L’Uarsciek (Coll. Marcello Risolo, via www.naviearmatori.net) |
Sommergibile di
piccola crociera della classe Adua (dislocamento di 698 tonnellate in
superficie, 866 tonnellate in immersione). Insieme ai gemelli Dagabur, Dessiè ed Uebi Scebeli,
era propulso da motori diesel Tosi, anziché FIAT o CRDA come gli altri
sommergibili della classe. I motori elettrici erano Marelli, come per la
maggior parte degli altri "Adua" (tranne il gruppo costruito dai
CRDA).
Durante il conflitto
effettuò 28 missioni di guerra (19 offensive, una di trasporto e 8 di
trasferimento), operando dalle basi di Taranto, Lero, Augusta e Messina,
percorrendo in tutto 19.685 miglia in superficie e 3926 in immersione.
Inizialmente destinato (1940-1941) ad agguati offensivi lungo le principali
rotte di traffico britannico del Mediterraneo centrale ed orientale, nel 1942
venne invece impiegato nel Mediterraneo occidentale, a contrasto di operazioni
aeronavali britanniche.
Breve e parziale cronologia.
2 dicembre 1936
Impostato nei
cantieri Franco Tosi di Taranto.
19 settembre 1937
Varato come Uarsheich (numero di costruzione 68) nei
cantieri Franco Tosi di Taranto. L’arcivescovo di Taranto benedice la nuova
unità prima del varo.
L’Uarsciek pochi attimi prima del varo, il
19 settembre 1937; sullo sfondo si intravede un sommergibile classe Mameli.
Notare il nome ancora scritto sullo scafo nella versione originaria di “Uarsheich” (da “Sommergibili italiani”
di Alessandro Turrini ed Ottorino Ottone Miozzi, USMM, Roma 1999, via www.betasom.it e via Marcello Risolo)
4 dicembre 1937
Entra in servizio
come Uarsheich, settima unità della
classe Adua ad essere completata. Inizialmente dislocato a Taranto, in seno al
IV Gruppo Sommergibili.
15 marzo 1938
Il nome viene
cambiato in Uarsciek, versione
ritenuta più fedele al nome originale del villaggio somalo eponimo del
sommergibile (provvedimento ufficializzato con regio decreto n. 393 del 31
marzo 1938).
Giugno 1938
Compie una crociera
in Mar Egeo, venendo dislocato a Lero.
1939
Dislocato a Tobruk,
compie una crociera lungo le coste della Libia.
9 giugno 1940
Inviato in agguato al
largo delle coste greco-albanesi, alla vigilia dell’entrata in guerra
dell’Italia, unitamente ai sommergibili Anfitrite,
Antonio Sciesa e Balilla, formando uno sbarramento di sommergibili lungo le coste di
Grecia, Albania e Jugoslavia. L’Uarsciek,
in particolare, viene mandato in agguato a sud di Cefalonia, in modo da tenere
sotto sorveglianza gli accessi alla rada di Argostoli ed al Golfo di Patrasso.
Al termine della missione raggiungerà Taranto senza aver fatto avvistamenti
degni di nota.
10 giugno 1940
All’ingresso
dell’Italia nel secondo conflitto mondiale, l’Uarsciek (tenente di vascello Carlo Zanchi) fa parte della XLVI
Squadriglia Sommergibili (IV Grupsom di Taranto), insieme ai gemelli Dagabur, Dessiè e Uebi
Scebeli.
6 settembre 1940
Lascia Taranto al
comando del tenente di vascello Carlo Zanchi, per compiere un agguato al largo
dell’Egitto. Insieme all’Uarsciek
prende il mare anche un secondo sommergibile, l’Ondina; i due battelli, salpati ad un intervallo di quattro minuti
l’uno dall’altro ed entrambi diretti nelle acque nordafricane, viaggiano
insieme.
7 settembre 1940
L’Uarsciek viene accidentalmente attaccato
con bombe di profondità dal cacciatorpediniere Granatiere, che l’ha scambiato per un sommergibile nemico. Non
subisce danni, ma accumula un leggero ritardo rispetto alla tabella di marcia.
12 settembre 1940
Alle tre di notte
(per altra fonte 3.27) il sommergibile britannico Proteus (capitano di corvetta Randall Thomas Gordon-Duff)
avvista “luci sospette” in posizione 32°21’ N e 24°39’ E, su rilevamento 150°,
e si avvicina per vedere di cosa si tratti; dopo poco avvista un sommergibile
italiano emerso ed inizia una manovra d’attacco, ma quest’ultimo s’immerge
prima che il Proteus possa
lanciare. Il Proteus s’immerge allora
a sua volta e scende a 30 metri, tentando di condurre un attacco in immersione
con l’aiuto del sonar; ma il sommergibile italiano passa sulla sua verticale,
il che vanifica tale proposito.
Alle 4.16 il battello
britannico avvista un altro sommergibile italiano (40 miglia ad est-nord-est di
Tobruk), accosta verso di esso e lancia subito un siluro da 1370 metri,
immergendosi subito dopo. Il siluro manca il bersaglio, passandogli
probabilmente a poppavia (viene sentito esplodere per fine corsa dieci minuti
dopo). È probabile che il bersaglio di questo attacco fosse l’Uarsciek (più probabilmente, dato che
per via del ritardo era probabilmente rimasto più arretrato rispetto all’Ondina), oppure un altro sommergibile
italiano in navigazione da Taranto verso le acque nordafricane, l’Ondina (partito da Taranto con un
intervallo di soli quattro minuti rispetto all’Uarsciek, ed anch’esso con l’ordine di condurre un agguato in acque
nordafricane), nessuno dei quali sembra essersi accorto dell’attacco.
L’Uarsciek raggiune poi la zona assegnata
per l’agguato, ed inizia regolarmente la sua missione.
19 settembre 1940
Secondo una fonte di
incerta affidabilità l’Uarsciek avrebbe
infruttuosamente attaccato in questa data due cacciatorpediniere britannici al
largo di Tobruk, insieme ai sommergibili Ruggiero
Settimo ed Ondina, ma non è stata trovata conferma di questa notizia.
21 settembre 1940
In seguito all’intossicazione
per vapori di mercurio di parecchi uomini dell’equipaggio, causata da un
incidente verificatosi a bordo, il comandante Zanchi rinuncia a rientrare a
Taranto e decide invece di raggiungere la più vicina Bengasi, dove sbarca tutto
l’equipaggio, che viene ricoverato in ospedale (compreso lo stesso Zanchi, poi
decorato di Medaglia d’Argento al Valor Militare: "Comandante di un sommergibile, durante una missione di guerra, a causa
di un incidente accorso all'unità, veniva colpito da grave intossicazione.
Vincendo, per oltre cinque giorni, con grandissima forza d'animo le sofferenze
provocate dal male, incitava col suo esempio l'equipaggio, anch'esso gravemente
intossicato, e riusciva a condurre a termine la sua missione. Non appena giunto
in porto doveva essere ricoverato in ospedale. Esempio di dedizione al dovere
alto spirito di sacrificio").
Uno degli
intossicati, il diciannovenne motorista bergamasco Ermanno Tironi, morirà il 5
ottobre nell’ospedale di Bengasi. Alla sua memoria sarà conferita la Medaglia
di Bronzo al Valor Militare, con motivazione "Imbarcato su sommergibile, durante una missione di guerra, a causa di
un incidente occorso all'unità veniva colpito da grave intossicazione.
Nonostante le sofferenze provocate dal male, continuava a svolgere serenamente
il proprio servizio con alto sentimento del dovere per oltre cinque giorni,
riuscendo d'esempio agli altri militari anch'essi gravemente intossicati. Non
appena giunto in porto doveva essere ricoverato in ospedale, ove per
l'aggravarsi dell'intossicazione decedeva. (Mediterraneo Centrale, 7-22
settembre 1940)".
La notizia della morte di Ermanno Tironi sulla “Rivista di Bergamo” (g.c. Rinaldo Monella/www.combattentibergamaschi.it) |
Altri membri
dell’equipaggio rimasti intossicati avranno seri problemi di salute per il
resto della loro vita, come il marinaio Luigi Bolognesi, che non riuscirà
neanche ad ottenere un indennizzo per quanto accadutogli.
L’Uarsciek viene poi sommariamente rimesso
in efficienza con i mezzi disponibili sul posto e trasferito in Italia al
comando del capitano di corvetta Mario Resio, coadiuvato dal tenente di
vascello Marcello Bertini, dal tenente del Genio Navale Lorenzo Coniglione, dal
capo elettricista di prima classe Angelo Pilon e dal capo meccanico di prima
classe Catello Primo Gargiulo, rimasti a loro volta intossicati dal mercurio
durante questo trasferimento, e decorati per la loro opera con la Croce di
Guerra al Valor Militare (per Resio, la motivazione è: "Organizzava e dirigeva presso una base
navale i lavori di bonifica e di rimessa in efficienza di un sommergibile
inquinato da vapori di mercurio, superando con serena fermezza continue ed
aspre difficoltà d'ordine tecnico peggiorate dai frequenti bombardamenti aerei
nemici. Ultimato tale compito, riusciva a trasferire l'unità al suo Comando in
una base nazionale, benchè colpito durante la missione da intossicazione di gas
mercuriali"; per gli altri, "Partecipava
con slancio e vivo senso del dovere presso base navale dell’A. S. ai lavori di
bonifica e di rimessa in efficienza di un sommergibile inquinato da vapori di
mercurio, nonostante le difficoltà a tecniche ed i continui bombardamenti
nemici; imbarcato sull'unità, contribuiva al suo trasferimento in una base
nazionale, durante il quale veniva colpito da intossicazione di gas mercuriali").
L’Uarsciek nel 1940 (Coll. Erminio Bagnasco, via www.associazione-venus.it) |
11-12 novembre 1940
L’Uarsciek si trova a Taranto, ormeggiato alla
banchina sommergibili in Mar Piccolo (insieme a numerosi altri battelli del IV
Gruppo Sommergibili: Pietro Micca, Ambra, Anfitrite, Malachite, Naiade, Nereide, Ondina, Sirena, Atropo e Zoea, nonché a Dagabur, Serpente e Smeraldo del X
Grupsom, al Giovanni Da Procida del
III Grupsom ed al Ciro Menotti
dell’VIII Grupsom), quando la base viene attaccata da aerosiluranti britannici
che affondano la corazzata Conte di Cavour e ne danneggiano gravemente altre
due, Littorio e Duilio (la celebre “notte di Taranto”). I sommergibili non vengono
invece interessati dall’attacco.
1° gennaio 1941
Assume il comando
dell’Uarsciek il tenente di vascello
Alberto Campanella, che lo manterrà per i successivi sei mesi.
31 gennaio-12 febbraio 1941
L’Uarsciek compie una missione di agguato
nel Canale d’Otranto a protezione del traffico tra Italia ed Albania, senza
avvistare navi nemiche.
6-18 marzo 1941
Altra missione di
agguato a sud del Canale d’Otranto, al largo delle Isole Ionie, a tutela dei
convogli in navigazione tra Italia ed Albania.
21-30 aprile 1941
Terza ed ultima
missione di agguato protettivo nei pressi del Canale d’Otranto a difesa dei
convogli tra Italia ed Albania.
19 maggio-2 giugno 1941
Fa parte di uno
schieramento di sommergibili (gli altri sono Fisalia, Topazio, Malachite, Adua, Tricheco, Squalo, Smeraldo, Dessiè e Sirena) dislocati nelle acque tra Creta,
Alessandria d’Egitto e Sollum, in appoggio all’invasione tedesca di Creta. L’Uarsciek, in particolare, pattuglia le
acque cirenaico-egiziane (secondo le memorie di Aldo Cocchia, in questa
missione l’Uarsciek avrebbe attaccato
un incrociatore britannico a sud di Creta, ritenendo di averlo silurato).
17 giugno 1941
Il tenente di
vascello Alberto Campanella lascia il comando dell’Uarsciek, passando sul sommergibile posamine Zoea. Lo sostituisce il tenente di vascello Raffaello Allegri, che
comanderà l’Uarsciek per un anno.
Giugno 1941
Missione di agguato
tra Tobruk ed Alessandria d’Egitto.
19-31 luglio 1941
Inviato in
pattugliamento al largo di Alessandria d’Egitto, insieme ai sommergibili Squalo ed Axum.
29 luglio 1941
Alle 16.30 l’Uarsciek (tenente di vascello Raffaello
Allegri), in missione nel Mediterraneo orientale al largo della costa egiziana,
viene attaccato a nord di Ras Haleima (in posizione 31°38’ N e 25°54’ E) da un
bombardiere Bristol Blenheim del 203rd Squadron della Royal Air
Force, l’aereo “Y”/Z6445 pilotato dal tenente Coates, che gli sgancia contro
quattro bombe, che cadono in mare circa 150 metri a poppavia del sommergibile;
l’Uarsciek reagisce col tiro delle
mitragliere. Alle 17.45 il sommergibile subisce un secondo attacco da parte di
un altro Blenheim IV del 203rd Squadron, l’aereo “N”/Z6431 pilotato
dal sergente E. Langston, che lancia sei bombe che cadono in mare circa 200
metri a proravia dell’Uarsciek. Anche
stavolta, il sommergibile risponde col tiro delle proprie mitragliere; l’aereo
di Langston, al rientro alla sua base vicino a Marsa Matruh, rimarrà
irreparabilmente danneggiato in seguito al cedimento del carrello di
atterraggio, anche se l’equipaggio ne uscirà indenne. Secondo fonti
britanniche, però, il danno non sarebbe stato causato dal tiro dell’Uarsciek, che non avrebbe colpito
l’aereo (con l’eccezione del libro "The Bristol Blenheim" di Graham
Warner, che invece afferma che l’aereo sarebbe stato danneggiato dal fuoco del
sommergibile).
11 agosto 1941
Alle 18.25 l’Uarsciek, di ritorno da Bardia, viene
mitragliato da un aereo non identificato in posizione 34°05’ N e 22°20’ E. Il
sottonocchiere Salvatore Bortone, da Diso, rimane gravemente ferito (verrà poi
decorato con la Croce di Guerra al Valor Militare, con motivazione: "Imbarcato su sommergibile sottoposto a
violento attacco aereo, benché ferito continuava ad assolvere con serena fermezza
il suo compito di rifornitore di una mitragliera, dando prova di elevato senso
del dovere"); ad un certo punto, tuttavia, l’aereo attaccante effettua
il segnale di riconoscimento del Corpo Aereo Tedesco e se ne va. Si è trattato,
dunque, di un incidente di “fuoco amico”: un aereo della Luftwaffe ha scambiato
l’Uarsciek per un sommergibile
nemico.
15 ottobre 1941
Inviato in agguato al
largo della costa cirenaica.
1941
Subisce un periodo di
lavori di manutenzione nei cantieri di Pola, dopo di che viene dislocato a
Messina e successivamente a Cagliari, da dove opererà contro il naviglio
britannico che da Gibilterra tenta di rifornire Malta.
L’Uarsciek ormeggiato a Taranto nel dicembre 1941 (da “Sommergibili in guerra” di Achille Rastelli ed Erminio Bagnasco, Ed. Albertelli, 1994) |
Marzo 1942
Inviato ad est di
Malta insieme ad altri sommergibili (Corallo,
Ammiraglio Millo, Onice e Veniero), a protezione dell’operazione di traffico "V. 5"
(7-9 marzo). Quest’ultima prevede l’invio a Tripoli di tre convogli da
Brindisi, Messina e Napoli, con un totale di quattro moderne motonavi (Nino Bixio, Gino Allegri, Reginaldo
Giuliani e Monreale) scortate dai
cacciatorpediniere Bersagliere, Fuciliere, Ugolino Vivaldi, Antonio
Pigafetta ed Antonio Da Noli e
dalle torpediniere Castore ed Aretusa, oltre alla scorta indiretta
della VII Divisione incrociatori (incrociatori leggeri Eugenio di Savoia, Raimondo
Montecuccoli e Giuseppe Garibaldi)
e dei cacciatorpediniere Alfredo Oriani,
Ascari, Aviere, Geniere e Scirocco. Sarà inoltre in mare per la
stessa operazione anche un altro convoglio di moderne motonavi (Unione, Lerici, Ravello e la
nave cisterna Giulio Giordani,
scortate dalle torpediniere Cigno e Procione e dal cacciatorpediniere Strale cui poi si uniscono anche Pigafetta e Scirocco) di ritorno dalla Libia all’Italia, che fruiranno anch’esse
della scorta indiretta della VII Divisione.
L’intervento dei
sommergibili non si renderà necessario; l’operazione si concluderà senza
perdite, nonostante i ripetuti attacchi aerei (mentre una formazione leggera
britannica, uscita in mare per attaccare il convoglio, subirà la perdita
dell’incrociatore leggero Naiad,
affondato dal sommergibile tedesco U 565).
Aprile 1942
Nella terza decade
del mese l’Uarsciek pattuglia le
acque della Cirenaica.
Maggio 1942
Missione nelle acque
del Canale di Sicilia e della Tunisia.
Metà giugno 1942
L’Uarsciek (capitano di corvetta Raffaello
Allegri) viene inviato in agguato nel Golfo di Philippeville durante la
battaglia aeronavale di Mezzo Giugno, per contrastare l’operazione britannica
«Harpoon», consistente nell’invio di un convoglio fortemente scortato da
Gibilterra a Malta.
Dopo che una precedente
operazione di rifornimento di Malta svoltasi nel marzo 1942 (e sfociata
nell’inconclusivo scontro navale della seconda battaglia della Sirte) si è
conclusa con la perdita, causata dagli attacchi aerei, di 24.000 delle 25.000
tonnellate di rifornimenti inviati, la situazione di Malta è divenuta molto
critica: in maggio si è dovuto introdurre il razionamento dei viveri, e le
calorie fornite quotidianamente alla guarnigione sono state dimezzate (da 4000
a 2000) mentre per la popolazione civile la riduzione è stata ancora più
marcata (1500 calorie).
I comandi britannici,
pertanto, hanno programmato per metà giugno una duplice operazione di
rifornimento, articolata su due sotto-operazioni: “Harpoon”, il cui convoglio
partirà da Gibilterra, e “Vigorous”, che partirà invece da Alessandria.
Quest’ultima consiste nell’invio di un convoglio di undici navi mercantili,
scortati da sette incrociatori leggeri, un incrociatore antiaereo, 26
cacciatorpediniere, 4 corvette, due dragamine, quattro motosiluranti e due navi
soccorso, in aggiunta alla vecchia nave bersaglio Centurion, una ex corazzata camuffata di nuovo, per l’occasione, da
corazzata nel tentativo – fallito – di far credere ai ricognitori italiani che
la scorta includa appunto anche una nave da battaglia. Contro “Vigorous”
prenderà il mare il grosso della flotta da battaglia italiana, al comando
dell’ammiraglio di squadra Angelo Iachino.
