mercoledì 15 gennaio 2020

Mincio

Il Mincio a Gravesend nell’agosto 1933 (da “Tramp Ships: An Illustrated History” di Roy Fenton)

Piroscafo da carico ad un ponte di 5404 tsl, 3183 tsn e 7907 tpl, lungo 116,6 metri, largo 15,85 e pescante 10,7, con velocità di 9,5 nodi. Di proprietà della Società Anonima di Navigazione Unione, con sede a Genova, ed iscritto con matricola 1042 al Compartimento Marittimo di Genova; nominativo di chiamara IBEW.

Breve e parziale cronologia.

1920
Impostato nei cantieri di Genova Voltri della Società Anonima Cantieri Cerusa per la Transoceanica Società Italiana di Navigazione, con sede a Napoli, una controllata della Navigazione Generale Italiana di Genova.

Una caldaia di 60 tonnellate in attesa di essere installata sul Mincio in costruzione, nel 1920 (g.c. Nedo B. Gonzales, via www.naviearmatori.net)

Il Mincio in costruzione nel 1921 (g.c. Nedo B. Gonzales, via www.naviearmatori.net)


13 maggio 1921
Varato nei cantieri di Genova Voltri della Società Anonima Cantieri Cerusa.
8 giugno 1921
Completato per la Navigazione Generale Italiana, con sede a Genova, che nel frattempo – date le perdite di naviglio subita durante la prima guerra mondiale e la difficoltà economica di gestire delle controllate – ha riassorbito la Transoceanica, rilevandone la flotta. (Altra fonte parla dell’armatore Pietro Ravano fu Marco di Genova, che l’avrebbe successivamente ceduto alla Premuda Società Anonima di Navigazione di Trieste, ma sembra probabile un errore; altra fonte ancora afferma che dal 1921 al 1940 la nave sarebbe stata di proprietà della Società Anonima Industria Armamento di Pietro Ravano. Dai Lloyd’s Registers emerge inequivocabilmente che dal 1930 al 1940 la nave fu di proprietà della Unione Società Anonima di Navigazione). Stazza lorda e netta 5404 tsl e 3184 tsn.
Nei primi anni della sua vita, viene impiegato sulle rotte tra l’Italia e le Americhe.
13 luglio 1921
Un incidente verificatosi a seguito di una fumigazione del Mincio, mentre questo è ormeggiato a New York al Pier 70 (o "Molo italo-americano") di Brooklyn (sul fiume Hudson), provoca la morte per soffocamento di tre marinai, e l’intossicazione di altri due.
Dopo il suo arrivo in porto al termine di un viaggio da Genova, infatti, la nave viene sottoposta a fumigazione da parte delle autorità sanitarie statunitensi, per disinfestarla da ratti che potrebbero essere portatori di peste: la fumigazione viene effettuata con acido cianidrico, gas pericolosissimo e fatale per l’uomo anche se inalato in quantità estremamente ridotte. Dopo alcune ore – all’una del pomeriggio del 12 luglio –, terminata la fumigazione, i portelli delle stive vengono rimossi ed il Mincio viene aerato per un giorno intero prima di lasciar tornare a bordo l’equipaggio; ciononostante, nelle stive permangono alcune sacche di acido cianidrico, e quando i marinai vi ritornano per riprendere a lavorare, finiscono col respirare il venefico gas. I due marittimi che per primi sono scesi nella stiva, Domenico Stropoli ed Ignazio Fianacco, sono i primi a morire; altri due rimangono intossicati in modo meno grave. Sentendo le grida di aiuto che provengono dalla stiva, il marinaio Battista La Fauchia si lega un cavo intorno alla vita e si fa calare dai compagni nella stiva mediante un verricello, nel tentativo di salvare i compagni; ma rimane a sua volta mortalmente intossicato. I poliziotti Charles Schofer ed Ed Demartini, accorsi a bordo, trascinano gli altri uomini lontano dal boccaporto della stiva.

