Il Pier Capponi in uscita dal Mar Piccolo a Taranto (g.c. Marcello Risolo via www.naviearmatori.net) |
Sommergibile di media
crociera, seconda unità della classe Mameli (dislocamento di 830 tonnellate in
superficie e 1010 in immersione).
Battello non più
giovane (era soprannominato dall’equipaggio "vecchio chiodo"), ebbe
nondimeno un’attività bellica non poco movimentata, principalmente nelle acque
attorno a Malta, prima di incontrare la sua tragica fine. Effettuò 9 missioni
di guerra (6 offensive/esplorative e tre di trasferimento), percorrendo 3655
miglia in superficie e 812 in immersione e trascorrendo 30 giorni in mare. Affondò
una nave mercantile di 1888 tsl.
Breve e parziale cronologia.
27 agosto 1925
Impostazione presso i
cantieri Franco Tosi di Taranto.
19 giugno 1927
Varo presso i
cantieri Franco Tosi di Taranto. (Altra fonte indica la data del varo nel 1°
aprile 1928).
20 gennaio 1929
Entrata in servizio.
Forma, insieme ai gemelli Goffredo Mameli,
Tito Speri e Giovanni Da Procida, la Squadriglia Sommergibili di Media Crociera,
facente parte della Flottiglia di Taranto.
Poco tempo dopo la
sua entrata in servizio, il Pier Capponi
s’immerge fino a 54 metri di profondità.
Il Pier Capponi nella sua configurazione
originale, prima della modifica della falsatorre (Archivio Centrale dello Stato
ed Istituto Luce)
1° febbraio 1929
Il Capponi diviene unità caposquadriglia
della Squadriglia Sommergibili di Media Crociera.
26 (?) giugno 1929
Durante delle prove
d’immersione effettuate cinque miglia al largo di La Spezia, il Capponi scende fino a 110 metri di
profondità.
1929
Capponi, Mameli e Da Procida compiono una lunga
crociera con scalo nei porti della Spagna mediterranea e poi anche in
Atlantico, fino a Cadice e Lisbona. Si tratta della prima crociera atlantica compiuta
da sommergibili italiani; da essa emergono le buone qualità dei battelli della
classe Mameli, adatti alla navigazione oceanica ed a lunghe permanenze lontano
dalle basi.
1930
La Squadriglia di
Media Crociera diviene IV Squadriglia Sommergibili. Capponi, Mameli e Speri effettuano una crociera nel
Mediterraneo orientale, in Grecia e Dodecaneso. Nello stesso anno il Capponi partecipa anche a manovre
addestrative nel Tirreno.
Il Pier Capponi in fase d’immersione in tempo di pace (g.c. STORIA militare) |
1931
Il Capponi ed il resto della
squadriglia vengono trasferiti a Napoli.
1932-1933
È comandante del Pier Capponi il capitano di corvetta
Giuseppe Carlo Speziale.
Maggio 1933
Il Capponi ed il resto della
squadriglia compiono una crociera addestrativa di una ventina di giorni, facendo
scalo a Salonicco, Lero e Rodi e partecipando, durante la permanenza in queste
ultime isole, ad esercitazioni con navi ed aerei. I risultati sono giudicati
come molto positivi.
1934
Il Capponi ed il resto della
squadriglia vengono nuovamente trasferiti a Taranto, dove la Squadriglia
diviene IX Squadriglia della 3a Flottiglia Sommergibili. Le sue
unità proseguono nel normale addestramento e svolgono brevi crociere in Italia
e Dodecaneso.
1935
La IX Squadriglia
cambia nome in XII Squadriglia Sommergibili.
Il Pier Capponi in fase di emersione, metà anni Trenta (g.c. STORIA militare) |
22 dicembre 1936
Assume il comando del Pier Capponi il capitano di corvetta Domenico Emiliani.
3 settembre 1937
Assume il comando del Pier Capponi il capitano di corvetta Domenico Emiliani.