Il convoglio
dell’operazione “Harpoon”, partito da Gibilterra il 12 giugno, è invece
composto da sei navi mercantili: i piroscafi britannici Burdwan, Orari e Troilus,
la motonave olandese Tanimbar,
la motonave statunitense Chant e
la nuovissima nave cisterna statunitense Kentucky, che trasportano in tutto 43.000 tonnellate di
rifornimenti. La scorta diretta del convoglio, denominata Forza X, consiste
nell’incrociatore antiaerei Cairo (capitano
di vascello Cecil Campbell Hardy, comandante della Forza X), nei
cacciatorpediniere di squadra Bedouin, Marne, Matchless, Ithuriel e Partridge (appartenenti alla 11th Destroyer
Flotilla), nei cacciatorpediniere di scorta (classe “Hunt”) Blankney, Badsworth, Middleton e Kujawiak (appartenenti alla 19th Destroyer
Flotilla), nei dragamine Hebe, Speedy, Hythe e Rye ed
in sei “motolance” impiegate per il dragaggio (ML-121, ML-134, ML-135, ML-168, ML-459, ML-462). Tutte le unità della scorta
sono britanniche con l’eccezione del Kujawiak, che è polacco.
In aggiunta alla
scorta diretta, nel primo tratto della navigazione (da Gibilterra fino a poco
prima dell’imbocco del Canale di Sicilia) il convoglio è accompagnato anche da
una poderosa forza di copertura, la Forza W del viceammiraglio Alban Curteis:
la compongono la corazzata Malaya,
le portaerei Eagle ed Argus, gli incrociatori leggeri Kenya (nave ammiraglia di
Curteis), Charybdis e Liverpool ed i
cacciatorpediniere Onslow, Icarus, Escapade, Wishart, Antelope, Westcott, Wrestler
e Vidette.
Secondo un articolo
di Enrico Cernuschi, Supermarina è stata allertata dal Reparto Informazioni
della Marina già il mattino dell’11 giugno, in seguito a decrittazioni di
comunicazioni britanniche ed a rilevazioni radiogoniometriche dalle quali
emerge che un convoglio britannico diretto a Malta si appresta ad entrare in
Mediterraneo dallo stretto di Gibilterra. A queste hanno fatto seguito
segnalazioni da parte di osservatori italiani appostati ad Algeciras (vicino a
Gibilterra) e da spie italiane operanti su pescherecci spagnoli che navigano in
quelle acque; infine, all’una del pomeriggio del 12 giugno, la ricognizione
aerea ha fugato ogni dubbio.
Secondo la storia
ufficiale dell’USMM, invece, Supermarina ha ricevuto le prime notizie su
“Harpoon” alle 7.55 del 12 giugno, quando informatori di base nella zona di
Gibilterra hanno comunicato la partenza da Gibilterra di una poderosa squadra
navale composta da Malaya, Eagle, Argus, almeno tre incrociatori e numerosi cacciatorpediniere (la
Forza W), diretta verso est, nonché il passaggio nello stretto, a fanali
spenti, di numerose navi provenienti dall’Atlantico. Il Comando della Marina
italiana ha correttamente ipotizzato che sia dunque in navigazione da
Gibilterra a Malta un grosso convoglio proveniente dall’Atlantico, impressione
confermata dai successivi avvistamenti della ricognizione aerea (pur non
essendo del tutto esclusa la possibilità che si tratti invece di un’operazione
diretta contro il Nordafrica, la Corsica, la Sardegna od il Golfo di Genova,
eventualità però ritenute poco probabili). Per contrastare tale convoglio,
Supermarina mette a punto un piano che prevede: l’invio di un ampio
schieramento di sommergibili nel Mediterraneo occidentale; la dislocazione di
torpediniere e MAS in agguato nel Canale di Sicilia; la cooperazione con la
Regia Aeronautica affinché il convoglio sia pesantemente attaccato da aerei a
sud della Sardegna, indebolendone la scorta; e l’invio di una formazione navale
leggera (la VII Divisione dell’ammiraglio Alberto Da Zara, con gli incrociatori
Eugenio di Savoia e Raimondo Montecuccoli e due squadriglie
di cacciatorpediniere), particolarmente adatta ad un combattimento in acque
circoscritte ed insidiate, per attaccare il convoglio a sorpresa all’alba del
15.
In tutto sono 16 i
battelli schierati nel Mediterraneo centrale e centro-occidentale per
contrastare «Harpoon»; la dottrina d’impiego dei sommergibili è mutata rispetto
al passato: ora è previsto l’impiego a massa contro navi o gruppi di navi
avvistati e segnalati dagli aerei. L’Uarsciek,
insieme ai sommergibili Giada, Acciaio ed Otaria, forma uno sbarramento a nord delle coste algerine, nelle
acque tra Capo Bougaroni e Capo Ferrat; Uarsciek
e Giada si trovano all’estremità
occidentale dello sbarramento. Mentre a Mezzo Agosto, due mesi più tardi,
questa tattica avrà grande successo, a Mezzo Giugno i sommergibili non
coglieranno alcun risultato.
13 giugno 1942
Nella tarda serata, 90
miglia a nord di Bougie e ad est di Algeri (in posizione 38°02’ N e 05°06’ E),
l’Uarsciek avvista una formazione
navale britannica composta da numerose unità che procedono verso est su più
colonne: si tratta delle forze impegnate nell’operazione “Harpoon” (secondo una
fonte si sarebbe trattato, più precisamente, della Forza X, ma ciò sembra poco
probabile, visto che la Forza X non comprendeva alcuna portaerei; Francesco
Mattesini parla invece più genericamente della Forza T, ossia il complesso
delle Forze W e X – non ancora separatesi, al momento dell’attacco – che
comprendeva anche le portaerei Eagle
ed Argus). Rimanendo in superficie,
il sommergibile italiano si avvicina per attaccare, ed alle 23.52 lancia tre
siluri contro le due sagome più grandi che riesce a vedere. Non distinguendo
sovrastrutture, il comandante Allegri ritiene che si tratti di portaerei.
Subito dopo il
lancio, alcune unità di scorta accostano in direzione dell’Uarsciek, che è così costretto a disimpegnarsi in immersione senza
poter verificare l’esito dei lanci. Dopo 135 secondi dal lancio viene sentita
sull’Uarsciek una forte esplosione
(per altre fonti ne sarebbero state sentite due o tre), che induce a ritenere
di aver messo sicuramente a segno un siluro, ma in realtà i siluri sono esplosi
prematuramente; da parte britannica, infatti, la portaerei Eagle avverte due forti esplosioni subacquee alle 2.55 (per altra
fonte, la relazione ufficiale britannica afferma solo che “all’1.42 la forza navale fu probabilmente avvistata e segnalata da un
sommergibile”, e le esplosioni sentite a bordo dell’Uarsciek potrebbero essere dovute a bombe di profondità). Dopo una
ventina di minuti l’Uarsciek constata
che nelle sue vicinanze stazionano due cacciatorpediniere britannici, uno fermo
ed uno in movimento a lento moto.
Informatori italiani
a Gibilterra riferiranno successivamente che in quest’azione l’Uarsciek probabilmente ha danneggiato il
posamine veloce Welshman (ed il
comandante Allegri sarà decorato di Medaglia d’Argento al Valor Militare, con motivazione
"Comandante di sommergibile, in
missione di guerra, avvistava di notte una formazione navale nemica,
l'attaccava con deciso spirito aggressivo ed elevata perizia e, superata la
scorta di protezione, la colpiva con due siluri, infliggendole gravi danni.
Sottoposto a violenta caccia, con pronta manovra riusciva ad eluderla,
dimostrando nel corso della missione sereno ardimento e cospicue doti militari"),
ma si tratta di un’informazione errata: né il Welshman, né nessun’altra nave britannica è stata colpita dai
siluri.
14 giugno 1942
All’1.40, concluso
l’attacco, l’Uarsciek lancia il
segnale di scoperta della formazione nemica. (Giorgio Giorgerini, nel libro
“Uomini sul fondo”, fornisce orari differenti per questo attacco:
l’avvistamento delle forze britanniche da parte dell’Uarsciek sarebbe avvenuto all’1.40 del 14 giugno, ed il lancio dei
siluri all’1.52. Inoltre Giorgerini afferma che il lancio sarebbe avvenuto
contro due unità della scorta. Francesco Mattesini, in un suo saggio
riguardante l’operazione “Pedestal”, indica l’1.20 come ora del lancio dei
siluri).
Quello condotto senza
successo dall’Uarsciek è in assoluto
il primo attacco lanciato contro il convoglio “Harpoon” nel corso della
battaglia di Mezzo Giugno. Tutti gli attacchi di sommergibili italiani nel
corso della battaglia risulteranno egualmente infruttuosi; il convoglio subirà
invece gravi perdite per opera dell'azione congiunta degli aerei italo-tedeschi
e della VII Divisione Navale dell'ammiraglio Alberto Da Zara, cui poi si aggiungeranno
quelle causate dai campi minati. Complessivamente andranno a fondo quattro
mercantili e due cacciatorpediniere, mentre diverse altre unità riporteranno
seri danni. Delle 43.000 tonnellate di rifornimenti trasportate dalle navi di
“Harpoon”, solo 15.000 raggiungeranno Malta (mentre il convoglio “Vigorous”,
con le sue 50.000 tonnellate di rifornimento, sarà costretto a rinunciare alla
propria missione e tornare ad Alessandria).
15 giugno 1942
Intorno alle nove del
mattino, a nordovest di Capo Bougaroni, l’Uarsciek
avvista la Forza W britannica (portaerei Eagle
ed Argus, corazzata Malaya, incrociatori Kenya e Charybdis – un terzo incrociatore, il Liverpool, ha lasciato la formazione dopo essere stato colpito da
aerosiluranti italiani –, cacciatorpediniere Antelope, Icarus, Escapade, Onslow, Westcott, Wishart, Wrestler e Vidette) in
navigazione verso Gibilterra. Tale formazione, incaricata della copertura del
convoglio nella prima fase della navigazione, ha invertito la rotta all’imbocco
del Canale di Sicilia, alle 20.30 della sera precedente, lasciando proseguire
il convoglio verso Malta con la scorta diretta della Forza X (incrociatore
antiaerei Cairo, 9 cacciatorpediniere,
4 dragamine di squadra ed alcune unità minori), e sta ora rientrando a
Gibilterra a 16 nodi. Qui la Forza W arriverà senza aver subito ulteriori
perdite, nonostante infruttuosi attacchi da parte del sommergibile Alagi e
dell’aviazione italo-tedesca.
17 giugno 1942
Alle 14.45, durante
la navigazione di rientro a Cagliari, l’Uarsciek
viene avvistato in posizione 38°27’ N e 08°21’ E dal sommergibile britannico P 211 (poi Safari, capitano di fregata Benjamin Bryant). Quest’ultimo tenta di
avvicinarsi per attaccare, ma l’Uarsciek,
proseguendo per la sua rotta senza accorgersene, continua ad allontanarsi ed è
in breve troppo lontano per sperare di colpirlo.
21 giugno 1942
Assume il comando
dell’Uarsciek, avvicendando il
comandante Allegri, il tenente di vascello Gaetano Arezzo della Targia, che
sarà il suo ultimo comandante.
Al suo comando l’Uarsciek effettuerà sette missioni nel
Mediterraneo centrale, tra il giugno ed il dicembre 1942.
Fine giugno 1942
L’Uarsciek effettua una nuova missione nel
Mediterraneo occidentale.
4 agosto 1942
L’Uarsciek (al comando del tenente di
vascello Gaetano Arezzo della Targia, e con il capitano del Genio Navale Arturo
Cristini come direttore di macchina), inquadrato nel VII Grupsom di Cagliari,
salpa da La Maddalena diretto in un settore d’agguato situato a metà strada tra
Minorca/Formentera e la costa dell’Algeria.
7 agosto 1942
Raggiunge il suo
settore d’operazioni.
10 agosto 1942
Riceve dal Comando
Squadra Sommergibili (Maricosom) un telegramma che lo mette in allerta per il
passaggio del convoglio di “Pedestal”, peraltro già preannunciato da deboli ed
indistinti rumori captati dagli idrofoni dell’Uarsciek.
Sta per avere inizio la
battaglia di Mezzo Agosto: il più grande scontro aeronavale mai combattuto nel
Mediterraneo, vedrà le forze aeree e navali dell’Asse – bombardieri,
aerosiluranti, sommergibili, motosiluranti, con anche un’effimera puntata
offensiva da parte di due divisioni di incrociatori – contrastare con
accanimento la navigazione di un grande convoglio britannico in navigazione da
Gibilterra a Malta, con un carico di rifornimenti vitale per il prolungamento
della resistenza dell’isola assediata. I sommergibili italiani e tedeschi vi
giocheranno un ruolo di primo piano: il loro compito è duplice, attaccare
direttamente il convoglio e – dato che l’esperienza ha mostrato che troppo
spesso gli aerei da ricognizione vengono intercettati ed abbattuti dai caccia
imbarcati sulle portaerei prima di poter svolgere il loro compito – consentire
ai comandi di disporre di informazioni attendibili in merito a composizione,
rotta e velocità della formazione nemica, dati indispensabili per coordinare
l’azione delle forze aeronavali destinate ad attaccare il convoglio,
specialmente quelle aeree. Infatti, lo stesso 10 agosto Supermarina ordinerà
all’Uarsciek ed agli altri
sommergibili in agguato nella sua zona (Brin,
Giada, Dagabur, Volframio, U 73 e U 331) di considerare come compito primario la ricognizione e la
segnalazione delle forze nemiche avvistate, e soltanto secondario l’attacco.
La battaglia di Mezzo
Agosto è la conseguenza del nuovo tentativo della Royal Navy di rifornire
Malta, assediata dalle forze aeronavali dell’Asse e stremata dopo mesi di
bombardamenti ed il parziale o totale fallimento delle operazioni di
rifornimento tentate in marzo (convoglio «M.W. 10», culminato nella seconda
battaglia della Sirte) e giugno (operazioni «Harpoon» e «Vigorous», culminate
nella battaglia di Mezzo Giugno). La nuova operazione, denominata «Pedestal»,
prevede un unico grande convoglio che, radunato nel Regno Unito (da dove è partito
il 3 agosto 1942), ha attraversato lo stretto di Gibilterra tra il 9 ed il 10
agosto, per poi dirigere verso Malta.
Il convoglio è
composto dalle navi da carico Almeria
Lykes, Melbourne Star, Brisbane Star, Clan Ferguson, Dorset, Deucalion, Wairangi, Waimarama, Glenorchy, Port Chalmers, Empire Hope, Rochester Castle e Santa Elisa e da una nave grossa cisterna, la
statunitense Ohio; la scorta
diretta (Forza X, contrammiraglio Harold Burrough) conta su quattro
incrociatori leggeri (Nigeria, Kenya, Cairo e Manchester)
e dodici cacciatorpediniere (Ashanti, Intrepid, Icarus, Foresight, Derwent, Fury, Bramham, Bicester, Wilton, Ledbury, Penn e Pathfinder, della 6th Destroyer Flotilla), ed
inoltre nella prima metà del viaggio, fino all’imbocco del Canale di Sicilia,
il convoglio è accompagnato da una poderosa forza pesante (Forza Z,
viceammiraglio Neville Syfret) composta da ben quattro portaerei (Eagle, Furious, Indomitable e Victorious), due corazzate (Rodney e Nelson), tre incrociatori leggeri (Sirius, Phoebe e Charybdis) e dodici cacciatorpediniere (Laforey, Lightning, Lookout, Tartar, Quentin, Somali, Eskimo, Wishart, Zetland, Ithuriel, Antelope e Vantsittart,
della 19th Destroyer Flotilla).
Da parte loro, i
comandi italiani hanno ricevuto le prime notizie riguardo una grossa operazione
in preparazione da parte dei britannici, che dovrà avere luogo nel Mediterraneo
Occidentale, nei primi giorni di agosto. Alle 5 del 9 agosto Supermarina è
stata informata che un gruppo di almeno otto navi era passato a nord di Ceuta,
diretto ad est (era la Forza B britannica); nelle prime ore del mattino
dell’indomani è giunta notizia che tra le 00.30 e le due di notte del 10 un
totale di 39 navi hanno attraversato lo stretto di Gibilterra dirette in
Mediterraneo, e che qualche ora dopo sono salpate da Gibilterra una decina di
navi britanniche, compreso l’incrociatore antiaerei Cairo. Il mattino del 10
agosto, pertanto, sulla scorta delle informazioni pervenute fino a quel
momento, Supermarina apprezza che almeno 57 navi britanniche, provenienti da
Gibilterra, siano dirette verso est. Dato che queste navi comprendono un
numerosi grossi piroscafi in convoglio, viene ritenuto, giustamente, che
obiettivo dell’operazione sia il rifornimento di Malta; che il convoglio sarà
protetto da una poderosa forza navale pesante; che probabilmente il convoglio cercherà
di attraversare la zona di Pantelleria con il favore del buio. Si prevede che
il convoglio giungerà presso Capo Bon (Tunisia) nel pomeriggio del 12 agosto.
Non sembrano esserci segni che rivelino un secondo convoglio in navigazione nel
Mediterraneo Orientale, a differenza di giugno; il mattino del 12 un U-Boot
tedesco segnalerà in quelle acque una formazione di quattro incrociatori
leggeri e 10 cacciatorpediniere apparentemente diretti verso Malta a 20 nodi,
ma verrà giustamente giudicato che si tratti di un’azione diversiva (ed infatti
è proprio così: l’operazione "M.G.3", un’operazione secondaria di
"Pedestal", prevede infatti l’invio da Haifa e Port Said di un
piccolo convoglio che deve fingere di essere diretto verso Malta nel tentativo,
non riuscito, di distogliere delle forze italiane dal vero convoglio).
