Motonave cisterna di
8960 tsl, 5079 tsn e 13.000 tpl, lunga 143,4-149,23 metri, larga 19,2 e
pescante 10,55, con velocità di 11,5 nodi. Appartenente alla Società Anonima La
Columbia di Genova (una controllata italiana della Standard Shipping Company di
New York, facente parte del gruppo Standard Oil/Esso) ma gestita in guerra
dall’AGIP; iscritta con matricola 1478 al Compartimento Marittimo di Genova,
nominativo di chiamata IBLC.
Tra le petroliere
italiane costruite prima degli anni Trenta, era l’unica ad avere una velocità
superiore ai dieci nodi, ragion per cui ricevette una colorazione mimetica.
Breve e parziale cronologia.
23 dicembre 1926
Varata nei cantieri
Ansaldo San Giorgio del Muggiano, La Spezia (numero di costruzione 206).
Il varo dell’Ardor (g.c. Rosario Sessa, via www.naviearmatori.net) |
Giugno 1927
Completata per
"La Columbia" Società Marittima per Trasporti di Petrolio e Derivati,
avente sede a Genova. Nominativo di chiamata NEQS.
Fondata nel 1917,
"La Columbia" è una società di navigazione avente il fine di
trasportare i prodotti petroliferi della Società Italo Americana pel Petrolio
(SIAP, odierna Esso Italiana), una controllata del colosso petrolifero
statunitense Standard Oil Company (noto anche come Esso), fondata a Venezia nel
1891 (sede poi trasferita a Genova nel 1913).
La flotta de "La
Columbia" è composta da cinque navi cisterna: oltre all’Ardor, ne fanno parte le petroliere Lampo, Splendor (costruite entrambe a Genova nel 1911-1912), Fulgor (costruita nel 1922) e Vigor (costruita nel 1923) cui nel 1928
si aggiungeranno la piccola motocisterna fluviale Fluvior (per il trasporto di prodotti petroliferi sul Tevere) ed
una nuova Splendor, la più grande
nave della flotta, che sostituirà la precedente nave di questo nome, venduta
nello stesso anno unitamente alla Lampo.
Uno dei primi
comandanti dell’Ardor è il capitano
di lungo corso Giuseppe Aonzo, famoso comandante di MAS durante la prima guerra
mondiale (aveva partecipato insieme a Luigi Rizzo all’azione di Premuda, che
gli era valsa la Medaglia d’Oro al Valor Militare).
1934
Secondo un articolo
del "Poverty Bay Herald", nei primi sette anni di servizio l’Ardor ha percorso quasi 500.000 miglia
nautiche, ed i suoi motori sono stati in funzione complessivamente per 47.000
ore: un esempio, secondo l’estensore dell’articolo, dell’affidabilità dei
motori diesel.
1934
Il nominativo di
chiamata dell’Ardor cambia da NEQS a
IBLC.
L’Ardor in una foto probabilmente risalente al periodo interbellico (g.c. Mauro Millefiorini, via www.naviearmatori.net) |
1° ottobre 1940
Requisita a Genova
dalla Regia Marina, senza essere iscritta nel ruolo del naviglio ausiliario
dello Stato.
10 gennaio 1941
Derequisita.
21 febbraio 1941
Nuovamente requisita
dalla Regia Marina, sempre a Genova, di nuovo senza essere iscritta nel ruolo
del naviglio ausiliario dello Stato.
20 giugno 1941
L’Ardor parte da Palermo alle 13.30
diretta a Tripoli, con la scorta dell’anziana torpediniera Antonio Mosto.
In mare aperto, Ardor e Mosto si aggregano ad un convoglio partito da Napoli la sera
precedente, formato dai Preussen (tedesco), Motia, Bainsizza, Nicolò
Odero e Maddalena Odero
e scortati dai cacciatorpediniere Folgore (caposcorta), Fulmine, Euro e Saetta.
22 giugno 1941
Il convoglio giunge a
Tripoli alle 19.30, dopo aver superato indenne diversi attacchi aerei
britannici.
1° luglio 1941
Ardor,
Preussen, Bainsizza, Nicolò Odero,
Maddalena Odero ed un altro
piroscafo, il Giuseppe Leva, lasciano
Tripoli per Napoli alle 20, scortati da Folgore (caposcorta), Fulmine, Euro e Saetta.
