Piroscafo cisterna di
5014,30 tsl e 3136,56 tsn, lungo 117,35-121,1 metri, largo 15,54 e pescante 8,44-9,19,
con velocità di 10 nodi. Appartenente alla Società Anonima Impresa Navigazione
Commerciale, con sede a Roma; iscritto con matricola 115 al Compartimento
Marittimo di Roma, nominativo di chiamata internazionale IBHW.
Breve e parziale cronologia.
30 marzo 1908
Varato come Servian (numero di scafo 628) dai cantieri Sir James Laing & Sons Ltd. di Deptford, Sunderland, alla presenza di un numeroso pubblico. Hanno sovrinteso alla costruzione i signori Flannery e Given di Liverpool.
Maggio 1908
Completato come Servian per la Petroleum Steamship Company Limited di Londra (in gestione a Lane & MacAndrew Ltd. di Londra), una controllata della British Petroleum.
Stazza lorda e netta originaria 4997 tsl e 3137 tsn; può trasportare 7000 tonnellate di petrolio nelle sue cisterne.
Naviga
tra il Regno Unito, il Messico, Curaçao e Trinidad.
18 dicembre 1908
Arriva a Sunderland provenendo da Port Arthur, Texas.
25 marzo 1910
Salpa da Port Arthur (Texas) per Belfast e Manchester.
11 maggio 1910
Arriva a Philadelphia, provenendo da Manchester.
11 luglio 1910
Parte da Port Arthur (Texas) per Rotterdam.
2 settembre 1910
Arriva a Port Arthur (Texas) dal Tyne.
4 aprile 1911
Parte da Port Arthur (Texas) per Amburgo.
18 aprile 1912
Arriva a Philadelphia da Londra.
22 aprile 1912
Parte da Philadelphia per Amburgo.
8 agosto 1912
Arriva a Gravesend.
15 dicembre 1912
Arriva a Liverpool da Philadelphia.
29 agosto 1913
Arriva a Port Arthur (Texas) da Amsterdam.
18 dicembre 1908
Arriva a Sunderland provenendo da Port Arthur, Texas.
25 marzo 1910
Salpa da Port Arthur (Texas) per Belfast e Manchester.
11 maggio 1910
Arriva a Philadelphia, provenendo da Manchester.
11 luglio 1910
Parte da Port Arthur (Texas) per Rotterdam.
2 settembre 1910
Arriva a Port Arthur (Texas) dal Tyne.
4 aprile 1911
Parte da Port Arthur (Texas) per Amburgo.
18 aprile 1912
Arriva a Philadelphia da Londra.
22 aprile 1912
Parte da Philadelphia per Amburgo.
8 agosto 1912
Arriva a Gravesend.
15 dicembre 1912
Arriva a Liverpool da Philadelphia.
29 agosto 1913
Arriva a Port Arthur (Texas) da Amsterdam.
La Servian in una cartolina degli anni ’10 (g.c. Mauro Millefiorini, via www.naviearmatori.net) |
Requisito dall’Ammiragliato britannico ed assegnato alla flotta della Royal Fleet Auxiliary, pochi giorni dopo lo scoppio della prima guerra mondiale, come nave cisterna per trasporto di carburante (oiler transport).
29 giugno 1915
Arriva a Simon’s Bay, Simonstown.
14 febbraio 1916
Derequisito.
Giugno 1917
Trasferita alla British Tanker Company Ltd. di Londra (un’altra controllata della British Petroleum) insieme all’intera flotta della Petroleum Steamship Company Ltd. (composta, oltre che dalla Servian, dalle navi cisterna Danubian, Carpathian, Roumanian, Pinna, Terek e Rock Light). Il passaggio di proprietà verrà ufficializzato nel dicembre 1917 (per altra fonte, invece, la nave sarebbe passata in gestione alla British Tanker Company Ltd. nel 1918, mentre il passaggio di proprietà sarebbe avvenuto soltanto nel 1921).
7 giugno 1917
Nuovamente impiegata come cisterna per trasporto carburante dall’Ammiragliato, fino al 1918.
1918
Ribattezzata British Marquis (per altra fonte, il cambio di nome sarebbe avvenuto nel 1919; ma si tratta di un errore).
8 ottobre 1918
La British Marquis salpa da New York diretta a Livepool, in convoglio con una trentina di navi. La scorta è formata da unità britanniche e statunitensi.
10 ottobre 1918
Durante la navigazione, alle 7.15, l’incrociatore ausiliario britannico Bayano segnala alla British Marquis, con bandiere da segnalazione e con la sirena, che questa si trova a poppavia rispetto alla posizione che dovrebbe occupare nella formazione; siccome la petroliera non da segno di aver recepito il messaggio, il Bayano spara due colpi a salve per richiamarne l’attenzione. Durante la giornata tre piroscafi (Goa, Ansaldo III e Franklinfells) lasciano il convoglio per raggiungere Gibilterra ed il Mediterraneo.
11 ottobre 1918
Il piroscafo Frankinver si unisce al convoglio, mentre il piroscafo Monarch se ne separa.
22 ottobre 1918
In mattinata (tra le 7.30 e le 9) si uniscono alla scorta del convoglio quattro cacciatorpediniere statunitensi, che poi lasciano il convoglio alle 4.30 insieme ad otto mercantili diretti nei porti della costa atlantica francese. Il resto del convoglio, tredici bastimenti, prosegue sotto la scorta di sette cacciatorpediniere britannici (tra cui il Bulldog, l’Unity ed il Lysander), alla velocità di 9,25 nodi.
23 ottobre 1918
Alle 12.20 il piroscafo Girneric segnala un oggetto sospetto a poppavia, al che il Bayano ed alcuni cacciatorpediniere si dirigono sul punto indicato e vi lanciano delle bombe di profondità. Vengono avvistate la scia di un siluro e quella di un periscopio, ma nessuna nave subisce danni.
Alle 17 i cacciatorpediniere lasciano il convoglio, con la sola eccezione dell’Unity.
24 ottobre 1918
Il convoglio raggiunge Liverpool.
8 novembre 1919
Durante un viaggio della British Marquis dal Regno Unito a Port Arthur (Texas), dove la nave deve caricare greggio per la Royal Navy, il macchinista Frederick Stanford Elkington viene sbarcato a Philadelphia e ricoverato in un ospedale del luogo – il Saint Joseph’s Hospital – per meningite. Qui morirà il 1° dicembre.
La nave sotto il nome di British Marquis (da www.searlecanada.org) |
Durante una traversata nel Canale della Manica, l’equipaggio della British Marquis avvista ben venti trombe marine nel giro di due ore. La petroliera riesce ad evitarle tutte, ma una di esse, formatasi improvvisamente proprio davanti alla nave, ne spazza i ponti con un vento ruggente.
21 gennaio 1930
Acquistato dalla Società Anonima Imprese Navali ed Affini (I.N.E.A.), con sede a Venezia, e ribattezzato Conte di Misurata. Porto di registrazione Venezia, nominativo di chiamata internazionale NJVM.
1934
Trasferito alla Compagnia Industrie Marittime Affini Roma (C.I.M.A.R.), con sede a Roma. Il nominativo di chiamata internazionale diviene IBHW, il porto di registrazione Roma.
1935
Trasferito alla Impresa Navigazione Commerciale Società Anonima (I.N.C.S.A.) di Roma. Porto di registrazione Civitavecchia.
1937
Il porto di registrazione diventa nuovamente Roma.
5 dicembre 1940
La Conte di Misurata ed il piroscafo Oreste partono da Brindisi alle 23, scortati dalla torpediniera Curtatone. Successivamente si unisce al convoglio anche il piroscafo Scarpanto; in tutto il carico delle tre navi assomma a due veicoli e 165,5 tonnellate di artiglieria, munizioni ed altri materiali.
6 dicembre 1940
Il convoglio giunge a
Valona alle 9.
15 dicembre 1940
La Conte di Misurata, la motonave Narenta ed il piroscafo da carico Scarpanto, adibiti a traffico civile, lasciano Valona alle 7 con la scorta della torpediniera Calatafimi, raggiungendo Brindisi alle 18.15.
24 gennaio 1941
La Conte di Misurata, la pirocisterna Lina (adibita a traffico civile) ed i piroscafi Arpione e Giacomo C. salpano da Bari per Durazzo alle 00.30, scortati dalla torpediniera Aretusa e dalla nave scorta ausiliaria Eolo, trasportando foraggio e carburante. Il convoglio raggiunge Durazzo alle dieci del mattino.
27 gennaio 1941
Alle 17.30 la Conte di Misurata ed i piroscafi Absirtea ed Arpione, tutti scarichi, lasciano Valona con la scorta della torpediniera Angelo Bassini.
28 gennaio 1941
Il convoglio raggiunge Brindisi alle 8.
8 marzo 1941
La Conte di Misurata ed i piroscafi Piemonte e Sant’Agata trasportano 2879 militari, 693 quadrupedi, otto veicoli e 395 tonnellate di materiali da Brindisi a Valona, con la scorta della torpediniera Castelfidardo.
11 marzo 1941
La Conte di Misurata ed i piroscafi Lido ed Ugo Bassi lasciano scarichi Valona alle sette del mattino, scortati dalla torpediniera Nicola Fabrizi. Il convoglio raggiunge Brindisi alle 15.30.
5 aprile 1941
La Conte di Misurata ed il piroscafo Argentea, scortati dalla torpediniera Giuseppe Cesare Abba e dall’incrociatore ausiliario Brioni, trasportano 1099 militari e 104 tonnellate di materiali vari da Brindisi a Valona.
6 aprile 1941
La Conte di Misurata lascia scarica Valona alle 20.30, scortata dalla torpediniera Monzambano.
7 aprile 1941
Conte di Misurata e Monzambano arrivano a Brindisi alle otto del mattino.
9 aprile 1941
La Conte di Misurata salpa da Tripoli diretta Napoli in mattinata, con la scorta dell’incrociatore ausiliario Attilio Deffenu.
11 aprile 1941
Conte di Misurata e Deffenu giungono a Napoli alle 11.
17 giugno 1941
Requisita a Genova dalla Regia Marina, senza essere iscritta nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato.
23 ottobre 1941
In preparazione della sua prossima partenza per l’Africa Settentrionale, la Conte di Misurata imbarca alcune mitragliere singole da 20 mm, quale rinforzo al proprio armamento antiaereo, ed un nucleo di mitraglieri della Regia Marina ad esse addetti. Le operazioni d’imbarco delle mitragliere e del relativo materiale sono interrotte da un allarme aereo della durata di un’ora.
24 ottobre 1941
Mentre la Conte di Misurata è in navigazione in convoglio verso Palermo, intorno alle 00.30 la formazione viene illuminata da due bengala; il comandante del nucleo mitraglieri, guardiamarina di complemento Emilio Ferrari, dà l’allarme con il megafono, ma non si verifica nessun attacco. A più riprese, ad intervalli quasi regolari, si sente rumore di aerei, ma non viene sganciata nessuna bomba o siluro; Ferrari ne dedurrà che, data anche l’alta quota a cui volano gli aerei e la notte molto ventosa, i bengala servano non a segnalare il convoglio per un attacco, ma a guidare sulla rotta del ritorno dei bombardieri che rientravano a Malta dopo un’incursione su Napoli.
Verso le nove di mattina la Conte di Misurata raggiunge Palermo e si ormeggia al Molo Piave, dove dovrà completare il carico di nafta.
25-29 ottobre 1941
Durante la sosta a Palermo, la Conte di Misurata viene attaccata a più riprese da varie ondate di bombardieri, senza tuttavia mai subire danni.
L’ultimo attacco ha luogo nella notte tra il 28 ed il 29; durante l’ultima ondata, intorno alle tre di notte del 29, la nebbia artificiale emessa per occultare le navi ormeggiate nel porto si dirada, il che permette agli aerei attaccanti – complice la notte serena e luminosa, con eccellente visibilità notturna – di meglio localizzare Conte di Misurata e Rina Corrado, prendendoli particolarmente di mira. I mitraglieri sulla Conte di Misurata effettuano tiro in caccia e costringono gli aerei a sganciare le bombe prima dell’obiettivo. Molte bombe cadono nelle immediate vicinanze, ma né la Conte di Misurata né il Rina Corrado subiscono danni.
6 novembre 1941
La Conte di Misurata ed il Rina Corrado, scortati dai cacciatorpediniere Libeccio, Grecale ed Alfredo Oriani, salpano da Palermo pochi minuti prima di mezzanotte, diretti a Messina.
7 novembre 1941
Dopo una navigazione tranquilla, la Conte di Misurata e le altre navi giungono a Messina verso le due del pomeriggio. Qui la Conte di Misurata riceve dal cacciatorpediniere Maestrale, caposcorta del costituendo convoglio, le ultime istruzioni sulla navigazione in convoglio.
Convoglio “Duisburg”
Alle 3.30 dell’8
novembre 1941 la Conte di Misurata,
al comando del capitano di lungo corso Mario Penco, salpò da Messina alla volta
di Tripoli, con a bordo un carico di 5160 tonnellate di nafta per la Regia
Marina. Ricopriva il ruolo di regio commissario il capitano del Genio Navale
Direzione Macchine Sebastiano Taranto.
Insieme alla Conte di Misurata uscirono da Messina il piroscafo Rina Corrado (capitano di lungo corso Guglielmo Schettini) e la loro scorta, i cacciatorpediniere Grecale (capitano di fregata Giovanni Di Gropello), Libeccio (capitano di fregata Corrado Tagliamonte) ed Alfredo Oriani (capitano di fregata Vittorio Chinigò). Queste cinque navi formavano il secondo gruppo di un grande convoglio, denominato «Beta», in partenza per la Libia con un ingente quantitativo di rifornimenti per le truppe italo-tedesche operanti in Nordafrica: in tutto costituivano tale convoglio sette navi mercantili e sei cacciatorpediniere di scorta.
Il primo e più numeroso gruppo del convoglio, salpato da Napoli il giorno precedente, era formato dalla motonave Maria (capitano di lungo corso Angelo Pogliani), dal piroscafo italiano Sagitta (capitano di lungo corso Domenico Ingegneri), dalla motonave cisterna Minatitlan (capitano di lungo corso Guido Incagliati) e dai piroscafi tedeschi Duisburg (capitano di lungo corso Arno Ostermeier, capoconvoglio) e San Marco (capitano di lungo corso Paul Ossemberg), scortati dai cacciatorpediniere Maestrale (caposcorta, capitano di vascello Ugo Bisciani), Euro (capitano di corvetta Giuseppe Cigala Fulgosi) e Fulmine (capitano di corvetta Mario Milano). La riunione dei due gruppi era prevista per il mattino dell’8 novembre, nello stretto di Messina.
Il convoglio «Beta»,
noto anche come "Duisburg" (51. Seetransportstaffel per i comandi
tedeschi), era in assoluto uno dei più grandi convogli dell’Asse mai partiti
per l’Africa Settentrionale: normalmente, infatti, i convogli italo-tedeschi
per la Libia non contavano più di tre o quattro mercantili. La formazione di un
convoglio tanto numeroso, in vista di una pianificata offensiva italo-tedesca
contro Tobruk e l’Egitto (con inizio previsto per il 21 novembre, per la quale
era necessario costituire considerevoli riserve di carburante ed altri
rifornimenti), era stata autorizzata dal Comando Supremo il 29 ottobre, a
dispetto della perplessità della Marina. A fine ottobre il traffico con il
Nordafrica era stato temporaneamente interrotto a seguito della notizia
dell’arrivo a Malta, il 21 ottobre (136° anniversario di Trafalgar, data scelta
non a caso), di una formazione navale britannica: la Forza K, composta dagli
incrociatori leggeri Aurora e Penelope e dai
cacciatorpediniere Lance e Lively. Questa formazione aveva la
precisa finalità di insidiare le linee di rifornimento italo-tedesche
dell’Africa Settentrionale, compiendo scorrerie notturne – profittando della
superiorità della Royal Navy rispetto alla Regia Marina nel combattimento
notturno, dovuta sia al possesso del radar che ad un migliore addestramento
alle azioni di notte – a danno dei convogli dell’Asse diretti in Libia. Aurora e Penelope erano stati inviati direttamente dal Regno Unito
(provenivano da Scapa Flow), Lance e Lively erano invece stati
distaccati dalla Forza H di Gibilterra.
L’invio a Malta della Forza K scaturiva da una richiesta originatasi direttamente dal primo ministro britannico Winston Churchill, il 22 agosto 1941, per mezzo di una lettera spedita all’Ammiragliato britannico: intervenendo in una diatriba in corso fin da inizio luglio tra l’Ammiragliato ed il Comitato dei Capi di Stato Maggiore, nella quale si lamentava l’insufficienza dei mezzi a disposizione della Mediterranean Fleet per assolvere il suo compito di contrasto all’invio di rifornimenti dall’Italia alla Libia, Churchill proponeva di dislocare a Malta una forza leggera composta da uno o due incrociatori ed unità sottili. La risposta fu la costituzione della Forza K.
Tra il 21 ottobre e l’8 novembre la nuova forza britannica di base a Malta aveva già compiuto due tentativi di scorreria notturna, ma senza successo: nelle notti del 25-26 ottobre e dell’1-2 novembre, infatti, le navi della Forza K erano uscite in mare per intercettare rispettivamente un convoglio italiano (piroscafi Capo Orso e Tinos e cacciatorpediniere Strale, in navigazione da Bengasi a Brindisi) ed una formazione di cacciatorpediniere in missione di trasporto (per altra fonte, un altro convoglio, formato dai piroscafi Iseo e Bolsena e dalla torpediniera Procione, anch’esso partito da Bengasi e diretto a Brindisi), entrambi segnalati dall’organizzazione “ULTRA” in seguito alla decrittazione di messaggi in codice italiani, ma non erano riuscite a trovare né l’uno né l’altra ed erano rientrate a mani vuote.
La sospensione dei traffici da parte italiana, ordinata il 22 ottobre (dopo che l’arrivo a Malta delle navi britanniche, segnalato dallo spionaggio italiano nell’isola, era stato confermato anche dalla ricognizione aerea) dal capo di Stato Maggiore della Regia Marina, ammiraglio Arturo Riccardi (che aveva altresì sollecitato un’intensificazione dei bombardamenti su Malta da parte dell’Aeronautica, invitando al contempo il Comando Supremo a fare pressione sull’alleato tedesco affinché i reparti aerei della Luftwaffe, ritirati dal Mediterraneo qualche mese prima, venissero riportati in Italia), era durata pochi giorni: poi era dovuta inevitabilmente riprendere, data la necessità di far avere nuovi rifornimenti alle forze di Rommel, a maggior ragione in vista della già citata nuova offensiva prevista per il 21 novembre, la cui preparazione richiedeva rifornimenti urgenti di considerevoli quantitativi di munizioni, carburanti ed automezzi. Per prima cosa si era ripreso ad inviare mercantili isolati o a coppie a Bengasi; poi si era deciso l’invio del convoglio «Beta», che però sarebbe stato mandato a Tripoli, porto molto più lontano dalla prima linea, invece che a Bengasi: quest’ultimo porto, infatti, non era in grado di ricevere e scaricare un convoglio tanto grande. Non era possibile inviare rapidamente in Libia i rifornimenti previsti per la nuova offensiva utilizzando soltanto Bengasi; c’erano per la verità anche altri porti della Cirenaica (Bardia, Derna, Ain-el-Gazala) che per la loro posizione avrebbero potuto essere raggiunti senza grande rischio di essere attaccati da Malta, ma le loro capacità ricettive erano ancora più ridotte di quelle di Bengasi, ed inoltre tali approdi erano troppo esposti agli attacchi aerei provenienti dalle basi dell’Egitto. In tutta la Libia, soltanto Tripoli era in grado di ricevere e scaricare i quantitativi di rifornimenti necessari per la preparazione dell’offensiva, od anche solo per la normale “sopravvivenza” dell’armata italo-tedesca. Pertanto, fin da inizio novembre l’ammiraglio Arturo Riccardi, capo di Stato Maggiore della Regia Marina, si era ritrovato insistentemente “pressato” affinché si riprendesse il prima possibile il traffico con Tripoli, a partire dall’invio dei numerosi mercantili, tra cui due navi cisterna – Conte di Misurata e Minatitlan –, già carichi ed in attesa dell’ordine di partenza nei porti del Sud Italia. Il 3 novembre Supermarina aveva risposto che il convoglio richiesto sarebbe potuto essere preparato subito, a patto che gli fosse stata fornita una scorta aerea sia diurna che notturna; ma la scorta aerea notturna era al di fuori delle possibilità della Regia Aeronautica e della Luftwaffe, per cui si era dovuto organizzare il convoglio «Beta» accontentandosi della sola scorta diurna.
In origine Supermarina aveva stabilito che Conte di Misurata e Rina Corrado sarebbero dovuti partire da Palermo, invece che da Messina, e con la scorta dei soli Grecale e Libeccio (l’Oriani non avrebbe fatto parte della scorta del convoglio, mentre nella scorta del gruppo proveniente da Napoli ci sarebbe dovuto essere un cacciatorpediniere in più, l’Antoniotto Usodimare, che poi non partecipò all’operazione); questo gruppo si sarebbe dovuto unire a quello proveniente da Napoli 20 miglia a nord di Pantelleria. Era inoltre previsto che il convoglio dovesse salpare tra il 4 ed il 5 novembre, raggiungendo Tripoli la sera del 6 novembre. Di ciò Supermarina aveva informato Superaereo il mattino del 3 novembre, con l’avviso a mano unica copia n. 7324; il Comando Superiore dell’Aeronautica aveva impartito le disposizioni per la scorta del convoglio con aerei da caccia, voli di vigilanza e ricognizione, il bombardamento dei porti ed aeroporti di Malta e l’approntamento su allarme dei reparti aerei, ma poco dopo Supermarina aveva fatto sapere che la partenza del convoglio era rimandata per via delle avverse condizioni meteomarine. Per la verità, più che un miglioramento del tempo i vertici della Marina aspettavano di poter chiarire quali scorte aeree e navali sarebbero state disponibili, ed erano ancora incerti sulla rotta da seguire (inizialmente si era pensato di far passare il convoglio ad ovest di Malta, seguendo la rotta del Canale di Sicilia, ma alla fine si decise invece per la rotta ad est di Malta, tracciando un percorso molto allargato che passasse vicino alla costa occidentale greca per tenersi lontano dal raggio d’azione degli aerosiluranti maltesi). Si sarebbe voluto aspettare almeno una settimana, confidando nel previsto arrivo in Sicilia dei 30 bombardieri tedeschi Ju 88 del Kampfgruppe 606 della Luftwaffe, che il sottocapo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio Luigi Sansonetti, giudicava «particolarmente adatti alla lotta su Malta». Ma non c’era tanto tempo a disposizione: il Comando Supremo premeva perché quegli urgenti rifornimenti venissero inviati a Tripoli al più presto, accettando «il rischio e il prezzo» che si sarebbe dovuto pagare, come riferì per telefono l’ammiraglio Sansonetti all’ammiraglio Angelo Iachino, comandante in capo della Squadra Navale.
Il 5 novembre il capo di Stato Maggiore generale, Ugo Cavallero, aveva ordinato personalmente al generale Giuseppe Santoro, sottocapo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, di garantire al convoglio una adeguata scorta aerea. Per parte sua Supermarina, al fine di scongiurare eventuali attacchi da parte delle navi di superficie britanniche che si sapeva ora avere base a Malta, assegnò al convoglio, oltre ai soliti cacciatorpediniere della scorta diretta, anche una scorta indiretta formata da due incrociatori pesanti, aventi armamento nettamente superiore a quello degli incrociatori britannici di Malta: la III Divisione Navale dell’ammiraglio Bruno Brivonesi, con Trento e Trieste. In un primo momento si era optato per l’VIII Divisione Navale, di base a Palermo e composta dai due grossi incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi (i più moderni e potenti incrociatori del tipo presenti nei ranghi della Regia Marina, nettamente superiori ad Aurora e Penelope), ma poi si era ritenuto meglio utilizzare degli incrociatori pesanti.
