Da Verrazzano della XV Squadriglia).
24 agosto 1941
Alle cinque del
mattino il gruppo «Littorio» si unisce al largo di Capo Carbonara alla III
Divisione (incrociatori pesanti Trento, Trieste, Bolzano e Gorizia,
cacciatorpediniere Corazziere, Lanciere, Ascari, Carabiniere,
Maestrale, Scirocco); poco dopo la formazione viene rinforzata dai
cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi, Nicoloso Da Recco e Lanzerotto Malocello,
provenienti da Napoli, ed Antonio
Pigafetta e Giovanni Da
Verrazzano, inviati da Trapani.
Le navi italiane
assumono una rotta che le conduca al centro del Tirreno. Tra le 6.30 e le
6.40 Littorio, Vittorio Veneto e Trieste catapultano i loro
idrovolanti da ricognizione, che tuttavia non riescono a trovare nulla; alle
11.15 è il Bolzano a
catapultare il suo ricognitore, ma con risultati non migliori.
La formazione
italiana, al comando dell’ammiraglio di squadra Angelo Iachino, ha l’ordine di
trovarsi per le otto del 24 trenta miglia a sud di Capo Carbonara, dato che la
Forza H è stata avvistata da un ricognitore alle 9.10 del 23, circa 90 miglia a
sud di Maiorca (il ricognitore ne ha stimato la composizione in una corazzata,
una portaerei, un incrociatore e quattro cacciatorpediniere, con rotta 270° e
velocità 14 nodi), ed alle 19.18 di quel giorno dei rilevamenti
radiogoniometrici hanno collocato la Forza H 145 miglia ad ovest di Capo
Teulada.
Intorno alle cinque
del mattino del 24, gli aerei dell’Ark
Royal attaccano la zona di Coghinas e Tempio Pausania con bombe e
spezzoni incendiari, causando però pochissimi danni (una casa distrutta ed un
soldato ucciso) nonostante la zona sia ricca di boschi di sughero, mentre alle
7.45 la squadra italiana viene avvistata a sud della Sardegna da un ricognitore
britannico, proprio mentre anche la Forza H viena a sua volta localizzata 30
miglia ad est di Minorca, con rotta 105° e velocità 20 nodi.
Sulla base di tale
avvistamento, Supermarina (che ha intercettato il segnale di scoperta del
ricognitore nemico, informando subito l’ammiraglio Iachino), ritenendo
improbabile che le forze italiane possano incontrare quelle britanniche entro
il 24, a meno di non uscire dal raggio di copertura della caccia aerea, ordina
a Iachino di tenersi ad est del meridiano 8° Est (salvo, per l’appunto,
riuscire ad incontrare la Forza H di giorno ed entro la zona protetta dalla
caccia italiana) e di rientrare nel Tirreno per passarvi la notte dopo aver
appoggiato la ricognizione che l’VIII Divisione è stata mandata a svolgere
nelle acque di Capo Serrat e dell’isola di La Galite; ordina poi alla III ed
alla IX Divisione di trovarsi alle dieci del mattino del 25 agosto a 28 miglia
per 150° da Capo Carbonara, per ripetere la manovra del 24. Alle 17.20 le forze
britanniche vengono avvistate da un altro ricognitore trenta miglia a sudest di
Maiorca, il che conferma che un incontro per il 24 non sarebbe possibile,
mentre sarebbe probabile il giorno seguente.
25 agosto 1941
In mattinata, dato
che la ricognizione aerea (che si spinge fino al 3° meridiano) non trova
traccia della Forza H, ed il traffico radio britannico sta tornando ai ritmi
usuali, Supermarina decide di far rientrare alle basi le proprie forze navali;
alle 13.35, di conseguenza, l’ammiraglio Iachino riceve ordine di rientrare a
Napoli. La sera del 25 si viene a sapere che all’alba la Forza H è stata
avvistata ormai già in acque spagnole, tra Sagunto e Valencia, prima con rotta
nord e poi diretta verso sud, accompagnata da numerosi velivoli. Più tardi è
stata vista a sud di Capo Sant’Antonio e si sono sentite molte cannonate,
probabilmente dovute ad esercitazioni di tiro.
26 agosto 1941
La IX Divisione
arriva a Napoli in mattinata.
11 settembre 1941
Il Fuciliere, insieme all’incrociatore
ausiliario Brioni ed alla
torpediniera Cassiopea, scorta dal Pireo
a Rodi, via Sira, il piroscafo Vesta,
la cisterna militare Prometeo e la
motonave Città di Agrigento, carichi
di truppe e materiali.
26 settembre 1941
Il Fuciliere salpa da Napoli insieme a Granatiere (caposquadriglia), Bersagliere e Gioberti (temporaneamente aggregato alla XIII Squadriglia
Cacciatorpediniere) nonché alle navi da battaglia Littorio e Vittorio
Veneto (IX Divisione) ed alla XVI Squadriglia Cacciatorpediniere (Folgore, Da Recco, Pessagno)
per raggiungere ed attaccare a sudest della Sardegna un convoglio britannico
diretto a Malta e scortato dalla Forza H britannica con tre corazzate ed una
portaerei, oltre a cinque incrociatori e 18 cacciatorpediniere, nell’ambito
dell’operazione «Halberd».
Il convoglio è
formato dalla cisterna militare Breconshire e
dai mercantili Ajax, City of Calcutta, City of Lincoln, Clan Ferguson, Clan MacDonald, Imperial
Star, Dunedin Star e Rowallan Castle, con 81.000 tonnellate di rifornimenti, e
scortato dalla Forza H britannica con tre corazzate (Nelson, Rodney e Prince of Wales), una portaerei (Ark Royal), cinque incrociatori (Kenya, Edinburgh, Sheffield, Hermione ed Euryalus) e 18 cacciatorpediniere (i
britannici Cossack, Duncan, Farndale, Fury, Forester, Foresight, Gurkha, Heythrop, Laforey, Lance, Legion, Lively, Lightning, Oribi e Zulu, i polacchi Garland e Piorun e l’olandese Isaac Sweers).
Dopo la partenza da
Gibilterra, la forza navale britannica si è divisa in due gruppi: uno, composto
da Nelson (nave ammiraglia
dell’ammiraglio James Somerville, comandante superiore in mare), Ark Royal, Hermione, Cossack, Zulu, Forester, Foresight, Lightning e Laforey, procede in posizione avanzata
con rotta verso il Mediterraneo centrale, mentre l’altro, al comando
dell’ammiraglio Alban Curteis e composto da Rodney, Prince of
Wales, Sheffield, Kenya, Edinburgh, Euryalus, Oribi, Piorun, Isaac Sweers, Heythrop, Ghurkha, Legion, Lance, Lively, Duncan, Fury e Farndale,
rimane a protezione dei mercantili e segue una rotta che passa più a nord.
Alle 7.18 del 26 un
idrovolante CANT Z. della 287a Squadriglia da Ricognizione
Marittima ha avvistato il gruppo dell’ammiraglio Somerville ad ovest dell’isola
di La Galite, lanciando un primo segnale di scoperta relativo ad una corazzata,
una portaerei, quattro incrociatori ed un numero imprecisato di
cacciatorpediniere con rotta 90° e velocità 12 nodi in posizione 37°43’ N e
08°55’ E, seguito più tardi da un secondo segnale relativo a tre incrociatori
con rotta 90° e velocità 18 nodi in posizione 37°55’ N e 08°55’ E.
Successivamente, un aereo civile spagnolo avvista anche il gruppo
dell’ammiraglio Curteis, la cui posizione verrà inoltrata dagli spagnoli ai
Comandi italiani.
Per intercettare al
convoglio, oltre alla IX Divisione ed alle Squadriglie XIII e XVI, partono
anche la III (Trento, Trieste, Gorizia) e la VIII Divisione (Duca
degli Abruzzi, Attendolo)
rispettivamente da Messina e La Maddalena, accompagnate rispettivamente dalla
XII (Lanciere, Carabiniere, Corazziere, Ascari)
e dalla X Squadriglia Cacciatorpediniere (Maestrale, Grecale, Scirocco). Comandante in capo è l’ammiraglio Angelo Iachino.
Da parte italiana,
però, si ignora del vero obiettivo dei britannici: i comandi italiani, dato che
la ricognizione ha avvistato solo parte delle navi nemiche, pensano che i
britannici intendano lanciare un bombardamento aeronavale contro le coste
italiane, e al contempo rifornire Malta di aerei. L’ordine per le forze
italiane è di riunirsi a nord della Sardegna in una posizione difensiva, e di
non ingaggiare il nemico a meno di non essere in condizioni di netta
superiorità (precisamente: radunarsi alle 12 del 27 cinquanta miglia a sud di
Capo Carbonara per intercettare il convoglio intorno alle 15, ad est di La
Galite, e di attaccare solo se l’Aeronautica riuscirà a danneggiare almeno una
delle corazzate che saranno presumibilmente presenti).
27 settembre 1941
Alle 8.46
l’ammiraglio Iachino riceve notizia dell’avvistamento di uno dei due gruppi
navali britannici da un aereo decollato da Cagliari. Altri avvistamenti del
medesimo gruppo, in posizioni tra loro concordanti, seguono alle 10.45 ed a
mezzogiorno, mentre non giunge nessuna notizia sull’esistenza del secondo
gruppo, il più importante data la presenza in esso del convoglio: alle 11.30,
pertanto, Iachino fa catapultare un ricognitore dalla Littorio per cercare traccia del secondo gruppo ad ovest della
posizione in cui è stato segnalato il primo. Forti scariche che disturbano le
comunicazioni radio, tuttavia, impediranno a Iachino di ricevere i segnali di
scoperta lanciati da questo aereo, che avvista tra l’altro un gruppo composto
da due corazzate, una portaerei e naviglio minore.
A mezzogiorno la III,
la VIII e la IX Divisione, con le rispettive squadriglie di cacciatorpediniere,
si riuniscono una cinquantina di miglia ad est di Capo Carbonara, poi dirigono
verso sud (rotta 244°) a 22 nodi per intercettare il convoglio. La III
Divisione si posiziona a 10 km per 210° dalla IX Divisione, l’VIII a 10 km per
240°.
Più o meno alla
stessa ora, l’ammiraglio Somerville viene informato dell’uscita in mare della
flotta italiana.
Sempre a mezzogiorno,
dato che la ricognizione ha avvistato una sola corazzata britannica ed una
portaerei, e che la Regia Aeronautica sta per attaccare in massa (gli
aerosiluranti italiani, al prezzo di sette velivoli abbattuti, riusciranno a
silurare e danneggiare la Nelson),
la flotta italiana viene autorizzata ad ingaggiare battaglia (Iachino riceve
libertà d’azione); alle 12.30 Iachino ordina pertanto di assumere rotta 210°
per dirigere verso il nemico, ed alle 13 accosta per 180° ed accelera a 24
nodi, con l’intento di tagliare la rotta alla squadra britannica. Alle 13.07,
quando la squadra è ad una sessantina di miglia da Elmas, l’ammiraglio Iachino
chiede la protezion degli aerei da caccia per le 14.
Dal momento che
continua a non essere possibile comunicare con il ricognitore catapultato dalla
Littorio, alle 13.30 viene fatto
lanciare un secondo aereo dalla Vittorio
Veneto; questi non avvista tuttavia nessuna nave nemica a causa della
scarsa visibilità. Alle 13.50 Iachino fa lanciare un terzo ricognitore,
stavolta al Trento, allo scopo di
esplorare zigzagando la zona più vicina alla Galite; un quarto segue alle 14,
catapultato dal Duca degli Abruzzi
con l’ordine di svolgere una crociera protettiva entro una zona distante al massimo
40 miglia dall’VIII Divisione in direzione libeccio, in considerazione della
peggiorata visibilità verso sudovest (questo aereo dovrà condurre esplorazione
avanzata per allertare tempestivamente gli incrociatori in caso di arrivo di
forze navali nemiche). Il vento va intanto crescendo d’intensità e girando da scirocco
a mezzogiorno; il mare è leggermente mosso, il cielo coperto con larghi squarci
soprattutto verso nord, dove la visibilità è ottima, mentre è da mediocre a
cattiva – causa nubi temporalesche e fitta foschia – in direzione opposta, cioè
proprio dove si trova la squadra britannica. La visibilità verso sudovest è
così ridotta che la III Divisione risulta a malapena visibile dalla IX,
nonostante la distanza sia di soli 10 km. Viceversa, la III Divisione vede
molto bene la IX, mentre riferisce a sua volta visibilità cattiva verso sud: ne
consegue che in caso di incontro i britannici avvisterebbero le navi italiane
ben prima che queste abbiano la possibilità di fare altrettanto.
Alle 13.40 viene
intercettata una comunicazione che rivela che la squadra italiana è stata
avvistata da un aereo britannico decollato da Malta: questi, senza mai apparire
alla vista, pedina la flotta italiana fino alle 15.30, inviando periodicamente
aggiornamenti sui suoi spostamenti. Dopo le 15.30 verrà rilevato da un altro
aereo anch’esso decollato da Malta, che continuerà il pedinamento fino alle
16.49 (dalle 15.15 alle 17.50 le navi italiane saranno pedinate anche da aerei
dell’Ark Royal).
Alle 14 Iachino
ordina il posto di combattimento, e le corazzate sono schierate nella direzione
di probabile avvicinamento del nemico. Alle 14.30 il comandante italiano stima
che le sue navi distino una quarantina di miglia dal primo gruppo britannico
(in realtà, la distanza è di circa 55) ed oltre 85 miglia da Elmas; gli aerei
da caccia richiesti per la scorta aerea non sono ancora arrivati, e col
crescere della distanza dalle coste sarde diventerà per essi sempre più
difficile rintracciare la squadra italiana, oltre a diminuire il tempo in cui
potranno rimanere sul loro cielo (mentre le direttive in vigore nella Regia
Marina prescrivono che è indispensabile fruire di scorta aerea quando si entra
nel raggio d’azione di una portaerei).
Dalle 14.30 alle
15.30 Iachino riceve poche ed incomplete informazioni sulle forze avversarie;
alle 15 Marina Cagliari comunica che due ore prima sono state avvistate 23 navi
nemiche con rotta 90°, ed alle 15.16 l’aereo catapultato dal Duca degli Abruzzi trasmette un
messaggio, ricevuto solo in parte, con cui riferisce di aver avvistato alle
14.25 una portaerei e sei cacciatorpediniere in navigazione verso sud ad alta
velocità. Iachino ritiene che la portaerei abbia assunto rotta sud per mettee
la prua al vento per lanciare degli aerosiluranti.
Alle 15.30 vengono
ricevuti due telegrammi da Cagliari ed un messaggio lanciato dal ricognitore
del Trento: i telegrammi da Cagliari
riferiscono che alle 13 ed alle 13.50 sono stati avvistati due distinti gruppi
di navi britanniche, disposti approssimativamente per meridiano, distanti tra
loro una ventina di miglia; il primo gruppo composto da due corazzate, una
portaerei, sei incrociatori ed un numero imprecisato di cacciatorpediniere; il
secondo da una corazzata, una portaerei, tre incrociatori di cui uno da 3000 tonnellate,
dodici cacciatorpediniere ed otto mercantili. Il messaggio dell’aereo del Trento annuncia invece che alle 15.10
sono stati avvistati due corazzate, una portaerei, due incrociatori da 7000
tonnellate, dieci mercantili ed un numero imprecisato di cacciatorpediniere,
con rotta 90° e velocità 16 nodi.
Da questi messaggi
Iachino apprezza correttamente che si trovino in mare tre corazzate britanniche,
il che pone la squadra italiana in condizioni di inferiorità rispetto alla
forza britannica. Alle 14.30, considerata la propria inferiorità numerica, la
scarsa visibilità e la mancanza di copertura aerea (soltanto sei caccia, con
autonomia dalle basi non superiore a 100 km) contro possibili attacchi di
aerosiluranti lanciati dalla portaerei, la squadra italiana inverte la rotta
per portarsi fuori dal raggio degli aerosiluranti nemici.
Mentre non si
concretizza nessun attacco aereo nemico, si verificano diversi falsi allarmi a
causa dell’avvistamento di aerei italiani, scambiati per nemici: una formazione
di bombardieri avvistati in lontananza viene inizialmente ritenuta essere
composta da Bristol Blenheim britannici, ma si rivela poi essere formata in
realtà da Savoia Marchetti S.M. 79 italiani.
Alle 15.30
sopraggiungono tre caccia italiani FIAT CR. 42 assegnati alla scorta aerea, i
primi ad arrivare sul cielo della formazione, ma per via della loro somiglianza
agli aerosiluranti britannici (sono anch’essi biplani), vengono inizialmente
scambiati per aerei inglesi ed il Fuciliere ne
abbatte il capo pattuglia con una raffica di mitragliera, mentre gli altri due
si allontanano. Il pilota dell’aereo, fortunatamente, rimane illeso e può
paracadutarsi, venendo poi recuperato dal Granatiere.
Alle 16.35
sopraggiungono altri caccia della Regia Aeronautica, che permangono sul cielo
delle navi per mezz’ora prima di rientrare alla base. Altri velivoli della
scorta aerea arrivano verso le 18.
Alle 17.18, avendo
ricevuto comunicazioni secondo cui la squadra britannica avrebbe subito pesanti
danni (una corazzata e due incrociatori silurati e danneggiati, un incrociatore
affondato) a causa degli attacchi aerei, la formazione italiana dirige
nuovamente verso sud (prima stava procedendo verso nord), salvo invertire
nuovamente la rotta (dirigendo per est-nord-est) alle 18.14, portandosi al
centro del Mar Tirreno, come ordinato da Supermarina perché ormai non è più
possibile intercettare il convoglio prima del tramonto.
28 settembre 1941
Alle otto del mattino
del 28 le navi italiane, come ordinato, raggiungono un punto 80 miglia ad est
di Capo Carbonara, poi fanno rotta per ovest-sud-ovest ma infine, alle 14.00,
dato che i ricognitori non trovano più alcuna nave nemica a sud ed ad ovest
della Sardegna (il convoglio è infatti passato) viene ordinato il rientro alle
basi.
29 settembre 1941
La XIII Squadriglia e
la IX Divisione arrivano a Napoli in mattinata.
8 ottobre 1941
Alle 22.20 (o 22.30)
il Fuciliere, insieme a Granatiere (caposquadriglia e
caposcorta, capitano di vascello Ferrante Capponi), Bersagliere ed Alpino,
salpa da Napoli per scortare a Tripoli il convoglio «Giulia», formato dai
piroscafi Zena, Bainsizza e Casaregis, dalla motonave Giulia e
dalla nave cisterna Proserpina.
Da Trapani dovrebbero
unirsi al convoglio anche il piroscafo Nirvo e l’anziana
torpediniera Generale Antonino Cascino,
ma il Nirvo è colto da
un’avaria di macchina subito dopo la partenza da Trapani, e deve così rientrare
alle 2.30 del 10 (mentre la Cascino,
al contrario, raggiunge il convoglio). Poco più tardi anche il Bainsizza subisce un’avaria di macchina
e deve lasciare il convoglio e raggiungere Trapani alle 16 del 10, riducendo
così i mercantili a quattro.
Il resto del
convoglio imbocca la rotta del canale di Sicilia alla velocità di 9 nodi.
La navigazione del
controllo è attentamente monitorata da "ULTRA", l’organizzazione
britannica per la decrittazione dei messaggi in codice dell’Asse, che lo stesso
8 ottobre, annuncia ai comandi britannici, sulla scorta di messaggi decrittati,
che «Il convoglio Casaregis,
comprendente il Casaregis (6485 tsl), lo Zena (5219),
il Giulia (5921), il Bainsizza (7933) ed il Proserpina (?)
parte da Napoli alle 21.30 del giorno 8, transitando ad occidente (di Malta)
diretto a Tripoli alla velocità di 9 nodi. Orario di arrivo ore 18.00 del
giorno 11. Scorta 4 cacciatorpediniere. Il Nirvo (5164) ed il
ct Cascino si uniranno al convoglio al largo di Trapani». Il
giorno seguente "ULTRA" annuncerà l’avvenuta partenza del convoglio,
confermando le informazioni del giorno precedente ed aggiungendone altre
sull’entità della scorta e sul previsto orario di arrivo a Tripoli: «Casaregis, Zena, Giulia, Bainsizza, Proserpina, Nirvo,
scortati da 5 Ct, sono salpati da Napoli alle 21.30 del giorno 8, velocità 9
nodi, per giungere a Tripoli alle 18.00 del giorno 11». Ulteriori
decrittazioni seguiranno ancora l’11 ed il 12 ottobre, ma ormai a cose fatte.
9 ottobre 1941
Salpa da Malta per
intercettare il convoglio a sud di Lampione il sommergibile polacco Sokol (capitano di corvetta Borys
Karnicki), che tuttavia non riuscirà a trovarlo.
10 ottobre 1941
Sulla base delle
informazioni di "ULTRA" vengono fatti decollare da Malta dei
ricognitori, che trovano il convoglio alle 12.45 circa 35 miglia a sud di
Pantelleria.
Per tutta la giornata
del 10 ottobre, le navi del convoglio «Giulia» vengono sorvolate da aerei da
caccia ed antisommergibile dell’Aeronautica della Sicilia (che per la scorta
aerea del convoglio mobilita in tutto venti caccia e dodici bombardieri, questi
ultimi dei Savoia Marchetti S.M. 79 "Sparviero"), che tengono lontani
gli aerei britannici di base a Malta, nonostante la notevole vicinanza
dell’isola e la scarsa velocità del convoglio (ma non riescono ad impedire,
come detto, il suo avvistamento da parte dei ricognitori).
Al tramonto, come al
solito, la scorta aerea lascia il convoglio. Le navi assumono allora la
formazione per la navigazione notturna, con i mercantili in doppia linea di
fila ed i cacciatorpediniere (eccetto l’Alpino,
che si posiziona in coda al convoglio) tutt’intorno.
Il cielo è sereno con
ottima visibilità, il mare calmo.
Alle 22.45, dopo un
paio d’ore di navigazione indisturbata, i primi aerei britannici fanno la loro
comparsa nelle vicinanze del convoglio «Giulia», e presto si scatenano gli
attacchi aerei, che proseguono fino all’alba. Mercantili e scorta reagiscono
con la manovra e con cortine nebbiogene, sparando qualche raffica di
mitragliera quando c’è speranza di colpire qualcosa. Per un’ora è possibile
contenere gli attacchi, ed i trasporti evitano alcuni siluri, ma alle 23.45,
durante un attacco da parte di sette aerosiluranti Fairey Swordfish dell’830th Squadron
della Fleet Air Arm (sono decollati da Malta in dieci, al comando del capitano
di corvetta Hunt: tre sono dovuti rientrare per problemi meccanici), si ha la
prima vittima: lo Zena, colpito
da un siluro all’altezza della sala macchine. L’Alpino viene distaccato per fornire assistenza alla nave
colpita.
11 ottobre 1941
Dato che gli aerei
britannici si accaniscono sullo Zena,
alle 00.15 anche il Granatiere inverte
la rotta per recarsi in suo soccorso. Il resto del convoglio prosegue sotto la
guida del Bersagliere, cui alle
00.20 il caposcorta delega la direzione del convoglio fino al suo ritorno.
All’1.05 il Granatiere, informato dall’Alpino circa la situazione
dello Zena, torna verso il
convoglio, accelerando a 18 nodi per raggiungerlo più in fretta. L’Alpino tenta di prendere lo Zena a rimorchio, ma alle tre di
notte il piroscafo s’inabissa in posizione 34°52’ N e 12°22’ E, una quarantina
di miglia a sud di Lampedusa.
Nel frattempo, il
tempo è cambiato: il cielo è andato coprendosi di nuvolaglia, e si è anche
alzato un po’ di vento e di mare da Libeccio.
Il Granatiere torna ad assumere la sua
posizione in formazione, ed il suo ruolo di caposcorta, alle 2.20. Di quando in
quando i piroscafi, che proseguono su rotta 164°, sparano qualche raffica di
mitragliera contro sagome di aerei veri o presunti, apparsi nella notte.
Alle 4.15 Supermarina
comunica al caposcorta che è probabile un ulteriore attacco di aerosiluranti,
ed alle 5.45, puntualmente, vengono avvistati degli aerei (sono ancora
Swordfish dell’830th Squadron F. A. A. di Malta): viene subito
lanciato l’allarme, mentre i primi bengala si accendono nel cielo. Tutte le
navi del convoglio iniziano il tiro contraereo, e manovrano per diradarsi ed
ridurre quindi la probabilità che i siluri vadano a segno.
Varie esplosioni
subacquee, di bombe o siluri, si susseguono alle 5.51, alle 5.56 ed alle 5.58;
alle 6.10 il Granatiere vede
uno Swordfish che vola molto basso sul mare, sulla sua dritta. Il biplano
dirige per lanciare nella direzione del cacciatorpediniere; il caposcorta
Capponi riesce a vedere il momento del lancio del siluro, e lo spruzzo d’acqua
sollevato dall’impatto dell’arma con la superficie del mare. Il Granatiere accelera e mette tutta
la barra a sinistra per evitare il siluro, che dopo pochi secondi centra il Casaregis. Alle 6.30 il caposcorta
ordina al Bersagliere di
recuperare l’equipaggio del piroscafo silurato; trovandosi già nei pressi,
anche il Granatiere rimane
per fornire assistenza. Mentre il Casaregis
affonda lentamente di prua, Granatiere
e Bersagliere recuperano i naufraghi;
alle 6.47, intanto, l’Alpino riferisce
di aver abbattuto un aereo, precipitato nelle sue vicinanze.
Fallito un tentativo
di rimorchio a causa del deterioramento delle condizioni della nave e di un
incendio scoppiato a bordo, il Casaregis
dev’essere finito a cannonate dal Bersagliere
a mezzogiorno, su ordine del caposcorta, in posizione 34°02’ N e 12°42’ E (per
altra fonte 34°10’ N e 12°38’ E; circa ottanta miglia a nord-nord-ovest di
Tripoli).
Giulia, Proserpina e scorta
raggiungono Tripoli alle 16.30.
12 ottobre 1941
Fuciliere, Granatiere
(caposcorta), Bersagliere ed Alpino lasciano Tripoli per Napoli alle
20.45, scortando le motonavi Ankara, Reichenfels (tedesche), Vettor Pisani, Fabio Filzi e Sebastiano
Venier che ritornano scariche in Italia.
14 ottobre 1941
Il convoglio giunge a
Napoli alle 22.
Il Fuciliere (secondo da sinistra) a Messina nel 1941, insieme al resto della XIII Squadriglia (da Francsco Mattesini/www.academia.edu) |
7 novembre 1941
All’alba il Fuciliere, insieme a Granatiere (caposquadriglia, capitano di
vascello Ferrante Capponi), Bersagliere
ed Alpino, lascia Napoli seguendo a
distanza il convoglio «Beta» (poi divenuto meglio noto come "Duisburg"),
diretto a Tripoli e formato inizialmente dai piroscafi tedeschi Duisburg (capitano di lungo corso
Arno Ostermeier, capoconvoglio) e San
Marco (capitano di lungo corso Paul Ossemberg), dall’italiano Sagitta (capitano di lungo corso
Domenico Ingegneri), dalla motonave Maria (capitano
di lungo corso Angelo Pogliani) e dalla grande e moderna nave cisterna Minatitlan (capitano di lungo corso
Guido Incagliati), con la scorta diretta dei cacciatorpediniere Maestrale (caposcorta, capitano di
vascello Ugo Bisciani), Euro (capitano
di corvetta Giuseppe Cigala Fulgosi) e Fulmine (capitano
di corvetta Mario Milano).
Alle nove del
mattino, giunto il convoglio nelle acque della Sicilia, Maestrale, Euro e Fulmine ricevono
ordine dal Comando in Capo del Dipartimento Militare Marittimo di Napoli di
lasciare il convoglio ed entrare a Messina per rifornirsi, venendo
temporaneamente sostituiti nella scorta diretta dalla XIII Squadriglia.
8 novembre 1941
Nelle prime ore della
notte Maestrale, Euro e Fulmine, una volta rifornitisi, lasciano Messina e tornano ad
assumere la loro posizione di scorta, mentre è la XIII Squadriglia ad entrare a
Messina per rifornirsi di acqua e di nafta, rimanendo poi a disposizione della
III Divisione.
Alle 3.30 escono da
Messina le altre navi che dovranno far parte del convoglio «Beta»: il
piroscafo Rina Corrado (capitano
di lungo corso Guglielmo Schettini) e la pirocisterna Conte di Misurata (capitano di lungo corso Mario Penco),
scortati dai cacciatorpediniere Grecale (capitano
di fregata Giovanni Di Gropello), Libeccio (capitano
di fregata Corrado Tagliamonte) ed Alfredo
Oriani (capitano di fregata Vittorio Chinigò).
La riunione tra i due
gruppi del convoglio avviene alle 4.30, a sud dello stretto di Messina; si
forma un unico convoglio di sette mercantili scortati da Maestrale, Libeccio, Grecale, Oriani, Fulmine ed Euro,
mentre i quattro cacciatorpediniere della XIII Squadriglia, dopo essersi
riforniti a Messina, escono in mare alle 12.35 (per altra fonte, a mezzogiorno)
insieme alla III Divisione (incrociatori pesanti Trento e Trieste,
nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Bruno Brivonesi), per fornire
scorta indiretta al convoglio.
Il convoglio, il cui
carico assomma in totale a 34.473 tonnellate di materiali, 389 autoveicoli e
243 soldati, è stato organizzato per consentire una maggior sicurezza a fronte
della dislocazione a Malta di una formazione navale, la Forza K, destinata ad
attaccare i convogli italiani per la Libia; inizialmente si era deciso di far
seguire alle navi la rotta canale di Sicilia-Pantelleria-Tripoli (passando ad
ovest di Malta) con la scorta dell’VIII Divisione (incrociatori leggeri Duca degli Abruzzi e Garibaldi), ma successivamente si è
stabilito che la rotta che transita ad est di Malta sia più sicura, e si è
assegnata alla scorta indiretta la più potente III Divisione.
La III Divisione con
la XIII Squadriglia si riunisce al convoglio a sud dello Stretto di Messina,
ponendosi a poppa dei trasporti e della loro scorta diretta, ed alle 16.30 la
formazione è completa; la III Divisione ha l’ordine di tenersi cinque miglia a
poppavia del convoglio nelle ore diurne, ed in contatto visivo con esso nelle
ore notturne: giunta la sera, le navi di Brivonesi, pertanto, per via della
bassa velocità del convoglio (9 nodi), per non perderlo di vista ed al contempo
mantenere una velocità adeguata a lasciare una manovrabilità accettabile,
devono pendolare lungo la sua rotta sul lato verso Malta, procedendo
alternativamente su rotta sud-sud-est e nord-nord-ovest (con gli incrociatori
in linea di fila, due cacciatorpediniere a proravia e due a poppavia), a 12
nodi, invertendo la rotta ogni volta che la distanza dal convoglio giunge a
cinque miglia. Queste manovre provocheranno però confusione con i
cacciatorpediniere della scorta diretta, come l’Euro, per il quale il fatto di aver visto due volte la III
Divisione al proprio traverso a dritta durante la serata sarà cruciale in un
errore di identificazione che pregiudicherà il suo ruolo nel successivo
scontro. Per la scorta aerea (nelle sole ore diurne) vengono utilizzati in
tutto 64 aerei, mantenendo sempre otto velivoli costantemente in volo sul cielo
del convoglio.
Superato lo stretto
di Messina, il convoglio dirige verso est e poi accosta a sud, seguendo la
rotta che passa ad est di Malta, transitando al largo della costa occidentale
greca (in modo da tenersi fuori dal raggio d’azione degli aerosiluranti di
Malta, stimato in 190 miglia). Nonostante questo (e nonostante l’esecuzione,
durante la navigazione verso est, di diverse accostate verso ovest per
confondere le idee ad eventuali ricognitori circa la loro rotta), nel
pomeriggio, alle 16.45, il convoglio viene egualmente individuato, in posizione
37°38’ N e 17°16’ E (una quarantina di miglia ad est di Capo Spartivento), da
un ricognitore Martin Maryland della Royal Air Force (69th Reconnaissance
Squadron), decollato da Malta e pilotato dal tenente colonnello J. N. Dowland.
Nonostante le segnalazioni luminose da parte dei cacciatorpediniere della
scorta diretta, la scorta aerea non interviene per attaccare il ricognitore
nemico. (Contrariamente a molte altre occasioni, il servizio di intercettazione
e decrittazione britannico “ULTRA” non ha alcun ruolo nelle vicende del
convoglio «Beta»). Il ricognitore non ha, tuttavia, avvistato la III Divisione,
della cui presenza gli inglesi saranno all’oscuro per l’intera durata
dell’operazine.
Alle 17.30 parte
pertanto da Malta la Forza K britannica, composta dagli incrociatori
leggeri Aurora e Penelope e dai
cacciatorpediniere Lance e Lively e destinata specificamente
all’intercettazione dei convogli italiani diretti in Libia. Una forza
nettamente inferiore alla III Divisione, ma appositamente preparata al
combattimento notturno, a differenza degli incrociatori italiani, sprovvisti di
adeguati telemetri, binocoli a grande luminosità e granate a vampa ridotta, e
con equipaggi non specificamente addestrati per combattere di notte.
Le navi italiane,
ignare di tutto questo, procedono regolarmente per la loro rotta, con buon
tempo (mare calmo, solo nubi leggere nel cielo ed un debole vento forza 3). La
visibilità è scarsa quando le nuvole nascondono la luna, mentre torna ad essere
eccellente quando le nuvole si allontanano da essa. La scorta aerea viene
ritirata al tramonto, ed alle 19.30, dopo aver sino ad allora navigato con
rotta 090°, il convoglio «Beta» accosta per 122°, ed alle 19.55 accosta per
161°, sempre per tenersi al di fuori del raggio d’azione degli aerosiluranti.
La III Divisione,
dalla sua posizione a poppa dritta del convoglio, rimonta il convoglio stesso
sul suo lato di dritta tra le 22 e le 24, poi accosta ad un tempo e defila di
controbordo ai trasporti.
9 novembre 1941
Alle 00.30 la III
Divisione accosta a dritta, per riassumere rotta di conserva al convoglio (che
ha rotta sud) ed iniziare un altro pendolamento, restando sulla dritta,
probabile direzione di provenienza di eventuali attacchi nemici. Il Trieste, nave ammiraglia, dista
4000 metri dall’ultimo cacciatorpediniere della scorta diretta.
Alle 00.39 il
convoglio viene avvistato otticamente (il radar non avrà alcun ruolo di
rilievo, se non nel puntamento dei cannoni durante il combattimento: le navi
italiane – non la III Divisione – vengono avvistate perché illuminate dalla
luce lunare) dalla Forza K in posizione 36°55’ N e 17°58’ E (135 miglia a sud
di Siracusa, 100 miglia ad est-sud-est di Capo Spartivento e 180 miglia ad est
di Malta), da una distanza di 5 miglia e su rilevamento 30°. Qualcuna delle
unità della scorta diretta, grazie alla luna piena, avvista anche la Forza K,
3-5 km a poppavia, ma ritiene si tratti della III Divisione.
Nel frattempo, pochi
minuti dopo l’ultima accostata a dritta delle 00.30, il Trieste intercetta dei segnali
radio sconosciuti, trasmessi all’aria e privi di nominativo, che dicono solo
“NO30-NO30-NO30-NO30”, la cui intensità sta aumentando rapidamente, indicando
il rapido avvicinamento della loro sorgente. Ciò allarma l’ammiraglio Brivonesi,
che compila ed ordina di lanciare un messaggio d’allerta a tutte le unità. Ma è
troppo tardi.
Dopo aver ridotto la
velocità da 28 a 20 nodi ed aver aggirato il convoglio con una manovra che
richiede 17 minuti, portandosi a poppa dritta rispetto ad esso (in modo che i
bersagli si stagliassero contro la luce lunare), alle 00.57 la Forza K, giunta
circa 5 km a sudest del convoglio, apre il fuoco sulle ignare navi italiane da
una distanza di 5200 metri, orientando il tiro con l’ausilio dei radar tipo
284. La scorta su quel lato del convoglio viene immediatamente scompaginata:
il Fulmine affonda dopo
pochi minuti, il Grecale viene
immobilizzato e messo fuori combattimento, l’Euro – che ha tentato di contrattaccare con i siluri per poi
interrompere il contrattacco nel timore di stare per lanciare contro la III
Divisione – viene colpito, pur senza riportare danni gravi. Poi, fino alle
2.06, la Forza K gira intorno al convoglio in senso antiorario, facendo fuoco
contro i trasporti: uno dopo l’altro, tutti e sette i mercantili vengono
ridotti a dei relitti in fiamme, alcuni dei quali affondano subito, mentre
altri bruceranno per ore (la Minatitlan affonderà
solo il mattino successivo).