5 luglio 1941
Il convoglio arriva a
Tripoli alle 00.10.
18 settembre 1941
Alle 8.13, durante
una navigazione di trasferimento verso Taranto, l’Ardor viene avvistata dal sommergibile britannico Triumph (capitano di fregata Wilfrid
John Wentworth Woods) che la identifica erroneamente come la nave cisterna Liri di 6000 tsl (in realtà demolita nel
1935). (Secondo "British and Allied Submarine Operations in World War II",
l’Ardor avrebbe avuto anche un carico
di automezzi sistemati in coperta). La scorta è costituita da un’unità che
Woods identifica come una torpediniera classe Spica, posizionata sul lato
rivolto verso il mare aperto, in avvicinamento da poppa. Il Triumph, che si trova sul lato di terra,
inizia la manovra d’attacco, ed alle 8.43 lancia tre siluri contro l’Ardor da 2290 metri di distanza; dopo
una breve corsa (secondo le fonti italiane, alle 8.50), uno dei siluri va a
segno, colpendo la motocisterna a cinque miglia da Capo Colonne (altre fonti,
probabilmente erronee, parlano di Capo Cimiti o Capo Rizzuto).
Subito dopo il
lancio, il Triumph si allontana in
immersione alla massima velocità raggiungibile, ma già alle 8.48 torna a quota
periscopica per osservare la situazione: fortemente appoppata e con un pesante
sbandamento sulla sinistra, l’Ardor
si dirige verso la costa (anzi, verso la spiaggia, secondo Woods), mentre la
torpediniera di scorta incrocia avanti e indietro sul lato rivolto verso il
mare aperto, lanciando bombe di profondità. Woods decide di restare verso il
mare aperto ed aspettare che la torpediniera finisca di lanciare le bombe, per
poi avvicinarsi nuovamente alla costa per tentare di finire la nave
danneggiata. Passa così un’ora; alle 9.50, dopo aver lanciato 44 bombe di
profondità, la torpediniera cessa il contrattacco e si allontana verso nord, ma
l’Ardor non è più visibile. Woods
spera che sia affondata, ma poco dopo l’avvista nuovamente: sta doppiando Capo
Colonna ed è ormai troppo lontana per poter tentare un nuovo attacco.
Sebbene gravemente
danneggiata, infatti, l’Ardor riesce
a proseguire con i propri mezzi (secondo il diario del Comando Supremo; secondo
altra fonte sarebbe stata invece presa a rimorchio dal rimorchiatore Teseo, con la scorta della torpediniere Orione) verso Crotone, dove giunge alle
11.20.
Replicando l’errore
d’identificazione del comandante Woods, l’Ammiragliato britannico annuncerà il
grave danneggiamento della nave cisterna italiana Liri, che in realtà è stata demolita anni prima della guerra.
15 dicembre 1941
In seguito
all’ingresso in guerra degli Stati Uniti a fianco delle potenze Alleate, le
società del gruppo Standard Oil operanti in Italia, avendo questa compagnia
sede in un Paese diventato ora nemico, vengono poste sotto sequestro con un
decreto ministeriale (il dissequestro sarà sancito con decreto luogotenenziale
soltanto il 1° febbraio 1946).
Dal momento che anche
"La Columbia" è una ramificazione della Standard Oil/Esso, anche l’Ardor viene sequestrata e data in
gestione all’Azienda Generale Italiana Petroli (AGIP).
L’Ardor a inizio 1942, durante i lavori di riparazione dei danni causati dal siluramento nel settembre 1941 (da “Navi mercantili perdute” di Rolando Notarangelo e Gian Paolo Pagano, USMM, Roma 1997) |
11 aprile 1942
Alle dieci del
mattino l’Ardor salpa da Trieste
trasportando 8000 tonnellate di nafta («tutto
quello che la Germania ha potuto avere dalla Romania in un mese») destinate
a Taranto, scortata da cacciasommergibili ed idrovolanti della ricognizione
marittima. In una riunione del Comando Supremo tenuta il 9 aprile, l’ammiraglio
Luigi Sansonetti, sottocapo di Stato Maggiore della Marina, definisce l’Ardor come la più importante delle navi
cisterna in moto in quel momento, e spiega che «data l’importanza del trasporto, si sacrificherà qualche cosa perché
possano essere date almeno due siluranti di scorta. È una cisterna
importantissima, del carico di 14.000 tonn; abbiamo però caricato solamente
8000 tonn, sia per non mandare troppo carburante con una sola nave e sia perché
nel caso di siluramento, possa rimanere a galla». L’arrivo a Taranto dell’Ardor e del suo carico è indispensabile
per rendere possibili le future partenze di convogli diretti in Nordafrica,
giacché la situazione della nafta è molto precaria: come spiega Sansonetti, «in questo momento (…) le navi si passano la nafta l’una all’altra.