L’ammiraglio Brivonesi, che aveva già compiuto altre missioni di scorta convogli, fin dal maggio 1941 aveva avanzato dei dubbi sulla realizzabilità e opportunità di una scorta ravvicinata ad un convoglio da parte di grossi incrociatori: in caso di allarme, infatti, con le improvvise accostate e dispersioni di unità che conseguivano spesso a tali situazioni, aumentava il rischio di collisioni o di incidenti di fuoco amico; per quanto riguardava la posizione da far assumere gli incrociatori, Brivonesi riteneva che l’unica abbastanza soddisfacente fosse una posizione a poppavia del convoglio, che oltre a proteggere il lato poppiero avrebbe consentito di intervenire rapidamente in caso di attacco sia sul lato dritto che su quello sinistro, e di manovrare tempestivamente in armonia col convoglio. Tenere gli incrociatori a proravia del convoglio, infatti, risultava difficile sul piano pratico e non consentiva di proteggerne né i fianchi né il lato poppiero; tenerli su un lato sarebbe stato più semplice, avrebbe consentito di proteggere adeguatamente soltanto quel lato, lasciando scoperto l’altro.
Il 6 novembre, Supermarina aveva comunicato a Superareo i particolari dell’operazione con l’Avviso n. 7401: i mercantili Duisburg, San Marco, Maria, Minatitlan e Sagitta sarebbero dovuti partire da Napoli alle cinque del 7 novembre, scortati da sette cacciatorpediniere della Squadriglia «Maestrale» (quest’ultima essendo la nave caposcorta), ed avrebbero fatto rotta sud verso lo stretto di Messina, ove si sarebbero uniti al convoglio Conte di Misurata e Rina Corrado, provenienti da Palermo con la scorta di altri tre cacciatorpediniere. I quattro cacciatorpediniere della XIII Squadriglia (capitano di vascello Ferrante Capponi: Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino, partiti da Napoli insieme al primo gruppo del convoglio, che avevano seguito a distanza) si sarebbero poi uniti alla III Divisione Navale, mentre il convoglio così formato sarebbe entrato in Mar Ionio con la scorta degli altri sei caccia; la formazione avrebbe fatto rotta su Tripoli e la III Divisione, partita da Messina, avrebbe fornito protezione al convoglio con speciale attenzione a minacce provenienti da Malta. Alle 19 del 10 novembre il convoglio si sarebbe ormai trovato prossimo a Tripoli, dunque il gruppo «Trieste» avrebbe invertito la rotta per tornare alla base, mentre i mercantili e la scorta diretta avrebbero raggiunto Tripoli alle 17.30 dell’11 novembre. Per precauzione nel caso di intercettazioni, il messaggio non indicava i nomi dei porti, sostituendoli con nominativi convenzionali: ad esempio, "punto Base" per Messina, "punto Lunghezza" per Tripoli. Per quanto riguardava la copertura aerea, gli idrovolanti della Ricognizione Marittima di base a Messina avrebbero fornito scorta aerea antisommergibili sia al convoglio che alla III Divisione fino al tramonto dell’8 novembre, per un raggio di 100 miglia dalle coste della Sicilia. Il 9 ed il 10 novembre, invece (durante l’avvicinamento e l’arrivo a Tripoli del convoglio), se ne sarebbero occupati gli idrovolanti della Ricognizione Marittima di base a Tripoli. Gli idrovolanti di Messina avrebbero poi riassunto la protezione della III Divisione, di ritorno alla base, quando questa fosse giunta a 100 miglia dalla costa siciliana, nella giornata dell’11 novembre.
Il convoglio avrebbe seguito la rotta che passava ad est di Malta; complessivamente, i sette mercantili avrebbero trasportato in Nordafrica 34.473 tonnellate di materiali (di cui 17.281 tonnellate di carburante e 1579 di munizioni), 389 autoveicoli (172 italiani e 217 tedeschi), una motobarca e 243 uomini (145 militari italiani, 77 militari tedeschi e 21 civili diretti in Libia). Il carico era stato preparato dalla Direzione Superiore Trasporti dello Stato Maggiore dell’Esercito, che il 29 ottobre aveva comunicato al Comando Supremo, a Supermarina ed a Superareo, con lettera intitolata 60252M (“Avviamento piroscafi in A.S.I.”): «Il convoglio di prossima partenza, comprendente 5 piroscafi e due navi cisterna di grosso tonnellaggio ha un complessivo carico di circa: 26.000 tonn. di materiali e carburanti alla rinfusa; 10.666 fusti di benzina; 470 automezzi. Le navi con carico germanico hanno a bordo artiglierie e mezzi di attacco di notevolissima importanza ai fini operativi immediati. Del carico fanno parte circa 6.000 tonn. di viveri, nonché 8.000 fusti di benzina avio. Si ritiene necessario mettere in rilievo che la nave cisterna ha, fra l’altro, un carico di circa 4.000 tonn. di gasolio, di difficilissimo reintegro, in caso di perdita, il cui rifornimento in A.S. è, in questo momento, urgentissimo per esaurimento quasi totale delle scorte. La disponibilità in patria di detto tipo di carburante è ridotta a proporzioni minime. Quanto sopra si reputa doveroso portare a conoscenza di Codesto Comando Supremo per i provvedimenti speciali che si ritiene necessario adattare per la sicurezza del convoglio stessi in navigazione e durante la sua sosta nel porto di Tripoli».
L’ordine d’operazioni relativo alla navigazione del convoglio, numero 251, venne emanato
il 5 novembre 1941 dal Comando in Capo del Dipartimento Marittimo del Basso Tirreno.
Rispetto ai piani originari era stato inserito uno scalo intermedio per Conte di Misurata e Rina Corrado, che non sarebbero più partiti direttamente da Palermo per unirsi al gruppo di Napoli a nord di Pantelleria, bensì avrebbero fatto scalo a Messina e si sarebbero uniti al primo gruppo nello stretto. I due bastimenti avevano infatti imbarcato il loro carico a Palermo, come previsto, e poi avevano lasciato quel porto poco prima della mezzanotte del 6 novembre, scortati da Libeccio, Grecale ed Oriani, ed avevano raggiunto Messina (dove avevano completato il carico) intorno alle due del pomeriggio del 7 novembre, sostandovi fino alle prime ore dell’8, quando ne erano ripartiti per congiungersi col gruppo proveniente da Napoli.
Insieme a Conte di Misurata, Rina Corrado, Libeccio, Grecale ed Oriani uscirono da Messina anche Maestrale, Fulmine ed Euro, che erano entrati in quel porto nel pomeriggio del 7 novembre per fare rifornimento, affidando temporaneamente la scorta dei mercantili di Napoli alle quattro unità della XIII Squadriglia Cacciatorpediniere.
Mentre questo accadeva, il Comando dell’Aeronautica della Sicilia provvedeva ad organizzare un’azione diversiva contro Malta: nella notte sull’8 novembre il porto di La Valletta e le basi aeree di Luqa e Ta Kali vennero infatti attaccate da otto bombardieri CANT Z. 1007 del 9° Stormo e FIAT Br. 20 del 37° Stormo, che tuttavia non causarono danni di rilievo.
Grazie al rapporto
del guardiamarina Ferrari, comandante dei mitraglieri della Conte di Misurata, è possibile avere una
descrizione “di prima mano” delle ultime ore della vecchia pirocisterna. Nel
suo rapporto l’ufficiale scriveva: “Si
salpa alle ore 3.30 e ci accodiamo al convoglio proveniente da Napoli. Si
dirige verso levante con formazione diurna su tre file. La scorta navale è
formata dai cc.tt. Maestrale (capo convoglio), Grecale, Libeccio, Oriani, Fulmine
ed Euro; la scorta aerea da due caccia, un ricognitore, ed un “Messersmith”
[sic]”.
Dopo aver lasciato Messina la Conte di Misurata, il Rina Corrado e la scorta diressero per uscire dallo Stretto assumendo rotta verso sud a bassa velocità, in modo da lasciarsi raggiungere dal gruppo proveniente da Napoli. La riunione tra i due gruppi del convoglio – dei quali il primo, quello proveniente da Napoli, aveva già superato lo stretto – avvenne alle 4.30 dell’8 novembre, a sud dello stretto di Messina; Conte di Misurata e Rina Corrado si accodarono agli altri mercantili e si formò così un unico convoglio di sette mercantili scortati da Maestrale, Libeccio, Grecale, Oriani, Fulmine ed Euro, mentre i quattro cacciatorpediniere della XIII Squadriglia, dopo essersi riforniti a loro volta a Messina (cosa che fecero dopo la riunione delle altre navi), si unirono alla III Divisione (incrociatori pesanti Trento e Trieste, nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Bruno Brivonesi), salpata da Messina alle 12.35 per fornire scorta indiretta al convoglio.
Durante la mattina vennero avvistati da diverse navi alcuni aerei nemici diretti verso ovest: andavano ad attaccare un altro convoglio diretto in Libia, il convoglio "Pegaso".
Alle 16.45, con l’arrivo della III Divisione (che raggiunse il convoglio in posizione 37°40’ N e 15°57’ E, a 19 miglia per 155° da Capo dell’Armi, e si posizionò a poppavia dello stesso) la formazione poteva dirsi completa.
Il convoglio procedeva su tre colonne: la Conte di Misurata ed il San Marco formavano la colonna di dritta, mentre Duisburg, Sagitta e Rina Corrado formavano quella centrale e Maria e Minatitlan quella di sinistra. Il Fulmine era posizionato a dritta della terza colonna, il Libeccio a sinistra della prima colonna; il Maestrale e l’Euro precedevano rispettivamente la colonna di dritta e quella di sinistra, mentre Oriani e Grecale le seguivano. Le navi procedevano ad otto nodi di velocità. La III Divisione zigzagava a poppavia dei mercantili.
Vi era anche, fin dalla partenza da Napoli e Messina – ma solo di giorno –, una scorta aerea per la quale erano stati mobilitati in tutto 64 aerei (58 dell’Armata Aerea e 6 idrovolanti antisommergibili), mantenendo sempre otto velivoli costantemente in volo sul cielo del convoglio. Sul Maestrale, per coordinare l’attività di tale scorta aerea, era stato imbarcato il tenente pilota Paolo Manfredi della Regia Aeronautica.
Dalle 7.30 fino alle 17.30, sul cielo del convoglio e della III Divisione si alternarono dieci idrovolanti CANT Z. 506 della Ricognizione Marittima, due bombardieri Savoia Marchetti SM. 79 "Sparviero" e ben 66 caccia (34 Macchi MC 200 del 54° Stormo della Regia Aeronautica, due FIAT CR. 42 del medesimo stormo, 22 CR. 42 del 23° Gruppo e otto Messerschmitt Bf 110 della 9a Squadriglia del 3° Gruppo del 26° Stormo da Caccia della Luftwaffe). I caccia si alternavano sul convoglio in numero di quattro per volta: una coppia ad alta quota per contrastare eventuali attacchi di bombardieri, e una coppia a 1000 metri di quota per contrastare attacchi a volo radente e di aerosiluranti.
Tre coppie di SM. 79 decollarono dalla Sicilia ed effettuarono ricognizione marittima verso sudest; altri aerei dell’Aeronautica della Sicilia erano incaricati di effettuare missioni di ricognizione e bombardamento sul porto della Valletta.
Ad ulteriore protezione del convoglio, Supermarina aveva inviato nelle acque di Malta i sommergibili Delfino, Corallo e Luigi Settembrini, con compiti esplorativi ed offensivi nei confronti di unità britanniche in partenza dall’isola.
L’incrociatore pesante Gorizia (anch’esso appartenente alla III Divisione) ed i cacciatorpediniere Carabiniere e Corazziere della XII Squadriglia erano a Messina, pronti a muovere in due ore qualora se ne fosse manifestata la necessità.
Una volta in franchia
dello stretto di Messina (la riunione avvenne subito dopo il suo superamento da
parte del primo gruppo di navi), il convoglio mise la prua verso est (rotta
90°), per imboccare la rotta che passava ad est di Malta, al largo della costa
occidentale greca – rotta più lunga ma anche più sicura, perché avrebbe
consentito di restare fuori dal raggio d’azione degli aerosiluranti di Malta,
stimato in 190 miglia –, nonché per ingannare i britannici circa la
destinazione del convoglio, facendo credere che questa fosse un porto della
Grecia oppure Bengasi. (La formazione compì le accostate prestabilite con un
anticipo di circa un’ora e mezza rispetto a quanto disposto da Supermarina, ma
ciò ebbe l’effetto positivo di far passare il convoglio a distanza da Malta
ancora superiore rispetto a quanto stabilito).
Durante la navigazione verso est, inoltre, le unità effettuarono diverse accostate verso ovest per confondere le idee ad eventuali ricognitori circa la loro rotte; ciò non bastò tuttavia ad impedire che, nel pomeriggio dell’8 novembre – alle 16.45, poco prima del tramonto, secondo il resoconto italiano; già alle 13.55, secondo quello britannico – il convoglio (ma non la III Divisione) venisse comunque localizzato, in posizione 37°38’ N e 17°16’ E (o 37°53’ N e 16°56’ E; 40 o 45 miglia ad est di Capo Spartivento Calabro, parecchio ad est di Malta), da un ricognitore Martin Maryland del 69th Reconnaissance Squadron della Royal Air Force, decollato da Luqa (Malta) e pilotato personalmente dal tenente colonnello John Noel Dowland, comandante del 69th Reconnaissance Squadron. L’idrovolante stava rientrando a Malta quando avvistò il convoglio.
In quel momento, aerei italiani e tedeschi si trovavano ancora sul cielo del convoglio; le navi della scorta – e più precisamente l’Euro, che lo segnalò subito al Maestrale con il messaggio ad ultracorte «Aerei in vista Rb 200 – quota superiore quota 3.000», e poi anche a tutte le altre navi ed a Supermarina con un segnale di scoperta via radio lanciato all’aria – avvistarono il ricognitore da 5000 metri di distanza e fecero segnali luminosi alla scorta aerea, con cui non fu possibile comunicare via radio, per richiedere che attaccasse il velivolo nemico; al contempo il Duisburg, mercantile capoconvoglio, alzò a riva i palloni di avvistamento aereo, ma gli aerei della scorta non fecero nulla (per altra fonte, invece, le segnalazioni previste per avvisare gli aerei della presenza del ricognitore non vennero effettuate, “per grave disservizio”). Nel suo rapporto il guardiamarina Ferrari (che indicava erroneamente questo episodio come verificatosi intorno alle 13 dell’8 novembre) scrisse che “i caccia si precipitano su un punto all’orizzonte: ricognitore inglese, ma non si ode alcuna azione di fuoco. Navigazione calma”.
Il Maryland si trattenne in vista del convoglio solo il tempo strettamente necessario a rilevarne gli elementi del moto, che comunicò prontamente a Malta alle ore 14 («Un convoglio di 6 navi mercantili e 4 cacciatorpediniere diretto verso levante, nel punto 40 miglia per 95° da Capo Spartivento», anche se la velocità, nella realtà 9 nodi, era sovrastimata in 10-12 nodi). Il messaggio inviato a Malta dal Maryland venne intercettato anche a Roma, ma fu decifrato soltanto in seguito. Oltre a sovrastimare la velocità, il ricognitore aveva leggermente sottostimato il numero di navi nel convoglio (specie di cacciatorpediniere) e non aveva minimamente notato la III Divisione, che seguiva a distanza, mentre aveva apprezzato con estrema accuratezza la rotta e posizione del convoglio.
Contrariamente a molte altre occasioni, e nonostante quanto riferito da diverse fonti secondarie, il servizio di intercettazione e decrittazione britannico “ULTRA” non ebbe alcun ruolo nelle vicende del convoglio «Beta»: vennero infatti intercettati soltanto tre messaggi molto vaghi, dei quali il primo – risalente alle 13.10 del 7 novembre – poté essere decifrato solo alle 20.49 dell’8 novembre, risultando essere un radiocifrato in cui il Ministero della Marina chiedeva al Comando Marina di Salonicco di inoltrare al X Corpo Aereo Tedesco la richiesta di compiere alcuni voli di ricognizione nel Mediterraneo orientale a protezione del convoglio «Beta». Il secondo messaggio intercettato, sempre dal Ministero della Marina a Salonicco, era delle 20 dell’8 novembre e recitava: "A protezione di attacchi provenienti da Alessandria contro l’importante convoglio diretto a Tripoli, si richiede al X Fliegerkorps tedesco di tenere pronte tutte le disponibili unità per i giorni 9 e 10". Il terzo ed ultimo, in cui ancora una volta si parlava di grosso convoglio diretto a Tripoli che sarebbe stato in mare il 9-10 novembre, per il quale si chiedeva la copertura del X Fliegerkorps, fu decrittato dalla Special Liaison Unit di “ULTRA” al Cairo alle 00.34 del 9 novembre, cioè pochi minuti prima che la Forza K aprisse il fuoco contro il convoglio. Tutti e tre i messaggi erano troppo vaghi per poter organizzare un’intercettazione, non contenendo alcuna informazione su porti e orari di partenza o di arrivo, rotta e velocità del convoglio; ma soprattutto, il primo ad essere decrittato lo fu soltanto quando già da tre ore la Forza K era partita per intercettare il convoglio “Duisburg”, basandosi sulle sole informazioni dei ricognitori.
L’orientamento verso
est della rotta del convoglio (che virò verso sud solo più tardi) non ingannò i
comandi britannici: un convoglio tanto grande non poteva essere diretto né in
Grecia né a Bengasi, porto dalle capacità ricettive insufficienti ad accogliere
sette mercantili. L’unica destinazione plausibile era Tripoli, e le navi
italiane avrebbero cercato di raggiungerla tenendosi al di fuori del raggio
della portata degli aerosiluranti: il che permise ai britannici di intuire che
il convoglio sarebbe dovuto passare circa 200 miglia ad est di Malta, per poi
puntare verso sud dopo il tramonto per raggiungere un porto della Libia, sempre
seguendo una rotta che lo tenesse al di fuori del raggio degli aerosiluranti di
Malta.
Alle 17.30, di conseguenza, salpò da Malta la Forza K britannica, formata dagli incrociatori leggeri Aurora (capitano di vascello William Gladstone Agnew, comandante della Forza K) e Penelope (capitano di vascello Angus Dacres Nicholl) e dai cacciatorpediniere Lance (capitano di corvetta Ralph William Frank Northcott) e Lively (capitano di corvetta William Frederick Eyre Hussey), con il compito di intercettare il convoglio segnalato. La partenza della Forza K fu tanto fulminea che il comandante del Penelope, capitano di vascello Nicholl, dovette raggiungere la sua nave con un’imbarcazione, in quanto l’incrociatore stava già manovrando per uscire dal porto. Lasciatesi Malta alle spalle, le navi britanniche assunsero rotta 064° (verso est-nord-est) e velocità 28 nodi, in modo da intercettare il convoglio alle due della notte seguente. La ricerca delle navi dell’Asse sarebbe avvenuta lungo la presumibile rotta che il convoglio avrebbe seguito per tenersi al di fuori della portata degli aerosiluranti di Malta.
La ricognizione aerea italiana (due CANT Z. 1007 dell’Aeronautica dell’Egeo) e tedesca (due Junkers Ju 88 del X Fliegerkorps) non avvistò le navi britanniche.
Anche un bombardiere Wellington munito di radar (del 211st Squadron della RAF) ed otto aerosiluranti Fairey Swordfish (dell’830th Squadron della Fleet Air Arm, di base a Hal Far) decollarono da Malta per rintracciare il convoglio nel tardo pomeriggio (il primo per seguirlo e mantenere il contatto con esso, guidando sul posto la Forza K; i secondi per attaccarlo), ma non riuscirono a trovarlo: il Wellington per malfunzionamento della radio e del radar, gli Swordfish perché il convoglio seguiva appunto una rotta che lo teneva al di fuori del loro raggio d’azione.
Niente di tutto ciò era a conoscenza delle navi del convoglio «Beta», che proseguirono regolarmente per la loro rotta. Il tempo era buono: mare calmo, nubi leggere e vento debole, forza 3. La scorta aerea venne ritirata al tramonto.
Tra le 18 e le 18.30, mentre la III Divisione Navale e la XIII Squadriglia Cacciatorpediniere zigzagavano sulla sinistra del convoglio, quest’ultimo manovrò per passare dalla formazione su tre colonne a quella su due colonne, distanziate di 1000-1500 metri. Nella nuova formazione, la Conte di Misurata si trovò a navigare in coda alla colonna di sinistra, preceduta dal San Marco che a sua volta era preceduto dal Duisburg; la colonna di dritta era composta nell’ordine da Minatitlan, Maria e Sagitta, mentre il Rina Corrado procedeva in coda alla formazione, a poppavia degli altri sei mercantili, in posizione centrale rispetto alle due colonne. Tutt’intorno la scorta diretta: Maestrale in testa al convoglio, Grecale in coda (dietro al Rina Corrado), Libeccio seguito dall’Oriani sul lato sinistro, ed Euro seguito dal Fulmine sul lato destro.
Il guardiamarina Ferrari avrebbe poi scritto: “Verso le ore 18 ordine del Maestrale di prendere la formazione notturna di due file così composte: 1a fila: Duisburg, Muiniam e Conte di Misurata; 2a fila: Minatitland, Maria e Sagitta. Il Rina Corrado è in coda fra le due file. I CC.TT. si dispongono: Maestrale in testa, il Grecale in coda, Euro e Fulmine sulla dritta, Libeccio e Oriani sulla sinistra; gli aerei ci scortano fin oltre il tramonto. Alle 19.30 si accosta per rotta sud. Ancora al tramonto si scorge distintamente a poppavia sulla dritta la forza navale di sostegno formata dalla 3a Divisione Navale (Trento e Trieste) con la 14a Squadriglia CC.TT. (Granatiere, Fuciliere, Bersagliere e Alpino). Nessun avvenimento degno di rilievo. La velocità si mantiene sulle 8 miglia”. Particolare interessante, nel suo rapporto Ferrari chiamava il San Marco con il nome di Muiniam: cioè il precedente nome che questo bastimento, di proprietà della compagnia danese Østasiatiske Kompagni A/S, aveva portato fino all’aprile 1940, quando in seguito all’occupazione tedesca della Danimarca era stato confiscato dalle autorità francesi – trovandosi in quel momento a Saigon, nell’Indocina francese – e ribattezzato Saint René, venendo impiegato per trasportare truppe annamite in Francia, per poi essere ceduto dai francesi alla Germania nel settembre 1941 e ribattezzato San Marco, nome invero più veneziano che germanico. Come mai un ufficiale italiano imbarcato sulla Conte di Misurata chiamasse il San Marco, che probabilmente vedeva per la prima volta, con il suo vecchio nome danese che non portava ormai da un anno e mezzo non è dato sapere; sembra probabile che né i francesi né i tedeschi si fossero premurati di dipingere i nuovi nomi da loro affibbiati a questo mercantile sul suo scafo, così che esso appariva ancora, salvo che sui registri, con il nome di Muinam.
Fino alle 19.30 il convoglio seguì rotta 090°, poi accostò per 122°, ed alle 19.55 per 161° (sud-sud-est), sempre per tenersi al di fuori del raggio d’azione degli aerosiluranti.