La III Divisione e la
XIII Squadriglia al momento dell’attacco stanno pendolando alla velocità di
dodici nodi a poppavia e ad est (sulla dritta) del convoglio, sulla stessa
rotta ed ad una distanza di tre miglia (4-5 km); Trento e Trieste
procedono in linea di fila, distanziati di circa ottocento metri l’uno
dall’altro, preceduti da Granatiere
(a sinistra) e Bersagliere (a
dritta), che precedono di 2000 metri il Trieste
sul rilevamento 30° dalla prua, e seguiti da Fuciliere ed Alpino,
rispettivamente a dritta ed a sinistra, a poppavia del Trento.
Il Trieste sta per lanciare il suo
messaggio d’allerta, quando alle 00.59 la III Divisione avvista quasi di prora
delle vampe di artiglierie ed identifica le unità la Forza K, a 7000 metri di
distanza e su rilevamento 155°. Il Bersagliere ha
avvistato gli incrociatori nemici appena prima che questi aprano il fuoco, ma
il suo segnale di scoperta arriverà nelle mani di Brivonesi ad attacco già in
corso. Trieste e Trento aprono il fuoco all’1.03
(negli stessi minuti anche il Bersagliere va
all’attacco senza risultato); entro questo momento, però, i mercantili del
convoglio sono già stati pressoché tutti colpiti e ridotti a dei relitti.
All’1.01 la III
Divisione, su ordine di Brivonesi, invece che dirigere verso sudest (ove si
trova la Forza K) per ridurre le distanze ed attaccare subito il nemico impegnando
anche nella mischia i cacciatorpediniere della XIII Squadriglia, accosta
(allarga) a dritta in modo da dispiegare la formazione in linea di
combattimento e permettere agli incrociatori di puntare sul nemico tutti i
cannoni del calibro principale; ma così si perdono diversi minuti, e si
rinuncia all’impiego dei quattro cacciatorpediniere, che si spostano sul lato
opposto della formazione per lasciare libero il campo di tiro degli
incrociatori.
Si tenta di
guadagnare velocità, ma con fatica, anche perché gli apparati motori dei “Trento”,
ormai anziani, non rispondono abbastanza rapidamente. L’accostata del Trieste è superiore a 50°, onde
permettere miglior visione della situazione e lasciare il campo di tiro
del Trento libero dai
cacciatorpediniere di scorta, ma ciò fa prolungare ulteriormente la manovra,
che porta le navi di Brivonesi ad assumere una rotta verso sud che le allontana
dalla Forza K, dopo di che la III Divisione assume per poco tempo rotta 240° e
subito dopo Brivonesi ordina di accostare di sinistra, poi – l’apertura del
fuoco da parte della III Divisione avviene tra l’1.03 e l’1.05, contro un
incrociatore della Forza K, ma le unità britanniche hanno buon gioco ad
occultarsi nelle cortine fumogene e dietro i mercantili in fiamme –, all’1.08-1.09
i due incrociatori accostano a dritta, assumono rotta 180° e ricostituiscono la
linea di fila, avvistando la Forza K a proravia del traverso a sinistra. Mentre
la Forza K procede verso sud a 20 nodi, Trento e Trieste procedono
a soli 15-16 nodi, nonostante siano i più veloci incrociatori pesanti italiani,
capaci di sviluppare una velocità più che doppia. Ne consegue che la distanza
con il nemico aumenta.
All’1.12 la velocità
viene portata a 18 nodi ed all’1.25 la III Divisione raggiunge una velocità di
24 nodi, ma proprio a quest’ora il Trieste cessa
il fuoco, avendo i cannoni alzo per 17.000 metri, dal momento che il tiro
illuminante è ormai divenuto inutile a fronte dell’enorme distanza venutasi a
creare con il nemico.
All’1.26 la Forza K
appare nascosta dal fumo dei mercantili in fiamme, ed all’1.29 (1.26 per altra
fonte) la III Divisione inverte la rotta ad un tempo verso nord, a 24 nodi.
L’ammiraglio Brivonesi, infatti, ha correttamente intuito che la Forza K sta
circumnavigando il convoglio in senso antiorario, verso est e poi verso nord, e
con l’accostata verso nord intende intercettare le navi britanniche a poppavia
del convoglio stesso, tagliando loro la rotta, quando queste, finito di
aggirare e distruggere il convoglio ormai perduto, dirigeranno per rientrare a
Malta. L’idea non è sbagliata, dato che tra la III Divisione e la Forza K c’è
il convoglio, ma per tutta la durata dell’azione la III Divisione – a dispetto
della grande velocità che Trento e
Trieste sono stati concepiti per
avere – mantiene un’insufficiente velocità che varia tra i 16 ed i 20 nodi, ben
al di sotto di quella che si potrebbe sviluppare; per giunta, all’1.13
Brivonesi viene informato da Supermarina – sulla base di intercettazioni
radiogoniometriche – del rischio di un attacco di aerosiluranti, per quanto si
sia al di fuori del raggio d’azione di quelli di base a Malta, e di conseguenza
l’ammiraglio pensa, erroneamente, che sia in mare nelle vicinanze una portaerei
britannica (tipo di nave di cui la Mediterranean Fleet, al contrario, non
dispone più da sei mesi); al contempo, vedendo le sue navi illuminate dagli
incendi dei mercantili in fiamme, l’ammiraglio teme anche di essere divenuto
troppo facimente avvistabile da eventuali sommergibili oltre che dagli
aerosiluranti. Il risultato è che, tre minuti dopo l’inversione di rotta verso
nord, la III Divisione cessa il fuoco e si allontana sia dal convoglio che dal
previsto punto d’incontro con la Forza K, mentre quest’ultima prosegue nel suo
tiro contro il convoglio ormai indifeso per altri 37 minuti.
La III Divisione e la
Forza K si sono essenzialmente scambiate di posizione rispetto al convoglio,
con la III Divisione che finisce a sudovest e la Forza K a nordest. La Forza K
non solo non è stata colpita da nessun proiettile sparato dalle navi di
Brivonesi, ma nemmeno si è accorta di essere sotto tiro da parte di
incrociatori nemici: solo alle 00.52, infatti, prima ancora di iniziare
l’attacco, le unità britanniche hanno avvistato la III Divisione nel buio, ma
hanno pensato che si trattasse di un secondo convoglio che seguisse il primo,
forse una sua sezione in ritardo sul grosso, e che hanno stimato essere formato
da due mercantili e due cacciatorpediniere. Durante tutta l’azione contro il
convoglio la Forza K non noterà traccia alcuna del blando contrattacco della
III Divisione, ed alla fine riterrà di aver affondato anche i due “mercantili”
del “secondo” convoglio, indicando nel rapporto in nove, anziché in sette, il
numero dei trasporti affondati. (Per altra versione, il contrattacco fu notato
ma si ritenne che si trattasse proiettili da 120, invece che da 203, sparati da
altri due cacciatorpediniere, avvistati verso nord, cui rispose solo l’Aurora con i cannoni secondari da
102 mm, senza ovviamente colpire data la grande distanza).
All’1.35, come
l’ammiraglio Brivonesi comunica a Supermarina (aggiungendo che il convoglio è
stato distrutto), la III Divisione assume rotta d’evasione verso nordovest,
allontanandosi rapidamente e rinunciando definitivamente ad intercettare la
Forza K, per porsi, all’alba, sotto la protezione della caccia aerea di base in
Sicilia.
Terminata la
distruzione del convoglio, la III Divisione ritorna sul posto per proteggere le
operazioni di soccorso, e Fuciliere, Bersagliere ed Alpino vengono distaccati per recuperare i 764 naufraghi
insieme a Maestrale, Oriani, Euro e Libeccio.
In mattinata, alle 6.40, il sommergibile britannico Upholder (capitano di corvetta Malcolm David Wanklyn) silura e
danneggia gravemente il Libeccio impegnato
nel recupero dei naufraghi: l’esplosione del siluro asporta la poppa del
cacciatorpediniere, che però sembra inizialmente resistere. L’Euro, inizialmente affiancatosi
all’unità danneggiata per recuperarne l’equipaggio, tenta di prenderla a
rimorchio, ma gli allagamenti continuano ad estendersi nonostante gli sforzi
dell’equipaggio del Libeccio: alle
11.15, infine, il cacciatorpediniere silurato si abbatte sulla dritta, impenna
la prua ed affonda. Fuciliere, Maestrale ed Euro recuperano i superstiti, compresi numerosi naufraghi del Fulmine che erano stati in precedenza
tratti in salvo dal Libeccio, solo
per subire un secondo affondamento.
In tutto il Fuciliere recupera 20 naufraghi.
Mentre sono in corso
i tentativi di salvare il Libeccio,
alle 10.26, l’Upholder torna a quota
periscopica ed avvista Trento e Trieste, che però sono troppo lontani
per tentare un attacco. Alle 10.55 l’Upholder
li avvista di nuovo, stavolta in avvicinamento, ed alle 10.55 lancia i suoi
ultimi tre siluri contro il Trento,
da 2300 metri. Uno inizia a girare in tondo a causa di un’avaria alla
girobussola, passando due volte sulla verticale del sommergibile, che intanto è
sceso in profondità; gli altri due mancano il bersaglio.
La III Divisione
rientra a Messina alle 22.30.
12 novembre 1941
Il marinaio cannoniere
Antonio Maio, di 22 anni, da Bagnara Calabra, muore a bordo del Fuciliere nel Mediterraneo centrale.
21 novembre 1941
Alle 8.10 (7.30 per
altra fonte) il Fuciliere
(capitano di fregata Giovanni Cerrina Feroni) parte da Napoli unitamente
a Granatiere (caposquadriglia,
capitano di vascello Ferrante Capponi), Bersagliere
(capitano di fregata Giuseppe De Angioy) ed Alpino
(capitano di fregata Agostino Calosi) ed agli incrociatori leggeri Giuseppe Garibaldi (capitano di
vascello Vittorio De Pace) e Luigi
di Savoia Duca degli Abruzzi (capitano di vascello Franco Zannoni;
nave di bandiera del comandante superiore in mare, ammiraglio di divisione
Giuseppe Lombardi) dell’VIII Divisione, per fornire scorta indiretta a due
convogli partiti da Napoli e diretti a Tripoli: il «C» (partito in due gruppi
poi riunitisi in mare aperto; lo compongono le motonavi Monginevro, Napoli e Vettor
Pisani e la motonave cisterna Iridio
Mantovani, scortate dai cacciatorpediniere Vivaldi, Pessagno, Da Noli e Turbine e dalla torpediniera Perseo) e l’«Alfa» (salpato alle 19 e composto dalle motonavi Ankara e Sebastiano Venier scortate dai cacciatorpediniere Maestrale, Alfredo Oriani e Vincenzo
Gioberti).
Entrambi dovranno
seguire la rotta di levante, passando per lo Stretto di Messina e tenendosi poi
al di fuori del raggio d’azione degli aerosiluranti di Malta (190 miglia).
Sono in mare anche
due convogli diretti a Bengasi, uno (incrociatori ausiliari Città di Palermo e Città di Tunisi, scortati dal
cacciatorpediniere Nicolò Zeno e Lanzerotto Malocello) partito da Taranto
e l’altro (nave cisterna Berbera e
torpediniera Pegaso) salpato da
Brindisi. Al contempo, una motonave veloce (la Fabio Filzi) è partita anch’essa per Tripoli ma sulla rotta di
ponente (per il Canale di Sicilia), con la scorta di un paio di
cacciatorpediniere (oltre che di aerei: sia sui due convogli che sulla Filzi la scorta aerea dovrà essere
continua, nelle ore diurne, dal 20 al 23 novembre), per non dare nell’occhio.
Infine, l’incrociatore leggero Luigi
Cadorna è partito da Brindisi per trasportare a Bengasi un carico di
benzina, e da Tripoli prendono il mare le navi qui rimaste bloccate a inizio
novembre, per rientrare in Italia.
Si tratta di una
grande operazione complessa disposta per inviare in Libia, dopo la momentanea
battuta d’arresto causata dalla distruzione del convoglio “Duisburg”, i
rifornimenti necessari a contrastare l’offensiva britannica “Crusader”, con la
quale le forze del Commonwealth stanno avanzando in Africa Settentrionale.
La VIII Divisione,
insieme alla III Divisione (uscita da Napoli alle 19.30 con gli incrociatori
pesanti Trento, Trieste e Gorizia, nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Angelo
Parona), dovranno fornire protezione all’intera operazione.
Per evitare che il
nuovo convoglio faccia la stessa fine del “Duisburg”, distrutto dalla Forza K
britannica (due incrociatori leggeri e due cacciatorpediniere) nonostante la
presenza della III Divisione a pochi chilometri, si è deciso che le due
Divisioni non debbano tenersi a qualche chilometro dal convoglio, bensì
navigare insieme al convoglio stesso, dissuadendo la Forza K dall’attaccare.
L’idea è che un tale
numero di navi in movimento contemporaneamente, divise in più convogli sparsi
su una vasta area, confonda e disorienti la ricognizione maltese; che i
convogli finiscano col coprirsi a vicenda; che la presenza in mare della III e
VIII Divisione scoraggi interventi da parte della Forza K britannica (autrice
della distruzione del convoglio «Duisburg»), notevolmente inferiore per numero
e potenza (incrociatori leggeri Aurora e Penelope e cacciatorpediniere Lance e Lively). L’Aeronautica, oltre alla scorta antiaerea ed
antisommergibile dei convogli, effettua anche azioni di ricognizione e di
bombardamento degli aeroporti di Malta. Sette sommergibili vengono disposti in
agguato nelle acque circostanti l’isola per vigilare su eventuali sortite delle
forze navali ivi basate, con compito esplorativo ed offensivo.
L’VIII Divisione, che
parte da Napoli in leggero ritardo a causa di un attacco aereo scatenatosi sul
porto partenopeo proprio mentre gli incrociatori lasciavano gli ormeggi (il che
ha reso necessario procedere all’annebbiamento del porto), assume rotta sud a
18 nodi e dirige verso il convoglio «C», che è partito in precedenza. In
mattinata l’VIII Divisione viene raggiunta dagli aerei di scorta, come
pianificato: idrovolanti antisommergibili e 41 pattuglie di caccia Macchi Mc
200 del 21° Gruppo Caccia della 3a Squadra Aerea.
Alle 10.24
sopraggiungono anche tre aerosiluranti Savoia Marchetti S.M. 79 “Sparviero” e
un Caproni Ca. 313 della Scuola Aerosiluranti di Capodichino che effettuano
esercitazioni di attacco con lancio simulato contro il Duca degli Abruzzi.
Il convoglio «Alfa» è
stato però avvistato da un ricognitore britannico poco dopo la partenza; a
seguito dell’intercettazione di un messaggio radio britannico dal quale risulta
che una forza navale britannica non è molto lontana, il convoglio viene
dirottato ad Argostoli, ponendo così fine alla sua partecipazione
nell’operazione.
Il convoglio «C»,
invece, prosegue e viene raggiunto poco dopo le 16 dalla VIII Divisione con i
relativi cacciatorpediniere. Tale Divisione ne assume quindi la scorta diretta.
Quasi
contemporaneamente, però, mentre le navi sono ancora a nord della Sicilia,
anche il convoglio «C» e la sua scorta vengono avvistati da un aereo (un
Sunderland della RAF, decollato da Malta) e da un sommergibile avversari, che
segnalano a Malta la presenza di navi mercantili e navi da guerra italiane
dirette verso lo stretto di Messina. Supermarina intercetta e decifra entrambi
i segnali di scoperta; stante però la potente scorta di cui il convoglio gode,
sia Supermarina che l’ammiraglio Lombardi decidono di proseguire, senza neanche
modificare la rotta.
Alle 19.50 il
convoglio e la VIII Divisione imboccano lo stretto di Messina, e poco dopo
vengono raggiunti anche dalla III Divisione dell’ammiraglio Angelo Parona,
scortata dai cacciatorpediniere Aviere,
Geniere e Camicia Nera della XI Squadriglia e Carabiniere e Corazziere
della XII Squadriglia.
La VIII Divisione si
posiziona in testa al convoglio, la III in coda; tutta la formazione assume
direttrice di marcia lungo la costa siciliana, a 14 nodi, come ordinato. Alle
20.45 l’ammiraglio Lombardi viene informato da Supermarina che forze di
superficie britanniche sono in mare, e provvede ad ordinare a tutte le unità
“posto di combattimento generale”, avvisandole dell’eventualità di un incontro
notturno con navi nemiche. Contemporaneamente il convoglio inizia ad essere
sorvolato da ricognitori britannici, che volano sul suo cielo con qualche luce
volutamente lasciata accesa, in modo da attirare il fuoco contraereo delle
navi, che segnalano così, involontariamente, la direttrice di marcia del
convoglio. L’ammiraglio Lombardi ordina tassativamente di non aprire il fuoco
contro i ricognitori, essendo peraltro inutile, proprio per evitare di
segnalare la propria posizione; ma durante la notte diverse navi, soprattutto
tra quelle mercantili, si lasciano sfuggire sporadiche raffiche di mitragliera contro
tali velivoli.
I ricognitori non
perdono mai di vista il convoglio, aggiornando continuamente Malta sui suoi
spostamenti: innumerevoli messaggi vengono intercettati e decifrati sia da
Supermarina che dal comando della VIII Divisione.
Alle 21.45 la formazione
assume rotta 96°, in modo da uscire prima possibile dal raggio d’azione degli
aerosiluranti, e poco dopo si dispone in ordine di marcia notturna, con l’VIII
Divisione e la XIII Squadriglia in posizione difensiva sul fianco dritto del
convoglio, a protezione contro le provenienze da Malta, e la III con la XI e
XII Squadriglia su quello sinistro. Tale cambiamento di rotta e formazione
viene ordinato dall’ammiraglio Lombardi per cercare di disorientare i
ricognitori; ma poco dopo ricompaiono i bengala ed i fanalini dei ricognitori,
a mostrare che il convoglio non è stato perso di vista. Non passa molto, anzi,
prima che inizi una serie di violenti attacchi aerei (da parte di aerosiluranti
Fairey Albacore dell’828th Squadron e Fairey Swordfish dell’830th Squadron
della Fleet Air Arm e da bombardieri Vickers Wellington della RAF, di base a
Malta); ed anche sommergibili britannici si avvicinano al convoglio per
attaccarlo.
Alle
21.45 un gruppo di crittografi di Maristat imbarcati sul Gorizia intercetta una comunicazione radiofonica poco distante, di
cui non riesce tuttavia a decifrare le parole; alle 22 viene intercettato e
stavolta decifrato un messaggio di un bombardiere, identificato con la sigla
RPP, che comunica al Comando della RAF di Malta “Ho avvistato il nemico a … miglia per 230° da Reggio. Rotta nemico per
210°, velocità 9”. Tale messaggio viene intercettato e decifrato anche a Roma, alle 22.30, e Supermarina dirama
di conseguenza un messaggio PAPA (Precedenza Assoluta sulle Precedenze
Assolute) con cui si avverte “Posizione
del nemico a miglia 10-15 (gruppo dubbio) per 230 da Reggio – rotta 210 –
velocità 9”.
Alle 22.34 la
formazione italiana viene sorvolata da un aereo proveniente da sud, che viene
avvistato dal Fuciliere, e poi
illuminata da un bengala lanciato da un Wellington del 69th Squadron della RAF.
Alcune delle navi aprono il fuoco contro gli aerei (di cui si vedono i fanali
verdi accesi nell’oscurità), violando gli ordini dell’ammiraglio Lombardi di
non aprire il fuoco per non permettere all’avversario di meglio identificare
posizione e direttrice di marcia del convoglio.
Alle 22.45, per
ordine dell’ammiraglio Lombardi, i mercantili del convoglio si dispongono su
due colonne parallele; l’VIII Divisione si posiziona sulla dritta del convoglio,
con la XIII Squadriglia in posizione di scorta avanzata di prora all’VIII
Divisione, mentre la III Divisione fa lo stesso sul lato sinistro.
Alle 23.12 il
sommergibile britannico Utmost (capitano
di corvetta Richard Douglas Cayley) sente rumori di navi in posizione 37°48’ N
e 15°32’ E e poco dopo avvista tre incrociatori e tre cacciatorpediniere (le
navi della III Divisione) a cinque miglia di distanza, su rilevamento 275°,
stimandone rotta e velocità in 110° e 20 nodi. Il sommergibile va all’attacco e
lancia quattro siluri contro il Trieste,
il quale alle 23.12 viene colpito da una delle armi in corrispondenza della
caldaia numero 3, che esplode: l’incrociatore subisce danni gravissimi,
rimanendo immobilizzato, senza corrente elettrica e con diversi compartimenti
allagati.
Corazziere, Carabiniere e la
torpediniera Perseo rimangono ad
assistere l’incrociatore danneggiato, mentre il resto della formazione prosegue
(il Trieste riuscirà a rimettere in
moto alle 00.38 e raggiungerà Messina alle 7.30).
22 novembre 1941
Alle 00.30 diverse
unità comunicano di sentire rumore di aerei, e poco dopo numerosi bengala si
accendono nel cielo a nord del convoglio, su rotta approssimativamente
parallela alla sua. Il Duca degli Abruzzi
accosta a dritta accelerando a 18 nodi, e l’ammiraglio Lombardi ordina a tutte
le unità di accostare ad un tempo di 90° verso sud, dando la poppa ai bengala.
Alle 00.38, quando l’accostata è quasi completa, il Duca degli Abruzzi viene colpito a poppa dritta da un siluro
lanciato da un aerosilurante Swordfish dell’830th Squadron – un
altro aereo dello stesso tipo viene abbattuto, con la morte del pilota e la
cattura del navigatore –, fermando le macchine ma continuando l’accostata a
causa dell’abbrivio e del timone rimasto bloccato alla banda (per altra fonte,
il comandante del Duca degli Abruzzi
avrebbe fatto mettere le macchine a 30 giri per evitare di fermarsi del tutto,
dato che l’accensione di altri bengala nel cielo della formazione indicava che
il rischio di ulteriori attacchi persisteva; l’incrociatore avrebbe di
conseguenza iniziato a compiere giri sulla dritta per via del timone bloccato).
La conseguente
menomazione della forza di scorta, insieme ai continui e violenti attacchi
aerei ed alla notizia della presenza in mare di forze di superficie
britanniche, inducono l’ammiraglio Lombardi ad ordinare che il convoglio,
accompagnato da Trento e Gorizia e dalla XI Squadriglia
Cacciatorpediniere (oltre alla scorta diretta), rientri a Taranto; Supermarina
conferma l’ordine. Garibaldi e
XIII Squadriglia, cui successivamente si aggiunge anche il cacciatorpediniere Turbine, rimangono ad assistere il Duca degli Abruzzi: quest’ultimo rimette
in moto già alle 00.40, non avendo subito danni nei locali dell’apparato
motore; gli allagamenti vengono anch’essi agevolmente contenuti, ma il siluro,
che ha colpito a poppa, ha causato seri danni al timone, il che impedisce
all’incrociatore di governare.
A partire dalle 00.40
l’ammiraglio Lombardi ordina ai cacciatorpediniere di fare nebbia (inizialmente
rimangono a prestare assistenza all’incrociatore silurato Fuciliere e Granatiere,
che tentano di occultarlo con la continua emissione di cortine nebbiogene),
comunica di essere stato silurato, ordina alla XIII Squadriglia di dargli
assistenza ed all’una di notte ordina anche al Garibaldi di rimanere sul posto, per contrastare eventuali attacchi
di forze navali nemiche contro il Duca
degli Abruzzi ed il Trieste.
Per quasi tre ore
il Duca degli Abruzzi gira
in tondo – pur di non restare fermo, bersaglio immobile e fin troppo facile per
gli attaccanti – mentre l’equipaggio ripara i danni agli apparati di governo,
sotto la protezione di Garibaldi e
XIII Squadriglia che lo occultano con cortine nebbiogene e sparano intensamente
con le Mitragliere contro bombardieri
ed aerosiluranti che seguitano ad attaccare. All’1.40 l’Alpino tenta di prendere a rimorchio l’incrociatore, che non riesce
a governare, ma all’1.54, quando viene messo in forza il rimorchio, il cavo
dev’essere mollato per la rottura del maniglione della braga dell’Alpino, ed il tentativo viene così
abbandonato.
Alle 3.23,
finalmente, il timone è riparato ed il Duca
degli Abruzzi è in grado di fare rotta per le coste della Calabria,
alla velocità di 6 nodi.
Successivamente
arrivano sul posto anche altre siluranti, che rinforzano la scorta
dell’incrociatore silurato; alle 7 del mattino l’incrociatore danneggiato è
circondato dai cacciatorpediniere Granatiere, Fuciliere,Alpino, Corazziere, Carabiniere, Vivaldi, Da Noli
e Turbine e dalla
torpediniera Perseo. Tutte le
siluranti evoluiscono intorno al Duca
degli Abruzzi, emettendo cortine fumogene per occultarlo.
L’incrociatore,
assistito dal rimorchiatore Impero
(per altra fonte, trainato a cinque nodi da due rimorchiatori che l’hanno
raggiunto alle 8.16 insieme a due MAS inviati da Marina Messina) e
scortato da Granatiere, Fuciliere, Alpino, Vivaldi, Da Noli e Perseo, riuscirà faticosamente a rientrare a Messina alle 11.42,
mentre Corazziere, Carabiniere e Turbine dirigono per Reggio
Calabria.
29-30 novembre 1941
Dato che tra il 28 ed
il 30 novembre sono partiti, o devono partire, quattro convogli e cinque unità
militari in missione di trasporto verso la Libia (piroscafi Iseo e Capo Faro e torpediniera Procione, da Brindisi a Bengasi; motonave Sebastiano Venier e cacciatorpediniere Giovanni Da Verrazzano, da Taranto a
Bengasi; incrociatore ausiliario Adriatico,
da Argostoli a Bengasi; nave cisterna Iridio
Mantovani e cacciatorpediniere Alvise Da Mosto, da Trapani a Tripoli; cacciatorpediniere Antonio Da Noli, da Argostoli a Bengasi;
cacciatorpediniere Nicolò Zeno,
da Taranto a Bengasi; cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi ed Emanuele
Pessagno, da Argostoli a Derna; sommergibile Pietro Micca, da Taranto a Derna) e che il rischio di attacchi
navali britannici è altissimo (la Forza K, di base a Malta, ha distrutto due
convogli il 9 ed il 24 novembre), viene deciso di fare uscire in mare, a
protezione di tale traffico da eventuali puntate offensive di incrociatori
britannici, una consistente forza di protezione consistente nella
corazzata Duilio (comandante
superiore in mare, ammiraglio di divisione Guido Porzio Giovanola), nella VII
Divisione (Attendolo, Montecuccoli e Duca d’Aosta) con la XI Squadriglia
Cacciatorpediniere (Aviere, Geniere, Camicia Nera) e nella VIII Divisione (il solo incrociatore
leggero Giuseppe Garibaldi, più
due cacciatorpediniere della XIII Squadriglia, mentre il resto di tale
squadriglia accompagna la Duilio).
La XIII Squadriglia (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino) salpa da Taranto insieme alla Duilio alle 19.30 del 29, per fornire
sostegno alla VII Divisione (ammiraglio di divisione Raffaele De Courten)
uscita dallo stesso porto a mezzogiorno insieme alla XI Squadriglia, quale
punta avanzata della formazione italiana, per posizionarsi a metà strada tra
Taranto e Bengasi. Il mattino del 30 la XIII Squadriglia e la Duilio si congiungono con Garibaldi, Carabiniere e Corazziere,
usciti da Messina alle 22.20; il gruppo così formato dovrebbe congiungersi con
la VII Divisione per fronteggiare la minaccia posta dagli incrociatori
britannici di base a Malta, ma il Garibaldi
è colto da una grave avaria di macchina che limita la sua velocità massima a 15
nodi, costringendolo a rientrare in porto assieme alla Duilio che gli fornisce assistenza. Duilio, Garibaldi ed i
relativi cacciatorpediniere raggiungono Taranto alle 11.20 del 1° dicembre.
1° dicembre 1941
Fuciliere, Bersagliere, Aviere, Geniere, Granatiere, Montecuccoli, Attendolo e Duca d’Aosta,
in navigazione nel Golfo di Taranto, vengono avvistati alle 4.37, in posizione
39°08’ N e 17°31’ E, dal sommergibile britannico Upholder (capitano di corvetta Malcolm David Wanklyn). Stimata la
rotta delle navi come 030°, l’Upholder
si avvicina per attaccare; alle 4.45 la formazione italiana accosta proprio
verso il sommergibile britannico, che due minuti dopo s’immerge per continuare
la manovra d’attacco al periscopio, ed alle 5.01 lancia quattro siluri contro
l’incrociatore di coda da 915 metri di distanza. Nessuno dei siluri va a segno;
alle 5.45 l’Upholder riemerge per
lanciare il segnale di scoperta, ma non riesce a mettersi in contatto con
Malta.
9 dicembre 1941
Fuciliere, Granatiere, Bersagliere ed Alpino, in navigazione di trasferimento da Taranto a Napoli,
vengono avvistati alle 5.39 dal sommergibile britannico Unbeaten (capitano di corvetta Edward Arthur Woodward), dopo che
alle 5.30 questi ne ha captati i rumori all’idrofono in posizione 37°42’ N e
15°49’ E. L’Unbeaten avvista solo tre
dei quattro cacciatorpediniere, identificandoli erroneamente come unità classe Dardo; pur avendo preparato i siluri,
Woodward avvista i cacciatorpediniere, diretti proprio verso il suo battello,
quando sono già troppo vicini, con il rischio che passino sotto i loro scafi
senza esplodere. Decide pertanto di non attaccare.
13 dicembre 1941
Alle 17.40 (o 17.52)
il Fuciliere salpa da Napoli
insieme a Bersagliere, Granatiere ed Alpino scortando la IX Divisione Navale (ammiraglio di squadra
Angelo Iachino, comandante superiore in mare), formata da Littorio e Vittorio
Veneto, in trasferimento a Taranto per partecipare all’operazione di
traffico «M. 41».
L’operazione è stata
concepita per rifornire le forze italo-tedesche in Nordafrica, che si trovano
in situazione di grave carenza di rifornimenti in seguito alle gravi perdite
subite dai convogli diretti in Libia nelle settimane precedenti, proprio mentre
è in corso una nuova offensiva britannica, l’operazione «Crusader».
Con la «M. 41»,
Supermarina intende inviare a Tripoli e Bengasi tutti i mercantili già carichi
presenti nei porti dell’Italia meridionale, mobilitando per la loro protezione,
diretta e indiretta, pressoché tutta la flotta in condizioni di efficienza.
Sono previsti tre
convogli: l’«A», da Messina a Tripoli, formato dalle moderne motonavi Fabio Filzi e Carlo Del
Greco scortate dai cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco ed Antoniotto
Usodimare (poi dirottato su Taranto per unirsi da subito all’«L» ma
distrutto durante tale percorso dal sommergibile britannico Upright); l’«L», da Taranto per Tripoli,
formato dalle motonavi Monginevro, Napoli e Vettor Pisani scortate dai cacciatorpediniere Freccia ed Emanuele Pessagno (con a bordo il
contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone) e dalla torpediniera Pegaso; e l’«N», da Navarino ed
Argostoli per Bengasi, costituito dai piroscafi Iseo e Capo Orso e
dai cacciatorpediniere Turbine e Strale, cui si devono aggiungere la
motonave tedesca Ankara, il
cacciatorpediniere Saetta e
la torpediniera Procione provenienti
da Argostoli.
Oltre alla copertura
fornita dalla IX Divisione, che deve posizionarsi nel Mediterraneo centrale per
tutelare i convogli in mare contro un’eventuale uscita in mare delle corazzate
della Mediterranean Fleet, ogni convoglio deve fruire della protezione di una
forza navale di sostegno, che di giorno si terrà in vista dei trasporti e di
notte a stretto contatto con essi, pronto all’intervento.
Il convoglio «N» deve
fruire della protezione della corazzata Andrea Doria, degli incrociatori leggeri Attendolo e Duca
d’Aosta (nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Raffaele De
Courten, comandante la VII Divisione) e dei cacciatorpediniere Geniere, Carabiniere, Corazziere, Aviere, Ascari e Camicia
Nera, mentre gli altri due convogli saranno protetti dalla corazzata Duilio (nave ammiraglia
dell’ammiraglio di squadra Carlo Bergamini) e da un’eterogenea VIII Divisione
composta per l’occasione dagli incrociatori leggeri Giuseppe Garibaldi (nave di bandiera dell’ammiraglio Giuseppe
Lombardi, comandante della VIII Divisione) e Raimondo Montecuccoli e dall’incrociatore pesante Gorizia (con a bordo l’ammiraglio
di divisione Angelo Parona).
A completamento dello
schieramento, un gruppo di sommergibili viene dislocato nel Mediterraneo
centro-orientale con compiti esplorativi ed offensivi; è inoltre previsto un
imponente intervento della Regia Aeronautica.
Per via della carenza
di navi scorta e del tempo necessario a reperirne, l’operazione, inizialmente
prevista per il 12 dicembre, viene posticipata di un giorno.
La partenza da Napoli
della IX Divisione avviene nel massimo segreto: per ingannare eventuali agenti
britannici, inducendoli a credere che le corazzate debbano restare in porto, è
stato concesso anche un (limitato) numero di licenze a marinai dei loro
equipaggi.
Dopo aver lasciato il
porto le due corazzate, precedute dai cacciatorpediniere della XIII Squadriglia
che procedono in linea di fila, seguono la rotta di sicurezza fino al passaggio
della Bocca piccola, tra Capri e Punta Campanella, per poi dirigere a 18 nodi
verso lo stretto di Messina, in condizioni di mare calmo e bel tempo. Le
vedette sono all’erta, essendo la zona teatro di frequenti agguati dei
sommergibili britannici. I cacciatorpediniere si dispongono a proravia della Littorio in posizione di scorta
ravvicinata.
Nel tardo pomeriggio
del 13, quando i convogli sono già in mare, la ricognizione aerea comunica a Supermarina
che una consistente forza britannica, comprensiva di corazzate ed incrociatori
(in realtà sono solo quattro incrociatori leggeri: i ricognitori hanno
grossolanamente sovrastimato la composizione e potenza della forza avvistata),
si trova tra Tobruk e Marsa Matruh, diretta verso ovest. La somma delle forze
italiane in mare è complessivamente superiore, ma si trova divisa in gruppi tra
loro distanziati e vincolati a convogli lenti e poco manovrieri; per questo,
alle ore 20 Supermarina decide di sospendere l’operazione, ed i convogli
ricevono ordine di rientrare; alle 23 la IX Divisione riceve ordine di dirigere
per Taranto, regolando la navigazione in modo tale da attraversare lo stretto
di Messina dopo l’alba: in seguito al siluramento di Trieste e Duca degli Abruzzi
tre settimane prima, infatti, si vuole evitare attraversare quella zona di
notte.
Ciò non basterà ad
evitare danni.
14 dicembre 1941
Alle 8.40 il
sommergibile britannico Urge
(capitano di corvetta Edward Philip Tomkinson), portatosi a quota periscopica
dopo aver rilevato rumore di navi, avvista Littorio
e Vittorio Veneto (che identifica
erroneamente come corazzate classe Cavour) in navigazione attraverso lo stretto
di Messina con rotta sud, a 17 nodi, scortate da quattro cacciatorpediniere.
Portatosi in posizione d’attacco, alle 8.58 l’Urge lancia quattro siluri da 2700 metri contro la Vittorio Veneto, la corazzata di coda;
tre minuti dopo uno dei siluri va a segno, danneggiando gravemente la corazzata,
che si trova in quel momento in posizione 37°52’ N e 15°30’ E (secondo l’Urge; 37°53’ N e 15°29’ E per le fonti
italiane), una decina di miglia ad ovest-sud-ovest di Capo dell’Armi.
La nave rallenta e
sbanda a sinistra, imbarcando in breve tempo tremila tonnellate d’acqua (l’Urge viene poi sottoposto a contrattacco
per mezz’ora da parte della scorta, con il lancio di 40 bombe di profondità); inizialmente
l’ammiraglio Iachino, sopravvalutando la gravità del danno, ordina alla Vittorio Veneto – che riesce a
sviluppare una velocità di 21 nodi – di dirigere per Messina e distacca il Fuciliere e le torpediniere Clio e Centauro per scortarla, ma alle
9.12 la Vittorio Veneto riesce ad
assumere rotta 150° ed a seguire la Littorio
verso Taranto; alle 9.24 la corazzata danneggiata incrementa la velocità a 23,5
nodi, ed alle 12.45 si ricongiunge con la Littorio.
Nelle ore seguenti si
verificano altri allarmi per sommergibili e si ha anche l’erronea impressione
che un gruppo di aerosiluranti si stia dirigendo verso la IX Divisione, ma non
alla fine non succede niente.