Appena una deve andare in cantiere, passa la nafta all’altra».
13 aprile 1942
L’Ardor raggiunge Taranto in mattinata. In
una nuova riunione presso il Comando Supremo, l’ammiraglio Sansonetti
commenterà: «questo arrivo ci ha tolto un
grave peso perché nella zona vicina è stato avvistato un sommergibile, che
questa mattina ha lanciato un siluro contro un piroscafo, che però è riuscito ad
evitarlo».
24 aprile 1942
L’Ardor, scarica, fa ritorno da Taranto a
Trieste, con scalo intermedio a Brindisi.
5 agosto 1943
Derequisita dalla
Regia Marina.
L’affondamento
L’annuncio
dell’armistizio tra l’Italia e gli Alleati, l’8 settembre 1943, sorprese l’Ardor ad Arsia, in Istria: da questo
porto la nave salpò il 9 settembre, al comando del capitano di lungo corso Giovanni
Biino. A bordo si trovavano ventuno uomini: venti membri dell’equipaggio civile
ed un militare della Regia Marina, il sergente radiotelegrafista Giovanni
Carbone del Comando Marina di Pola, imbarcatosi ad Arsia.
La sera (per altra
fonte, il pomeriggio) del 10 settembre, mentre si apprestava ad entrare nelle
Bocche di Cattaro, l’Ardor venne attaccata
da bombardieri in picchiata tedeschi Junkers Ju 87 “Stuka”, decollati da basi
aeree in Croazia. Colpita da bombe, la nave venne incendiata e gravemente
danneggiata; metà dell’equipaggio, tra cui il comandante Biino ed il direttore
di macchina Francesco Simonetti, rimase ucciso nell’attacco. Il piroscafo Diocleziano, che seguiva l’Ardor a distanza, riuscì invece a
raggiungere indenne Cattaro.
Rimasta alla deriva,
dopo ripetuti ed infruttuosi tentativi di prenderla a rimorchio, l’Ardor finì con l’incagliarsi in costa
non lontano da Ragusa Vecchia (Cavtat); qui, il 12 settembre, fu nuovamente
colpita ed affondata da un nuovo attacco di aerei tedeschi, cinque miglia a
nord di Cattaro. (Secondo altra fonte, la nave fu gravemente danneggiata ed
incendiata dal primo attacco e s’incagliò in costa dopo due giorni di tentativi
per salvarla, per poi essere affondata il 12 settembre da un nuovo attacco
della Luftwaffe, i cui aerei erano tornati per darle il colpo di grazia).
Secondo fonti locali,
alcuni abitanti del luogo salirono a bordo del relitto incagliato dell’Ardor in cerca di cibo (vennero
prelevate, tra l’altro, varie forme di formaggio) ed altri materiali difficili
da reperire in quei tempi di ristrettezze, ma mentre questo “saccheggio” era in
corso gli aerei della Luftwaffe tornarono alla carica, mitragliando la nave; un
uomo rimase ucciso, ed un altro perse le gambe.
Dei ventuno uomini
che componevano l’equipaggio dell’Ardor,
undici avevano perso la vita.