3 settembre 1937
Inquadrato nel IV
Gruppo Sommergibili di Taranto, il Capponi
(capitano di corvetta Domenico Emiliani) salpa da Lero per una missione
clandestina nell’ambito della guerra civile spagnola, con l’ordine di
pattugliare un settore nel Mar Egeo a contrasto del contrabbando di
rifornimenti per le forze spagnole repubblicane. Il Capponi partecipa così indirettamente al “blocco” del traffico
diretto dall’Unione Sovietica alla Spagna repubblicana, pattugliando le acque
dell’Egeo vicino all’uscita dello stretto dei Dardanelli, dove passano i
piroscafi sovietici e di altre nazionalità, impiegati nel trasporto di
rifornimenti per i repubblicani, il cui passaggio per il Bosforo è segnalato
dal Servizio Informazioni italiano di Istanbul. Compito dei sommergibili è
cercare di localizzare ed affondare le navi segnalate; questa missione rientra
nella seconda campagna subacquea italiana nella guerra civile spagnola,
lanciata a partire dall’agosto 1937 (con l’impiego di ben 10 sommergibili in
Egeo, 17 nl Canale di Sicilia e 24 nel Mediterraneo occidentale) dietro
richiesta di Francisco Franco, preoccupato per l’incremento nell’afflusso di
rifornimenti per le forze spagnole repubblicane dopo l’interruzione della prima
campagna subacquea italiana, avvenuta nel febbraio 1937, al fine di evitare
incidenti con Regno Unito e Francia (la campagna intrapresa dai sommergibili
italiani, in mancanza di un formale stato di guerra tra Italia e repubblica
spagnola, è clandestina e di fatto illegale).
4 settembre 1937
Dopo un giorno di
navigazione, il Capponi deve
rientrare in porto per avaria. Compie comunque una singola manovra d’attacco
contro una nave sospetta, ma la interrompe prima di lanciare i siluri.
5 settembre 1937
Riparata rapidamente
l’avaria, dopo poche ore di sosta in porto il Capponi riparte per riprendere la missione, dirigendosi verso la zona
assegnata per la missione.
12 settembre 1937
Rientra a Lero
concludendo la missione, durante la quale ha iniziato 11 manovre d’attacco,
senza tuttavia portarne nessuna a termine.
1938
La Squadriglia
diviene XLI Squadriglia Sommergibili, poi viene trasferita a Messina e
denominata XXXI Squadriglia Sommergibili (inquadrata nel III Grupsom).
10 giugno 1940
All’entrata
dell’Italia nella seconda guerra mondiale, il Pier Capponi (tenente di vascello Romeo Romei) fa parte della XXXIV
Squadriglia Sommergibili (III Grupsom), con base a Messina, insieme ai gemelli Goffredo Mameli, Giovanni Da Procida e Tito
Speri.
Il capitano di corvetta Romeo Romei (1906-1941), comandante
del Pier Capponi durante la seconda
guerra mondiale. Di origini dalmate (era nato a Castelnuovo di Cattaro, in
Montenegro, il 14 agosto 1906), si diplomò all’Accademia Navale di Livorno nel
1928 e passò volontario sui sommergibili nel 1933. Per le sue rocambolesche
avventure nelle acque attorno a Malta, narrate dalla penna di Pietro Caporilli,
la stampa italiana dell’epoca lo soprannominò “corsaro degli abissi” (Caporilli
dà di lui questa descrizione: «Italiano
di Dalmazia, alto, robusto, espressione decisa (…) aveva già al suo attivo l’affondamento a colpi di cannone di un
piroscafo armato, (…) l’attacco a una
intera formazione navale inglese e una rocambolesca incursione sotto Malta,
dinanzi al Porto di La Valletta. Un vero corsaro degli abissi che scriverà (…) come vedremo, pagine superbe di ardimento»).
Alla sua memoria la Marina italiana ha intitolato due sommergibili, uno (S 516, ex statunitense Harder della classe Tang) in servizio
dal 1974 al 1988 ed un altro (S 529,
della classe U212/Todaro) entrato in servizio nel 2017 (sotto: foto USMM;
sopra: da “L’affondamento del sommergibile Pier
Capponi” di Enzo Poci, a cura della Società di Storia Patria per la Puglia)
21 giugno 1940
Inizia la sua prima
missione di guerra, venendo inviato in pattugliamento nel Canale di Sicilia,
tra Pantelleria e la Tunisia (all’interno della zona operativa "B",
che abbraccia tutto il Mediterraneo centrale ed anche buona parte di quello
occidentale). Il Capponi fa parte
della terza “ondata” di sommergibili italiani inviati in missione dopo la
dichiarazione di guerra: a partire dal 19 giugno un totale di 21 sommergibili
vengono inviati nel Mediterraneo centrale e occidentale per contrastare in
primo luogo il traffico navale francese.