Durante la
navigazione nel Golfo di Taranto, la scorta viene ulteriormente ingrossata da
altre siluranti distaccate da Supermarina via via che si liberano dalla scorta
dei convogli e gruppi di sostegno: all’originaria XIII Squadriglia
Cacciatorpediniere si aggiungono alle 10.50 i cacciatorpediniere Maestrale, Alfredo Oriani e Vincenzo
Gioberti della X Squadriglia ed il Corazziere, provenienti da Taranto; alle 17 raggiungono la Vittorio Veneto il Geniere, l’Aviere, il Carabiniere,
il Camicia Nera (XI Squadriglia),
il Vivaldi ed il Da Noli (XIV Squadriglia) sempre da
Taranto e le torpediniere Aretusa e Lince, mentre le torpediniere Centauro e Clio lasciano la scorta e
raggiungono Messina. Alle 11.45 ed alle 14.30 la Littorio lancia i suoi due idroricognitori per esplorare il mare in
direzione di Malta.
Vittorio Veneto e scorta raggiungono Taranto alle 23.15.
16 dicembre 1941
Alle 20 il Fuciliere lascia Taranto insieme ai
cacciatorpediniere Bersagliere, Fuciliere, Alpino (coi quali forma la XIII Squadriglia), Oriani, Gioberti, Maestrale (X
Squadriglia), Corazziere, Carabiniere ed Usodimare (XII Squadriglia), agli
incrociatori pesanti Trento e Gorizia (III Divisione, ammiraglio
Angelo Parona) ed alle corazzate Giulio
Cesare, Andrea Doria e Littorio (IX Divisione; comandante
superiore in mare, ammiraglio di squadra Angelo Iachino) per fornire sostegno
all’operazione «M. 42», che prevede l’invio in Libia di quattro mercantili (Vettor Pisani, Monginevro, Napoli ed Ankara, che trasportano 14.770 tonnellate
di materiali e 212 uomini) scortati da sette cacciatorpediniere (Saetta, Vivaldi, Malocello, Da Recco, Da Noli, Pessagno e Zeno) ed una torpediniera (la Pegaso), divisi in due convogli (Ankara, Saetta e Pegaso dirette
a Bengasi come convoglio "N", le altre unità dirette a Tripoli come
convoglio "L"). In tutto i mercantili trasportano 6869 tonnellate di
materiali vari, 2738 tonnellate di munizioni, 859 tonnellate di nafta e 103
tonnellate di olio per le forze italiane, e 3540 tonnellate di materiali, 761
tonnellate di carburante e 312 automezzi per le forze tedesche.
L’operazione fruisce
anche di scorta aerea assicurata dalla Regia Aeronautica e dalla Luftwaffe, sia
con funzioni di ricognizione che di protezione antiaerea ed antisommergibili, e
di una forza navale di copertura ravvicinata (corazzata Duilio, con a bordo l’ammiraglio Carlo
Bergamini, comandante del gruppo; incrociatori leggeri Duca d’Aosta – con a bordo
l’ammiraglio Raffaele De Courten, comandante della VII Divisione –, Attendolo e Montecuccoli; cacciatorpediniere Ascari, Aviere e Camicia
Nera). Inoltre, sei sommergibili sono schierati con compiti
esplorativi-offensivi nel Mediterraneo centro-orientale, e vengono posati nuovi
campi minati al largo della Tripolitania. Prima dell’uscita in mare del
convoglio e dei gruppi di scorta, tutti i mezzi antisommergibili disponibili
hanno condotto un approfondito rastrello antisommergibili nel Golfo di Taranto,
per sventare paventati agguati subacquei come quelli che hanno mandato a monte
l’operazione «M. 41».
In base all’ordine
d’operazioni, la XIII Squadriglia deve salpare da Napoli alle 10.30 per
portarsi nel punto convenzionale "A2", indi compiere a 18 nodi un
rastrello di quattro miglia per parte sulla rotta del convoglio fino a 30
miglia a sud del punto "A2", rientrando in porto dopo che il
convoglio è passato dal punto "A2" ed ormeggiandosi al pontile
Chiapparo per rifornirsi al completo e poi uscire nuovamente in mare alle 20,
insieme alla XII Squadriglia, precedendo la Littorio.
Poi le corazzate e la III Divisione (che è salpata un’ora prima), intervallate
di dieci miglia, procederanno direttamente verso il punto 36°54’ N e 19°00’ E,
per fornire appoggio strategico contro un’eventuale uscita da Alessandria del
grosso della Mediterranean Fleet.
Una volta in franchia, il gruppo di appoggio di cui fa parte il Fuciliere assume rotta 156° e
velocità 20 nodi; la III Divisione e la X Squadriglia si portano dieci
miglia a proravia della Littorio,
con la quale invece rimangono i cacciatorpediniere della XII e XIII
Squadriglia. La formazione regola la navigazione in modo da trovarsi per le
7.30 del 17 nel punto 36°54’ N e 19°00’ E, da dove assumerà rotta sudest fino a
mezzogiorno; poi, in base all’ordine d’operazione (e salvo diverse necessità
operative), dovrà proseguire verso sud, con ampi zigzagamenti intorno a tale
direttrice, mantenendosi ad est dei convogli, in modo da trovarsi in posizione
approssimata 32°40’ N e 16°40’ E il mattino del 18, per eventuale azione di
appoggio.
Alle 22.10 il sommergibile britannico Utmost (capitano
di corvetta Richard Douglas Cayley) avverte rumore di unità navali su
rilevamento 335°, ed alle 22.20, in posizione 39°33’ N e 17°41’ E (nel Golfo di
Taranto), avvista la III Divisione e la X Squadriglia su rilevamento 315°, a
distanza di 6 miglia, mentre procedono su rotta 140° a velocità 20 nodi. Alle
22.34 l’Utmost lancia quattro
siluri da grande distanza contro uno degli incrociatori, ma manca il bersaglio.
Poco prima di mezzanotte il gruppo «Littorio» viene avvistato dal sommergibile
britannico Unbeaten, che ne
comunica la scoperta al proprio comando, il quale a sua volta ne informa
l’ammiraglio Philip Vian, comandante della scorta di un convoglio in
navigazione da Alessandria verso Malta. Si tratta della sola cisterna
militare Breconshire, con 5000
tonnellate di carburante destinate a Malta, scortata dagli incrociatori
leggeri Naiad (nave
ammiraglia di Vian) ed Euryalus,
dall’incrociatore antiaerei Carlisle e
dai cacciatorpediniere Jervis, Havock, Hasty, Hiram, Kimberley, Kingston, Kipling e Decoy. Vian distacca il Carlisle con due cacciatorpediniere
perché si allontanino verso est ed effettuino false trasmissioni radio tese ad
ingannare i comandi italiani circa la direzione del convoglio, per poi
rientrare ad Alessandria; la sua formazione verrà più tardi raggiunta e
rinforzata (alle 8 del 17) da altri due incrociatori leggeri (Aurora e Penelope) e da sette cacciatorpediniere (Sikh, Legion, Maori, Lance, Lively, Legion ed Isaac Sweers, quest’ultimo olandese).
17 dicembre 1941
Alle otto del mattino, dopo una navigazione notturna priva di eventi, il
gruppo «Littorio» dirige per sudest, in attesa di eventuali avvistamenti di
navi nemiche provenienti da est. La Littorio
procede in testa, seguita in linea di fila da Doria e Cesare, mentre i
cacciatorpediniere della XII e XIII Squadriglia sono disposti in scorta
ravvicinata di prora e sui lati. Sopraggiungono i primi velivoli della scorta
aerea: prima due Junkers Ju 88 della Luftwaffe di base in Sicilia, poi Savoia
Marchetti S.M. 79 e CANT Z. 1007 bis italiani.
Alle 9 la formazione
britannica viene avvistata da un ricognitore tedesco; l’ammiraglio Iachino ne
viene informato alle 10.24, anche se le notizie riferite dal ricognitore
contengono vari errori (la velocità, di 16 nodi, è sovrastimata a 20, e
soprattutto la Breconshire è
stata scambiata per una corazzata). Iachino sapeva già della presenza in mare
di una formazione britannica (già prima della partenza ne è stato informato da
un primo ricognitore tedesco, che ha anch’esso scambiato la Breconshire per una corazzata); ora
ne conosce anche, sia pure sommariamente, rotta e posizione.
Curiosamente, tutti gli aerei italiani e tedeschi avvicendatisi sul cielo del
convoglio britannico persisteranno nello scambiare la Breconshire per una corazzata.
In seguito a tale comunicazione il gruppo «Littorio» aumenta la velocità (24
nodi) e modifica la rotta (prima 180°, poi 224°) per stabilire il contatto con
essa quanto prima (Iachino crede che le navi britanniche siano in mare per
attaccare il convoglio che è sotto la sua protezione, non essendo al corrente
della presenza della Breconshire diretta
a Malta; suo obiettivo primario è quindi impedire questo presunto attacco).
Nel primo pomeriggio, sulla base delle comunicazioni dei ricognitori (e di un
erroneo avvistamento di fumo all’orizzonte su rilevamento 195° da parte dell’Oriani alle 15.43, smentito
tuttavia dallo stesso Oriani dopo
due minuti) l’ammiraglio Iachino ritiene che l’incontro con i britannici sia
imminente, e dispone le sue navi di conseguenza (la X Squadriglia
Cacciatorpediniere viene lasciata dove si trova, a 10 miglia per 200°
dalla Littorio, mentre la XII e
XIII Squadriglia ricevono ordine di portarsi nelle posizioni stabilite per il
combattimento); alle 16.40, però, viene informato dai ricognitori che le navi
britanniche hanno accostato per sud. Dieci minuti dopo, ritenendo di non poter
raggiungere il nemico prima della notte, Iachino decide di rinunciare
all’incontro, anche per non allontanarsi troppo dal convoglio, pertanto fa
ridurre la velocità a 20 nodi (alle 16.59 la XII e XIII Squadriglia
Cacciatorpediniere ricevono ordie di assumere posizione di scorta ravvicinata)
e cessare il posto di combattimento (17.05), disponendo nuovamente le navi in
linea di fila, dirigendo verso sud.
Proprio a questo punto, quando non si crede d’incontrare più i britannici,
la Littorio avvista vampate
di intenso fuoco contraereo al traverso a sinistra (in direzione inaspettata,
rispetto alla posizione stimata sulla base delle notizie dei ricognitori): le
navi di Vian. Sono le 17.23.
Ritenendo di poter dare battaglia prima di notte, Iachino fa nuovamente
accelerare a 24 nodi ed accostare le navi ad un tempo di 90° a sinistra (verso
ovest), dirigendo verso il nemico.
Alle 17.40, mentre il sole tramonta, vengono avvistati dapprima fumi e poi
sagome di navi a 30° di prora a dritta; alle 17.45 la formazione italiana
accosta ad un tempo di 90° a dritta, così effettuando lo spiegamento, per
aprire il fuoco su brandeggio adeguato.
Alle 17.52 l’ammiraglio Vian, avendo avvistato le navi italiane, ordina
alla Breconshire di
allontanarsi verso sud con la scorta di Havock e Decoy, poi dirige verso la squadra italiana col
resto della sua formazione: il suo obiettivo è di occultare la Breconshire con cortine fumogene ed
al contempo, mandando i cacciatorpediniere all’attacco silurante, indurre le
navi italiane ad allontanarsi verso nord. Più o meno a quell’ora, le corazzate
e gli incrociatori di Iachino e Parona aprono il fuoco contro le navi di Vian,
da 29.000 metri di distanza, a ritmo alquanto lento, essendo il bersaglio poco
visibile.
Le navi britanniche (in netta inferiorità) simulano un contrattacco con gli
incrociatori leggeri Aurora, Penelope, Naiad ed Euryalus e
10 cacciatorpediniere, avvicinandosi ed aprendo il fuoco. I cacciatorpediniere
britannici vengono inviati all’attacco degli incrociatori italiani, ed in
risposta (alle 18.02, secondo il rapporto di Iachino) la X e XIII Squadriglia
Cacciatorpediniere sono mandate al contrattacco silurante, dirigendo incontro
al nemico alla massima velocità e sparando anche con tutti i pezzi sulle navi
britanniche.
Calato poi il buio, alle 17.57, Vian richiama i suoi cacciatorpediniere, indi
accosta verso est: ha raggiunto il suo scopo, prendendo tempo per difendere
la Breconshire in attesa
che calasse il buio, ed ora non intende perseverare in uno scontro con una
formazione italiana nettamente superiore. Tra le 17.59 e le 18.07 le navi
maggiori italiane cessano il fuoco, seguite, alle 18.10, dalle unità sottili
(alle 18.12 Iachino ordina ai cacciatorpediniere di riunirsi al grosso,
restando di poppa). Lo scontro, che prenderà il nome di prima battaglia della
Sirte, ha così termine in un nulla di fatto, perché l’ammiraglio Iachino, temendo
– a torto, in seguito ad errate informazioni della ricognizione aerea – la
presenza in mare di almeno una corazzata britannica, decide di non portare a
fondo l’attacco, data l’inferiorità della Marina italiana nel combattimento
notturno, e ritenendo di aver respinto un attacco (in realtà mai verificatosi,
e frutto di un reciproco equivoco) contro il convoglio da lui scortato.
Alle 18.28 la formazione italiana accosta ad un tempo di 90° a dritta; le navi
maggiori si dispongono in linea di fila, mentre i cacciatorpediniere ricevono
ordine di assumere la posizione di scorta ravvicinata su una linea di fila
unica, ad est della formazione.
Durante la sera e la notte, il gruppo segue alternativamente rotte 40° e 220°,
tenendosi ad est del convoglio.
18 dicembre 1941
Alle sei del mattino, Granatiere e Corazziere entrano in collisione,
distruggendosi a vicenda la prua. Alle 7.12 la III Divisione e la X
Squadriglia ricevono ordine di dare loro assistenza; alle 14.15 la III
Divisione riceverà ordine di lasciare i cacciatorpediniere alle 18, dirigendo
per Taranto.
Oriani, Maestrale e Gioberti,
cui più tardi si unisce lo Strale,
rimangono ad assistere Granatiere e Corazziere, che riusciranno a
raggiungere Navarino.
Alle 15 del 18 dicembre sia il gruppo di copertura ravvicinata che quello di
scorta a distanza lasciano la scorta dei due convogli, che arriveranno a
destinazione l’indomani (pur subendo il leggero danneggiamento della Napoli), e
fanno ritorno a Taranto, con rotta 45 e velocità 20 nodi.
19 dicembre 1941
A mezzogiorno il
gruppo «Littorio» viene avvistato in
posizione 39°14’ N e 17°49’ E, su rilevamento 235°, dal sommergibile polacco Sokol (capitano di corvetta Borys
Karnicki), che dieci minuti prima ha rilevato rumore di motrici di navi su
rilevamento 220°. Karnicki identifica la flotta avversaria come composta da due
corazzate (in realtà sono tre: Littorio,
Cesare, Doria), due incrociatori (Trento
e Gorizia) e dieci cacciatorpediniere
(Fuciliere, Granatiere, Bersagliere, Alpino, Corazziere, Carabiniere, Maestrale, Oriani, Gioberti, Usodimare), con un “ombrello” di dieci
aerei nel loro cielo; le navi italiane hanno rotta 295° e velocità 20 nodi, la
distanza dall’incrociatore più vicino è di oltre 9 km. Alle 12.15 la flotta
italiana vira verso nord e scompare alla vista del Sokol, passando tra quest’ultimo ed il sommergibile britannico Unbeaten (capitano di corvetta Edward
Arthur Woodward), che forma uno sbarramento al largo del Golfo di Taranto
insieme al Sokol ed al P 31 (tenente
di vascello John Bertram de Betham Kershaw). L’Unbeaten avvista fumo su rilevamento 040°, ma poco dopo viene
avvolto da un piovasco, che gli impedisce di avvistare le navi italiane,
Il gruppo «Littorio» arriva a Taranto alle 17 (per altra fonte, a Napoli alle
18.15).
23 dicembre 1941
Fuciliere e Bersagliere (capo
sezione) salpano da Augusta alle 10.30 per trasportare a Tripoli cento (per
altra fonte 122) tonnellate di benzina tedesca in fusti (od in lattine).
24 dicembre 1941
Arrivati a Tripoli
alle 12.30, i due cacciatorpediniere vi scaricano la benzina per poi ripartire
dalle 18.30, con a bordo un gruppo di prigionieri da portare in Italia. In
uscita da Tripoli, mentre è in corso un pesante attacco aereo, Fuciliere e Bersagliere si accodano ad un altro gruppo di cacciatorpediniere
anch’essi di ritorno in Italia con prigionieri a bordo, ossia Vivaldi, Da Recco ed Usodimare. In
tutto i cinque cacciatorpediniere hanno a bordo 870 prigionieri (460 europei e
410 di colore) scortati da 45 soldati e tre ufficiali.
Le cinque unità,
costituendo un’unica formazione su due colonne (il cui comando va al capitano
di vascello Giovanni Galati del Vivaldi),
seguono a 27 nodi una rotta che passa ad est di Malta anziché, come prescritto
dagli ordini ricevuti in precedenza, ad ovest dell’isola: tale variazione è
stata decisa dal comandante Galati di propria iniziativa, alle ore 21 del 24,
sulla base del fatto che i suoi cacciatorpediniere sono stati attaccati da
bombardieri britannici dopo aver assunto la rotta definitiva per Lampione, il
che dà motivo di credere che ormai i britannici conoscano con certezza gli
elementi della navigazione delle navi italiane, cosa che renderebbe
estremamente facile, per il nemico, organizzare la loro intercettazione nelle
acque di Lampedusa. Considerato anche che le sue navi, avendo a bordo ciascuna
circa 300 tra prigionieri, operai e militari di scorta e di passaggio, sono in
condizioni tutt’altro che ottimali per un combattimento notturno, Galati decide
di cambiare radicalmente il percorso da seguire, e pertanto cambia rotta in
modo da passare 100 miglia ad est di Malta, invece di percorrere il Canale di
Sicilia come previsto. La velocità viene portata a 25 nodi, in modo da essere
al traverso di Malta non più tardi delle prime luci dell’alba.
25 dicembre 1941
I cacciatorpediniere
giungono a Napoli a mezzanotte.
Inizio 1942
In seguito alla
collisione che ha messo fuori uso Granatiere
e Corazziere per diversi mesi, la XII
Squadriglia Cacciatorpediniere viene sciolta e le sue unità vengono assegnate
alle altre due squadriglie composte da unità classe Soldati: la XIII
Squadriglia viene così ad essere composta da Fuciliere, Bersagliere, Alpino, Lanciere e Carabiniere.
3 gennaio 1942
Il Fuciliere lascia Messina per Tripoli
alle 10.15, insieme ai cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi (nave ammiraglia del contrammiraglio Amedeo Nomis
di Pollone, comandante dei cacciatorpediniere della scorta diretta), Nicoloso Da Recco, Antoniotto Usodimare e Bersagliere, scortando le motonavi Nino Bixio, Lerici e Monginevro,
nell’ambito dell’operazione di rifornimento «M. 43». Il Fuciliere e gli altri
cacciatorpediniere del suo gruppo si sono trasferiti da Napoli a Messina il
giorno precedente, rifornendosi nel porto siciliano prima di prendere il mare
per la missione.
Le tre motonavi
formano il convoglio n. 1 di tale operazione; la «M. 43» prevede in tutto
l’invio in Libia di cinque grandi motonavi da carico ed una petroliera, tutte
veloci (almeno 14 nodi) e di recente costruzione, con una scorta poderosa:
oltre alle siluranti di scorta di ciascun convoglio, vi sono una forza di
«scorta diretta incorporata nel convoglio» (gruppo «Duilio», al comando
dell’ammiraglio di squadra Carlo Bergamini, con il compito di respingere
eventuali attacchi di formazioni leggere di superficie come la Forza K)
composta dalla corazzata Duilio (nave
ammiraglia di Bergamini) con gli incrociatori leggeri Emanuele Filiberto Duca d’Aosta (nave di bandiera
dell’ammiraglio di divisione Raffaele De Courten), Raimondo Montecuccoli, Muzio
Attendolo e Giuseppe
Garibaldi ed i cacciatorpediniere Maestrale, Scirocco, Alfredo Oriani e Vincenzo Gioberti, ed un gruppo
d’appoggio a distanza (gruppo «Littorio», al comando dell’ammiraglio di squadra
Angelo Iachino, con l’incarico di proteggere il convoglio da un eventuale
attacco in forze della Mediterranean Fleet) formato dalle corazzate Littorio (nave di ammiraglia di
Iachino), Giulio Cesare ed Andrea Doria (nave ammiraglia
dell’ammiraglio di divisione Guido Porzio Giovanola), dagli incrociatori
pesanti Trento e Gorizia (nave ammiraglia
dell’ammiraglio di divisione Angelo Parona) e dai cacciatorpediniere Aviere, Geniere, Carabiniere, Alpino, Camicia Nera, Ascari, Antonio Pigafetta ed Antonio Da Noli. Alla scorta aerea
concorrono la Regia Aeronautica (Armata Aerea e Ricognizione Marittima) e la
Luftwaffe (II Corpo Aereo Tedesco e X Corpo Aereo Tedesco, di base l’uno in
Sicilia e l’altro in Grecia) per effettuare ricognizione sul porto della
Valletta (Malta) e nelle acque di Alessandria, bombardamenti preventivi sugli
aeroporti maltesi e scorta di caccia, antiaerosilurante ed antisommergibile sui
cieli del convoglio nonché a protezione delle navi impegnate nello scarico una
volta giunte a Tripoli. Completa il dispositivo di difesa la dislocazione di
undici sommergibili sulle probabili rotte che una ipotetica forza navale nemica
dovrebbe percorrere per attaccare il convoglio.
4 gennaio 1942
Tra le 7 e le 11,
come previsto, il convoglio n. 1 si unisce ai convogli 2 (motonave Monviso, motocisterna Giulio Giordani, torpediniere Orsa, Aretusa, Castore ed Antares) e 3 (motonave Gino Allegri, cacciatorpediniere Freccia, torpediniera Procione), partiti rispettivamente da
Taranto e Brindisi; si forma così un unico grande convoglio, il cui caposcorta
è il contrammiraglio Nomis di Pollone. Mentre il convoglio «Allegri» si unisce
al Gruppo «Duilio», la III Divisione Navale (Trento e Gorizia)
del gruppo d’appoggio viene avvistata da un ricognitore britannico; da Malta
decolla una formazione aerea per attaccare, ma deve rientrare senza essere
riuscita a trovare il convoglio. Al tramonto il gruppo «Duilio» s’incorpora
nella formazione del convoglio, che durante la notte mette la prua su Tripoli.
5 gennaio 1942
Poco dopo le tre di
notte il gruppo «Duilio» lascia il convoglio, che giunge indenne a Tripoli alle
12.30 senza aver subito alcun attacco. Complessivamente, con questo convoglio
giungono in Libia oltre 15.000 tonnellate di carburante, 12.500 di munizioni,
650 veicoli e 900 soldati.
Il Fuciliere si unisce poi al gruppo «Littorio»
di ritorno in Italia. Alle 14.53 tale gruppo viene avvistato dal sommergibile
britannico Unique (tenente di
vascello Anthony Foster Collett) in posizione 40°07’ N e 17°07’ E: dapprima l’Unique rileva rumore distante di navi su
rilevamento 140°, poi (alle 14.56) avvista le alberature di una nave su
rilevamento 130°, indi (14.58) avvista altre navi ed alle 15 si ritrova davanti
una corazzata (la Littorio), un
incrociatore e cinque cacciatorpediniere. Portandosi a quota periscopica, alle
15.05 il sommergibile perde momentaneamente il controllo dell’assetto prima di
poter osservare i suoi bersagli, ed alle 15.10 rileva i rumori di un
cacciatorpediniere vicinissimo, il che lo induce a scendere a 15 metri; tornato
a quota periscopica alle 15.24, Collett scopre che la Littorio ha intanto cambiato rotta, ma alle 15.30, pur essendo in
una posizione poco favorevole per attaccare, decide di lanciare lo stesso
quattro siluri. Nessuna delle armi va a segno, nonostante a bordo dell’Unique sia avvertita una forte
esplosione dieci minuti dopo i lanci.
22 gennaio 1942
Alle 11 il Fuciliere salpa da Taranto insieme a Bersagliere, Carabiniere ed Alpino (coi
quali forma la XIII Squadriglia, al comando del capitano di vascello Ferrante
Capponi sull’Alpino) ed agli
incrociatori leggeri Emanuele
Filiberto Duca d’Aosta, Muzio
Attendolo e Raimondo
Montecuccoli della VII Divisione, con cui forma il gruppo «Aosta»
(ammiraglio di divisione Raffaele De Courten sul Duca d’Aosta) incaricato di per fornire protezione ravvicinata
all’operazione «T. 18», che prevede l’invio a Tripoli di un convoglio formato
dalla motonave passeggeri Victoria,
salpata da Taranto con 1125 soldati a bordo, e dalle moderne motonavi da
carico Ravello, Monviso, Monginevro e Vettor
Pisani, partite da Messina con circa 15.000 tonnellate di rifornimenti
(nonché 271 automezzi e 97 carri armati), il tutto con la scorta diretta
di Vivaldi, Malocello, Da Noli, Aviere, Geniere e Camicia Nera nonché delle torpediniere Castore ed Orsa. Sei ore dopo prende il mare anche
un secondo gruppo di copertura, denominato «Duilio» (al comando dell’ammiraglio
di divisione Carlo Bergamini imbarcato sulla corazzata omonima, comandante
superiore in mare) e formato appunto dalla corazzata Duilio e dai cacciatorpediniere Scirocco, Oriani, Ascari e Pigafetta (XV Squadriglia Cacciatorpediniere, al comando del
capitano di vascello Enrico Mirti della Valle sul Pigafetta).
La Victoria salpa insieme al gruppo «Duilio»,
che con essa forma il convoglio numero 2 (del quale è capo scorta il Pigafetta: la XV Squadriglia ne è la
scorta diretta), mentre il convoglio 1 si forma in mare con l’Unione delle quattro motonavi da carico,
salpate in precedenza da Napoli e Messina, scortate dal gruppo «Vivaldi»
(contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone) che conta sui
cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi (nave
ammiraglia di Nomis di Pollone), Antonio
Da Noli e Lanzerotto
Malocello della XIV Squadriglia, Aviere (caposquadriglia), Geniere e Camicia
Nera della XI Squadriglia (capitano di vascello Luciano Bigi sull’Aviere), sulla torpediniera Castore (capitano di corvetta
Alfonso Congedo) e sulla torpediniera di scorta Orsa (capitano di corvetta Eugenio Henke).
Nove sommergibili
sono stati inviati in agguato ad est di Malta e tra Creta e l’Egitto
occidentale, mentre la Regia Aeronautica e la Luftwaffe forniscono copertura
aerea con ricognitori, aerei antisommergibili e soprattutto caccia, i quali di
giorno saranno sempre presenti sopra le navi italiane.
I convogli numero 1 (privato della Ravello,
rientrata a Messina per problemi al timone, ed unitosi al gruppo «Aosta» nel
pomeriggio del 22) e 2 (che procede a 19 nodi) seguono rotte che, prima e dopo
la riunione, li fanno passare a 190 miglia da Malta, dieci miglia in più di
quello che si ritiene essere il massimo raggio operativo degli aerosiluranti
basati in quell’isola e nella Cirenaica (stime che però si riveleranno
inesatte, causa l’avanzata britannica in quei territori); si prevede che la
sera del 23 le navi, riunite in un unico convoglio, accosteranno per Tripoli,
sempre mantenendosi ai margini del cerchio di 190 miglia di raggio con centro
su Malta.
La Royal Navy, informata dai decrittatori di “ULTRA” che «un importante convoglio diretto a Tripoli dall’Italia e coperto dalla
flotta sarà in mare oggi [22 gennaio], così come il 23 e il
24 gennaio» (il giorno seguente “ULTRA” riesce a fornire ai comandi
britannici informazioni più dettagliate, sebbene meno del solito, indicando che
un «importante convoglio» è partito dall’Italia per Tripoli con probabile
arrivo il giorno 24, e che, sebbene la sua esatta composizione non sia nota,
probabilmente esso comprende la Victoria con
mille soldati e la motonave Vettor
Pisani partita da Messina il 22 mattina, il tutto coperto «da un certo
numero delle principali unità della Marina italiana»), ha disposto numerosi
sommergibili in agguato nel Golfo di Taranto; nel primo pomeriggio del 22 la
VII Divisione viene avvistata da due o tre sommergibili britannici, che
segnalano l’avvistamento ai rispettivi comandi. Uno di essi, il Torbay (capitano di fregata Anthony
Cecil Capel Miers), alle 13.47 (orario britannico; le 13.55 secondo le fonti
italiane) lancia anche sei siluri contro la formazione italiana (di cui ha
apprezzato la composizione in tre incrociatori e sei cacciatorpediniere, in
navigazione a 20 nodi su rotta 140°), da 7300 metri di distanza, in posizione
39°40’ N e 17°27’ E, ma senza riuscire a colpire nessuna delle navi. Le basi
britanniche a Malta ed in Egitto e Cirenaica sono poste in allarme, e vengono
inviati dei ricognitori per appurare rotta, velocità e composizione delle forze
italiane.
Il gruppo «Duilio» viene avvistato il 22 sera dal ricognitore «B6KT»: i suoi
messaggi vengono però subito intercettati e decifrati dai decrittatori
imbarcati sulla Duilio,
permettendo all’ammiraglio Bergamini di apprendere che il suo gruppo era stato
avvistato. Il ricognitore britannico rimane in contatto con il gruppo di
Bergamini in modo da poter raccogliere informazioni più precise e dettagliate,
e poco dopo mezzanotte invia un secondo segnale più particolareggiato,
anch’esso intercettato e decifrato dalla Duilio; alle 00.47 lancia una cortina di bengala su uno dei lati
del gruppo «Duilio», poi si porta sul lato opposto in modo da poter contare una
per una le navi che lo compongono, le cui sagome sono ora chiaramente visibili
nel controluce generato dai bengala; solo a questo punto, inviato a Malta un
ulteriore messaggio ancora più ricco di dettagli, il ricognitore si allontana.
23 gennaio 1942
In mattinata, mentre sul cielo della formazione giungono i primi
bombardieri tedeschi Junkers Ju 88 della scorta aerea, compaiono nuovamente i
ricognitori britannici: restando molto lontani sia dalle navi italiane che
dagli aerei tedeschi, non vengono attaccati ed inviano alle loro basi ulteriori
informazioni, con crescente precisione, sulle navi del convoglio, senza che né
le ripetute variazioni di rotta da parte di Victoria e Duilio,
né la doppia inversione di marcia del gruppo «Aosta» possano trarli in inganno.
Alle 15 i convogli 1 e 2, in ritardo piuttosto considerevole rispetto al
previsto, si riuniscono in una posizione prossima a quella prestabilita; le
motonavi si dispongono su due colonne di due navi ciascuna (con la Victoria, capoconvoglio, in testa alla
colonna sinistra). La XI e XIV Squadriglia Cacciatorpediniere si posizionano a
scorta diretta intorno ai mercantili, mentre la Duilio e la VII Divisione si portarono ai lati del convoglio;
il complesso navale assume una velocità di 14 nodi, sempre pedinato dai
ricognitori nemici (uno dei quali appare alle 15.55 volando a bassissima quota,
procedendo ad est delle navi italiane e mantenendo il contatto da circa 20 km
di distanza). Sia l’ammiraglio Bergamini che l’ammiraglio De Courten hanno
l’impressione che gli aerei provengano dalla Cirenaica.
Alle 16.16 cominciano gli attacchi aerei: dapprima alcune bombe di piccolo
calibro mancano di poco la Victoria,
che non subisce danni, poi la VII Divisione viene bombardata con ordigni di
maggiore calibro, ma la sua reazione contraerea respinge l’attacco senza danni.
Ritenendo insufficiente la scorta aerea di nove bombardieri tedeschi Ju 88
presente sopra il convoglio, l’ammiraglio Bergamini chiede via radio al comando
della Luftwaffe della Sicilia – primo caso di comunicazione radio diretta
effettuata con successo tra i comandi navali ed aerei italo-tedeschi – l’invio
di altri aerei in rinforzo alla scorta; giungono perciò altri tre Ju 88, che
rafforzarono la scorta aerea.
Alle 17.25 vengono avvistati altri tre velivoli britannici: provenienti dalla
direzione del sole ormai prossimo a tramontare, si avvicinano con decisione al
convoglio volando bassi, divenendo presto oggetto di violento fuoco contraereo
da parte delle torpediniere che si trovano su quel lato del convoglio; poi,
giunti a più di un chilometro dalle siluranti ed ad oltre tre dalla Victoria, cabrano ed invertirono la
rotta, gettando in mare il carico offensivo, senza che gli Ju 88 riescano ad
evitarlo.
Agli uomini a bordo delle siluranti della scorta, che hanno negli occhi la luce
del sole basso che impedisce di vedere bene, i tre aerei attaccanti sono
sembrati dapprincipio dei bombardieri, e si pensa che abbiano rinunciato ad
attaccare, gettando in mare per alleggerirsi quelle che sembrano bombe; ma in
realtà sono aerosiluranti Bristol Beaufort del 39th Squadron
della Royal Air Force, decollati da Berka (Bengasi), e dopo 60-90 secondi,
il Vivaldi avvista le scie
di due siluri, che evita passandoci in mezzo, ordinado al contempo ai
mercantili di accostare d’urgenza di 90° a dritta, ma non tutti comprendono
bene l’ordine. Quelli che erano stati scambiati per bombardieri, erano in
realtà aerosiluranti.
Alle 17.30 un siluro colpisce a poppa la Victoria, sul lato dritto, lasciandola immobilizzata e leggermente
appoppata, mentre a dritta del convoglio, gli Ju 88 attaccano ed abbattono uno
degli aerei britannici.
Ad assistere la Victoria vengono
distaccati Aviere, Ascari e Camicia Nera, mentre il resto del convoglio prosegue per non
esporsi inutilmente ad ulteriori attacchi. La Victoria sarà affondata da un nuovo attacco aerosilurante alle
19, con la perdita di 409 uomini, mentre 1046 potranno essere tratti in salvo.
Alle 19.15 la Duilio e la
XV Squadriglia Cacciatorpediniere, come previsto, si posizionano a nord del 36°
parallelo ed ad est del 19° meridiano, per difendere il convoglio da eventuali
navi da guerra britanniche provenienti dal Mediterraneo orientale, ma tale
minaccia non si concretizza; le motonavi proseguono invece per Tripoli scortate
dai gruppi «Vivaldi» e «Aosta».
24 gennaio 1942
Il convoglio, dopo aver superato indenne altri attacchi aerei e subacquei,
giunge a destinazione alle 14.
25 gennaio 1942
Il gruppo «Aosta»
raggiunge Taranto alle 15.30.
Febbraio 1942
Il capitano di
fregata Umberto Del Grande, quarantunenne, avvicenda il parigrado Cerrina
Feroni nel comando del Fuciliere.
14 febbraio 1942
In serata il Fuciliere, insieme a Carabiniere, Bersagliere, Alpino (coi
quali forma la XIII Squadriglia), alla VII Squadriglia Cacciatorpediniere (Freccia, Folgore, Saetta), alla
VIII Divisione (incrociatori leggeri Montecuccoli e Duca d’Aosta, al comando dell’ammiraglio
Raffaele De Courten) ed alla corazzata Duilio (nave
di bandiera dell’ammiraglio Carlo Bergamini), salpa da Taranto per partecipare
all’operazione «M.F. 5» a contrasto dell’invio di un convoglio britannico
(convoglio «M.W. 9», formato dai piroscafi Clan Chattan, Clan
Campbell e Rowallan Castle scortati
dall’incrociatore leggero Penelope e
da sei cacciatorpediniere della Forza K) da Alessandria a Malta.
Il gruppo salpato da
Taranto deve congiungersi alle otto del mattino seguente con un altro
proveniente da Messina e formato dalla III Divisione (ammiraglio di divisione
Angelo Parona; incrociatori pesanti Trento e Gorizia) e dalla XI Squadriglia
Cacciatorpediniere (Aviere, Geniere, Ascari, Camicia Nera) in
un punto situato 70 miglia ad est di Malta (successivamente spostato 40 miglia
più a sud, a seguito di ordine delle 20.20). III e VIII Divisione, riunite in
un unico gruppo, procederanno in posizione avanzata, seguite a dieci miglia
dalla Duilio con l’VIII
Squadriglia. La formazione, che gode della scorta aerea di velivoli da caccia
della Luftwaffe, dovrà intercettare ed attaccare il convoglio britannico in
navigazione verso Malta; è prevista un’estesa e precisa ricognizione aerea per
guidare la formazione navale, nonché crociere d’interdizione di caccia Reggiane
Re 2000 dell’Aeronautica della Sicilia dirette contro le provenienze da Malta
verso est, ed intensificazione dei bombardamenti su Malta, a copertura
dell’operazione.