I loro nomi:
Giovanni Biino, capitano di lungo corso
(comandante), da Genova
Vittorio Bisso, meccanico, da San Rocco di
Camogli
Giovanni Carbone, sergente radiotelegrafista
della Regia Marina, da Bogliasco
Simeone Dongevin, pennese, da Trieste
Liberato Dudich, carbonaio, da Valdarsa
Augusto Giuliani, cambusiere, da Lerici
Vincenzo Marzocca, primo ufficiale di
macchina, da Roma
Giuseppe Merconi, giovanotto di prima, da
Castelnuovo d’Arsa
Pietro Schiappacasse, capo fuochista, da San
Rocco di Camogli
Giuseppe Schiappacasse, cameriere, da San
Rocco di Camogli
Francesco Simonetti, direttore di macchina, da
Camogli
I dieci sopravvissuti
raggiunsero Cattaro, dove intanto la situazione diventava di ora in ora più
precaria. La zona delle Bocche di Cattaro ricadeva nella giurisdizione del
Comando Marina di Teodo, retto dal capitano di vascello Mario Azzi; il comando
della piazzaforte era affidato al generale di divisione Ugo Buttà, comandante
della 155a Divisione Fanteria "Emilia", con quartier
generale a Castelnuovo di Cattaro. Lo stato d’allarme era stato dichiarato dal
Comando della Piazza già l’8 settembre, poche ore dopo l’annuncio
dell’armistizio; l’11 settembre il capitano di vascello Azzi fece salpare per
l’Italia tutte le unità militari presenti, dopo avervi imbarcato centinaia di
militari delle varie armi, e nella notte successiva giunse a Cattaro una
colonna motorizzata tedesca, che in base ad accordi presi con il comando del
XIV Corpo d’Armata (da cui dipendeva la piazzaforte di Cattaro) avrebbe dovuto
prendere in consegna dagli ex alleati le batterie e le altre artiglierie
pesanti. Il mattino del 12 settembre si tenne una prima riunione tra i
comandanti italiani e quello dell’autocolonna tedesca, nella quale vennero
concordate le modalità di cessione di batterie ed artiglierie, mentre altre
questioni rimasero irrisolte; nelle ore successive truppe tedesche iniziarono
ad occupare varie batterie, recidendone i collegamenti telefonici con il
Comando italiano. La situazione andò progressivamente deteriorando nel corso
del 12 e del 13 settembre, finché gli ufficiali italiani, esasperati dalle
crescenti prevaricazioni tedesche, sempre più chiaramente tese alla totale
occupazione della base, decisero di opporre resistenza armata: gli scontri si
accesero all’alba del 14 settembre e proseguirono per alcuni giorni. Mentre le
prime due giornate di combattimenti si conclusero favorevolmente per le truppe
italiane, il mancato arrivo di rinforzi dall’Italia rese questa effimera
vittoria del tutto inutile; la sera del 15, dinanzi all’afflusso di rinforzi
tedeschi ed al conseguente precipitare della situazione, ebbe inizio
l’evacuazione delle truppe italiane con la partenza dei piroscafi Borsini, Diocleziano e Fanny Brunner,
della nave cisterna Annarella e di
varie unità minori. Poterono in questo modo sottrarsi alla cattura oltre
seimila uomini, che raggiunsero la Puglia; gli altri caddero prigionieri dei
tedeschi, che nel giro di alcuni giorni divennero completamente padroni delle
bocche di Cattaro.
Dei dieci superstiti
dell’Ardor, quattro – il terzo
ufficiale di coperta Enrico De Silvestri, il secondo ufficiale di macchina
Fausto Falcinelli, il pompista Reliano Ratti e l’ingrassatore Giuseppe
Santostasi – s’imbarcarono sulla nave cisterna Annarella, con la quale raggiunsero Bari; altri tre – il primo
ufficiale di coperta Vittorio Pietra, il nostromo Ernesto Torterolo ed il
marinaio Federico Millevoi – riuscirono anch’essi a tornare in Italia. Meno
fortuna ebbero il secondo ufficiale di coperta, Antonio Berti, e l’ingrassatore
Giovanni Biagini: catturati dai tedeschi, furono deportati in Germania. Il
cameriere Lorenzo Peragallo, rimasto ferito, fu ricoverato all’ospedale Meline
di Cattaro; non è chiaro quale sia stata la sua sorte successiva (ma sembra
piuttosto probabile che sia stato a sua volta deportato in Germania).
Il relitto dell’Ardor giace oggi ad una profondità
compresa tra i 70 e gli 85 metri, non lontano dal villaggio croato di Molunat
(a sud di Ragusa/Dubrovnik; secondo un sito croato, “tra Molunat e Cavtat, ma
più vicino a Molunat”). Ben conservata, la nave si presenta in assetto di
navigazione ed è oggi meta di immersioni (ma ancora relativamente poche, nelle
parole di un subacqueo croato, dal momento che sono ancora visibili numerosi
particolari ed oggetti da tempo scomparsi su relitti più visitati).
Alcune
immagini del relitto dell’Ardor (da www.iliveunderwater.com):
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