martedì 1 settembre 2020

Ardor

L’Ardor nel 1942: per dissimularne la natura di nave cisterna, a centro nave è stato installato un fumaiolo posticcio, mentre il vero fumaiolo, a poppa, è stato abbassato e nascosto (Coll. Fulvio Petronio, via Francesco Mattesini)

Motonave cisterna di 8960 tsl, 5079 tsn e 13.000 tpl, lunga 143,4-149,23 metri, larga 19,2 e pescante 10,55, con velocità di 11,5 nodi. Appartenente alla Società Anonima La Columbia di Genova (una controllata italiana della Standard Shipping Company di New York, facente parte del gruppo Standard Oil/Esso) ma gestita in guerra dall’AGIP; iscritta con matricola 1478 al Compartimento Marittimo di Genova, nominativo di chiamata IBLC.
Tra le petroliere italiane costruite prima degli anni Trenta, era l’unica ad avere una velocità superiore ai dieci nodi, ragion per cui ricevette una colorazione mimetica.

Breve e parziale cronologia.

23 dicembre 1926
Varata nei cantieri Ansaldo San Giorgio del Muggiano, La Spezia (numero di costruzione 206).

Il varo dell’Ardor (g.c. Rosario Sessa, via www.naviearmatori.net)

Giugno 1927
Completata per "La Columbia" Società Marittima per Trasporti di Petrolio e Derivati, avente sede a Genova. Nominativo di chiamata NEQS.
Fondata nel 1917, "La Columbia" è una società di navigazione avente il fine di trasportare i prodotti petroliferi della Società Italo Americana pel Petrolio (SIAP, odierna Esso Italiana), una controllata del colosso petrolifero statunitense Standard Oil Company (noto anche come Esso), fondata a Venezia nel 1891 (sede poi trasferita a Genova nel 1913).
La flotta de "La Columbia" è composta da cinque navi cisterna: oltre all’Ardor, ne fanno parte le petroliere Lampo, Splendor (costruite entrambe a Genova nel 1911-1912), Fulgor (costruita nel 1922) e Vigor (costruita nel 1923) cui nel 1928 si aggiungeranno la piccola motocisterna fluviale Fluvior (per il trasporto di prodotti petroliferi sul Tevere) ed una nuova Splendor, la più grande nave della flotta, che sostituirà la precedente nave di questo nome, venduta nello stesso anno unitamente alla Lampo.
Uno dei primi comandanti dell’Ardor è il capitano di lungo corso Giuseppe Aonzo, famoso comandante di MAS durante la prima guerra mondiale (aveva partecipato insieme a Luigi Rizzo all’azione di Premuda, che gli era valsa la Medaglia d’Oro al Valor Militare).
1934
Secondo un articolo del "Poverty Bay Herald", nei primi sette anni di servizio l’Ardor ha percorso quasi 500.000 miglia nautiche, ed i suoi motori sono stati in funzione complessivamente per 47.000 ore: un esempio, secondo l’estensore dell’articolo, dell’affidabilità dei motori diesel.
1934
Il nominativo di chiamata dell’Ardor cambia da NEQS a IBLC.

L’Ardor in una foto probabilmente risalente al periodo interbellico (g.c. Mauro Millefiorini, via www.naviearmatori.net)