Già alle 19.55,
tuttavia, la Duilio e la
VIII Squadriglia ricevono ordine di rientrare in porto. Supermarina, infatti,
ha appurato che non ci sono corazzate britanniche in mare (difatti la
Mediterranean Fleet non ha più una sola corazzata efficiente da dicembre,
quando le ultime due sono state poste fuori uso ad Alessandria dagli incursori
della X MAS), pertanto l’impiego della Duilio è
ritenuto superfluo. La III e VIII Divisione, invece, vengono fatte proseguire.
15 febbraio 1942
III e VII Divisione
si riuniscono verso le 9.20, formando un’unica formazione sotto il comando
dell’ammiraglio De Courten, che dirige su rotta 180° a 20 nodi di velocità.
I primi velivoli
della scorta aerea sono arrivati alle 7.15, e resteranno sul cielo delle navi,
senza interruzioni, fino alle 16.
Supermarina ritiene
che siano in mare non uno ma due convogli diretti verso Malta: uno, in
posizione più avanzata, di due piroscafi con 1-2 incrociatori e 5-6
cacciatorpediniere, ed un altro più arretrato con tre piroscafi (uno dei quali
in avaria) e cinque navi di scorta, compresi forse due incrociatori. In realtà
soltanto il convoglio «M.W. 9» è diretto a Malta: non esiste un secondo
convoglio.
Verso le otto del
mattino Supermarina, sulla base degli avvistamenti da parte di un gruppo di
S-Boote tedesche in agguato ad est di Malta, giunge alla conclusione che il
convoglio più avanzato non sia più intercettabile, perché ormai quasi arrivato
a destinazione (non è così); il secondo convoglio, benché intensamente cercato
dai ricognitori, non viene trovato (perché non esiste).
In realtà, il
convoglio «M.W. 9» ha già cessato di esistere a causa dei ripetuti attacchi
aerei italo-tedeschi: dei tre mercantili del convoglio, il Clan Campbell, troppo danneggiato per
proseguire, si è dovuto rifugiare a Tobruk, mentre Clan Chattan e Rowallan
Castle sono stati affondati.
Alle 18.30 la
formazione comprendente la III e VII Divisione riceve ordine di rientrare alla
base, seguendo rotte che la tengano sempre ad almeno 180 miglia da Malta.
16 febbraio 1942
Alle 4.44
l’accensione di alcuni bengala annuncia l’arrivo di un attacco aereo diretto
contro la formazione di De Courten, comunque già preannunciato da
intercettazioni di comunicazioni radio britanniche; viene subito iniziata
l’emissione di cortine nebbiogene. Alle 5.30 ha luogo un attacco di
aerosiluranti; grazie alle cortine nebbiogene ed alle pronte manovre di tutte
le navi della formazione, che impediscono ai piloti nemici di determinare
correttamente i dati necessari al lancio, nessuna nave viene colpita. Alle 5.57
si spengono gli ultimi bengala.
Alle 7 sopraggiungono
i primi aerei tedeschi per ricominciare la scorta aerea; alle 7.25 le due
Divisioni si separano, scambiandosi le squadriglie di cacciatorpediniere: Fuciliere e XIII Squadriglia si
trovano così ad accompagnare la III Divisione, anziché la VIII.
Alle 7.47 la III
Divisione avvista un bombardiere britannico Vickers Wellington, che viene
abbattuto verso le otto dagli Junkers Ju 88 della scorta aerea: l’ammiraglio
Parona distacca il Fuciliere per
recuperarne i superstiti, e verso le 8.30 il cacciatorpediniere trae in salvo
tre dei sei uomini dell’equipaggio del bombardiere, mentre gli altri tre sono
rimasti uccisi. Due dei prigionieri sono gravemente feriti e spirano a bordo
del Fuciliere poco dopo il
salvataggio, nonostante le cure prestate dall’equipaggio; il terzo, tenente
John W. W. Richards, ha invece riportato soltanto ferite leggere, e racconta
che il suo aereo proveniva direttamente dall’Inghilterra e che sarebbe dovuto
atterrare a Malta: smarritosi durante la notte a causa del maltempo, si era
messo in cerca dell’isola e si era avvicinato alle navi italiane avendole
scambiate per britanniche.
Alle 11.30, essendo
la formazione in procinto di entrare in acque abitualmente infestate da
sommergibili britannici (gli approcci meridionali dello Stretto di Messina),
l’ammiraglio Parona ordina di incrementare la velocità a 24 nodi; per
rafforzare la protezione della formazione contro gli attacchi subacquei, si
uniscono ad essa la torpediniera Giuseppe
Dezza e due MAS usciti da Messina, nonché due idrovolanti antisommergibili
CANT Z. 501, tre Junkers Ju 88 e due caccia Messerschmitt Bf 109. Nonostante
questo dispiegamento di forze, alle 13.45 il Carabiniere (capitano di fregata Giacomo Sicco) viene colpito da un
siluro che gli asporta la prua, senza che nessuna nave od aereo abbia avvistato
un periscopio.
L’attaccante è il
sommergibile britannico P 36 (tenente
di vascello Harry Noel Edmonds), che ha avvistato la formazione italiana alle
13.01 – ventuno minuti dopo aver rilevato rumore di motrici di cacciatorpediniere
su rilevamento 110° – mentre si trovava a quota periscopica a sud dello stretto
di Messina. Dopo aver inizialmente manovrato per attaccare l’incrociatore di
testa, correttamente identificato come il Trento,
alle 13.07 Edmonds ha cambiato bersaglio e deciso invece di attaccare il Gorizia; alle 13.15 (evidente la
discrepanza con le fonti italiane), in posizione 37°42’ N e 15°35’ E, il P 36 ha lanciato quattro siluri da 915
metri, per poi scendere in profondità (verrà poi sottoposto a caccia a partire
dalle 13.18, con il lancio di 105 bombe di profondità nei primi 45 minuti,
nessuna delle quali esplosa particolarmente vicina).
Venti uomini del Carabiniere sono rimasti uccisi; i
feriti, quaranta, vengono trasbordati sull’Alpino,
sul Bersagliere e sui MAS (questi
ultimi prelevano i più gravi, per portarli rapidamente a terra), dopo di che il
cacciatorpediniere mutilato viene preso a rimorchio dapprima dalla Dezza e successivamente dal
rimorchiatore Instancabile, con la
scorta della torpediniera Generale
Marcello Prestinari.
Solo il Fuciliere rimane con Trento e Gorizia, che entrano a Messina alle 15. I MAS con i feriti giungono
in porto mezz’ora più tardi, l’Alpino
ed il Bersagliere alle 19, mentre il Carabiniere riuscirà a raggiungere
Messina solamente il mattino successivo.
7 marzo 1942
Il Fuciliere, insieme al
cacciatorpediniere Vivaldi ed
alla torpediniera Castore, si
unisce alla scorta del convoglio numero 3 (motonave Monreale e torpediniera Circe, partite da Napoli all’1.30) dell’operazione di traffico «V.
5», che prevede l’invio di tre convogli da Brindisi, Messina e Napoli a
Tripoli, per un totale di quattro moderne motonavi scortate complessivamente da
cinque cacciatorpediniere e tre torpediniere.
8 marzo 1942
Alle 7.30 il
convoglio numero 3 si aggrega ai convogli 1 (motonavi Nino Bixio e Reginaldo
Giuliani, cacciatorpediniere Antonio
Pigafetta e Scirocco) e
2 (motonave Gino Allegri,
cacciatorpediniere Antonio Da Noli e Bersagliere), partiti rispettivamente da
Brindisi e Messina e riunitisi già il giorno precedente.
Entro le 8.30, a 190
miglia da Leuca, si forma così un unico convoglio sotto il comando del capitano
di vascello Enrico Mirti della Valle, imbarcato sul Pigafetta. Poco dopo, alle 9.45, sopraggiunge anche il gruppo di
scorta, al comando dell’ammiraglio di divisione Raffaele De Courten, formato
dagli incrociatori Eugenio di Savoia, Raimondo Montecuccoli e Giuseppe Garibaldi e dai
cacciatorpediniere Alfredo Oriani, Aviere, Ascari e Geniere;
tale gruppo zigzaga a 16-18 nodi di velocità mantenendosi poco a poppavia del
convoglio, che procede a 15 nodi verso sud passando a 190 miglia da Malta. La
scorta aerea, mantenuta pressoché senza interruzione durante tutte le ore
diurne, è fornita da due bombardieri medi CANT Z. 1007 della Regia Aeronautica
e (in media) da sei tra bombardieri Junkers Ju 88 e caccia pesanti
Messerschmitt Me 110 della Luftwaffe; comunque non si concretizza alcuna
minaccia da parte degli aerei di Malta, a causa di un equivoco commesso dai
piloti britannici (vedi 9 marzo). Al tramonto il gruppo di scorta
dell’ammiraglio De Courten viene “incorporato” nel convoglio.
9 marzo 1942
Sulla base delle
informazioni di “ULTRA”, decolla da Malta un ricognitore Martin Maryland del 69th Squadron
R.A.F. con il compito di intercettare il convoglio formato da Bixio, Allegri, Giuliani e Monreale, per guidare sul posto gli
aerosiluranti incaricati di attaccarlo. Il ricognitore trova (e segnala)
effettivamente un convoglio formato da quattro moderne motonavi, tre
cacciatorpediniere e tre torpediniere, circa 200 miglia a sudest di Malta: si
tratta però del convoglio sbagliato, anche se l’equipaggio dell’aereo non può
saperlo. Il convoglio trovato dal Maryland è composto dalla motonave
cisterna Giulio Giordani e
dalle motonavi da carico Unione, Lerici e Ravello, scortate dai cacciatorpediniere Scirocco, Pigafetta e Strale e dalle torpediniere Cigno e Procione; ma queste navi sono dirette verso nord, in viaggio di
ritorno da Tripoli verso l’Italia, mentre il convoglio che comprende il Vivaldi, quello che i comandi di Malta
vogliono attaccare (essendo questo formato da navi cariche di rifornimenti per
il fronte nordafricano, mentre le altre stanno tornando scariche), procede in
direzione opposta, verso sud.
Poco più tardi un
altro ricognitore, un Maryland del 203rd Squadron, avvista il
convoglio “giusto” (quello del Vivaldi):
in seguito a questo avvistamento, i comandi britannici fanno decollare dalla
base libica di Bu Amud (vicino a Tobruk) una formazione di otto aerosiluranti
Bristol Beaufort del 39th Squadron R.A.F. (guidati dal capitano
C. S. Taylor), nonché una di bombardieri Boeing B-17 Flying Fortress del 220th Squadron.
I Beaufort dovrebbero essere scortati da dei caccia Bristol Beaufighter, ma
questi ultimi non si presentano al punto d’incontro; gli aerosiluranti
proseguono ugualmente senza scorta, ed alle 16.40 avvistano un convoglio 170
miglia a nord di Tripoli, passando dunque all’attacco. Ma il convoglio che i
Beaufort hanno trovato e attaccato è quello sbagliato; si tratta infatti di
quello di ritorno dalla Libia, formato da Giordani, Unione, Lerici e Ravello. La composizione molto simile dei due convogli e delle
relative scorte trae in inganno gli equipaggi dei Beaufort: siccome il
convoglio da essi trovato è formato da quattro moderne motonavi scortate da una
mezza dozzina di siluranti, il che corrisponde grosso modo alla descrizione del
convoglio segnalato loro dai comandi sulla base delle notizie dei ricognitori,
i piloti britannici ritengono di aver trovato il convoglio loro assegnato come
obiettivo, senza apparentemente notare, o badare, al fatto che esso stia
seguendo rotta opposta a quella che dovrebbe seguire. L’attacco, ad ogni modo,
è del tutto infruttuoso: nessuno dei siluri lanciati dai Beaufort va a segno,
così come nessuno degli aerei britannici viene danneggiato dal tiro contraereo
delle navi (uno viene invece danneggiato dai caccia tedeschi postisi al loro
inseguimento, ma in modo non grave).
Nel frattempo, ignaro
di tutto ciò, il convoglio che include il Fuciliere prosegue tranquillo verso la propria rotta. Neanche i
B-17 riescono a trovarlo, e la sua navigazione non viene così molestata durante
tutta la navigazione.
Al largo di Ras Cara
(punto d’atterraggio), in mattinata, il gruppo di scorta lascia il convoglio e
si posiziona in modo da coprirlo da eventuali attacchi di navi britanniche, che
però non hanno luogo. Alle 7.30 Scirocco e Pigafetta lasciano anch’essi il
convoglio per rinforzare la scorta di un altro partito da Tripoli per tornare
in Italia (e che ha in quel momento incrociato quello proveniente dall’Italia);
il convoglio entra nel porto di Tripoli tra le 17.30 e le 18.
22 marzo 1942
All’una di notte il Fuciliere salpa da Messina insieme a Bersagliere, Alpino e Lanciere
(temporaneamente aggregato alla XIII Squadriglia) ed alla III Divisione Navale,
composta dagli incrociatori pesanti Trento e Gorizia, più l’incrociatore
leggero Bande Nere, per
partecipare all’intercettazione del convoglio britannico «M.W. 10», diretto a
Malta. Tale convoglio, partito da Alessandria alle 7 del mattino del 20 marzo,
è formato dalla cisterna militare Breconshire e
dai piroscafi Clan Campbell, Pampas e Talbot, con la scorta diretta dell’incrociatore leggero Carlisle e dei
cacciatorpediniere Avon Vale, Dulverton, Beaufort, Eridge, Southwold e Hurworth, rinforzata per il tratto più
pericoloso dagli incrociatori leggeri Dido, Euryalus e Cleopatra e dai
cacciatorpediniere Hasty, Havock, Hero, Sikh, Zulu, Lively, Jervis, Kelvin, Kingston e Kipling.
Quest’ultima forza, il 15th Cruiser Squadron della Royal Nay, è
salpata da Alessandria alle 18 del 20 ed è comandata dall’ammiraglio Philip L.
Vian. Da Malta si uniscono ad essa, nella giornata del 22 marzo, anche
l’incrociatore leggero Penelope ed
il cacciatorpediniere Legion.
La XIII Squadriglia e
la III Divisione formano il gruppo «Gorizia» (al comando dell’ammiraglio di
divisione Angelo Parona, comandante la III Divisione, con bandiera sul Gorizia), uno dei due usciti in mare per
tale missione; l’altro gruppo, denominato «Littorio» (corazzata Littorio, cacciatorpediniere Ascari, Aviere, Oriani e Grecale, più Geniere e Scirocco che
però partiranno in ritardo e di fatto non riusciranno a riunirsi al resto della
formazione), parte invece da Taranto. Comandante superiore in mare è
l’ammiraglio di squadra Angelo Iachino, imbarcato sulla corazzata Littorio.
Il primo sentore di
una possibile operazione nemica lo si è avuto il 19 marzo 1942, quando da
intercettazioni radio è emerso che si trova in mare, a bordo di un incrociatore
classe Dido, il comandante delle
forze leggere della Mediterranean Fleet, ammiraglio Philip L. Vian. Alle 00.22
del 20 marzo è stato intercettato un telegramma di precedenza assoluta
trasmesso a Malta, e da ciò è derivata l’impressione che le navi britanniche siano
in movimento da Alessandria verso Malta; il mattino del 21 un ricognitore
Junkers Ju 88 del X Fliegerkorps tedesco ha avvistato un convoglio di tre
piroscafi e quattro cacciatorpediniere con rotta ovest, una quarantina di
miglia a nord di Sidi el Barrani. Successivi ulteriori avvistamenti e
decrittazioni di messaggi britannici hanno confermato che il convoglio dirige
verso ovest a 14 nodi di velocità. Rilevamenti radiotelegrafici e segnalazioni
di un U-Boot tedesco, nella sera e notte del 20-21 marzo, confermano
l’esistenza di importante traffico nemico al largo dell’Egitto, anche se si è
ritenuto che il convoglio avvistato dallo Ju 88 fosse diretto a Tobruk e non a
Malta (per quanto anche questa possibilità non venga categoricamente esclusa),
il che appare anche dalle comunicazioni intercettate, nelle quali il convoglio
riferisce ad Alessandria i propri movimenti.
Lo stesso giorno un
secondo convoglio, dal nome convenzionale di «Empire», è stato avvistato alle
2.21 da un U-Boot tedesco, 28 miglia a nord-nord-ovest di Sidi el Barrani, con
rotta nordovest; alle 16.30 lo stesso convoglio è stato avvistato anche dal
sommergibile italiano Platino (tenente
di vascello Innocenzo Ragusa), il quale ha riferito che un incrociatore
leggero, quattro cacciatorpediniere e tre grossi piroscafi si trovavano a 48
miglia a sud-ovest di Gaudo (Creta), con rotta 320°.
Alle 16.58 un altro
ricognitore Ju 88 del X Fliegerkorps ha avvistato davanti al convoglio, cento
miglia a nord di Derna, un gruppo di circa 14 navi da guerra, tra cui tre di
grandi dimensioni. Alle 18 Supermarina, stimando che il convoglio sia diretto a
Malta, accompagnato da un gruppo leggero di scorta composto da non più di tre
incrociatori ed alcuni cacciatorpediniere, oltre ad alcune altre navi partite
da La Valletta nella notte tra il 21 ed il 22 marzo (nel pomeriggio, dei
ricognitori tedeschi hanno avvistato in quel porto delle bettoline di
rifornimento affiancate ad un incrociatore ed un cacciatorpediniere), ha deciso
di intervenire con la flotta da battaglia, ossia la Littorio e la III Divisione Navale, più le relative
squadriglie di cacciatorpediniere. Per la III Divisione l’ordine operativo è: «Terza Divisione con BANDE NERE – ALPINO – FUCILIERE – LANCIERE – BERSAGLIERE escano
appena pronti regolando navigazione modo trovarsi ore 080022 punto Beta
latitudine 3540 longitudine 1740 quindi incrocino zona venti miglia attorno
detto punto attesa risultati ricognizioni».
Durante la manovra di
partenza, il Gorizia ha
problemi a lasciare gli ormeggi per via del vento fortissimo, il che causa un ritardo
di un’ora rispetto al previsto: a causa di tale ritardo, Supermarina posticipa
di un’ora il previsto arrivo della III Divisione nel punto convenzionale
«Beta».
Lasciata Messina, il
gruppo «Gorizia» procede lungo la costa calabrese sino a Capo Spartivento, poi,
alle 2.52, accosta assumendo rotta 150° verso il punto prestabilito «B» (a 160
miglia per 95° da Malta), a 25 nodi. Le navi vengono poi raggiunte da
bombardieri Junkers Ju 88 tedeschi del I./NJG.2, che ne assumono la scorta.
Alle 7.30 il Gorizia catapulta
un idrovolante da ricognizione, che deve però rientrare subito a Siracusa per
guasto al motore; alle 8.16, pertanto, il Bande Nere catapulta il suo idroricognitore, che compie esplorazione
verso sudest per un centinaio di miglia, ma non avvista alcunché, dopo di che
dirige per Augusta. Ad avvistare le navi britanniche sono invece aerei del II
Corpo Aereo Tedesco (bombardieri ed aerosiluranti) ed un altro ricognitore,
catapultato dal Trento.
Passato all’altezza
del punto «B» alle 9.11, la formazione prosegue con rotta 150°, riducendo la
velocità a 20 nodi, fino alle 9.48, dopo di che inverte la rotta, come ordinato
da Supermarina, ed inizia ad incrociare nella zona del punto «B», aspettando
che giungano notizie sul nemico (poco dopo le 10, il gruppo ha rotta 330° e
velocità 20 nodi).
Alle 10.40, per
ordine dell’ammiraglio Iachino, la III Divisione accosta per 160° (più tardi
per 165°) per stabilire contatto visivo con le forze britanniche, quindi la
XIII Squadriglia si porta in posizione di scorta avanzata e poi la formazione
assume una velocità di 30 nodi.
A causa del mare
sempre più agitato da sudest, alle 12.12 la velocità deve essere ridotta a 28
nodi per non causare eccessivi problemi ai cacciatorpediniere, ed alle 13.32,
per gli stessi motivi, deve essere ulteriormente ridotta a 26 nodi e le navi
accostano per 180°. Alle 13.40 la formazione assume rotta 210°. Alle 13.42 il
gruppo «Gorizia» si dispone perpendicolarmente alla probabile direzione di
avvistamento dei britannici, con il Gorizia al
centro, Trento e Bande Nere alla sua sinistra su
rilevamento 90° e la XIII Squadriglia alla sua dritta su rilevamento 270°, ad
una distanza di 4000 metri.
Gli ordini per la III
Divisione sono di prendere contatto visivo con il nemico senza impegnarsi prima
della riunione con il gruppo «Littorio». La direzione di probabile avvistamento
del nemico, determinata in base alle informazioni comunicate dagli aerei (non
sempre concordi in merito alla posizione degli avvistamenti), si rivela poi
essere esatta: le navi nemiche vengono avvistate verso le 14.20, su rilevamento
185° (a 23.000 m)-170°-160°.
Le navi britanniche,
dal canto loro, avvistano prima dei fumi alle 14.17 (l’Euryalus) e poi (Euryalus e Legion) le navi italiane alle 14.27;
l’ammiraglio Vian identifica erroneamente i tre incrociatori italiani, alle
14.34, per altrettante corazzate, distanti 12 miglia.
Dopo l’avvistamento,
le navi di Parona accostano per 250° (per sudovest), come prestabilito, allo
scopo di assumere rotta convergente a quella delle navi britanniche, ma
restando al contempo in grado di fare fuoco con tutte le artiglierie
principali. Ha così inizio l’avvicinamento al nemico; le condizioni di
visibilità sono altalenanti, il cielo è parzialmente coperto da nuvole basse.
L’Avon Vale, il Carlisle e le navi della "Strike Force" di Vian
iniziano ad emettere fumo. Alle 14.44, mentre il convoglio viene rapidamente
nascosto da cortine nebbiogene (dopo soli 40 secondi dall’avvistamento, le navi
britanniche sono completamente avvolte dalla cortina fumogena, che offusca
anche una vasta zona di mare tutt’intorno; il vento spinge il fumo verso le
navi italiane) ed accosta per 210° in modo da allontanarsi verso
ovest-sud-ovest (scortato dal Carlisle e
dai cacciatorpediniere della scorta diretta), gli incrociatori britannici –
disposti in colonne, per divisione, e guidati dal Cleopatra –, dirigono contro quelli italiani per difendere il
convoglio, assumendo rotta ovest-nord-ovest.
La III Divisione,
come precedentemente stabilito, fa rotta verso nord per attirarli verso il
gruppo «Littorio» (corazzata Littorio,
cacciatorpediniere Ascari, Aviere, Oriani e Grecale).
Il piano dell’ammiraglio Iachino, che si aspetta che le navi britanniche inseguano
quelle italiane, è di attirare il nemico tra il gruppo «Gorizia» da una parte
ed il gruppo «Littorio» dall’altra.
Avvicinandosi, gli
incrociatori di Vian escono dalla cortina nebbiogena che i cacciatorpediniere
britannici hanno steso sulla formazione, e risulta così possibile stabilire il
contatto balistico: alle 14.35, mentre corrono verso nord, gli incrociatori di
Parona aprono il fuoco con le torri poppiere, da 21.700 metri di distanza. Il
tiro italiano risulta piuttosto intermittente, perché la visibilità dei
bersagli è altalenante: le navi nemiche vengono impegnate ogni volta che escono
dalla nebbia, ma questo accade solo di quando in quando; inoltre, il mare mosso
fa rollare e beccheggiare fortemente le navi ed il vento soffia schiuma contro
i telemetri, rendendo pressoché impossibile – insieme al fumo ed alle grandi
distanze – una mira accurata. Alle 14.43 le navi di Parona interrompono il tiro
per poi riprenderlo dieci minuti dopo, mentre gli incrociatori britannici
descrivono un ampio semicerchio, virando a nordest alle 14.33 per diffondere
ulteriormente il fumo, e poi a nordovest alle 14.56, ora in cui il Cleopatra e l’Euryalus iniziano a rispondere al fuoco (per la prima volta
dall’inizio dello scontro) da una distanza di 19.000 metri. Le salve sparate
dalle navi di Vian risultano ben presto assai centrate, ma nessuna di esse va a
segno. A causa del fumo, poche navi britanniche, eccetto Cleopatra ed Euryalus, avvistano quelle italiane; e
di esse soltanto il cacciatorpediniere Lively spara
qualche colpo.
Alle 15.06 Vian si
rende conto di avere di fronte degli incrociatori, e non delle corazzate (anche
se sbaglia ancora a quantificarne il tipo ed il numero, credendo trattarsi di
un incrociatore pesante e tre incrociatori leggeri), che navigano in linea di
fronte su uno schieramento ampio circa due miglia e rotta stimata 200°; i primi
colpi italiani, che cadono molto corti, sono stati visti alle 14.36. Le navi
britanniche accostano prima ad est, poi a sud e poi di nuovo ad ovest, per non
allontanarsi dal convoglio; il gruppo «Gorizia» le asseconda, mantenendo il
contatto balistico e variando la distanza in base alla visibilità ed agli
ordini di tenere il nemico agganciato, ma senza impegnarsi a fondo. Alle 15.10
la III Divisione, che ha ridotto la velocità a 25 nodi, viene inquadrata da
numerose salve d’artiglieria, molto rapide, sparate da circa 20.000 metri di
distanza; di nuovo, però, nessuna nave viene colpita.
Tra le 15.09 e le
15.15 uno degli incrociatori italiani inizia a centrare le sue salve su Cleopatra ed Euryalus, anche dopo che questi si sono
ritirati dietro la cortina nebbiogena; il Cleopatra reagisce sparando anch’esso alcune salve contro la
nave italiana, ed alle 15.15 le unità avversarie accostano entrambe in fuori.
Alle 15.13 gli incrociatori italiani cessano il tiro; quando le unità nemiche
accostano di nuovo verso nord, il gruppo «Gorizia» cerca di nuovo di portarle
verso il gruppo «Littorio», ormai vicino, che avvista alle 15.23 ad una
distanza di 15 km. La III Divisione riduce pertanto la velocità a 20 nodi ed
accosta per assumere la posizione assegnata in formazione, cioè a sinistra
della Littorio. La riunione avviene
alle 15.30.
Mentre le unità di
Parona e di Vian sono impegnate in questo primo scambio di colpi, il convoglio
viene attaccato da bombardieri tedeschi Junkers Ju 88, che vengono respinti dal
furioso tiro contraereo del Carlisle e
dell’Avon Vale (che durante tale
azione entrano in collisione tra di loro, ma senza riportare danni gravi).
Alle 15.20 gli incrociatori
britannici accostano di nuovo verso sud (o sudovest) per riunirsi al convoglio
(alla stessa ora, il Gorizia avvista
la Littorio verso nord), e
la prima fase dello scontro volge al termine. Il convoglio torna ad assumere
l’originaria rotta verso ovest. Vian, non a conoscenza della manovra italiana,
ritiene di aver respinto il nemico e così comunica al suo superiore, ammiraglio
Cunnignham, alle 15.35. Le navi di Vian si ricongiungono col convoglio alle
16.30; dato che i cacciatorpediniere classe “Hunt” della scorta diretta hanno
già consumato gran parte del proprio munizionamento contraereo, Vian ordina a
due dei suoi gruppi (il primo e quello incaricato di emettere fumo) di unirsi
alla scorta diretta.
Il tempo va intanto
peggiorando: il vento sta aumentando, fino a 30 nodi, e la schiuma delle onde
genera una sorta di foschia bassa, con conseguente mediocre visibilità.
Una volta riuniti i
due gruppi, la flotta italiana si dispone con la III Divisione in linea di
fronte a sinistra (ad est) della Littorio,
così da avere uno schieramento perpendicolare al probabile rilevamento delle
forze nemiche; poi, data anche la sua eterogeneità, la III Divisione viene
lasciata a 5 km di distanza dalla corazzata, per garantirle maggiore
scioltezza. Successivamente, la III Divisione passa alla formazione in linea di
fila nell’ordine Gorizia (in
testa), Trento (al
centro), Bande Nere (in
coda).
L’ammiraglio Iachino,
cui risulta che gli incrociatori nemici stiano navigando verso sud ad alta
velocità, ritenne che il convoglio abbia deviato per sudovest, e decide di
manovrare per tagliargli la strada; alle 16.18 giunge una comunicazione di un
aereo che riferisce che il nemico si trova a 30 miglia di distanza, 10° di
prora a sinistra, con rotta 255°, e Iachino ordina di accostare per 230° per
intercettarlo.
Alle 16.31 la squadra
italiana avvista di nuovo quella britannica per rilevamento 210° (circa dieci
miglia più ad ovest di quanto previsto in base alle segnalazioni degli aerei);
contestualmente, un idroricognitore catapultato dalla Littorio avvista il convoglio a 10 miglia per 240° dagli
incrociatori britannici (cioè al di là di questi ultimi), su rotta 270°. In
base a queste informazioni, Iachino ordina di accostare a dritta e poi di
dirigere verso ponente.
Le prime navi
britanniche ad avvistare quelle italiane sono lo Zulu (che vede quattro navi di tipo imprecisato a 9 miglia di
distanza, verso nordest in direzione 42°) e l’Euryalus (che avvista tre incrociatori per 35°, a 15 miglia di
distanza), alle 16.37 ed alle 16.40; la III Divisione avvista a sua volta il
nemico alle 16.40, di prora. La squadra italiana si dispiega subito sulla
dritta, accostando in successione per 90°, per 290° e per 270°, ed alle 16.43 viene
aperto il fuoco da entrambe le parti; allo stesso tempo, alle 16.40, anche la
formazione britannica dirige incontro a quella italiana per affrontarla
(eccetto i cacciatorpediniere Jervis, Kipling, Kingston e Kelvin,
che invece stendono un’altra cortina fumogena tra le navi italiane ed il
convoglio), assumendo rotta nord-nord-est. Le condizioni di visibilità sono già
di per sé pessime, ed a peggiorarle ulteriormente le navi britanniche emettono
di nuovo copiose cortine fumogene: l’orizzonte nella direzione del nemico appare
estremamente confuso; delle navi britanniche si vedono soltanto i fumi e
occasionalmente qualche scafo, che appare parzialmente di quando in quando.
L’azione di fuoco
delle navi italiane si svolge in due periodi, tra le 16.43 e le 17.16,
prendendo di mira gli incrociatori britannici che emergono dalla cortina
nebbiogena; nella prima fase, tra le 16.43 e le 16.52, mentre le distanze calano
da 17.000 metri a 14.000 metri, il tiro italiano si concentra sugli
incrociatori Dido, Penelope, Cleopatra ed Euryalus e
sul cacciatorpediniere Legion.
Il tiro delle navi italiane è molto intenso, ma saltuario, in quanto i bersagli
appaiono e scompaiono nella nebbia artificiale.
Alle 16.44 un colpo
del Bande Nere danneggia
l’incrociatore britannico Cleopatra (nave
ammiraglia di Vian), che ripiega coperto da cortine nebbiogene e cessa
temporaneamente il fuoco. Le navi italiane sospendono il fuoco alle 16.52 e lo
riprendono alle 17.03, dopo una pausa di undici minuti; il tiro italiano risulta
diretto contro sagome che appaiono molto vaghe, delle quali s’intravedono in
mezzo alla nebbia artificiale le vampe dei cannoni. La distanza delle navi
britanniche è stimata in 10.000 metri. Alle 17.11 viene nuovamente cessato il
fuoco, dato che le navi di Vian sono interamente avvolte dalla nebbia e non si
riesce più a vedere niente. Da parte britannica, tra le 17.01 e le 17.12 Cleopatra ed Euryalus impegnano le navi
italiane, che riescono a vedere piuttosto vagamente, a distanza di circa 14.000
metri; tra le 17.03 e le 17.10 anche Dido, Legion e Penelope aprono il fuoco, concentrandosi sull’incrociatore
italiano più ad ovest. Diverse salve britanniche cadono vicinissime alla III
Divisione, ma nessuna va a segno. Alle 17.07 le navi italiane, ritenendo
erroneamente di aver avvistato delle scie di siluri (in realtà, non risulta che
siano stati lanciati siluri da parte britannica in questa fase, anche se i
cacciatorpediniere Hero, Havock, Lively e Sikh manovrano
per portarsi in posizione favorevole al lancio), accostano per 290°, ma poco
dopo tornano ad assumere rotta 270°.
Il mare grosso, le
condizioni di visibilità in progressivo deterioramento e le cortine nebbiogene continuamente
emesse dalle navi britanniche (praticamente ininterrottamente dalle 14.42 alle
19.13) per occultare sia i loro movimenti che il convoglio complicano molto il
puntamento per le navi italiane. Il vento, che spira a 25 nodi, spinge la
nebbia artificiale verso le navi di Iachino.
Alle 17.18 la
formazione italiana accosta per 240° ed alle 17.25 per 250°, riducendo la
velocità a 20 nodi, per accerchiare la forza nemica da ovest; dato però che le
unità britanniche si trovano sottoposte a continui e pesanti attacchi aerei
(protrattisi fino alle 19.25, e dei quali le navi italiane hanno sentore sia
perché gruppi di bombardieri ed aerosiluranti passano non lontano da loro, sia
perché si nota il forte tiro contraereo sopra la cortina nebbiogena che nasconde
le navi), Iachino decide alle 17.31 di approfittarne e tagliare verso sud,
assumendo rotta 200°, per ridurre le distanze. Le navi di Vian hanno
ricominciato anche a sparare sulle unità italiane, con grande intensità e
considerevole accuratezza, ma senza colpire niente.
Si riprende il fuoco,
ed alle 17.20 il cacciatorpediniere britannico Havock viene colpito ed immobilizzato (riuscirà poi a
rimettere in moto a 16 nodi, e Vian gli ordinerà di unirsi al convoglio, non
essendo più in grado di partecipare al combattimento); il tiro viene più volte
sospeso e ripreso, anche in conseguenza della pessima visibilità causata dal
maltempo e della nebbia artificiale che ormai aleggia un po’ ovunque. Alcuni
cacciatorpediniere britannici (Lively, Sikh, Hero) tentano di portarsi in posizione idonea a lanciare i siluri,
ma rinunciano poco dopo. La battaglia si frammenta in molti episodi minori, in
cui entrambe le parti commettono errori di valutazione, si avvicinano e si
allontanano a più riprese. Il capoconvoglio britannico, imbarcato sulla
cisterna Breconshire, vuole
proseguire verso Malta ed alle 17.20 fa accostare verso ovest con tale
proposito, ma dieci minuti dopo Vian, intuendo che la manovra italiana mira ad
aggirare il convoglio passando ad ovest della cortina nebbiogena, ordina che il
convoglio diriga nuovamente verso sud. Il tira e molla continua: il
capoconvoglio accosta di nuovo per sudovest alle 17.45, e Vian lo fa tornare
verso sud alle 18.
Prosegue, intanto, il
combattimento tra le contrapposte formazioni: alle 17.40 le navi italiane,
ridotte le distanze fino a 14.000 metri, riaprono il fuoco sugli incrociatori
britannici (i quali governano alternativamente verso est e verso ovest,
emettendo nebbia artificiale per nascondere il convoglio), che appaiono di quando
in quando in mezzo alla nebbia, continuando a loro volta un tiro serrato. Alle
17.52, anche se la distanza è calata a 13.000 metri, da parte italiana viene
sospeso il tiro, per la visibilità troppo cattiva, mentre da parte britannica
si continua a fare fuoco con l’ausilio del radar, ma senza colpire. Un minuto
dopo, la formazione italiana accosta per 220°. Lo stato del mare va sempre
peggiorando, degenerando a poco a poco in una vera e propria tempesta: avendo
il mare approssimativamente al traverso al sinistra, Trento e Gorizia rollano
in media di 10°-12°, ed il Bande
Nere di ben 24°-27°. Alle 17.56 le navi italiane, per ridurre il
violento rollio causato dalla tempesta ed al contempo evitare di modificare
l’orientamento dello schieramento rispetto al nemico (che si trova a circa 13
km di distanza per 160°), accostano ad un tempo per 250°, ed alle 18.10 assumono
rotta 280°, allontanandosi dalle navi britanniche (che verso le 18 vengono
attaccate da aerosiluranti, visti passare nelle vicinanze dalle navi italiane),
che cessano così il fuoco.
Le unità britanniche
si avvicinarono ed attaccano, infruttuosamente, con i siluri: il Cleopatra lancia infruttuosamente
tre siluri contro la Littorio; Dido, Penelope, Legion, Hasty e Zulu tentano anch’essi di lanciare i propri siluri, ma non ci
riescono per via della nebbia, della scarsa visibilità, delle distanze, del
vento e del mare sempre più mosso. Poi, tutte le navi britanniche ripiegano
verso est, allontanandosi da quelle italiane.