22 giugno 1940
Alle 00.35 il Pier Capponi (tenente di vascello Romeo
Romei), in agguato tra Pantelleria e la Tunisia, avvista il piroscafo svedese Elgö (1888 tsl, spesso erroneamente
menzionato dalle fonti italiane come Helge)
nel punto 36°59’ N e 11°12’ E, a sud della Sicilia e ad est di Ras Mihr. Dopo
aver aperto il fuoco con il cannone – sparerà in tutto 23 colpi di cannone da
102 mm –, mettendo alcuni colpi a segno prima di dover interrompere il tiro a
causa di un’avaria del pezzo, all’1.32 ed all’1.35 il Capponi lancia due siluri contro il piroscafo, che però li evita
con la manovra. All’1.45 viene lanciato un terzo siluro, da 533 mm, che
stavolta sembra andare a segno, producendo quella che sembra un’esplosione
smorzata, dopo la quale l’Elgö si
ferma; alle 2.01, infine (altra fonte parla erroneamente dell’1.50), il Capponi lancia un quarto ed ultimo
siluro, stavolta da 450 mm, che colpisce il bersaglio a centro nave e provoca
l’affondamento del piroscafo in soli cinque minuti, a sud di Capo Bon ed a nord
di Sfax. (Per altra fonte, dopo l’avvistamento il Capponi avrebbe lanciato un primo siluro, evitato dal piroscafo con
la manovra, poi avrebbe aperto il fuoco continuando il tiro fino all’avaria del
cannone, indi avrebbe lanciato altri due siluri immobilizzando la nave, per poi
accelerarne l’affondamento con un ultimo siluro).
A bordo dell’Elgö, il comandante viene svegliato alle
00.20 del 22 giugno, circa tre miglia ad est di Ras Mhir, dal terzo ufficiale,
che gli annuncia che la nave si trova sotto il fuoco di un sommergibile di nazionalità
sconosciuta (in tutto, l’equipaggio dell’Elgö
conta una quindicina di cannonate). Il comandante svedese ordina all’equipaggio
di abbandonare la nave sulle lance, rimanendo a bordo insieme al primo
ufficiale fino al momento in cui le scialuppe sono state calate; poi, quando il
primo ufficiale sta per abbandonare a sua volta la nave – circa mezz’ora dopo
l’apertura del fuoco da parte del sommergibile –, vede la scia di un siluro che
corre incontro all’Elgö e passa sotto
lo scafo del piroscafo seza esplodere. (È probabilmente questo il terzo siluro
lanciato dal Capponi, che secondo la
stima del comandante Romei avrebbe colpito il bersaglio producendo
un’esplosione smorzata ed immobilizzandolo; nel qual caso il siluro non sarebbe
esploso, passando invece sotto lo scafo della nave, mentre l’impressione di
aver colpito ed immobilizzato l’Elgö
deriva verosimilmente dal fatto che più o meno a quest’ora l’equipaggio aveva
fermato le macchine per abbandonare la nave). Circa dieci minuti più tardi,
quando ormai non c’è più nessuno a bordo del piroscafo, questo viene colpito da
un secondo siluro, si spezza subito in due ed affonda in soli cinque minuti. Si
deve lamentare una vittima tra l’equipaggio, un marittimo scomparso durante il
cannoneggiamento, probabilmente colpito da scheggie. Diversi naufraghi, a bordo
della scialuppa di sinistra che viene investita e seriamente danneggiata
dall’esplosione del siluro, rimangono feriti.
Secondo alcune fonti
italiane l’Elgö sarebbe stato in
navigazione su una rotta dalla Tunisia verso Malta, ma in realtà la nave,
partita da Tunisi il 21 giugno, era diretta a Sfax con 500 tonnellate di merci
varie, tra cui dell’asfalto. La Svezia è una nazione neutrale, ma secondo fonti
italiane l’Elgö viaggiava a noleggio
dei britannici; secondo il ricercatore Platon Alexiades il piroscafo era stato
probabilmente noleggiato, forse dalla Francia (il che appare più logico,
considerati i suoi porti di provenienza e di arrivo, ambedue nella Tunisia
francese), e dunque ugualmente al servizio di un Paese belligerante (il che lo avrebbe reso un
bersaglio legittimo), ma finora questi non ha trovato prove effettive in questo
senso. Sempre fonti italiane parlano dell’Elgö
come di un piroscafo armato; il rapporto di Romei afferma che dopo aver intimato
il fermo al piroscafo, questi avrebbe brevemente aperto il fuoco sul Capponi prima di essere ridotto al
silenzio da quest’ultimo, ma ciò sembra poco probabile, dal momento che in
questa fase della guerra i mercantili svedesi erano di solito sprovvisti di
armamento.