Il Mincio a Voltri (g.c. Nedo B. Gonzales, via www.naviearmatori.net)

9-10 ottobre 1926
ll Mincio, partito il 7 ottobre da Rosario (Argentina) diretto a New York, via Buenos Aires, con un carico di 5963 tonnellate di semi di lino di proprietà della ditta Spencer Kellogg & Sons Inc. (altre mille tonnellate dovranno essere caricate a bordo a Buenos Aires), s’incaglia nel letto del fiume Paranà.
Dopo la partenza da Rosario il Mincio, che ha un pescaggio di 6,86 metri, ha disceso il Paranà fino alla stazione Martin Garcia, dove si è ancorato alle 14.45 dell’8 ottobre in attesa che il livello dell’acqua nel canale, troppo basso per una navigazione sicura, aumenti. Alle 9.45 del 9 ottobre, dopo aver ricevuto comunicazione dal locale semaforo che l’acqua nel canale è salita a 6,90 metri, il Mincio salpa l’ancora per ordine del pilota locale (imbarcato per obbligo di legge) e ripprende la discesa del fiume, ma alle 10.15 circa, mentre si sta avvicinando alla boa K-93 all’imboccatura del Canale Nuevo, si arena nel fondale fangoso e sabbioso del Paranà, ampio in quel tratto 14 miglia (ma con un canale navigabile largo appena 45 metri), a circa 2-2,5 miglia dalla costa uruguaiana. Subito dopo l’incaglio, il primo ed il secondo ufficiale scandagliano il fondale e riferiscono che la profondità è di 6,73-6,75 metri a prua ed a poppa, e 7 metri a centro nave; il Mincio si è incagliato sul lato sinistro del canale navigabile, con un lieve sbandamento verso dritta. Le macchine vengono subito fermate, e tutte le ancore vengono calate, compresa un’ancora di tonneggio che viene calata a poppavia dritta per evitare che le onde sollevate da altre navi che passassero sulla dritta possano spingere la poppa del Mincio contro un vicino banco. C’è il rischio che le giunture dello scafo possano cedere (la nave poggia sul fondale con le estremità, ma sotto il centro c’è dell’acqua, e per di più il carico è stivato proprio a centro nave, il che sottopone lo scafo ad uno sforzo), e la situazione è aggravata dalle avvisaglie di un probabile uragano in avvicinamento da sudovest. Il comandante ritiene che il pericolo non sia immediato, mentre il secondo ufficiale lo ritiene imminente; se le giunture dello scafo dovessero iniziare a cedere, l’acqua imbarcata farebbe espandere il carico di semi di lino, che potrebbero intasare le pompe e persino sfondare lo scafo con la loro espansione.
Il comandante contatta gli agenti della N.G.I. a Buenos Aires riferendo dell’accaduto, e questi ultimi contattano le autorità argentine, che avviano un’indagine formale e mandano sul posto un rimorchiatore con a bordo un funzionario della locale autorità portuale; intanto, tra le 11.30 e le 11.45 il Mincio tenta di disincagliarsi con i propri mezi, mettendo le macchine indietro tutta, nella supposizione che il livello dell’acqua sia salito a sufficienza. Il tentativo non ha successo, e viene ripetuto dalle 11.30 alle 11.45 del 10 ottobre, poi da mezzogiorno alle 14 ed infine dalle 19.30 alle 22.30 dello stesso giorno; alle 22.30 del 10 ottobre – dopo 36 ore dall’incaglio – il Mincio riesce finalmente a liberarsi dal fondale, dopo di che prosegue lungo il fiume fino a raggiungere Buenos Aires.