I comandi italiani e
tedeschi organizzano dunque il contrasto all’operazione britannica:
ricognizioni aeree in tutto il bacino occidentale del Mediterraneo; allerta dei
sommergibili già in agguato a sud delle Baleari, invio di un secondo gruppo di
sommergibili a sud della Sardegna (dove devono arrivare non più tardi dell’alba
del 12), posa di nuovi campi minati offensivi nel Canale di Sicilia, invio di
MAS e motosiluranti in agguato a sud di Marettimo, al largo di Capo Bon e se
del caso anche sotto Pantelleria. Durante la navigazione nel Mediterraneo
occidentale e centro-occidentale, il convoglio britannico sarà sottoposto ad
una serie di attacchi di sommergibili; giunto nel Canale di Sicilia, verrà il
turno di MAS e motosiluranti italiane e tedesche (quindici unità in tutto, che attaccheranno
col favore del buio). Per tutta la traversata, inoltre, le navi nemiche saranno
continuamente bersagliate da incessanti attacchi di bombardieri ed
aerosiluranti (in tutto, ben 784 velivoli), sia della Regia Aeronautica che
della Luftwaffe. È anche previsto l’intervento (poi abortito) di due divisioni
di incrociatori (la III e la VII) per finire quanto dovesse rimanere del
convoglio decimato dai precedenti attacchi aerei, subacquei e di mezzi
insidiosi.
Complessivamente, ben
16 sommergibili italiani e due U-Boote tedeschi concorrono alla formazione di
un poderoso sbarramento di sommergibili nel Mediterraneo occidentale: sette di
essi, tra cui l’Uarsciek (che è
il più ad ovest di tutti; gli altri sono gli italiani Brin, Giada, Dagabur e Volframio ed i tedeschi U 73 e U 205), sono
disposti nelle acque tra l’Algeria e le Baleari, formando uno sbarramento lungo
sessanta miglia tra i meridiani 01°40’ E e 02°40’ E (cioè a nord di Algeri ed a
sud del canale tra Maiorca ed Ibiza), mentre gli altri undici formano un
secondo gruppo molto più ad est, a nord della Tunisia.
Alle 23.20 l’Uarsciek si dirige verso il centro della
zona d’agguato assegnata, assumendo rotta 160°, che si trova casualmente ad
essere perpendicolare al rilevamento idrofonico effettuato alle 21.56.
11 agosto 1942
Alle 3.40 l’Uarsciek, essendo entrato nella zona
indicata, s’immerge per effettuare un nuovo ascolto idrofonico; come previsto
dal comandante Arezzo, gli idrofoni rilevano rumori di turbine in avvicinamento
in un vasto settore su rilevamento 267°, forza 4. Alle quattro il sommergibile
emerge e dopo alcuni minuti inizia la navigazione verso ovest, senza però
avanzare a tutta forza: il comandante intende infatti evitare di generare una
scia troppo visibile. La visibilità è piuttosto mediocre, il che fa presumere
che l’avvistamento delle navi nemiche avverrà a distanza ravvicinata.
Alle 4.38 l’aspirante
guardiamarina Francesco Florio, di vedetta a prua sinistra, annuncia
l’avvistamento di una sagoma scura per 340°-350°, a 3200 metri di distanza;
osservatala, il comandante Arezzo della Targia la riconosce subito come una
portaerei, successivamente identificata come un’unità statunitense del tipo
Saratoga.
Si tratta in realtà della
britannica Furious, diretta a sud
delle Baleari per lanciare 39 caccia Supermarine Spitfire che dovranno andare a
rinforzare le decimate squadriglie di Malta durante l’operazione “Pedestal”. Questa
sotto-operazione è denominata «Bellows»; l’inclusione della vecchia Furious nell’operazione è stata decisa
negli stadi finali di pianificazione di «Pedestal», dopo che i comandi delle
forze aeree di Malta hanno chiesto di rimpinguare le loro squadriglie di caccia,
che negli ultimi tempi hanno subito gravi perdite (quantificate in una media di
17 aerei a settimana): il capo di Stato Maggiore della Royal Air Force,
maresciallo dell’aria Charles F. A. Portal, ha pertanto chiesto al suo collega
della Royal Navy di mettere a disposizione un’altra portaerei per inviare a
Malta 71 caccia Spitfire. In risposta a questa esigenza, sono state decise le
operazioni «Bellows» e «Baritone»: è previsto che dapprima la Furious imbarchi un primo gruppo di
39 Spitfire prima di lasciare la Gran Bretagna e venga aggregata al convoglio
W.S.21S (cioè quello di «Pedestal») fino all’altezza di Algeri, dove lancerà
gli Spitfire alle 13 dell’11 agosto (e questa è «Bellows»); poi, tornerà a
Gibilterra, caricherà altri 32 Spitfire (inviati dall’Inghilterra sul
piroscafo Empire Clive) ed
uscirà nuovamente in mare per lanciare anche quelli (operazione «Baritone»).
Gli Spitfire raggiungeranno in volo Malta, dove atterreranno in tre diverse
basi aeree. Per la scorta della Furious
durante la navigazione di ritorno verso Gibilterra sono stati messi a
disposizione otto cacciatorpediniere di base a Gibilterra, facenti parte del
gruppo scorta di riserva: Keppel (capitano
di fregata John Egerton Broome), Malcolm, Amazon, Venomous, Wolverine, Wrestler, Westcott e Vidette.
Questi ultimi, salpati da Gibilterra, raggiungeranno la Furious dopo aver scortato fino ad
un punto prestabilito a sud di Maiorca la Forza R, composta da due navi
cisterna (Brown Ranger e Dingledale, partite da Gibilterra il 9
agosto) incaricate del rifornimento in mare degli incrociatori e
cacciatorpediniere di scorta al convoglio.
La Furious ha caricato i 39 Spitfire
sul Clyde, nel Regno Unito, da dov’è poi partita il 4 agosto insieme
all’incrociatore leggero Manchester ed
ai cacciatorpediniere Sardonyx (che
ha lasciato il gruppo nella notte tra il 5 ed il 6 agosto) e Blyskawica (quest’ultimo polacco).
Il 7 agosto Furious e Manchester si sono uniti al
convoglio WS.21S, col quale hanno attraversato lo stretto di Gibilterra il 10
agosto (la Furious deve
accompagnare il convoglio soltanto per il tratto necessario a giungere a
portata “di volo” da Malta); il giorno seguente la Furious, scortata dai cacciatorpediniere Lookout e Lightning,
si separa dal gruppo principale e si era porta in un punto prestabilito a sud
delle Baleari, circa 584 (o 550, o 635) miglia ad ovest di Malta, dove lancerà
i suoi spitfire nel primo pomeriggio dell’11 agosto. È appunto mentre la Furious dirige verso questo punto a sud
delle Baleari che viene avvistata dall’Uarsciek.
Stimando il beta (che
risulta di 30°, a sinistra, con alfa di 330°), Arezzo valuta la rotta della
nave britannica come 90°, opposta a quella dell’Uarsciek, che è di 270°; considerata la velocità relativa di
avvicinamento di 25-27 nodi (la velocità dell’Uarsciek è di 9 nodi, quella della portaerei è stimata in 18),
prende la decisione di entrare nel cerchio di lancio con rotta di attacco, restando
in superficie, al fine di lanciare subito i suoi siluri. Nel mentre, vengono
avvistate altre navi: una corazzata, su alfa circa 0° e beta 0°, ed un’unità
minore un po’ più a dritta. L’avvistamento della corazzata permette di meglio
apprezzare la rotta della formazione nemica, che sembra navigare in linea di
rilevamento; decidendo di attaccare la portaerei, il comandante Arezzo della
Targia deve accettare di ritrovarsi traversato alla corazzata. Preparandosi ad
attaccare, ordina al timoniere di venire per 190°, e fornisce alla camera di
lancio i dati sull’angolazione dei siluri.
Alle 4.42, in
posizione 37°52’ N e 01°48’ E (approssimativamente nell’angolo nordoccidentale
del settore d’agguato a sud di Ibiza e di Maiorca), da una distanza di circa
1000 metri, l’Uarsciek lancia due
siluri contro la Furious (altra
versione parla erroneamente di tre siluri), dai tubi 3 e 4, con alfa 5°, beta
80° a sinistra, gamma 20° a sinistra, angolo d’impatto calcolato in 105°,
angolo di mira di 25° e correzione per la parallasse di 50 metri. C’è un
leggero vento da est-sud-est con forza 2, il mare è calmo (forza 1-2), la
visibilità scarsa.
La scia dei siluri
risulta da subito visibilissima: da bordo dell’Uarsciek viene visto sulla portaerei un segnale luminoso, che si
ritiene essa abbia effettuato per dare l’allarme, avendo avvistato i siluri. A
bordo dell’Uarsciek è pronto un altro
siluro, da 450 mm, ma il comandante decide d’immergersi senza lanciarlo,
essendo la corazzata nemica distante al massimo 800-900 metri, ritenendo più
importante – come ordinato da Supermarina – lanciare il segnale di scoperta per
permettere agli altri sommergibili di attaccare. Ordina pertanto l’immersione
rapida; appena sceso in camera di manovra, sente due cupe esplosioni, a
brevissimo intervallo l’una dall’altra, circa 50 secondi dopo i lanci.
Alle 4.47 si sente
esplodere la prima scarica di bombe di profondità, estremamente violenta
(probabilmente un grappolo molto numeroso); l’Uarsciek si mantiene ad una profondità di ottanta metri, seguendo
agli idrofoni l’azione dei cacciatorpediniere. Il grosso della formazione
britannica, intanto, sembra essersi arrestato. Alle 4.55 viene avvertita una
seconda scarica di bombe di profondità, anch’essa estremamente violenta; due
minuti dopo ne segue un’altra, molto vicina, che causa alcuni danni di poca
entità e fa scendere l’Uarsciek a 96
metri di profondità. Alle 5.04 si sentono altre violente esplosioni; alle 5.10
una nuova, violenta scarica di bombe di profondità, che però sembra essere più
lontana rispetto a quelle che l’hanno preceduta. Dalle rilevazioni idrofoniche
la portaerei sembra essere ferma, mentre i cacciatorpediniere si sentono a
scafo; alle 5.33 la portaerei viene sentita rimettere in moto, ed alle 5.58
viene rilevata in allontanamento per 53° (il suo rilevamento va gradualmente
allargandosi, passando da 53° a 58°, 62°, 67°, 76° e 81°). Alle 6.56, gli
idrofoni non percepiscono più alcun suono della portaerei, ormai allontanatasi,
mentre i cacciatorpediniere si percepiscono nettamente a scafo: continuano ad
incrociare sulla verticale dell’Uarsciek,
passandogli sopra, fermandosi e poi rimettendo in moto. Ma sembra essersi
interrotto il lancio di bombe di profondità. Durante tutta la caccia non sono
stati avvertiti i rumori caratteristici dei periteri; il comandante Arezzo ne
trae l’impressione che la ricerca sia condotta con gli idrofoni. Infine, anche
i cacciatorpediniere se ne vanno: alle 9.37 tutte le sorgenti sonore risultano
in allontanamento in direzioni diverse, ed alle 9.39 l’Uarsciek può finalmente emergere, una sessantina di miglia a sud di
Ibiza, e lanciare il segnale di scoperta e siluramento, comunicando la
composizione, rotta e velocità della formazione avversaria. Alle 10.55 l’ammiraglio
Syfret, a bordo della corazzata Nelson,
verrà informato dal servizio informazioni britannico, via Malta,
dell’intercettazione di un segnale di scoperta nemico relativo alla Forza F
(cioè all’insieme delle forze navali in mare per “Pedestal”), inviato alcune
ore prima (le 6.20 secondo una fonte, ma non è molto chiaro il fuso orario): si
tratta di quello inviato dall’Uarsciek.
L’Uarsciek, battello più ad ovest
dell’intero schieramento di sommergibili italo-tedeschi, è stato in assoluto il
primo sommergibile dell’Asse ad entrare in contatto con le forze britanniche nel
corso della battaglia di Mezzo Agosto. Il suo attacco è stato infruttuoso, ma
la sua azione ha rivestito grande importanza sul piano strategico, perché
grazie al suo segnale di scoperta, ricevuto a Roma alle 10.25, Supermarina
riceve per la prima volta informazioni affidabili sulla posizione e velocità
delle forze navali britanniche dopo il loro ingresso in Mediterraneo, avvenuto
quasi ventiquattr’ore prima.
Da parte italiana,
sulla base delle esplosioni avvertite dall’Uarsciek
dopo i lanci, si riterrà erroneamente che i siluri lanciati dal sommergibile
abbiano colpito la Furious,
danneggiandola e costringendola a rientrare a Gibilterra. Questa rivendicazione
sarà infatti annunciata nel bollettino n. 806 del Comando Supremo, diramato il
12 agosto («Nel Mediterraneo occidentale
un nostro sommergibile attaccava, all'alba di ieri, una grossa nave da guerra
di tipo imprecisato fortemente scortata, colpendola con due siluri») e poi
ulteriormente precisata nel bollettino n. 809 del 14 agosto («La nave portaerei colpita il giorno 11 dal
sommergibile Uarsciek e rientrata avariata a Gibilterra, è il Furious»).
Secondo fonti
britanniche, l’attacco dell’Uarsciek
non sarebbe stato notato dalle navi britanniche; la prima attività di
sommergibili da esse rilevate sarebbe stata notata solo alle 8.15 di quel
giorno, quando la corvetta Coltsfoot
(tenente di vascello K. W. Rous), facente parte della scorta della Forza R,
avvistò e segnalò due siluri “delfinanti”, cioè affioranti sull’acqua, che
passavano piuttosto lontani, in posizione 37°56’ N e 01°40’ E. Ciò appare
invero alquanto strano, considerato che dal rapporto dell’Uarsciek risulta che il sommergbile venne sottoposto a caccia con
bombe di profondità dopo il lancio dei siluri, il che presupporrebbe che le
navi avversarie si siano quanto meno accorte dell’attacco. Dal saggio
“Operation Pedestal” dello Storico Francesco Mattesini risulta invece che verso
le cinque del mattino la corvetta britannica Jonquil (capitano di corvetta Robert Edward Heap Partington),
anch’essa facente parte della scorta della Forza R ma in quel momento intenta a
manovrare indipendentemente, sentì le esplosioni di quelle che furono ritenute
essere quattro bombe di profondità. Non venne tuttavia dato l’allarme. Quanto
all’avvistamento di due siluri da parte della Coltsfoot, in posizione molto prossima a quella dell’attacco dell’Uarsciek ma a quattro ore di distanza
(in luogo ed ora in cui non risulta alcun attacco da parte di sommergibili
italiani o tedeschi), la storia ufficiale dell’USMM commenta: «Potevano essere due di quelli lanciati dal
sommergibile [Uarsciek] e che, per irregolare funzionamento del
congegno di autoaffondamento, fossero rimasti a galla: questa considerazione è
nostra e non può avere che valore d’ipotesi più o meno attendibile».
Dopo poco meno di
un’ora dall’emersione, l’Uarsciek
avvista in posizione 38°01’ N e 01°38’ E un velivolo in volo a quota media con
rotta 45°, il che induce l’Uarsciek a
tornare ad immergersi alle 10.32. Il comandante Arezzo ritiene di non essere
stato avvistato, ma in applicazione della circolare A1/SRP di Maricosom
(contenente le norme generali per i sommergibili in missione di guerra) decide
ugualmente di lasciare temporaneamente la zona e portarsi sotto Formentera,
dove spera di poter intercettare qualche nave nemica di ritorno con rotta su
Capo Palos.
Alle 12.18 l’Uarsciek emerge e prosegue in direzione
di Formentera navigando in superficie, ed alle 14.05 avvista al traverso a
sinistra, in posizione 38°08’ N e 01°32’ E, un biplano Fairey Swordfish (nel
rapporto viene indicato come “un biplano
del tipo Swordfish o Farei per portaerei”) in avvicinamento con rotta
d’attacco. Pur non ritenendolo un avversario molto pericoloso, il comandante
Arezzo della Targia decide d’immergersi ugualmente perché alle 10.25 ha
ricevuto un segnale di scoperta relativo ad una portaerei a largo delle
Baleari. Subito dopo essersi immerso, l’equipaggio dell’Uarsciek avverte lo scoppio di due bombe di piccolo calibro; viene
continuata la navigazione in immersione fino alle 20.59, quando il sommergibile
riemerge ed inizia ad incrociare al largo di Formentera.
12 agosto 1942
All’1.50 l’Uarsciek s’immerge brevemente per
effettuare ascolto idrofonico; gli idrofoni rilevano una sorgente alquanto
incerta per 312°, e considerata la direzione del rilevamento il comandante
Arezzo ne deduce che debba trattarsi di navi mercantili neutrali. Tornato in
superficie, il sommergibile s’immerge nuovamente alle 6.05 per iniziare ad
avvicinarsi alla zona assegnata; vengono avvertite a più riprese scariche di
bombe di profondità ed esplosioni di bombe d’aereo, a distanze variabili, che a
bordo vengono interpretate come un segno degli attacchi in corso contro il
convoglio britannico da parte dei sommergibili ed aerei italo-tedeschi. Alle
13.32 gli idrofoni dell’Uarsciek
rilevano rumore di una turbina per 188°; il rilevamento passa poi a 198°, 218°
e 240°, dopo di che diminuisce gradualmente, mentre la forza (1-2) si mantiene
costante. Il sommergibile segue lungamente la sorgente di questo rumore,
esplorando al contempo l’orizzonte col periscopio; poi, alle 15.20, emerge per
avvicinarsi in superficie alla nave che produce il rumore. Venti minuti dopo
viene avvistata una colonna d’acqua alta quattro o cinque metri,
approssimativamente due quarti a poppavia del traverso a dritta, ma non viene
sentito rumore di un’esplosione; il comandante Arezzo ne trae ugualmente
l’impressione che si tratti di una bomba lanciata da un aereo molto alto
sull’orizzonte, oppure dello scoppio di un siluro elettrico, dunque decide
d’immergersi per proseguire la caccia in immersione. Gli idrofoni continuano a
segnalare la sorgente con forza costante (2-3) e direzione variabile tra 180° e
240°; ritenendo che si tratti di un cacciatorpediniere o cacciasommergibili che
sta pendolando in perlustrazione precedendo qualche nave maggiore, Arezzo
ordina di assumere rotta 210°, pari al rilevamento medio. L’Uarsciek prosegue su tale rotta per
tutto il pomeriggio, continuando a sentire la sorgente agli idrofoni, ma senza
riuscire ad avvistare nulla.
Alle 20.13 viene
ricevuto ordine da Maricosom di spostarsi in un nuovo settore, dunque il comandante
Arezzo decide di interrompere una volta per tutta l’infruttuosa caccia della
nave che produce il rumore. Alle 19, infatti, il Comando della Squadra
Sommergibili ha diramato l’ordine per Uarsciek,
Dagabur, Brin e Volframio di
spostarsi verso ovest, informandoli al contempo che una parte delle navi
britanniche (la forza pesante di supporto, che doveva accompagnare il convoglio
soltanto fino all’imbocco del Canale di Sicilia, per poi tornare a Gibilterra)
ha invertito la rotta.