L’Elgö è la seconda nave mercantile ad
essere affondata il Mediterraneo da un sommergibile italiano nella seconda
guerra mondiale, preceduta solo dalla nave cisterna norvegese Orkanger, affondata dal Naiade il 12 giugno 1940.
Il corrispondente di
guerra Pietro Caporilli rievoca così l’episodio dell’affondamento dell’Elgö, come gli venne narrato da Romei,
nel libro "Noi della ciurma", pubblicato a guerra ancora in corso,
nel 1942: «Fu la notte del 22 giugno
(…) Dopo sedici ore d’immersione, su e
giù per gli abissi ordino: a quota periscopica. Quanto manca al tramonto? (...)
Il disco rosso del sole s’era appena
calato (…) quando finalmente annotta
ordino l’emersione. Appena fuori balzo in torretta insieme al secondo e alla
vedetta e scrutiamo attentamente all’ingiro con i binocoli. Niente! Passa
un’ora. (…) d’improvviso la mano
della vedetta mi tocca il braccio e indica sulla destra. (…) ordino a Mariani di sparare un colpo di
avvertimento alla nave nemica». Il piroscafo aumenta la velocità senza arrestarsi.
Viene raggiunto e colpito da un siluro del Capponi. Il comandante continua: «…
un’esplosione paurosa rintrona nel silenzio notturno, uno schianto terribile e
un’alta colonna d’acqua si alza contro i fianchi del piroscafo colpito a morte.
Assistei allora ad un terrificante spettacolo. La nave nemica – certo carica di
esplosivi – si spezza letteralmente in due, sollevandosi fuor d’acqua con buona
parte della chiglia; poi i due tronconi, ripiegandosi a V sprofondano
simultaneamente!».
25 giugno 1940
Durante la
navigazione di ritorno alla base, il Capponi
lancia infruttuosamente un siluro contro un sommergibile nemico avvistato al
largo della costa settentrionale della Sicilia.
Il Pier Capponi rientra a Messina dalla sua prima missione di guerra, nel giugno 1940 (da www.italie1935-45.com) |
6 luglio 1940
Inviato in
pattugliamento al largo di Malta, al comando del tenente di vascello Romeo
Romei.
Nei giorni
successivi, in seguito all’avvistamento in mare della Mediterranean Fleet,
salpata da Alessandria d’Egitto per fornire protezione a due convogli diretti a
Malta, Supermarina allerta tutti i sommergibili dislocati nella zona d’agguato
"C" e nella parte orientale della zona "B" (cioè nel
Mediterraneo centro-orientale).
11 luglio 1940
Alle 23.20 (o 22.30),
mentre il Capponi si trova in agguato
a sudest di Malta in condizioni meteorologiche avverse, il marinaio Luigi De
Donno, di vedetta in torretta, avvista tre corazzate britanniche (per altra
fonte, incrociatori) scortate da diversi cacciatorpediniere, con rotta
apparente da Malta verso Alessandria. Favorito dal buio, il Pier Capponi si avvicina in superficie
fino a ridotta distanza dalle navi da battaglia avversarie, ed alle 23.40 (o
22.40), sempre stando in superficie, lancia due siluri contro la nave capofila.
I siluri non vanno a segno, ed il Capponi
deve disimpegnarsi con l’immersione rapida, venendo sottoposto a pesante caccia
con bombe di profondità, che gli arreca diversi danni allo scafo esterno ed
alle eliche, mandando in avaria anche la bussola giroscopica, il che rende
difficile l’orientamento in immersione.
12 luglio 1940
Cercando di sfuggire
alla caccia da parte delle unità britanniche, il Pier Capponi finisce con lo spingersi fin sotto la costa di Malta. Riemerso
vicino all’isolotto di Fifola per ricaricare le batterie e cambiare l’aria, il
sommergibile s’imbatte in un’unità britannica della vigilanza costiera (fonti
italiane parlano variabilmente di dragamine o cacciasommergibili): cercando di
prendere tempo, l’equipaggio italiano cerca di ingannare la piccola unità che
si avvicina, salutando e fingendo un atteggiamento amichevole. Lasciata così
avvicinare la nave britannica, quando le distanze si sono ridotte a sufficienza
il Capponi apre il fuoco su di essa
con le mitragliere, cogliendola di sorpresa, poi lancia dei fumogeni ed
effettua immersione rapida mentre l’unità britannica reagisce col tiro delle
armi di bordo, colpendolo e provocando vari danni in torretta. Fonti italiane
parlano anche dell’apertura del fuoco da parte delle batterie costiere di Marsa
Scirocco, che avrebbero tirato sul sommergibile.