Alle 18.20 la squadra
italiana, i cui due gruppi procedono a poca distanza l’uno dall’altro, assume
rotta 220° ed alle 18.27 rotta 180°, per avvicinarsi al convoglio britannico ed
obbligarlo ad allontanarsi da Malta; i vari gruppi in cui è divisa la squadra
britannica, intanto, si riuniscono verso ovest/nordovest per concentrare
l’offesa contro le unità di Iachino, mentre il convoglio torna a dirigere verso
ovest alle 18.25 e poi di nuovo verso sud alle 18.40.
Alle 18.31 le navi
italiane, ora disposte in linea di fila con la Littorio in testa, aprono di nuovo il fuoco da 15.000 metri
verso il nemico, che si trova poco a proravia del loro traverso a sinistra; le
navi britanniche reagiscono concentrando il fuoco su Littorio e Gorizia.
Nello stesso momento tutti i gruppi britannici convergono in un punto situato
15 miglia a sudest della Littorio,
tra quest’ultima ed il convoglio (che in quel momento è 23 miglia a sudest
della corazzata italiana), per poi andare all’attacco silurante. Tale attacco,
deciso e ordinato fin dalle 17.59, ha inizio alle 18.27 e si conclude alle
18.41; i cacciatorpediniere britannici, divisi in gruppi, serrano le distanze,
alcuni fino a soli 5500 metri (mentre tra gli incrociatori il Cleopatra, che appoggia i
cacciatorpediniere con le sue artiglierie, si avvicina fino a 9000 metri), e
lanciano i loro siluri, intensamente controbattuti dal tiro delle navi
italiane. Nessuno dei siluri lanciati va a segno; durante l’attacco, alle
18.41, il tiro del Trento colpisce
il cacciatorpediniere Kingston,
che viene immobilizzato con gravi danni ed incendio a bordo, mentre alle 18.52
il Lively subisce danni e
allagamenti per schegge di una salva della Littorio caduta vicinissima. Il combattimento è accanito; le
navi italiane sparano con tutte le artiglierie, compresi i pezzi secondari da
100 mm degli incrociatori.
Nonostante l’attacco
dei cacciatorpediniere, la flotta italiana prosegue a 22 nodi sulla rotta 180°;
alle 18.45 tutte le unità accostano a un tempo per 295°, per evitare i siluri,
riducendo poi la velocità a 20 nodi. Uno dei siluri passa poco a proravia
della Littorio, altri cinque o
sei passano in mezzo alle navi. Alle 18.51 Iachino ordina a tutte le navi di
accostare per 330° ed accelerare a 26 nodi, per allontanarsi rapidamente dalla
zona degli attacchi siluranti, anche perché la visibilità è sempre più ridotta
causa la nebbia in aumento (il vento di scirocco la spinge verso le navi
italiane) ed il mare sempre più mosso. Proprio durante l’accostata, si verifica
l’unico colpo a segno ottenuto dai britannici nel corso della battaglia: un
proiettile da 120 mm, sparato da uno dei cacciatorpediniere, colpisce la Littorio a poppa, causando qualche
danno di modesta entità. Più o meno in questa fase, mentre la battaglia navale
volge al termine, le navi britanniche vengono attaccate senza successo da
dodici aerosiluranti Savoia Marchetti S.M. 79 “Sparviero”, decollati da
Catania, tre dei quali vengono abbattuti, e da alcuni bombardieri tedeschi.
Il fuoco viene
cessato da entrambe le parti tra le 18.56 e le 18.58, e poco dopo si perde il
contatto, mentre cala il buio: termina così, in modo inconcludente, la seconda
battaglia della Sirte.
Calata l’oscurità,
infatti, la flotta italiana, piagata dalla scarsa preparazione al combattimento
notturno (nel quale i britannici sono invece esperti), non è più in grado di
dare battaglia, e per giunta i cacciatorpediniere sono ormai a corto di carburante:
Iachino decide dunque di rientrare alle basi, ordine che viene confermato da
Supermarina alle 20.
Durante il
combattimento, le navi maggiori italiane hanno sparato complessivamente 1511
colpi di grosso e medio calibro; gli incrociatori britannici hanno sparato tra
i 1600 ed i 1700 colpi, ed i loro cacciatorpediniere circa 1300. Da parte
britannica sono stati danneggiati in modo serio il Cleopatra ed i cacciatorpediniere Kingston, Havock e Lively, ed in modo leggero
l’incrociatore Euryalus ed
i cacciatorpediniere Sikh, Lance e Legion, mentre da parte italiana non si sono avuti danni tranne
quelli, pressoché irrilevanti, causati dal colpo da 120 a segno sulla Littorio.
Questi danni contribuiscono ad indebolire
seriamente la Mediterranean Fleet (già rimasta priva di corazzate, dopo
l’impresa di Alessandria), almeno temporaneamente, per quanto concerne il
numero di siluranti a disposizione (tra quelli colpiti durante la battaglia e
le unità danneggiate da aerei e sommergibili negli stessi giorni, ben tredici
cacciatorpediniere della Mediterranean Fleet si ritrovano danneggiati in modo
più o meno grave), ma dati i rapporti di forza nella battaglia sarebbe stato
lecito aspettarsi, da parte italiana, un risultato più favorevole. Il
convoglio, obiettivo dell’attacco, è scampato indenne alle navi italiane, anche
se la perdita di tempo causata dalle deviazioni di rotta imposte dalla
battaglia facilita gli attacchi aerei che porteranno, nelle ore successive,
alla sua distruzione.
Alle 19.06 la
formazione italiana accosta verso nord, e poco dopo si dispone in un’unica
linea di fila (navi maggiori), con i cacciatorpediniere in posizione di scorta
laterale ravvicinata; alle 19.20 la velocità viene ridotta a 24 nodi, ed alle
19.48, calato completamente il buio, la XIII e la XI Squadriglia si posizionano
a poppavia delle navi maggiori in doppia colonna, XIII Squadriglia a dritta e
XI a sinistra.
Alle 19.13, intanto,
le navi britanniche cessano l’emissione di nebbia, ritenendo che ormai la forza
italiana non si ripresenterà: il convoglio viene finalmente autorizzato a
procedere verso Malta (in formazione diradata, per rendere più difficile il
lavoro dei bombardieri ed aerosiluranti italo-tedeschi), mentre le navi di Vian
fanno ritorno ad Alessandria (tranne Havock e Kingston, mandati a Malta con il
convoglio in considerazione dei danni subiti, ed il Lively, inviato a Tobruk per lo stesso motivo). Il convoglio
britannico subirà gravi perdite l’indomani, ormai praticamente sulla porta di
casa: gli attacchi aerei dell’Asse affonderanno la Breconshire ed il piroscafo Clan Cambpell e metteranno fuori uso il
cacciatorpediniere Legion (portato
all’incaglio, e poi distrutto durante le riparazioni da altri bombardamenti su
Malta, come pure il Kingston),
mentre il cacciatorpediniere Southwold affonderà
per urto contro una mina; i due piroscafi superstiti, Pampas e Talabot,
verranno affondati in porto dai bombardamenti, così che di 25.000 tonnellate di
rifornimenti portati dal convoglio meno di 5000 giungeranno a destinazione.
Il maltempo,
frattanto, è ormai degenerato in una vera e propria tempesta: col mare grosso
al traverso, le navi rollano fortemente, alcune di esse con sbandate paurose.
Di conseguenza, l’ammiraglio Iachino ordina a tutta la squadra, per
fronteggiare meglio il mare grosso, di accostare per 25° e ridurre la velocità
a 20 nodi alle 20.00 (avendo il mare grosso in poppa, per contenere il forte
rollio che può portare ad oscillazioni di ampiezza pericolosa, è opportuno
navigare a bassa velocità), ed alle 20.26 ordina di assumere rotta 10°. Alle
20.34 Supermarina ordina a Iachino di rientrare in porto. Alle 21.17 la
velocità viene ridotta a 18 nodi ed alle 23.57 a 16, sempre per lenire il
travaglio dei cacciatorpediniere, ma la situazione va peggiorando. La
flotta italiana, che nel combattimento appena concluso non ha praticamente
subito danni, doovrà subire due dolorose perdite durante la navigazione di
rientro, non per azione nemica ma per la furia del mare.
Sono i
cacciatorpediniere, più piccoli e fragili, e in gran parte usurati dalle
frequenti missioni di scorta convogli (i cicli operativi troppo prolungati cui
sono sottoposti hanno effetti negativi soprattutto in termini di logorio
dell’apparato motore), a risentire di più delle condizioni del mare. Molti di
essi iniziano a manifestare avarie: per primo il Lanciere, poi anche l’Aviere,
l’Oriani, lo Scirocco, il Fuciliere e l’Alpino comunicano
tutti problemi ed avarie più o meno gravi, restando arretrati o perdendo il
contatto con le altre unità.
Un poco per volta, la
formazione viene dispersa dalla tempesta, e le unità proseguono da sole od a
piccoli gruppi, lottando contro la violenza del mare.
23 marzo 1942
La violenza del mare
disperde la formazione; il Fuciliere
rimane per diverse ore molto di prora alla Littorio,
ma alle 3.55 il Fuciliere deve
fermare una macchina, proseguendo a dodici nodi con una sola elica in moto, e
finisce così con lo scadere di poppa; alle otto del mattino l’Alpino, che a sua volta ha problemi al
timone, riceve ordine dall’ammiraglio Parona di scortarlo a Messina. Anche il
sistema di trasmissione del timone viene messo fuori uso, costringendo a
manovrare manualmente dal locale timoni.
All’alba del 23, su
un totale di dieci cacciatorpediniere, soltanto uno è rimasto assieme alle navi
maggiori della forza navale: altri cinque sono rimasti indietro, mentre quattro
sono finiti col trovarsi in posizione molto più avanzata rispetto alla Littorio. Il mare è ormai diventato
forza 8 ed investe le navi nei settori poppieri, causando gravi avarie e danni
alle sovrastrutture.
Il Fuciliere, assistito da un
rimorchiatore a causa del timone immobilizzato, e l’Alpino riescono finalmente a raggiungere Messina alle 15.45,
preceduti dal Gorizia.
1° aprile 1942
Alle sei del mattino il Fuciliere salpa da Messina insieme
all’Aviere ed alla torpediniera Libra, per scortare a La Spezia
l’incrociatore leggero Giovanni
delle Bande Nere (capitano di vascello Ludovico Sitta), diretto
nell’arsenale di quella base per essere sottoposto a lavori di grande
manutenzione e riparazione dei danni subiti in una tempesta pochi giorni prima,
al rientro dalla seconda battaglia della Sirte. Le navi fruiscono anche della
scorta aerea di un idrovolante CANT Z. 501, con compiti antisommergibili. Fuciliere ed Aviere dovranno scortare il Bande
Nere fino a Ponza (dove verranno rilevati dall’avviso Diana, uscito da Portoferraio), per poi raggiungere Napoli.
Appena superate le ostruzioni, tuttavia, iniziano i problemi: l’ecogoniometro
della Libra si guasta, e
subito dopo che la torpediniera ha comunicato il problema, anche il Fuciliere riferisce di un’avaria,
alla motrice di dritta. Il comandante del Bande Nere autorizza allora il Fuciliere a tornare in porto, ordinando invece alla Libra di rimanere di scorta fino a
Napoli.
Alcune ore più tardi,
il Bande Nere sarà silurato ed
affondato dal sommergibile britannico Urge
al largo di Stomboli, con la morte di 381 dei 772 uomini a bordo.
Aprile-Agosto 1942
Dopo riparazioni
provvisorie a Messina, il Fuciliere
si trasferisce a Napoli e da lì a La Spezia per un periodo di riparazioni più
approfondite e manutenzione, che si protrae fino al 10 agosto.
11 agosto 1942
Alle 20 il Fuciliere (capitano di fregata Umberto
Del Grande) salpa da Cagliari aggregato alla X Squadriglia (Oriani, capitano di fregata Paolo Pesci;
Gioberti, capitano di fregata
Vittorio Prato; Maestrale,
caposquadriglia, capitano di vascello Riccardo Pontremoli) scortando gli
incrociatori Montecuccoli ed Eugenio di Savoia (nave di bandiera
dell’ammiraglio di divisione Alberto Da Zara,
comandante della VII Divisione), per attaccare il convoglio britannico diretto
a Malta nell’ambito dell’operazione «Pedestal» e già pesantemente danneggiato
da attacchi da parte di aerei, sommergibili e motosiluranti durante la grande
battaglia aeronavale di Mezzo Agosto.
L’intercettazione
dovrebbe avvenire sud di Pantelleria, quando la forza “pesante” di scorta
(Forza Z), che include due corazzate e tre portaerei, avrà lasciato il
convoglio, affidandolo ad una forza leggera formata da pochi incrociatori
leggeri e da un decina di cacciatorpediniere (Forza X). Nel corso delle
successive ventiquattr’ore, inoltre, convoglio e scorta saranno sottoposti ad
incessanti attacchi di aerei, sommergibili e motosiluranti, che infliggeranno
loro gravi perdite.
Sulle prime si è pensato
di impiegare la squadra da battaglia, ma l’idea era stata scartata per vari
motivi: la Luftwaffe non intende fornire copertura alla flotta italiana (si
ritiene più utile mandare gli aerei ad attaccare il convoglio); c’è poco
carburante; si crede che ci siano 12-15 sommergibili britannici in agguato
lungo le rotte che dalle basi italiane portano al luogo del probabile scontro
(in realtà sono poco più della metà). La conclusione, non errata, è che una
forza di soli incrociatori correrebbe meno rischi e sarebbe egualmente in grado
di distruggere il convoglio già disperso e decimato; si replicherebbe l’attacco
portato due mesi prima (battaglia di Mezzo Giugno) dalla VII Divisione contro
il convoglio britannico «Harpoon», ma contando stavolta su una forza più
potente, e facendo tesoro dell’esperienza accumulata per evitare di ripetere
gli stessi errori che, allora, avevano permesso a due dei sei mercantili di
sfuggire insieme con la loro scorta.
Memore delle perdite
subite a Mezzo Giugno per mano degli aerosiluranti di Malta (siluramento della
corazzata Littorio e
dell’incrociatore pesante Trento,
quest’ultimo poi affondato dal sommergibile HMS Umbra), Supermarina subordina l’intervento degli incrociatori alla
disponibilità di aerei da caccia, per la scorta aerea; nel Mediterraneo, però,
non vi sono che cinque gruppi di caccia moderni (tre italiani e due tedeschi)
per scortare 400 bombardieri ed aerosiluranti pronti ad attaccare il convoglio
dalle basi siciliane e sarde. Il comando del Corpo Aereo Tedesco, che dispone
soltanto di 40 caccia, si rifiuta di assegnarli alla scorta delle navi,
ritenendoli necessari alla scorta degli aerei inviati contro il convoglio;
Superarereo offre maggiore collaborazione, ma assegna i caccia migliori alla
scorta di bombardieri ed aerosiluranti, destinando il superfluo (modelli più
vecchi come i Macchi Mc 200, i Reggiane Re 2000, e persino gli obsoleti biplani
FIAT CR. 42; nonché alcuni dei pochi bimotori FIAT CR. 25 prodotti) alla scorta
delle navi. L’11 ed il 12 agosto si discute a lungo sia al Comando Supremo che
a Palazzo Venezia, finché il maresciallo Ugo Cavallero, capo di Stato Maggiore
generale delle forze armate italiane, convince il generale di squadra aerea
Rino Corso Fougier, capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, ad assegnare per
il 13 agosto un buon numero di aerei da caccia, che si dovrebbero alternare in
turni di sei per volta, alla scorta degli incrociatori; rispetto ai 60 caccia
inizialmente previsti (Supermarina ne aveva in principio chiesti 80), ne sono
ritenuti sufficienti 45.
1942
Lavori di modifica: vengono
sbarcati l’obice illuminante da 120/15 mm e le dodici mitragliere da 13,2/76
mm, mentre vengono installate quattro mitragliere contraeree Breda 1935 da 20/65
mm (una binata al posto dell’obice illuminante sulla tuga centrale e due
singole a puntamento libero a poppa; altra fonte parla di otto mitragliere, in
impianti binati), un ecogoniometro e due lanciabombe per bombe di profondità.
12 agosto 1942
Poco dopo le 14, si unisce alla VII Divisione anche l’incrociatore
leggero Muzio Attendolo, salpato
da Napoli.
Alle 19 le navi salpate da Cagliari si congiungono, nel Basso Tirreno (sessanta
miglia a nord di Ustica), con la III Divisione (incrociatori pesanti Trieste, Gorizia e Bolzano,
più i cacciatorpediniere Grecale, Corsaro, Legionario, Aviere, Geniere, Ascari e Camicia
Nera), partita da Messina alle 9.40. (Secondo altra fonte, il Fuciliere sarebbe salpato da Genova
nelle prime ore del 12 agosto insieme al Trieste
ed alla torpediniera di scorta Ardito, per poi raggiungere Napoli ed unirsi
alla III Divisione).
Le due Divisioni dovrebbero intercettare i resti del convoglio, dispersi e
danneggiati, per ultimarne la distruzione, verosimilmente nella mattina del 13,
a sud di Pantelleria, nel punto più stretto del Canale di Sicilia. Insieme, le
due Divisioni potranno agevolmente distruggere quanto che restava del
convoglio, i cui pochi mercantili superstiti arrancano in disordine verso Malta
con la sola scorta di sette cacciatorpediniere e due incrociatori leggeri, uno
dei quali danneggiato, sotto continui attacchi aerei, subacquei e di mezzi
insidiosi.
Alle 22 Supermarina
ordina agli incrociatori di ridurre la velocità (che è in quel momento di 20
nodi), in modo da arrivare al largo di Capo San Vito non prima di mezzanotte.
Alle 22.37, tuttavia, la formazione viene avvistata e segnalata, 80 miglia a
nord dell’estremità occidentale della Sicilia e con rotta sud, da un
ricognitore Vickers Wellington (che viene a sua volta localizzato dal radar
del Legionario). Il comandante
delle forze aeree di Malta, maresciallo dell’aria Keith Parks (un neozelandese
che è stato tra i protagonisti della battaglia d’Inghilterra), resosi conto del
rischio che gli incrociatori italiani rappresentano nei confronti del
convoglio, ordina prima al Wellington che li ha avvistati, e poi anche ad un
secondo Wellington da ricognizione inviato a seguire gli spostamenti della
formazione italiana (entrambi appartengono al 69th Squadron e
sono dotati di radar ASV, Air to Surface Vessel; li distinguono le lettere
identificative "O" e "Z"), di sganciare bombe e bengala,
per indurre le unità italiane a ritenere di essere sotto ripetuti attacchi
aerei, così da dissuaderle dal proseguire nella navigazione verso il convoglio.
Per rafforzare l’inganno, Parks si spinge ad ordinare ripetutamente ai
ricognitori – in chiaro, al preciso scopo di essere intercettato – di
comunicare la posizione della forza italiana per consentire alle formazioni di
bombardieri B-24 “Liberator” di attaccarli: formazioni di “Liberator” che,
però, non esistono (questo è il messaggio ricevuto dal Wellington, con un certo
stupore tra il suo equipaggio, non informato dello stratagemma: «Report result your attack, latest enemy
position for Liberators, most immediate»).
Ci sono invece a
Malta reparti di aerosiluranti Bristol Beaufort (quindici aerei), che si
tengono pronti – insieme a quindici caccia Bristol Beaufighter – ad attaccare
le navi italiane in caso di estrema necessità; ma per il momento, vengono
tenuti a terra. (Per altra fonte, Parks avrebbe ordinato un attacco da parte di
due aerosiluranti Fairey Albacore e di uno Swordfish munito di radar, ed
avrebbe inviato cinque Wellington a cercare la formazione italiana).
Supermarina cade nell’inganno. A Roma infuriano discussioni sul da farsi:
l’ammiraglio Arturo Riccardi, capo di Stato Maggiore della Regia Marina,
richiede al feldmaresciallo Albert Kesselring l’invio di 80 caccia della
Luftwaffe per fornire copertura aerea alle navi, che presto – si ritiene –
verranno attaccate dai bombardieri di Malta (Supermarina, sempre prudentissima,
non intende inviare gli incrociatori più a sud di Pantelleria senza adeguata
scorta aerea); l’ammiraglio Eberhard Weichold, ufficiale di collegamento con la
Marina tedesca a Roma, appoggia il suo collega italiano nella richiesta a
Kesselring, ed anche il maresciallo Cavallero insiste in questo senso, temendo
che l’operazione britannica possa comprendere anche uno sbarco sulle coste
della Libia. Ma Kesselring risponde che non ha abbastanza caccia disponibili: quelli
che ci sono bastano solo per la scorta ai bombardieri tedeschi, oppure solo
alle navi italiane. In considerazione anche delle deludenti prove date in
precedenza dalle forze da battaglia italiane negli attacchi ai convogli
britannici – il fallimento della seconda Sirte ed il successo solo parziale a
Mezzo Giugno contro il convoglio «Harpoon» – Kesselring, poco convinto delle
probabilità di successo degli incrociatori italiani, preferisce impiegare tutti
gli aerei a sua disposizione negli attacchi diretti contro il convoglio, e
quindi assegnare i caccia alla scorta dei bombardieri. (Kesselring ha ragione
di essere deluso per i precedenti attacchi navali italiani contro convogli
britannici; è però il caso di notare che, contrariamente a quanto lui si aspettava,
neppure gli aerei della Luftwaffe si riveleranno poi in grado di annientare il
convoglio «Pedestal»).
Il comando della
Seekriegsleitung, concordando con Weichold, supporta con tutti gli argomenti
disponibili l’impiego degli incrociatori italiani, esprimendo l’opinione che,
in caso contrario, si perderebbe l’occasione di distruggere il più grande
convoglio britannico mai visto nel Mediterraneo, in condizioni di superiorità
numerica e di armamento. Ma Kesselring, cui spetta la decisione finale, non condivide
tali conclusioni.
Dopo lunghe pressioni
di Cavallero, il generale Corso Fougier acconsente a destinare 40 caccia Macchi
Mc 202 alla scorta delle navi; si tratta di un grosso sacrificio per le sue
forze, che in Sicilia dispongono già di caccia appena sufficienti a scortare
solo parte dei bombardieri e degli aerosiluranti. Ma Riccardi e Cavallero non
li ritengono comunque adeguati; i sempre ansiosi vertici di Supermarina temono
inoltre, sulla base dell’interpretazione di alcuni segnali di scoperta (quelli
dei sommergibili Bronzo ed Axum, che hanno avvistato unità navali
dirette verso est a nord della costa tunisina; e quello di un idroricognitore
CANT Z. 506, che ha segnalato “tre grandi navi” – in realtà, l’incrociatore
leggero Charybdis ed i
cacciatorpediniere Eskimo e Somali – che seguono il convoglio,
al largo dell’Isola dei Cani), che porebbe esserci anche una corazzata, o forse
più di una, quale forza di sostegno al convoglio nel Canale di Sicilia.
A rincarare la dose, il
sommergibile tedesco U 83 segnala di
aver avvistato quattro incrociatori e dieci cacciatorpediniere britannici nel
Mediterraneo orientale, apparentemente diretti verso Malta. È un altro inganno:
si tratta di un convoglio “fittizio” (MG. 3, composto in realtà da due
incrociatori, cinque cacciatorpediniere ed alcuni mercantili) che i britannici
hanno inviato verso Malta al preciso scopo di distogliere l’attenzione dei
comandi italiani dal vero convoglio.
Le discussioni
finiscono col giungere ad un punto morto, pertanto gli alti ufficiali
deliberano di interpellare Mussolini in persona. Svegliato il dittatore,
Cavallero gli spiega per telefono, a tinte alquanto fosche (intento suo e di
Riccardi – appoggiato in questo dal suo vice, ammiraglio Luigi Sansonetti – è
d’altra parte di strappare a Mussolini il consenso per il ritiro degli
incrociatori: Cavallero dice a Mussolini che Riccardi ritiene la missione “troppo pericolosa per la Marina” e per
giunta, giudizio più che discutibile, “un
rischio non pagato da un rendimento corrispondente”), che senza copertura
aerea verrebbero attaccati dai bombardieri di Malta subendo gravi danni,
aggiungendo anche la notizia dell’avvistamento di navi britanniche nel
Mediterraneo orientale; asserisce che incaricherà l’Aeronautica di massimizzare
gli sforzi contro il convoglio il giorno seguente.
Mussolini viene
convinto da tanto eloquio: dice a Cavallero che non intende rischiare le sue
navi se i tedeschi non erano disposti a proteggerle, e si dichiara convinto che
gli aerei e le motosiluranti italiane riusciranno comunque a distruggere il
convoglio prima che raggiungesse Malta. Di conseguenza, la missione degli
incrociatori viene annullata: la più grande occasione che si sia mai presentata
alla Regia Marina per trasformare un ottimo successo tattico (colto nelle ore
precedenti da sommergibili, aerei e motosiluranti) in uno strepitoso successo
strategico va così in fumo, per l’eccessivo timore di perdite che si
verificheranno lo stesso, ma in condizioni ben più umilianti.
13 agosto 1942
Alle 00.30
Supermarina ordina alla III e VII Divisione, che in quel momento sono ad una
ventina di miglia da Capo San Vito (ad ovest di Trapani), di virare verso est
per tornare alle basi, paventando attacchi aerei nemici sulla base
dell’intercettazione dei numerosi messaggi radio inviati da Malta ai propri
ricognitori. Tre minuti più tardi, tutti gli incrociatori evoluiscono per
evitare siluri lanciati da aerei.
Supermarina decide
poi di inviare la III Divisione nello Ionio, anziché nel Tirreno, per unirsi
all’VIII Divisione (uscita da Navarino) allo scopo di attaccare le navi
avvistate dall’U 83 nel Mediterraneo
orientale, mentre la VII Divisione dovrà tornare in porto.
I finti attacchi
aerei e messaggi continuano ad ogni modo anche nelle ore successive, per
evitare che i comandi italiani possano cambiare idea ed ordinare agli
incrociatori di riprendere la navigazione verso ovest per attaccare il
convoglio.
Per buona parte della
navigazione, “ULTRA” tiene sotto controllo gli spostamenti degli incrociatori
italiani, decrittando le trasmissioni radio compilate con la macchina cifrante
Enigma: dapprima apprende della partenza del Trieste da un porto dell’Alto Tirreno (La Spezia) nella notte
tra 11 e 12 agosto, diretto verso sud, e poi che tra le 8.40 e le 11 del
12 Bolzano e Gorizia, con quattro cacciatorpediniere,
sono partiti da Messina diretti verso nord; ancora, che alle 9.30 del 12 l’Attendolo e due cacciatorpediniere
sono partiti da Napoli. Altre intercettazioni rivelano che una forza navale
italiana, di consistenza sconosciuta, ha ricevuto alle 18.35 del 12 l’ordine di
assumere rotta sud e velocità 20 nodi, passando 90 km a nord di Trapani, e poi
(19.45) di trovarsi entro le 5.30 del 13 dieci miglia a levante di Pantelleria.
Supermarina avvisa anche gli incrociatori che torpediniere italiane (Climene e Centauro) sono in pattugliamento a ponente della longitudine 11°40’
E, con l’ordine di lasciare tale area all’alba del 13 e dirigere per
Pantelleria.
All’1.39, “ULTRA”
intercetta l’ordine PAPA (Precedenza Assoluta sulle Precedenze Assolute) delle
23.50 in cui Supermarina ordinava «EUGENIO, MONTECUCCOLI, MAESTRALE, GIOBERTI, ORIANI dirigete
subito Napoli: 3a Divisione con ATTENDOLO e rimanenti
cacciatorpediniere dirigano Messina». All’1.56, il ripiegamento verso
sudest viene confermato anche da una comunicazione da parte del Wellington "O",
subito riconfermato dal Wellington "Z".
Alle 00.30, in
esecuzione dell’ordine di Supermarina, la III Divisione (cui per ordine di
Supermarina vengono aggregati Fuciliere,
Attendolo e Grecale, distaccati dalla VII Divisione)
fa rotta su Messina, mentre la VII Divisione dirige per Napoli. L’Attendolo avvista la III Divisione
alle 2.55, ma riesce ad entrare in formazione solo alle quattro del mattino, in
quanto tutte le navi hanno preso a zigzagare ad alta velocità, illuminate dalla
luce di bengala lanciati dagli aerei britannici.
Procedendo a 22 nodi,
la III Divisione supera Alicudi, dopo di che passa dalla linea di fila alla
doppia linea, con Trieste e Gorizia davanti ed Attendolo e Bolzano dietro. Due degli otto
cacciatorpediniere di scorta sono dotati di ecogoniometro; nel cielo della
formazione volano due idrovolanti CANT Z. 506 quale scorta aerea. Il mare è
calmo, la visibilità ottimale; una radiosa giornata estiva.
Tra gli equipaggi
regna una certa frustrazione, a causa dell’ordine di ritirarsi senza nemmeno
aver tentato di attaccare un nemico che già si trova alle strette.
A nord di Palermo, il
sommergibile britannico Safari avvista
la III Divisione, ma non è in grado di attaccare.
Diversamente vanno le
cose per un secondo sommergibile, l’Unbroken (tenente
di vascello Alastair Campbell Gillespie Mars), che già alle quattro del mattino
è stato informato da Malta che degli incrociatori italiani si stanno dirigendo
verso di lui. Alle 7.30, mentre si trova in posizione 38°43’ N e 14°57’ E (al
largo della costa settentrionale della Sicilia, a nordovest dell’imbocco dello
Stretto di Messina), il sommergibile britannico avverte rumori prodotti dagli
apparati motori di navi, su rilevamento 230°; alle 7.43 avvista sullo stesso
rilevamento numerose navi italiane, che gli stanno proprio venendo incontro.
Mars identifica correttamente la colonna centrale come composta da due
incrociatori pesanti e probabilmente due incrociatori leggeri, che procedono in
linea di fila; li scortano otto cacciatorpediniere di tipo moderno. La distanza
è di 11.000 metri, e Mars stima la velocità delle navi italiane in circa 25
nodi, cinque nodi in più di quella reale. Le navi stanno passando tra Filicudi
e Panarea; sono al traverso di Salina, Stromboli è otto miglia alla loro
sinistra, Panarea cinque miglia a prora dritta (cioè a sudovest).
Iniziata la manovra
d’attacco, e penetrato lo schermo dei cacciatorpediniere (secondo Mars, tre di
essi passano vicinissimi al periscopio del sommergibile, ma senza notarlo),
alle 8.04 l’Unbroken lancia
quattro siluri contro il più vicino dei due incrociatori pesanti; al di là di
questa nave ci sono i due incrociatori “leggeri”, e Mars ritiene – a ragione –
che se i siluri dovessero mancare il bersaglio designato, avrebbero una buona
possibilità di colpire uno dei due incrociatori leggeri. Per via della
formazione italiana a due colonne affiancate (assunta proprio mentre l’Unbroken si prepara ad attaccare),
i bersagli si “sovrappongono” nel periscopio di Mars; l’incrociatore più vicino
è a 25° di prora dritta, distanza 2740 metri.
Subito dopo il
lancio, l’Unbroken scende a 24 e
poi a 37 metri di profondità, vira di 90° a dritta ed aumenta la velocità per
cinque minuti. Quando sente le detonazioni, Mars stima che due siluri abbiano
centrato l’incrociatore pesante, e che forse gli altri abbiano colpito uno
degli altri.
Il comandante
britannico ha apprezzato correttamente gli esiti del proprio lancio: alle 8.05,
mentre l’Unbroken sta lanciando
i siluri, gli incrociatori italiani hanno ridotto la velocità a 18 nodi, per
consentire al Gorizia di
lanciare un idrovolante; poco dopo, il Fuciliere ha
avvistato un sommergibile sulla sinistra, ed ha aperto il fuoco con una
mitragliera contro il periscopio, distante solo 410 metri. Gorizia e Bolzano avvistano le scie dei siluri; il Gorizia li evita con una brusca
accostata, ma il Bolzano non
fa in tempo, e viene centrato da un siluro proprio mentre sta iniziando a
virare. Poco dopo anche l’Attendolo,
che non ha avvistato scie né ricevuto l’allarme lanciato dal Fuciliere, viene colpito, subendo
l’asportazione della prua.
Mentre gli equipaggi
dei due incrociatori lottano per tenere le loro navi a galla, i
cacciatorpediniere della Squadriglia «Aviere», incaricati di dare loro
assistenza e protezione, iniziano a stendere cortine fumogene e bombardare
l’attaccante con bombe di profondità: dalle 8.09 alle 16.40 vengono lanciate
ben 105 bombe di profondità, anche se l’Unbroken,
allontanandosi lentamente alla profondità di 39 metri in assetto di navigazione
silenziosa, riesce a far perdere le proprie tracce già alle nove. Sono il Fuciliere (munito di ecogoniometro) ed
il Camicia Nera a condurre la caccia,
rallentando e localizzando l’Unbroken
alle 8.45; la caccia vera e propria dura tre quarti d’ora, dopo di che – dopo
il lancio della quarantesima bomba di profondità – i cacciatorpediniere si
limitano a gettare bombe di profondità di tanto in tanto, a scopo
precauzionale, e le esplosioni si fanno sempre più sporadiche e lontane. Il
sommergibile se la cava con danni superficiali, subiti durante i primi 40
minuti di caccia, che Mars ritiene piuttosto accurata (per altra fonte, le
bombe sono state lanciate con buona precisione, ma regolate per esplodere a
quota troppo ridotta).
Aviere e Geniere cercano
di prestare assistenza al Bolzano (che
ha quattro comportamenti allagati ed un violento incendio a centro nave) e
di prenderlo a rimorchio; per tre volte uno di essi lancia all’incrociatore
colpito un sacchetto con cui recuperare lo spesso cavo d’acciaio che passa
al Bolzano per
rimorchiarlo, ma ogni volta il cavo si spezza. La nave è fortemente appruata, e
l’incendio divampa furioso: tra l’acqua che entra dalla grossa falla aperta dal
siluro sotto il torrione, e quella giocoforza immessa nei depositi munizioni
per scongiurarne l’esplosione, la galleggiabilità del Bolzano appare sempre più compromessa.
Verso le dieci del
mattino, Aviere e Geniere riescono finalmente a
prendere il Bolzano a
rimorchio: l’Aviere da prua,
il Geniere da poppa. La
nave continua progressivamente ad appruarsi e sbandare sulla sinistra, ormai in
serio pericolo di affondamento, inducendo il suo comandante, capitano di
vascello Mario Mezzadra, a decidere di tentare di raggiungere un basso fondale
e qui portarla ad adagiarsi.
Nel tentativo di far
accostare il Bolzano, uno dei
cavi di rimorchio si spezza, e lo sbandamento dell’incrociatore aumenta ancora
di più (circa 15°): sembra allora che il Bolzano, sempre più basso sull’acqua, stia per affondare da un
momento all’altro. Alle 10.55 il comandante Mezzadra ordina di abbandonare la
nave.
Mentre l’Aviere recupera gli uomini che si
gettano in mare, il Geniere si
avvicina e – per ordine di Mezzadra – manovra per affiancarsi al Bolzano sul lato di dritta e
trasbordare il personale che è ancora a bordo: in questo modo, la maggior parte
dell’equipaggio dell’incrociatore può essere ordinatamente trasferita sul Geniere. Tra di essi vi sono il
comandante Mezzadra (ultimo a trasbordare), il comandante in seconda Andrea Fe’
d’Ostiani ed il direttore di macchina Luigi Petrillo.
Il Bolzano, intanto, arresta il suo
apparentemente affondamento, e si stabilizza, al punto che risulta nuovamente
possibile, per il Geniere,
tentare di prenderlo a rimorchio. Un ufficiale del Bolzano, il capitano del Genio Navale Armando Traetta, chiede ed
ottiene il permesso di tornare sull’incrociatore con una decina di
volontari, per filare a mare i cavi di rimorchio, in precedenza preparati a
poppa, in modo da poterli poi recuperare dal Geniere e prendere così a rimorchio il Bolzano, per portarlo all’incaglio.
Tornato sul Bolzano con una
lancia, il gruppetto guidato da Traetta risale a bordo, dove riesce finalmente
a tendere il cavo di rimorchio. Il cavo però cade in mare; a questo punto
alcuni uomini del Bolzano che
si trovano sul Geniere – il
guardiamarina Pier Giacomo Vianello, il secondo nocchiere Vieno Posa, il capo
elettricista Giuseppe Chiricozzi, il nocchiere Catello Pulzella ed il marinaio
Luigi Avellino – si tuffano in mare per recuperarlo e ristabilire il rimorchio,
il che viene fatto. L’operazione di rimorchio è diretta da Mezzadra.