Alle 22 l’Uarsciek emerge; l’equipaggio avverte un
forte odore di nafta, che viene attribuito dal comandante a qualche perdita di
rilevante consistenza, ma nel buio non si riesce a vedere nulla. Il
sommergibile prosegue pertanto, in superficie, la navigazione verso il nuovo settore
assegnato.
13 agosto 1942
Alle 2.50 giunge un
nuovo ordine, che sposta la zona assegnata all’Uarsciek ancora più ad ovest. Alle quattro del mattino viene
sentito nuovamente odore di nafta, ma non si riesce ad individuare la perdita;
il comandante Arezzo convoca il direttore di macchina Cristini e lo interroga a
riguardo, ma dopo un sopralluogo questi afferma di escludere che ci siano
perdite.
Alle 6.05 l’Uarsciek s’immerge e dà inizio alla
navigazione occulta; per tutto il resto del giorno, e soprattutto intorno alle
ore di ascolto del SITI, vengono avvertite frequentissime scariche di bombe
d’aereo, talvolta molto vicine, e sentiti continuamente aerei che passano nei
pressi del battello, talvolta nettamente percettibili a scafo. Alle 17.19 viene
ricevuto da Maricosom un telegramma che segnala la presenza di una corazzata e
tre cacciatorpediniere, aventi rotta 270° e velocità 24 nodi, avvistati alle
13.30 nel quadratino di posizione 0462. Il comandante Arezzo, fatti alcuni
calcoli, giudica che se la formazione segnalata, una volta giunta a sud di
Formentera, accosterà – com’egli ritiene probabile – in direzione di Alboran,
l’Uarsciek potrebbe riuscire ad
intercettarla all’estremità settentrionale della nuova zona assegnatagli, verso
mezzanotte. Il sommergibile prosegue pertanto nella navigazione verso la zona
assegnata.
Alle 21.25 l’Uarsciek emerge, e stavolta la perdita
di nafta risulta inequivocabile ed abbondante: si tratta di una cassa di nafta
danneggiata. Sul mare ci sono chiazze di nafta visibilissime, e diventa
evidente che l’insistente caccia da parte degli aerei subita durante la
giornata era causata appunto da questo tangibile, vistoso segnale della
presenza del sommergibile immerso. Il comandante Arezzo ascolta il parere del
direttore di macchina Cristini, il quale afferma di ritenere impossibile
eliminare la perdita coi mezzi disponibili a bordo; pertanto decide di
abbandonare l’agguato, informandone per radio Maricosom – come disposto dalla
circolare A1/SRP – pur ritenendo che così facendo (rompendo il silenzio radio)
l’Uarsciek si esponga al rischio di
essere radiogoniometrato.
Alle 23.45, in
posizione 37°02’ N e 00°09’ O, viene avvistata per 350° una luce bianca
sull’acqua; l’Uarsciek si dirige
immediatamente verso di essa, ma dopo alcuni minuti la luce inizia a scadere
rapidamente di poppa, fino a spegnersi. Il comandante Arezzo, ritenendo che si
tratti di un idrovolante antisommergibili Short Sunderland posatosi sulla
superficie del mare per effettuare ascolto, ordina l’immersione rapida; una
volta immersosi, il sommergibile rileva infatti agli idrofoni rumore di aerei
che copre tutta la zona, e che anzi è nettamente percettibile a scafo. A
mezzanotte la caccia ha inizio, con frequenti scariche di bombe lanciate
presumibilmente da più aerei (dato il numero di bombe lanciate) il cui rumore
si sente a scafo; alcune delle scariche esplodono piuttosto vicine. La
sistematicità della caccia induce Arezzo della Targia a ritenere che l’Uarsciek debba sicuramente essere stato
avvistato; ipotizza che i Sunderland lo abbiano localizzato mediante
radiogoniometria – come temeva – e che stessero in agguato da tempo, aspettando
il suo arrivo.
14 agosto 1942
All’1.37 gli idrofoni
rilevano rumori di turbine forza 2 in avvicinamento, su rilevamento 80°; il
comandante Arezzo ritiene che si tratti della formazione segnalata da Maricosom
alcune ore prima, arrivata sul posto più o meno all’orario previsto dai calcoli
effettuati. Tuttavia, l’avvicinarsi del rumore delle turbine è accompagnato da
un’intensificazione nei lanci di bombe da parte degli aerei: evidentemente
questi stanno cercando di precludere all’Uarsciek
ogni tentativo di attacco contro le navi in avvicinamento. Alle 2.50 la
sorgente sonora rilevata dagli idrofoni ha intensità massima, su rilevamento
183°; le turbine si sentono a scafo. L’Uarsciek
sembra nettamente tendere ad accostare verso dritta contro il volere del
comandante, che deve ordinare un forte angolo di barra per riportarlo in rotta;
sulle prime Arezzo pensa che l’assiometro possa essere sfasato, ma poi questo risulta
essere perfettamente in fase, il che induce il comandante a ritenere che l’Uarsciek si trovi in un vortice di
corrente, forse generato dalle esplosioni delle bombe. Ritiene invece
improbabile che la bussola magnetica possa essere impazzita per la presenza
delle masse magnetiche delle navi britanniche, dal momento che il rilevamento
idrofonico si allarga molto regolarmente. Alle 3.04 la sorgente sonora
raggiunge il massimo dell’intensità, poi inizia ad allontanarsi; alle 4.14
viene rilevata con forza 1 per 249°. Alle 4.30 l’Uarsciek emerge in posizione 37°08’ N e 00°15’ O, ma vedendo di
nuovo gli idrovolanti posati sul mare torna ad immergersi; questi, non appena
vedono il sommergibile emergere, decollano. Il loro rumore si sente nuovamente
sia agli idrofoni che a scafo; e di nuovo iniziano i lanci di bombe, a più
riprese, con alcune esplosioni piuttosto violente e vicine, ma non abbastanza
da causare danni.
Alle 6.10 si sente
ancora una sorgente agli idrofoni per 120°, forza 1; molto lontana, dato che
gli idrofoni la sentono al minimo. Alle 6.30 la sorgente è forza 2 su
rilevamento 110°-120°; mezz’ora dopo viene rilevata un’altra turbina per 98°,
forza 1, ma anche questa nave passa a grande distanza. La forza massima è 2.
Alle 7.50 non si sente più niente. Per il resto del giorno proseguono le
esplosioni, sempre più sporadiche.
Alle 18.40, dopo aver
effettuato un giro di esplorazione al periscopio per essere certo di essere
sotto la costa spagnola, l’Uarsciek
emerge ed inizia la navigazione di rientro.
Membri
dell’equipaggio dell’Uarsciek posano
per una foto dopo la battaglia di Mezzo Agosto, il 14 agosto 1942. In basso a
destra, il comandante Arezzo della Targia; aggrappato all’asta cui sventola il “Jolly
Roger”, il marinaio nocchiere Franco Calia (Coll. Davide Calia, via www.xmasgrupsom.com)
15 agosto 1942
Alle 6.30 l’Uarsciek, giunto al traverso di Capo de
la Nao, in zona di navigazione occulta, s’immerge. Riemerge alle 14 e prosegue
in superficie, transitando durante il giorno al di fuori della zona di
navigazione occulta delle Baleari.
17 agosto 1942
Alle 2.40 l’Uarsciek atterra sul punto convenzionale
“B” dell’Asinara, ed alle 8.20 si ormeggia a La Maddalena.
Per l’azione di Mezzo
Agosto, che da parte italiana si ritiene erroneamente abbia portato al
siluramento di navi nemiche, il comandante Arezzo della Targia verrà decorato
con la Medaglia d’Argento al Valor Militare, con motivazione «Comandante di sommergibile di elevate
capacità professionali, partecipava con sereno ardimento e indomito spirito
aggressivo alla battaglia mediterranea di mezz’agosto, attaccando decisamente
un numeroso convoglio nemico potentemente scortato da forze navali ed aeree.
Col tempestivo ed efficace lancio dei siluri, infliggeva sicure perdite alla
formazione avversaria, provocando l’affondamento ed il siluramento di unità a
guerra e mercantili. Dimostrava nell’ardua brillante azione elette virtù
militari e tenace volontà di vittoria». Saranno inoltre decorati di
Medaglia di Bronzo al Valor Militare il comandante in seconda tenente di
vascello Remigio Dapiran, rimasto ferito durante il bombardamento con bombe di
profondità (motivazione: "Ufficiale
in 2a di sommergibile, partecipava alla battaglia mediterranea di mezz'agosto
contro un numeroso convoglio nemico fortemente scortato da forze navali ed
aeree, coadiuvando il comandante con ardimento e perizia nelle audaci azioni
contro l'avversario. Benché ferito durante l'azione di caccia, alla quale
veniva sottoposta l'unità, continuava a tenere coraggiosamente il suo posto di
combattimento, dimostrando elevate qualità militari"); il direttore di
macchina, tenente del Genio Navale Armano Cristini; l’aspirante guardiamarina
Francesco Florio; il capo elettricista di terza classe Ilario Mazzotti; ed il
secondo capo motorista Pietro Battilana. Per Arezzo della Targia, Dapiran,
Mazzotti e Battilana, però, la decorazione giungerà postuma: il regio decreto
che sancisce il conferimento delle loro medaglie, infatti, è datato 18 dicembre
1942, tre giorni dopo l’affondamento dell’Uarsciek
e la loro morte.
L’Uarsciek in navigazione verso La Maddalena, il 17 agosto 1942 (g.c. STORIA militare) |
Settembre-Dicembre 1942
L’Uarsciek compie diverse uscite
addestrative.
31 ottobre 1942
In piena battaglia di
El Alamein, l’Uarsciek salpa da
Messina per Tobruk alle 18.45, in missione di trasporto: a bordo ha 19-20
tonnellate di munizioni.
4 novembre 1942
Arriva a Tobruk alle
13.15, sbarca le munizioni e riparte alle 18.15, con l’ordine di effettuare un
pattugliamento al largo della costa egiziana.
Lo stesso giorno, gli
attacchi britannici ad El Alamein riescono a sfondare, ed ha inizio il lungo
ripiegamento delle truppe dell’Asse.
7 novembre 1942
In mattinata
Maricosom, in previsione del possibile passaggio di un convoglio nemico nel
Canale di Sicilia, ordina all’Uarsciek
e ad altri sommergibili (Ascianghi, Granito e Dessiè) di raggiungere delle zone d’agguato nel Canale di Sicilia.
In realtà il
convoglio avvistato fa parte della flotta d’invasione angloamericana in mare
per l’operazione "Torch": le navi che lo compongono non attraversano
il Canale di Sicilia, ma partecipano invece allo sbarco sulle coste del Marocco
e dell’Algeria, che del resto era ritenuto obiettivo più probabile anche da
Supermarina (che infatti ha provveduto a dislocare ben ventuno sommergibili nel
Mediterraneo occidentale: l’invio di Uarsciek,
Ascianghi, Granito e Dessiè nel
Canale di Sicilia è stato meramente una misura precauzionale per l’ipotesi, non
escludibile a priori sebbene ritenuta poco probabile, dell’invio di un
convoglio diretto verso est).
9 novembre 1942
A causa di avarie
subite durante gli agguati, l’Uarsciek
deve far rotta per Tripoli, dove giunge all’1.30, sostandovi per cinque giorni
per ricevere alcune riparazioni provvisorie.
14 novembre 1942
Lascia Tripoli alle
13 per rientrare in Italia.
16 novembre 1942
Arriva a Messina alle
14.25 e viene sottoposto ad altri lavori per rimetterlo in efficienza.
L’affondamento
Alle 17.25 dell’11
dicembre 1942 l’Uarsciek, al comando
del tenente di vascello Gaetano Arezzo della Targia, salpò da Augusta diretto
verso sud, per una missione di agguato a sud di Malta.
Questa sarebbe dovuta
essere una delle sue ultime missioni prima di un periodo di lavori di grande
manutenzione, previsto per il febbraio 1943, anche se la Commissione
d’Inchiesta Speciale istituita a inizio 1947 per giudicare sul suo affondamento
lo avrebbe definito «in buone condizioni di efficienza» al momento della
perdita. Non molto tempo prima l’Uarsciek
aveva già subito dei lavori per risolvere dei problemi ai motori diesel, venuti
in evidenza durante la battaglia di Mezzo Agosto; erano anche stati effettuati
dei lavori di ridimensionamento della torretta per ridurre i tempi
d’immersione, nonché lavori ai macchinari per renderli più silenziosi.
Il marinaio Domenico
Di Serio, imbarcatosi sull’Uarsciek a
Napoli, aveva incontrato a bordo una sua vecchia conoscenza, il capo elettricista
Ilario Mazzotti (in passato imbarcato con lui su un altro sommergibile, il Malachite), il quale gli aveva
annunciato che a breve il sommergibile sarebbe dovuto andare a Pola per un
periodo di grandi lavori. Lasciata Napoli, infatti, l’Uarsciek si era trasferito a Messina, dove l’equipaggio aveva
atteso l’ordine di proseguire per Pola; invece era giunto quello di raggiungere
Augusta, e poi di prendere il mare per una missione al largo di Malta.
Dei 47 uomini di
equipaggio presenti a bordo in quell’uscita, soltanto il 30 % avevano già
prestato servizio sull’Uarsciek in
precedenti missioni; il 15 % erano marinai di leva al primo imbarco, il 55 %
sommergibilisti trasferiti all’Uarsciek
da altri battelli. Il comandante Arezzo della Targia era febbricitante, in
cattive condizioni di salute; il direttore di macchina, tenente del Genio
Navale Lorenzo Coniglione, imbarcato da un paio di mesi, era stato in
precedenza già sbarcato dall’Uarsciek
per grave esaurimento nervoso.
Era invece sbarcato
subito prima di questa missione il sottocapo elettricista Brunetto Montagnani,
che aveva già “giocato” la morte una prima volta: assegnato all’equipaggio del
sommergibile Medusa, si trovava a
casa in licenza quando questo era stato affondato con la morte di 58 dei 60
uomini a bordo, nel gennaio 1942. Dopo la perdita del Medusa era stato trasferito sull’Uarsciek, dove aveva avuto la sorpresa di incontrare come
comandante il tenente di vascello Arezzo della Targia, anch’egli imbarcato sul Medusa (era stato uno dei due soli sopravvissuti):
“All’imbarco, quando legge Montagnani,
alza gli occhi e mi riconosce. Mi saluta festosamente, felice di essere ancora
insieme dopo i tragici fatti”. Tuttavia, per Montagnani era giunto l’ordine
di trasferimento a Taormina per un periodo di “ossigenazione”, cui i
sommergibilisti dovevano sottoporsi dopo aver accumulato un certo numero di ore
in immersione. Montagnani era così rimasto a terra mentre l’Uarsciek partiva per la sua ultima
missione. L’avrebbe scampata per un caso anche in una terza occasione,
rimanendo a terra – perché non avvertito, di ritorno da una licenza – mentre il
piroscafo che portava in Corsica il suo reparto veniva affondato.
Gli ordini ricevuti
dal comandante Arezzo dal X Grupsom di Augusta prescrivevano che l’Uarsciek, insieme al sommergibile Topazio, raggiungesse un settore
d’agguato a sud di Malta per operare con compiti offensivi-esplorativi totali,
ed in particolare a protezione indiretta della navigazione da Napoli a Tripoli
della motonave Foscolo, partita il 12
dicembre con un carico di carburante e munizioni. Uarsciek e Topazio
avrebbero dovuto posizionarsi in settori tra loro vicini, una cinquantina di
miglia a sud di Malta, e prevenire attacchi da parte di navi nemiche, e specialmente
dalla Forza K, della quale si prevede una probabile uscita per attaccare il
convoglio: se questa formazione fosse uscita da Malta per attaccare la Foscolo, si prevedeva, sarebbe caduta
nell’agguato teso dai due sommergibili.
La situazione in
Africa Settentrionale appariva grigia: un mese prima le forze italo-tedesche
avevano subito la decisiva sconfitta di El Alamein, e negli stessi giorni in
cui si svolse la missione dell’Uarsciek
stavano combattendo ad El Agheila, ai margini occidentali della Cirenaica, per
tentare di fermare o quanto meno rallentare l’avanzata britannica. Le perdite
sulla rotta per la Libia avevano subito un’impennata dinanzi all’intensificazione
del contrasto aeronavale Alleato. Anche il viaggio della Foscolo si sarebbe concluso in fondo al mare, il 13 dicembre, al largo
di Capo Lilibeo: l’Uarsciek l’avrebbe
seguita due giorni più tardi. (Secondo un articolo di Aldo De Florio sulla
rivista UNUCI del febbraio 2014, anzi, l’Uarsciek
si sarebbe dovuto incontrare con la Foscolo
a sudest della Sicilia, dopo l’attraversamento, da parte della motonave, dello
stretto di Messina; l’incontro però non poté avere luogo a causa di una
variante dell’ordine d’operazioni in seguito alla quale la Foscolo mutò la propria rotta, costeggiando la Sicilia occidentale
e venendo qui affondata dagli aerosiluranti. L’Uarsciek s’imbatté nei cacciatorpediniere nemici mentre stava
inutilmente aspettando la Foscolo). Nel
giro di un mese e mezzo, tutta la Libia sarebbe stata perduta.
L’Uarsciek raggiunse il settore assegnato
per l’agguato alle cinque del mattino del 13 dicembre 1942, domenica.
Per quasi ventiquattr’ore
non accadde nulla; poi, nelle prime ore del 14 dicembre, vennero avvistate a
grande distanza due unità leggere, troppo lontane per poter tentare un attacco
(facevano forse parte di una formazione – stimata come composta da tre
incrociatori e due cacciatorpediniere – già avvistata e attaccata, alcune ore
prima, dal Topazio, che all’1.40
aveva lanciato tre siluri senza successo). L’Uarsciek continuò dunque nel suo pattugliamento. Il sottocapo
silurista Michele Caggiano, tarantino, avrebbe in seguito raccontato che la
sera del 14 dicembre, verso le dieci, il comandante Arezzo della Targia l’aveva
chiamato in plancia, essendo lui il consegnatario dei viveri, per far preparare
per mezzanotte una pizza per tutto l’equipaggio, con cui festeggiare Santa
Lucia, patrona della sua Siracusa, la cui celebrazione ricorreva quel giorno.
Anche il marinaio
istriano Domenico Di Serio, sommergibilista veterano ma alla sua prima missione
sull’Uarsciek (era sbarcato dal Malachite il precedente 5 dicembre, a
Napoli, ed aveva immediatamente ricevuto ordine di passare sull’Uarsciek, che era subito partito per
Messina), ricordò in seguito il pranzo speciale per tutto l’equipaggio organizzato
in onore di Santa Lucia, cui il comandante era particolarmente devoto: “Trascorremmo due ore bellissime. Poi
l'ordine: la festa è finita, tutti ai propri posti”.