Max Polo, nel
capitolo "Sommergibili in mare aperto" del libro "Fatti d’arme
di una guerra senza fortuna" (1972), descrive in toni piuttosto enfatici l’accaduto:
«Il Capponi vaga alla cieca sott’acqua
[avendo la bussola giroscopica fuori uso], e
quando torna a galla scopre di trovarsi nella tana del nemico, nientedimeno che
sotto Malta, esattamente nei pressi dell’isolotto di Filfola, a tiro dei
cannoni di Marsa Scirocco. La situazione si fa estremamente pericolosa. Diventa
addirittura drammatica quando da dietro l’isolotto il comandante vede spuntare
la sagoma di un cacciasommergibili inglese lanciato a tutta velocità a rotta
inclinata per tagliargli la strada. Che cosa resta da fare al Capponi? Dare
battaglia, neanche a pensarci: sarebbe come farsi squarciare il fianco e colare
a picco sotto una grandine di proiettili delle batterie costiere. Non resta
pertanto che giocare il tutto per tutto, d’astuzia. Non si scompone, avanza
tranquillamente verso il mezzo nemico a bandiera spiegata. Attimo di esitazione
da parte del caccia inglese, che per il momento ha il dubbio di trovarsi di
fronte a un sommergibile francese. Dalla coperta del sommergibile italiano il
comandante Romei si mette a gesticolare segni di saluto con il passamontagna.
Con un balzo fulmineo intanto il tenente Stea e il puntatore Bumbaca si sono
gettati sulle mitragliere: fuoco! Le raffiche colgono di sorpresa il battello
inglese, spazzano la prua, uccidendo anche il comandante. Scoppia un finimondo.
Dalle batterie costiere, dal caccia ferito, è un fuoco infernale che si abbatte
sul Capponi. Che cosa fare? Una via sola: coprirsi dietro una cortina fumogena
e immergersi».
Secondo la
documentazione britannica (consultata dal ricercatore Platon Alexiades), le
unità coinvolte nella breve scaramuccia con il Capponi sarebbero state non una ma due, i pescherecci armati
antisommergibili Coral e Jade, che dopo lo scambio di colpi in
superficie bombardarono con bombe di profondità il sommergibile che si era
frattanto immerso a 97 metri di profondità. Lo scontro avvenne alle 6.40 del 12
luglio, a sudest di Malta, quando il Capponi
aprì il fuoco su una delle due unità britanniche, che reagirono aprendo il
fuoco a loro volta ed inducendo il sommergibile ad immergersi; contrariamente a
quanto ritenuto da parte italiana, né il Coral
né il Jade furono colpiti dal tiro
del sommergibile. La documentazione della difesa maltese, molto scarna, non
parla dell’apertura del fuoco da parte delle batterie costiere.
Nel breve scontro in
superficie, il Capponi è stato
colpito due volte dal tiro del Coral
e del Jade: un proiettile lo ha
centrato a poppa, lacerando lo scafo esterno, mentre un altro ha perforato la
torretta, che non appena finita sott’acqua per l’immersione si è completamente
allagata, riempiendosi di otto tonnellate d’acqua (per altra fonte i danni alla
torretta sarebbero stati causati da schegge che l’avrebbero colpita sul lato
sinistro). Quando il sommergibile s’immerge inizia ad imbarcare acqua, e Romei
decide di tornare verso Malta, dove il mare è meno profondo, e posarsi sul
fondale vicino all’imboccatura del porto della Valletta, alla profondità di 102
metri, dove poi attendere l’arrivo del buio per potersi allontanare. Viene
anche emessa della nafta, sperando che i britannici possano convincersi di aver
affondato il battello e dunque mollare la presa, ma questo espediente non
raggiunge lo scopo desiderato. Si sentono i rumori di eliche di navi che
passano sulla verticale del sommergibile fermo sul fondo; dai rumori rilevati
sembra che le navi britanniche stiano cercando il Capponi più verso il largo. Il Capponi
passa dunque tutto il giorno posato sul fondale, immobile, sperando di non
essere localizzato, mentre la situazione al suo interno diventa sempre più
precaria: ci sono crescenti infiltrazioni d’acqua in più punti, e l’impianto
elettrico va in avaria, provocando lo spegnimento di tutte le luci (qualche
fonte parla anche di perdite di cloruro di metile, gas pericoloso e tossico
impiegato nell’impianto di condizionamento). Alle 22.30 Romei ordina di
emergere, ma il Capponi non si muove;
freneticamente vengono compiuti altri tentativi, tutti senza risultato. Sembra
quasi che il sommergibile sia stato intrappolato dal fango del fondale. Alla
fine, per cercare di smuovere il battello mediante uno scossone, vengono messe
in moto le eliche ed al contempo s’immette aria compressa nelle casse: questa
volta il tentativo ha successo, ed il Capponi
inizia lentamente ad ondeggiare e poi a muoversi, mentre la profondità
gradualmente diminuisce. Malconcio ma salvo, il sommergibile rivede la luce e
dirige per Messina.