Il Geniere rimorchia allora
l’incrociatore, sbandato di circa 5°-6°, verso la vicinissima isola di Panarea,
dove lo porta ad incagliare su un banco sabbioso dinanzi alla spiaggia Lisca
Bianca, presso Punta Peppemaria (sulla costa settentrionale dell’isola), alle
13.30. Qui l’acqua è profonda solo dodici metri; quando la carena del Bolzano tocca il fondale per la
prima volta, l’incrociatore sbanda paurosamente di ben 45° sulla sinistra:
sembrando che la nave stia per rovesciarsi da un momento all’altro, i volontari
saliti a bordo la devono di nuovo abbandonare. Successivamente, però, lo
sbandamento torna a diminuire, e ci si può finalmente mettere all’opera per
domare l’incendio. (Il Bolzano potrà
essere rimesso a galla nel giro di un mese e rimorchiato prima a Napoli e poi a
La Spezia, ma le riparazioni non verranno mai ultimate.)
Anche sull’Attendolo, intanto, si lavora
alacremente per salvare la nave; le lamiere contorte della prua (le strutture
dell’estrema prua sono collassate, ma parte di esse sino rimaste “appese” allo
scafo), piegate verso l’esterno specialmente sulla dritta, facenno da “timone”,
e rendono così la nave ingovernabile. Si decide di tentare il rimorchio; viene
teso un cavo tra l’Attendolo e
l’Ascari, ma pochi minuti dopo le 10
il cavo si spezza, lasciando l’incrociatore nuovamente fermo in mezzo al mare,
con un lieve abbrivio.
Alle 10.12 le vedette
dell’Attendolo segnalano un
periscopio a circa 2000 metri a sinistra; probabilmente si tratta un’illusione
ottica. Ad ogni moto, si decide di risolvere drasticamente il problema delle
lamiere sporgenti collocando e facendo detonare delle piccole cariche
esplosive, su misura, in modo da provocare il distacco delle lamiere. Fatto
ciò, l’Attendolo accosta a lento
moto per rivolgere la poppa verso il pericolo. Poco dopo, due scie di siluri vengono
viste passare vicinissime e parallele, sulla dritta: in realtà deve trattarsi
di un’altra illusione ottica, dovuta alla “psicosi” che spesso si sviluppa dopo
un siluramento, dato che in quel momento l’Unbroken si
sta allontanando sotto caccia, e nessun altro sommergibile britannico risulta
aver attaccato l’Attendolo in
quella data e zona.
Alle
10.24 un bombardiere Bristol Blenheim lancia alcune bombe che caddero intorno
all’Attendolo, poi si allontana,
bersagliato dal tiro contraereo della nave, che poi riesce finalmente a fare
rotta su Messina. Procedendo a cinque nodi, l’Attendolo passa tra Panarea e gli scogli delle Formiche, con rotta
su Capo Milazzo; lo scortano l’Ascari ed
il Geniere, rinforzati tra le
14.30 e le 17.15 dai cacciatorpediniere Freccia, Corsaro e Legionario. Alle 18.45, arrivato
nei pressi di Messina, l’Attendolo viene
raggiunto dai rimorchiatori, che lo conducono in porto.
6 settembre 1942
Il Fuciliere salpa da Taranto alle due
di notte, insieme ai cacciatorpediniere Freccia, Geniere, Bombardiere, Corsaro e Camicia
Nera ed alla torpediniera Pallade,
scortando il convoglio «N», formato dalle motonavi Luciano Manara e Ravello,
con destinazione Bengasi.
Alle 10.40, al largo
di Capo Santa Maria di Leuca, il convoglio «N» si unisce al convoglio «P»,
proveniente da Brindisi (motonavi Ankara e Sestriere, scortate dai
cacciatorpediniere Aviere, Lampo e Legionario e dalle torpediniere Partenope e Pegaso),
formando un unico convoglio denominato «Lambda», che fruisce anche di nutrita
scorta aerea da parte di velivoli italiani e tedeschi. Caposcorta è il capitano
di vascello Ignazio Castrogiovanni, dell’Aviere.
In base alle
disposizioni impartite, il convoglio segue la costa della Grecia, ma viene ben
presto individuato da un ricognitore Martin Baltimore del 69th
Squadron della RAF (capitano R. C. Mackay), che ne identifica la composizione
come quattro mercantili ed undici cacciatorpediniere, su due colonne.
Alle 12.30 decollano
pertanto da Malta per attaccare il convoglio tredici aerosiluranti Bristol
Beaufort del 39th Squadron RAF, guidati dal capitano canadese Hank
Sharman; li scortano una dozzina di caccia Bristol Beaufighter del 227th
Squadron RAF, sei dei quali muniti di bombe per condurre anche un’azione
diversiva. Una serie di avarie, tuttavia, costringe ben quattro Beaufort e tre
Beaufighter a rientrare alla base, di fatto riducendo di un quarto la
consistenza della forza d’attacco britannica prima ancora di giungere in vista
del nemico. Altri quattro Beaufighter, dell’89th Squadron, sono
incaricati della scorta a lungo raggio e ad alta quota dell’intera formazione.
Verso le 15.30, al
largo di Corfù ed una trentina di miglia a sud di Capo Santa Maria di Leuca, gli
aerosiluranti raggiungono il convoglio, che in quel momento è dotato di una
scorta aerea composta da sei Junkers Ju 88 tedeschi, un idrovolante
antisommergibili ed alcuni caccia italiani identificati dai britannici come Macchi
Mc 200 (in realtà si tratta di FIAT G. 50bis del 24° e 161° Gruppo della Regia
Aeronautica e Messerschmiff Bf 109 tedeschi del II./JG 53). Primi ad attaccare
sono i Beaufighter muniti di bombe, accolti da un intenso tiro contraereo:
nessuna delle bombe va a segno, ma l’attacco ha l’effetto di scompaginare la
formazione del convoglio, che zigzaga e si disperde. Viene poi il turno dei
Beaufort, che attaccano provenendo dalla dritta, divisi in tre gruppi di tre: i
caccia della scorta aerea si avventano su di essi, e nella conseguente
battaglia aerea i britannici rivendicheranno l’abbattimento di uno Ju 88 (ad
opera sottotenente Neville Reeves) e di due Macchi 200 (ad opera del tenente
colonnello Ross Shore e del sottotenente Milson) ed il danneggiamento
dell’idrovolante (ad opera del maggiore P. M. J. Evans, che lo identifica come
un Dornier Do 24), di uno Ju 88 (ad opera del sergente R. J. Dawson) e di due Macchi
200 (ad opera del sottotenente A. F. Izzard e del sergente R. J. Dawson), visto
poi ammarare vicino ad uno dei cacciatorpediniere della scorta, mentre i caccia
italiani rivendicano l’abbattimento di tre Beaufort ed il danneggiamento di
altri due (ad opera del tenente Giuseppe Marazio e del sottotenente Iolando
Suprami della 164a Squadriglia del 161° Gruppo Autonomo Caccia
Terrestre, e dei tenenti Francesco Pantanella e Giuseppe Bentivoglio della 355a
Squadriglia del 24° Gruppo Caccia Terrestre), ed un caccia tedesco del 6.
Staffel (tenente Günther Hess) rivendica l’abbattimento di un quarto Beaufort.
Le effettive perdite
britanniche ammontano a due Beaufighter (il T4666 "Y" del tenente D.
M. Partridge e l’X8085 "A" del tenente F. C. Noone, entrambi del 227th
Squadron, abbattuti con la morte di entrambi gli equipaggi) ed altrettanti Beaufort
abbattuti, nonché tre Beaufort danneggiati; quelle italo-tedesche
all’abbattimento di uno Ju 88 (pilotato dal tenente Siegfried Philipp) ed al danneggiamento
di due FIAT G. 50 del 161° Gruppo Autonomo Caccia Terrestre.
Il Beaufort del
capitano Sharman, capo formazione (AW385 "Q"), viene abbattuto dal
tiro della scorta con la morte dell’intero equipaggio, così come quello (AW280 "R")
pilotato dal tenente sudafricano R. C. B. Evans; altri tre Beaufort vengono
danneggiati dai caccia e dal tiro delle navi (l’AW291 del sottotenente
Marshall, con un ferito lieve; l’AW381 del sergente G. E. Sanderson, con un
morto; l’AW302 del sergente Watlington, con due feriti). Dopo la morte di
Sharman, assume al suo posto la guida della formazione il tenente Les Wordell,
che alle 15.40 colpisce la Manara a
poppa con un siluro.
Presa a rimorchio
dal Freccia (capitano di
fregata Alvise Minio Paluello), la Manara
può essere portata all’incaglio nella baia di Arilla (Corfù). Il resto del
convoglio prosegue; al tramonto si scinde nuovamente nei due gruppi originari
(meno Freccia e Manara) che navigano separati per tutta
la notte, pur seguendo entrambi la medesima rotta lungo la costa ellenica.
7 settembre 1942
All’alba i due gruppi
si riuniscono di nuovo, assumendo una formazione con le motonavi disposte a
triangolo (Ravello a
dritta, Ankara a
sinistra, Sestriere di
poppa) e le navi scorta disposte tutt’intorno, oltre alla scorta aerea di 7
Junkers Ju 88 tedeschi, 5 caccia italiani Macchi Mc 200 ed un idrovolante CANT
Z. 506.
Alle 8.35 il
sommergibile britannico P 34 (tenente
di vascello Peter Robert Helfrich Harrison), preavvisato del prossimo arrivo
del convoglio, avvista su rilevamento 305° le alberature ed i fumaioli delle
navi italiane. Iniziata la manovra d’attacco alle 8.40, il P 34 lancia quattro siluri alle
9.21, da 6400 metri, in posizione 36°17’ N e 21°03’ E (45 miglia a sudovest
dell’isola greca di Schiza); Sestriere e Ravello, avvistati i siluri, li evitano
con la manovra. Il Lampo (capitano
di corvetta Antonio Cuzzaniti) viene temporaneamente distaccato per dargli la
caccia, lanciando bombe di profondità a scopo intimidatorio, per poi riunirsi
al convoglio; anche l’Aviere, che ha
avvistato le scie dei siluri, effettua un attacco con bombe di profondità. Il
contrattacco contro il P 34 si
protrae dalle 9.36 alle 13 circa (con una pausa di circa un’ora), con il lancio
in tutto di 83 bombe di profondità; gli scoppi delle bombe, oltre ad indurre il
sommergibile a restare immerso in profondità per tutto il pomeriggio, arrecano
seri danni al suo motore di sinistra (quando si cerca di metterlo in moto,
scoppia un incendio), costringendolo ad interrompere la missione e rientrare a
Malta per le riparazioni.
Per tutta la giornata
del 7, e nella notte successiva, le navi vengono ripetutamente attaccate da
bombardieri (di giorno si tratta di Consolidated B-24 “Liberator” statunitensi)
ed aerosiluranti.
Alle 19.40 il
convoglio «Lambda» si scinde nuovamente in due gruppi: Fuciliere, Geniere, Lampo, Ankara e Partenope dirigono per Tobruk, mentre Pegaso, Pallade, Camicia Nera, Aviere, Corsaro, Legionario, Ravello e Sestriere fanno rotta per Bengasi (dove arriveranno alle 11
dell’indomani).
8 settembre 1942
Il gruppo che
comprende il Fuciliere, durante
la notte, viene sottoposto ad ulteriori e pesanti attacchi di bombardieri; mentre
l’Ankara rimane indenne, alle
2.14, durante un attacco da parte di sette “Liberator” del 159th
Squadron decollati da basi in Nordafrica, il Fuciliere (capitano di fregata Umberto Del Grande) viene
investito dall’esplosione di alcune bombe cadute vicinissime allo scafo, che
causano danni alle sovrastrutture nonché vie d’acqua ed allagamenti parziali di
alcuni locali, uccidendo due uomini – il sottocapo radiotelegrafista Carlo
Barozzi, di 22 anni, da Villafranca di Verona, ed il sergente elettricista
Giuseppe Masillo, di 25 anni, da Roma – e mettendo fuori uso la motrice di
poppa. Due ore dopo l’attacco il Fuciliere
deve pertanto lasciare la scorta e raggiungere Creta, scortato dal Bombardiere; alle 19.55 getta l’ancora a
Sfakia, nella rada di Capo Krio (Creta).
Alla memoria del
sergente Masillo e del sottocapo Barozzi verrà conferita la Croce di Guerra al
Valor Militare, con motivazione: “Imbarcato
su C.T. di scorta a convoglio, attaccato da aerosiluranti e bombardieri nemici,
dava prova di sereno coraggio. Durante un successivo attacco notturno, travolto
dalle colonne d’acqua, provocate da grosse bombe sganciate a bassa quota,
scompariva in mare nell’adempimento del proprio dovere”.
Il tenente del Genio
Navale Direzione Macchine Antonino Emmi, 40 anni, da Linguaglossa, rimasto
ferito, verrà decorato con la Medaglia di Bronzo al Valor Militare, con
motivazione “Imbarcato su
cacciatorpediniere, di scorta a convoglio, attaccato da aerosiluranti e
bombardieri nemici, dava prova di sereno spirito e noncuranza del pericolo.
Durante un successivo attacco notturno, travolto dalle colonne d’acqua
provocate da grosse bombe sganciate a bassa quota, riportava la frattura di una
gamba e dimostrava fermezza di carattere, rifiutando le cure finché non fossero
stati soccorsi gli altri feriti. Nella lunga e difficile navigazione di rientro
alla base dell’unità danneggiata, rimaneva volontariamente, incurante della
ferita, al centralino macchina e, mantenendosi in contatto col proprio
personale apportava il suo contributo alle operazioni di emergenza”.
9 settembre 1942
Si trasferisce da
Creta a Navarino, in parte con i propri mezzi ed in parte a rimorchio del Bombardiere; strada facendo viene rifornito
d’acqua dai cacciatorpediniere Geniere
e Zeno.
Rimane poi a Navarino
fino a fine mese, per riparazioni provvisorie effettuate dalla nave officina Quarnaro.
30 settembre 1942
Arriva a La Spezia
per essere sottoposto a lavori di riparazione più approfonditi.
10 novembre 1942
Fuciliere, Granatiere, Bersagliere, Alpino e Camicia Nera
scortano gli incrociatori Giuseppe
Garibaldi, Luigi di Savoia Duca degli
Abruzzi ed Emanuele Filiberto
Duca d’Aosta da Navarino ad Augusta.
Alle 6.10 ed alle
6.11 la formazione viene avvistata in posizione 37°11’ N e 15°30’ E (una
quindicina di miglia ad est di Augusta), quasi simultaneamente, da due
sommergibili britannici: l’Una
(tenente di vascello Compton Patrick Norman), già preavvisato via radio del suo
arrivo, e l’Utmost (tenente di
vascello John Walter David Coombe): entrambi sono stati schierati in zona in
seguito all’avvistamento della formazione italiana, in navigazione da Navarino
verso ovest, da parte di un ricognitore.
Norman avvista le
navi italiane da cinque miglia di distanza, su rilevamento 100°; ne stima la
velocità in 25 nodi ed apprezza la composizione della formazione come tre
incrociatori leggeri scortati da sei cacciatorpediniere, tre per lato. Non
essendo riuscito a virare abbastanza rapidamente da poter attaccare i primi due
incrociatori, alle 6.18 l’Una sceglie
come bersaglio il terzo della fila, ed alle 6.25 gli lancia una salva di
quattro siluri da 3650 metri, per poi scendere a 24 metri e ritirarsi verso
est-nord-est. Nessuna delle armi va a segno.
Senza successo è
anche l’attacco dell’Utmost, che
sceglie come bersaglio l’incrociatore di coda, il più vicino: alle 6.37, in
posizione 37°16’ N e 15°31’ E, gli lancia contro quattro siluri da 6400 metri,
per poi scendere in profondità; nessuna delle armi raggiunge il bersaglio.
Gennaio 1943
Nel corso di lavori
effettuati a La Spezia, viene installato sul Fuciliere un radar modello EC.3/ter "Gufo", sistemato
sulla sommità della torretta telemetrica.
Il Fuciliere è una delle primissime unità a
ricevere il radar "Gufo" (inizialmente era stato deciso che avrebbe
dovuto imbarcare un modello De.Te. tedesco, ma successivamente questo era stato
destinato ad un’altra nave), la cui sperimentazione dà però esiti poco
soddisfacenti: non riesce a rilevare gli aerei a distanze superiori ai 4-5 km e
dimostra in generale prestazioni inferiori a quelle del De.Te. tedesco; il 29
maggio 1943 l’ammiraglio Carlo Bergamini, comandante in capo delle Forze Navali
da Battaglia, riferisce a Supermarina che i problemi riscontrati sono dovuti
alla “scarsissima istruzione e addestramento del personale” ed alle “frequenti
avarie agli apparecchi stessi”. Bergamini scrive che “Come è noto a
codesto S.M., il personale (Capi impianto ed operatori) che è stato imbarcato
sui cacciatorpediniere CARABINIERE, FUCILIERE e PANCALDO per l’impiego dei
GUFO, ha seguito il primo corso RARI in maniera molto affrettata ed incompleta.
Ne consegue di ciò, detto personale è [stato] imbarcato che non aveva
raggiunto né la preparazione tecnica né il sufficiente addestramento necessari
per adempiere bene al proprio compito. (…) La preparazione raggiunta dal personale è molto scadente né si
ritiene che possa rapidamente migliorare perché la poca conoscenza che il
personale stesso ha dell’apparato rende poco proficue le esercitazioni che
vengono fatte a bordo (…) L’esperienza fatta in questi primi mesi
con gli apparati GUFO del FUCILIERE, del CARABINIERE e del PANCALDO, ha
dimostrato che, nelle attuali condizioni degli apparati e del personale, il
rendimento dei GUFO è molto scarso. Sino ad ora, mentre nella
radiolocalizzazione di unità navali si è avuto, sebbene sporadicamente, qualche
risultato favorevole, nella radiolocalizzazione degli aerei non si è avuto, in
pratica, nessun risultato utile. Recentemente sono state eseguite dal CARABINIERE
e dal FUCILIERE, alla fonda vicino alla diga di La Spezia, ed in navigazione,
varie esercitazioni con l’intervento di aerei di vario tipo, grandi e piccoli,
e tutto ciò che si è riusciti ad ottenere è stato, un paio di volte, qualche
eco a distanza non superiore a 4000-4500 metri, per brevissimo tempo e subito
scomparso. Il cattivo rendimento dei GUFO dipende da due cause: 1. –
scarsissima istruzione ed addestramento del personale; 2. – frequenti avaria
agli apparati. Ciò, naturalmente, oltre alle intrinseche possibilità
dell’apparato (quando in perfetta efficienza ed impiegato da personale
addestrato), sulle quali non si è ancora in grado e esprimere una fondata
opinione, dato che in conseguenza dei due motivi suddetti non è stato possibile
eseguire, sino ad ora, una serie esauriente di prove. Tuttavia ci si va
formando l’opinione che le possibilità del GUFO nella radiolocalizzazione di
aerei siano effettivamente inferiori a quelle dei DETE e che ciò possa
dipendere in parte, dalla forma del diagramma di irradiazione delle trombe. 3°)
Nei riguardi del personale, si è riferito in merito con il foglio 05665 in data
11 aprile c.a. diretto a Maristat I.T.E.. Riassumendo, il personale, che sino
ad ora è stato proposto all’impiego del GUFO, non è sufficientemente addestrato
all’impiego dell’apparato, né ha la preparazione tecnica, non solo per riparare
le avarie, ma neppure, nella maggior parte dei casi, per localizzarle”.
Il radar "Gufo" installato sul Fuciliere (da “La storia del radar in Italia prima e durante la guerra 1940-1945”, di Francesco Mattesini) |
Federico Brando, uno
dei tecnici che lavorarono all’installazione del "Gufo" sul Fuciliere, ricorderà così quei giorni
nelle sue memorie: “Gli apparati dovevano
funzionare in condizioni ostili: clima salino, vibrazioni e notevoli sbalzi
termici. Ogni parte doveva essere sempre accessibile e non si potevano portare
a bordo molti strumenti; uno dei punti critici era la connessione delle antenne
montate sulla torretta girevole ed il resto del sistema. Già in darsena, sui
cacciatorpediniere, a circa 15 metri di altezza le oscillazioni della nave
complicavano le operazioni; molto più rischiosa la situazione in navigazione.
Una delle installazioni realizzate anche da chi scrive venne effettuata nei
primi mesi del 1943 a bordo del cacciatorpediniere Fuciliere, reduce, un po’
malconcio, dalla seconda battaglia del golfo della Sirte. Stavano potenziando
l’armamento prodiero e la torretta della Galileo era stata sistemata nel punto
più alto al posto del faro.
Quando la squadra dei montatori e collaudatori salì a bordo fu accolta con un
saluto: “Ormai il brutto è passato, ora verrà il peggio”. Frase profetica
Quando la squadra dei montatori e collaudatori salì a bordo fu accolta con un
saluto: “Ormai il brutto è passato, ora verrà il peggio”. Frase profetica”.
Durante i lavori
vengono anche eliminati la mitragliera binata centrale da 20/65 mm e l’impianto
lanciasiluri poppiero, al cui posto vengono installate due mitragliere singole
Breda Mod. 39 da 37/54 mm (altra fonte afferma che una delle due mitragliere da
37/54 mm sarebbe stata installata al posto dell’obice illuminante, che sarebbe
stato sbarcato solo in questa circostanza, oppure che in tale posizione ne
sarebbe stata installata una terza; l’altra sarebbe stata collocata sulla
sovrastruttura centrale) e quattro o cinque mitragliere singole Breda 1940 da
20/65 mm. Viene anche eliminato l’albero poppiero.
23 gennaio 1943
Inizia le prove in
mare al termine dei lavori.
Il Fuciliere a La Spezia nel gennaio-febbraio 1943 (Coll. Giorgio Parodi, via www.naviearmatori.net) |
31 gennaio 1943
Ritorna in servizio,
assegnato dapprima alla XII e poi alla XI Squadriglia Cacciatorpediniere.
1° marzo 1943
Fuciliere ed Alpino salpano da
Palermo per Tunisi alle 4.20, in missione di trasporto truppe. Dopo le Egadi i
due cacciatorpediniere si uniscono ad un secondo gruppo partito da Trapani e
formato dai cacciatorpediniere Premuda,
Pigafetta e Malocello: in tutto le cinque unità trasportano 1930 soldati.
Giunti a Tunisi alle
13.25, i cacciatorpediniere sbarcano rapidamente le truppe e poi ripartono già
alle 14.30: Fuciliere ed Alpino diretti a Palermo, gli altri tre
a Trapani.
2 marzo 1943
Fuciliere ed Alpino arrivano a
Palermo alle 5.30.
15 marzo 1943
Fuciliere ed Alpino salpano da
Trapani per La Goletta all’1.15, in missione di trasporto truppe. Giunti a La
Goletta alle 9.55, sbarcano le truppe e ripartono alle 11.20 diretti a Palermo,
dove giungono alle 21.30.
16 aprile 1943
Il Fuciliere esce da La Spezia insieme ai cacciatorpediniere Alpino ed Oriani (con cui forma la XIII Squadriglia Cacciatorpediniere),
alle tre corazzate della IX Divisione (Roma –
nave ammiraglia –, Littorio, Vittorio Veneto) ed alla XIV Squadriglia
Cacciatorpediniere (Gioberti, Legionario, Camicia Nera) per effettuare esercitazioni di tiro e di
cooperazione aeronavale, le prime tenute dall’autunno del 1942. Aerei da caccia
ed idrovolanti antisom inviati decollati da La Spezia completano la formazione,
con funzioni di scorta aerea sia ad alta che a bassa quota; partecipano
all’esercitazione sommergibili, mezzi antisommergibili ed il rimorchiatore
Portoferraio, incaricato di rimorchiare i bersagli.
Le esercitazioni, che consistono in prove di tiro delle corazzate (con i pezzi
principali da 381 mm, quelli secondari da 152 mm, quelli contraerei da 90 mm e
con le mitragliere da 37 e 20 mm) contro aerei e bersagli navali rimorchiati,
manovre in formazione ed un attacco simulato da parte di aerosiluranti (quattro
Savoia Marchetti SM. 79 “Sparviero” del Gruppo aerosiluranti di base a Pisa),
si tengono durante il mattino ed il pomeriggio, in condizioni di mare calmo e
scarsa visibilità.
Vengono eseguiti tre attacchi simulati di aerosiluranti, con lancio di siluri
da distanze variabili tra 800 a 1500 metri; gli aerei volano a circa cinquanta
metri di quota e, a causa della scarsa visibilità, vengono avvistati soltanto
quando sono a 7-8 km di distanza. Tutti e tre gli attacchi vengono condotti in
formazione serrata, con provenienza da poppa; i primi due sono eseguiti da
quattro aerosiluranti, il terzo da tre. I caccia della scorta aerea
intervengono tre volte, due prima del lancio dei siluri ed una durante la
successiva manovra di allontanamento.
30 aprile 1943
Fuciliere e Carabiniere
dovrebbero salpare per un’altra missione di trasporto truppe verso la Tunisia,
ma questa viene annullata all’ultimo momento in seguito alla perdita nelle ore
precedenti, sotto pesanti attacchi aerei angloamericani, dei cacciatorpediniere
Lampo, Leone Pancaldo ed Hermes
(i primi due affondati, il terzo reso inutilizzabile) impegnati in analoghi
compiti.
Nessun
cacciatorpediniere partirà più per la Tunisia: il dominio Alleato dei cieli è
ormai schiacciante, tale da rendere suicida ogni ulteriore tentativo. Le ultime
truppe dell’Asse in terra africana si arrenderanno il 13 maggio.
7 giugno 1943
Il Fuciliere salpa da La Maddalena,
insieme a Legionario e Gioberti, per una missione di scorta ad
un convoglio composto dai piroscafi Melfi,
Canosa e Cassino. Alle 5.50 i fumi del convoglio
vengono avvistati dal sommergibile britannico Safari (tenente di vascello Richard Barkie Lakin), che alle
6.34 avvista il convoglio in avvicinamento, diretto verso sud, a sette miglia
di distanza. Il Safari si
avvicina per 25 minuti ad alta velocità, poi, alle 7.19 (in posizione 41°46’ N
e 09°30’ E) lancia quattro siluri da 6400 metri di distanza, contro due dei
mercantili; nessuna delle armi va a segno, ed esse esplodono anzi contro la
costa, avvertendo la scorta del pericolo. Alle 7.26 il Gioberti contrattacca con 14 bombe
di profondità, che scoppiano tutte piuttosto vicine al sommergibile, causando
però soltanto danni leggeri. Alle 8.23 il battello britannico torna a quota
periscopica ed avvista il Gioberti quasi
3660 metri a poppavia; il comandante britannico decide di avvicinarsi e
preparare due tubi al lancio per attaccarlo, ma abbandona ogni proposito
offensivo quando, alle 9, il Gioberti accelera
e gli si dirige incontro.
Il Safari scende in profondità, ed
alle 9.04 il cacciatorpediniere lancia altre tre bombe di profondità, che
esplodono vicine; seguono, alle 9.36, altri due pacchetti di 3 e 4 cariche di
profondità, anch’esse esplose vicine al bersaglio.
Il Gioberti, a ragione, ritiene di aver
solo danneggiato l’attaccante; le corvette Danaide e Folaga ricevono
ordine di recarsi sul posto per proseguire la caccia, ma non riusciranno a
trovare il Safari, che si ritira
lentamente verso il largo alla quota di 91 metri.
10 giugno 1943
Assume il comando del
Fuciliere il capitano di fregata
Uguccione Scroffa, 43 anni, da Ferrara.
16 giugno 1943
Durante la notte il Fuciliere, insieme ai gemelli Carabiniere, Mitragliere e Legionario
(coi quali forma la XII Squadriglia Cacciatorpediniere), scorta da La Spezia a
Genova la Vittorio Veneto, diretta
nel capoluogo ligure per riparare in bacino di carenaggio i danni subiti
durante un bombardamento aereo sulla base spezzina.
18 luglio 1943
Durante
un’esercitazione al largo di La Spezia, nella notte tra il 18 ed il 19 luglio,
il marinaio fuochista Francesco Fiorilli del Fuciliere, di 21 anni, da Termoli, cade in mare e non viene più
ritrovato. Verrà considerato disperso.
28 luglio 1943
Il Fuciliere, insieme a Carabiniere, Legionario, Oriani, Littorio, Vittorio Veneto e diversi VAS, partecipa ad un’esercitazione
notturna di tiro notturno ed attacco simulato da parte di motosiluranti
(“impersonate” dalle VAS) alla squadra da battaglia.
Particolare della sovrastruttura prodiera del Fuciliere con visibile l’antenna del radar "Gufo" (da “The Owls and the Gufo. Birth of Italian radar”) |
11 agosto 1943
Sette membri
dell’equipaggio del Fuciliere perdono
la vita nel Mediterraneo centrale: i marinai cannonieri Enrico Bonizzoni, 23
anni, da Castellanza, Mario Rambaldi, 19 anni, da Castel del Rio, Orfeo
Giorgini, 19 anni, da Montemarciano, ed Agostino Calamo, 23 anni, da Ostuni; il
marinaio nocchiere Giuseppe Curatolo, 19 anni, da Trapani; il marinaio Aldo
Ronconi, 21 anni, da Codigoro; ed il sottocapo cannoniere Salvatore Legname, 20
anni, da Gela. Non è stato finora possibile risalire all’evento che causò
questa perdita di vite; a quanto risulta, l’11 agosto 1943 il Fuciliere si trovava a Genova.
13 agosto 1943
Fuciliere, Mitragliere e Carabiniere scortano da Genova a La
Spezia la corazzata Roma, al termine
di un periodo di riparazioni in bacino dei danni causati da un’altra incursione
aerea. Durante la navigazione di trasferimento sono previste delle
esercitazioni di tiro, che vengono tuttavia cancellate in quanto il
rimorchiatore che deve trainare il bersaglio galleggiante non è in grado di
reggere il mare burrascoso.
8 settembre 1943
L’annuncio dell’armistizio
tra l’Italia e gli Alleati trova il Fuciliere
a La Spezia, dove forma la XI Squadriglia Cacciatorpediniere insieme ai gemelli
Mitragliere e Carabiniere. La XII Squadriglia fa parte del Gruppo
Cacciatorpediniere di Squadra, avente l’incrociatore leggero Attilio Regolo come nave ammiraglia
e comprendente anche le Squadriglie Cacciatorpediniere X (Grecale e Velite),
XIV (Artigliere, Legionario, Alfredo Oriani),
XVI (Ugolino Vivaldi, Antonio Da Noli, Nicolò Zeno, Dardo) e XXI (FR 21, FR 22).
Come il resto della flotta da battaglia stanziata a La Spezia, il Fuciliere, nei giorni precedenti, ha
caricato carburante e munizioni per quella che si prevede essere l’ultima
battaglia: gira notizia dell’avvistamento di una flotta angloamericana di ben
450 navi, diretta verso le coste della Campania; gli Alleati stanno per
sbarcare a Salerno, e la squadra da battaglia, dopo mesi di immobilità nelle
basi liguri, si prepara a salpare per contrastare la flotta d’invasione in un
ultimo scontro che si concluderà nel suo totale annientamento.
Il mattino ed il pomeriggio dell’8 settembre sono trascorsi tranquilli, ma
intorno alle 18 l’ammiraglio Carlo Bergamini, comandante in capo delle da
battaglia, convoca gli ammiragli ed i comandanti a questi subordinati a
rapporto sulla sua nave ammiraglia, la corazzata Roma.
Il giorno precedente, Bergamini ha partecipato a Roma, presso il quartier
generale della Marina, ad una riunione indetta dal Ministro della Marina nonché
capo di Stato Maggiore della forza armata, ammiraglio Raffaele De Courten.
Durante tale riunione, cui hanno partecipato in tutto dieci ammiragli che
detengono le posizioni chiave all’interno della Marina, De Courten ha disposto
che naviglio ed installazioni a terra vengano posti in stato di difesa, la
sorveglianza venga rafforzata ovunque, ci si prepari a reagire ad eventuali
atti di ostilità da parte tedesca (tenendosi pronti ad impedire l’occupazione
di installazioni militari e la cattura di navi da parte tedesca, ad
interrompere i collegamenti delle forze tedesche, ad eliminare reparti e navi
tedesche che dovessero compiere atti ostili) ed a far partire le navi in
condizioni di efficienza per Sardegna, Corsica, Elba, Sebenico e Cattaro,
nonché ad autoaffondare le navi non in grado di muovere; in caso di attacco
tedesco, i prigionieri Alleati dovranno essere liberati, ed in caso di attacco
tedesco si dovranno considerare come nemici i velivoli tedeschi che dovessero
sorvolare le navi italiane, mentre non si dovrà aprire il fuoco contro quelli
Alleati. Tutte questi provvedimenti dovranno essere presi in seguito a
ricezione di un ordine convenzionale inviato da Supermarina, oppure dai Comandi
in Capo nel caso di un attacco da parte tedesca. De Courten non ha rivelato ai
presenti che sono in corso le trattative per un armistizio tra l’Italia e gli
Alleati, ma ai più non è sfuggito il significato di quelle istruzioni.
Un altro ordine dato nel corso della riunione è stato quello di rifornire al
completo le navi in grado di partire con provviste, acqua e nafta;
quest’ordine, eseguito nel pomeriggio dell’8 settembre, desta non pochi dubbi,
dato che i marinai non capiscono come mai, se la flotta dovrà partire a breve
per l’ultima battaglia nel Basso Tirreno, si imbarchino rifornimenti che paiono
destinati ad una lunga navigazione.
Agli ammiragli e comandanti riuniti sulla Roma, Bergamini annuncia di non poter riferire tutto quello che De
Courten gli ha detto, ma che sono imminenti gravissime decisioni da parte del
governo, e che solo la Marina, tra le forze armate italiane, si può ritenere
ancora integra ed ordinata.
Qualsiasi cosa dovesse accadere, fa presente Bergamini, nessuna nave dovrà
cadere in mano straniera, né britannica né tedesca; piuttosto, verrebbe
trasmesso il messaggio in codice «Raccomando
massimo riserbo» ricevuto il quale le navi si dovranno autoaffondare.
Qualora il comando centrale fosse impossibilitato a trasmettere tale messaggio,
i comandanti dovranno agire di propria iniziativa, in relazione alla situazione
che si dovesse presentare, ricordando la direttiva di non consegnare nessuna
nave in mani straniere. Nel caso di un autoaffondamento, questo dovrà avvenire
per quanto possibile in acque profonde, ma a distanza dalla costa tale da
permettere agli equipaggi di mettersi in salvo (per ordine del re, gli uomini
non devono sacrificarsi); se ciò non fosse possibile, le navi si dovranno
autodistruggere.
In caso di ricezione del telegramma convenzionale «Attuare misure ordine pubblico Promemoria n. 1 Comando Supremo», si
dovrà procedere alla cattura del personale tedesco presente a bordo per i
collegamenti ed attuare l’allarme speciale, cioè preparare le navi a respingere
qualsiasi colpo di mano proveniente dall’esterno.
Bergamini spiega che la flotta potrebbe salpare da un momento all’altro, e che
gli obiettivi potranno essere tre, radicalmente differenti: andare incontro
alla flotta britannica che deve appoggiare lo sbarco, presumibilmente nel Golfo
di Salerno, ed ingaggiarla in battaglia; raggiungere La Maddalena per sottrarsi
ad eventuali azioni ostili da parte tedesca; oppure autoaffondarsi. Risulta
evidente, tra gli ufficiali presenti, che qualcosa di grave è nell’aria;
paventando una resa ed una consegna delle loro navi agli Alleati, molti
propongono l’autoaffondamento immediato, ma vengono riportati all’ordine da
Bergamini.
Non molto tempo dopo la conclusione della riunione, alle otto di sera, la radio
dà l’annuncio dell’armistizio tra l’Italia e gli Alleati.
Alle 22 l’ammiraglio Bergamini, dopo una telefonata da parte dell’ammiraglio De
Courten (l’ordine di partire per La Maddalena è stato trasmesso da Supermarina
alle 21.45), convoca di nuovo gli ammiragli e comandanti dipendenti e dice loro
che il personale tedesco presente sulle navi è stato sbarcato, conferma le
disposizioni date quattro ore prima e dice di non sapere se alla squadra da
battaglia verrà ordinato di restare in porto oppure di trasferirsi in Sardegna
od in altra località; gli ordini a questo proposito, dice, verranno
probabilmente impartiti dopo un colloquio tra l’ammiraglio De Courten ed il
maresciallo Badoglio, che deve svolgersi proprio in quei momenti. Nuovi ordini
verranno emanati l’indomani mattina.
Terminata la riunione, ammiragli e comandanti ritornano sulle rispettive unità.
9 settembre 1943
Alle 00.21 il Comando delle
Forze Navali da Battaglia dirama l’ordine "Da CC.FF.NN.BB. a Tutti: Attivate. Passate pronti a muovere";
all’1.38, "Da CC.FF.NN.BB. a Tutti:
Nave Roma passerà ostruzioni ore 03.00 giorno 9 preceduta dai CC. TT. e
7a Divisione seguita Nave Italia Nave V. Veneto"; alle 3.13, "Dal CC.FF.NA.BB. a tutti: Salpate".