Qui viene sottoposto ad un controllo delle macchine e delle trasmissioni del timone, che ricevono alcune sommarie riparazioni; successivamente, raggiunta New York, il carico viene sbarcato e la nave viene immessa in bacino di carenaggio per un controllo più approfondito, che rivela che 17 piastre del fondo della carena a proravia del centro della nave, sul lato sinistro, sono dislocate o danneggiate, con infiltrazioni da ben 5000 rivetti. Inoltre, il cemento nel doppio fondo sia a dritta che a sinistra è rotto o spostato in tutta la parte centrale della nave; le ordinate e le intercostali nella zona in cui le piastre sono danneggiate (sulla sinistra) sono piegate e deformate, con rottura di diversi rivetti; altre infiltrazioni interessano i rivetti dei serbatoi numero 1 e 2; ed anche le macchine e gli organi di governo hanno subito considerevoli danni. Complessivamente, il costo dei danni subiti dal Mincio verrà valutato in 50.552,43 dollari dell’epoca.
Seguirà una disputa legale tra la Navigazione Generale Italiana e la Spencer Kellogg & Sons Inc., relativamente al contributo che quest’ultima dovrebbe pagare per le riparazioni dei danni subiti dal Mincio, che si trascinerà per ben undici anni. Alla fine i giudici statunitensi daranno ragione alla N.G.I., condannando la Spencer Kellogg a pagare 6451,16 dollari per le riparazioni.
1929
Ceduto alla Società Anonima di Navigazione Unione, con sede a Genova.
Dicembre 1930
Durante un viaggio da Mariupol (odierna Ucraina), da dov’è partito l’8 novembre con un carico di 6500 tonnellate di carbone dalla Russia, a New York, dove arriva il 17 dicembre dopo aver fatto scalo intermedio ad Istanbul, il Mincio incontra una serie di furiose burrasche e tempeste quasi senza ininterruzione da quando lascia il Mediterraneo fino al suo arrivo a New York. Il maltempo incontrato provoca un ritardo di otto giorni ed il ferimento di due membri dell’equipaggio (un marinaio riporta un taglio sopra un occhio dopo essere stato gettato da un’onda contro un scaletta, mentre un altro marittimo subisce una frattura ad un dito). Inoltre, a causa del ritardo accumulato il Mincio non potrà eseguire il previsto viaggio di ritorno (col quale dovrebbe arrivare a Genova il 10 gennaio) a noleggio di un altro cliente.
Febbraio 1937
Durante la guerra civile spagnola, il Mincio compie un viaggio in Spagna per conto delle Ferrovie dello Stato, trasportando truppe e materiali del Corpo Truppe Volontarie. La nave (come altri trenta piroscafi), non essendovi grande disponibilità di mercantili noleggiabili per trasportare rifornimenti, effettua il trasporto in Spagna nel corso di un viaggio di andata, altrimenti scarica, verso l’Europa settentrionale: parte dall’Italia, scarica i rifornimenti in Spagna e prosegue in zavorra sino in Nordeuropa, dove imbarca carbone per conto dell’Azienda Monopolio Carboni. Per il viaggio sino in Spagna, vengono imbarcati alcuni uomini della Regia Marina per mantenere le comunicazioni e compiere le segnalazioni, ed il comando della nave viene assunto da un ufficiale di Marina; i piroscafi compiono il viaggio da soli od a coppie, con la scorta di incrociatori leggeri o cacciatorpediniere della II Squadra sino al meridiano di Malaga od allo stretto di Gibilterra, e poi di navi da guerra del gruppo "Quarto" (esploratori Quarto ed Aquila, torpediniera Audace) basate a Tangeri, che vigilano sulle rotte di accesso a Cadice.
1938
Risulta impiegato nelle acque dell’Europa.