Alle 20.45 la III Divisione si portò a poppa del convoglio, e tra le 22 e le 24 le navi di Brivonesi risalirono il convoglio sino a portarsi a 30° di prora a dritta del Maestrale (distante da loro 4 km); poi, a mezzanotte, invertirono la rotta a un tempo per defilare di controbordo al convoglio. L’ammiraglio italiano aveva pianificato i movimenti della sua Divisione e la velocità da tenere in modo da tenersi in contatto col convoglio, mantenendo al tempo stesso una sufficiente libertà di manovra, lungo le spezzate da percorrere, per ridurre il pericolo di attacchi di sommergibili avversari contro i suoi incrociatori. La velocità che la III Divisione avrebbe dovuto tenere, secondo gli ordini di Supermarina, sarebbe stata di 16 nodi; ma con una tale velocità gli incrociatori, per mantenersi in vista del convoglio che procedeva a soli 9 nodi, avrebbero dovuto compiere accostate esageratamente ampie, oppure allontanarsi troppo dal convoglio in ogni accostata. D’altra parte, una velocità di 9 nodi non avrebbe consentito a Trento e Trieste di mantenere un’adeguata manovrabilità; pertanto Brivonesi era giunto ad una soluzione di compromesso, facendo assumere alla III Divisione una velocità di 12 nodi e tenendosi nella scia del convoglio, manovrando periodicamente per risalire il convoglio sul lato di dritta (quello rivolto verso Malta e dunque ritenuto più esposto) fino all’unità capofila, indi accostare di controbordo e tornare in scia al convoglio, per poi replicare tale manovra di pendolamento. In tal modo, le navi di Brivonesi si sarebbero interposte tra i trasporti e la probabile direzione di provenienza di un attacco navale britannico.
Intanto, la Forza K navigava verso la sua ignara preda: avendo inizialmente assunto rotta verso est, la formazione britannica virò verso sudest subito dopo il tramonto, ed attraversò, senza essere avvistata, la zona d’agguato del Settembrini. Le unità britanniche erano disposte in linea di fila, con l’Aurora in testa seguito nell’ordine da Lance, Penelope e Lively, distanziati tra loro di 750 metri.
Agnew aveva già da tempo preparato e discusso con i comandanti dipendenti un piano d’azione in caso di attacco ad un convoglio: le navi britanniche sarebbero rimaste in linea di fila, per evitare problemi di riconoscimento e per poter lanciare liberamente siluri; prima di attaccare dei mercantili, la Forza K avrebbe neutralizzato le navi di scorta presenti sul lato attaccato; nel caso altre unità di scorta fossero apparse durante l’attacco ai mercantili, esse sarebbero immediatamente divenute bersaglio prioritario; l’Aurora (capofila) avrebbe mantenuto ogni nave di scorta bene di prora fino ad averla posta fuori uso. Così facendo, le navi britanniche avrebbero potuto sfruttare al massimo la loro potenza di fuoco contro il convoglio, e minimizzare il rischio di un attacco silurante. Agnew sottolineò l’importanza di colpire subito i bersagli, fin dalle prime salve, e distribuire il tiro in modo da non lasciar scampo a nessuna delle unità avversarie.
Alle 00.39 del 9 novembre le vedette sulla plancia dell’Aurora avvistarono un gruppo di navi oscurate aventi rotta approssimata 170° (verso sud), a nove miglia di distanza, su rilevamento 30°: era il convoglio “Duisburg”. Il radar non ebbe alcun ruolo di rilievo nell’individuazione del convoglio: le navi italiane vennero avvistate otticamente dalla Forza K, col solo uso di binocoli, perché illuminate dalla luce lunare, mentre il radar fu poi impiegato nel puntamento dei cannoni durante il combattimento. Secondo il rapporto britannico, in quel momento le navi italiane si trovavano in posizione 36°55’ N e 17°58’ E (135 miglia a sud di Siracusa, 100 miglia ad est-sud-est di Capo Spartivento e 180 miglia ad est di Malta), a cinque miglia per 30° dalla Forza K (per altra fonte, a 7 miglia per 30° dall’Aurora, autore dell’avvistamento); la documentazione italiana indica invece il punto dell’attacco come 37°00’ N e 18°10’ E, a circa 120 miglia dalle coste della Calabria ("Navi mercantili perdute" indica la posizione come 37°08’ N e 18°09’ E, circa 120 miglia a sudest di Punta Stilo o 130 miglia a sudovest della Calabria). Secondo Agnew, la visibilità notturna era ottimale per un’intercettazione, la luna splendente e luminosa (su rilevamento 100°, con un’elevazione di 45°), e le condizioni perfette per un’intercettazione (vento forza 3 da nord-nord-ovest, nubi leggere e calma di mare); nel suo rapporto, il caposcorta Bisciani registrò brezza moderata verso sud-est, nuvolaglia leggera e luna scoperta, con «orizzonte ottimo nel secondo quadrante, buono nel terzo, fosco nel quarto». Secondo Brivonesi, la visibilità era buona quando la luna era libera, e scarsa quando le nubi la coprivano.
(Secondo "Struggle for the Middle Sea" di Vince O’Hara, poco ci era mancato che le navi dell’Asse scampassero, anche questa volta, all’intercettazione: le unità della Forza K erano infatti giunte quasi al punto in cui avrebbero dovuto interrompere le ricerche e tornare indietro per raggiunti limiti di autonomia, e Agnew scrisse in seguito che aveva quasi abbandonato le speranze di trovare il convoglio segnalato dal Maryland, quando all’improvviso apparvero nell’oscurità le sagome delle navi nemiche. Ciò sembra però in contrasto con quanto riferito da altre fonti, tra cui la storia ufficiale dell’USMM, secondo cui invece l’incontro con il convoglio italiano avvenne un’ora prima del previsto, dato che Agnew si aspettava di incontrarlo intorno alle due di notte: invece, le navi dell’Asse avevano seguito una rotta più ad ovest di quella stimata dai britannici, e la Forza K riuscì a trovarle senza neanche bisogno di dispiegarsi in catena di ricerca. Questo era, peraltro, il modus operandi generalmente seguito dalle unità britanniche: mentre nella nella Marina italiana la ricerca di formazioni nemiche si compiva distendendo le proprie navi “a rastrello” in linea di fronte o di rilevamento, i britannici compivano andavano in cerca di convogli mantenendo le proprie formazioni compatte, in linea di fila).
Il convoglio italo-tedesco avanzava su rotta 161° alla velocità di 9 nodi, nella formazione su due colonne assunta alle 18.30; la III Divisione, quale scorta indiretta, seguiva il convoglio a quattro chilometri a poppavia dritta (ossia verso ovest, ritenuta la più probabile direzione di provenienza di un attacco: Malta, infatti, era a dritta rispetto al convoglio), zigzagando alla velocità di dodici nodi. Mezz’ora prima, le navi di Brivonesi avevano raggiunto il punto più settentrionale nel loro pendolamento, ultimando l’accostata per defilare di controbordo al convoglio; ora avevano accostato per assumere rotta parallela al convoglio e ripetere il pendolamento, verso sud.
Qualcuna delle unità della scorta diretta, grazie alla luna piena, avvistò anche la Forza K, 3-5 km a poppavia, ma ritenne trattarsi della III Divisione. Il Bersagliere, che avvistò le navi britanniche meno di un minuto prima che aprissero il fuoco, fu l’unico a capire che si trattava di navi nemiche, ed a lanciare immediatamente il segnale di scoperta, ma era già troppo tardi; il segnale fu ricevuto da Maestrale e Trieste proprio mentre la Forza K iniziava a sparare.
Anziché attaccare subito il convoglio, il comandante Agnew manovrò flemmaticamente per portarsi nella posizione più favorevole all’attacco, di poppa al convoglio (dove in genere la sorveglianza risultava più debole) e con la luna di fronte, approfittando del fatto che nessuna nave italiana sembrasse accorgersi della sua presenza.
La Forza K ridusse la velocità da 28 a 20 nodi ed accostò a sinistra per 350°, quindi aggirò il convoglio con una manovra che richiese 17 minuti, attraversandone la scia e portandosi a poppavia dritta rispetto ad esso, di modo che i bersagli si stagliassero contro la chiara luce lunare. Alle 00.50 l’Aurora, trovandosi quasi al traverso di un cacciatorpediniere italiano che procedeva in coda al convoglio (probabilmente il Grecale), puntò dritto su di esso, accostando a dritta su rotta est/nordest; Agnew apprezzò la composizione del convoglio in otto grossi mercantili e quattro cacciatorpediniere. Aveva ormai deciso cosa fare: avrebbe attaccato il convoglio da poppa e poi ne avrebbe “risalito” la formazione, distruggendo sistematicamente i mercantili dopo aver neutralizzato la scorta sul lato attaccato. I bersagli vennero identificati e scelti dai puntatori, i cannoni puntati e preparati ad aprire il fuoco a colpo sicuro. L’Aurora puntò l’armamento principale, asservito al radar di scoperta navale tipo 284, sui cacciatorpediniere della scorta, ed i cannoni da 100 mm di sinistra, asserviti al radar tipo 290 ed alla centrale di tiro poppiera, sui mercantili.
Alle 00.52 la Forza K avvistò su rilevamento 330° (verso sinistra) la III Divisione, della cui presenza nessuno, da parte britannica, aveva fino a quel momento avuto sentore; ma ciò non modificò le intenzioni di Agnew, il quale poco dopo concluse che le due “navi maggiori” (che erano, in effetti, il Trento ed il Trieste, che in quel momento si trovavano un poco di prua rispetto al traverso sinistro dell’Aurora: il Trieste distava tre miglia e mezzo, il Bersagliere meno di tre) ed i cacciatorpediniere che le accompagnavano, oscurate e distanti sei miglia, dovessero essere degli altri mercantili con la loro scorta (tanto che a cose fatte, i britannici ritennero erroneamente di aver affondato dieci mercantili invece che sette, credendo di aver attaccato "otto mercantili e quattro cacciatorpediniere nemici, seguiti da un secondo convoglio di due cacciatorpediniere e due mercantili"). Alle 00.56 il Lively stimò che il convoglio avesse rotta 150° e velocità 8 nodi; in base ai dati del suo radar, il Maestrale (che al momento dell’attacco si trovava al traverso a poppavia della Forza K, a sud della stessa) distava 10.060 metri, i mercantili che lo seguivano 8230 metri.
Alle 00.57, infine, Aurora e Penelope, giunti circa 5 km a sudest del convoglio, aprirono il fuoco sulle ignare navi italiane da una distanza di 5200 metri.
Il tiro britannico si
abbatté per primo sui cacciatorpediniere che proteggevano il lato più vicino
alla Forza K: Fulmine, Euro e Grecale. Il primo e l’ultimo vennero ripetutamente centrati prima
di avere il tempo per imbastire una reazione efficace: il Fulmine affondò dopo pochi minuti,
il Grecale rimase alla
deriva con danni gravissimi e decine di morti e di feriti gravi, completamente
fuori combattimento. L’Euro scampò
invece alla strage iniziale (venne anch’esso colpito, ma i danni non
risultarono gravi), e tentò di coprire i mercantili con una cortina fumogena,
imitato da Maestrale e Libeccio.
La Forza K defilò lungo il fianco dei mercantili, orientando il tiro con l’ausilio dei radar tipo 284; sempre per agevolare il tiro, inoltre, le navi britanniche lanciarono dei bengala illuminanti a quote comprese tra i 600 ed i 1000 metri. Subito dopo l’Aurora, il cui primo bersaglio era stato il Grecale (che venne immobilizzato e incendiato dalle prime tre salve, dopo di che l’Aurora spostò il tiro sul Maestrale, contro il quale stava già sparando il Penelope), anche Lance e Penelope aprono il fuoco: quest’ultimo tirò prima su un piroscafo, colpendolo, e poi sul Maestrale, che accostò per 80° (verso sinistra, aggirando la testa del convoglio: Bisciani ritenne che l’unica possibilità di attacco consistesse nel portarsi in posizione prodiera rispetto alle navi nemiche, accostando a sinistra), accelerò a 20 nodi ed emise cortine fumogene, seguito dal convoglio. Euro e Libeccio manovrarono anch’essi aumentando la velocità, per tentare di occultare le navi di testa del convoglio con cortine fumogene.
Per ordine del Maestrale, che aveva ordinato alle unità della scorta di radunarsi intorno a lui, i superstiti cacciatorpediniere della scorta diretta emisero cortine fumogene per nascondere i mercantili, poi assunsero rotta verso est ed incrementano la velocità. Nella generale confusione, il caposcorta Bisciani ritenne erroneamente che l’attacco provenisse dal lato sinistro del convoglio (in realtà ad essere sotto attacco era il lato destro), e che le navi sul lato destro fossero quelle della III Divisione (mentre era la Forza K). Poco dopo, il Maestrale stesso fu colpito dal tiro britannico, subendo danni leggeri ma anche l’abbattimento dell’aereo della radio, il che gli impedì di comunicare con il resto della scorta e del convoglio.
I cacciatorpediniere della scorta diretta che si trovavano sul lato orientale del convoglio (Libeccio ed Oriani) si ritrovarono così disorientati e senza ordini; per la loro posizione, non avevano neanche compreso – per lo meno nei primi minuti, quelli decisivi – quale fosse il tipo di attacco lanciato contro il convoglio. Si limitarono ad emettere fumo. Alcuni ritennero che le navi fossero sotto attacco aereo, invece che da parte di altre navi di superficie (come attestato nel suo rapporto anche dal tenente Manfredi dell’Aeronautica, imbarcato sul Maestrale): questa fu anche l’impressione che ebbero sulle prime i comandanti di diversi mercantili, anche a causa dei molti bengala lanciati dalle navi della Forza K per agevolare il tiro. Tale convinzione si spinse a tal punto che alcuni dei mercantili aprirono un fitto e disordinato fuoco con le mitragliere in tutte le direzioni, sparando praticamente a caso contro aerei che non esistevano. Come se non bastasse, alcune delle mitragliere dei mercantili, credendo di trovarsi sotto attacco da parte di aerosiluranti (che conducevano i loro attacchi volando a bassa quota), tiravano basso, e finirono col colpire col loro tiro l’agonizzante Fulmine, provocando ulteriori perdite tra il già decimato equipaggio del cacciatorpediniere.
Altro effetto pernicioso della convinzione di trovarsi sotto attacco aereo, anziché navale, fu che i mercantili non tentarono di disperdersi e fuggire (o anche solo di dare la poppa alle navi britanniche), come si faceva solitamente in caso di attacco da parte di navi di superficie: così avrebbero quanto meno reso più difficile alla Forza K il compito di rintracciarlo e distruggerli. Disperdere il convoglio sotto un attacco aereo, infatti, avrebbe reso i mercantili più vulnerabili, privandoli della protezione delle armi contraeree dei cacciatorpediniere ed impedendo il tiro concentrato delle armi contraeree di tutte le navi; mentre in un attacco da parte di navi di superficie, mantenere intatta la formazione serviva solo a facilitare il compito degli aggressori.
Intanto, all’1.18, l’Euro andò al contrattacco silurante, unica unità della scorta ad abbozzare un effettivo tentativo di reazione; il suo comandante, tuttavia, ebbe il dubbio di stare attaccando le navi della III Divisione (anche per via degli ordini impartiti dal caposcorta), così rinunciò a lanciare i siluri ed abbandonò il contrattacco, accostando a sinistra per riunirsi a Maestrale, Libeccio ed Oriani, che dirigevano verso est inquadrati dal tiro delle artiglierie della Forza K.
I mercantili, nel vano tentativo di sfuggire alla Forza K (proveniente da ovest, cioè da dritta), misero la prua verso est (verso sinistra); molti comandanti continuavano a non rendersi conto di cosa esattamente stesse accadendo, alcuni virarono verso est perché si erano resi conto che l’attacco proveniva da ovest, altri semplicemente per imitazione di manovra dei primi, altri ancora perché così facendo potevano rifugiarsi nelle cortine fumogene stese dai cacciatorpediniere. Ma non servì a niente. Anche il Maestrale, per motivo difficilmente spiegabile (il relativo volume dell’U.S.M.M. così giudica tale manovra del caposcorta: "Forse d’istinto più che in base ad un ragionamento"), dopo aver trasmesso l’ordine di coprire i mercantili con cortine nebbiogene (l’ultimo impartito prima dell’abbattimento dell’aereo radio) mise la prua in tale direzione, inquadrato dalle salve nemiche. Oriani e Libeccio, in mancanza di ordini, seguirono loro caposcorta per imitazione di manovra, continuando ad avvolgere i mercantili in inutili cortine nebbiogene (più tardi, alzata un’antenna radio di fortuna, fu il Maestrale stesso ad ordinare ai cacciatorpediniere superstiti di seguirlo verso est). L’Euro, unico altro cacciatorpediniere rimasto in efficienza, fece come loro. Il comandante Bisciani avrebbe poi scritto così nel suo rapporto: «Ritengo [all’1.17 circa] che nulla sia più possibile per la salvezza del convoglio, e penso che, occultandoli, potrò riunire i Ct, dei quali due sono in vista con rotta presso a poco parallela alla mia, per una successiva azione» che però non si materializzò mai.
In tal modo, eccetto che per l’abortito tentativo iniziale dell’Euro, nessuna unità della scorta tentò di contrattaccare attivamente le navi nemiche, a differenza di quanto accadde di solito in simili circostanze; la successiva azione della Forza K contro i mercantili incontrò così ben poco contrasto. L’operato della scorta diretta del convoglio "Duisburg" e del caposcorta Bisciani sarebbe stato poi giudicato sfavorevolmente dall’ammiraglio Wladimiro Pini, comandante del Dipartimento Militare Marittimo del Basso Tirreno, e dagli alti comandi della Regia Marina.
Neutralizzata la parte della scorta diretta sul lato attaccato, mentre il resto di quest’ultima brancolava nel buio, alle 00.59 l’Aurora accostò a dritta (verso sud, assumendo rotta parallela a quella del convoglio), seguito dalle altre tre navi, e guidò la Forza K in una manovra avvolgente attorno al convoglio, una sorta di volta tonda nella quale aggirò i mercantili da ovest verso est, risalendo il lato destro del convoglio e facendo sistematicamente fuoco su ognuno dei mercantili con tutte le armi di bordo, da circa 1800 metri di distanza, finché questo s’incendiava od esplodeva. Il tiro preciso, celere e ravvicinato delle unità britanniche – l’ammiraglio Brivonesi stimò che sparassero con ritmo inferiore ai dieci secondi: in ogni caso tirarono con una tale intensità da surriscaldarsi fino a provocare lo scioglimento ed il distacco della vernice – demolì, una dopo l’altra, tutte le navi del convoglio: siccome tutte avevano carburante e/o munizioni tra il loro carico, ognuna di esse prendeva fuoco od era scossa da esplosioni non appena veniva colpita. Come riferito nei loro rapporti dai comandanti di Euro e Grecale, i più vicini al lato attaccato, già pochi minuti dopo l’una i mercantili più poppieri del convoglio erano trasformati in roghi; entro l’1.10 tutti e sette erano immobilizzati ed in preda alle fiamme, scossi dalle esplosioni dei carichi di munizioni.
Oltre che con i pezzi da 152 degli incrociatori (che “fornirono eccellenti prestazioni”, come annotò Agnew nel suo rapporto), con i pezzi secondari da 102 mm degli stessi e quelli principali da 120 dei cacciatorpediniere, le navi della Forza K spararono sui loro bersagli anche con le micidiali mitragliere quadrinate da 40 mm, note come “pom-pom”. Il tiro venne eseguito da distanze comprese tra i 2000 ed i 4000 metri. Venne anche lanciato qualche siluro, tre dall’Aurora ed almeno uno dal Lance.
Primi ad essere colpiti furono Maria e Sagitta, i più vicini alla zona di provenienza della Forza K; poi anche gli altri, uno dopo l’altro. Nessun trasporto fu in grado di sfuggire, data la bassa velocità massima sviluppabile; le cortine fumogene non servirono a nulla, né servì il violento e confuso fuoco di mitragliere che molti dei mercantili – alcuni dei quali credevano ancora di avere a che fare con un attacco di aerosiluranti – aprirono disordinatamente. Molte delle navi, continuando a non capire se fossero sotto attacco navale od aereo, non tentarono nemmeno di diradarsi e fuggire: Agnew scrisse poi che “sembrava che le navi mercantili stessero aspettando il loro turno per essere distrutte”.
Il Lance colpì ripetutamente Maria e Sagitta (oltre al Fulmine), mentre il Lively, che aprì il fuoco per ultimo (all’una di notte), colpì il Duisburg con sei salve, incendiandolo; l’Aurora fece lo stesso con il Rina Corrado e poi mitragliò il già malconcio Fulmine, che ricevette il colpo di grazia dal Penelope. Poi, rivolse le sue attenzioni alla Conte di Misurata.
Il guardiamarina
Ferrari avrebbe poi scritto nel suo rapporto che “era [sic] le 01.00 circa
quando si sentono all’improvviso colpi di cannone: l’allarme è istantaneo. A
tutta prima si rimane incerti. Subito dopo viene colpito il primo piroscafo,
sulla dritta: e il Maria ed il Sagitta”. Vedendo Maria e Sagitta colpiti
dal tiro delle navi britanniche, il comandante della pirocisterna, capitano di
lungo corso Mario Penco, ordinò di mettere la poppa al fuoco nemico e di
portare al massimo la velocità. Questi ordini vennero immediatamente eseguiti,
ma il tentativo di fuga ebbe breve durata: dopo pochi minuti due bengala si
accesero nel cielo del convoglio, ed uno di essi scese lentamente proprio sulla
Conte di Misurata, che divenne
immediatamente bersaglio delle artiglierie dell’Aurora. “Quindi” scrisse Ferrari
“vedo distintamente la prima bordata ad
un centinaio di metri sulla dritta”.
Inquadrata fin dalla prima salva, la sfortunata pirocisterna venne colpita ripetutamente alla linea di galleggiamento ed al fumaiolo, restando ben presto immobilizzata in preda alle fiamme.
Il comandante Penco ordinò a questo punto di fermare le macchine e di recarsi alle zattere; soldati e marinai si portarono sottovento rispetto alle fiamme, a centro nave sul lato sinistro, e misero a mare le zattere, sulle quali si imbarcarono tutti i presenti. Mentre l’equipaggio abbandonava la nave, proseguiva incessante il martellamento delle artiglierie nemiche, che via via stava letteralmente sfasciando la Conte di Misurata; una fitta pioggia di vapore bollente e di nafta si riversò sui naufraghi.
Quando tutti furono sulle zattere, il comandante Penco, il regio commissario Taranto ed il guardiamarina Ferrari tornarono in plancia, dove già divampavano le fiamme, per recuperare i documenti segreti. Ferrari non giunse mai in plancia, perché strada facendo fu colpito alla testa dal crollo di una grossa trave, che lo fece cadere in mare: soltanto l’elmetto lo salvò da una frattura al cranio, che in quelle circostanze avrebbe avuto conseguenze fatali.
Il cannoneggiamento era durato pochi minuti: l’Aurora sparò la prima salva contro la Conte di Misurata all’1.10, e l’ultima all’1.15. Tanto bastò a ridurre l’anziana pirocisterna in un relitto agonizzante.
Spinta dall’abbrivio, la Conte di Misurata continuava a muoversi in avanti pur essendosi ormai fermate le sue macchine; quando la pirocisterna l’ebbe sorpassato, il guardiamarina Ferrari poté vedere nitidamente sulla dritta la sagoma nera di quella che sembrava una silurante in avvicinamento. Da bordo della nave nemica alcune mitragliere aprirono un fuoco intenso contro il naufrago: Ferrari si vide inquadrato dai traccianti che lasciavano scie verdi nell’oscurità, uno dei quali scoppiò vicinissimo, provocandogli una leggera ferita al viso. Scampato anche a questo pericolo, dovette nuotare per portarsi sopravvento, onde non essere raggiunto dalla benzina in fiamme che galleggiava sulle onde. Tutt’intorno, il mare era illuminato a giorno dai roghi dei sette mercantili: poco più tardi uno di essi scompave in una tremenda esplosione, segno che le fiamme avevano raggiunto il carico di munizioni.