Alle due di notte (le prime navi iniziano a muovere all’1.45, ma ci vorranno
due ore prima che tutta la flotta – ultima nave ad uscire è la Vittorio Veneto, alle 3.40 – sia uscita
dal porto) la squadra da battaglia salpa da La Spezia: ne fanno parte il Fuciliere (capitano di fregata Uguccione
Scroffa) con il resto della XII Squadriglia Cacciatorpediniere (Carabiniere, al comando del capitano di
fregata Gian Maria Bongiovanni, e Mitragliere,
al comando del capitano di vascello Giuseppe Marini, caposquadriglia); le tre
moderne corazzate dell’ammiraglio Bergamini, Roma (nave ammiraglia di Bergamini), Italia (nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Enrico
Accorretti, comandante della IX Divisione) e Vittorio Veneto; gli incrociatori leggeri Raimondo Montecuccoli, Attilio
Regolo (capitano di fregata Marco Notarbarcolo di Sciara; il Regolo ricopre al contempo anche il
ruolo di conduttore di flottiglia del Gruppo Cacciatorpediniere di Squadra,
formato dalle Squadriglie X, XIV e XIV e comandato dal capitano di vascello
Franco Garofalo: quest’ultimo, però, si è imbarcato sull’Italia invece che
sul Regolo) ed Eugenio di Savoia della VII
Divisione Navale (al comando dell’ammiraglio di divisione Romeo Oliva, con
bandiera sull’Eugenio di Savoia); i
cacciatorpediniere Artigliere (capitano
di fregata Mario Tabucchi), Grecale (capitano
di fregata Benedetto Ponza di San Martino), Legionario (caposquadriglia, capitano di vascello Amleto Baldo) ed
Alfredo Oriani (capitano di
fregata Pietro Scammacca) della XIV Squadriglia. Un’ora prima, alle 00.52, ha
preso il mare il Gruppo Torpediniere del capitano di fregata Riccardo
Imperiali, composto dalle torpediniere Pegaso (caposquadriglia), Impetuoso (capitano di fregata Giuseppe
Cigala Fulgosi), Orsa (capitano
di corvetta Azzo Gino del Pin) ed Orione
(capitano di corvetta Emanuele Bertetti), aventi compiti di esplorazione
avanzata per la squadra da battaglia durante la navigazione.
Una volta in mare (le ultime navi escono alle 3.40), la flotta assume rotta
218° e velocità 24 nodi. Il mare è calmo, la notte è rischiarata dalla luna. La
flotta procede in linea di fila, con la XII Squadriglia Cacciatorpediniere in
testa, seguita nell’ordine dalla XIV Squadriglia, dalla VII Divisione e dalla
IX Divisione. Alle 4.11 l’ammiraglio Bergamini ordina a tutte le unità
dipendenti "Disponetevi secondo il dispositivo di marcia n. 11",
pertanto la VII Divisione passa in testa, seguita dalla IX Divisione, con le
due squadriglie in posizione di scorta ravvicinata, XIV a dritta e XII a
sinistra. Non cambiano, invece, rotta e velocità.
Più o meno nello stesso momento salpano da Genova anche la torpediniera Libra ed i tre incrociatori leggeri
dell’VIII Divisione (Luigi di Savoia Duca
degli Abruzzi, Giuseppe
Garibaldi ed Emanuele
Filiberto Duca d’Aosta), al comando dell’ammiraglio di divisione Luigi
Biancheri.
La destinazione per tutte le navi è la base di La Maddalena, in Sardegna, dove
la flotta dovrà inizialmente trasferirsi (come De Courten ha spiegato a
Bergamini la sera prima, ordine poi ufficializzato da un fonogramma di
Supermarina delle 23.45) per poi ricevere ulteriori istruzioni sul da farsi:
nella base sarda, l’ammiraglio Bruno Brivonesi dovrà consegnare all’ammiraglio
Bergamini i documenti relativi all’armistizio (i cui dettagli non sono noti a
Bergamini) e gli ordini conseguenti (nelle intenzioni di De Courten, la squadra
dovrebbe sostare a La Maddalena nel pomeriggio del 9 e ripartire nella notte,
in modo da incontrarsi all’alba del 10 con la Forza H britannica e la scorta
aerea angloamericana al largo di Bona). Inizialmente, era previsto anche che il
re ed il governo si sarebbero dovuti trasferire da Roma a La
Maddalena (così ha detto a De Courten, il 6 settembre, il capo di Stato
Maggiore generale, generale Vittorio Ambrosio), ma poi gli eventi prenderanno
una piega diversa.
Il Gruppo Torpediniere procede in posizione di scorta avanzata, seguito
nell’ordine dai tre incrociatori della VII Divisione (Eugenio, Montecuccoli e Regolo) e dalle tre corazzate della IX
Divisione (Roma, Italia e Vittorio Veneto) con Legionario, Grecale, Oriani e Velite sul
lato di dritta e Mitragliere, Fuciliere, Artigliere e Carabiniere su
quello di sinistra.
I gruppi partiti da Genova e La Spezia si riuniscono alle 6.15 (o 6.30) a nord
di Capo Corso, per poi proseguire in un unico gruppo lungo una rotta ad ovest
della Corsica, procedendo a 22 nodi e tenendosi ad una quarantina di miglia
dalla costa corsa; la Libra si
aggrega temporaneamente alla XIV Squadriglia Cacciatorpediniere, mentre la VII
e la VIII Divisione si scambiano Regolo e Duca d’Aosta per ottenere una
maggiore omogeneità delle due formazioni.
Alle 6.30 Supermarina trasmette a tutte le unità un breve messaggio
dell’ammiraglio De Courten: "Supermarina
18475: Truppe tedesche marciano su Roma (alt) Fra poco Supermarina potrà non
poter comunicare (alt) Per ordine del Re eseguite lealmente clausole armistizio
(alt) Con questa leale esecuzione la Marina renderà altissimo servizio al Paese".
Alla stessa ora l’ammiraglio Bergamini ordina "Da CC.FF.NN.BB. a tutti: Disponetevi secondo dispositivo di marcia G.E.
12, 5a colonna", e la squadra si dispone con la Libra in avanguardia ravvicinata,
la IX Divisione in posizione centrale, la VII Divisione a proravia sinistra di
quest’ultima e con la XII Squadriglia sul lato esterno e l’VIII Divisione a
proravia dritta della IX Divisione e con la XIV Squadriglia sul lato esterno.
Rotta 220°, la velocità viene portata a 22 nodi.
Alle 8.40 le navi di Bergamini avvistano le torpediniere del comandante
Imperiali, che si mantengono in avanguardia lontana come scorta avanzata. Già
alle 4.13 l’ammiraglio Bergamini ha comunicato a tutte le unità «Attenzione agli aerosiluranti all’alba»,
ed alle 7.07 ribadisce «Massima
attenzione attacchi aerei». In testa alla formazione procede la Libra, seguita dalle due divisioni di
incrociatori che navigano su due colonne parallele, con Duca degli Abruzzi, Garibaldi e Regolo a dritta
ed Eugenio, Duca d’Aosta e Montecuccoli a sinistra; le tre
corazzate procedono in linea di fila a poppavia degli incrociatori. La XII
Squadriglia Cacciatorpediniere è in posizione di scorta laterale sulla sinistra
della formazione, in linea di fila (in testa è il Mitragliere, con il Fuciliere
in seconda posizione, seguito dal Carabiniere,
dietro al quale procede il Velite),
mentre la XIV Squadriglia ha analoga posizione sul lato opposto.
Alle nove del mattino le navi, arrivate nel punto di atterraggio previsto per
fare rotta verso il Golfo dell’Asinara, accostano a sinistra, riducono la
velocità a 20 nodi ed assumono rotta 180° (verso sud), procedendo a zig zag.
I movimenti della squadra italiana non sono passati inosservati; le navi
italiane vengono avvistate e seguite da alcuni ricognitori britannici (il
primo, alle 9.45, è un Martin Marauder, che dopo l’avvistamento prende a girare
intorno alla flotta) ed alle 9.41 sono localizzate anche da un ricognitore
della Luftwaffe, uno Junkers Ju 88, che allerta immediatamente il proprio
comando.
Alle 10.29 viene avvistato un altro aereo, anch’esso tedesco, con conseguente
allarme aereo; la velocità della squadra viene portata a 27 nodi, ed anche le
torpediniere si ricongiungono con il resto della squadra, dispiegandosi in
formazione di battaglia. Temendo un prossimo attacco aereo, che avverrebbe
senza la minima copertura aerea nazionale, le navi iniziano a zigzagare. Alle
10.46 viene avvistato un terzo aereo, identificato come Alleato, e viene dato
ancora l’allarme aereo; alle 10.56 viene avvistato un ulteriore ricognitore,
riconosciuto come britannico. Alle 11, dato che alcune navi hanno aperto il
fuoco col proprio armamento contraereo, l’ammiraglio Bergamini ordina a tutte
le unità di non aprire il fuoco contro aerei riconosciuti come britannici o
statunitensi.
In tutto, tra le 9.45 e le 10.56, sono quattro gli allarmi aerei causati
dall’avvistamento di ricognitori che si tengono fuori tiro; l’ultimo allarme
aereo cessa alle 11, quando viene accertato che gli aerei avvistati sono
britannici.
A mezzogiorno, ormai in prossimità delle coste della Sardegna, l’ammiraglio
Bergamini ordina alla Libra di
unirsi alle torpediniere del Gruppo Pegaso,
ed a quest’ultimo di passare in scorta ravvicinata; alle 12.04 ordina di
assumere il dispositivo di marcia GE11, ossia una formazione in linea di fila
con il Gruppo torpediniere in testa, seguito nell’ordine dalla VII, VIII e IX
Divisione, con i cacciatorpediniere in scorta ravvicinata sui lati. Viene
cessato lo zigzagamento. Alle 12.05 la squadra italiana, giunta nei pressi
dell’imboccatura occidentale delle Bocche di Bonifacio, aggira un’ampia zona di
mare minata (al largo di Golfo di Porto, in Corsica) per poi raggiungere La
Maddalena. Alle 12.10, avvistata l’Asinara, la formazione accosta di 45° a
sinistra per imboccare la rotta di sicurezza verso l’ingresso occidentale
dell’estuario della Maddalena; le due squadriglie di cacciatorpediniere vengono
disposte di poppa alle navi maggiori, con la XII Squadriglia che segue la IX
Divisione e precede la XIV Squadriglia, mentre la direzione della navigazione
passa all’Eugenio di Savoia. L’ordine
della linea di fila è Gruppo torpediniere-Eugenio-Duca d’Aosta-Montecuccoli-Duca degli
Abruzzi-Garibaldi-Regolo-Roma-Italia-Vittorio Veneto-Mitragliere-Fuciliere-Carabiniere-Velite-Legionario-Oriani-Artigliere-Grecale.
Le torpediniere sono tornate in testa alla formazione, e sono prossime a
giungere a destinazione, quando vengono avvistati da bordo numerosi incendi
sulla vicina costa della Sardegna. Poco dopo (secondo una fonte, alle 13.30, ma
le 12.30 sembrano orario più verosimile) il semaforo di Capo Testa inizia ad
eseguire una sequenza di segnali luminosi, comunicando in codice morse che il
presidio della Maddalena sta per essere sopraffatto dalle forze tedesche, che
hanno attaccato gli ex alleati, e dissuadendo le navi italiane dall’entrare a
La Maddalena ("Fermate! I tedeschi
hanno occupato la base!"). Il comandante del Gruppo Torpediniere,
capitano di fregata Riccardo Imperiali sulla Pegaso, decide allora di invertire la rotta d’iniziativa. Mentre
comunica la notizia all’ammiraglio Bergamini, vede che il resto della flotta, a
dieci miglia di distanza, sta a sua volta invertendo la rotta.
Ciò che è successo è che il generale Carl Hans Lungerhausen, comandante della
90a Divisione tedesca di stanza in Sardegna, ha concordato con
il comandante militare dell’isola, generale Antonio Basso, la pacifica
evacuazione delle sue truppe (32.000 uomini) verso la Corsica, attraverso il
porto di La Maddalena, ed il capitano di fregata Helmut Hunäus, sottoposto di
Lungerhausen ed ufficiale di collegamento tedesco presso Marisardegna, ha a sua
volta preso accordi con l’ammiraglio Bruno Brivonesi, comandante militare
marittimo della Sardegna, affinché il passaggio delle truppe tedesche
attraverso La Maddalena avvenga senza atti di ostilità (ed in questo senso,
d’altro canto, andavano gli ordini impartiti dal generale Basso all’ammiraglio
Brivonesi); ma alle 11.25 di quel 9 settembre Hunäus ha tradito l’accordo
preso, attuando un colpo di mano con le sue truppe ed assumendo così il
controllo di diverse posizioni chiave all’interno del perimetro della base. Le
truppe tedesche hanno circondato anche il Comando Marina di La Maddalena;
l’ammiraglio Brivonesi, prima di essere catturato, ha però fatto in tempo ad
avvertire Supermarina di quanto sta accadendo, ed alle 13.16 Supermarina ne
informa a sua volta Bergamini, ordinandogli di fare rotta per Bona, in Algeria
(messaggio ricevuto sulla Roma alle
14.24).
Alle 13.21 viene avvistato un altro aereo, riconosciuto per tedesco, e viene
dato l’allarme aereo; le navi accostano a sinistra per 120°.
Alle 13.29, per attraversare in sicurezza una zona di campi minati, viene
assunta una formazione in linea di fila con in testa il Gruppo torpediniere
seguito, nell’ordine, dalla VII, VIII e IX Divisione e dalla XII e XIV
Squadriglia Cacciatorpediniere. La velocità viene ridotta a 20 nodi, e la
squadra accosta a sinista, assumendo rotta 110°.
Secondo il volume dell’USMM relativo agli eventi seguiti all’armistizio, alle
13.16 Supermarina, saputo verso le 13 dell’occupazione di La Maddalena, ordina
alla squadra di Bergamini di cambiare rotta e dirigere per Bona; tale messaggio
viene ricevuto sulla Roma alle
14.24 (secondo altra fonte, alle 14.37), ed alle 14.45 la formazione inverte la
rotta ad un tempo di 180° sulla sinistra (accostata eseguita alla velocità di
24 nodi), puntando in direzione dell’Asinara, finendo con l’invertire l’ordine
di marcia precedentemente assunto: ora in testa è la XIV Squadriglia
Cacciatorpediniere, seguita nell’ordine dalla XII Squadriglia, dalla Libra, dalla IX Divisione, dall’VIII
Divisione e dalla VII Divisione, con le navi ammiraglie o caposquadriglia che
precedevano in coda alle rispettive Divisioni e Squadriglie (ordine: Grecale, Artigliere, Oriani, Legionario, Velite, Carabiniere, Fuciliere, Mitragliere, Vittorio
Veneto, Italia, Roma, Regolo, Garibaldi, Duca degli Abruzzi, Montecuccoli, Duca d’Aosta, Eugenio).
In coda alla formazione è il Gruppo Torpediniere.
Alle 13.30 viene assunta rotta 65°, per dirigere verso le Bocche di Bonifacio;
alle 14.41 l’ammiraglio Bergamini ordina per ultracorte a tutte le unità
dipendenti "Accostate ad un tempo di
180° a sinistra", in modo da ridurre il raggio di evoluzione delle
navi ed evitare così di finire sui campi minati. Alle 14.46 il Comando Forze
Navali da Battaglia ordina di ridurre la velocità a 18 nodi ed assumere rotta
285°, la rotta di sicurezza che dovrà condurre le navi fuori dal Golfo
dell’Asinara, dove poi accosteranno verso sud per raggiungere Bona.
Un ricognitore tedesco, tuttavia, osserva la squadra italiana durante la
manovra d’inversione della rotta; apprezzati i dati relativi alla nuova rotta e
velocità, alle 14.47 li riferisce al Comando della II. Luftflotte, retto dal
feldmaresciallo Wolfram von Richtofen. Quest’ultimo, avuta così la certezza che
la flotta italiana sia ora diretta in un porto Alleato, ordina al
Kampfgeschwader 100 (100° Stormo da Bombardamento) di inviare i bombardieri ad
attaccarla: dall’aeroporto di Istres (nei pressi di Marsiglia), pertanto,
decollano in tre ondate 28 bombardieri bimotori Dornier Do 217K, undici dei
quali appartenenti al 2° Gruppo del Kampfgeschwader 100 (sono stati trasferiti
da Cognac e li comanda il capitano Franz Hollweck) e 17 al 3° Gruppo del
Kampfgeschwader 100 (maggiore Bernhard Jope). (Per altra fonte, l’avvistamento
da parte del ricognitore tedesco sarebbe avvenuto alle 13.23, ed i bombardieri
sarebbero decollati alle 14).
Intanto, la flotta di Bergamini si sta dirigendo a nord dell’Asinara;
all’ammiraglio giungono le drammatiche notizie degli scontri in corso in tutti
i porti italiani, che si concludono invariabilmente con la loro caduta in mano
tedesca. Di tornare in Italia, ormai, non c’è più la possibilità: non rimane
altro da fare che dirigere su Bona, come ordinato.
Proprio in questi confusi e critici momenti, alle 15.15 (quando la flotta si
trova 14 miglia a sudovest di Capo Testa), si verifica un nuovo allarme aereo,
con l’avvistamento verso ponente di un gruppo di aerei che si avvicinano: dopo
un minuto questi vengono identificati dalle navi come “Junkers” tedeschi, e
la Roma alza a riva il
segnale "Posto di combattimento
pronti ad aprire il fuoco".
Gli aerei avvistati sono gli undici Dornier Do 217 K2 del III. Gruppe del
Kampfgeschwader 100, decollati da Istres ed armati con innovative bombe
plananti radioguidate FX 1400, meglio note come “Fritz X”, precorritrici dei
moderni missili antinave radiocomandati. Un’arma rivoluzionaria, che vede qui
uno dei suoi primi impieghi in combattimento: a differenza delle normali bombe
“a caduta”, questi ordigni possono essere sganciati da un’angolazione di oltre
80 gradi rispetto all’obiettivo (quelle normali non possono essere invece
sganciate da un’angolazione superiore ai 60 gradi), e poi guidati a distanza da
un operatore che si trova sull’aereo che li ha sganciati, mediante impulsi
radio; la loro velocità di caduta è di 300 metri al secondo, molto superiore
rispetto alle bombe “tradizionali”.
Alle 15.37 i primi cinque Do 217K (guidati dal maggiore Bernhard Jope), volando
a 5000-6000 metri di quota, hanno già oltrepassato il punto di angolo massimo
previsto per lo sgancio di bombe a caduta (60 gradi, come sopra detto: a bordo
si ignora l’esistenza delle “Fritz X”) senza aver sganciato alcunché: sulle
navi italiane, pertanto, si pensa che ormai i bombardieri siano in
allontanamento, dato che non possono più sganciare bombe con un angolo tanto
elevato. Non avendo gli aerei manifestato “definite azioni ostili”, non è
possibile aprire preventivamente il fuoco contraereo, nell’incertezza sulle
intenzioni degli ex alleati.
Pochi attimi dopo, però, gli aerei iniziano a sganciare le loro bombe, mirando
soprattutto a colpire le corazzate. La codetta luminosa della prima bomba viene
inizialmente scambiata per un segnale di riconoscimento, ma subito dopo si
comprende che è invece una bomba; viene allora ordinata l’apertura del fuoco.
Alle 15.36 la prima FX-1400, mancato il bersaglio, cade in mare vicino alla
poppa dell’Italia, sollevando un’immensa colonna d’acqua e mettendone
momentaneamente fuori uso il timone.
Subito la formazione si dirada, manovrando in modo da ostacolare la punteria
dei bombardieri, e viene aperto il fuoco con tutte le armi a disposizione, alla
massima elevazione; ma il pur violento fuoco contraereo delle navi italiane
risulta inutile, dato che gli aerei sganciano le loro bombe tenendosi fuori
tiro, a quota troppo elevata per le armi contraeree delle navi italiane.
Alle 15.42 (o 15.50) la Roma,
nave ammiraglia di Bergamini, viene colpita da una prima bomba: l’ordigno la
raggiunge a poppavia dritta, trapassandone lo scafo ed esplodendo sotto di
esso, aprendo una falla che causa l’allagamento delle motrici poppiere. Ciò
riduce la velocità e manovrabilità della corazzata, che dieci minuti dopo viene
centrata da una seconda bomba, questa volta a proravia sinistra:
nell’esplosione sono coinvolti i depositi munizioni delle torri prodiere da 381
mm, che erompono in una catastrofica deflagrazione, proiettando in aria la
torre numero 2 da 381 ed investendo il torrione prodiero con un’enorme fiammata
che uccide l’ammiraglio Bergamini e tutto il suo stato maggiore. Nel giro di
meno di venti minuti, la Roma si
capovolge, si spezza in due ed affonda, portando con sé 1393 dei 2021 uomini
dell’equipaggio.
In seguito alla morte dell’ammiraglio Bergamini, il comando della squadra passa
all’ammiraglio Oliva, comandante della VII Divisione, essendo questi il più anziano
tra i tre ammiragli di divisione (Oliva, Biancheri, Accorretti): questi
comunica di aver assunto il comando alle 16.12.
I primi a dirigersi
sul luogo dell’affondamento della Roma
sono Mitragliere e Carabiniere, che hanno invertito subito
la rotta, senza attendere ordini; poco dopo Fuciliere
e Regolo fanno lo stesso, e più tardi
arrivano anche le torpediniere Orsa, Pegaso ed Impetuoso. L’iniziativa è confermata da un ordine impartito dall’ammiraglio
Biancheri alle 16.07, che distacca la XII Squadriglia per “dare soccorso al CC.FF.NN.BB.”, ordine reiterato due minuti dopo
dall’ammiraglio Oliva che incarica dell’opera di soccorso la XII Squadriglia,
le torpediniere ed il Regolo.
Le unità della XII
Squadriglia, trovandosi subito a proravia della IX Divisione, sono le prime a
giungere sul luogo del disastro, con la Roma
ancora galleggiante; quasi contemporaneamente sopraggiunge anche il Regolo, mentre per ultime arrivano le
torpediniere. Il Fuciliere recupera
108 naufraghi, il Carabiniere 112, il
Mitragliere 277, il Regolo 23, le torpediniere 102; molti
sono ustionati, nove moriranno a bordo delle navi, altri sedici dopo lo sbarco
alle Baleari.
Guido Bellocci,
naufrago della Roma, ricorda così
nelle sue memorie il salvataggio ad opera del Fuciliere: “Dopo quattro ore
dal disastro, alle 20.30, fui finalmente avvistato da una lancia del
cacciatorpediniere FUCILIERE che insieme ad altre navi della flotta incrociava
nella zona per le operazioni di soccorso. I marinai della lancia mi tirarono a
bordo e mi trovai disteso su un groviglio di corpi, molti feriti, altri morti,
ma non era certo il caso quello di guardare a tante sottigliezze. A bordo del FUCILIERE
non c’erano medicinali adatti a curare tanta gente ridotta in quelle
condizioni, per cui le medicazioni furono molto sommarie. Ma l’equipaggio fu
ammirevole e si prodigò in ogni maniera per aiutarci. Molti feriti comunque
morirono di lì a poco e fra questi, mi dissero, c’era anche Domenico Lucchiari.
La notte successiva, verso le due, ci fu un allarme aereo e il cielo si
illuminò di bengala. Erano i tedeschi che ci cercavano. Ci fu anche un allarme
sommergibili, ma fortunatamente tutto filò liscio e senza conseguenze.
Sbarcammo a Port-Mahon, nell’isola di Minorca, il mattino del 10 settembre
1943. Una motolancia della Marina spagnola ci portò sull’isolotto del Rej, dove
c’era l’ospedale militare. L’ospedale aveva soltanto sessanta posti letto e i
sanitari quando videro arrivare tutti quei feriti restarono sbalorditi e
preoccupati non sapendo come fare a ricoverarli”.
Gli ultimi superstiti
vengono recuperati poco prima delle 18. Terminata la loro opera di salvataggio
le unità soccorritrici, avendo perso di vista il resto della flotta e non
avendo disposizioni sul da farsi, tentano di contattare il resto della squadra
per chiedere istruzioni, ma non ricevono risposta (da parte sua l’ammiraglio
Oliva, che ha assunto il comando della squadra dopo la morte dell’ammiraglio
Bergamini, ha tentato a sua volta di contattare le navi lasciate sul posto a
soccorere i naufraghi, senza riuscirci: alle 19.45 chiede a Supermarina se
queste possano raggiungere Bastia od altro porto della Corsica, invitando tale
Comando a dare esso stesso ordini diretti non riuscendo lui a contattarle);
essendoci tra i naufraghi molti feriti gravi che devono essere sbarcati al più
presto, il caposquadriglia Marini chiede al Regolo
– nave di bandiera del comandante del Gruppo cacciatorpediniere di squadra,
contrammiraglio Franco Garofalo – l’autorizzazione a dirigere a tutta forza
verso Livorno, ma si sente rispondere dal comandante dell’incrociatore,
capitano di fregata Marco Notarbartolo di Sciara, che l’ammiraglio Garofalo non
è a bordo, essendosi imbarcato sull’Italia per un ritardo nell’approntamento
del Regolo, sul quale è tuttavia
rimasta la sua insegna. Ciò significa che Marini, in quanto ufficiale più alto
in grado, è il comandante del gruppo delle sette navi che hanno partecipato ai
soccorsi. Assunto dunque il comando della formazione alle 18.15, Marini non
riesce a contattare né la VII Divisione né Supermarina, ed intercetta varie
comunicazioni da cui emerge che le basi navali italiane sono sotto attacco od
in corso di occupazione da parte delle forze tedesche; alla fine, concessa
libertà di manovra alle più lente torpediniere di Imperiali, che non potrebbero
mantenere la stessa velocità dei suoi cacciatorpediniere, Marini dirige verso
nord con la XII Squadriglia ed il Regolo,
procedendo in formazione a triangolo con il Mitragliere
in testa seguito dal Regolo, il Fuciliere sulla dritta ed il Carabiniere sulla sinistra.
Alle 18.54 il Mitragliere comunica alla VII Divisione
ed a Supermarina di aver completato il recupero dei naufraghi e che Mitragliere, Fuciliere, Regolo e Carabiniere si trovano in posizione
approssimata 41°26’ N e 07°48’ E (circa 25 miglia a nordovest dell’estremità
settentrionale dell’Asinara) ed hanno assunto rotta 10° e velocità 22 nodi:
tale rotta porta verso l’Alto Tirreno risalendo la costa occidentale della
Corsica, in quanto Marini ha intercettato una comunicazione dell’ammiraglio
Biancheri all’ammiraglio Oliva, in cui il primo proponeva al secondo di tornare
a La Spezia, e pensa dunque di poter così sbarcare i naufraghi il prima
possibile e riunirsi al resto della flotta.
Alle 19.15 le quattro
navi avvistano in lontananza il cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi, gravemente danneggiato da batterie costiere
tedesche nelle Bocche di Bonifacio alcune ore prima: questi cerca di contattare
la XII Squadriglia per chiedere assistenza per sé e soccorso per i naufraghi
del gemello Antonio Da Noli,
affondato su mine nelle Bocche di Bonifacio, ma la ricezione solo parziale dei
messaggi del Vivaldi fa sì che il
gruppo di Marini sottostimi la gravità della situazione a bordo del Vivaldi, proseguendo senza fermarsi per
assisterlo. Alle 19.45 viene avvistato un aereo e le navi iniziano a zigzagare;
l’allarme cessa dopo dieci minuti, mentre lo zigzagamento prosegue fino alle
20.45.
Alle 19.20 Marini
comunica via radio che per “diradamento unità” (in modo, cioè, da non affollare
eccessivamente il porto di La Spezia, dove Marini ancora crede che sia diretta
la squadra) e sbarco dei feriti dirigerebbe a Livorno, ma dopo qualche tempo
(durante il quale ha fatto ridurre la velocità a 15 nodi, per ridurre il
consumo di nafta e per avere più tempo per decidere), iniziando ad intuire che
il silenzio sui canali radio sia dovuto a gravi avvenimenti in corso in Italia,
cambia idea ed alle 21.30 propone agli altri comandanti del suo gruppo di
dirigere per Portoferraio, chiedendo il loro parere ed ottenendo da tutti e tre
risposta positiva. Poco più tardi, tuttavia, il Mitragliere intercetta una comunicazione da Supermarina alla Pegaso in cui si afferma che le forze
tedesche stanno entrando a Roma, e
che tra poco Supermarina potrebbe non essere più in grado di esercitare il
comando: questo messaggio apre gli occhi a Marini sulla reale gravità della
situazione in Italia, tanto da fargli dubitare della decisione di raggiungere
un porto italiano. Ignorando del tutto le condizioni dell’armistizio, e sapendo
solo che l’ammiraglio Bergamini aveva ordinato di non consegnare le navi né
agli Alleati né ai tedeschi (e non sapendo chi troverebbe dirigendo in qualche
porto italiano), il caposquadriglia della XII Squadriglia decide infine di
dirigere verso la neutrale Spagna, e più precisamente verso Port Mahon, nelle
Baleari. Dopo aver consultato in proposito gli altri tre comandanti a mezzo
radiotelefonia (tutti, di nuovo, si dichiarano d’accordo), pertanto, alle 22.50
Marini ordina di invertire la rotta di 180° e dirigere per le Baleari a 28 nodi,
velocità che consentirà di giungere a destinazione all’alba, al riparo da
attacchi aerei nemici.
Alle 23.30 si
verifica un nuovo allarme aereo, e le navi emettono cortine nebbiogene con gli
apparati a cloridrina per circa cinque minuti.
10 settembre 1943
All’1.20 si verifica
un ennesimo allarme aereo, cui segue emissione di nebbia artificiale per dieci
minuti.
All’1.45 il Mitragliere intercetta un nuovo
messaggio di Supermarina che comunica che una nave ospedale italiana sta dirigendosi
verso Bona ed ammonisce di non approdare in Corsica o Sardegna; temendo però
che il messaggio – sprovvisto della parola convenzionale “Milano”, che
dev’essere inclusa per confermare l’autenticità delle comunicazioni – sia
falso, Marini lo ignora e prosegue verso le Baleari. Durante la notte la
formazione è seguita da dei ricognitori, che all’alba vengono riconosciuti come
britannici (per altra fonte, si sarebbe trattato di un solo aereo britannico
che sarebbe comparso poco dopo le sei del mattino e le avrebbe seguite per
oltre un’ora, sorvolandole poco dopo le sette, per poi allontanarsi quando
Minorca era ormai in vista). Verso le sei del mattino il Carabiniere subisce un’avaria di macchina, ma riesce a ripararla in
mezz’ora; alle 7.10 il caposquadriglia Marini comunicato alla VII Divisione di
essere diretto a Mahon per sbarcare i feriti gravi (non ha voluto comunicarlo
prima nel timore di essere radiogoniometrato od intercettato dai tedeschi).
Prima delle otto le quattro navi gettano in mare i documenti segreti e
scaricano e disarmano mitragliere e siluri; poco dopo le otto imboccano il
canale d’ingresso a Porto Mahon, ed il Mitragliere
imbarca un pilota spagnolo.
Alle 8.30, dopo
lunghe manovre, il Fuciliere e le
altre navi gettano l’ancora a Porto Mahon, tra le bitte 4 e 5 del porto
militare, nel seno della Plana. Un ufficiale spagnolo sale a bordo del Mitragliere, e Marini gli chiede il
permesso di sbarcare naufraghi, feriti e cadaveri e di rifornirsi di acqua e
nafta; la prima richiesta viene accontentata, anche se gli spagnoli non
forniscono alcun mezzo per il trasbordo, così sono le navi italiane a mettere
in mare le loro imbarcazioni per traghettare i naufraghi, i morti ed i feriti
(questi ultimi sono 133, compresi molti ustionati) nella vicina Isla del Rey.
Viene concesso anche il rifornimento di acqua, mentre per la nafta le autorità
locali rispondono che non ve n’è e che verrà inviata richiesta a Palma di
Maiorca perché sia mandato; siccome la convenzione dell’Aja del 1907 stabilisce
che le navi da guerra di Paesi belligeranti possono sostare in un porto
neutrale per non più di ventiquattr’ore (salvo che per impossibilità di salpare
dovuta ad avarie o condizioni del mare) pena l’internamento, Marini asserisce
che il termine di ventiquattr’ore decorrerà dal momento in cui sarà concesso il
carburante necessario a ripartire, che quantifica in 750 tonnellate. Il
comandante della locale base spagnola risponde che la richiesta verrà trasmessa
all’ammiraglio Garcés de los Fayos, comandante delle Baleari, che sta per
giungere di persona a Mahon. In realtà, i tre cacciatorpediniere dispongono tra
loro ancora di circa 310 tonnellate di nafta, mentre il Regolo ne ha solo 90 ed è per giunta piagato da avarie a macchine e
caldaie. Travasando la nafta tra di loro, Fuciliere,
Mitragliere e Carabiniere potrebbero ancora raggiungere La Maddalena, Bona o
Tolone: ma Marini non è ancora riuscito a farsi un quadro completo di quanto
stia avvenendo in Italia, e non sa in che porto dovrebbe andare; per questo
cerca di prendere tempo con la richiesta di carburante.
Marini si mette
quindi in contatto con il viceconsole d’Italia a Palma di Maiorca, Storich, e
l’addetto navale italiano a Madrid, capitano di vascello Antonio Muffone,
chiedendo ad entrambi lumi sulla situazione politico-militare ed eventuali
disposizioni; il secondo risponde di essere anch’esso all’oscuro della
situazione in Italia e suggerisce di rimanere a Mahon ed eventualmente farvisi
internare, cercando di prendere tempo denunciando avarie.
Sulle navi, intanto,
regna la confusione: chi pensa di tornare in Italia, chi di farsi internare; il
comandante Scroffa del Fuciliere,
sentendo alla radio che Vittorio Emanuele III ed il principe Umberto sono
fuggiti da Roma abbandonando la capitale ai tedeschi, sfonda l’apparecchio con
un pugno gridando “Non è possibile! Non è possibile!”.
In serata arriva
l’ammiraglio Garcés de los Fayos, che parla con Marini e gli altri comandanti
italiani e promette che l’obiezione di Marini sul vincolo della decorrenza
delle ventiquattr’ore per l’internamento al rifornimento di carburante sarà
sottoposta alle autorità di Madrid; spiega però che se saranno ancora in porto
l’indomani mattina si dovranno spostare in fondo al porto stesso, ammonendoli a
non autoaffondare le loro navi in porto. Marini chiede anche che gli venga
fornita subito l’acqua, in modo da poter salpare durante la notte se decidesse
in tal senso; la richiesta viene accontentata appunto durante la notte, ed al
rientro a bordo delle rispettive unità i comandanti ordinano di accendere una
caldaia per poter cambiare d’ormeggio il mattino successivo.
Fuciliere, Carabiniere, Mitragliere e Regolo a Porto Mahon il 10 settembre 1943 (Coll. Luigi Accorsi via www.associazione-venus.it) |
11 settembre 1943
In mattinata, come
richiesto dall’ammiraglio Garcés de los Fayos, le quattro navi si spostano in
fondo al budello della rada di Porto Mahon, ormeggiandosi fianco a fianco, con Fuciliere e Regolo sui lati esterni e Carabiniere
e Mitragliere in mezzo.
Alle due del
pomeriggio il capitano di corvetta José Ramirez, comandante in seconda della
base di Porto Mahon, sale a bordo del Mitragliere
ed annuncia che per ordine del governo spagnolo le navi sono state internate,
con decorrenza già dalle otto del mattino, essendo passate le ventiquatt’ore
prescritte dalla XIII Convenzione dell’Aja (pur non essendo stato dato il
preavviso prescritto dall’articolo 24 della stessa convenzione). Marini obietta
ancora una volta che l’internamento è illegittimo perché alle navi non è stato
concesso di rifornirsi di carburante, ma la risposta è che gli ordini impartiti
da Madrid sono precisi. I comandanti italiani non possono che accettare il
fatto compiuto, facendo registrare la loro contrarietà nel verbale
d’internamento: "I comandanti si
sottomettono alla decisione (…) pur
manifestando il loro disaccordo sulla decisione di internamento, ritenendo essi
che si debba applicare alle loro navi il disposto dell'art. 19 (della XIII
Convenzione dell'Aja) circa la proroga del periodo di permanenza".
12 settembre 1943
L’atto d’internamento
delle navi italiane viene formalmente firmato presso il Comando della base
navale di Mahon. Il comandante Ramirez chiede che tutti gli ufficiali italiani
firmino una dichiarazione, da allegare all’atto d’internamento, con cui
forniscano la loro parola d’onore per potersi liberamente recare a terra e
consentire agli equipaggi di andare in franchigia; Marini respinge la
richiesta, per sottolineare la sua contrarietà alla decisione d’internamento,
ritenuta illegittima. Gli ufficiali rinunciano così alla possibilità di
scendere a terra.