1° ottobre 1940
Requisita a Genova dalla Regia Marina, senza essere iscritta nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato.
10 gennaio 1941
Derequisita.
21 febbraio 1941
Nuovamente requisita dalla Regia Marina, sempre a Genova, di nuovo senza essere iscritta nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato.
20 giugno 1941
L’Ardor parte da Palermo alle 13.30 diretta a Tripoli, con la scorta dell’anziana torpediniera Antonio Mosto.
In mare aperto, Ardor e Mosto si aggregano ad un convoglio partito da Napoli la sera precedente, formato dai Preussen (tedesco), MotiaBainsizzaNicolò Odero Maddalena Odero e scortati dai cacciatorpediniere Folgore (caposcorta), Fulmine, Euro e Saetta.
22 giugno 1941
Il convoglio giunge a Tripoli alle 19.30, dopo aver superato indenne diversi attacchi aerei britannici.
1° luglio 1941
Ardor, Preussen, BainsizzaNicolò Odero, Maddalena Odero ed un altro piroscafo, il Giuseppe Leva, lasciano Tripoli per Napoli alle 20, scortati da Folgore (caposcorta), FulmineEuro e Saetta.
5 luglio 1941
Il convoglio arriva a Tripoli alle 00.10.
18 settembre 1941
Alle 8.13, durante una navigazione di trasferimento verso Taranto, l’Ardor viene avvistata dal sommergibile britannico Triumph (capitano di fregata Wilfrid John Wentworth Woods) che la identifica erroneamente come la nave cisterna Liri di 6000 tsl (in realtà demolita nel 1935). (Secondo "British and Allied Submarine Operations in World War II", l’Ardor avrebbe avuto anche un carico di automezzi sistemati in coperta). La scorta è costituita da un’unità che Woods identifica come una torpediniera classe Spica, posizionata sul lato rivolto verso il mare aperto, in avvicinamento da poppa. Il Triumph, che si trova sul lato di terra, inizia la manovra d’attacco, ed alle 8.43 lancia tre siluri contro l’Ardor da 2290 metri di distanza; dopo una breve corsa (secondo le fonti italiane, alle 8.50), uno dei siluri va a segno, colpendo la motocisterna a cinque miglia da Capo Colonne (altre fonti, probabilmente erronee, parlano di Capo Cimiti o Capo Rizzuto).
Subito dopo il lancio, il Triumph si allontana in immersione alla massima velocità raggiungibile, ma già alle 8.48 torna a quota periscopica per osservare la situazione: fortemente appoppata e con un pesante sbandamento sulla sinistra, l’Ardor si dirige verso la costa (anzi, verso la spiaggia, secondo Woods), mentre la torpediniera di scorta incrocia avanti e indietro sul lato rivolto verso il mare aperto, lanciando bombe di profondità. Woods decide di restare verso il mare aperto ed aspettare che la torpediniera finisca di lanciare le bombe, per poi avvicinarsi nuovamente alla costa per tentare di finire la nave danneggiata. Passa così un’ora; alle 9.50, dopo aver lanciato 44 bombe di profondità, la torpediniera cessa il contrattacco e si allontana verso nord, ma l’Ardor non è più visibile. Woods spera che sia affondata, ma poco dopo l’avvista nuovamente: sta doppiando Capo Colonna ed è ormai troppo lontana per poter tentare un nuovo attacco.
Sebbene gravemente danneggiata, infatti, l’Ardor riesce a proseguire con i propri mezzi (secondo il diario del Comando Supremo; secondo altra fonte sarebbe stata invece presa a rimorchio dal rimorchiatore Teseo, con la scorta della torpediniere Orione) verso Crotone, dove giunge alle 11.20.
Replicando l’errore d’identificazione del comandante Woods, l’Ammiragliato britannico annuncerà il grave danneggiamento della nave cisterna italiana Liri, che in realtà è stata demolita anni prima della guerra.
15 dicembre 1941
In seguito all’ingresso in guerra degli Stati Uniti a fianco delle potenze Alleate, le società del gruppo Standard Oil operanti in Italia, avendo questa compagnia sede in un Paese diventato ora nemico, vengono poste sotto sequestro con un decreto ministeriale (il dissequestro sarà sancito con decreto luogotenenziale soltanto il 1° febbraio 1946).
Dal momento che anche "La Columbia" è una ramificazione della Standard Oil/Esso, anche l’Ardor viene sequestrata e data in gestione all’Azienda Generale Italiana Petroli (AGIP).

L’Ardor a inizio 1942, durante i lavori di riparazione dei danni causati dal siluramento nel settembre 1941 (da “Navi mercantili perdute” di Rolando Notarangelo e Gian Paolo Pagano, USMM, Roma 1997)