Niente altro avvenne
fin verso le tre di notte del 15 dicembre, quando l’Uarsciek, stando in superficie, avvistò a distanza ravvicinata, circa
45-50 miglia a sud/sudest di Malta, un gruppo di unità che vennero identificate
come un incrociatore e tre cacciatorpediniere. Si trattava in realtà di due
soli cacciatorpediniere, il britannico Petard
(capitano di corvetta Mark Thornton) ed il greco Vasilissa Olga (capitano di corvetta Georgios Blessas), in
navigazione da Bengasi – da dov’erano partiti il 14 dicembre – a Malta.
Secondo il racconto
del silurista Michele Caggiano, fu la vedetta di poppa, proprio mentre ci si
preparava al cambio della guardia, ad avvistare a ridotta distanza una nave che
sembrava seguire il sommergibile emettendo tre segnali luminosi verdi,
evidentemente segnali di riconoscimento. Domenico Di Serio si trovava in quel
momento in camera di manovra; quando le vedette smontanti scesero dalla plancia
per il cambio della guardia, Di Serio chiese ad una di esse che tempo facesse,
e questi rispose “Fa freddo, c'e' nebbia e non si vede ad un palmo dal naso”.
Prima ancora che la vedetta avesse finito di parlare, venne dato l’allarme;
dalla torretta vennero chiesti i segnali di riconoscimento, che proprio Di
Serio preparava giornalmente con lampade di vari colori. L’Uarsciek effettuò i segnali prescritti, ma non ottenne risposta.
Divenuto evidente che
la nave avvistata era nemica, diretta verso Malta, e trovandosi l’Uarsciek in posizione favorevole per un
attacco, il comandante Arezzo della Targia ordinò subito di lanciare contro le
navi nemiche due siluri dai tubi di poppa (tubi 5 e 6), dopo di che ordinò
l’immersione rapida per disimpegnarsi, assumendo rotta di allontanamento.
Mentre il sommergibile scendeva in profondità, vennero sentite a bordo due
forti esplosioni, che indussero l’equipaggio a ritenere erroneamente di aver
colpito una delle navi nemiche. Non vennero sentiti scoppi di bombe di
profondità (ma siccome i siluri non avevano colpito, è possibile che le due
forti esplosioni avvertite a bordo fossero in realtà proprio cariche di
profondità), mentre si sentiva sullo scafo il rumore del sonar delle navi
avversarie intente nella ricerca.
Secondo la versione
britannica, l’Uarsciek fu sorpreso in
superficie alle 3.05 (ora italiana; 4.05 secondo l’orario seguito dalle unità
britanniche) del 15 dicembre, in posizione 35°08’ N e 14°28’ E (o 35°08’ N e
14°22’ E), dalle vedette del Petard,
che lo avvistarono a proravia sinistra, in condizioni di calma piatta di mare.
Sulle prime le vedette britanniche ritennero che si trattasse di una nave di
superficie; quando poi si resero conto che era invece un sommergibile emerso, il
comandante Thornton credette inizialmente che potesse trattarsi del
sommergibile britannico Umbra (altre
fonti parlano erroneamente dell’HMS Ultimatum,
ma quest’ultimo si trovava in quel momento ai lavori nel Regno Unito), di
ritorno a Malta dopo una missione nel Golfo di Hammamet. Il Petard effettuò pertanto il segnale di
riconoscimento, e fu a quel punto che il sommergibile italiano s’immerse e
lanciò i suoi siluri. Considerate le due versioni, probabilmente l’avvistamento
fu reciproco e più o meno contemporaneo.
Il Petard allertò il Vasilissa Olga con due forti fischi di sirena ed evitò i siluri –
avvistati nonostante il buio grazie alle loro scie fosforescenti – con la
manovra, virando nella loro direzione e passando tra le loro scie (fonti greche
affermano che i due siluri sarebbero passati a proravia del Vasilissa Olga, a ridotta distanza),
dopo di che entrambi i cacciatorpediniere, alle 3.10, scatenarono una pesante
caccia con bombe di profondità. Il Petard,
che aveva quasi subito ottenuto un contatto ASDIC, effettuò a quell’ora un
primo attacco col lancio di una singola bomba di profondità ed ordinò al Vasilissa Olga di girare attorno a
quella posizione, descrivendo cerchi di un’ampiezza di due miglia; ad un certo
punto l’Uarsciek venne inaspettatamente
ad affiorare, per poi tornare subito a ridiscendere in profondità, ed il Petard lo attaccò con dieci bombe di
profondità, per poi ordinare al Vasilissa
Olga di attaccare a sua volta. Il cacciatorpediniere greco lanciò sei bombe
di profondità, regolate per esplodere a quote comprese tra i 45 ed i 90 metri;
questo terzo ed ultimo attacco causò gravi danni agli impianti vitali dell’Uarsciek, specie nella zona poppiera, al
punto da costringerlo a manovrare la cassa della rapida ed emergere a circa 180
metri dal Petard.
Da parte italiana (sia
secondo la versione ufficiale, sia secondo il ricordo del superstite Michele
Caggiano) risulta che durante la manovra di immersione rapida seguita al lancio
dei siluri il sommergibile sprofondò eccessivamente, precipitando rapidamente a
160 metri di profondità (il doppio della quota di collaudo) con un forte
appruamento; questo inconveniente, dovuto al mancato esaurimento della cassa
rapida, indusse il comandante a dare aria ai doppifondi, per arrestare la pericolosa
discesa e risalire ad una quota più adeguata. Tale manovra, tuttavia, ebbe a
sua volta un effetto eccessivo: forse perché si era immessa fin troppa aria nei
doppifondi, l’Uarsciek risalì troppo
rapidamente e finì con l’affiorare involontariamente con tutta la torretta,
agevolandone l’individuazione da parte dei cacciatorpediniere; subito dopo il
sommergibile tornò a scendere in profondità, questa volta con un marcato
appoppamento, ma ormai le navi nemiche sapevano dov’era e lo sottoposero subito
a pesante bombardamento con cariche di profondità, danneggiandolo gravemente e costringendolo
ad emergere una volta per tutte.
Domenico Di Serio
ricordò in seguito che l’Uarsciek,
una volta ridisceso a 80 metri di profondità, era rimasto immobile per tentare
di non fare rumore, ma invano: era stato localizzato ed investito in pieno
dall’esplosione di un grappolo di bombe di profondità – otto, secondo il suo
ricordo – che fecero spegnere le luci e persino staccare la vernice dalle
paratie del sommergibile, facendone cadere i frammenti sul pagliolato “come una
nevicata”. Manovrando con un solo motore, l’Uarsciek scese ancora – a 100 metri, secondo Di Serio –, di nuovo
cercando di minimizzare i rumori, ma poco dopo esplosero vicinissime altre
quattro bombe di profondità, tutt’intorno allo scafo: l’Uarsciek sbandò sotto la violenza delle detonazioni, la luce saltò
un’altra volta, molte lampade si ruppero, l’acqua iniziò a filtrare nelle
sentine dagli astucci degli assi portaeliche. L’illuminazione venne
ripristinata, ma stavolta i danni erano molto gravi; il comandante Arezzo della
Targia radunò tutti i graduati in camera di manovra, ed il direttore di
macchina Coniglione spiegò che lo scafo era gravemente danneggiato, c’erano
pericolose vie d’acqua: “Comandante,
possiamo rimanere in queste condizioni per poco tempo. O emergiamo, oppure è la
fine per tutti, perchè l'acqua continua a entrare e appesantisce ulteriormente
il battello”. Arezzo rimase pensoso per qualche tempo, poi chiamò tutto il
personale in camera di manovra ed annunciò la sua decisione: “Affrontiamo il nemico”. Il suo proposito
era di tentare di fuggire in superficie sfruttando i motori diesel, ma si
trattava di un tentativo senza speranza. Il personale addetto alle armi prese
posto in torretta, poi fu dato l’ordine di emergere.
Il sottocapo Michele
Caggiano avrebbe ricordato in seguito che al momento dell’emersione il
comandante Arezzo diede ordine di armare il cannone per affrontare le unità
nemiche in un combattimento in superficie: “Li
facciamo fuori così!”, incitò i suoi uomini. Lo stesso Caggiano, facendo
parte dell’armamento del cannone, raggiunse il portello della garitta prodiera,
che era suo compito aprire; afferrando il volantino del portello per svitarlo,
si rese conto con un certo stupore che sembrava aprirsi molto più facilmente
del solito, senza richiedere molta forza. Ciò era dovuto alla pressione
all’interno del sommergibile, che durante il bombardamento era aumentata di
parecchio: a tal punto da far aprire di scatto il portello e da lanciare
all’esterno lo stesso Caggiano, che atterrò sul lato sinistro del ponte di
coperta, tra il portello e la torretta, con i piedi in aria. La coperta era
ancora semisommersa, e Caggiano si rese conto di stare scadendo verso poppa;
con la mano sinistra afferrò per tenersi un galletto del coperchio della
riservetta sinistra, così evitando di essere trascinato in mare. Prima ancora
che il ponte di coperta fosse completamente emerso, un fascio luminoso
proveniente da ore quattro illuminò in pieno la torretta, subito seguito da una
tempesta di colpi di mitragliatrice, traccianti che lasciavano dietro di sé
scie luminose verdi.
Domenico Di Serio,
stando sottocoperta, sentiva le raffiche di mitragliera che colpivano lo scafo
dell’Uarsciek; le mitragliere erano
fuori dai loro alloggiamenti, una puntata verso il cielo e l’altra verso il
nemico, ma non potevano essere raggiunte, al pari del cannone: chi tentava di
avvicinarsi era immediatamente colpito. Schegge cadevano perfino in camera di
manovra. Il comandante Arezzo, in plancia, diede ordine di salire tutti in
coperta.
L’Uarsciek illuminato dai proiettori di Petard e Vasilissa Olga (da www.ww2aircraft.net,
www.navy.gov.au e “Ultra versus U-Boats”
di Roy Convers Nesbit)
Il comandante Thorton
del Petard aveva in precedenza perso
un’occasione per catturare un sommergibile nemico (il tedesco U 559, affondato il precedente 30
ottobre: emerso dopo essere stato gravemente danneggiato dalle bombe di
profondità, e subito abbandonato dall’equipaggio, l’U-Boot era stato abbordato
da un drappello del Petard che si era
impadronito di cifrari rivelatisi poi fondamentali per la decrittazione del
“codice Enigma”, ma il sommergibile era poco dopo affondato portando con sé un
ufficiale ed un marinaio britannici rimasti intrappolati a bordo), ed era
deciso, questa volta, a catturare intatto il suo avversario, per impadronirsi
dei cifrari e documenti segreti presenti a bordo. Non appena il battello
italiano emerse, pertanto, lo fece illuminare coi proiettori – secondo una
fonte anche il Vasilissa Olga puntò i
suoi proiettori sull’Uarsciek – e
diede ordine ai serventi di tutte le sue mitragliere da 20 e 40 mm di aprire il
fuoco su di esso, con l’intenzione di impedire qualsiasi tentativo di reazione
od autoaffondamento da parte italiana, senza al contempo causare danni troppo
gravi al sommergibile (lo storico e sommergibilista Clay Blair scrive che la
politica dell’Ammiragliato britannico era di costringere, col fuoco delle
mitragliere, gli equipaggi dei sommergibili a restare sottocoperta per impedire
loro di tentare l’autoaffondamento, e che Thornton si attenne a queste
disposizioni).
Il tiro delle
mitragliere Oerlikon da 20 mm e delle micidiali “pom-pom” quadrinate da 40 mm
ebbe infatti un effetto devastante sull’equipaggio dell’Uarsciek, falciando quasi tutti coloro che tentarono di salire in
coperta od in torretta. Per due volte i mitraglieri del Petard, ritenendo eccessivo proseguire il mitragliamento, smisero
di sparare, e per due volte Thornton ordinò loro di riaprire il fuoco; secondo
il libro "Codice Enigma" di Hugh Sebag-Montefiore, lo stesso
comandante del Petard impugnò
personalmente una mitragliera ed aprì il fuoco sugli uomini visibili sul ponte
dell’Uarsciek. Le circostanze e la
natura di quest’ultima azione rimangono piuttosto controverse: mentre alcune
fonti britanniche la giustificano come un normale atto di guerra finalizzato a
stroncare ogni tentativo di reazione od autoaffondamento da parte
dell’equipaggio italiano (“il
sommergibile, gravemente danneggiato, non accennava ad essere abbandonato
dall’equipaggio e, come era logico, il Petard proseguì il fuoco, non per
uccidere i naufraghi, ma per costringerli ad affrettare l’abbandono della loro
nave”), altri autori ritengono che Thornton abbia commesso un grave
eccesso, uccidendo uomini che stavano tentando di arrendersi. Anche in
quest’ottica andrebbe collocato l’ordine di Thornton ai suoi mitraglieri,
ripetuto due volte, di riaprire il fuoco: questi ultimi avrebbero esitato ad
eseguirlo perché, a differenza del loro comandante, ritenevano che i
sopravvissuti stessero ormai arrendendosi e che non fosse necessario ucciderli.
L’opinione secondo cui il comportamento di Thornton avrebbe rappresentato un
“eccesso” sembra infatti condivisa anche da diversi membri dell’equipaggio del Petard, a partire dal medico di bordo
William Prendergast e dal radiotelegrafista Reg Crang, nonché da vari
superstiti dell’Uarsciek. Di diverso
avviso appare invece un altro marinaio del Petard,
Trevor Tipping, che in un’intervista rilasciata nel dopoguerra affermò invece
di ritenere completamente giustificata l’azione di fuoco del Petard, dato che gli uomini usciti in
coperta sull’Uarsciek stavano correndo
verso il cannone: “La questione era, o noi o loro. Meglio loro che noi”. Rispondendo
ad una domanda specifica, Tipping aggiunse anche che Prendergast era rimasto
impressionato da quello che aveva visto perché era un medico entrato da poco
tempo in Marina, e che “L’opinione di un medico sulla guerra è diversa da
quella di un combattente”; secondo Tipping, il resto dell’equipaggio non era
stato particolarmente impressionato dalla carneficina, si era trattato di un
legittimo atto di difesa da parte del Petard
e comunque quei marinai erano ormai abituati a scene simili (anche se lo stesso
Tipping nell’intervista menzionò che ad “alcune persone” non “era piaciuto”
l’ordine di sparare sugli uomini che correvano sulla coperta del sommergibile,
ma che il comandante Thornton aveva detto che stavano cercando di armare il
cannone, dunque “o noi o loro”).
In un saggio sulla
perdita dell’Uarsciek pubblicato nel
2006 dallo storico Franco Prosperini si parla di due distinte azioni di fuoco
che si abbatterono sul sommergibile, spazzandone il ponte di coperta con
raffiche di mitragliera: la prima si verificò subito dopo l’affioramento e
causò la morte del comandante Arezzo della Targia, del comandante in seconda
Dapiran e del nostromo Mazzotti; a questo punto l’ufficiale di rotta diede
l’ordine di abbandonare l’unità, e mentre l’equipaggio iniziava a salire in
coperta il Petard aprì nuovamente il
fuoco, tirando soprattutto contro la zona prodiera attorno al cannone (questa
versione sembrerebbe dunque coerente con la posizione secondo cui anche la
seconda azione di fuoco era semplicemente mirata ad impedire una reazione da
parte dell’Uarsciek; infatti
Prosperini non parla, da parte sua, di condotta “esagerata” o criminale del
comandante Thornton).
Clay Blair, di
converso, ritiene che Thornton si fosse semplicemente attenuto alle direttive
dell’Ammiragliato, cercando di tenere l’equipaggio italiano sottocoperta per
impedire l’autoaffondamento del sommergibile, e sembra invece piuttosto critico
verso lo sbarco del comandante del Petard
causato, apparentemente, da questo episodio ed in particolare dalla denuncia di
Prendergast.
Nella confusione il Petard, tentando di abbordare l’Uarsciek senza rendersi conto che questo
era ancora in movimento ed ormai fuori controllo, entrò anche in collisione con
il sommergibile, urtandolo con la prua e “salendo” sul suo scafo, subendo
qualche danno a prua (una “rientranza” di circa un metro e venti centimetri, e
danni alla carena tali da richiedere riparazioni in bacino – poi effettuate ad
Alessandria nel gennaio 1943 –, anche se nel complesso la galleggiabilità della
nave non fu minacciata, ed il Petard
rimase in grado di navigare ad almeno 20 nodi).
Reg Crang,
radiotelegrafista imbarcato sul Petard,
dà nel suo diario una descrizione molto vivida di quei momenti: “Mentre uomini nudi emergevano dalla torretta
per saltare sul ponte, entrambe le navi aprirono una scarica assassina di fuoco.
Nessuno sul ponte poté scampare al massacro. Dopo una lunga pausa senza più
tiro, il Petard si avvicinò. Alcuni altri uomini nudi uscirono [dal
sommergibile], pensammo per arrendersi,
ma una mitragliera sul ponte di comando aprì il fuoco ed iniziò a falciarli. Il
nostro equipaggio era inorridito da quello che si pensava essere un atto di
vendetta personale del comandante [Thornton]. Per fortuna si fermò ben presto, ma a questo punto il Petard era così
vicino al sommergibile che non poté evitare una collisione. Con un terribile
scricchiolio il Petard un po’ speronò, un po’ si arrampicò sullo scafo del
sommergibile. Poi, con le macchine indietro tutta, indietreggiò; la battaglia
era finita. Ora si poteva pensare a salvare i superstiti, anziché ucciderli”.
In pochi minuti il
comandante Arezzo della Targia, il comandante in seconda sottotenente di
vascello Remigio Dapiran, il nostromo Ilario Mazzotti ed altri sei tra
sottufficiali e marinai caddero uccisi dal tiro delle mitragliere delle navi
avversarie; molti altri uomini rimasero feriti. I superstiti si arresero;
l’ufficiale di rotta ordinò di aprire i portelli, avviare le manovre per
l’autoaffondamento ed abbandonare la
nave.
Michele Caggiano,
confuso e spaventato, si era salvato perché riparato dalla torretta: sentì la
voce del comandante Arezzo, già ferito, ripetere “Non abbandonate il battello – Affondate il battello”. Altre voci
venivano da poppa: grida, gli uomini laggiù erano colpiti dal fuoco nemico.