Non è chiaro quando
esattamente sia affondata la Conte di
Misurata: né le pubblicazioni ufficiali dell’USMM, né i saggi ed articoli
scritti in seguito dagli storici forniscono alcun dettaglio sugli orari di
affondamento di ciascuno dei mercantili del convoglio, limitandosi a dire che
alcuni affondarono subito, mentre altri bruciarono per ore prima d’inabissarsi.
Sembra comunque relativamente certo che la pirocisterna si sia inabissata entro
la prima mattina del 9 novembre. La posizione indicata è 37°08’ N e 18°09’ E (o
37°10’ N e 18°10’ E).
Dopo aver incendiato
la Conte di Misurata, l’Aurora cambiò ancora una volta bersaglio
ed aprì il fuoco contro la Minatitlan,
che venne ben presto trasformata in un enorme rogo; all’1.04 il Lance lanciò un siluro contro
quest’ultima, ritenendo di averla colpita, ed anche l’Aurora lanciò tre siluri contro altrettanti mercantili,
giudicando di averne colpiti due.
All’1.25 l’Aurora accostò a sinistra, di prora al convoglio (aggirandone la testa), per tagliargli la rotta ed assicurarsi che nessun mercantile potese sfuggire, indi “ridiscese” il convoglio lungo il suo lato sinistro ed all’1.45 diresse verso ovest per girargli intorno: tutti i mercantili erano ormai avvolti dalle fiamme. Alle 2.06, completata la propria opera di distruzione ed essendo ormai a corto di munizioni (il Penelope, ad esempio, aveva sparato 259 colpi da 152 mm e 111 da 120 mm nel giro di un’ora; l’Aurora, 279 colpi da 152 – di cui 122 dalla torre A, 124 dalla torre B e 33 dalla torre Y – e 73 da 120; il Lance, 434 colpi da 120, mentre mancano dati sul Lively), la Forza K passò a poppavia di ciò che restava del convoglio, accelerò a 25 nodi e diresse verso ovest per rientrare a Malta, dove giunse alle 13.05 di quello stesso giorno, senza aver subito alcun danno (eccetto uno lievissimo, un foro da scheggia, al fumaiolo del Lively), eludendo anche un attacco da parte di quattro aerosiluranti italiani.
Deludente la reazione della III Divisione: avvistate, all’1.01, le vampe dei cannoni della Forza K che aprivano il fuoco sul convoglio, le navi di Brivonesi accostarono a dritta, su rotta 240°, poi a sinistra; il Trieste aprì il fuoco all’1.03 ed il Trento due minuti dopo, da grandissima distanza (8 km). Mentre manovravano per impegnare le navi della Forza K, i due incrociatori italiani dovettero assistere alla mattanza del convoglio che avrebbero dovuto proteggere: Brivonesi scrisse poi che “Il tiro del nemico aveva un ritmo celere, e salve ben raggruppate che si potevano osservare seguendo le codette luminose dei proiettili. Se non alla prima, alla seconda salva un piroscafo era già in fiamme ed illuminava vividamente gli altri piroscafi contigui. Gli incendi degli altri piroscafi si sono seguiti con una rapidità inimmaginabile, tanto che alle 01.07, ossia sette minuti dopo dell’inizio dell’azione, tutti i piroscafi erano in fiamme. (…) quando il TRIESTE ha fatto partire la sua prima salva (alle ore 01.03) non meno di due piroscafi erano già stati colpiti ed incendiati e quando anche il TRENTO ha potuto iniziare il tiro (alle ore 01.05) quasi tutti i piroscafi erano già in fiamme; essi bruciavano tutti alle ore 01.07”. Brivonesi giudicò che tale risultato dipendesse dall’«ausilio prezioso fornito dagli strumenti radiotelegrafici di cui esso dispone, del munizionamento perfettamente adatto e dei congegni di tiro che esso impiega certamente nelle azioni notturne, ed anche dalla estrema infiammabilità del carico di tutti i piroscafi che costituivano il convoglio DUISBURG».
All’1.08 la III Divisione assunse rotta 180°; pur potendo raggiungere velocità superiori ai 30 nodi, Brivonesi mantenne inspiegabilmente la velocità delle sue navi a 15-16 nodi (la Forza K procedeva a 20 nodi), aumentandoli a 18 solo all’1.12, ed a 24 all’1.18. Intanto la Forza K aggirava il convoglio e ne completava la distruzione, coprendosi proprio con le cortine fumogene stese in precedenza dagli stessi cacciatorpediniere italiani per nascondere i mercantili.
Per via delle rispettive manovre, la III Divisione e la Forza K si ritrovarono a girare intorno al convoglio, scambiandosi inconsapevolmente di posizione (la III Divisione a sudovest del convoglio, la Forza K a nordest); il risultato fu che la Forza K, girando attorno ai mercantili, mantenne sempre il convoglio tra sé e gli incrociatori di Brivonesi (senza neanche volerlo, dato che Agnew non si era minimamente accorto della presenza di incrociatori italiani), il che intralciò non poco il tiro di questi ultimi: tra i cannonieri di Brivonesi ed i loro bersagli s’interponevano i mercantili incendiati ed il fumo generato da questi incendi.
Per quel che riguardava i quattro cacciatorpediniere della XIII Squadriglia, il Bersagliere, prima unità in assoluto ad avvistare il nemico, si era avvicinato alla Forza K facendo fuoco coi propri pezzi da 120, ma aveva ripiegato verso est dopo essere stato bersagliato dal tiro del Penelope; il Granatiere non sparò per la difficoltà di individuare i bersagli, troppo lontani, e per non farsi localizzare dal nemico, indi virò a dritta allontanandosi dalla III Divisione e finendo col passare in mezzo ai mercantili incendiati; Fuciliere ed Alpino, in seguito all’accostata, erano rimasti a poppavia degli incrociatori di Brivonesi e non riuscirono neanche ad avvistare le unità della Forza K.
All’1.25, essendo la distanza divenuta ormai eccessiva (alzo 17 km), la III Divisione cessò il fuoco: a quell’ora il convoglio "Duisburg" non esisteva ormai più. All’1.26 le navi della Forza K risultavano completamente nascoste dal fumo dei mercantili in fiamme. Gli incrociatori di Brivonesi avevano sparato 207 colpi da 203 mm e 82 da 100 mm, senza metterne uno solo a segno. All’1.29 l’ammiraglio fece assumere alle sue navi rotta nord e velocità 24 nodi per intercettare le unità britanniche che, aggirando verso nord i resti del convoglio, dirigevano verso Malta, ma l’incontro non avvenne in quanto Brivonesi, informato da Supermarina del possibile pericolo di un attacco di aerosiluranti, credette di trovarsi nel raggio d’azione di una portaerei britannica: pertanto, all’1.35 – siccome le sagome dei suoi incrociatori, profilandosi contro gli incendi dei mercantili, sarebbero state particolarmente vistose per gli aerei ed anche eventuali sommergibili nemici – assunse rotta nordovest, allontanandosi dal luogo dello scontro e dalla Forza K.
All’1.41 Maestrale, Libeccio, Euro ed Oriani assunsero rotta 90° (verso est), che seguirono per un po’ a 30 nodi di velocità, mentre il caposcorta Bisciani attendeva che giungesse qualche ordine o notizia sugli accadimenti in corso.
(Secondo una fonte, i quattro cacciatorpediniere si ritirarono una decina di miglia ad est del convoglio per riorganizzarsi, poi andarono al contrattacco, guidati dal Maestrale, aprendo il fuoco con le proprie artiglierie, ma astenendosi dal lanciare siluri per evitare di colpire i mercantili, che si trovavano al di là della Forza K. Le quattro unità di Bisciani seguitarono poi a fare fumo ed ad impegnare le navi britanniche ogni volta che queste divenivano visibili, senza però riuscire a concludere nulla. Niente di tutto ciò, però, risulta dall’approfondita ricostruzione dello scontro fatta dallo storico Francesco Mattesini).
All’1.44 l’ammiraglio Brivonesi ordinò a Bisciani di tornare presso i mercantili per recuperarne i naufraghi; alle due di notte i cacciatorpediniere, tutti spostatisi verso est seguendo il caposcorta (ormai distavano ben 17 miglia da quel che restava del convoglio), invertirono finalmente la rotta per riavvicinarsi al convoglio, procedendo a 18 nodi. Raggiunsero i relitti in fiamme alle tre di notte. Non vi era a galla un solo piroscafo che risultasse salvabile; alcuni erano già affondati, altri lo fecero più tardi.
Poco dopo le tre di
notte, i quattro cacciatorpediniere iniziarono a recuperare centinaia di
naufraghi dal mare cosparso di nafta e rottami; l’operazione di soccorso, cui
molto più tardi si unirono anche Fuciliere, Bersagliere ed Alpino della XIII Squadriglia,
proseguì per tutta la mattinata del 9 novembre.
Il guardiamarina Ferrari della Conte di Misurata, dopo aver trascorso diverse ore in acqua, sorretto dal giubbotto salvagente, venne infine recuperato dall’Oriani; “abbiamo avuto un’accoglienza ed un’assistenza veramente fraterna”, avrebbe scritto in seguito.
Intanto, il malconcio Grecale arrancava verso nord; alle quattro del mattino rimase definitivamente immobilizzato, per cui l’Oriani venne inviato a prenderlo a rimorchio per portarlo a Crotone.
Raggiunto il porto calabrese, l’Oriani vi sbarcò i feriti gravi e si separò dal Grecale, dopo di che fece rotta su Messina, dove giunse nella mattinata del 10 novembre.
Dalle 7.30 iniziarono a sopraggiungere sul luogo del disastro anche gli aerei: nel corso della giornata, si alternarono sui cieli delle navi superstiti numerosi caccia Messerschmitt Bf 110 del 26° Stormo da Caccia della Luftwaffe, dieci SM. 79 del 10° Stormo Bombardieri della Regia Aeronautica e 22 caccia italiani tra CR. 42 e Reggiane Re 2000 del 23° Gruppo Autonomo e Macchi Mc 200 del 7° Gruppo del 54° Stormo. Tali velivoli esercitavano vigilanza sia antiaerea sia antisommergibili.
La III Divisione Navale, invertita la rotta, tornò anch’essa sul luogo dove il convoglio era stato distrutto, giungendovi alle 9.20 ed unendosi ai superstiti cacciatorpediniere della scorta diretta in posizione 37°02’ N e 18°03’ E.
L’ultimo, amarissimo boccone di quella tremenda giornata la Marina italiana lo dovette inghiottire alle 6.40, quando il sommergibile britannico Upholder (capitano di corvetta Malcolm David Wanklyn), attirato sul posto dagli stessi ricognitori che avevano guidato la Forza K – durante la notte era stato visto navigare in superficie, tra le navi incendiate, dai naufraghi di alcuni dei mercantili –, silurò il Libeccio che stava rimettendo in moto dopo aver recuperato un gruppo di 150 naufraghi, in gran parte appartenenti al Fulmine. Privato della poppa, il Libeccio colò a picco alle 11.18, dopo un breve quanto penoso tentativo di rimorchio da parte dell’Euro; la maggior parte dell’equipaggio poté essere salvato, ma molti naufraghi erano stati uccisi dallo scoppio del siluro, che aveva colpito proprio i locali in cui erano stati portati per i primi soccorsi.
Ai cacciatorpediniere della scorta diretta si unirono, per il soccorso ai naufraghi, anche i cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco, Antoniotto Usodimare e Vincenzo Gioberti, usciti da Trapani, e le navi ospedale Virgilio, fatta appositamente uscire da Augusta ed arrivata alle 16.30, ed Arno, dirottata sul posto durante la navigazione da Bengasi all’Italia e giunta sul posto poco dopo le undici del mattino. Rientrate in porto tutte le altre unità, le due navi ospedale continuarono ad ispezionare la zona del disastro fino all’alba del 10 novembre, quando Supermarina, ritenendo inverosimile che potessero esservi ancora dei naufraghi da salvare, ordinò loro di tornare in porto.
In ventiquattr’ore di
ricerche erano stati tratti in salvo 764 naufraghi delle nove navi affondate:
401 dal Maestrale, 189 dall’Euro (compresi venti mitraglieri della Conte di Misurata), 48 dall’Oriani, 35 dall’Alpino, 34 dalla Virgilio,
21 dall’Arno, 20 dal Fuciliere, undici dal Bersagliere (che inoltre recuperò i
cinque uomini dell’equipaggio di un idrovolante CANT Z. 506 della 612a Squadriglia
Soccorso, incidentato durante un tentativo di ammaraggio). Una lancia del Rina Corrado con 13 superstiti,
evidentemente sfuggita alle ricerche, raggiunse Valona, in Albania, dopo
quattro giorni di navigazione.
Dell’equipaggio
civile della Conte di Misurata persero la vita nove uomini; non è
noto il numero dei sopravvissuti, tra i quali sembrerebbe esservi stato anche
il comandante Penco.
Dell’equipaggio militare, composto da due ufficiali (il guardiamarina di complemento Emilio Ferrari ed il tenente del Genio Navale Direzione Macchine Sebastiano Taranto), tre sottufficiali, quattro sottocapi, tredici cannonieri ed undici marinai, risultarono dispersi il regio commissario Sebastiano Taranto, due sottocapi e quattro cannonieri. Uno dei superstiti, il diciottenne cannoniere puntatore mitragliere Carmelo Aliberti, da Novara di Sicilia, rimase ferito.
Complessivamente, pertanto, le vittime dell’affondamento della Conte di Misurata risulterebbero essere state 16, mentre i superstiti furono 26 tra il personale militare, più un imprecisato numero di marittimi dell’equipaggio civile (la maggior parte).
I superstiti dell’equipaggio militare, dopo gli interrogatori da parte delle commissioni d’inchiesta, rientrarono a Napoli il mattino del 17 novembre.
La distruzione del
convoglio “Duisburg” ebbe un effetto particolarmente deleterio sulla situazione
delle forze italo-tedesche in Africa Settentrionale, che si ritrovarono
indebolite e a corto di rifornimenti dinanzi all’offensiva britannica
"Crusader", iniziata il 18 novembre e conclusasi a fine dicembre,
dopo alterne vicende, con la conquista britannica dell’intera Cirenaica, per la
seconda volta dall’inizio della guerra. Le forze dell’Asse avevano dovuto
abbandonare l’assedio di Tobruk a inizio dicembre, a causa della mancanza di
rifornimenti. Mussolini scrisse a Hitler in una lettera, facendo riferimento
alla distruzione del convoglio “Duisburg”: "L’esito della battaglia fu compromesso sul mare, non sulla terra.
Gravissima fu la perdita dell’intero convoglio di sette navi, che portavano
reparti tedeschi di carri armati".
Il genero di Mussolini e ministro degli Esteri, Galeazzo Ciano, descrisse l’accaduto nel suo diario in termini estremamente caustici, come del resto era solito fare: «9 novembre. Dal 19 settembre non avevamo più tentato di far passare un convoglio per la Libia [questa affermazione non risponde a verità: tra il 19 settembre – data dell’affondamento dei grossi trasporti truppe Neptunia ed Oceania – ed il 9 novembre erano stati inviati in Libia oltre una dozzina di convogli]: ogni prova era stata pagata a caro prezzo e le perdite subite dal naviglio mercantile erano salite a proporzioni tali da dissuadere da ogni ulteriore esperimento [le perdite nei mesi di settembre e ottobre 1941 tra i rifornimenti inviati in Libia via mare erano salite al 23 %, rispetto al 9 % del mese di agosto. Come detto, comunque, ciò non arrestò l’invio di convogli, contrariamente a quanto affermato da Ciano, fino all’arrivo della Forza K il 21 ottobre]. Stanotte si è voluto nuovamente tentare: la Libia abbisogna di materiali, di armi, di carburanti ogni giorno di più. E il convoglio di sette piroscafi è partito, scortato da ben 10 cacciatorpediniere e due incrociatori da 10.000, perché si sapeva che Malta ospitava da qualche tempo due navi di superficie inglesi destinate a far da lupo nel gregge. Lo scontro è avvenuto, con risultati inesplicabili. Tutti, dico tutti i piroscafi affondati, uno, forse due o tre caccia perduti. Gli inglesi sono rientrati dopo aver fatto strage. Naturalmente, oggi, i nostri vari Stati Maggiori tirano fuori il solito immancabile e immaginario affondamento di un incrociatore inglese a mezzo di aerosiluro; nessuno ci crede. Mussolini stamani era depresso e indignato. La cosa avrà indubbiamente ripercussioni profonde in Italia, in Germania e soprattutto in Libia. In queste condizioni non abbiamo proprio alcun diritto di lamentarci se Hitler manda Kesselring a fare il Comandante del Sud. 10 Novembre. Le fotografie della ricognizione aerea danno le quattro navi inglesi ormeggiate nel porto di Malta. Ciò nonostante nel bollettino si è annunciato che uno degli incrociatori è stato colpito. Pricolo lo sostiene e porta come argomento il fatto che questa nave e andata ad ormeggiarsi vicino al bacino di ormeggio. Il che corrisponde a dichiarare che un uomo è probabilmente un po’ morto perché è andato ad abitare vicino al cimitero. Buffoni. Tragici buffoni che hanno condotto il paese alla necessità odierna di accettare, anzi d’invocare l’intervento straniero per averne protezione e difesa. Ormai, fino a quando non saranno venuti i tedeschi, l’aviazione inglese dominerà i nostri cieli al pari dei propri. Ho domandato a Cavallero che cosa sarà fatto all’ammiraglio responsabile. Intanto, fino a ier sera Cavallero ne ignorava persino il nome. Gli ho ricordato che l’Italia democratica di Ricasoli ebbe il coraggio di mettere sotto processo Persano quando dopo Lissa telegrafò di essere rimasto padrone delle acque. L’ho detto anche a Mussolini, che continua ad essere depresso e che giudica – a ragione – la giornata di ieri quale la più umiliante dal principio della guerra. “Sono ormai 18 mesi che attendo una buona notizia, che non giunge mai. Sarei fiero di mandare anche io un telegramma come quello che Churchill ha mandato al suo Ammiraglio, ma invano da troppo tempo ne ricerco l’occasione.” (…) 13 novembre. Alla Marina sono scandalizzati di quanto è accaduto in Mediterraneo, ma con un Comando come l’attuale è impossibile attendersi meglio. Bigliardi mi ha descritto le fasi dell’incontro. Tutto sarebbe inspiegabile se non si sapesse che l’Ammiraglio Brivonesi era stato giudicato, da Cavagnari, inidoneo al Comando».
Lo stesso 9 novembre la Seekriegsleitung (SKL), l’alto comando della Marina tedesca, metteva sotto accusa la Marina italiana nei suoi primi commenti sull’accaduto: «Secondo radiomessaggi dell’incrociatore italiano TRIESTE il 51° trasporto marittimo è stato attaccato ad Est della Sicilia da 2 incrociatori leggeri inglesi e cacciatorpediniere dopo le 0100. Circa l’attacco La Marina italiana comunica che tutti i 7 piroscafi del convoglio per un tonnellaggio complessivo di 39.060 t.s.l. sono stati distrutti. Del carico tedesco si trovavano a bordo 217 veicoli, 4.359 t di materiale bellico e 78 soldati. Della forza di scorta italiana, che consisteva degli incrociatori TRIESTE e TRENTO e di 10 cacciatorpediniere complessivamente. Due cacciatorpediniere sono stati affondati e uno gravemente danneggiato. Secondo il comunicato italiano anche gli incrociatori nemici devono essere stati colpiti e, inoltre, durante il successivo rientro a Malta, attaccati con successo da aerosiluranti. Altre notizie non sono ancora disponibili. Già le informazioni disponibili fanno intendere che la distruzione di questo convoglio, con il quale, attraverso la protezione di una scorta nettamente prevalente, si tentava, dopo un’attesa di settimane, di forzare il blocco del traffico con Tripoli portato da due incrociatori leggeri, e spiegabile solo con l’erronea condotta delle forze navali italiane. Il significato e le conseguenze di questa sconfitta sono da considerarsi esattamente serie». L’indomani la SKL aggiungeva: «Il rapporto della Marina italiana contiene nei dettagli sulla catastrofe del convoglio 51 anche la notizia che uno dei cacciatorpediniere distrutti sia stato affondato dal siluro di un sommergibile, dal che si deve desumere l’eccellente cooperazione tattica delle forze leggere di superficie con le forze aeree e subacquee. Inoltre devono essere stati salvati molti naufraghi delle navi italiane. Due navi ospedale proseguono la ricerca. Il rapporto dell’Ammiraglio britannico lascia intendere, che al momento dell’attacco gli incrociatori di scorta italiana con 4 cacciatorpediniere si trovavano manifestamente tanto lontano dal convoglio che ha potuto essere portato a termine il cannoneggiamento di tutti i piroscafi senza intervento degli incrociatori. Il rapporto nega che le unità inglesi abbiano riportato qualsivoglia danno....... I trasporti per il Nord Africa sono sospesi». Il 15 novembre, dopo aver ricevuto il rapporto dell’ammiraglio Eberhard Weichold (ufficiale di collegamento tedesco presso Supermarina), l’alto comando della Kriegsmarine registrava infine che «Una prima sintetica valutazione del Capo del Comando Marina in Italia riguardante la distruzione del 51° convoglio si chiuse con la constatazione che l’andamento dell’operazione conferma di nuovo quanto si sapeva e ripetutamente si è segnalato dell’insufficiente adestramento tattico e allo impiego delle armi delle forze navali italiane. Per giunta il comando dell’ammiraglio italiano comandante degli incrociatori, chiaramente non all’altezza della situazione, ha facilitato agli inglesi il pieno successo contro le forze navali italiani di gran lunga prevalenti. L’ammiraglio responsabile è stato sostituito dall’ammiraglio Parona».
Anche più critico era stato l’addetto navale tedesco a Roma, ammiraglio Werner Löwisch, in una conversazione telefonica tenuta il 12 novembre con il capitano di vascello Carlo Tallarigo, sottocapo di gabinetto dell’ammiraglio Riccardi: Tallarigo riferì a Supermarina che «L’ammiraglio Löwisch ritornando da Berlino mi ha comunicato che l’Alto Comando della Marina Tedesca attribuisce i mancati successi della Marina Italiana soprattutto all’essere stato il nostro addestramento notturno di navi maggiori e minori assolutamente insufficiente. A questo proposito l’ammiraglio Löwisch mi diceva di essere rimasto colpito dalla primitività delle operazioni notturne che egli aveva avuto occasione di seguire sul “Duca degli Abruzzi” prima della guerra e di avere notato come attrezzatura di mezzi (binocoli, occhiali, caschi, ecc.) fossero di gran lunga inferiori non solo a quelli della Marina Tedesca ed inglese, ma anche a quella di altre marine meno progredite. L’ammiraglio Löwisch mi raccontava per esempio che su 150 esercitazioni da lui compiute al Comando dell’incrociatore “Leipzig”, 130 erano state notturne. In particolare la Marina Tedesca ha notato: a) Per le grandi navi mancanza di telemetri e rilevatori notturni già in uso da anni nella marina inglese. b) Per le siluranti mancanza di uno strumento di punteria notturna che permettesse l’apertura del tiro a distanza superiore a 10 mila metri ciò che l’Ammiraglio Löwisch mi ha detto avvenire comunemente nella Marina Tedesca. c) Per i sommergibili insufficiente rapidità di immersione, mancanza di siluro elettrico. L’ammiraglio Löwisch mi ha anche comunicato di essere perfetta convinzione dell’Alto Comando della Marina Tedesca che tali deficienze della Marina Italiana fossero perfettamente note ai comandi inglesi che hanno quindi cercato di sfruttare a loro vantaggio tali deficienze nel cercare sempre il combattimento notturno ed evitare in genere quello diurno».