11 aprile 1942
Alle dieci del mattino l’Ardor salpa da Trieste trasportando 8000 tonnellate di nafta («tutto quello che la Germania ha potuto avere dalla Romania in un mese») destinate a Taranto, scortata da cacciasommergibili ed idrovolanti della ricognizione marittima. In una riunione del Comando Supremo tenuta il 9 aprile, l’ammiraglio Luigi Sansonetti, sottocapo di Stato Maggiore della Marina, definisce l’Ardor come la più importante delle navi cisterna in moto in quel momento, e spiega che «data l’importanza del trasporto, si sacrificherà qualche cosa perché possano essere date almeno due siluranti di scorta. È una cisterna importantissima, del carico di 14.000 tonn; abbiamo però caricato solamente 8000 tonn, sia per non mandare troppo carburante con una sola nave e sia perché nel caso di siluramento, possa rimanere a galla». L’arrivo a Taranto dell’Ardor e del suo carico è indispensabile per rendere possibili le future partenze di convogli diretti in Nordafrica, giacché la situazione della nafta è molto precaria: come spiega Sansonetti, «in questo momento (…) le navi si passano la nafta l’una all’altra. Appena una deve andare in cantiere, passa la nafta all’altra».
13 aprile 1942
L’Ardor raggiunge Taranto in mattinata. In una nuova riunione presso il Comando Supremo, l’ammiraglio Sansonetti commenterà: «questo arrivo ci ha tolto un grave peso perché nella zona vicina è stato avvistato un sommergibile, che questa mattina ha lanciato un siluro contro un piroscafo, che però è riuscito ad evitarlo».
24 aprile 1942
L’Ardor, scarica, fa ritorno da Taranto a Trieste, con scalo intermedio a Brindisi.
5 agosto 1943
Derequisita dalla Regia Marina.


L’affondamento

L’annuncio dell’armistizio tra l’Italia e gli Alleati, l’8 settembre 1943, sorprese l’Ardor ad Arsia, in Istria: da questo porto la nave salpò il 9 settembre, al comando del capitano di lungo corso Giovanni Biino. A bordo si trovavano ventuno uomini: venti membri dell’equipaggio civile ed un militare della Regia Marina, il sergente radiotelegrafista Giovanni Carbone del Comando Marina di Pola, imbarcatosi ad Arsia.
La sera (per altra fonte, il pomeriggio) del 10 settembre, mentre si apprestava ad entrare nelle Bocche di Cattaro, l’Ardor venne attaccata da bombardieri in picchiata tedeschi Junkers Ju 87 “Stuka”, decollati da basi aeree in Croazia. Colpita da bombe, la nave venne incendiata e gravemente danneggiata; metà dell’equipaggio, tra cui il comandante Biino ed il direttore di macchina Francesco Simonetti, rimase ucciso nell’attacco. Il piroscafo Diocleziano, che seguiva l’Ardor a distanza, riuscì invece a raggiungere indenne Cattaro.
Rimasta alla deriva, dopo ripetuti ed infruttuosi tentativi di prenderla a rimorchio, l’Ardor finì con l’incagliarsi in costa non lontano da Ragusa Vecchia (Cavtat); qui, il 12 settembre, fu nuovamente colpita ed affondata da un nuovo attacco di aerei tedeschi, cinque miglia a nord di Cattaro. (Secondo altra fonte, la nave fu gravemente danneggiata ed incendiata dal primo attacco e s’incagliò in costa dopo due giorni di tentativi per salvarla, per poi essere affondata il 12 settembre da un nuovo attacco della Luftwaffe, i cui aerei erano tornati per darle il colpo di grazia).
Secondo fonti locali, alcuni abitanti del luogo salirono a bordo del relitto incagliato dell’Ardor in cerca di cibo (vennero prelevate, tra l’altro, varie forme di formaggio) ed altri materiali difficili da reperire in quei tempi di ristrettezze, ma mentre questo “saccheggio” era in corso gli aerei della Luftwaffe tornarono alla carica, mitragliando la nave; un uomo rimase ucciso, ed un altro perse le gambe.

Dei ventuno uomini che componevano l’equipaggio dell’Ardor, undici avevano perso la vita.

I loro nomi:

Giovanni Biino, capitano di lungo corso (comandante), da Genova
Vittorio Bisso, meccanico, da San Rocco di Camogli
Giovanni Carbone, sergente radiotelegrafista della Regia Marina, da Bogliasco
Simeone Dongevin, pennese, da Trieste
Liberato Dudich, carbonaio, da Valdarsa
Augusto Giuliani, cambusiere, da Lerici
Vincenzo Marzocca, primo ufficiale di macchina, da Roma
Giuseppe Merconi, giovanotto di prima, da Castelnuovo d’Arsa
Pietro Schiappacasse, capo fuochista, da San Rocco di Camogli
Giuseppe Schiappacasse, cameriere, da San Rocco di Camogli
Francesco Simonetti, direttore di macchina, da Camogli
 