Caggiano riconobbe distintamente la voce del secondo capo motorista Pietro
Battilana, un trentunenne originario del trevisano, che gridava ai compagni di
arrendersi: “Ci fanno fuori tutti!”. Caggiano
non poteva saperlo, ma queste furono probabilmente le ultime parole di
Battilana, che poco dopo venne a sua volta colpito e ucciso. Anche Caggiano, a
dispetto della sua posizione riparata, venne leggermente ferito da numerose
scheggie metalliche di piccole dimensioni.
Molto simili sono le
scene raccontate dal marinaio silurista Catello Iovino, ventiduenne, da
Castellammare di Stabia. Operaio del cantiere navale di Castellammare, chiamato
alle armi nel 1941, Iovino faceva parte di quel 15 % dell’equipaggio che era al
suo primo imbarco: era stato infatti da poco mandato ad Augusta in attesa di
imbarco, dopo aver completato l’addestramento alla Scuola Sommergibilisti di
Pola, ed era stato assegnato all’Uarsciek
proprio per quella missione, in sostituzione di un silurista che era sbarcato
poco prima della partenza perché improvvisamente colto da febbre. Al momento
dell’attacco, Iovino si trovava nella camera di lancio poppiera dell’Uarsciek; quando il sommergibile emerse
salì sul ponte di coperta, spazzato dalle raffiche di mitragliera. Vide il
comandante ed i mitraglieri morti sulla torretta, ed i serventi del cannone
tutti caduti al loro posto; i superstiti avevano alzato le mani, ma il fuoco
delle mitragliere continuava. Iovino si lasciò scivolare lungo la carena del
sommergibile, ferendosi sui denti di cane, e finì in mare.
Sottocoperta il
direttore di macchina Coniglione, insieme a tre marinai tra cui Domenico Di
Serio, effettuò le manovre per autoaffondare il sommergibile (manovre che
tuttavia dovettero risultare inefficaci), dopo di che il personale si radunò ai
piedi della scaletta che portava in torretta, per uscire. Il mitragliamento era
cessato, ma non appena Di Serio – che era il primo – mise fuori la testa, venne
riaperto il fuoco; una raffica colpì il portello, ferendo leggermente Di Serio
con le sue schegge, e questi si fermò dov’era e bloccò tutti gli uomini che
erano dietro di lui, e che stavano insistendo perché uscisse. Le raffiche
cessarono un’altra volta, ma ripresero di nuovo quando Di Serio e compagni
uscirono: Di Serio vide i traccianti multicolori uscire dalle canne delle
mitragliere, per poi allargarsi. Cercò riparo dietro la torretta.
Il mitragliamento fu
tanto devastante quanto breve: dopo poco tempo gli spari cessarono, il fascio
di luce cambiò direzione, il ponte ricadde nella penombra. Quando il Petard urtò l’Uarsciek col suo lato di dritta, il sommergibile sbandò di ben 90
gradi a sinistra, e Michele Caggiano cadde verso il mare; per sua fortuna la ringhiera
verticale di protezione lo trattenne, e non appena l’Uarsciek tornò in assetto si ritrovò di nuovo in coperta. Il
sommergibile sembrava ancora in movimento; Caggiano sentì la voce del suo
comandante morente, sempre più flebile, come se in allontanamento; credette che
Arezzo fosse caduto in mare quando l’Uarsciek
era sbandato in seguito alla collisione.
In effetti era
accaduto proprio questo: Domenico Di Serio, rifugiatosi dietro alla torretta
per scampare al mitragliamento, aveva visto il comandante Arezzo disteso in
coperta verso poppavia; insieme ad un marinaio siciliano, lo aveva raggiunto e
lo aveva afferrato per le braccia, cercando di trascinarlo verso la torretta,
ma un colpo di mare aveva trascinato in acqua l’ufficiale. (Guido Morassutti, comandante
di sommergibile ed amico di Arezzo della Targia, racconta invece una versione
diversa: il comandante Arezzo sarebbe stato ucciso da un colpo che quasi lo
decapitò, subito dopo aver dato l’ordine di autoaffondamento. Ma Morassutti non
era fisicamente presente sull’Uarsciek).
Anche Di Serio finì in mare poco più tardi: dopo che i riflettori si furono
spenti ed il fuoco fu cessato, rendendosi conto che l’Uarsciek, nonostante le manovre messe in atto, non stava
affondando, cercò di raggiungere un boccaporto per tornare in camera di
manovra, ma inciampò in un cadavere e poi fu gettato in mare da un’onda.
Gaetano Arezzo della Targia (da La Voce del Marinaio) |
Ad un certo momento Michele
Caggiano sentì e poi vide il marinaio Francesco Paniscotti che si reggeva
tenendosi aggrappato alla parte posteriore del bottazzo di sinistra, verso
poppa; questi disse qualcosa, ma Caggiano non capì. La nave nemica sembrava
allontanarsi in direzione opposta a quella in cui si trovava l’Uarsciek; ripresosi dallo stordimento,
Caggiano strisciò lungo il ponte di coperta fino al portello, in modo da non
farsi vedere, scese all’interno con la testa in avanti e raggiunse la camera di
manovra, deciso ad eseguire l’ultimo ordine del suo comandante. Sottocoperta,
però, non c’era più nessuno; allora il sottocapo decise di fare da solo e si
diresse verso la camera di lancio poppiera. Lungo il tragitto, passando nel
locale motori, si rese conto che il motore elettrico di sinistra, il cui
telegrafo era rimasto in posizione di avanti adagio, era ancora in funzione:
non era una sua impressione che l’Uarsciek
fosse ancora in movimento. La barra del timone era bloccata su 15 gradi a
dritta. Per prima cosa, Caggiano pensò all’autoaffondamento: pur ferito alle
mani, stornò i cappelli dei tubi lanciasiluri ed aprì gli sfoghi d’aria. Dopo
aver visto l’acqua di mare entrare nella sentina, andò a staccare il coltello
dell’alimentazione elettrica al timone, fermò il motore elettrico ancora in
moto e bloccò le porte stagne inserendo delle viti tra gli ingranaggi. Tornando
poi verso prua, non riscontrò anomalie o segni di avarie; c’era soltanto acqua
che ricopriva il pagliolato del quadrato ufficiali. Trovato un decifrante sul
pagliolato, lo raccolse e raggiunse la cuccetta del comandante; qui trovò la
bandiera al suo posto, sopra la cuccetta, pertanto la prese, l’avvolse intorno
al decifrante e portò il fagotto così realizzato in coperta, dove poi lo spinse
in mare.
Risulterebbe altresì
che rimasero a bordo dell’Uarsciek,
per tentare di autoaffondare il sommergibile, il direttore di macchina
Coniglione, il guardiamarina Francesco Florio ed il marinaio Allocca.
Una volta che fu
chiaro che l’Uarsciek aveva cessato
ogni resistenza, dal Petard venne immediatamente
messa in mare una lancia con a bordo un drappello d’abbordaggio, guidato dal
tenente di vascello David Nasmith (comandante in seconda del Petard) e dal sergente (petty officer) Randell Chapman;
l’imbarcazione raggiunse il sommergibile ed imbarcò i superstiti italiani, che
furono condotti a bordo del Petard.
Parecchi dei marinai italiani si però erano gettati in mare prima ancora che il
Petard calasse la lancia, iniziando
subito a nuotare verso il cacciatorpediniere, ed alcuni, specialmente tra
quelli che erano feriti, annegarono o scomparvero nel buio sotto gli occhi dei
loro nemici-soccorritori. Altri sei uomini dell’Uarsciek morirono così. Ancora Reg Crang descrive quella scena: “Le prime luci dell’alba iniziavano a
sorgere, ed i marinai italiani iniziarono a tuffarsi in mare ed a nuotare verso
di noi. Molti stavano gridando qualcosa che per me suonava come “Aiota”
[evidentemente “aiuto”], presumibilmente
“aiuto”. Alcuni, forse feriti o forse inesperti nel nuoto, andarono alla deriva
[fino a trovarsi] fuori portata, troppo
lontani per essere soccorsi. Era una vista pietosa”.
Quando Michele
Caggiano salì in coperta, un ufficiale britannico salito a bordo dell’Uarsciek gli sparò al ginocchio destro
con un’arma da fuoco, e poi gli tirò un calcio contro la parte posteriore della
testa. Caggiano imprecò contro l’ufficiale e cercò di avvinghiarglisi per far cadere
entrambi in mare, ma si accorse che proprio sotto di loro c’era la motolancia
del Petard, senza contare che la
ringhiera avrebbe comunque impedito il suo tentativo. Venne così fatto
prigioniero; l’ufficiale britannico ordinò alla motolancia di spostarsi dal
punto in cui si trovava al timone orizzontale di sinistra, che era in posizione
abbattuta, e vi fece trasbordare Caggiano, il motorista Pio Mario Leonardelli
ed il sottocapo elettricista Sergio Tarraboiro, entrambi feriti mortalmente.
Prima che la motolancia scostasse dal sommergibile venne raggiunta anche da un
nocchiere, Gabrielli, sopraggiunto a nuoto, che fu preso a bordo.
Il marinaio silurista
Catello Iovino avrebbe raccontato, molti anni più tardi, che “il Petard non si fermò a raccogliere i naufraghi
temendo la presenza di un altro sommergibile italiano, e [Iovino] sentì chiaramente che i marinai inglesi
apostrofano con il termine “fascisti” i naufraghi. Alcuni di loro, feriti, si
lasciarono andar a fondo gridando “Viva l’Italia” e, qualcuno “Viva il duce””.
Iovino, dopo aver passato nell’acqua gelida quelle che a lui sembrarono sei
ore, venne recuperato da una lancia del Vasilissa
Olga e portato a bordo del cacciatorpediniere ellenico; qui ricevette da
mangiare da un marinaio greco che parlava italiano, il quale gli chiese:
“Perché dobbiamo combattere tra noi?”. Domenico Di Serio, dopo aver passato
nell’acqua quella che gli parve un’eternità, fu recuperato da una lancia del Petard.
Mentre i 32 superstiti
italiani venivano issati a bordo del Petard
e del Vasilissa Olga, i componenti
del drappello del tenente di vascello Nasmith penetrarono all’interno del
sommergibile per arrestarne l’autoaffondamento (alcune fonti italiane
attribuiscono invece il mancato autoaffondamento ad una sopravvenuta avaria: di
“imprevedibile avaria” che arrestò il processo di autoaffondamento parla "Navi militari perdute" dell’USMM,
così come Alberto Santoni che nel suo "Il vero traditore" afferma che
l’Uarsciek “non riuscì ad autoaffondarsi per avaria del relativo apparato”, e
Giorgio Giorgerini che in "Uomini sul fondo" scrive che “la manovra di autoaffondamento fallì per avaria del relativo apparato”;
un’altra fonte precisa che le valvole di allagamento non si sarebbero aperte
per via dei danni subiti), ispezionarlo in cerca di cifrari od altri documenti
segreti.
La loro ricerca ebbe
successo: al loro ritorno portarono sul cacciatorpediniere un gran numero di cifrari,
libri dei codici e segnali ed altri documenti segreti trovati sull’Uarsciek, tra cui delle mappe con la
posizione dei campi minati italiani e tedesch. (Queste ultime furono poi
sfruttate nell’aprile 1943, quando il Petard
ed un altro cacciatorpediniere, il Paladin,
bombardarono il porto tunisino di Susa – in mano alle forze dell’Asse –
evitando i campi minati ed i sommergibili in agguato grazie a quelle mappe;
secondo il libro "Fighting Destroyer – The story of H. M. S. Petard" di G. G. Connell, addirittura,
sarebbero state le mappe dei campi minati catturate sull’Uarsciek a consentire a incrociatori e cacciatorpediniere
britannici, nei mesi successivi, di condurre le loro puntate offensive nel
Canale di Sicilia senza subire perdite dovute alle mine). Un sacco contenente
vari documenti segreti, già zavorrato e pronto ad essere gettato in mare, fu
trovato accanto al corpo senza vita del comandante Arezzo della Targia: secondo
Reg Crang, questi “era stato ucciso
mentre tentava di uscire dalla torretta per gettare il sacco in mare” (il
che però risulta in contrasto con la versione di Domenico Di Serio, secondo cui
il corpo del comandante era finito in mare).
L’Uarsciek appoppato ed in procinto di
essere preso a rimorchio dal Petard,
nel primo mattino del 15 dicembre 1942 (da “STORIA militare”, Naval History and
Heritage Command e Giorgio Parodi/www.naviearmatori.net)
(È possibile che tra
i documenti catturati a bordo dell’Uarsciek
vi fosse anche una copia della circolare A/1-SRP del 25 agosto 1941,
"Norme per l’impiego dei sommergibili in guerra", diramata da
Maricosom con protocollo segreto n. 08400. La copia numero 85 di questa
circolare, provvista dell’appendice "Condotta della guerra al
traffico" datata 26 dicembre 1941, è infatti oggi conservata presso gli
archivi del Public Record Office di Londra; tuttavia, essendo sprovvista di
lettere di accompagnamento, non è chiaro su quale sommergibile sia stata
catturata, sebbene da una serie di note relative ad essa, risalenti
all’aprile-maggio 1943, sia possibile dedurre che la sua cattura risalga alla
fine del 1942 od agli inizi del 1943. In tale periodo furono solo due i
sommergibili italiani abbordati prima dell’autoaffondamento, con cattura di
documenti: l’Uarsciek e l’Avorio, quest’ultimo perduto il 9
febbraio 1943).
Crang descrive poi
con queste parole l’arrivo sul Petard
dei sopravvissuti dell’Uarsciek: “Il rimorchio ebbe inizio ed iniziammo ad
occuparci dei sopravvissuti. Erano molto amichevoli e contenti di essere in
salvo, alquanto diversi dai tedeschi che avevamo raccolto [in occasione
dell’affondamento dell’U 559, un mese
e mezzo prima]. Per dirla tutta erano
proprio come noi! Ne avevamo alcuni nella nostra mensa e presto iniziarono a
mostrarci fotografie dai loro portafogli, che erano riusciti a salvare. Uno era
molto orgoglioso della sua ragazza che aveva a casa, una ragazza tanto carina
che sembrava sorridere soltanto per lui”. I feriti vennero curati dal
medico di bordo del Petard, William Finbar
Prendergast; uno di essi aveva un braccio ferito così gravemente che si rese
necessario amputarlo. Eseguita l’operazione, Prendergast chiese ad un marinaio
britannico di gettare l’arto in mare.
Tra i pazienti di
Prendergast c’era anche il sottocapo silurista Michele Caggiano, che ricordò in
seguito di essere stato accolto sul Petard
“con inaspettato calore umano”.
Portato in infermeria, vi venne premurosamente curato; gli venne medicato il
ginocchio ferito, furono estratte le piccole schegge metalliche dagli arti
superiori ed inferiori, dal viso e dalla schiena (non fu invece estratto il
proiettile che lo aveva colpito alla gamba: sarebbe rimasto lì per il resto
della sua vita). Nel mentre, gli vennero chiesti i dati anagrafici.
Dall’infermeria, situata sul cassero di poppa del Petard, Caggiano poteva vedere l’Uarsciek ancora a galla.
La baleniera del Petard torna a bordo dopo aver abbordato l’Uarsciek (da “The Real Enigma Heroes”, di Phil Shanahan) |
Con l’aiuto – non è
chiaro se volontario od obbligato – di un ufficiale di macchina italiano, il
sergente Chapman, specialista segnalatore ed ex sommergibilista, riuscì
inizialmente a tenere a galla il malconcio Uarsciek,
che venne preso a rimorchio dal Petard.
In segno di vittoria, i marinai britannici issarono la White Ensign sul
tagliareti di prua; poi iniziò la navigazione: il Petard rimorchiava l’Uarsciek,
mentre il Vasilissa Olga girava loro
intorno a protezione contro eventuali attacchi da parte di altri sommergibili. Thornton
sperava di portarsi a Malta il sommergibile catturato come trofeo, ma tale
progetto non durò a lungo: il cavo di rimorchio, infatti, si spezzò, e quando
l’ufficiale di macchina italiano si recò a poppa per azionare manualmente il
timone, in modo da metterlo al centro, l’apertura delle porte stagne finì col
compromettere la galleggiabilità dell’Uarsciek,
che iniziò ad affondare. (C’è da chiedersi se la decisione dell’ufficiale
italiano di andare a poppa per azionare manualmente il timone non fosse
piuttosto un pretesto per autoaffondare il sommergibile). Secondo un’altra
versione, invece, il cavo di rimorchio venne deliberatamente tagliato dal Petard perché l’Uarsciek aveva iniziato ad affondare; un articolo di fonte greca,
infine (apparentemente basato sui racconti di reduci del Vasilissa Olga), attribuisce l’affondamento dell’Uarsciek alla decisione del comandante
Thornton di aumentare la velocità di rimorchio, che avrebbe causato il
cedimento della porta stagna del compartimento poppiero, provocando
l’allagamento del sommergibile ed il suo affondamento.
L’Uarsciek in procinto di affondare (da Naval
History and Heritage Command, Giorgio Parodi/www.naviearmatori.net e Imperial
War Museum via “War in the Mediterranean” di Bernard Ireland)
Alle 10.30 salparono
da Malta i cacciatorpediniere Kelvin
e Paladin, per assistere nel
rimorchio del sommergibile catturato, ma alle 11.33 l’Uarsciek, con entrambi i motori ancora in funzione, impennò la prua
verso il cielo ed affondò di poppa in posizione 35°40’ N e 14°32’ E.
L’equipaggio di preda e l’ufficiale di macchina italiano riuscirono a mettersi
in salvo prendendo posto in un piccolo barchino.
Michele Caggiano
assisté alla fine del suo sommergibile dall’infermeria del Petard: “…numerose volte vidi
il battello a rimorchio in normale assetto, ma che però, tentava di accostare
sulla destra, opponendo resistenza al traino. L’ultima volta che vidi l’Uarsciek
fu verso mezzogiorno. Aveva la prora verso il cielo con la bandiera inglese sul
tagliareti. Fu un momento di tristezza ma anche di mia gioia intima, perché non
avevo permesso che il battello fosse caduto nelle mani del nemico, come
ordinato dal Comandante. Poi poco dopo avvertii uno scossone, probabilmente
dovuto allo sgancio del cavo di rimorchio. Così andò perduto il valoroso
Sommergibile”.
L’Uarsciek fu l’ultimo dei venti
sommergibili italiani perduti nel corso del 1942. La sua perdita venne
annunciata in Italia solo il 12 marzo 1943, senza menzionarne il nome, con un
laconico annuncio nel bollettino di guerra n. 1021: «Un nostro sommergibile non è tornato alla base. Quasi tutto l'equipaggio
è salvo».