Gli stessi ammiragli italiani non tardarono a riconoscere che Löwisch aveva pienamente ragione: l’ammiraglio Angelo Iachino, comandante della Squadra Navale, rilevò nei suoi rapporti l’inferiorità tecnica, tattica ed addestrativa della Regia Marina rispetto alla Royal Navy nel combattimento notturno e nella direzione del tiro; l’ammiraglio Lorenzo Gasparri, capo dell’Ispettorato Artiglieria e Munizionamento, denunciò in una lettera inviata a Supermarina il 3 dicembre che «Questo Ispettorato aveva da molto tempo tratto dai risultati dolorosamente negativi sugli scontri notturni la convinzione che i mezzi e la preparazione degli uomini per il tiro notturno erano assolutamente inadeguati alle necessità della guerra. La questione del tiro notturno fu infatti la prima delle quattro per le quali (nel 1939) furono richiesti e si ebbe scambi di notizie con la Marina germanica».
La condotta dell’ammiraglio Brivonesi e del capitano di vascello Bisciani, ritenuta tardiva e poco decisa, venne duramente criticata dagli alti Comandi della Marina; entrambi vennero rimossi dal comando, e Brivonesi fu anche deferito alla corte marziale. Tanto l’ammiraglio Wladimiro Pini, comandante del Dipartimento Militare Marittimo del Basso Tirreno, quando il capo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio Arturo Riccardi, ed il comandante della Squadra Navale, ammiraglio Angelo Iachino, furono molto critici verso il comportamento dei cacciatorpediniere della scorta diretta.
La distruzione del convoglio “Duisburg” creò un’atmosfera di nervosismo ed insicurezza presso Supermarina, e determinò una nuova interruzione del traffico convogliato verso Tripoli: per una decina di giorni vennero inviati in quel porto solo convogli veloci di unità militari in missione di trasporto e qualche convoglietto di piroscafi di modesto tonnellaggio (attorno alle 1000 tsl), mentre venne di converso intensificato l’invio di convogli a Bengasi, porto più vicino alla prima linea anche se in grado di ricevere meno navi, ma soprattutto raggiungibile seguendo una rotta – partenza da Taranto o Brindisi ed eventuale scalo intermedio a Navarino – meno esposta ad eventuali attacchi navali provenienti da Malta.
Questi provvedimenti però ebbero comunque l’effetto di determinare una riduzione della quantità complessiva di rifornimenti giunti in Libia: tra perdite in mare e mancati invii, proprio il 9 novembre Rommel scriveva al Comando Supremo della Wehrmacht che a fine ottobre erano giunte a Bengasi solo 8093 tonnellate di rifornimenti su 60.000 previste (dato che per la verità sembra esagerato, se si considera che nel mese di ottobre le perdite di materiale sulle rotte della Libia furono del 23 %, dunque il 77 % dei rifornimenti partiti era pur giunto in Libia; ma forse l’aumento delle perdite provocò una riduzione nel flusso dei convogli e quindi parte dei materiali non partì neanche), che un terzo dell’artiglieria e vari reparti comunicazioni da impiegare nel previsto attacco contro Tobruk non sarebbero arrivati prima del 20 novembre, e che su tre divisioni italiane chieste per l’offensiva di novembre ne era arrivata soltanto una, per giunta a ranghi incompleti. Il mese di novembre 1941 fu in effetti il più nero della “battaglia dei convogli”: le perdite tra i carichi inviati in Libia sfiorarono il 70 %, percentuale mai lontanamente raggiunta prima e mai più raggiunta in seguito (in generale, anche nei mesi peggiori di fine 1942 e inizio 1943 le perdite rimasero sempre molto al disotto del 50 %: in ventuno dei trentuno mesi della battaglia dei convogli per la Libia, le perdite di rifornimenti in mare rimasero al di sotto del 20 %); e per il rifornimento più importante, il carburante, questa percentuale raggiungeva un impressionante 92 %.
Il 13 novembre Rommel volò a Roma a discutere la situazione con il maresciallo Cavallero; quest’ultimo reiterò le richieste italiane di un invio di bombardieri della Luftwaffe per riprendere il martellamento aereo di Malta.
Il comandante della Forza K, capitano di vascello Agnew, per parte sua descrisse così le motivazioni del suo successo contro il convoglio “Duisburg”: «a) accuratissimo messaggio del Maryland nel pomeriggio dell’8 novembre in seguito al quale la Forza K salpò da Malta alle 17.30; b) eccezionale fortuna della divisione navale britannica nell’intercettare subito il suo obiettivo; c) addestramento specifico della stessa Forza K alla ricerca e alla distruzione dei convogli nemici in ore notturne; d) grossolana negligenza da parte della Marina italiana». Per questa vittoria, Agnew venne insignito dell’Ordine del Bagno; il 27 novembre 1941, dopo che la Forza K aveva distrutto un altro convoglio (il «Maritza»), Churchill gli inviò un messaggio di congratulazioni: “Molte congratulazioni l’eccellente lavoro che avete svolto fin dal vostro arrivo a Malta, dite a nome mio ai vostri uomini di ogni grado che le due imprese nelle quali sono stati impegnati, vale a dire la distruzione dei convogli nemici l’8 novembre (…) hanno giocato un ruolo decisivo nella grande battaglia che sta ora infuriando in Libia (…) Tutti coloro che hanno partecipato possono essere orgogliosi di essere stati di grande aiuto alla Gran Bretagna ed alla nostra causa”.
Il primo tentativo di inviare a Tripoli un altro convoglio di mercantili di medio-grandi dimensioni dopo il disastro del “Duisburg”, il 21 novembre 1941, fallì a causa degli attacchi aerei e subacquei britannici, che provocarono il danneggiamento di due incrociatori ed il rientro in porto dei mercantili; fu necessario proseguire con espedienti di emergenza (missioni di trasporto da parte di navi da guerra, invio di mercantili veloci isolati che avevano più probabilità di sfuggire all’avvistamento, incremento del traffico con Bengasi) fino a metà dicembre, quando una serie di eventi concomitanti determinarono un forte indebolimento delle forze aeronavali britanniche nel Mediterraneo, dando così inizio ad un periodo di rinnovata “tranquillità” per i convogli italiani.
La Forza K sarebbe rimasta una spina nel fianco delle linee di rifornimento via mare dell’Asse fino al 18 dicembre 1941, quando, a caccia di convogli al largo di Tripoli, andò a finire su un campo minato posato in quelle acque da unità italiane proprio per una simile evenienza.
La Servian su Searlecanada
La Servian su Sunderlandships
La Conte di Misurata su Wrecksite
La Conte di Misurata nel registro del R.I.N.A. del 1932
Requisitioned Auxiliary British Marquis
Petroleum Review, numero del 29 agosto 1905
Il disastro del convoglio Duisburg
Requisitioned Auxiliary British Peer
15 dicembre 1940
La Conte di Misurata, la motonave Narenta ed il piroscafo da carico Scarpanto, adibiti a traffico civile, lasciano Valona alle 7 con la scorta della torpediniera Calatafimi, raggiungendo Brindisi alle 18.15.
24 gennaio 1941
La Conte di Misurata, la pirocisterna Lina (adibita a traffico civile) ed i piroscafi Arpione e Giacomo C. salpano da Bari per Durazzo alle 00.30, scortati dalla torpediniera Aretusa e dalla nave scorta ausiliaria Eolo, trasportando foraggio e carburante. Il convoglio raggiunge Durazzo alle dieci del mattino.
27 gennaio 1941
Alle 17.30 la Conte di Misurata ed i piroscafi Absirtea ed Arpione, tutti scarichi, lasciano Valona con la scorta della torpediniera Angelo Bassini.
28 gennaio 1941
Il convoglio raggiunge Brindisi alle 8.
8 marzo 1941
La Conte di Misurata ed i piroscafi Piemonte e Sant’Agata trasportano 2879 militari, 693 quadrupedi, otto veicoli e 395 tonnellate di materiali da Brindisi a Valona, con la scorta della torpediniera Castelfidardo.
11 marzo 1941
La Conte di Misurata ed i piroscafi Lido ed Ugo Bassi lasciano scarichi Valona alle sette del mattino, scortati dalla torpediniera Nicola Fabrizi. Il convoglio raggiunge Brindisi alle 15.30.
5 aprile 1941
La Conte di Misurata ed il piroscafo Argentea, scortati dalla torpediniera Giuseppe Cesare Abba e dall’incrociatore ausiliario Brioni, trasportano 1099 militari e 104 tonnellate di materiali vari da Brindisi a Valona.
6 aprile 1941
La Conte di Misurata lascia scarica Valona alle 20.30, scortata dalla torpediniera Monzambano.
7 aprile 1941
Conte di Misurata e Monzambano arrivano a Brindisi alle otto del mattino.
La Conte di Misurata salpa da Tripoli diretta Napoli in mattinata, con la scorta dell’incrociatore ausiliario Attilio Deffenu.
11 aprile 1941
Conte di Misurata e Deffenu giungono a Napoli alle 11.
Requisita a Genova dalla Regia Marina, senza essere iscritta nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato.
23 ottobre 1941
In preparazione della sua prossima partenza per l’Africa Settentrionale, la Conte di Misurata imbarca alcune mitragliere singole da 20 mm, quale rinforzo al proprio armamento antiaereo, ed un nucleo di mitraglieri della Regia Marina ad esse addetti. Le operazioni d’imbarco delle mitragliere e del relativo materiale sono interrotte da un allarme aereo della durata di un’ora.
24 ottobre 1941
Mentre la Conte di Misurata è in navigazione in convoglio verso Palermo, intorno alle 00.30 la formazione viene illuminata da due bengala; il comandante del nucleo mitraglieri, guardiamarina di complemento Emilio Ferrari, dà l’allarme con il megafono, ma non si verifica nessun attacco. A più riprese, ad intervalli quasi regolari, si sente rumore di aerei, ma non viene sganciata nessuna bomba o siluro; Ferrari ne dedurrà che, data anche l’alta quota a cui volano gli aerei e la notte molto ventosa, i bengala servano non a segnalare il convoglio per un attacco, ma a guidare sulla rotta del ritorno dei bombardieri che rientravano a Malta dopo un’incursione su Napoli.
Verso le nove di mattina la Conte di Misurata raggiunge Palermo e si ormeggia al Molo Piave, dove dovrà completare il carico di nafta.
25-29 ottobre 1941
Durante la sosta a Palermo, la Conte di Misurata viene attaccata a più riprese da varie ondate di bombardieri, senza tuttavia mai subire danni.
L’ultimo attacco ha luogo nella notte tra il 28 ed il 29; durante l’ultima ondata, intorno alle tre di notte del 29, la nebbia artificiale emessa per occultare le navi ormeggiate nel porto si dirada, il che permette agli aerei attaccanti – complice la notte serena e luminosa, con eccellente visibilità notturna – di meglio localizzare Conte di Misurata e Rina Corrado, prendendoli particolarmente di mira. I mitraglieri sulla Conte di Misurata effettuano tiro in caccia e costringono gli aerei a sganciare le bombe prima dell’obiettivo. Molte bombe cadono nelle immediate vicinanze, ma né la Conte di Misurata né il Rina Corrado subiscono danni.
6 novembre 1941
La Conte di Misurata ed il Rina Corrado, scortati dai cacciatorpediniere Libeccio, Grecale ed Alfredo Oriani, salpano da Palermo pochi minuti prima di mezzanotte, diretti a Messina.
7 novembre 1941
Dopo una navigazione tranquilla, la Conte di Misurata e le altre navi giungono a Messina verso le due del pomeriggio. Qui la Conte di Misurata riceve dal cacciatorpediniere Maestrale, caposcorta del costituendo convoglio, le ultime istruzioni sulla navigazione in convoglio.
(g.c. Guglielmo Lepre, via www.xmasgrupsom.com) |
Convoglio “Duisburg”
Insieme alla Conte di Misurata uscirono da Messina il piroscafo Rina Corrado (capitano di lungo corso Guglielmo Schettini) e la loro scorta, i cacciatorpediniere Grecale (capitano di fregata Giovanni Di Gropello), Libeccio (capitano di fregata Corrado Tagliamonte) ed Alfredo Oriani (capitano di fregata Vittorio Chinigò). Queste cinque navi formavano il secondo gruppo di un grande convoglio, denominato «Beta», in partenza per la Libia con un ingente quantitativo di rifornimenti per le truppe italo-tedesche operanti in Nordafrica: in tutto costituivano tale convoglio sette navi mercantili e sei cacciatorpediniere di scorta.
Il primo e più numeroso gruppo del convoglio, salpato da Napoli il giorno precedente, era formato dalla motonave Maria (capitano di lungo corso Angelo Pogliani), dal piroscafo italiano Sagitta (capitano di lungo corso Domenico Ingegneri), dalla motonave cisterna Minatitlan (capitano di lungo corso Guido Incagliati) e dai piroscafi tedeschi Duisburg (capitano di lungo corso Arno Ostermeier, capoconvoglio) e San Marco (capitano di lungo corso Paul Ossemberg), scortati dai cacciatorpediniere Maestrale (caposcorta, capitano di vascello Ugo Bisciani), Euro (capitano di corvetta Giuseppe Cigala Fulgosi) e Fulmine (capitano di corvetta Mario Milano). La riunione dei due gruppi era prevista per il mattino dell’8 novembre, nello stretto di Messina.
L’invio a Malta della Forza K scaturiva da una richiesta originatasi direttamente dal primo ministro britannico Winston Churchill, il 22 agosto 1941, per mezzo di una lettera spedita all’Ammiragliato britannico: intervenendo in una diatriba in corso fin da inizio luglio tra l’Ammiragliato ed il Comitato dei Capi di Stato Maggiore, nella quale si lamentava l’insufficienza dei mezzi a disposizione della Mediterranean Fleet per assolvere il suo compito di contrasto all’invio di rifornimenti dall’Italia alla Libia, Churchill proponeva di dislocare a Malta una forza leggera composta da uno o due incrociatori ed unità sottili. La risposta fu la costituzione della Forza K.
Tra il 21 ottobre e l’8 novembre la nuova forza britannica di base a Malta aveva già compiuto due tentativi di scorreria notturna, ma senza successo: nelle notti del 25-26 ottobre e dell’1-2 novembre, infatti, le navi della Forza K erano uscite in mare per intercettare rispettivamente un convoglio italiano (piroscafi Capo Orso e Tinos e cacciatorpediniere Strale, in navigazione da Bengasi a Brindisi) ed una formazione di cacciatorpediniere in missione di trasporto (per altra fonte, un altro convoglio, formato dai piroscafi Iseo e Bolsena e dalla torpediniera Procione, anch’esso partito da Bengasi e diretto a Brindisi), entrambi segnalati dall’organizzazione “ULTRA” in seguito alla decrittazione di messaggi in codice italiani, ma non erano riuscite a trovare né l’uno né l’altra ed erano rientrate a mani vuote.
La sospensione dei traffici da parte italiana, ordinata il 22 ottobre (dopo che l’arrivo a Malta delle navi britanniche, segnalato dallo spionaggio italiano nell’isola, era stato confermato anche dalla ricognizione aerea) dal capo di Stato Maggiore della Regia Marina, ammiraglio Arturo Riccardi (che aveva altresì sollecitato un’intensificazione dei bombardamenti su Malta da parte dell’Aeronautica, invitando al contempo il Comando Supremo a fare pressione sull’alleato tedesco affinché i reparti aerei della Luftwaffe, ritirati dal Mediterraneo qualche mese prima, venissero riportati in Italia), era durata pochi giorni: poi era dovuta inevitabilmente riprendere, data la necessità di far avere nuovi rifornimenti alle forze di Rommel, a maggior ragione in vista della già citata nuova offensiva prevista per il 21 novembre, la cui preparazione richiedeva rifornimenti urgenti di considerevoli quantitativi di munizioni, carburanti ed automezzi. Per prima cosa si era ripreso ad inviare mercantili isolati o a coppie a Bengasi; poi si era deciso l’invio del convoglio «Beta», che però sarebbe stato mandato a Tripoli, porto molto più lontano dalla prima linea, invece che a Bengasi: quest’ultimo porto, infatti, non era in grado di ricevere e scaricare un convoglio tanto grande. Non era possibile inviare rapidamente in Libia i rifornimenti previsti per la nuova offensiva utilizzando soltanto Bengasi; c’erano per la verità anche altri porti della Cirenaica (Bardia, Derna, Ain-el-Gazala) che per la loro posizione avrebbero potuto essere raggiunti senza grande rischio di essere attaccati da Malta, ma le loro capacità ricettive erano ancora più ridotte di quelle di Bengasi, ed inoltre tali approdi erano troppo esposti agli attacchi aerei provenienti dalle basi dell’Egitto. In tutta la Libia, soltanto Tripoli era in grado di ricevere e scaricare i quantitativi di rifornimenti necessari per la preparazione dell’offensiva, od anche solo per la normale “sopravvivenza” dell’armata italo-tedesca. Pertanto, fin da inizio novembre l’ammiraglio Arturo Riccardi, capo di Stato Maggiore della Regia Marina, si era ritrovato insistentemente “pressato” affinché si riprendesse il prima possibile il traffico con Tripoli, a partire dall’invio dei numerosi mercantili, tra cui due navi cisterna – Conte di Misurata e Minatitlan –, già carichi ed in attesa dell’ordine di partenza nei porti del Sud Italia. Il 3 novembre Supermarina aveva risposto che il convoglio richiesto sarebbe potuto essere preparato subito, a patto che gli fosse stata fornita una scorta aerea sia diurna che notturna; ma la scorta aerea notturna era al di fuori delle possibilità della Regia Aeronautica e della Luftwaffe, per cui si era dovuto organizzare il convoglio «Beta» accontentandosi della sola scorta diurna.
In origine Supermarina aveva stabilito che Conte di Misurata e Rina Corrado sarebbero dovuti partire da Palermo, invece che da Messina, e con la scorta dei soli Grecale e Libeccio (l’Oriani non avrebbe fatto parte della scorta del convoglio, mentre nella scorta del gruppo proveniente da Napoli ci sarebbe dovuto essere un cacciatorpediniere in più, l’Antoniotto Usodimare, che poi non partecipò all’operazione); questo gruppo si sarebbe dovuto unire a quello proveniente da Napoli 20 miglia a nord di Pantelleria. Era inoltre previsto che il convoglio dovesse salpare tra il 4 ed il 5 novembre, raggiungendo Tripoli la sera del 6 novembre. Di ciò Supermarina aveva informato Superaereo il mattino del 3 novembre, con l’avviso a mano unica copia n. 7324; il Comando Superiore dell’Aeronautica aveva impartito le disposizioni per la scorta del convoglio con aerei da caccia, voli di vigilanza e ricognizione, il bombardamento dei porti ed aeroporti di Malta e l’approntamento su allarme dei reparti aerei, ma poco dopo Supermarina aveva fatto sapere che la partenza del convoglio era rimandata per via delle avverse condizioni meteomarine. Per la verità, più che un miglioramento del tempo i vertici della Marina aspettavano di poter chiarire quali scorte aeree e navali sarebbero state disponibili, ed erano ancora incerti sulla rotta da seguire (inizialmente si era pensato di far passare il convoglio ad ovest di Malta, seguendo la rotta del Canale di Sicilia, ma alla fine si decise invece per la rotta ad est di Malta, tracciando un percorso molto allargato che passasse vicino alla costa occidentale greca per tenersi lontano dal raggio d’azione degli aerosiluranti maltesi). Si sarebbe voluto aspettare almeno una settimana, confidando nel previsto arrivo in Sicilia dei 30 bombardieri tedeschi Ju 88 del Kampfgruppe 606 della Luftwaffe, che il sottocapo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio Luigi Sansonetti, giudicava «particolarmente adatti alla lotta su Malta». Ma non c’era tanto tempo a disposizione: il Comando Supremo premeva perché quegli urgenti rifornimenti venissero inviati a Tripoli al più presto, accettando «il rischio e il prezzo» che si sarebbe dovuto pagare, come riferì per telefono l’ammiraglio Sansonetti all’ammiraglio Angelo Iachino, comandante in capo della Squadra Navale.
Il 5 novembre il capo di Stato Maggiore generale, Ugo Cavallero, aveva ordinato personalmente al generale Giuseppe Santoro, sottocapo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, di garantire al convoglio una adeguata scorta aerea. Per parte sua Supermarina, al fine di scongiurare eventuali attacchi da parte delle navi di superficie britanniche che si sapeva ora avere base a Malta, assegnò al convoglio, oltre ai soliti cacciatorpediniere della scorta diretta, anche una scorta indiretta formata da due incrociatori pesanti, aventi armamento nettamente superiore a quello degli incrociatori britannici di Malta: la III Divisione Navale dell’ammiraglio Bruno Brivonesi, con Trento e Trieste. In un primo momento si era optato per l’VIII Divisione Navale, di base a Palermo e composta dai due grossi incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi (i più moderni e potenti incrociatori del tipo presenti nei ranghi della Regia Marina, nettamente superiori ad Aurora e Penelope), ma poi si era ritenuto meglio utilizzare degli incrociatori pesanti.
L’ammiraglio Brivonesi, che aveva già compiuto altre missioni di scorta convogli, fin dal maggio 1941 aveva avanzato dei dubbi sulla realizzabilità e opportunità di una scorta ravvicinata ad un convoglio da parte di grossi incrociatori: in caso di allarme, infatti, con le improvvise accostate e dispersioni di unità che conseguivano spesso a tali situazioni, aumentava il rischio di collisioni o di incidenti di fuoco amico; per quanto riguardava la posizione da far assumere gli incrociatori, Brivonesi riteneva che l’unica abbastanza soddisfacente fosse una posizione a poppavia del convoglio, che oltre a proteggere il lato poppiero avrebbe consentito di intervenire rapidamente in caso di attacco sia sul lato dritto che su quello sinistro, e di manovrare tempestivamente in armonia col convoglio. Tenere gli incrociatori a proravia del convoglio, infatti, risultava difficile sul piano pratico e non consentiva di proteggerne né i fianchi né il lato poppiero; tenerli su un lato sarebbe stato più semplice, avrebbe consentito di proteggere adeguatamente soltanto quel lato, lasciando scoperto l’altro.
Il 6 novembre, Supermarina aveva comunicato a Superareo i particolari dell’operazione con l’Avviso n. 7401: i mercantili Duisburg, San Marco, Maria, Minatitlan e Sagitta sarebbero dovuti partire da Napoli alle cinque del 7 novembre, scortati da sette cacciatorpediniere della Squadriglia «Maestrale» (quest’ultima essendo la nave caposcorta), ed avrebbero fatto rotta sud verso lo stretto di Messina, ove si sarebbero uniti al convoglio Conte di Misurata e Rina Corrado, provenienti da Palermo con la scorta di altri tre cacciatorpediniere. I quattro cacciatorpediniere della XIII Squadriglia (capitano di vascello Ferrante Capponi: Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino, partiti da Napoli insieme al primo gruppo del convoglio, che avevano seguito a distanza) si sarebbero poi uniti alla III Divisione Navale, mentre il convoglio così formato sarebbe entrato in Mar Ionio con la scorta degli altri sei caccia; la formazione avrebbe fatto rotta su Tripoli e la III Divisione, partita da Messina, avrebbe fornito protezione al convoglio con speciale attenzione a minacce provenienti da Malta. Alle 19 del 10 novembre il convoglio si sarebbe ormai trovato prossimo a Tripoli, dunque il gruppo «Trieste» avrebbe invertito la rotta per tornare alla base, mentre i mercantili e la scorta diretta avrebbero raggiunto Tripoli alle 17.30 dell’11 novembre. Per precauzione nel caso di intercettazioni, il messaggio non indicava i nomi dei porti, sostituendoli con nominativi convenzionali: ad esempio, "punto Base" per Messina, "punto Lunghezza" per Tripoli. Per quanto riguardava la copertura aerea, gli idrovolanti della Ricognizione Marittima di base a Messina avrebbero fornito scorta aerea antisommergibili sia al convoglio che alla III Divisione fino al tramonto dell’8 novembre, per un raggio di 100 miglia dalle coste della Sicilia. Il 9 ed il 10 novembre, invece (durante l’avvicinamento e l’arrivo a Tripoli del convoglio), se ne sarebbero occupati gli idrovolanti della Ricognizione Marittima di base a Tripoli. Gli idrovolanti di Messina avrebbero poi riassunto la protezione della III Divisione, di ritorno alla base, quando questa fosse giunta a 100 miglia dalla costa siciliana, nella giornata dell’11 novembre.