(Stuart Smith via www.uboat.net)

Cattura e affondamento

Il Mincio fu tra le decine di mercantili italiani che al momento dell’ingresso in guerra dell’Italia, il 10 giugno 1940, si trovavano fuori dal Mediterraneo e, per di più, in acque controllate dai nuovi nemici.
Le fonti sembrano essere discordanti su dove il Mincio si trovasse esattamente in quel momento: secondo una versione, nel porto di Liverpool; secondo un’altra, era invece in navigazione in mare aperto, al largo delle coste britanniche, quando venne intercettato da unità della Royal Navy che lo costrinsero a dirigere su Liverpool (una fonte non controllata afferma che sarebbe stato catturato in mare aperto l’11 giugno e rimorchiato a Liverpool). Il volume "Navi mercantili perdute" dell’USMM afferma che il Mincio fu “catturato dai britannici il 23 luglio 1940 e quindi condotto a Liverpool”, ma la data è certamente sbagliata. Un sito tedesco parla di Methil, anziché Liverpool, ma sembra probabile un errore. Il libro “Tramp Ships: An Illustrated History” di Roy Fenton afferma che il Mincio era in navigazione e fu catturato dalla Royal Navy e portato a Liverpool come preda di guerra.
Ad ogni modo, al momento della dichiarazione di guerra il Mincio si trovava nelle acque del Regno Unito, e venne pertanto immediatamente catturato dai britannici. L’equipaggio italiano venne sbarcato ed internato, e la nave, passata sotto il controllo del Ministry of War Transport (altra fonte parla del Ministry of Shipping), venne ribattezzata Empire Fusilier (nominativo di chiamata GMJG), registrata a Liverpool, data in gestione alla compagnia Watts, Watts & Co. Ltd. di Londra ed impiegata in guerra sotto bandiera britannica (la sua stazza lorda e netta, dopo il cambio di registro, risultarono di 5408 tsl e 3240 tsn).