Gli
ultimi momenti dell’Uarsciek (da “Sommergibili
in guerra” di Achille Rastelli ed Erminio Bagnasco, e da www.navy.gov.uk)
Affondata la preda, a
Thornton ed agli uomini del Petard
rimase come trofeo la bandiera di combattimento dell’Uarsciek (evidentemente c’erano a bordo più bandiere, considerato
il racconto di Michele Caggiano). Quando il Petard
ed il Vasilissa Olga raggiunsero
Malta, alle 16.15 del 15 dicembre, trovarono ad attenderli una numerosa folla
di civili maltesi, apparentemente al corrente, chissà come, dell’azione che li aveva
avuti per protagonisti; scrive Reg Crang nel suo diario: “Quando il comandante ordinò di sventolare la bandiera italiana, [la
folla] eruppe in rumorose acclamazioni.
Ma molti di noi non se la sentivano di compiacersi per il nostro successo. Non
credo che dimenticherò mai le grida di ‘Aiota’ [aiuto] degli uomini che annegavano”. Nel diario di guerra della
Mediterranean Fleet venne annotato che “la
distruzione dell’U-Boat [sic] italiano
Uarsciek da parte del Petard e del Queen Olga il 15 dicembre a sudest di Malta
è particolarmente incoraggiante. Esso [l’Uarsciek] era stato il primo
[sommergibile dell’Asse] ad apparire nel
Mediterraneo orientale da qualche tempo a questa parte”. Il comandante
Thornton inviò poi la bandiera cerimoniale dell’Uarsciek al Walker’s Yard di Newcastle-upon-Tyne, il cantiere
costruttore del Petard, come omaggio
(una bandiera dell’Uarsciek, non è
chiaro se si tratti della stessa mandata al cantiere di Newcastle, è oggi
conservata presso l’Imperial War Museum).
Per questo successo
condiviso da Petard e Vasilissa Olga vi fu una sorta di
“scambio” di decorazioni tra Regno Unito e Grecia; oltre a decorare gli uomini
del Petard per la distruzione dell’Uarsciek, re Giorgio VI del Regno Unito
conferì infatti una medaglia anche al comandante Blessas del Vasilissa Olga, e re Giorgio II di
Grecia (in esilio a Londra) fece lo stesso con il comandante Thornton del Petard, che ricevette dalle autorità
greche la Croce di Guerra di III classe. All’equipaggio del Petard vennero in totale conferite dalle
autorità britanniche, per l’affondamento dell’Uarsciek, due Distinguished Service Orders (uno dei quali al
comandante Thornton), una Distinguished Service Cross (al tenente di vascello
David Arthur Dunbar-Nasmith), due Distinguished Service Medals (al sergente
segnalatore Randell Chapman ed al sottocapo Trevor Tipping, capopezzo di una
delle mitragliere quadrinate “pom-pom”), oltre a due “menzioni nei dispacci”
(Mention in Despatches) per l’aspirante guardiamarina Peter Thomas Alleyne
Goddard e per il segnalatore Kenneth Hannay. Per tutti la motivazione era “For skill and enterprise while serving in
H.M.S. Petard in a successful attack on an enemy Submarine” (per Thornton,
“For skill and enterprise while in
command of H.M.S. Petard in a successful attack on an enemy submarine”).
Concluse le
celebrazioni per la seconda vittoria del Petard
in meno di due mesi nella lotta antisommergibili – e per di più con la cattura,
per la seconda volta di fila, di importanti codici e cifrari, caso più unico
che raro –, venne a galla anche la questione del mitragliamento dei superstiti
italiani ordinato da Thornton. Il medico di bordo Prendergast, al rientro in
porto, fece immediatamente rapporto sull’accaduto ai suoi superiori, affermando
che il comandante del Petard avesse
esagerato, e di ritenere che Thornton necessitasse di una visita medica e di un
periodo di riposo. Apparentemente i suoi superiori concordarono con questo
giudizio, perché se da una parte, il 12 gennaio 1943, il capitano di corvetta
Thornton fu decorato con il Distinguished Service Order per l’affondamento
dell’Uarsciek, dall’altra parte già
il 9 gennaio venne “improvvisamente”
sostituito nel comando del Petard,
sbarcando “senza le usuali cerimonie d’addio”,
e non ottenne più il comando di un’unità navale per oltre un anno e mezzo. Solo
nel settembre 1944 gli fu affidato il comando di un altro cacciatorpediniere,
il Verulam, che lasciò dopo poco più di due mesi; non ebbe altri incarichi di
comando in mare per il resto della guerra. Alcune fonti britanniche affermano
che Thornton avrebbe lasciato il comando del Petard dietro sua personale richiesta, per le conseguenze del “logorio del comando”, ma il fatto che
ciò sia avvenuto poche settimane dopo l’affondamento dell’Uarsciek, insieme al rapporto del medico Prendergast ed al fatto
che un pluridecorato comandante come Thornton, con due notevoli successi al suo
attivo (compreso quello dell’U 559
con la cattura dei cifrari, contributo fondamentale per la guerra dei codici), sia
rimasto senza un comando per il resto della guerra, tranne che per un paio di
mesi, rimane alquanto sospetto.
Il libro "Codice Enigma" di Hugh
Sebag-Montefiore descrive in questi termini la vicenda: «William Prendergast, medico di bordo del Petard, era sempre più
preoccupato di come Thornton trattava i suoi uomini. Inoltre fu turbato dal
comportamento nel dicembre 1942, quando un altro sommergibile, l'italiano Uarscieck,
venne catturato dal Petard. Thornton si era impadronito di una mitragliatrice e
aveva falciato una fila di sommergibilisti italiani in piedi sul ponte del
sommergibile, sebbene il resto dell'equipaggio del Petard fosse convinto che
quegli uomini stessero arrendendosi. Bisognava tracciare una sottile linea di
demarcazione tra l'atto di aprire il fuoco, spietatamente ma appropriatamente,
contro dei sommergibilisti per impedir loro di gettare in mare inestimabili
cifrari segreti ed assassinare a sangue freddo degli uomini inermi che stanno
cercando di arrendersi. Anche se c'era sempre un rischio che quegli uomini si
precipitassero a impugnare il cannone del sommergibile, Prendergast pensò che
Thornton si fosse spinto troppo in là. Così comunicò alle autorità che Thornton
aveva bisogno di riposo. Questa è una possibile ragione per l’improvvisa
dipartita di Thornton dal Petard. Una voce che girò tra l’equipaggio era che
Thornton fosse collassato dopo aver creduto di vedere dei ratti che correvano
in giro sul pavimento della sua cabina. Quale che fosse la vera ragione,
Thornton stesso, quando ringraziò i suoi uomini per il loro aiuto, attribuì il
suo forzoso abbandono prematuro della nave ad un calo della vista».
Sopra, il
comandante Mark Thornton del Petard;
sotto, il medico di bordo William Prendergast (da “Codice Enigma”, di Hugh Sebang-Montefiore)
Lo stesso autore,
basandosi su interviste a reduci del Petard
(Reg Crang, Douglas Freer, Jeff Richards, Jack Hall, Eric Shove, Charlie
Sewell, Ken Lacroix) e sul libro "Fighting Destroyer HMS Petard" di G. G. Connell, traccia
questa descrizione della personalità di Thornton: “Come tutti i comandanti di cacciatorpediniere non vedeva l’ora di dare
addosso al nemico, ma sembrava avere un’ossessione in più. Voleva catturare un
U-Boot, ed i suoi codici. (…) credeva
che l’unico modo di sopravvivere alla guerra fosse di terrorizzare l’equipaggio
affinché diventasse super-efficiente. (…) Thornton era famoso tra il suo equipaggio perché insisteva che i suoi
uomini restassero semrpe all’erta contro eventuali sommergibili, che fossero di
guardia o no. Si arrampicava sulla coffa e si legava all’albero per dare
l’esempio. Che il cielo aiutasse chiunque non incontrasse i suoi esigenti standard;
sarebbe stato colpito con sassi, gessetti, e persino tazzine da tè se Thornton
riteneva, dal suo punto di vantaggio, che stesse perdendo tempo. In
un’occasione Thornton fece scoppiare un Petardo nel cuore della notte, e poi
aprì un idrante addosso ai suoi uomini mentre correvano ai posti di
combattimento. In un’altra occasione ordinò ai suoi ufficiali di tuffarsi in
mare e nuotare attorno alla nave, anche se stava infuriando una burrasca. I
suoi uomini furono risparmiati da questa prova soltanto quando un ufficiale
superiore persuase Thornton che sarebbero potuti morire tutti se non avesse
rinunciato a quest’esercitazione. Simili comportamenti facevano sospettare ad
alcuni uomini dell’equipaggio che Thornton stesse impazzendo. Era certamente
molto eccentrico. Quando fu visto sparare contro uno stormo di sule con una
mitragliatrice, gridò ai suoi uomini che non riusciva a sopportare la vista
degli uccelli assassini dato che stavano rapinando il mare del suo pesce. Che
Thornton fosse un po’ matto o meno, il suo regime certamente teneva i suoi
uomini all’erta”. Trevor Tipping afferma che lo sbarco del comandante
Thornton fu effettivamente dovuto all’azione del medico Prendergast,
preoccupato della sua stabilità mentale, ma non lo ricollega alla vicenda dell’Uarsciek; Tipping afferma semplicemente
che il peso del comando, la solitudine ed il lungo servizio di guerra avevano
inciso negativamente sui nervi di Thornton, che aveva iniziato a dare ordini
sbagliati ed a mostrars sempre più scontroso, fino a diventare “un uomo
pericoloso per l’equipaggio”.
Il Petard, con un altro comandante (il
capitano di corvetta Rupert Cyril Egan, che al comando del cacciatorpediniere
HMS Croome aveva già affondato un
sommergibile italiano in Atlantico – il Maggiore
Baracca – ed uno tedesco in Mediterraneo – l’U 372 –), ottenne un terzo ed ultimo successo contro i sommergibili
il 12 febbraio 1944, quando affondò il sommergibile giapponese I 27: ciò conferisce al Petard il primato di essere stato
l’unica nave da guerra ad aver affondato un sommergibile di ciascuna delle tre
Marine maggiori dell’Asse. Sopravvisse al conflitto e continuò il servizio per
la Royal Navy fino al 1967, anno della sua demolizione.
Il comandante
Georgios Blessas del Vasilissa Olga,
che condivideva con il Petard il
merito della distruzione dell’Uarsciek,
venne decorato sia da re Giorgio II di Grecia che da Giorgio VI del Regno
Unito: il primo gli conferì, il 12 marzo 1943, la Croce di Guerra di III
classe; il secondo lo insignì del Distinguished Service Order (Blessas fu il
primo ufficiale greco a ricevere tale decorazione). Oltre a Blessas, altri due
uomini del Vasilissa Olga furono
decorati per l’affondamento dell’Uarsciek:
il tenente di vascello E. Danil e l’operatore sonar E. Amourgi, che ricevettero
la “Medaglia per Atti Eccezionali”. (Il re di Grecia, in una sorta di “scambio”
di decorazioni per quest’azione congiunta tra le due Marine, conferì una
medaglia anche al comandante Thornton, come Giorgio VI aveva fatto con
Blessas). Il Vasilissa Olga sarebbe stato
affondato, con la morte del comandante Blessas e di gran parte dell’equipaggio,
meno di un anno più tardi, da aerei tedeschi durante la battaglia di Lero: combattendo
– non senza frizioni, per la verità – a fianco degli italiani, non più nemici
dopo l’armistizio.
Un
cronometro prelevato a bordo dell’Uarsciek
dal drappello di preda del Petard,
oggi esposto al museo di Bletchley Park (g.c. Anthony Robertson, via Flickr). Notare
la data errata riportata nella targhetta esplicativa (giugno 1943).
Dei 32 sopravvissuti dell’Uarsciek recuperati dai
cacciatorpediniere, due morirono a Malta per le ferite riportate: il marinaio
motorista Pio Mario Leonardelli, di 21 anni, spirò il 21 dicembre 1942. Oggi è
sepolto nella sua natia Torino. Il sottocapo elettricista Sergio Tarraboiro, di
venti anni, piemontese come Leonardelli, morì a Malta l’8 gennaio 1943.
Il bilancio finale
per l’equipaggio dell’Uarsciek fu
così di 17 morti e 30 sopravvissuti: avevano perso la vita due ufficiali, sei
sottufficiali e nove tra sottocapi e marinai, mentre erano sopravvissuti
quattro ufficiali (tra cui il direttore di macchina e l’ufficiale di rotta),
quattro sottufficiali e 22 tra sottocapi e marinai.
Le vittime:
Gaetano Arezzo della Targia, tenente di
vascello (comandante), da Siracusa (deceduto)
Pietro Battilana, secondo capo motorista, da
Riese Pio X (deceduto)
Bruno Bressan, secondo capo meccanico, da
Abano Terme (deceduto)
Pietro Brigantini, secondo capo silurista, da
Desenzano del Garda (deceduto)
Carlo Ceriani, marinaio fuochista, da Origgio
(disperso)
Remigio Dapiran, sottotenente di vascello, da
Rovigno d’Istria (disperso)
Corrado Di Lorenzo, marinaio, da Santa Croce
Camerina (deceduto)
Ugo Fotia, marinaio, da Lamezia Terme
(disperso)
Angelo Galeandro, sottocapo silurista, da
Laterza (disperso)
Antonio Garufi, sergente furiere, da Santa
Teresa di Riva (disperso)
Pio Mario Leonardelli, marinaio motorista, da
Torino (deceduto a Malta il 21/12/1942)
Alberto Leporini, sottocapo motorista, da
Spoltore (disperso)
Ilario Mazzotti, capo elettricista di terza
classe, da Ravenna (deceduto)
Giovanni Romano, marinaio cannoniere, da
Napoli (disperso)
Giovanni Rossi, sergente nocchiere, da
Iglesias (deceduto)
Sergio Tarraboiro, sottocapo elettricista, da
Carmagnola (deceduto a Malta l’8/1/1943)
Sebastiano Zelo, sottocapo motorista, da San
Nicola La Strada (deceduto)
I sopravvissuti, dopo
aver trascorso un breve periodo nel campo di prigionia di Malta (i feriti gravi
furono ricoverati nell’ospedale dell’isola), furono trasferiti in un campo di
prigionia in Palestina, dove rimasero per il resto della guerra. Il campo era
suddiviso in due zone, una per i prigionieri che accettavano la collaborazione
con i britannici, l’altra per gli “irriducibili”; i primi potevano scegliere di
lavorare per i britannici, come fece il marinaio silurista Catello Iovino, che
venne adibito a lavori agricoli nella zona circostante. Gli “irriducibili”
rifiutavano invece ogni forma di collaborazione; Iovino raccontò poi di aver
guardato con ammirazione i prigionieri dell’altra metà del campo che “pur tra mille difficoltà, continuavano a
mantenere un comportamento militare ed effettuavano ogni giorno l’alza e
l’ammaina bandiera”. Fu invece sorpreso quando un giorno, durante il lavoro
in una tenuta agricola fuori del campo, sentì una voce femminile cantare
“Funiculì funiculà”, canzone della sua terra; non seppe mai chi era la donna
che la cantava. Rientrato in Italia nel 1948 (il che appare invero un po’
strano, dal momento che la maggior parte dei prigionieri italiani, anche quelli
detenuti in territori lontani come l’India, furono rimpatriati entro il 1947),
Iovino tornò alla sua occupazione di operaio nel cantiere navale di
Castellammare. Passato poi alle poste di Napoli, sarebbe deceduto nel 2005 all’età
di 85 anni.
Finì prigioniero in
Palestina, dopo un breve ricovero al General Hospital della Valletta, anche il
guardiamarina venticinquenne Antonio Rizzo, da Taranto: alla sua famiglia, dopo
il mancato rientro dell’Uarsciek, il
Ministero della Marina aveva comunicato che egli doveva “considerarsi disperso nel corso di un’azione di guerra”. Poté
tornare a casa dopo due anni di prigionia in Palestina, sbarcando direttamente
nella sua Taranto.
Nel 1947, rientrati a
Taranto dalla prigionia i superstiti dell’Uarsciek,
la Marina italiana – ormai non più regia – diede il via all’inchiesta sulla
perdita dell’Uarsciek. Particolare
attenzione venne rivolta al mancato autoaffondamento del sommergibile, ed alla
cattura dei cifrari e dei documenti segreti presenti a bordo. Maggiore
responsabile della lentezza dell’autoaffondamento, che aveva permesso ai
britannici di salire a bordo e catturare l’Uarsciek,
venne ritenuto il direttore di macchina Coniglione, "per non aver messo in atto tutte le predisposizioni per un rapido
allagamento del battello"; venne altresì stabilito che deficienze
tecniche avevano anch’esse contribuito a questo esito. La distruzione dei
cifrari e dei documenti segreti era invece competenza dell’ufficiale di rotta,
che ne era il custode; quest’ultimo, “impossibilitato
nell'azione di contrasto all'abbordaggio”, aveva delegato il recupero di
quei documenti al direttore di macchina e ad un guardiamarina, che era stato
impossibilitato a recuperare il contenitore dei documenti, rimasto sulla tolda
dell’Uarsciek, perché sbalzato in
mare dalla collisione con il Petard.
Anche in questo caso maggiore responsabile fu ritenuto il tenente Coniglione,
"per non aver sollecitato
adeguatamente il guardiamarina a gettare in mare il contenitore".
Negli anni ’90
l’ammiraglio in congedo Vittorio Patrelli Campagnano, già sommergibilista
durante la seconda guerra mondiale (aveva comandato il sommergibile Platino) ed ora “decano” dei
sommergibilisti italiani, ebbe modo di leggere la dichiarazione dell’ex
sottocapo Michele Caggiano relativa al suo tentativo, all’epoca della perdita
dell’Uarsciek, di autoaffondare il
sommergibile. Interessato da questa inedita versione dei fatti, Patrelli
Campagnano tentò una ricostruzione dell’accaduto con l’aiuto, per l’aspetto
tecnico, del capitano di vascello Attilio Ranieri, direttore della Scuola
Sommergibili di Taranto; giunse a proporre al Ministero della Marina ed
all’Ufficio Storico una riapertura e revisione dell’inchiesta del 1947, ma non
se ne fece nulla perché era trascorso troppo tempo, e non era ormai possibile
trovare riscontri al racconto di Caggiano, che non era confermato dagli
interrogatori dei sopravvissuti, compreso lo stesso Caggiano (il quale affermò
di essere stato superficiale, nel rispondere all’interrogatorio del 1947,
perché “offeso per non essere stato interrogato dai titolari dell'inchiesta, ma
da un ufficiale inferiore”).