Il convoglio avrebbe seguito la rotta che passava ad est di Malta; complessivamente, i sette mercantili avrebbero trasportato in Nordafrica 34.473 tonnellate di materiali (di cui 17.281 tonnellate di carburante e 1579 di munizioni), 389 autoveicoli (172 italiani e 217 tedeschi), una motobarca e 243 uomini (145 militari italiani, 77 militari tedeschi e 21 civili diretti in Libia). Il carico era stato preparato dalla Direzione Superiore Trasporti dello Stato Maggiore dell’Esercito, che il 29 ottobre aveva comunicato al Comando Supremo, a Supermarina ed a Superareo, con lettera intitolata 60252M (“Avviamento piroscafi in A.S.I.”): «Il convoglio di prossima partenza, comprendente 5 piroscafi e due navi cisterna di grosso tonnellaggio ha un complessivo carico di circa: 26.000 tonn. di materiali e carburanti alla rinfusa; 10.666 fusti di benzina; 470 automezzi. Le navi con carico germanico hanno a bordo artiglierie e mezzi di attacco di notevolissima importanza ai fini operativi immediati. Del carico fanno parte circa 6.000 tonn. di viveri, nonché 8.000 fusti di benzina avio. Si ritiene necessario mettere in rilievo che la nave cisterna ha, fra l’altro, un carico di circa 4.000 tonn. di gasolio, di difficilissimo reintegro, in caso di perdita, il cui rifornimento in A.S. è, in questo momento, urgentissimo per esaurimento quasi totale delle scorte. La disponibilità in patria di detto tipo di carburante è ridotta a proporzioni minime. Quanto sopra si reputa doveroso portare a conoscenza di Codesto Comando Supremo per i provvedimenti speciali che si ritiene necessario adattare per la sicurezza del convoglio stessi in navigazione e durante la sua sosta nel porto di Tripoli».
L’ordine d’operazioni relativo alla navigazione del convoglio, numero 251, venne emanato
il 5 novembre 1941 dal Comando in Capo del Dipartimento Marittimo del Basso Tirreno.
Rispetto ai piani originari era stato inserito uno scalo intermedio per Conte di Misurata e Rina Corrado, che non sarebbero più partiti direttamente da Palermo per unirsi al gruppo di Napoli a nord di Pantelleria, bensì avrebbero fatto scalo a Messina e si sarebbero uniti al primo gruppo nello stretto. I due bastimenti avevano infatti imbarcato il loro carico a Palermo, come previsto, e poi avevano lasciato quel porto poco prima della mezzanotte del 6 novembre, scortati da Libeccio, Grecale ed Oriani, ed avevano raggiunto Messina (dove avevano completato il carico) intorno alle due del pomeriggio del 7 novembre, sostandovi fino alle prime ore dell’8, quando ne erano ripartiti per congiungersi col gruppo proveniente da Napoli.
Insieme a Conte di Misurata, Rina Corrado, Libeccio, Grecale ed Oriani uscirono da Messina anche Maestrale, Fulmine ed Euro, che erano entrati in quel porto nel pomeriggio del 7 novembre per fare rifornimento, affidando temporaneamente la scorta dei mercantili di Napoli alle quattro unità della XIII Squadriglia Cacciatorpediniere.
Mentre questo accadeva, il Comando dell’Aeronautica della Sicilia provvedeva ad organizzare un’azione diversiva contro Malta: nella notte sull’8 novembre il porto di La Valletta e le basi aeree di Luqa e Ta Kali vennero infatti attaccate da otto bombardieri CANT Z. 1007 del 9° Stormo e FIAT Br. 20 del 37° Stormo, che tuttavia non causarono danni di rilievo.
Dopo aver lasciato Messina la Conte di Misurata, il Rina Corrado e la scorta diressero per uscire dallo Stretto assumendo rotta verso sud a bassa velocità, in modo da lasciarsi raggiungere dal gruppo proveniente da Napoli. La riunione tra i due gruppi del convoglio – dei quali il primo, quello proveniente da Napoli, aveva già superato lo stretto – avvenne alle 4.30 dell’8 novembre, a sud dello stretto di Messina; Conte di Misurata e Rina Corrado si accodarono agli altri mercantili e si formò così un unico convoglio di sette mercantili scortati da Maestrale, Libeccio, Grecale, Oriani, Fulmine ed Euro, mentre i quattro cacciatorpediniere della XIII Squadriglia, dopo essersi riforniti a loro volta a Messina (cosa che fecero dopo la riunione delle altre navi), si unirono alla III Divisione (incrociatori pesanti Trento e Trieste, nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Bruno Brivonesi), salpata da Messina alle 12.35 per fornire scorta indiretta al convoglio.
Durante la mattina vennero avvistati da diverse navi alcuni aerei nemici diretti verso ovest: andavano ad attaccare un altro convoglio diretto in Libia, il convoglio "Pegaso".
Alle 16.45, con l’arrivo della III Divisione (che raggiunse il convoglio in posizione 37°40’ N e 15°57’ E, a 19 miglia per 155° da Capo dell’Armi, e si posizionò a poppavia dello stesso) la formazione poteva dirsi completa.
Il convoglio procedeva su tre colonne: la Conte di Misurata ed il San Marco formavano la colonna di dritta, mentre Duisburg, Sagitta e Rina Corrado formavano quella centrale e Maria e Minatitlan quella di sinistra. Il Fulmine era posizionato a dritta della terza colonna, il Libeccio a sinistra della prima colonna; il Maestrale e l’Euro precedevano rispettivamente la colonna di dritta e quella di sinistra, mentre Oriani e Grecale le seguivano. Le navi procedevano ad otto nodi di velocità. La III Divisione zigzagava a poppavia dei mercantili.
Vi era anche, fin dalla partenza da Napoli e Messina – ma solo di giorno –, una scorta aerea per la quale erano stati mobilitati in tutto 64 aerei (58 dell’Armata Aerea e 6 idrovolanti antisommergibili), mantenendo sempre otto velivoli costantemente in volo sul cielo del convoglio. Sul Maestrale, per coordinare l’attività di tale scorta aerea, era stato imbarcato il tenente pilota Paolo Manfredi della Regia Aeronautica.
Dalle 7.30 fino alle 17.30, sul cielo del convoglio e della III Divisione si alternarono dieci idrovolanti CANT Z. 506 della Ricognizione Marittima, due bombardieri Savoia Marchetti SM. 79 "Sparviero" e ben 66 caccia (34 Macchi MC 200 del 54° Stormo della Regia Aeronautica, due FIAT CR. 42 del medesimo stormo, 22 CR. 42 del 23° Gruppo e otto Messerschmitt Bf 110 della 9a Squadriglia del 3° Gruppo del 26° Stormo da Caccia della Luftwaffe). I caccia si alternavano sul convoglio in numero di quattro per volta: una coppia ad alta quota per contrastare eventuali attacchi di bombardieri, e una coppia a 1000 metri di quota per contrastare attacchi a volo radente e di aerosiluranti.
Tre coppie di SM. 79 decollarono dalla Sicilia ed effettuarono ricognizione marittima verso sudest; altri aerei dell’Aeronautica della Sicilia erano incaricati di effettuare missioni di ricognizione e bombardamento sul porto della Valletta.
Ad ulteriore protezione del convoglio, Supermarina aveva inviato nelle acque di Malta i sommergibili Delfino, Corallo e Luigi Settembrini, con compiti esplorativi ed offensivi nei confronti di unità britanniche in partenza dall’isola.
L’incrociatore pesante Gorizia (anch’esso appartenente alla III Divisione) ed i cacciatorpediniere Carabiniere e Corazziere della XII Squadriglia erano a Messina, pronti a muovere in due ore qualora se ne fosse manifestata la necessità.
Durante la navigazione verso est, inoltre, le unità effettuarono diverse accostate verso ovest per confondere le idee ad eventuali ricognitori circa la loro rotte; ciò non bastò tuttavia ad impedire che, nel pomeriggio dell’8 novembre – alle 16.45, poco prima del tramonto, secondo il resoconto italiano; già alle 13.55, secondo quello britannico – il convoglio (ma non la III Divisione) venisse comunque localizzato, in posizione 37°38’ N e 17°16’ E (o 37°53’ N e 16°56’ E; 40 o 45 miglia ad est di Capo Spartivento Calabro, parecchio ad est di Malta), da un ricognitore Martin Maryland del 69th Reconnaissance Squadron della Royal Air Force, decollato da Luqa (Malta) e pilotato personalmente dal tenente colonnello John Noel Dowland, comandante del 69th Reconnaissance Squadron. L’idrovolante stava rientrando a Malta quando avvistò il convoglio.
In quel momento, aerei italiani e tedeschi si trovavano ancora sul cielo del convoglio; le navi della scorta – e più precisamente l’Euro, che lo segnalò subito al Maestrale con il messaggio ad ultracorte «Aerei in vista Rb 200 – quota superiore quota 3.000», e poi anche a tutte le altre navi ed a Supermarina con un segnale di scoperta via radio lanciato all’aria – avvistarono il ricognitore da 5000 metri di distanza e fecero segnali luminosi alla scorta aerea, con cui non fu possibile comunicare via radio, per richiedere che attaccasse il velivolo nemico; al contempo il Duisburg, mercantile capoconvoglio, alzò a riva i palloni di avvistamento aereo, ma gli aerei della scorta non fecero nulla (per altra fonte, invece, le segnalazioni previste per avvisare gli aerei della presenza del ricognitore non vennero effettuate, “per grave disservizio”). Nel suo rapporto il guardiamarina Ferrari (che indicava erroneamente questo episodio come verificatosi intorno alle 13 dell’8 novembre) scrisse che “i caccia si precipitano su un punto all’orizzonte: ricognitore inglese, ma non si ode alcuna azione di fuoco. Navigazione calma”.
Il Maryland si trattenne in vista del convoglio solo il tempo strettamente necessario a rilevarne gli elementi del moto, che comunicò prontamente a Malta alle ore 14 («Un convoglio di 6 navi mercantili e 4 cacciatorpediniere diretto verso levante, nel punto 40 miglia per 95° da Capo Spartivento», anche se la velocità, nella realtà 9 nodi, era sovrastimata in 10-12 nodi). Il messaggio inviato a Malta dal Maryland venne intercettato anche a Roma, ma fu decifrato soltanto in seguito. Oltre a sovrastimare la velocità, il ricognitore aveva leggermente sottostimato il numero di navi nel convoglio (specie di cacciatorpediniere) e non aveva minimamente notato la III Divisione, che seguiva a distanza, mentre aveva apprezzato con estrema accuratezza la rotta e posizione del convoglio.
Contrariamente a molte altre occasioni, e nonostante quanto riferito da diverse fonti secondarie, il servizio di intercettazione e decrittazione britannico “ULTRA” non ebbe alcun ruolo nelle vicende del convoglio «Beta»: vennero infatti intercettati soltanto tre messaggi molto vaghi, dei quali il primo – risalente alle 13.10 del 7 novembre – poté essere decifrato solo alle 20.49 dell’8 novembre, risultando essere un radiocifrato in cui il Ministero della Marina chiedeva al Comando Marina di Salonicco di inoltrare al X Corpo Aereo Tedesco la richiesta di compiere alcuni voli di ricognizione nel Mediterraneo orientale a protezione del convoglio «Beta». Il secondo messaggio intercettato, sempre dal Ministero della Marina a Salonicco, era delle 20 dell’8 novembre e recitava: "A protezione di attacchi provenienti da Alessandria contro l’importante convoglio diretto a Tripoli, si richiede al X Fliegerkorps tedesco di tenere pronte tutte le disponibili unità per i giorni 9 e 10". Il terzo ed ultimo, in cui ancora una volta si parlava di grosso convoglio diretto a Tripoli che sarebbe stato in mare il 9-10 novembre, per il quale si chiedeva la copertura del X Fliegerkorps, fu decrittato dalla Special Liaison Unit di “ULTRA” al Cairo alle 00.34 del 9 novembre, cioè pochi minuti prima che la Forza K aprisse il fuoco contro il convoglio. Tutti e tre i messaggi erano troppo vaghi per poter organizzare un’intercettazione, non contenendo alcuna informazione su porti e orari di partenza o di arrivo, rotta e velocità del convoglio; ma soprattutto, il primo ad essere decrittato lo fu soltanto quando già da tre ore la Forza K era partita per intercettare il convoglio “Duisburg”, basandosi sulle sole informazioni dei ricognitori.
Alle 17.30, di conseguenza, salpò da Malta la Forza K britannica, formata dagli incrociatori leggeri Aurora (capitano di vascello William Gladstone Agnew, comandante della Forza K) e Penelope (capitano di vascello Angus Dacres Nicholl) e dai cacciatorpediniere Lance (capitano di corvetta Ralph William Frank Northcott) e Lively (capitano di corvetta William Frederick Eyre Hussey), con il compito di intercettare il convoglio segnalato. La partenza della Forza K fu tanto fulminea che il comandante del Penelope, capitano di vascello Nicholl, dovette raggiungere la sua nave con un’imbarcazione, in quanto l’incrociatore stava già manovrando per uscire dal porto. Lasciatesi Malta alle spalle, le navi britanniche assunsero rotta 064° (verso est-nord-est) e velocità 28 nodi, in modo da intercettare il convoglio alle due della notte seguente. La ricerca delle navi dell’Asse sarebbe avvenuta lungo la presumibile rotta che il convoglio avrebbe seguito per tenersi al di fuori della portata degli aerosiluranti di Malta.
La ricognizione aerea italiana (due CANT Z. 1007 dell’Aeronautica dell’Egeo) e tedesca (due Junkers Ju 88 del X Fliegerkorps) non avvistò le navi britanniche.
Anche un bombardiere Wellington munito di radar (del 211st Squadron della RAF) ed otto aerosiluranti Fairey Swordfish (dell’830th Squadron della Fleet Air Arm, di base a Hal Far) decollarono da Malta per rintracciare il convoglio nel tardo pomeriggio (il primo per seguirlo e mantenere il contatto con esso, guidando sul posto la Forza K; i secondi per attaccarlo), ma non riuscirono a trovarlo: il Wellington per malfunzionamento della radio e del radar, gli Swordfish perché il convoglio seguiva appunto una rotta che lo teneva al di fuori del loro raggio d’azione.
Niente di tutto ciò era a conoscenza delle navi del convoglio «Beta», che proseguirono regolarmente per la loro rotta. Il tempo era buono: mare calmo, nubi leggere e vento debole, forza 3. La scorta aerea venne ritirata al tramonto.
Tra le 18 e le 18.30, mentre la III Divisione Navale e la XIII Squadriglia Cacciatorpediniere zigzagavano sulla sinistra del convoglio, quest’ultimo manovrò per passare dalla formazione su tre colonne a quella su due colonne, distanziate di 1000-1500 metri. Nella nuova formazione, la Conte di Misurata si trovò a navigare in coda alla colonna di sinistra, preceduta dal San Marco che a sua volta era preceduto dal Duisburg; la colonna di dritta era composta nell’ordine da Minatitlan, Maria e Sagitta, mentre il Rina Corrado procedeva in coda alla formazione, a poppavia degli altri sei mercantili, in posizione centrale rispetto alle due colonne. Tutt’intorno la scorta diretta: Maestrale in testa al convoglio, Grecale in coda (dietro al Rina Corrado), Libeccio seguito dall’Oriani sul lato sinistro, ed Euro seguito dal Fulmine sul lato destro.
Il guardiamarina Ferrari avrebbe poi scritto: “Verso le ore 18 ordine del Maestrale di prendere la formazione notturna di due file così composte: 1a fila: Duisburg, Muiniam e Conte di Misurata; 2a fila: Minatitland, Maria e Sagitta. Il Rina Corrado è in coda fra le due file. I CC.TT. si dispongono: Maestrale in testa, il Grecale in coda, Euro e Fulmine sulla dritta, Libeccio e Oriani sulla sinistra; gli aerei ci scortano fin oltre il tramonto. Alle 19.30 si accosta per rotta sud. Ancora al tramonto si scorge distintamente a poppavia sulla dritta la forza navale di sostegno formata dalla 3a Divisione Navale (Trento e Trieste) con la 14a Squadriglia CC.TT. (Granatiere, Fuciliere, Bersagliere e Alpino). Nessun avvenimento degno di rilievo. La velocità si mantiene sulle 8 miglia”. Particolare interessante, nel suo rapporto Ferrari chiamava il San Marco con il nome di Muiniam: cioè il precedente nome che questo bastimento, di proprietà della compagnia danese Østasiatiske Kompagni A/S, aveva portato fino all’aprile 1940, quando in seguito all’occupazione tedesca della Danimarca era stato confiscato dalle autorità francesi – trovandosi in quel momento a Saigon, nell’Indocina francese – e ribattezzato Saint René, venendo impiegato per trasportare truppe annamite in Francia, per poi essere ceduto dai francesi alla Germania nel settembre 1941 e ribattezzato San Marco, nome invero più veneziano che germanico. Come mai un ufficiale italiano imbarcato sulla Conte di Misurata chiamasse il San Marco, che probabilmente vedeva per la prima volta, con il suo vecchio nome danese che non portava ormai da un anno e mezzo non è dato sapere; sembra probabile che né i francesi né i tedeschi si fossero premurati di dipingere i nuovi nomi da loro affibbiati a questo mercantile sul suo scafo, così che esso appariva ancora, salvo che sui registri, con il nome di Muinam.
Fino alle 19.30 il convoglio seguì rotta 090°, poi accostò per 122°, ed alle 19.55 per 161° (sud-sud-est), sempre per tenersi al di fuori del raggio d’azione degli aerosiluranti.
Alle 20.45 la III Divisione si portò a poppa del convoglio, e tra le 22 e le 24 le navi di Brivonesi risalirono il convoglio sino a portarsi a 30° di prora a dritta del Maestrale (distante da loro 4 km); poi, a mezzanotte, invertirono la rotta a un tempo per defilare di controbordo al convoglio. L’ammiraglio italiano aveva pianificato i movimenti della sua Divisione e la velocità da tenere in modo da tenersi in contatto col convoglio, mantenendo al tempo stesso una sufficiente libertà di manovra, lungo le spezzate da percorrere, per ridurre il pericolo di attacchi di sommergibili avversari contro i suoi incrociatori. La velocità che la III Divisione avrebbe dovuto tenere, secondo gli ordini di Supermarina, sarebbe stata di 16 nodi; ma con una tale velocità gli incrociatori, per mantenersi in vista del convoglio che procedeva a soli 9 nodi, avrebbero dovuto compiere accostate esageratamente ampie, oppure allontanarsi troppo dal convoglio in ogni accostata. D’altra parte, una velocità di 9 nodi non avrebbe consentito a Trento e Trieste di mantenere un’adeguata manovrabilità; pertanto Brivonesi era giunto ad una soluzione di compromesso, facendo assumere alla III Divisione una velocità di 12 nodi e tenendosi nella scia del convoglio, manovrando periodicamente per risalire il convoglio sul lato di dritta (quello rivolto verso Malta e dunque ritenuto più esposto) fino all’unità capofila, indi accostare di controbordo e tornare in scia al convoglio, per poi replicare tale manovra di pendolamento. In tal modo, le navi di Brivonesi si sarebbero interposte tra i trasporti e la probabile direzione di provenienza di un attacco navale britannico.
Intanto, la Forza K navigava verso la sua ignara preda: avendo inizialmente assunto rotta verso est, la formazione britannica virò verso sudest subito dopo il tramonto, ed attraversò, senza essere avvistata, la zona d’agguato del Settembrini. Le unità britanniche erano disposte in linea di fila, con l’Aurora in testa seguito nell’ordine da Lance, Penelope e Lively, distanziati tra loro di 750 metri.
Agnew aveva già da tempo preparato e discusso con i comandanti dipendenti un piano d’azione in caso di attacco ad un convoglio: le navi britanniche sarebbero rimaste in linea di fila, per evitare problemi di riconoscimento e per poter lanciare liberamente siluri; prima di attaccare dei mercantili, la Forza K avrebbe neutralizzato le navi di scorta presenti sul lato attaccato; nel caso altre unità di scorta fossero apparse durante l’attacco ai mercantili, esse sarebbero immediatamente divenute bersaglio prioritario; l’Aurora (capofila) avrebbe mantenuto ogni nave di scorta bene di prora fino ad averla posta fuori uso. Così facendo, le navi britanniche avrebbero potuto sfruttare al massimo la loro potenza di fuoco contro il convoglio, e minimizzare il rischio di un attacco silurante. Agnew sottolineò l’importanza di colpire subito i bersagli, fin dalle prime salve, e distribuire il tiro in modo da non lasciar scampo a nessuna delle unità avversarie.
Alle 00.39 del 9 novembre le vedette sulla plancia dell’Aurora avvistarono un gruppo di navi oscurate aventi rotta approssimata 170° (verso sud), a nove miglia di distanza, su rilevamento 30°: era il convoglio “Duisburg”. Il radar non ebbe alcun ruolo di rilievo nell’individuazione del convoglio: le navi italiane vennero avvistate otticamente dalla Forza K, col solo uso di binocoli, perché illuminate dalla luce lunare, mentre il radar fu poi impiegato nel puntamento dei cannoni durante il combattimento. Secondo il rapporto britannico, in quel momento le navi italiane si trovavano in posizione 36°55’ N e 17°58’ E (135 miglia a sud di Siracusa, 100 miglia ad est-sud-est di Capo Spartivento e 180 miglia ad est di Malta), a cinque miglia per 30° dalla Forza K (per altra fonte, a 7 miglia per 30° dall’Aurora, autore dell’avvistamento); la documentazione italiana indica invece il punto dell’attacco come 37°00’ N e 18°10’ E, a circa 120 miglia dalle coste della Calabria ("Navi mercantili perdute" indica la posizione come 37°08’ N e 18°09’ E, circa 120 miglia a sudest di Punta Stilo o 130 miglia a sudovest della Calabria). Secondo Agnew, la visibilità notturna era ottimale per un’intercettazione, la luna splendente e luminosa (su rilevamento 100°, con un’elevazione di 45°), e le condizioni perfette per un’intercettazione (vento forza 3 da nord-nord-ovest, nubi leggere e calma di mare); nel suo rapporto, il caposcorta Bisciani registrò brezza moderata verso sud-est, nuvolaglia leggera e luna scoperta, con «orizzonte ottimo nel secondo quadrante, buono nel terzo, fosco nel quarto». Secondo Brivonesi, la visibilità era buona quando la luna era libera, e scarsa quando le nubi la coprivano.