Gli uomini del Mincio si ritrovarono ad essere tra i 4500 cittadini italian di tutte le età ed occupazioni (c’erano commercianti, professionisti, artigiani, cuochi, camerieri, autisti, barbieri, religiosi ed altro ancora) che nel giugno 1940, in seguito alla dichiarazione di guerra, furono arrestati in tutta la Gran Bretagna nel timore che potessero diventare spie, sabotatori od in altro modo “quinte colonne” in territorio britannico. Era stato Churchill in persona, il giorno seguente alla dichiarazione di guerra, ad arrestare l’arresto di tutti i cittadini italiani di sesso maschile e di età compresa tra i 16 ed i 70 anni: gli arresti furono effettuati dall’Home Office (l’equivalente britannico del Ministero dell’Interno, dal quale dipendevano le forze di polizia), mentre il War Office provvedeva all’allestimento dei campi d’internamento. Nel giro di tre giorni, un terzo dei cittadini italiani residenti nel Regno Unito erano in stato di arresto. Imprigionati inizialmente presso le stazioni di polizia dei paesi e città in cui si trovavano, gli italiani vennero successivamente concentrati in un grande campo allestito a Warth Mills, un ex cotonificio di Bury, nel Lancashire, da dove vennero poi smistati verso altri campi in tutto il Regno Unito.
I marittimi formavano un gruppo piuttosto numeroso tra questi internati: oltre al Mincio, infatti, erano ben quattordici i mercantili italiani che la dichiarazione di guerra sorprese nei porti o nelle acque del Regno Unito, con conseguente immediata cattura di navi ed equipaggi: Andrea, Amelia Lauro, Angelina Lauro, Barbana C., Elios, Erica, Gabbiano, Gioacchino Lauro, Marzocco, Mugnone, Moscardin, Pamia, Pellice e Procida. In tutto, quasi 500 tra ufficiali e marinai della Marina Mercantile italiana vennero così catturati.
La maggior parte degli italiani vennero internati nel Regno Unito (e specialmente in campi allestiti nell’Isola di Man), ma diverse centinaia vennero invece trasferiti via mare in Canada (durante uno di questi viaggi, il 2 luglio 1940, si verificò la tragedia del piroscafo Arandora Star, affondato in Atlantico da un U-Boot con la morte di 470 dei 734 internati civili italiani a bordo).
Un gruppo di 401 italiani – tutti uomini, in massima parte di età compresa tra i 20 ed i 30 anni, anche se ve n’erano altri più giovani, fino a 16 anni, o più anziani, fino a 60 – partì per il Canada il 3 luglio 1940 a bordo dell’Ettrick, una grande e moderna motonave passeggeri convertita in trasporto truppe: 342 di essi erano internati civili, e tra questi 59 erano marittimi (più precisamente: un comandante, un ufficiale di coperta, dodici marinai, dieci mozzi, venti fuochisti, due carpentieri, tre cuochi, tre nostromi, tre stewards, un direttore di macchina, un macchinista, un radiotelegrafista ed un cambusiere), compresi cinque uomini del Mincio (gli altri erano componenti degli equipaggi di Elios, Erica, Andrea, Amelia Lauro, Angelina Lauro, Gioacchino Lauro e Gabbiano, nonché del piroscafo Libano, catturato a Gibilterra). L’Ettrick raggiunse il porto di Québec il 13 luglio, dopo un viaggio di dieci giorni, e qui gli internati furono condotti alla locale stazione ferroviaria e trasferiti via treno a Montréal, dove poi furono caricati su autobus e trasportati nel campo d’internamento S/43, allestito apposta per loro sull’isola di Sainte-Hélène, un’isola fluviale del San Lorenzo poco distante da Montréal. Qui gli internati giunsero la tarda sera del 13 luglio.
Gli internati del campo S/43 formavano un gruppo alquanto eterogeneo per età, professione e persino lingua: alcuni di essi, residenti in Regno Unito fin dall’infanzia, parlavano soltanto inglese; altri, e specialmente tra i marittimi, parlavano dialetti regionali più che l’italiano vero e proprio. Per quello che riguardava la loro opinione politica, secondo un rapporto del luglio 1941 del commissario britannico alle prigioni Alexander Paterson un centinaio degli internati erano pro-britannici, un centinaio accesi fascisti, ed i restanti (circa 200) non avevano una precisa posizione politica; un rapporto del colonnello Stethem risalente al gennaio 1941 giudicava invece che il 40 % degli internati potessero essere considerati fascisti, ed il 60 % antifascisti. Con poche eccezioni, comunque, non si trattava di “soggetti pericolosi”, secondo quanto riferito già il 7 agosto 1940 dal colonnello H. Watson. Gli internati non tardarono a dividersi al loro interno: da una parte i fascisti, dall’altra i pochi comunisti e gli ebrei (c’erano anche, tra i 342 internati civili, 17 rifugiati ebrei, che vennero però ben presto trasferiti in altri campi); in mezzo la massa che non si schierava, e che non desiderava altro che la libertà ed il ricongiungimento con i propri cari. Al di là delle inevitabili tensioni, gli internati riuscirono comunque a coabitare in modo abbastanza pacifico; non vi furono episodi di violenza, tranne qualche raro litigio tra fascisti ed antifascisti, la distruzione di una radio da parte di un internato fascista che riteneva che le notizie da questa trasmesse – ovviamente, di parte britannica – fossero solo propaganda, e la distruzione di alcuni giornali da parte di alcuni marittimi (presumibilmente per lo stesso motivo della radio).
Le condizioni di vita nel campo S/43 erano complessivamente abbastanza buone; le razioni degli internati erano uguali a quelle ricevute dai soldati canadesi, e gli internati avevano la possibilità di seguire corsi per proseguire i propri studi, e di lavorare – se lo volevano – in cambio di una paga giornaliera. La Croce Rossa e la Y.M.C.A. (Young Men’s Christian Association) fornì loro articoli sportivi, libri, strumenti musicali e giochi per passare il tempo. Le principali lamentele – oltre, ovviamente, alla privazione della libertà – riguardavano la ristrettezza degli spazi personali e l’impossibilità di ricevere visite dai parenti.
Nel 1942 lo status dei marittimi italiani internati – a differenza degli altri civili italiani internati, e pur essendo gli uomini della Marina Mercantile dei civili – venne modificato da quello di internati civili a quello di prigionieri di guerra di classe 1, così parificandolo a quello dei militari catturati, ed impedendone il rilascio fino alla fine delle ostilità. Il campo S/43 chiuse i battenti nel novembre 1943, e gli internati che ancora vi si trovavano – molti erano stati rilasciati in seguito all’armistizio di Cassibile, o dopo che il riesame del loro caso aveva dimostrato che non costituivano un pericolo per il Regno Unito – vennero trasferiti in un altro campo d’internamento a Fredericton.