L’affondamento dell’Uarsciek nel racconto del superstite
Michele Caggiano (da www.anmi.taranto.it):
“Il battello da qualche giorno era in agguato a Sud di Malta. La sera
del 13 dicembre 1942, alle ore 22.00 fui chiamato in plancia, dove il
Comandante mi chiese se per la mezzanotte fosse stato possibile preparare una
pizza per tutto l’equipaggio (ero il consegnatario ai viveri) per festeggiare
Santa Lucia, patrona di Siracusa, sua città natale. La cosa fu fattibile.
All’alba del 14, mentre erano in corso i preparativi per il cambio della
guardia (Diana), la vedetta del settore poppiero avvistò, a poca distanza, una
nave che, mentre ci inseguiva, inviava tre segnali, luminosi verdi, per il
riconoscimento. Dato l’allarme, il Comandante ordinò il lancio dei siluri 5 e 6
dalla camera di lancio addietro e successivamente fischiò l’immersione rapida. Il
battello s’immerse e raggiunse velocemente la profondità di cento metri per poi
toccare i centosessanta metri con notevole appruamento. Da questa profondità
iniziò una risalita tanto veloce da giungere in breve tempo all’affioramento e,
poi, cominciò subito la ridiscesa. Durante l’alternanza delle suddette manovre
vi fu una prima esplosione. Stranamente non fu udito il solito ronzio delle
eliche sulla verticale come normalmente accadeva. Comunque, dopo un brevissimo
tempo, mentre il battello ridiscendeva, (questa volta pesante di poppa) vi fu
una seconda esplosione. Dall’interfonico furono chiari i momenti di confusione
in camera manovra. Ad un tratto il Comandante ordinò l emersione per attaccare
anche col pezzo “Li facciamo fuori così!” esclamava. Fu, perciò, chiamato
l’armamento al pezzo. Facevo parte dell’armamento e raggiunsi il portello della
garitta di prora alla cui apertura ero addetto. Stringendo tra le mani il
volantino del portello, fui sorpreso dal fatto che per svitarlo non occorreva
la solita forza, infatti, la sua apertura avvenne in modo violento ed
improvviso, ragion per cui venni espulso all’esterno, dalla pressione dell’aria
interna, ribaltandomi con i piedi verso l’alto. Mi ritrovai sul lato sinistro
della coperta fra il portello e la torretta. La coperta era immersa, quando mi
accorsi che stavo scadendo verso poppa. Istintivamente cercai appiglio sulla
coperta e con la mano sinistra mi aggrappai ad un galletto del coperchio della
riservetta sinistra, così evitai di essere trascinato, dall’acqua, in mare. La
coperta non era ancora emersa completamente quando, dalla direzione delle ore
quattro, la torretta fu investita da un fascio di luce seguito da un
nutritissimo fuoco di proiettili con traccianti verdi. Protetto dalla torretta,
attendevo smarrito e spaventato da quanto stava accadendo, quando udii la voce
del Comandante che ordinava l’affondamento del battello. “Non abbandonate il
battello – Affondate il battello” ripeteva il Comandante colpito. Il fuoco durò
pochissimo, anche il fascio di luce cambiò direzione. Si stabilì una penombra.
Udii anche le grida provenienti dalla zona poppiera della coperta. Distinsi
chiaramente la voce del Capo Battilana che esortava ad arrendersi: “Ci fanno
fuori tutti!”, urlava. In quel preciso istante il battello sbandò gradualmente
sulla sua sinistra di circa 90; in seguito ad una leggera collisione con la
fiancata dritta della Nave nemica. A causa di tale sbandamento ero scivolato in
mare, per caso fortuito fui trattenuto dalla ringhiera verticale di protezione
per cui, appena il battello riprese il suo normale assetto di galleggiamento mi
ritrovai di nuovo in coperta. Qui fui avvolto da una ondata di calore e
respirai aria di vapore. Seguì un breve periodo di quiete durante il quale, mi
accorsi che il battello continuava a navigare. Fu qui che risentii la voce del
Comandante sempre più flebile come se si stesse allontanando ed ebbi
l’impressione che Egli fosse caduto in mare durante lo sbandamento. Ero ancora
confuso (ero stato raggiunto da numerose piccole schegge metalliche) quando
udii ed intravidi il marò Paniscotti che si reggeva aggrappato alla parte
posteriore del bottazzo di sinistra, situato verso poppa. Disse qualcosa che io
non riuscii a capire. Poi approfittando del momento propizio (mi accorsi che la
nave nemica si allontanava in direzione opposta a quella del battello), non
esitai strisciandomi sulla coperta, evitando di essere scoperto, riuscivo a
raggiungere e ad introdurmi nel portello ancora con la testa in avanti,
scendere nel battello e unirmi al personale della camera di manovra per mettere
in atto la volontà del Comandante. Purtroppo nel battello non trovai nessuno,
non mi persi d’animo e soprattutto non persi tempo. Raggiunsi la camera di
lancio addietro ove mi accorsi subito che la macchina elettrica di sinistra, il
cui telegrafo era sull’avanti adagio, era in moto e la barra del timone era sui
15 gradi a dritta. Anche se ferito alle mani, riuscii a stornare i cappelli dei
lanciasiluri e ad aprire gli sfoghi d aria. Quando fui sicuro dell’entrata d
acqua di mare nella sentina, andai a staccare il coltello dell’alimentazione
elettrica al timone. Fermai la macchina elettrica, bloccai le porte stagne,
inserendo delle viti fra gli ingranaggi. Ritornando a prora non notavo anomalie
o segni di avarie. Solo il pagliolato del quadrato ufficiali era cosparso
d’acqua. Presi la bandiera dal suo posto, in testa alla cuccetta del Comandante
e fattone un involucro col decifrante, che avevo raccolto nell’acqua sul
pagliolato, raggiunsi la garitta e, prima di fuoriuscire, poggiai il tutto
sulla coperta. Successivamente spinsi l’involucro verso l esterno facendolo
cadere in mare per l’affondamento. Ero appena in ginocchio in coperta quando
fui catturato da un Ufficiale che mi aveva colpito, qualche attimo prima, con
un arma da fuoco, al ginocchio destro e con un calcio alla parte posteriore del
capo. Imprecai contro quell’uomo e contemporaneamente mi avvinghiai a lui nella
speranza di cadere in mare insieme a lui. Mi resi conto però dall’impedimento
costituito dalla ringhiera e dal fatto che proprio li sotto era ormeggiata la
motolancia inglese. L’Ufficiale stesso fece spostare l’ormeggio del mezzo da
quel punto al timone orizzontale di sinistra che era abbattuto (forse per
agevolare il mio trasbordo, giacché aveva visto la ferita al mio ginocchio).
Qui giunsero anche l’elettricista Taroboiro ed il motorista Leonardelli,
gravemente feriti e prima che il mezzo scostasse si aggiunse anche il nocchiere
Gabrielli che aveva raggiunto, nel frattempo, il battello a nuoto. Fui l’unico
dei quattro ad essere stato imbarcato sulla nave inglese e fui accolto con
inaspettato calore umano. Nell’infermeria fui soccorso con molta cura e in
particolare al mio ginocchio, mi furono estratte piccole schegge metalliche
dagli arti inferiori e superiori, dal viso e dalla schiena e, mentre mi
curavano. Mi chiesero dati anagrafici. L’infermeria era sul cassero poppiero e
da qui numerose volte vidi il battello a rimorchio in normale assetto, ma che
però, tentava di accostare sulla destra, opponendo resistenza al traino.
L’ultima volta che vidi l UARSCIEK fu verso mezzogiorno. Aveva la prora verso
il cielo con la bandiera inglese sul tagliareti. Fu un momento di tristezza ma
anche di mia gioia intima, perché non avevo permesso che il battello fosse
caduto nelle mani del nemico, come ordinato dal Comandante. Poi poco dopo
avvertii uno scossone, probabilmente dovuto allo sgancio del cavo di rimorchio.
Così andò perduto il valoroso Sommergibile”.
L’affondamento dell’Uarsciek nel racconto del superstite
Domenico Di Serio (da un articolo pubblicato sulla rivista “Aria alla rapida”
del settembre 2002, via www.betasom.it):
“Durante il mio servizio in Marina, sono sempre stato imbarcato sui
sommergibili. Dapprima prestai servizio sull'H2, poi sull'Ambra e sul Malachite
e infine sullo Uarsciek, del quale sono uno dei superstiti.
Quando dopo l'affondamento del mio battello e
la mia cattura, tornai dalla prigionia e subii la discriminazione, raccontai
tutto cio' che mi capito' durante l'ultimo combattimento dell'Uarsciek.
Sbarcai dal Malachite a Napoli, per normale
avvicendamento. Il 5 dicembre 1942 mi stavo preparando a uscire in franchigia
quando mi senti chiamare: " Vai subito con i documenti alla segreteria dell'Uarsciek."
Mi presentai, consegnai i documenti richiesti e mi dissero: "Prendi le tue
cose e portale a bordo, che si parte immediatamente."
Non conoscevo nessuno, ma con grande mia
sorpresa incontrai il capo elettricista Ilario Mazzotti, che anni prima era
stato imbarcato con me sul Malachite. Dopo aver parlato del piu' e del meno, mi
disse: "Farai il tuo servizio in camera di manovra. Sei fortunato, andiamo
ai grandi lavori di Pola!". Poiche' sono istriano, questa notizia,
ovviamente mi rallegro' moltissimo.
Dopo qualche ora eravamo gia' in alto mare.
Sempre le solite ore di servizio, con guardia 4-4. In camera di manovra faceva
freddo a causa delle correnti d'aria succhiata dai motori termici. Il giorno 6
arrivammo a Messina senza inconvenienti e aspettammo l’ordine di salpare per
Pola. Giunse invece quello di recarci ad Augusta e così, l'8 dicembre, eravamo
in missione al largo di Malta.
Durante il pendolamento nella zona
assegnataci, le solite cose: scoppi di bombe di profondita', immersioni,
emersioni a quota periscopica, ascolto idrofonico senza rilevare alcun
contatto. In camera di manovra sentii il Comandante dire al Secondo che stavamo
in quell'area per proteggere un nostro convoglio. Il tempo passava e arrivammo
al giorno 13, s. Lucia. Il Comandante, che era devoto a quella santa, ordino'
un pranzo speciale per tutto l'equipaggio. Trascorremmo due ore bellissime. Poi
l'ordine: la festa e' finita, tutti ai propri posti. Alle 19.35 emersione.
Nessun allarme. Alle 23.55, cambio della guardia. Ero in camera di manovra. Le
vedette scesero dalla plancia e chiesi ad una di loro che tempo faceva sopra:
"Fa freddo, c'e' nebbia e non si vede ad un palmo dal naso".
Non aveva ancora finito di pronunciare queste
parole che suono' l' allarme. Dalla torretta chiesero i segnali di
riconoscimento che io preparavo tutti i giorni con lampade di diversi colori.
Da bordo inviammo i segnali prescritti senza ottenere risposta.
Il Comandante si accorse che erano inglesi
che, con il loro radar, ci avevano intrappolato. Fece in tempo a dare l'ordine
di lanciare il siluro dal tubo n. 1 . Il siluro parti' e suono' la sirena della
rapida immersione. Eravamo a pochi metri di profondita' e si senti una
deflagrazione del siluro che aveva colpito. Scendemmo senza avvertire scoppi di
bombe. Scendemmo ancora, fino ad 80 metri. Sul nostro scafo si sentiva si
sentiva di continuo il rumore del peritero nemico che ci stava cercando.
Eravamo immobili per non fare rumore. Ormai, pero', gli inglesi conoscevano la
nostra posizione e lanciarono un grappolo di otto cariche che scoppiarono una
dietro all'altra. Le luci si spensero e dalle pareti del battello si stacco' la
pittura, che si poso' sul pavimento come una nevicata. Sul brogliaccio di bordo
scrissi questa frase "ore 01.00. Otto bombe di profondita' scoppiano
vicino allo scafo". Scendemmo fino a 100 metri con un solo motore, per non
fare rumore, controllando che tutto funzionasse a dovere.
Il Comandante e il direttore di macchina
avevano la responsabilita' di tutto cio' che sarebbe potuto accadere d'ora in
poi. Una grande responsabilita'.
Alle 01.15 udimmo gli scoppi di 4 spolette,
vicinissime, e subito dopo le 4 bombe. Il sommergibile sbando': questa volta i
danni erano ingenti. Torno' il buio, dagli astucci degli assi portaeliche
l’acqua comincio' a filtrare nelle sentine. Dopo aver ricaricato gli
interruttori, l'illuminazione torno', anche se molte lampade erano rotte.
Dovevamo salire a quota meno profonda. Il nemico ci segiuva con il suo peritero
e se ci avesse sganciato ancora qualche bomba, avrebbe potuto essere la fine.
I destini nostro e del battello erano nelle
mani del Comandante. Gli inglesi pensavano che per noi fosse finita, ma lui non
era di questo parere. Riuni' in camera di manovra tutti i graduati per dar loro
ordini e consigli. Il direttore di macchina disse "Comandante possiamo
rimanere in queste condizioni per poco tempo. O emergiamo, oppure e' la fine
per tutti, perche' l'acqua continua a entrare e appesantisce ulteriormente il
battello."
Il Comandante aveva poco tempo per decidere il
da farsi e appariva pensieroso: morire tutti o affrontare il combattimento?
Infine, chiamo' tutto il personale in camera di manovra e disse :
"Affrontiamo il nemico".
Io ero presente e assistetti a questi eventi
con un'ansia terribile. Quando gli addetti alle armi si furono sistemati in
torretta, venne l'ordine secco di emergere. In superficie ci trovammo in mezzo
a quattro unita' nemiche che cominciarono subito a mitragliarci. Sentivo le
raffiche che battevano tutto lo scafo del battello. Le nostre mitragliere erano
fuori dalle loro custodie, una puntata verso l'alto e l'altra verso il nemico
ma, come del resto il cannone, non potevano essere utilizzate perche' gli
inglesi non davano tregua e ci mitragliavano a tutto spiano.
Io ero al mio posto e non sapevo cosa accadeva
fuori, ma le schegge cadevano anche in camera di manovra. Fino a quel momento
il Comandante era vivo e , dalla plancia, aveva dato ordine di andare tutti in
coperta. Io ero agli ordini del direttore di macchina con altri due marinai.
Effettuammo tutte le manovre per autoaffondare il sommergibile, poi ci riunimmo
ai piedi della scaletta della torretta per uscire. Il nemico non sparava piu',
ma non appena provammo ad uscire (io fui il primo), ricominciarono le raffiche.
Una si abbatte' sul portello e le schegge mi ferirono leggermente, obbligandomi
a bloccare tutti quelli che si trovavano dietro di me e insistevano perche' io
uscissi.
Quando gli inglesi pensarono di averci uccisi
tutti, le raffiche cessarono. In quel momento uscimmo e le raffiche ripresero.
Vedevo i proiettili traccianti multicolori uscire dalle canne dei cannoni
nemici e poi allargarsi. Cercai di ripararmi a ridosso della torretta e, con un
altro marinaio, siciliano, vidi il Comandante disteso in coperta, a poppavia.
Nonostante il pericolo, andammo a soccorrerlo e lo prendemmo per le braccia,
trascinandolo verso la torretta, ma un colpo di mare ce lo strappo'.
Cosi' mori' il valoroso T.V. Gaetano Arezzo
della Targia, che aveva compiuto il suo dovere fino all'ultimo.
Come testimoniai al momento della
discriminazione, vidi con i miei occhi un caccia che, illuminato dia
riflettori, appariva appruato e che successivamente affondo'. Non fu' un
allucinazione perche' ero in possesso delle mie facolta'.
Nel campo di prigionia parlai di questo
episodio con altri superstiti, ma tutti mi dissero di non aver visto nulla.
Forse chi aveva visto mori' in combattimento.
Quando gli inglesi finirono di sparare,
spensero i riflettori e se ne andarono lasciandoci in mare, nell'oscurita'. L'Uarsciek
non affondava, forse per qualche avaria ai comandi d'immersione. Decisi di
andare in camera di manovra, ma nel buoi inciampai nel cadavere di un compagno
caduto e un onda mi butto' in mare. Faceva freddo. Non ricordo per quanto tempo
rimasi in acqua. Forse due ore, forse quattro, non so, ma comunque, un tempo
che mi parve interminabile.
Gli inglesi ritornarono sul posto, accesero i
riflettori, recuperarono noi naufraghi e presero a rimorchio l'Uarsciek che
pero', assai prima di arrivare a Malta, si inabbisso'. Cio' dimostra che le
manovre di autoaffondamento del battello furono eseguite senza errori.
Al campo di concentramento di Malta ci
ritrovammo in 13, compreso il direttore di macchina, mentre altri 4 di noi,
gravemente feriti, furono ricoverati all'ospedale”.
La motivazione della
Medaglia d’Argento al Valor Militare conferita alla memoria del tenente di
vascello Gaetano Arezzo della Targia, nato a Siracusa il 31 luglio 1911:
"Valente comandante di sommergibile nel corso
di ardua missione di guerra, avvistata nottetempo una formazione navale
avversaria, muoveva in superficie arditamente all’attacco. Nonostante il
sommergibile fosse stato scoperto, riusciva con abile manovra a silurare un
incrociatore avversario. Sottoposto a violenta caccia da parte di tre siluranti
nemiche, nella impossibilità di resistere più a lungo in immersione per i
notevoli danni riportati, emergeva nell’intento di affrontare in superficie le
preponderanti forze avversarie.
Nell’ardito tentativo, mentre raggiungeva il proprio posto di combattimento in torretta, cadeva colpito a morte da raffica nemica.
(Mar Mediterraneo, 15 dicembre 1942)."
Nell’ardito tentativo, mentre raggiungeva il proprio posto di combattimento in torretta, cadeva colpito a morte da raffica nemica.
(Mar Mediterraneo, 15 dicembre 1942)."
La motivazione della
Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita alla memoria del tenente di
vascello Gaetano Arezzo della Targia:
"Ufficiale
Comandante che in menomate condizioni di salute e febbricitante, ha dimostrato
alto senso del dovere e spirito aggressivo, attaccando una forza navale nemica
e lanciando due siluri contro unità nemica con probabile risultato positivo e
cadendo al suo posto di dovere, ha confermato le doti di slancio e dedizione
dimostrate in precedente circostanza dalla perdita del sommergibile Medusa."
E' possibile avere l'elenco dei superstiti ?
RispondiEliminaBuongiorno, purtroppo non è in mio possesso, mi spiace. E' probabile che lo abbia l'Ufficio Storico della Marina Militare (ufficiostorico@marina.difesa.it).
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