(Secondo "Struggle for the Middle Sea" di Vince O’Hara, poco ci era mancato che le navi dell’Asse scampassero, anche questa volta, all’intercettazione: le unità della Forza K erano infatti giunte quasi al punto in cui avrebbero dovuto interrompere le ricerche e tornare indietro per raggiunti limiti di autonomia, e Agnew scrisse in seguito che aveva quasi abbandonato le speranze di trovare il convoglio segnalato dal Maryland, quando all’improvviso apparvero nell’oscurità le sagome delle navi nemiche. Ciò sembra però in contrasto con quanto riferito da altre fonti, tra cui la storia ufficiale dell’USMM, secondo cui invece l’incontro con il convoglio italiano avvenne un’ora prima del previsto, dato che Agnew si aspettava di incontrarlo intorno alle due di notte: invece, le navi dell’Asse avevano seguito una rotta più ad ovest di quella stimata dai britannici, e la Forza K riuscì a trovarle senza neanche bisogno di dispiegarsi in catena di ricerca. Questo era, peraltro, il modus operandi generalmente seguito dalle unità britanniche: mentre nella nella Marina italiana la ricerca di formazioni nemiche si compiva distendendo le proprie navi “a rastrello” in linea di fronte o di rilevamento, i britannici compivano andavano in cerca di convogli mantenendo le proprie formazioni compatte, in linea di fila).
Il convoglio italo-tedesco avanzava su rotta 161° alla velocità di 9 nodi, nella formazione su due colonne assunta alle 18.30; la III Divisione, quale scorta indiretta, seguiva il convoglio a quattro chilometri a poppavia dritta (ossia verso ovest, ritenuta la più probabile direzione di provenienza di un attacco: Malta, infatti, era a dritta rispetto al convoglio), zigzagando alla velocità di dodici nodi. Mezz’ora prima, le navi di Brivonesi avevano raggiunto il punto più settentrionale nel loro pendolamento, ultimando l’accostata per defilare di controbordo al convoglio; ora avevano accostato per assumere rotta parallela al convoglio e ripetere il pendolamento, verso sud.
Qualcuna delle unità della scorta diretta, grazie alla luna piena, avvistò anche la Forza K, 3-5 km a poppavia, ma ritenne trattarsi della III Divisione. Il Bersagliere, che avvistò le navi britanniche meno di un minuto prima che aprissero il fuoco, fu l’unico a capire che si trattava di navi nemiche, ed a lanciare immediatamente il segnale di scoperta, ma era già troppo tardi; il segnale fu ricevuto da Maestrale e Trieste proprio mentre la Forza K iniziava a sparare.
Anziché attaccare subito il convoglio, il comandante Agnew manovrò flemmaticamente per portarsi nella posizione più favorevole all’attacco, di poppa al convoglio (dove in genere la sorveglianza risultava più debole) e con la luna di fronte, approfittando del fatto che nessuna nave italiana sembrasse accorgersi della sua presenza.
La Forza K ridusse la velocità da 28 a 20 nodi ed accostò a sinistra per 350°, quindi aggirò il convoglio con una manovra che richiese 17 minuti, attraversandone la scia e portandosi a poppavia dritta rispetto ad esso, di modo che i bersagli si stagliassero contro la chiara luce lunare. Alle 00.50 l’Aurora, trovandosi quasi al traverso di un cacciatorpediniere italiano che procedeva in coda al convoglio (probabilmente il Grecale), puntò dritto su di esso, accostando a dritta su rotta est/nordest; Agnew apprezzò la composizione del convoglio in otto grossi mercantili e quattro cacciatorpediniere. Aveva ormai deciso cosa fare: avrebbe attaccato il convoglio da poppa e poi ne avrebbe “risalito” la formazione, distruggendo sistematicamente i mercantili dopo aver neutralizzato la scorta sul lato attaccato. I bersagli vennero identificati e scelti dai puntatori, i cannoni puntati e preparati ad aprire il fuoco a colpo sicuro. L’Aurora puntò l’armamento principale, asservito al radar di scoperta navale tipo 284, sui cacciatorpediniere della scorta, ed i cannoni da 100 mm di sinistra, asserviti al radar tipo 290 ed alla centrale di tiro poppiera, sui mercantili.
Alle 00.52 la Forza K avvistò su rilevamento 330° (verso sinistra) la III Divisione, della cui presenza nessuno, da parte britannica, aveva fino a quel momento avuto sentore; ma ciò non modificò le intenzioni di Agnew, il quale poco dopo concluse che le due “navi maggiori” (che erano, in effetti, il Trento ed il Trieste, che in quel momento si trovavano un poco di prua rispetto al traverso sinistro dell’Aurora: il Trieste distava tre miglia e mezzo, il Bersagliere meno di tre) ed i cacciatorpediniere che le accompagnavano, oscurate e distanti sei miglia, dovessero essere degli altri mercantili con la loro scorta (tanto che a cose fatte, i britannici ritennero erroneamente di aver affondato dieci mercantili invece che sette, credendo di aver attaccato "otto mercantili e quattro cacciatorpediniere nemici, seguiti da un secondo convoglio di due cacciatorpediniere e due mercantili"). Alle 00.56 il Lively stimò che il convoglio avesse rotta 150° e velocità 8 nodi; in base ai dati del suo radar, il Maestrale (che al momento dell’attacco si trovava al traverso a poppavia della Forza K, a sud della stessa) distava 10.060 metri, i mercantili che lo seguivano 8230 metri.
Alle 00.57, infine, Aurora e Penelope, giunti circa 5 km a sudest del convoglio, aprirono il fuoco sulle ignare navi italiane da una distanza di 5200 metri.
La Forza K defilò lungo il fianco dei mercantili, orientando il tiro con l’ausilio dei radar tipo 284; sempre per agevolare il tiro, inoltre, le navi britanniche lanciarono dei bengala illuminanti a quote comprese tra i 600 ed i 1000 metri. Subito dopo l’Aurora, il cui primo bersaglio era stato il Grecale (che venne immobilizzato e incendiato dalle prime tre salve, dopo di che l’Aurora spostò il tiro sul Maestrale, contro il quale stava già sparando il Penelope), anche Lance e Penelope aprono il fuoco: quest’ultimo tirò prima su un piroscafo, colpendolo, e poi sul Maestrale, che accostò per 80° (verso sinistra, aggirando la testa del convoglio: Bisciani ritenne che l’unica possibilità di attacco consistesse nel portarsi in posizione prodiera rispetto alle navi nemiche, accostando a sinistra), accelerò a 20 nodi ed emise cortine fumogene, seguito dal convoglio. Euro e Libeccio manovrarono anch’essi aumentando la velocità, per tentare di occultare le navi di testa del convoglio con cortine fumogene.
Per ordine del Maestrale, che aveva ordinato alle unità della scorta di radunarsi intorno a lui, i superstiti cacciatorpediniere della scorta diretta emisero cortine fumogene per nascondere i mercantili, poi assunsero rotta verso est ed incrementano la velocità. Nella generale confusione, il caposcorta Bisciani ritenne erroneamente che l’attacco provenisse dal lato sinistro del convoglio (in realtà ad essere sotto attacco era il lato destro), e che le navi sul lato destro fossero quelle della III Divisione (mentre era la Forza K). Poco dopo, il Maestrale stesso fu colpito dal tiro britannico, subendo danni leggeri ma anche l’abbattimento dell’aereo della radio, il che gli impedì di comunicare con il resto della scorta e del convoglio.
I cacciatorpediniere della scorta diretta che si trovavano sul lato orientale del convoglio (Libeccio ed Oriani) si ritrovarono così disorientati e senza ordini; per la loro posizione, non avevano neanche compreso – per lo meno nei primi minuti, quelli decisivi – quale fosse il tipo di attacco lanciato contro il convoglio. Si limitarono ad emettere fumo. Alcuni ritennero che le navi fossero sotto attacco aereo, invece che da parte di altre navi di superficie (come attestato nel suo rapporto anche dal tenente Manfredi dell’Aeronautica, imbarcato sul Maestrale): questa fu anche l’impressione che ebbero sulle prime i comandanti di diversi mercantili, anche a causa dei molti bengala lanciati dalle navi della Forza K per agevolare il tiro. Tale convinzione si spinse a tal punto che alcuni dei mercantili aprirono un fitto e disordinato fuoco con le mitragliere in tutte le direzioni, sparando praticamente a caso contro aerei che non esistevano. Come se non bastasse, alcune delle mitragliere dei mercantili, credendo di trovarsi sotto attacco da parte di aerosiluranti (che conducevano i loro attacchi volando a bassa quota), tiravano basso, e finirono col colpire col loro tiro l’agonizzante Fulmine, provocando ulteriori perdite tra il già decimato equipaggio del cacciatorpediniere.
Altro effetto pernicioso della convinzione di trovarsi sotto attacco aereo, anziché navale, fu che i mercantili non tentarono di disperdersi e fuggire (o anche solo di dare la poppa alle navi britanniche), come si faceva solitamente in caso di attacco da parte di navi di superficie: così avrebbero quanto meno reso più difficile alla Forza K il compito di rintracciarlo e distruggerli. Disperdere il convoglio sotto un attacco aereo, infatti, avrebbe reso i mercantili più vulnerabili, privandoli della protezione delle armi contraeree dei cacciatorpediniere ed impedendo il tiro concentrato delle armi contraeree di tutte le navi; mentre in un attacco da parte di navi di superficie, mantenere intatta la formazione serviva solo a facilitare il compito degli aggressori.
Intanto, all’1.18, l’Euro andò al contrattacco silurante, unica unità della scorta ad abbozzare un effettivo tentativo di reazione; il suo comandante, tuttavia, ebbe il dubbio di stare attaccando le navi della III Divisione (anche per via degli ordini impartiti dal caposcorta), così rinunciò a lanciare i siluri ed abbandonò il contrattacco, accostando a sinistra per riunirsi a Maestrale, Libeccio ed Oriani, che dirigevano verso est inquadrati dal tiro delle artiglierie della Forza K.
I mercantili, nel vano tentativo di sfuggire alla Forza K (proveniente da ovest, cioè da dritta), misero la prua verso est (verso sinistra); molti comandanti continuavano a non rendersi conto di cosa esattamente stesse accadendo, alcuni virarono verso est perché si erano resi conto che l’attacco proveniva da ovest, altri semplicemente per imitazione di manovra dei primi, altri ancora perché così facendo potevano rifugiarsi nelle cortine fumogene stese dai cacciatorpediniere. Ma non servì a niente. Anche il Maestrale, per motivo difficilmente spiegabile (il relativo volume dell’U.S.M.M. così giudica tale manovra del caposcorta: "Forse d’istinto più che in base ad un ragionamento"), dopo aver trasmesso l’ordine di coprire i mercantili con cortine nebbiogene (l’ultimo impartito prima dell’abbattimento dell’aereo radio) mise la prua in tale direzione, inquadrato dalle salve nemiche. Oriani e Libeccio, in mancanza di ordini, seguirono loro caposcorta per imitazione di manovra, continuando ad avvolgere i mercantili in inutili cortine nebbiogene (più tardi, alzata un’antenna radio di fortuna, fu il Maestrale stesso ad ordinare ai cacciatorpediniere superstiti di seguirlo verso est). L’Euro, unico altro cacciatorpediniere rimasto in efficienza, fece come loro. Il comandante Bisciani avrebbe poi scritto così nel suo rapporto: «Ritengo [all’1.17 circa] che nulla sia più possibile per la salvezza del convoglio, e penso che, occultandoli, potrò riunire i Ct, dei quali due sono in vista con rotta presso a poco parallela alla mia, per una successiva azione» che però non si materializzò mai.
In tal modo, eccetto che per l’abortito tentativo iniziale dell’Euro, nessuna unità della scorta tentò di contrattaccare attivamente le navi nemiche, a differenza di quanto accadde di solito in simili circostanze; la successiva azione della Forza K contro i mercantili incontrò così ben poco contrasto. L’operato della scorta diretta del convoglio "Duisburg" e del caposcorta Bisciani sarebbe stato poi giudicato sfavorevolmente dall’ammiraglio Wladimiro Pini, comandante del Dipartimento Militare Marittimo del Basso Tirreno, e dagli alti comandi della Regia Marina.
Neutralizzata la parte della scorta diretta sul lato attaccato, mentre il resto di quest’ultima brancolava nel buio, alle 00.59 l’Aurora accostò a dritta (verso sud, assumendo rotta parallela a quella del convoglio), seguito dalle altre tre navi, e guidò la Forza K in una manovra avvolgente attorno al convoglio, una sorta di volta tonda nella quale aggirò i mercantili da ovest verso est, risalendo il lato destro del convoglio e facendo sistematicamente fuoco su ognuno dei mercantili con tutte le armi di bordo, da circa 1800 metri di distanza, finché questo s’incendiava od esplodeva. Il tiro preciso, celere e ravvicinato delle unità britanniche – l’ammiraglio Brivonesi stimò che sparassero con ritmo inferiore ai dieci secondi: in ogni caso tirarono con una tale intensità da surriscaldarsi fino a provocare lo scioglimento ed il distacco della vernice – demolì, una dopo l’altra, tutte le navi del convoglio: siccome tutte avevano carburante e/o munizioni tra il loro carico, ognuna di esse prendeva fuoco od era scossa da esplosioni non appena veniva colpita. Come riferito nei loro rapporti dai comandanti di Euro e Grecale, i più vicini al lato attaccato, già pochi minuti dopo l’una i mercantili più poppieri del convoglio erano trasformati in roghi; entro l’1.10 tutti e sette erano immobilizzati ed in preda alle fiamme, scossi dalle esplosioni dei carichi di munizioni.
Oltre che con i pezzi da 152 degli incrociatori (che “fornirono eccellenti prestazioni”, come annotò Agnew nel suo rapporto), con i pezzi secondari da 102 mm degli stessi e quelli principali da 120 dei cacciatorpediniere, le navi della Forza K spararono sui loro bersagli anche con le micidiali mitragliere quadrinate da 40 mm, note come “pom-pom”. Il tiro venne eseguito da distanze comprese tra i 2000 ed i 4000 metri. Venne anche lanciato qualche siluro, tre dall’Aurora ed almeno uno dal Lance.
Primi ad essere colpiti furono Maria e Sagitta, i più vicini alla zona di provenienza della Forza K; poi anche gli altri, uno dopo l’altro. Nessun trasporto fu in grado di sfuggire, data la bassa velocità massima sviluppabile; le cortine fumogene non servirono a nulla, né servì il violento e confuso fuoco di mitragliere che molti dei mercantili – alcuni dei quali credevano ancora di avere a che fare con un attacco di aerosiluranti – aprirono disordinatamente. Molte delle navi, continuando a non capire se fossero sotto attacco navale od aereo, non tentarono nemmeno di diradarsi e fuggire: Agnew scrisse poi che “sembrava che le navi mercantili stessero aspettando il loro turno per essere distrutte”.
Il Lance colpì ripetutamente Maria e Sagitta (oltre al Fulmine), mentre il Lively, che aprì il fuoco per ultimo (all’una di notte), colpì il Duisburg con sei salve, incendiandolo; l’Aurora fece lo stesso con il Rina Corrado e poi mitragliò il già malconcio Fulmine, che ricevette il colpo di grazia dal Penelope. Poi, rivolse le sue attenzioni alla Conte di Misurata.
Inquadrata fin dalla prima salva, la sfortunata pirocisterna venne colpita ripetutamente alla linea di galleggiamento ed al fumaiolo, restando ben presto immobilizzata in preda alle fiamme.
Il comandante Penco ordinò a questo punto di fermare le macchine e di recarsi alle zattere; soldati e marinai si portarono sottovento rispetto alle fiamme, a centro nave sul lato sinistro, e misero a mare le zattere, sulle quali si imbarcarono tutti i presenti. Mentre l’equipaggio abbandonava la nave, proseguiva incessante il martellamento delle artiglierie nemiche, che via via stava letteralmente sfasciando la Conte di Misurata; una fitta pioggia di vapore bollente e di nafta si riversò sui naufraghi.
Quando tutti furono sulle zattere, il comandante Penco, il regio commissario Taranto ed il guardiamarina Ferrari tornarono in plancia, dove già divampavano le fiamme, per recuperare i documenti segreti. Ferrari non giunse mai in plancia, perché strada facendo fu colpito alla testa dal crollo di una grossa trave, che lo fece cadere in mare: soltanto l’elmetto lo salvò da una frattura al cranio, che in quelle circostanze avrebbe avuto conseguenze fatali.
Il cannoneggiamento era durato pochi minuti: l’Aurora sparò la prima salva contro la Conte di Misurata all’1.10, e l’ultima all’1.15. Tanto bastò a ridurre l’anziana pirocisterna in un relitto agonizzante.
Spinta dall’abbrivio, la Conte di Misurata continuava a muoversi in avanti pur essendosi ormai fermate le sue macchine; quando la pirocisterna l’ebbe sorpassato, il guardiamarina Ferrari poté vedere nitidamente sulla dritta la sagoma nera di quella che sembrava una silurante in avvicinamento. Da bordo della nave nemica alcune mitragliere aprirono un fuoco intenso contro il naufrago: Ferrari si vide inquadrato dai traccianti che lasciavano scie verdi nell’oscurità, uno dei quali scoppiò vicinissimo, provocandogli una leggera ferita al viso. Scampato anche a questo pericolo, dovette nuotare per portarsi sopravvento, onde non essere raggiunto dalla benzina in fiamme che galleggiava sulle onde. Tutt’intorno, il mare era illuminato a giorno dai roghi dei sette mercantili: poco più tardi uno di essi scompave in una tremenda esplosione, segno che le fiamme avevano raggiunto il carico di munizioni.
All’1.25 l’Aurora accostò a sinistra, di prora al convoglio (aggirandone la testa), per tagliargli la rotta ed assicurarsi che nessun mercantile potese sfuggire, indi “ridiscese” il convoglio lungo il suo lato sinistro ed all’1.45 diresse verso ovest per girargli intorno: tutti i mercantili erano ormai avvolti dalle fiamme. Alle 2.06, completata la propria opera di distruzione ed essendo ormai a corto di munizioni (il Penelope, ad esempio, aveva sparato 259 colpi da 152 mm e 111 da 120 mm nel giro di un’ora; l’Aurora, 279 colpi da 152 – di cui 122 dalla torre A, 124 dalla torre B e 33 dalla torre Y – e 73 da 120; il Lance, 434 colpi da 120, mentre mancano dati sul Lively), la Forza K passò a poppavia di ciò che restava del convoglio, accelerò a 25 nodi e diresse verso ovest per rientrare a Malta, dove giunse alle 13.05 di quello stesso giorno, senza aver subito alcun danno (eccetto uno lievissimo, un foro da scheggia, al fumaiolo del Lively), eludendo anche un attacco da parte di quattro aerosiluranti italiani.
Deludente la reazione della III Divisione: avvistate, all’1.01, le vampe dei cannoni della Forza K che aprivano il fuoco sul convoglio, le navi di Brivonesi accostarono a dritta, su rotta 240°, poi a sinistra; il Trieste aprì il fuoco all’1.03 ed il Trento due minuti dopo, da grandissima distanza (8 km). Mentre manovravano per impegnare le navi della Forza K, i due incrociatori italiani dovettero assistere alla mattanza del convoglio che avrebbero dovuto proteggere: Brivonesi scrisse poi che “Il tiro del nemico aveva un ritmo celere, e salve ben raggruppate che si potevano osservare seguendo le codette luminose dei proiettili. Se non alla prima, alla seconda salva un piroscafo era già in fiamme ed illuminava vividamente gli altri piroscafi contigui. Gli incendi degli altri piroscafi si sono seguiti con una rapidità inimmaginabile, tanto che alle 01.07, ossia sette minuti dopo dell’inizio dell’azione, tutti i piroscafi erano in fiamme. (…) quando il TRIESTE ha fatto partire la sua prima salva (alle ore 01.03) non meno di due piroscafi erano già stati colpiti ed incendiati e quando anche il TRENTO ha potuto iniziare il tiro (alle ore 01.05) quasi tutti i piroscafi erano già in fiamme; essi bruciavano tutti alle ore 01.07”. Brivonesi giudicò che tale risultato dipendesse dall’«ausilio prezioso fornito dagli strumenti radiotelegrafici di cui esso dispone, del munizionamento perfettamente adatto e dei congegni di tiro che esso impiega certamente nelle azioni notturne, ed anche dalla estrema infiammabilità del carico di tutti i piroscafi che costituivano il convoglio DUISBURG».
All’1.08 la III Divisione assunse rotta 180°; pur potendo raggiungere velocità superiori ai 30 nodi, Brivonesi mantenne inspiegabilmente la velocità delle sue navi a 15-16 nodi (la Forza K procedeva a 20 nodi), aumentandoli a 18 solo all’1.12, ed a 24 all’1.18. Intanto la Forza K aggirava il convoglio e ne completava la distruzione, coprendosi proprio con le cortine fumogene stese in precedenza dagli stessi cacciatorpediniere italiani per nascondere i mercantili.
Per via delle rispettive manovre, la III Divisione e la Forza K si ritrovarono a girare intorno al convoglio, scambiandosi inconsapevolmente di posizione (la III Divisione a sudovest del convoglio, la Forza K a nordest); il risultato fu che la Forza K, girando attorno ai mercantili, mantenne sempre il convoglio tra sé e gli incrociatori di Brivonesi (senza neanche volerlo, dato che Agnew non si era minimamente accorto della presenza di incrociatori italiani), il che intralciò non poco il tiro di questi ultimi: tra i cannonieri di Brivonesi ed i loro bersagli s’interponevano i mercantili incendiati ed il fumo generato da questi incendi.
Per quel che riguardava i quattro cacciatorpediniere della XIII Squadriglia, il Bersagliere, prima unità in assoluto ad avvistare il nemico, si era avvicinato alla Forza K facendo fuoco coi propri pezzi da 120, ma aveva ripiegato verso est dopo essere stato bersagliato dal tiro del Penelope; il Granatiere non sparò per la difficoltà di individuare i bersagli, troppo lontani, e per non farsi localizzare dal nemico, indi virò a dritta allontanandosi dalla III Divisione e finendo col passare in mezzo ai mercantili incendiati; Fuciliere ed Alpino, in seguito all’accostata, erano rimasti a poppavia degli incrociatori di Brivonesi e non riuscirono neanche ad avvistare le unità della Forza K.
All’1.25, essendo la distanza divenuta ormai eccessiva (alzo 17 km), la III Divisione cessò il fuoco: a quell’ora il convoglio "Duisburg" non esisteva ormai più. All’1.26 le navi della Forza K risultavano completamente nascoste dal fumo dei mercantili in fiamme. Gli incrociatori di Brivonesi avevano sparato 207 colpi da 203 mm e 82 da 100 mm, senza metterne uno solo a segno. All’1.29 l’ammiraglio fece assumere alle sue navi rotta nord e velocità 24 nodi per intercettare le unità britanniche che, aggirando verso nord i resti del convoglio, dirigevano verso Malta, ma l’incontro non avvenne in quanto Brivonesi, informato da Supermarina del possibile pericolo di un attacco di aerosiluranti, credette di trovarsi nel raggio d’azione di una portaerei britannica: pertanto, all’1.35 – siccome le sagome dei suoi incrociatori, profilandosi contro gli incendi dei mercantili, sarebbero state particolarmente vistose per gli aerei ed anche eventuali sommergibili nemici – assunse rotta nordovest, allontanandosi dal luogo dello scontro e dalla Forza K.
All’1.41 Maestrale, Libeccio, Euro ed Oriani assunsero rotta 90° (verso est), che seguirono per un po’ a 30 nodi di velocità, mentre il caposcorta Bisciani attendeva che giungesse qualche ordine o notizia sugli accadimenti in corso.