Tra gli uomini del Mincio rimasti nel Regno Unito, il primo ufficiale di macchina Delfino Olivari morì in prigionia in Inghilterra il 28 gennaio 1943, all’età di 41 o 42 anni.
È oggi sepolto nel cimitero militare di Beachley, nel Gloucestershire (Inghilterra sudoccidentale), tomba 68, insieme a 29 militari italiani e 94 tedeschi deceduti in prigionia nel Regno Unito.

La tomba di Delfino Olivari nel cimitero di Beachley (foto Phillip Mobbs, da www.findagrave.com)

Il 29 novembre 1940 uno dei componenti del nuovo equipaggio dell’Empire Fusilier, il marinaio diciannovenne William Arthur Urquhart Bruce, perde la vita nel corso di un bombardamento aereo a Liverpool.
Alcuni giorni dopo, il 7 dicembre, l’Empire Fusilier salpò da Liverpool per raggiungere Oban con il convoglio OB. 256, ma dovette tornare in porto per effettuare riparazioni alle macchine ed agli organi di governo, restandovi poi fino alla fine del mese.
La nave ex italiana iniziò il suo primo viaggio sotto bandiera britannica il 1° gennaio 1941: unitasi al convoglio OB. 268 (composto da 33 navi mercantili e 6 navi scorta, partito da Liverpool il 1° gennaio e dispersosi il 4), partì da Liverpool ma dovette invertire la rotta il 3 gennaio a causa di seri danni causati dal maltempo, raggiungendo Greenock il 6 gennaio ed ormeggiandosi sul Clyde. Da qui l’Empire Fusilier ripartì il 15 gennaio, navigando stavolta per conto proprio, facendo ritorno a Liverpool il giorno seguente. Il 18 febbraio 1941 il piroscafo ripartì in zavorra da Liverpool con il convoglio OB. 288 (formato da 46 mercantili e 6 navi scorta, partito da Liverpool il 18 febbraio e dispersosi il 22), ma di nuovo dovette fare dietro-front, dopo il primo giorno di navigazione, per problemi agli apparati di governo, raggiungendo Oban due giorni dopo; da Oban proseguì poi il 26 febbraio aggregandosi al convoglio OG. 54 (Liverpool-Gibilterra, 35 navi mercantili e 13 navi scorta), ma ancora una volta dovette tornare indietro, rientrando ad Oban il 1° marzo. Qui si trattenne per altri dieci giorni, poi ripartì con il convoglio OB. 296 (40 navi mercantili e 7 navi scorta, partito da Liverpool il 10 marzo e dispersosi cinque giorni dopo); successivamente alla dispersione di tale convoglio, proseguì da solo fino a Tampa, in Florida (Stati Uniti), dove giunse il 9 aprile 1941. Dopo essere rimasto per un mese in quel porto, caricando fosfati, l’Empire Fusilier ne ripartì l’8 maggio diretto ad Hampton Roads, in Virginia, dove giunse il 14 dello stesso mese; lo stesso giorno proseguì diretto ad Halifax, sempre navigando da solo e senza scorta, arrivandovi il 18 maggio. Qui era previsto che l’Empire Fusilier si sarebbe dovuto unire al convoglio SC. 32, in partenza il giorno seguente, per raggiungere Billingham-on-Tees, ma ciò non avvenne e la nave venne invece aggregata al successivo convoglio SC. 33. Da Halifax, infatti, il bastimento, carico di fosfati e tritolo, ripartì il 24 maggio diretto a Sydney, Nuova Scozia (da non confondersi