L’elenco dell’ultimo equipaggio dell’Ardor (Ufficio Storico della Marina Militare)

I dieci sopravvissuti raggiunsero Cattaro, dove intanto la situazione diventava di ora in ora più precaria. La zona delle Bocche di Cattaro ricadeva nella giurisdizione del Comando Marina di Teodo, retto dal capitano di vascello Mario Azzi; il comando della piazzaforte era affidato al generale di divisione Ugo Buttà, comandante della 155a Divisione Fanteria "Emilia", con quartier generale a Castelnuovo di Cattaro. Lo stato d’allarme era stato dichiarato dal Comando della Piazza già l’8 settembre, poche ore dopo l’annuncio dell’armistizio; l’11 settembre il capitano di vascello Azzi fece salpare per l’Italia tutte le unità militari presenti, dopo avervi imbarcato centinaia di militari delle varie armi, e nella notte successiva giunse a Cattaro una colonna motorizzata tedesca, che in base ad accordi presi con il comando del XIV Corpo d’Armata (da cui dipendeva la piazzaforte di Cattaro) avrebbe dovuto prendere in consegna dagli ex alleati le batterie e le altre artiglierie pesanti. Il mattino del 12 settembre si tenne una prima riunione tra i comandanti italiani e quello dell’autocolonna tedesca, nella quale vennero concordate le modalità di cessione di batterie ed artiglierie, mentre altre questioni rimasero irrisolte; nelle ore successive truppe tedesche iniziarono ad occupare varie batterie, recidendone i collegamenti telefonici con il Comando italiano. La situazione andò progressivamente deteriorando nel corso del 12 e del 13 settembre, finché gli ufficiali italiani, esasperati dalle crescenti prevaricazioni tedesche, sempre più chiaramente tese alla totale occupazione della base, decisero di opporre resistenza armata: gli scontri si accesero all’alba del 14 settembre e proseguirono per alcuni giorni. Mentre le prime due giornate di combattimenti si conclusero favorevolmente per le truppe italiane, il mancato arrivo di rinforzi dall’Italia rese questa effimera vittoria del tutto inutile; la sera del 15, dinanzi all’afflusso di rinforzi tedeschi ed al conseguente precipitare della situazione, ebbe inizio l’evacuazione delle truppe italiane con la partenza dei piroscafi Borsini, Diocleziano e Fanny Brunner, della nave cisterna Annarella e di varie unità minori. Poterono in questo modo sottrarsi alla cattura oltre seimila uomini, che raggiunsero la Puglia; gli altri caddero prigionieri dei tedeschi, che nel giro di alcuni giorni divennero completamente padroni delle bocche di Cattaro.
Dei dieci superstiti dell’Ardor, quattro – il terzo ufficiale di coperta Enrico De Silvestri, il secondo ufficiale di macchina Fausto Falcinelli, il pompista Reliano Ratti e l’ingrassatore Giuseppe Santostasi – s’imbarcarono sulla nave cisterna Annarella, con la quale raggiunsero Bari; altri tre – il primo ufficiale di coperta Vittorio Pietra, il nostromo Ernesto Torterolo ed il marinaio Federico Millevoi – riuscirono anch’essi a tornare in Italia. Meno fortuna ebbero il secondo ufficiale di coperta, Antonio Berti, e l’ingrassatore Giovanni Biagini: catturati dai tedeschi, furono deportati in Germania. Il cameriere Lorenzo Peragallo, rimasto ferito, fu ricoverato all’ospedale Meline di Cattaro; non è chiaro quale sia stata la sua sorte successiva (ma sembra piuttosto probabile che sia stato a sua volta deportato in Germania).

Il relitto dell’Ardor giace oggi ad una profondità compresa tra i 70 e gli 85 metri, non lontano dal villaggio croato di Molunat (a sud di Ragusa/Dubrovnik; secondo un sito croato, “tra Molunat e Cavtat, ma più vicino a Molunat”). Ben conservata, la nave si presenta in assetto di navigazione ed è oggi meta di immersioni (ma ancora relativamente poche, nelle parole di un subacqueo croato, dal momento che sono ancora visibili numerosi particolari ed oggetti da tempo scomparsi su relitti più visitati).

Alcune immagini del relitto dell’Ardor (da www.iliveunderwater.com):







Nessun commento:

Posta un commento