(Secondo una fonte, i quattro cacciatorpediniere si ritirarono una decina di miglia ad est del convoglio per riorganizzarsi, poi andarono al contrattacco, guidati dal Maestrale, aprendo il fuoco con le proprie artiglierie, ma astenendosi dal lanciare siluri per evitare di colpire i mercantili, che si trovavano al di là della Forza K. Le quattro unità di Bisciani seguitarono poi a fare fumo ed ad impegnare le navi britanniche ogni volta che queste divenivano visibili, senza però riuscire a concludere nulla. Niente di tutto ciò, però, risulta dall’approfondita ricostruzione dello scontro fatta dallo storico Francesco Mattesini).
All’1.44 l’ammiraglio Brivonesi ordinò a Bisciani di tornare presso i mercantili per recuperarne i naufraghi; alle due di notte i cacciatorpediniere, tutti spostatisi verso est seguendo il caposcorta (ormai distavano ben 17 miglia da quel che restava del convoglio), invertirono finalmente la rotta per riavvicinarsi al convoglio, procedendo a 18 nodi. Raggiunsero i relitti in fiamme alle tre di notte. Non vi era a galla un solo piroscafo che risultasse salvabile; alcuni erano già affondati, altri lo fecero più tardi.
Il guardiamarina Ferrari della Conte di Misurata, dopo aver trascorso diverse ore in acqua, sorretto dal giubbotto salvagente, venne infine recuperato dall’Oriani; “abbiamo avuto un’accoglienza ed un’assistenza veramente fraterna”, avrebbe scritto in seguito.
Intanto, il malconcio Grecale arrancava verso nord; alle quattro del mattino rimase definitivamente immobilizzato, per cui l’Oriani venne inviato a prenderlo a rimorchio per portarlo a Crotone.
Raggiunto il porto calabrese, l’Oriani vi sbarcò i feriti gravi e si separò dal Grecale, dopo di che fece rotta su Messina, dove giunse nella mattinata del 10 novembre.
Dalle 7.30 iniziarono a sopraggiungere sul luogo del disastro anche gli aerei: nel corso della giornata, si alternarono sui cieli delle navi superstiti numerosi caccia Messerschmitt Bf 110 del 26° Stormo da Caccia della Luftwaffe, dieci SM. 79 del 10° Stormo Bombardieri della Regia Aeronautica e 22 caccia italiani tra CR. 42 e Reggiane Re 2000 del 23° Gruppo Autonomo e Macchi Mc 200 del 7° Gruppo del 54° Stormo. Tali velivoli esercitavano vigilanza sia antiaerea sia antisommergibili.
La III Divisione Navale, invertita la rotta, tornò anch’essa sul luogo dove il convoglio era stato distrutto, giungendovi alle 9.20 ed unendosi ai superstiti cacciatorpediniere della scorta diretta in posizione 37°02’ N e 18°03’ E.
L’ultimo, amarissimo boccone di quella tremenda giornata la Marina italiana lo dovette inghiottire alle 6.40, quando il sommergibile britannico Upholder (capitano di corvetta Malcolm David Wanklyn), attirato sul posto dagli stessi ricognitori che avevano guidato la Forza K – durante la notte era stato visto navigare in superficie, tra le navi incendiate, dai naufraghi di alcuni dei mercantili –, silurò il Libeccio che stava rimettendo in moto dopo aver recuperato un gruppo di 150 naufraghi, in gran parte appartenenti al Fulmine. Privato della poppa, il Libeccio colò a picco alle 11.18, dopo un breve quanto penoso tentativo di rimorchio da parte dell’Euro; la maggior parte dell’equipaggio poté essere salvato, ma molti naufraghi erano stati uccisi dallo scoppio del siluro, che aveva colpito proprio i locali in cui erano stati portati per i primi soccorsi.
Ai cacciatorpediniere della scorta diretta si unirono, per il soccorso ai naufraghi, anche i cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco, Antoniotto Usodimare e Vincenzo Gioberti, usciti da Trapani, e le navi ospedale Virgilio, fatta appositamente uscire da Augusta ed arrivata alle 16.30, ed Arno, dirottata sul posto durante la navigazione da Bengasi all’Italia e giunta sul posto poco dopo le undici del mattino. Rientrate in porto tutte le altre unità, le due navi ospedale continuarono ad ispezionare la zona del disastro fino all’alba del 10 novembre, quando Supermarina, ritenendo inverosimile che potessero esservi ancora dei naufraghi da salvare, ordinò loro di tornare in porto.
Dell’equipaggio militare, composto da due ufficiali (il guardiamarina di complemento Emilio Ferrari ed il tenente del Genio Navale Direzione Macchine Sebastiano Taranto), tre sottufficiali, quattro sottocapi, tredici cannonieri ed undici marinai, risultarono dispersi il regio commissario Sebastiano Taranto, due sottocapi e quattro cannonieri. Uno dei superstiti, il diciottenne cannoniere puntatore mitragliere Carmelo Aliberti, da Novara di Sicilia, rimase ferito.
Complessivamente, pertanto, le vittime dell’affondamento della Conte di Misurata risulterebbero essere state 16, mentre i superstiti furono 26 tra il personale militare, più un imprecisato numero di marittimi dell’equipaggio civile (la maggior parte).
I superstiti dell’equipaggio militare, dopo gli interrogatori da parte delle commissioni d’inchiesta, rientrarono a Napoli il mattino del 17 novembre.
Le vittime:
Ugo Altinier, sottocapo segnalatore, 23 anni,
da Orsago (Regia Marina)
Donato (od Antonio) Crocetta, marinaio, 45 anni, da Molfetta
(Marina Mercantile)
Francesco Farnei (o Faruci), fuochista, 39 anni, da Napoli (Marina
Mercantile)
Luigi Gaggero, sottocapo cannoniere armaiolo,
25 anni, da Genova (Regia Marina)
Cristino Iaccarino, cannoniere puntatore
mitragliere, 20 anni, da Napoli (Regia Marina)
Carmelo La Porta, cannoniere puntatore
mitragliere, 25 anni, da Mazara del Vallo (Regia Marina)
Nicola Leone, cannoniere puntatore
mitragliere, 20 anni, da Bari (Regia Marina)
Raimondo Miele, marinaio, 46 anni, da Torre del Greco
(Marina Mercantile)
Alessio Narizzano, primo ufficiale, 33 anni, da
Cornigliano Ligure (Marina Mercantile)
Gaetano Palma, cannoniere puntatore
mitragliere, 26 anni, da Palermo (Regia Marina)
Giuseppe Poggi, primo ufficiale di macchina, 46 anni, da
Sant’Olcese (Marina Mercantile)
Ugo Carlo Ravalico, direttore di macchina, 51 anni, da Trieste (Marina Mercantile)
Armando Remotti, cuoco, 54 anni, da Genova (Marina Mercantile)
Giovanni Sorrentino, ingrassatore, 27 anni, da Torre
del Greco (Marina Mercantile)
Sebastiano Taranto, tenente del Genio Navale
Direzione Macchine, 26 anni, da Trapani (Regia Marina; regio commissario)
Egidio Zolezi, secondo ufficiale, 30 anni, da Porto Santo Stefano (Marina Mercantile)
Atto di
scomparizione in mare dei membri dell’equipaggio civile morti sulla Conte di Misurata (g.c. Michele
Strazzeri)
Il genero di Mussolini e ministro degli Esteri, Galeazzo Ciano, descrisse l’accaduto nel suo diario in termini estremamente caustici, come del resto era solito fare: «9 novembre. Dal 19 settembre non avevamo più tentato di far passare un convoglio per la Libia [questa affermazione non risponde a verità: tra il 19 settembre – data dell’affondamento dei grossi trasporti truppe Neptunia ed Oceania – ed il 9 novembre erano stati inviati in Libia oltre una dozzina di convogli]: ogni prova era stata pagata a caro prezzo e le perdite subite dal naviglio mercantile erano salite a proporzioni tali da dissuadere da ogni ulteriore esperimento [le perdite nei mesi di settembre e ottobre 1941 tra i rifornimenti inviati in Libia via mare erano salite al 23 %, rispetto al 9 % del mese di agosto. Come detto, comunque, ciò non arrestò l’invio di convogli, contrariamente a quanto affermato da Ciano, fino all’arrivo della Forza K il 21 ottobre]. Stanotte si è voluto nuovamente tentare: la Libia abbisogna di materiali, di armi, di carburanti ogni giorno di più. E il convoglio di sette piroscafi è partito, scortato da ben 10 cacciatorpediniere e due incrociatori da 10.000, perché si sapeva che Malta ospitava da qualche tempo due navi di superficie inglesi destinate a far da lupo nel gregge. Lo scontro è avvenuto, con risultati inesplicabili. Tutti, dico tutti i piroscafi affondati, uno, forse due o tre caccia perduti. Gli inglesi sono rientrati dopo aver fatto strage. Naturalmente, oggi, i nostri vari Stati Maggiori tirano fuori il solito immancabile e immaginario affondamento di un incrociatore inglese a mezzo di aerosiluro; nessuno ci crede. Mussolini stamani era depresso e indignato. La cosa avrà indubbiamente ripercussioni profonde in Italia, in Germania e soprattutto in Libia. In queste condizioni non abbiamo proprio alcun diritto di lamentarci se Hitler manda Kesselring a fare il Comandante del Sud. 10 Novembre. Le fotografie della ricognizione aerea danno le quattro navi inglesi ormeggiate nel porto di Malta. Ciò nonostante nel bollettino si è annunciato che uno degli incrociatori è stato colpito. Pricolo lo sostiene e porta come argomento il fatto che questa nave e andata ad ormeggiarsi vicino al bacino di ormeggio. Il che corrisponde a dichiarare che un uomo è probabilmente un po’ morto perché è andato ad abitare vicino al cimitero. Buffoni. Tragici buffoni che hanno condotto il paese alla necessità odierna di accettare, anzi d’invocare l’intervento straniero per averne protezione e difesa. Ormai, fino a quando non saranno venuti i tedeschi, l’aviazione inglese dominerà i nostri cieli al pari dei propri. Ho domandato a Cavallero che cosa sarà fatto all’ammiraglio responsabile. Intanto, fino a ier sera Cavallero ne ignorava persino il nome. Gli ho ricordato che l’Italia democratica di Ricasoli ebbe il coraggio di mettere sotto processo Persano quando dopo Lissa telegrafò di essere rimasto padrone delle acque. L’ho detto anche a Mussolini, che continua ad essere depresso e che giudica – a ragione – la giornata di ieri quale la più umiliante dal principio della guerra. “Sono ormai 18 mesi che attendo una buona notizia, che non giunge mai. Sarei fiero di mandare anche io un telegramma come quello che Churchill ha mandato al suo Ammiraglio, ma invano da troppo tempo ne ricerco l’occasione.” (…) 13 novembre. Alla Marina sono scandalizzati di quanto è accaduto in Mediterraneo, ma con un Comando come l’attuale è impossibile attendersi meglio. Bigliardi mi ha descritto le fasi dell’incontro. Tutto sarebbe inspiegabile se non si sapesse che l’Ammiraglio Brivonesi era stato giudicato, da Cavagnari, inidoneo al Comando».
Lo stesso 9 novembre la Seekriegsleitung (SKL), l’alto comando della Marina tedesca, metteva sotto accusa la Marina italiana nei suoi primi commenti sull’accaduto: «Secondo radiomessaggi dell’incrociatore italiano TRIESTE il 51° trasporto marittimo è stato attaccato ad Est della Sicilia da 2 incrociatori leggeri inglesi e cacciatorpediniere dopo le 0100. Circa l’attacco La Marina italiana comunica che tutti i 7 piroscafi del convoglio per un tonnellaggio complessivo di 39.060 t.s.l. sono stati distrutti. Del carico tedesco si trovavano a bordo 217 veicoli, 4.359 t di materiale bellico e 78 soldati. Della forza di scorta italiana, che consisteva degli incrociatori TRIESTE e TRENTO e di 10 cacciatorpediniere complessivamente. Due cacciatorpediniere sono stati affondati e uno gravemente danneggiato. Secondo il comunicato italiano anche gli incrociatori nemici devono essere stati colpiti e, inoltre, durante il successivo rientro a Malta, attaccati con successo da aerosiluranti. Altre notizie non sono ancora disponibili. Già le informazioni disponibili fanno intendere che la distruzione di questo convoglio, con il quale, attraverso la protezione di una scorta nettamente prevalente, si tentava, dopo un’attesa di settimane, di forzare il blocco del traffico con Tripoli portato da due incrociatori leggeri, e spiegabile solo con l’erronea condotta delle forze navali italiane. Il significato e le conseguenze di questa sconfitta sono da considerarsi esattamente serie». L’indomani la SKL aggiungeva: «Il rapporto della Marina italiana contiene nei dettagli sulla catastrofe del convoglio 51 anche la notizia che uno dei cacciatorpediniere distrutti sia stato affondato dal siluro di un sommergibile, dal che si deve desumere l’eccellente cooperazione tattica delle forze leggere di superficie con le forze aeree e subacquee. Inoltre devono essere stati salvati molti naufraghi delle navi italiane. Due navi ospedale proseguono la ricerca. Il rapporto dell’Ammiraglio britannico lascia intendere, che al momento dell’attacco gli incrociatori di scorta italiana con 4 cacciatorpediniere si trovavano manifestamente tanto lontano dal convoglio che ha potuto essere portato a termine il cannoneggiamento di tutti i piroscafi senza intervento degli incrociatori. Il rapporto nega che le unità inglesi abbiano riportato qualsivoglia danno....... I trasporti per il Nord Africa sono sospesi». Il 15 novembre, dopo aver ricevuto il rapporto dell’ammiraglio Eberhard Weichold (ufficiale di collegamento tedesco presso Supermarina), l’alto comando della Kriegsmarine registrava infine che «Una prima sintetica valutazione del Capo del Comando Marina in Italia riguardante la distruzione del 51° convoglio si chiuse con la constatazione che l’andamento dell’operazione conferma di nuovo quanto si sapeva e ripetutamente si è segnalato dell’insufficiente adestramento tattico e allo impiego delle armi delle forze navali italiane. Per giunta il comando dell’ammiraglio italiano comandante degli incrociatori, chiaramente non all’altezza della situazione, ha facilitato agli inglesi il pieno successo contro le forze navali italiani di gran lunga prevalenti. L’ammiraglio responsabile è stato sostituito dall’ammiraglio Parona».
Anche più critico era stato l’addetto navale tedesco a Roma, ammiraglio Werner Löwisch, in una conversazione telefonica tenuta il 12 novembre con il capitano di vascello Carlo Tallarigo, sottocapo di gabinetto dell’ammiraglio Riccardi: Tallarigo riferì a Supermarina che «L’ammiraglio Löwisch ritornando da Berlino mi ha comunicato che l’Alto Comando della Marina Tedesca attribuisce i mancati successi della Marina Italiana soprattutto all’essere stato il nostro addestramento notturno di navi maggiori e minori assolutamente insufficiente. A questo proposito l’ammiraglio Löwisch mi diceva di essere rimasto colpito dalla primitività delle operazioni notturne che egli aveva avuto occasione di seguire sul “Duca degli Abruzzi” prima della guerra e di avere notato come attrezzatura di mezzi (binocoli, occhiali, caschi, ecc.) fossero di gran lunga inferiori non solo a quelli della Marina Tedesca ed inglese, ma anche a quella di altre marine meno progredite. L’ammiraglio Löwisch mi raccontava per esempio che su 150 esercitazioni da lui compiute al Comando dell’incrociatore “Leipzig”, 130 erano state notturne. In particolare la Marina Tedesca ha notato: a) Per le grandi navi mancanza di telemetri e rilevatori notturni già in uso da anni nella marina inglese. b) Per le siluranti mancanza di uno strumento di punteria notturna che permettesse l’apertura del tiro a distanza superiore a 10 mila metri ciò che l’Ammiraglio Löwisch mi ha detto avvenire comunemente nella Marina Tedesca. c) Per i sommergibili insufficiente rapidità di immersione, mancanza di siluro elettrico. L’ammiraglio Löwisch mi ha anche comunicato di essere perfetta convinzione dell’Alto Comando della Marina Tedesca che tali deficienze della Marina Italiana fossero perfettamente note ai comandi inglesi che hanno quindi cercato di sfruttare a loro vantaggio tali deficienze nel cercare sempre il combattimento notturno ed evitare in genere quello diurno».
Gli stessi ammiragli italiani non tardarono a riconoscere che Löwisch aveva pienamente ragione: l’ammiraglio Angelo Iachino, comandante della Squadra Navale, rilevò nei suoi rapporti l’inferiorità tecnica, tattica ed addestrativa della Regia Marina rispetto alla Royal Navy nel combattimento notturno e nella direzione del tiro; l’ammiraglio Lorenzo Gasparri, capo dell’Ispettorato Artiglieria e Munizionamento, denunciò in una lettera inviata a Supermarina il 3 dicembre che «Questo Ispettorato aveva da molto tempo tratto dai risultati dolorosamente negativi sugli scontri notturni la convinzione che i mezzi e la preparazione degli uomini per il tiro notturno erano assolutamente inadeguati alle necessità della guerra. La questione del tiro notturno fu infatti la prima delle quattro per le quali (nel 1939) furono richiesti e si ebbe scambi di notizie con la Marina germanica».
La condotta dell’ammiraglio Brivonesi e del capitano di vascello Bisciani, ritenuta tardiva e poco decisa, venne duramente criticata dagli alti Comandi della Marina; entrambi vennero rimossi dal comando, e Brivonesi fu anche deferito alla corte marziale. Tanto l’ammiraglio Wladimiro Pini, comandante del Dipartimento Militare Marittimo del Basso Tirreno, quando il capo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio Arturo Riccardi, ed il comandante della Squadra Navale, ammiraglio Angelo Iachino, furono molto critici verso il comportamento dei cacciatorpediniere della scorta diretta.
La distruzione del convoglio “Duisburg” creò un’atmosfera di nervosismo ed insicurezza presso Supermarina, e determinò una nuova interruzione del traffico convogliato verso Tripoli: per una decina di giorni vennero inviati in quel porto solo convogli veloci di unità militari in missione di trasporto e qualche convoglietto di piroscafi di modesto tonnellaggio (attorno alle 1000 tsl), mentre venne di converso intensificato l’invio di convogli a Bengasi, porto più vicino alla prima linea anche se in grado di ricevere meno navi, ma soprattutto raggiungibile seguendo una rotta – partenza da Taranto o Brindisi ed eventuale scalo intermedio a Navarino – meno esposta ad eventuali attacchi navali provenienti da Malta.
Questi provvedimenti però ebbero comunque l’effetto di determinare una riduzione della quantità complessiva di rifornimenti giunti in Libia: tra perdite in mare e mancati invii, proprio il 9 novembre Rommel scriveva al Comando Supremo della Wehrmacht che a fine ottobre erano giunte a Bengasi solo 8093 tonnellate di rifornimenti su 60.000 previste (dato che per la verità sembra esagerato, se si considera che nel mese di ottobre le perdite di materiale sulle rotte della Libia furono del 23 %, dunque il 77 % dei rifornimenti partiti era pur giunto in Libia; ma forse l’aumento delle perdite provocò una riduzione nel flusso dei convogli e quindi parte dei materiali non partì neanche), che un terzo dell’artiglieria e vari reparti comunicazioni da impiegare nel previsto attacco contro Tobruk non sarebbero arrivati prima del 20 novembre, e che su tre divisioni italiane chieste per l’offensiva di novembre ne era arrivata soltanto una, per giunta a ranghi incompleti. Il mese di novembre 1941 fu in effetti il più nero della “battaglia dei convogli”: le perdite tra i carichi inviati in Libia sfiorarono il 70 %, percentuale mai lontanamente raggiunta prima e mai più raggiunta in seguito (in generale, anche nei mesi peggiori di fine 1942 e inizio 1943 le perdite rimasero sempre molto al disotto del 50 %: in ventuno dei trentuno mesi della battaglia dei convogli per la Libia, le perdite di rifornimenti in mare rimasero al di sotto del 20 %); e per il rifornimento più importante, il carburante, questa percentuale raggiungeva un impressionante 92 %.
Il 13 novembre Rommel volò a Roma a discutere la situazione con il maresciallo Cavallero; quest’ultimo reiterò le richieste italiane di un invio di bombardieri della Luftwaffe per riprendere il martellamento aereo di Malta.
Il comandante della Forza K, capitano di vascello Agnew, per parte sua descrisse così le motivazioni del suo successo contro il convoglio “Duisburg”: «a) accuratissimo messaggio del Maryland nel pomeriggio dell’8 novembre in seguito al quale la Forza K salpò da Malta alle 17.30; b) eccezionale fortuna della divisione navale britannica nell’intercettare subito il suo obiettivo; c) addestramento specifico della stessa Forza K alla ricerca e alla distruzione dei convogli nemici in ore notturne; d) grossolana negligenza da parte della Marina italiana». Per questa vittoria, Agnew venne insignito dell’Ordine del Bagno; il 27 novembre 1941, dopo che la Forza K aveva distrutto un altro convoglio (il «Maritza»), Churchill gli inviò un messaggio di congratulazioni: “Molte congratulazioni l’eccellente lavoro che avete svolto fin dal vostro arrivo a Malta, dite a nome mio ai vostri uomini di ogni grado che le due imprese nelle quali sono stati impegnati, vale a dire la distruzione dei convogli nemici l’8 novembre (…) hanno giocato un ruolo decisivo nella grande battaglia che sta ora infuriando in Libia (…) Tutti coloro che hanno partecipato possono essere orgogliosi di essere stati di grande aiuto alla Gran Bretagna ed alla nostra causa”.
Il primo tentativo di inviare a Tripoli un altro convoglio di mercantili di medio-grandi dimensioni dopo il disastro del “Duisburg”, il 21 novembre 1941, fallì a causa degli attacchi aerei e subacquei britannici, che provocarono il danneggiamento di due incrociatori ed il rientro in porto dei mercantili; fu necessario proseguire con espedienti di emergenza (missioni di trasporto da parte di navi da guerra, invio di mercantili veloci isolati che avevano più probabilità di sfuggire all’avvistamento, incremento del traffico con Bengasi) fino a metà dicembre, quando una serie di eventi concomitanti determinarono un forte indebolimento delle forze aeronavali britanniche nel Mediterraneo, dando così inizio ad un periodo di rinnovata “tranquillità” per i convogli italiani.
La Forza K sarebbe rimasta una spina nel fianco delle linee di rifornimento via mare dell’Asse fino al 18 dicembre 1941, quando, a caccia di convogli al largo di Tripoli, andò a finire su un campo minato posato in quelle acque da unità italiane proprio per una simile evenienza.
La Servian su Sunderlandships
La Conte di Misurata su Wrecksite
La Conte di Misurata nel registro del R.I.N.A. del 1932
Requisitioned Auxiliary British Marquis
Petroleum Review, numero del 29 agosto 1905
Il disastro del convoglio Duisburg
Requisitioned Auxiliary British Peer
Ugo Altinier di Orsago (TV) figlio di Giacomo e di Santina fu dato per disperso, era sulla Conte di Misurata. Per ricordarlo mio padre Aurelio mi battezzò nel 1944 con il nome di suo fratello Ugo. E mi chiamo Ugo Altinier. Ringrazio molto per queste notizie così estese e puntuali, perché dal lontano novembre del 1941 la famiglia non ebbe mai alcuna notizia del marinaio Ugo arruolatosi volontario a 18 anni, nemmeno dove e come trovò la morte e sua madre Santina non ebbe mai modo di piangere sulla sua tomba. Grazie.
RispondiEliminaLa invito ad andare su wikipedia italia e a leggere quanto scritto sulla battaglia del 8-9 nov. 1941.
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