con l’omonima città australiana), dove giunse il 26 e si aggregò al convoglio SC. 33 (Sydney-Liverpool, 50 mercantili e 18 navi scorta in vari tratti della navigazione), che partì da quel porto il 1° giugno e raggiunse Loch Ewe il 19. Due giorni dopo l’Empire Fusilier lasciò quel porto unendosi al convoglio WN. 143 (Oban-Methil, composto da 63 mercantili e partito da Oban il 20 giugno) e con esso arrivò a Methil il 23 giugno, per poi proseguire il giorno successivo insieme al convoglio FS. 524 (Methil-Southend, 29 navi mercantili) ed arrivare a Middlesbrough il 25 giugno.
A Middlesbrough l’Empire Fusilier rimase per parecchio tempo: ne ripartì soltanto l’11 agosto 1941, con il convoglio EC. 58 (Southend-Clyde, 19 mercantili ed una nave scorta), raggiungendo Dunnet il 13 agosto e Loch Ewe il 14. Partito lo stesso giorno (per altra fonte, il 17 agosto) con il convoglio ON. 7 – formato da 40 mercantili diretti nelle Americhe con 16 navi scorta in vari tratti della navigazione –, proseguì da solo dopo la dispersione del convoglio (avvenuta il 25 agosto in posizione 56°31’ N e 42°39’ O) e raggiunse nuovamente Tampa il 9 settembre, ripartendone il 24 – di nuovo in navigazione isolata – ed arrivando ad Hampton Roads il 30 dello stesso mese, carico di fosfati per uso agricolo (fertilizzante).
Lasciata Hampton Roads il 2 ottobre, la nave raggiunse Sydney (Nuova Scozia) l’8 e ne ripartì l’11 con il convoglio SC. 49 (Sydney-Liverpool, 39 mercantili e 6 navi scorta), arrivando a Loch Ewe il 26 ottobre e poi proseguendo l’indomani verso Methil – dove arrivò il 30 ottobre, ancorandosi in rada con problemi agli organi di governo – con il convoglio WN. 198 (Oban-Methil, partito da Oban il 26 ottobre e composto da 34 mercantili). (Tutti questi problemi all’apparato motore ed agli organi di governo, insieme al fatto che l’Empire Fusilier non si mosse da Liverpool per i primi sei mesi successivi alla cattura, fanno sospettare che l’equipaggio del Mincio, prima della cattura, possa essere riuscito a sabotare la nave: tuttavia non è stato possibile rintracciare alcun dettaglio riguardo le circostanze della cattura della nave, ed eventuali atti di sabotaggio).
Lasciò Methil il 19 novembre con il convoglio FS. 651 (Methil-Southend, formato dall’Empire Fusilier e dai mercantili norvegesi Brestum, Brisk, Cresco e Reias e dal britannico Stanhope), sostando brevemente presso Capo St. Abbs, e raggiunse Southend il 21; spostatosi l’indomani a Gravesend, rimase in quel porto per qualche settimana, ripartendo l’11 dicembre con il convoglio FN. 576 (Southend-Methil, composto da dodici navi mercantili) e raggiungendo il Tyne due giorni dopo. L’11 gennaio 1942 l’Empire Fusilier lasciò il Tyne con il convoglio FN. 602 (Southend-Methil, composto da 21 mercantili e partito da Southend l’11 gennaio), raggiungendo Methil il 13; da Methil ripartì in zavorra il 22 gennaio con il convoglio EN. 35 (Methil-Oban, 32 mercantili e 4 navi scorta), arrivando a Loch Ewe il 25.