Ci si organizza
dunque per l’internamento. Viene istituito un Comando Gruppo Regie Navi in
Spagna, al comando di Marini, con una cassa unica, mentre gli equipaggi vengono
mantenuti separati, per mantenerne l’affiatamento interno nonché l’autorità e
le responsabilità dei rispettivi comandanti ed ufficiali. Il comandante Scroffa
del Fuciliere viene nominato vice di
Marini nonché responsabile dell’accampamento a terra nel quale sono alloggiati
i superstiti della Roma, cui deve
fare visita ogni mattino.
Proprio Scroffa,
però, è il comandante che si trova a fronteggiare i problemi più gravi sulla
propria nave, insieme a Notarbartolo del Regolo
(unità che paga lo scarso affiatamento di un equipaggio ancora relativamente
nuovo, e su cui si verificano atti di sabotaggio): mentre su Mitragliere e Carabiniere la situazione è tranquilla, diversi ufficiali del Fuciliere in posizioni chiave, a partire
dal direttore di macchina, capitano del Genio Navale Alberto Fedele, e dal
comandante in seconda, sono di tendenze filofasciste e contrari ad una futura
partenza delle navi verso l’Italia del Sud controllata dal governo regio e
dagli Alleati, che è invece nelle intenzioni di Marini e degli altri comandanti.
Fuciliere, Carabiniere, Mitragliere e Regolo internati a Port Mahon (g.c. Stefano Cioglia, via www.naviearmatori.net) |
Ottobre 1943
La situazione sia sul
Fuciliere che nel campo dei naufraghi
della Roma va peggiorando, tanto che
il comandante Scroffa invia a Marini, recatosi a Madrid nel tentativo di
ottenere il rilascio delle navi, il seguente messaggio: “Situazione disciplinare campo naufraghi nave Roma in peggioramento.
Prospetto netta ostilità mio direttore di macchina noto trasferimento. Egli
personalmente mediante ufficiali et specialmente sottufficiali dipendenti
svolge bordo altre unità opera propaganda contro partenza. Riterrei necessario
sua sostituzione et se è possibile quella subalterni et alcuni sottufficiali.
Scroffa”.
Rientrato a Mahon
nella notte tra il 22 ed il 23 ottobre, Marini convoca una riunione generale
degli equipaggi e spiega a tutti la situazione dell’Italia, lasciando intendere
– pur senza dichiararlo apertamente, anche per evitare reazioni da parte delle
autorità spagnole, filofasciste – che la sua intenzione è quella di raggiungere
l’Italia del Sud; ammonisce inoltre contro atti di sabotaggio come quelli
verificatisi sul Regolo e spiega il
funzionamento dei servizi relativi alla corrispondenza, alle paghe, al vitto ed
alla franchigia.
A questa riunione
generale ne segue poi un’altra più ristretta, cui partecipano soltanto i
comandanti, comandanti in seconda e direttori di macchina di ogni nave; Marini
dichiara che sabotaggi come quelli verificatisi sul Regolo non saranno più tollerati, ogni ufficiale risponderà subito
ed integralmente in base al codice penale di guerra di sabotaggi e disordini
che dovessero verificarsi a bordo, anche ad opera di propri subordinati.
Principale destinatario di questi ammonimenti, pur se non esplicitamente, è il
direttore di macchina del Fuciliere,
capitano G.N. Fedele. Marini ricorda ai comandanti, e specialmente a Scroffa,
il dovere di vigilare attentamente sul comportamento degli equipaggi.
11 novembre 1943
Mentre il
caposquadriglia Marini si trova a Palma, a Mahon, in occasione delle abituali
celebrazioni per il compleanno di Vittorio Emanuele III, si acuiscono le
tensioni tra gli ufficiali rimasti fedeli al re e quelli che sempre più
apertamente mostrano simpatie filofasciste. L’episodo più grave si verifica proprio
sul Fuciliere, dove il comandante in
seconda (che Marini definirà “privo di qualsiasi intelligenza”, marionetta
nelle mani del direttore di macchina Fedele) dice al comandante Scroffa che la
sua presenza in quadrato alla colazione dell’11 novembre potrebbe creare seri
incidenti, perché qualche ufficiale si rifiuterà di bere alla salute del re.
Analogo ammonimento viene rivolto a Scroffa da padre Bisio, sacerdote inviato
dall’addetto Muffone – il cui atteggiamento appare sempre più ambiguo e che di
lì a poco aderirà alla Repubblica Sociale Italiana – ufficialmente per fornire
assistenza spirituale agli equipaggi delle navi internate, ma che di fatto
svolge attività propagandistica filofascista (“poco intelligente, fascista
sfegatato e subdolo”, padre Bisio si rivela elemento di notevole disturbo, con
un ruolo non secondario nei “disordini” che si verificano sul Fuciliere e più in generale nelle
tensioni tra gli equipaggi ed i naufraghi della Roma).
Subito viene disposta
un’inchiesta che porta all’identificazione di due ufficiali del Fuciliere che, dichiaratisi
antimonarchici, vengono messi agli arresti in cabina in attesa di avviare un
procedimento contro di loro; nella questione s’inseriscono però le autorità
spagnole, che vietano a Marini di intervenire contro un reato a carattere
politico, nonostante le proteste del caposquadriglia che vede così sminuita la
sua autorità. Alla fine Marini ottiene di punire non i sentimenti
antimonarchici mostrati dai due ufficiali, ma la grave indisciplina del loro
atteggiamento, facendoli imprigionare sull’Isola Plana, un’isoletta nella rada
di Mahon adibita a prigione sotto sorveglianza spagnola; l’ammiraglio Garcès,
tuttavia, interviene e stabilisce invece che il periodo di detenzione debba
essere scontato presso la base spagnola di Mahon, dove la “punizione” si
trasforma per i due in un vero trionfo: gli ufficiali franchisti, infatti,
mostrano la massima simpatia verso gli italiani di tendenze fasciste, data la
vicinanza ideologica tra i due regimi e l’aiuto ricevuto anni prima da Franco
da parte di Mussolini, ed i due ufficiali del Fuciliere vengono trattati come ospiti d’onore e quasi da eroi dai
loro colleghi della fanteria di Marina spagnola, invitati a banchetti ed
esortati anzi a proclamare ancor più apertamente la loro fede fascista, oltre
che autorizzati ad andare regolarmente in franchigia, dove riscuotono non poco
successo tra le ragazze del posto. Il tutto in piena vista degli altri militari
internati, i naufraghi della Roma che
sono alloggiati presso la base ed il personale delle navi che vi si reca di
continuo per la manutenzione delle armi.
La situazione sul Fuciliere non migliora, anche perché tra
i due ufficiali sbarcati non è il direttore di macchina Fedele, l’elemento più
pericoloso in assoluto, “anima nera che
si teneva nel buio sobillando e mandando avanti gli altri”: “intelligente ed energico, aveva in pugno
tutto il suo reparto”, nelle parole di Giuliano Marenco, autore di un
saggio sull’internamento delle navi italiane alle Baleari. Finché Fedele rimane
al suo posto, permane il rischio di un sabotaggio volto ad impedire un futuro
rientro nell’Italia controllata dal governo regio.
Marini decide quindi
di intervenire ulteriormente per cercare di disinnescare la situazione sul Fuciliere: rimpiazza il comandante in
seconda del cacciatorpediniere con il suo assistente di squadriglia, capitano
di corvetta Enrico Laj, valido ufficiale che aiuterà il comandante Scroffa a
ristabilire l’ordine a bordo della sua nave, designando al contempo l’ex
secondo del Fuciliere come suo nuovo
assistente di squadriglia per poterlo meglio tenere sotto controllo. Il
capitano Fedele cerca di neutralizzare questa mossa suggerendo all’ormai ex
comandante in seconda del Fuciliere
di evitare l’incarico di assistente di squadriglia presentando un certificato
redatto dal medico di bordo del Fuciliere
– anch’egli parte dei “dissidenti” – con cui si attesta un esaurimento nervoso;
ma così offre a Marini proprio l’appiglio che questi cerca per farlo sbarcare,
una scusa “pratica” e non politica. Resosi conto del passo falso, l’ex secondo
cerca dalla mattina alla sera di ritrattare dichiarando di stare benissimo, ma
ormai la frittata è fatta; sbarcato dal Fuciliere,
rimane per qualche mese presso la base spagnola di Mahon, per poi essere trasferito
a Cartagena nel marzo 1944.
Quanto a Fedele,
Marini non può intervenire preventivamente contro di lui per motivi politici,
data l’opposizione delle autorità spagnole, ed il direttore di macchina del Fuciliere è troppo accorto per dargli
scuse non politiche per intervenire; il caposquadriglia cerca di a più riprese
di riportarlo all’ordine con frequenti colloqui, ma senza risultato.
Fuciliere (dietro) e Carabiniere internati a Porto Mahon (da www.piombino-storia.blogspot.com) |
Gennaio 1944
Il capitano del Genio
Navale Fedele chiede ed ottiene un permesso di venti giorni a Madrid insieme al
tenente di vascello Mario Ducci, direttore del tiro del Regolo, altro elemento filofascista. Sia il comandante Scroffa del Fuciliere che Notarbartolo del Regolo hanno avvisato Marini che con
ogni probabilità i loro subordinati non hanno nessuna intenzione di rientrare
dal permesso, ma Marini non se ne dà pena: ormai non chiede di meglio che
Fedele e Ducci si tolgano di mezzo. Come previsto, una volta a Madrid i due
ufficiali si mettono in contatto con l’addetto navale Muffone, ormai passato
alla RSI, e raggiungono l’Italia del Nord, dove si arruolano nelle forze della
Repubblica Sociale Italiana.
Febbraio 1944
Ad inizio febbraio
iniziano a circolare voci su un tentativo di fuga in corso di organizzazione
sul Fuciliere, con l’obiettivo di
raggiungere l’Italia settentrionale; prima che venga aperta un’inchiesta a
riguardo, tuttavia, si verifica a sorpresa un altro tentativo di fuga da parte
invece di dieci uomini del Regolo,
che s’impadroniscono di un motopeschereccio spagnolo, il Gaspar 2°, per tentare di raggiungere il Norditalia. Il tentativo
finisce in tragedia, con la scomparsa del peschereccio e dei dieci marinai nel
mare in burrasca; i comandanti approfittano del drammatico episodio, che lascia
una profonda impressione sugli equipaggi, per ammonire severamente contro
ulteriori tentativi del genere, ed in effetti da questo momento in poi non ce
ne saranno altri.
Questo non significa
che i problemi interni siano finiti. Il 9 febbraio, due giorni dopo la
scomparsa dei dieci uomini del Regolo,
alcuni membri dell’equipaggio del Fuciliere
prestano giuramento di fedeltà alla Repubblica Sociale Italiana in una
cerimonia segreta, tenuta a bordo della nave nello stesso giorno in cui le
forze armate della RSI prestano il loro giuramento nell’Italia settentrionale.
Questo episodio è per il caposquadriglia Marini la goccia che fa traboccare il
vaso: se fino a quel momento ha preferito essere relativamente tollerante nei
confronti dei “dissidenti”, cercando di persuaderli con la discussione invece
che ricorrendo a severi provvedimenti disciplinari (che rischierebbero di
alienare troppi uomini oltre che di incorrere nell’opposizione delle autorità
franchiste), adesso la priorità diviene stroncare il male alla radice, prima
che si possa estendere ulteriormente. Marini avvia dunque trattative con i
locali comandanti spagnoli per ottenere lo sbarco degli elementi inaffidabili,
che proseguiranno il loro internamento a terra, nella località di Ciudadela,
separati dal resto degli equipaggi. La determinazione del caposquadriglia viene
ulteriormente esacerbata quando due comandanti dipendenti (probabilmente
Scroffa e Notarbartolo, i comandanti delle due navi sulle quali la situazione è
più turbolenta) criticano duramente la sua eccessiva “morbidezza” in presenza
dell’addetto navale aggiunto, capitano di fregata Luigi Filiasi, recatosi in
visita a Mahon. Il 19 febbraio, pertanto, Marini invia al Comando spagnolo una
lettera in cui sollecita lo sbarco del personale il cui comportamento
compromette la disciplina a bordo delle navi, da allontanare definitivamente
per impedire ogni contatto con il resto degli uomini; l’ammiraglio Garcès,
tuttavia, respinge la richiesta, proponendo invece di sbarcare gli equipaggi
nella loro interezza. Marini reagisce scrivendo all’ambasciata italiana a
Madrid ed accusando le autorità spagnole di fomentare deliberatamente il
disordine a bordo delle sue navi; l’ambasciata contatta il Ministero della
Marina spagnolo, che dapprima si oppone a sua volta allo sbarco dei
“dissidenti” e prospetta invece il disarmo delle navi e lo sbarco integrale
degli equipaggi, ma successivamente finisce con l’accettare la proposta
italiana di sbarcare i disubbidienti.
Un’altra foto delle navi durante l’internamento (da La Voce del Marinaio) |
15 marzo 1944
Arriva a Mahon la
cannoniera spagnola Canovas del Castillo,
incaricata di prelevare il personale da sbarcare per condurlo all’arsenale di
Cartagena, dove i “riottosi” proseguiranno il loro internamento separatamente
dal resto degli equipaggi. Per evitare allarme ed atti inconsulti da parte dei
“dissidenti”, gli uomini di cui è stato deciso l’allontanamento vengono
chiamati a poppa uno per volta e poi fatti scendere nell’imbarcazione per
essere trasbordati sulla Canovas del
Castillo. Marini spiega loro che il loro gruppo comprende “disorientati
politici”, autori di atti di sabotaggio o rivolta, “attendisti” che svolgono
attività di propaganda ed “incorreggibili” di vario genere; egli ha
personalmente esaminato la posizione di ciascuno assieme ai rispettivi
comandanti (che hanno provveduto all’individuazione degli elementi da
rimuovere) e nessuno dei partenti chiede un riesame della sua posizione.
In totale vengono
sbarcati 58 dei 1211 uomini che compongono gli equipaggi delle navi internate,
e proprio il Fuciliere è l’unità che
perde di gran lunga più uomini in rapporto al suo equipaggio: 27, oltre un
decimo del suo equipaggio, a fronte dei 29 sbarcati dal Regolo (che però ha un equipaggio quasi doppio) e dei due sbarcati
da Mitragliere e Carabiniere (uno per nave). Tra gli sbarcati sono ben undici
ufficiali.
Subito dopo che
Marini è tornato sul Mitragliere dopo
aver preso commiato dagli “insubordinati” sulla Canovas del Castillo, altri tre uomini del Fuciliere, Boccalaro, Franchina ed Esposito, si presentano in
coperta dichiarando di essere fascisti, di non intendere obbedire al Comando
italiano e di volversi unire al gruppo in partenza per Cartagena. Vengono
subito portati a terra per essere trasbordati sulla Canovas del Castillo, ma non essendo stati inclusi nell’elenco
precedentemente presentato dalle autorità spagnole, queste rifiutano di
aggiungerli al gruppo dei partenti. Vengono quindi internati provvisoriamente
nell’Isola Plana.
L’allontanamento in
blocco degli elementi “indesiderati” sortisce finalmente il desiderato effetto
di migliorare il morale a bordo di Fuciliere
e Regolo, le due unità sulle quali la
situazione era diventata più difficile da gestire. Da Cartagena i “dissidenti”
continuano a svolgere attività sobillatoria mandando lettere in cui esaltano la
loro vita ed attività laggiù, ma nessuno dà più loro retta.
Il Fuciliere ha però perso molti dei suoi
ufficiali, tanto che il Mitragliere
gli deve “cedere” il suo direttore di macchina ed altri due suoi ufficiali, i
migliori, per coprire i posti rimasti vacanti; grazie all’operato dei nuovi
arrivati e del capitano di corvetta Laj, l’equipaggio del Fuciliere tornerà in breve tempo ad essere pienamente operativo.
Comunque, la situazione degli ufficiali di macchina sulle quattro navi è
divenuta particolarmente precaria, essendo stati particolarmente interessati da
defezioni ed allontanamenti: sono rimasti in così pochi che nessuno può più
permettersi di ammalarsi.
Qualche tempo dopo
alcuni funzionari dell’ambasciata britannica a Madrid, ufficiali in congedo
della Royal Navy, prospettano al comandante Scroffa, recatosi a Madrid, la
possibilità di organizzare un’azione di forza – vera oppure simulata, nel
secondo caso con il tacito consenso della Spagna – per riportare le navi in
Italia, operazione battezzata estemporaneamente “Carmen”. Dopo aver chiesto a
Scroffa, nel corso di una cena offerta dall’addetto navale Filiasi, dello stato
d’animo degli equipaggi e della loro volontà di tornare in Italia per
combattere a fianco degli Alleati, i funzionari britannici discutono della
situazione relativa ad ormeggi, sbarramenti, batterie, sentinelle,
rifornimenti, rimorchi ed acque territoriali, parlando della possibilità di
un’accensione fittizia delle caldaie per prove ed ipotizzando di far rifornire
le navi da sommergibili una volta in mare aperto, o persino di farle prendere a
rimorchio da sommergibili appositamente entrati in porto. Alla fine della
conversione, pur avendo Scroffa fatto presente che un’operazione del genere non
è realisticamente realizzabile, viene chiesto che il caposquadriglia Marini ne
venga informato e precisi i particolari dell’operazione.
Al rientro a Mahon,
Scroffa ne informa Marini, che tiene allora una riunione con gli altri
comandanti: teme che il rifiuto di considerare un’azione del genere possa
indurre i diplomatici britannici – che hanno un ruolo fondamentale nella
trattativa per il rimpatrio delle sue navi – a credere che ci sia scarso
interesse a tornare in Italia. Pertanto mette a punto una controproposta, che
chiama “operazione Tago”, relativa all’organizzazione della partenza delle navi
in ventiquattr’ore, se le autorità spagnole accettassero di far riprendere la
decorrenza del termine previsto dalla Convenzione dell’Aja come aveva chiesto
già nel settembre precedente; proposta che trasmette a Madrid.
Fuciliere (primo a destra), Mitragliere, Carabiniere e Regolo a Porto Mahon durante l’internamento, nella primavera del 1944 (da “Orizzonte mare”, via Coll. Marcello Risolo e www.naviearmatori.net) |
16 aprile 1944
Il sottocapo
cannoniere Angelo Dell’Aira del Fuciliere,
di 19 anni, muore per tubercolosi all’ospedale di Mahon. Verrà sepolto nel
cimitero del luogo, accanto ai naufraghi della Roma deceduti per le ferite.
Aprile-Giugno 1944
Il 29 aprile 1944
Spagna ed Alleati stringono un accordo con cui questi ultimi pongono fine
all’embargo di petrolio verso il Paese iberico, mentre le autorità spagnole si
impegnano a ridurre l’esportazione di volframio verso la Germania, a rilasciare
le navi mercantili italiane internate dall’inizio della guerra, a chiudere il
consolato tedesco a Tangeri e ad espellere spie e sabotatori tedeschi. Il
successivo 2 maggio viene poi stabilito che il problema dell’internamento delle
navi da guerra italiane verrà risolto per mezzo di un arbitrato. Dopo lunghe
trattative l’arbitrato verrà affidato a José de Yanguas Messia, professore di
diritto internazionale all’Università di Madrid e membro dell’Istituto di
diritto internazionale, giungendo ad un accordo il 29 dicembre 1944.
Intanto, in seguito
al diffondersi di voci circa un possibile colpo di mano tedesco volto ad
impadronirsi delle navi internate, o ad affondarle (l’ambasciata italiana a
Madrid, per conto di quella britannica, comunica che "sarebbero in preparazione colpi di mano tedeschi contro nostre navi
rifugiate in Spagna per sabotaggi aut per impadronirsene scopo partenza nord.
Regio ambasciatore prega darne comunicazione ai soli Comandanti compresa Orsa a
Palma"), il caposquadriglia Marini rinnova le pressioni sulle autorità
spagnole per chiedere di spostare l’ormeggio delle sue navi all’interno della base
spagnola di Porto Mahon, richiesta che aveva già avanzato nell’ottobre 1943. Il
timore di un’incursione di mezzi d’assalto contro le navi italiane è rafforzato
dalla notizia che il capitano G.N. Fedele, l’ex direttore di macchina del Fuciliere, dopo il suo rientro in
Norditalia si è arruolato nella X Flottiglia MAS, oltre che dall’irritazione
mostrata dalle autorità tedesche in seguito al raggiungimento dell’accordo del
29 aprile tra spagnoli ed Alleati.
Proprio il timore di
un’azione tedesca quando ormai le navi italiane sono in procinto di partire, la
cui responsabilità ricadrebbe almeno in parte sulla Spagna, spinge finalmente
le autorità spagnole ad agire; il 10 giugno il Ministero della Marina spagnolo
ordina che le navi italiane vengano subito trasferite all’interno della base
navale di Mahon, e che vengano attuate tutte le misure di protezione contro
incursioni da parte di mezzi d’assalto.
Il 12 giugno Fuciliere, Mitragliere e Carabiniere
si spostano dunque alla base muovendo con le proprie macchine; il Regolo, dopo attività di scandagliamento
volta a garantire che possa accedervi a sua volta (in considerazione del
maggiore pescaggio), fa lo stesso il 28 giugno. È stato il caposquadriglia
Marini a chiedere ed ottenere di effettuare lo spostamento usando le macchine
delle navi, al fine – sottaciuto – di verificare che queste funzionino ancora
adeguatamente dopo dieci mesi di immobilità forzata; la prova dà esito
positivo, tutto funziona come dovrebbe.
Una volta spostate
nella base, le navi italiane iniziano ad osservare le regole dell’oscuramento
ed altre misure contro la protezione da mezzi d’assalto.
Agosto 1944
Ritorna attuale il
problema dei tre marinai del Fuciliere,
Boccalaro, Esposito e Franchina, sbarcati su loro richiesta in marzo ed
internati all’Isola Plana dopo aver dichiarato la loro fede fascista: durante
la loro permanenza nell’isola, le autorità spagnole hanno concesso loro
ripetuti contatti con i falangisti locali e con il console tedesco, ed a fine
agosto l’ammiraglio Garcès ordina che vengano reintegrati negli equipaggi delle
navi. Il 31 agosto i tre tornano a bordo del Fuciliere, dove dichiarano immediatamente di continuare a non
riconoscere l’autorità del comando italiano; Marini li fa allora riportare al
Comando della base, dove alla presenza del locale comandante spagnolo, capitano
di vascello Francisco Benito, nonché di Scroffa e Laj, i tre dichiarano di
riconoscere solo l’autorità spagnola e chiedono di rimanere sotto la sua
protezione. Benito ordina loro di tornare a bordo e di obbedire senza riserve
al comando italiano, e quando i tre chiedono di poter prima parlare con il
console tedesco, respinge la richiesta e minaccia di farli riportare a bordo
legati e sotto guardia armata spagnola. Gli “insubordinati” accettano e tornano
sul Fuciliere, dove rimarranno per
qualche tempo, finché le autorità spagnole non prenderanno atto
dell’insensatezza della situazione e li faranno nuovamente sbarcare e
trasferire a Cartagena, dove si uniranno agli altri “dissidenti” espulsi in
marzo con la Canovas del Castillo.
Ottobre 1944
Sorge un nuovo
problema: stavolta riguarda un aspetto pratico, quello dei cavi d’ormeggio,
completamente logoratisi durante i nove mesi di ormeggio al mandracchio. Una
serie di temporali scatenatisi nel corso del mese di ottobre mettono in
evidenza il problema: durante un temporale perdurato dal pomeriggio del 25 a
tutta la notte del 26, il Regolo
rischia seriamente di andare a sbattere contro la banchina, mentre il Fuciliere schioda completamente i due
bittoni di poppa, a dritta ed a sinistra, che alla fine risultano piegati in
due. Con il progredire dell’autunno e l’arrivo del maltempo, non è più
possibile mantenere Fuciliere e Regolo con la prua rivolta verso
l’esterno, esposta alla violenza delle raffiche di vento; Marini ha già chiesto
che si ponga rimedio a questa situazione, ma tutto langue in attesa
dell’autorizzazione da Palma di Maiorca e da Madrid. Dopo l’episodio del 26
ottobre, finalmente gli spagnoli si smuovono ed ormeggiano Fuciliere e Regolo con la
prua verso terra, ben dentro fra i pontili fin quasi ad incagliare, ormeggiati
con le loro catene. I cavi d’ormeggio, richiesti alla Marina spagnola che
tuttavia ha tergiversato per mesi sulla questione, vengono infine comprati dai
britannici, che li portano da Gibilterra al prezzo di 15.000 pesetas, contro le
120.000 richieste a Barcellona.
I danni subiti dal Fuciliere vengono prontamente riparati
con l’assistenza della base navale, per la quale Marini ringrazierà il 29
ottobre, per lettera, il suo omologo spagnolo Benito.
Le reti parasiluri
vengono messe e tolte a più riprese durante la permanenza nella base; varie
volte, durante le tempeste di vento, occorre sganciarle e lasciarle affondare
per evitare che il Regolo lavori con
la sua mole sugli ormeggi dei cacciatorpediniere, per poi recuperarle dal
fondale e rimetterle a posto. Marini, ritenendole un inutile intralcio, chiede
più volte di poterle togliere del tutto, senza risultato; infine gli spagnoli
lo concederanno il 19 novembre, dopo che il caposquadriglia avrà rilasciato una
dichiarazione scritta in cui si assume la piena responsabilità in caso di
attacchi di mezzi d’assalto.
15 dicembre 1944
L’Orsa si trasferisce da Palma di Maiorca
a Porto Mahon, andandosi ad aggregare alle navi italiane già presenti.
Gennaio 1945
Il contenzioso tra
Italia e Spagna circa l’internamento viene finalmente risolto con un lodo
arbitrale, permettendo così alle navi italiane di tornare in patria.
15 gennaio 1945
Fuciliere, Mitragliere, Carabiniere, Regolo ed Orsa lasciano
Port Mahon per Algeri, prima tappa del loro agognato viaggio di ritorno in
Italia.
Il Fuciliere è la prima nave a mollare gli
ormeggi, alle quattro del pomeriggio, seguito nell’ordine da Regolo, Mitragliere, Carabiniere
ed Orsa; una gran folla di abitanti
di Mahon assiste alla partenza, salutando i marinai italiani con cui per tanti
mesi hanno convissuto. Le navi si spostano nel budello della rada e qui danno
fondo in attesa della notte; quando gli abitanti di Mahon si rendono conto che
non stanno ancora partendo, si portano sottobordo con le barche per un ultimo
saluto. Calata l’oscurità, le navi italiane salpano da Mahon, navigando
oscurate.
In mare aperto, le
cinque unità trovano mare in burrasca, mentre iniziano ad emergere gli effetti
di quasi un anno e mezzo di sosta forzata: si manifestano diverse avarie, si
scopre che le bussole non funzionano; ma la navigazione può proseguire.
19 gennaio 1945
Il Fuciliere e le altre navi giungono ad
Algeri, dove vengono poi raggiunte da tre motozattere (una da Mahon e due da
Barcellona) e da un motoscafo RAMA dell’Aeronautica, anch’esse internate in
Spagna dopo l’armistizio, salpate a loro volta per il rimpatrio dopo la fine
della burrasca. Ad Algeri le navi aspettano l’arrivo della torpediniera Sirio, che dovrà poi guidarle fino a
Taranto.
23 gennaio 1945
In mattinata le navi
arrivano a Taranto, dove il Fuciliere
entra in cantiere per un periodo di lavori che si protraggono fino a tutta la
primavera.
Il rientro a Taranto delle navi internate alle Baleari, 23 gennaio 1945: in testa il Regolo, mentre il Fuciliere è la terza unità della fila, preceduto dal Mitragliere e seguito dal Carabiniere (da www.marina.difesa.it) |
14 aprile 1945
Viene fucilato a Camporgiano
Aldo Pedri, di 28 anni, originario di Piazza al Serchio, già sottocapo
cannoniere del Fuciliere prima
dell’armistizio. Rimasto a terra (forse perché in licenza al paese natale) in
seguito alla partenza della nave dopo l’8 settembre, Pedri è entrato nella
Resistenza con il nome di battaglia di “Baffo”, diventando comandante del
Gruppo Arditi “Marco” di Borsigliana; catturato il 13 aprile 1945 dalle truppe
della Repubblica Sociale Italiana, viene condannato a morte e fucilato il
giorno seguente.
24 aprile 1945
Il Fuciliere partecipa ad esercitazioni nel
Golfo di Taranto insieme alle torpediniere Animoso
ed Antonio Mosto, alla corvetta Minerva, al sommergibile Platino ed al cacciasommergibili
ausiliario AS 121 Regina Elena.
9 maggio 1945
Il marinaio
elettricista Silvio De Felice, 22 anni, da Agropoli, muore a bordo del Fuciliere nel Mediterraneo centrale.
Inizio 1946
Posto in riserva a La
Spezia.
Il Fuciliere in disarmo a La Spezia nel giugno 1946 (g.c. STORIA militare) |
29 marzo 1946
Il secondo capo
radiotelegrafista Salvatore Fois del Fuciliere,
di 25 anni, da Bosa, muore in territorio metropolitano.
10 febbraio 1947
Assegnato dal
trattato di pace firmato a Parigi all’Unione Sovietica, in conto riparazione
danni di guerra.
Sono in tutto 45 le
unità italiane assegnate all’URSS dal trattato di pace: una corazzata (la Giulio Cesare), un incrociatore leggero
(l’Emanuele Filiberto Duca d’Aosta),
tre cacciatorpediniere (Fuciliere, Artigliere, Augusto Riboty), tre torpediniere (Animoso, Ardimentoso e Fortunale), due sommergibili (Nichelio e Marea), dieci tra MAS e motosiluranti (MS 52, MS 53, MS 61, MS 62, MS 75, MAS 516, MAS 519, MAS 520, MAS 521, ME 40 ex MAS 440), tre
cacciasommergibili (VAS 245, VAS 246 e VAS 248), tre motozattere (MZ
778, MZ 780, MZ 781), un trasporto militare (Monte
Cucco), una nave cisterna per nafta (Stige),
quattro navi cisterna per acqua (Istria,
Liri, Basento, Polcevera),
dodici rimorchiatori (Talamone, Capodistria, Sant’Angelo, Porto Adriano, Tifeo, Rapallo, Lampedusa, Vigoroso, N 35, N 37, N 80 e N 94) e la nave
scuola Cristoforo Colombo. Nel
febbraio 1947, subito dopo la firma del trattato di pace, lo Stato Maggiore
della Marina sovietica ordina al Comando della Flotta del Mar Nero di preparare
gli equipaggi per una corazzata, un incrociatore, un sommergibile, quattro
cacciatorpediniere, una nave scuola ed otto rimorchiatori, a quello della Flotta
del Nord di fare lo stesso per due cacciatorpediniere, un sommergibile, una
torpediniera e quattro navi cisterna per acqua, a quello della Flotta del
Baltico quelli per un cacciatorpediniere, tre torpediniere, cinque
motosiluranti e quattro rimorchiatori, a quello della flottiglia del Mar Caspio
quelli per una nave trasporto e tre navi da sbarco, ed a quello della
flottiglia del Danubio quelli per tre motovedette.
Il Fuciliere (dietro) e l’Artigliere a La Spezia nel settembre 1948, in attesa della consegna all’Unione Sovietica (g.c. STORIA militare) |
1948
Il Fuciliere, insieme alle altre navi
assegnate all’URSS dal trattato di pace, viene visitato da una commissione
navale sovietica incaricata di verificare lo stato delle unità e scartare
quelle troppo usurate od obsolete. In tutto circa duecento specialisti della
Marina sovietica si recano in Italia per appurare le condizioni delle navi destinate
alla cessione; quasi tutte le navi, essendo in disarmo da periodi più o meno
lunghi, richiedono per poter riprendere il mare lavori di manutenzione di
durata variabile dai 40 giorni ai 18 mesi, il che – complice le distruzioni
subite dall’industria cantieristica italiana ma anche i tentativi da parte
italiana di dilazionare il più possibile la consegna delle navi – fa slittare
l’effettiva cessione delle navi al 1949-1950. Undici unità – il cacciatorpediniere Augusto Riboty, la nave cisterna Stige, i MAS 520 e 521, la motosilurante MS 53
ed i rimorchiatori Rapallo, Lampedusa, N 35, N 37, N 80 e N 94 – verranno rifiutate dai sovietici perché troppo vecchie o
logorate; una dodicesima, la VAS 246, andrà distrutta per incendio prima
della consegna.
10 o 17 o 31 gennaio 1950
Radiato dai quadri
della Marina Militare in vista della cessione all’Unione Sovietica, che dovrà
avvenire nel porto di Odessa, sul Mar Nero (da parte italiana si era proposto,
senza successo, il porto di Valona). La navigazione di trasferimento dovrà
pertanto avvenire sotto bandiera della Marina Mercantile, con equipaggio
formato da personale civile italiano sotto il controllo di rappresentanti
sovietici. Il governo italiano è responsabile della nave fino all’arrivo ad
Odessa; per evitare sabotaggi, il trasferimento avviene senza munizioni a bordo
(queste saranno consegnate in un secondo momento per mezzo di navi mercantili).
1° febbraio 1950
Consegnato alla
Marina sovietica ad Odessa (altre fonti datano il trasferimento al 10 gennaio,
al 17 gennaio od al 31 gennaio). Riceve il codice identificativo provvisorio Z 20; successivamente verrà ribattezzato
dapprima Nastoitchivyi (Настойчивый), poi Byedovyi (Бедовый)
ed infine Legkij o Lyogkiy (Легкий), nome
definitivo (menzionato anche come Legkii o Legky). È in assoluto l’ultima delle navi italiane a giungere in Unione
Sovietica (tutte le altre sono state trasferite nel corso del 1949), in ritardo
rispetto ai tempi inizialmente previsti (secondo una fonte, avrebbe lasciato
l’Italia il 14 novembre 1949, ma sembra probabile un errore).
13 febbraio (o marzo) 1950
Dopo un periodo di
collaudi ed addestramento, entra in servizio nella Flotta del Mar Nero, al
comando del capitano di 2° rango Kostantin Staricyn.
Come le altre unità
ex italiane cedute ai sovietici, il suo impiego sarà limitato dalla scarsa
disponibilità di parti di ricambio, nonché di munizioni adatte al suo
armamento, che costringeranno a relegarlo perlopiù a compiti addestrativi e ne
accorceranno la vita operativa.
Nel corso dell’anno
successivo all’entrata in servizio l’armamento contraereo del Legkij viene completamente sostituito:
le mitragliere di produzione italiane vengono rimpiazzate da armi di fabbricazione
sovietica; in particolare, una mitragliera binata B-11 da 37 mm viene
installata sulla sovrastruttura centrale, quattro mitragliere singole 70-K
dello stesso calibro vengono installate sulle alette di plancia ed in due
piattaforme a poppavia del fumaiolo, e due mitragliere singole DShK da 12,7 mm
vengono sistemate sul castello di prua.
1951-1952
Nuovo periodo di
lavori, avviati ad un anno e mezzo dall’entrata in servizio sotto bandiera
sovietica: gli apparati radio, gli strumenti di navigazione, i generatori
diesel e vari apparati ausiliari vengono sostituiti con altri di produzione
sovietica, e vengono installati un radar per scoperta aerea Gyuys-1M4 ed un
apparato identificativo Fakel-M. Vengono inoltre isolati termicamente gli
alloggi dell’equipaggio, installati armadietti e cuccette fisse nei medesimi
locali ed installati una caldaia ausiliaria ed un sistema di riscaldamento del
vapore nelle cucine. In tutto i lavori costano circa tre milioni di rubli.
Il Legkiy a Odessa (da www.naviearmatori.net, utente Zelikov) |
30 novembre 1954
Privato
dell’armamento, il Legkij viene
declassato a nave bersaglio e denominato, dal 30 dicembre, CL 57 (o TSL 57); stessa
sorte tocca, nella stessa data, agli altri cacciatorpediniere italiani ceduti
ai sovietici.
Marzo 1958
Designato nave per
addestramento statico, viene assegnato alla 78a Brigata di
addestramento, insieme a Lovkiy (ex Artigliere), Ladnyi (ex Animoso), Letnyi (ex Fortunale), Lutyi (ex Ardimentoso) e Dunaj (ex Cristoforo Colombo).
21 gennaio 1960
Radiato dai quadri
della Marina sovietica.
12 febbraio 1960
Ha inizio la demolizione.
Il cofano
portabandiera del Fuciliere, lo
stesso già usato dal precedente cacciatorpediniere dello stesso nome (in
servizio dal 1910 al 1932), è oggi conservato al Sacrario delle bandiere del
Vittoriano, a Roma.
Il cofano portabandiera del Fuciliere, conservato al Vittoriano (da www.commons.wikimedia.org) |
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