Come tante navi italiane catturate dai britannici nel 1940 e da essi impiegate in guerra, l’Empire Fusilier non sopravvisse al conflitto.
Il suo ultimo viaggio iniziò il 26 gennaio 1942, quando partì in zavorra dal Tyne diretto a Tampa, in Florida, insieme al convoglio ON. 60: diretto ad Halifax, quest’ultimo era composto da 50 o 51 navi mercantili, di cui 26 britanniche (oltre all’Empire Fusilier, Alresford, Benedick, Birgitte, British Splendour, Caduceus, Chr J. Kampmann, Circe Shell, Clare Lilley, Dalcross, Empire Chamois, Empire Clive, Empire Peacock, Empire Penguin, Empire Porpoise, Empire Ptarmigan, Empire Starling, Flyingdale, Hartbridge, King Arthur, Macgregor, North Devon, Oregon, Rathlin, Stangarth, Widestone e Willesden), nove norvegesi (Aust, Fagersten, Henrik Ibsen, Inger Elisabeth, Ledaal, Lisbeth, Rena, Selbo e Suderoy), sei greche (Aeas, Agioi Victores, Armathia, Meropi, Mount Parnes e Zeus), tre olandesi (Hilversum, Prins Maurits e Saturnus), tre panamensi (Aristides, Standard e Spokane), due polacche (Morska Wola e Stalowa Wola) ed una svedese (San Francisco). L’Empire Fusilier occupava, nella formazione, la posizione numero 24.
La scorta era inizialmente composta dai cacciatorpediniere britannici Boadicea (caposcorta), Sabre, Scimitar e Shikari e dalle corvette Commandant Detroyat (francese), Heather (britannica), Lobelia (britannica) e Narcissus (britannica), facenti parte del 4th Escort Group; lo Scimitar e l’Heather lasciarono la scorta rispettivamente il 30 ed il 31 gennaio, mentre il 2 febbraio le restanti unità furono sostituite dalle corvette Alysse (francese), Barrie (canadese), Buctouche (canadese), Dianthus (britannica), Hepatica (canadese), Moose Jaw (canadese) e Sherbrooke (canadese, caposcorta), della Task Unit 4.1.12. Alysse, Buctouche, Hepatica e Moose Jaw lasciarono poi il convoglio l’8 febbraio. Capoconvoglio era il capitano di vascello F. J. L. Butler della Royal Naval Reserve, imbarcato sull’Empire Clive, e suo vice era il comandante del Willesden.
Il mattino del 9 febbraio 1942 l’Empire Fusilier, insieme ad un’altra decina di mercantili che avevano per destinazione vari porti delle Indie Occidentali e del Golfo del Messico, lasciò il convoglio – che invece doveva raggiungere Halifax – per proseguire verso la sua destinazione, navigando da quel momento in poi da solo e senza scorta.
In quelle condizioni l’Empire Fusilier non durò a lungo: quella fase della battaglia dell’Atlantico sarebbe passata alla storia come il “secondo periodo felice” degli U-Boote (il primo era stato tra la metà del 1940 e l’inizio del 1941, prima che la Royal Navy potenziasse le sue contromisure contro i sommergibili), in cui i sommergibili tedeschi fecero liberamente scempio del traffico mercantile Alleato lungo le coste degli Stati Uniti da poco entrati in guerra, affollate di navi mercantili ma ancora mal difese da un Paese che ancora non era riuscito ad organizzare adeguatamente la propria macchina bellica.
Nel primo pomeriggio dello stesso 9 febbraio, nell’Atlantico nordoccidentale, l’Empire Fusilier s’imbatté nel sommergibile tedesco U 85 (al comando del tenente di vascello Eberhard Greger). Ne scaturì un inseguimento che si protrasse per ben sette ore: alle 20.20, infine, l’U 85 riuscì a colpire l’Empire Fusilier con un siluro, facente parte di una salva di tre che aveva lanciato. Il piroscafo assunse subito un marcato appoppamento, per poi affondare rapidamente nel punto 44°45’ N e 47°25’ O (nel “quadratino” BC 8179), 278 miglia ad est-sud-est di Capo Race (o 260 miglia a sudest del medesimo Capo) ed a sudest di St. John’s (Terranova), in seguito all’esplosione delle caldaie.
Dei 47 membri dell’equipaggio britannico (41 marittimi civili e 6 cannonieri addetti all’armamento difensivo), nove – sei marittimi civili e tre cannonieri – persero la vita e 38, tra cui il comandante William Reid, vennero successivamente tratti in salvo dalla corvetta canadese Barrie (tenente di vascello G. N. Downey), che li sbarcò ad Halifax. Secondo il racconto di Ron Wilson, sottufficiale imbarcato sulla corvetta Sherbrooke, il convoglio ON. 60 s’imbatté nei relitti dell’Empire Fusilier alcune ore dopo che questi aveva lasciato quello stesso convoglio: nell’oscurità, la Sherbrooke scambiò due zattere del piroscafo per la torretta di un U-Boot in affioramento, e manovrò per speronarle a tutta forza; i naufraghi, trasferitisi su delle baleniere, vennero raccolti dalla Barrie e dalla Dianthus, che fecero poi rotta per St. John’s.
Il comandante Reid ed il comandante in seconda, Harold Bartholomew Wilkinson, ricevettero un encomio per il loro comportamento nella drammatica circostanza; il cannoniere George Victor Drewett della Royal Navy, deceduto nell’affondamento, ricevette la George Cross alla memoria per essersi sacrificato nel tentativo di salvare un altro cannoniere gravemente ferito (Drewett cercò di aiutare il compagno ferito a salire su una scialuppa, ma la nave, affondando, li trascinò entrambi nel suo risucchio).
Per l’U 85 l’affondamento dell’Empire Fusilier fu l’unico successo di quella missione, la terza dalla sua entrata in servizio.

Il Mincio come Empire Fusilier, sotto bandiera britannica (da www.belgian-navy.be)


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