A titolo di cronaca
si può menzionare che due giorni dopo questo episodio, il 14 luglio, il
rimorchiatore armato britannico Emily,
in pattugliamento nelle acque costiere di Malta, aprirà il fuoco contro un
inesistente sommergibile nemico. Episodio di per sé non infrequente: “falsi
avvistamenti” di questo tipo e relativi attacchi contro il nulla (o contro
relitti, o sfortunati cetacei) avvennero in quell’epoca in svariate occasioni e
Marine, principalmente per effetto del nervosismo degli equipaggi. Forse, in
questo specifico caso, proprio legato al precedente scontro di Coral e Jade con un sommergibile nemico – il Capponi – in acque tanto vicine a Malta, avvenuto appena due giorni
prima.
1° settembre 1940
Nuovamente inviato in
missione 30 miglia a sudest di Malta. La sera stessa, alle 22.45, il Capponi (tenente di vascello Romeo
Romei) avvista un cacciatorpediniere britannico e lo attacca, ma viene subito individuato
e sottoposto a pesante caccia, venendo così obbligato a disimpegnarsi in
immersione.
4 settembre 1940
Rientra alla base.
Foto scattata a bordo del Capponi al rientro da una missione di guerra (da “L’affondamento del sommergibile Pier Capponi” di Enzo Poci, a cura della Società di Storia Patria per la Puglia) |
5 novembre 1940
Il Capponi (capitano di corvetta Romeo
Romei) viene inviato in pattugliamento a levante di Malta. Nei giorni
successivi, il Pier Capponi ed altri
quattro sommergibili (Topazio, Corallo, Fratelli Bandiera e Goffredo
Mameli, tutti partiti da Augusta e Messina) vengono inviati circa 90 miglia
a sud-sud-est di Malta per contrastare l’operazione britannica «Coat».
La decisione di
inviare alcuni sommergibili (Pier Capponi,
Topazio e Fratelli Bandiera) a sudest di Malta viene presa da Supermarina
(ammiraglio Domenico Cavagnari) in seguito alle segnalazioni, giunte il 7
novembre, in merito a movimenti navali britannici nel Mediterraneo: agenti
italiani appostati sulla costa spagnola dello stretto di Gibilterra hanno infatti
riferito, la sera del 7 novembre, della partenza della Forza H (ammiraglio
James Somerville) da quel porto, e lo stesso giorno un ricognitore S.M. 79
dell’Aeronautica della Libia ha notato la mancanza delle grandi unità della
Mediterranean Fleet nel porto di Alessandria (le due formazioni sembrano avere
rotte convergenti verso il Mediterraneo centrale), notizia poi confermata
dall’intercettazione di traffico radio, dalla quale Supermarina ha dedotto che
debbano essere in navigazione da Alessandria verso ovest 2-3 corazzate, 6
incrociatori ed una dozzina di cacciatorpediniere.
A Roma non si conosce
lo scopo di questi movimenti; è in corso una operazione complessa britannica,
la «MB. 8», che culminerà con il celebre attacco di aerosiluranti contro
Taranto della notte dell’11-12 novembre.
Questa operazione,
iniziata il 4 novembre e destinata a durare dieci giorni, si articola su
diverse sotto-operazioni: l’operazione «Coat» (iniziata il 6 novembre),
consistente nell’invio da Gibilterra a Malta di un convoglio di navi da guerra con
truppe ed armi antiaeree (Forza F: la corazzata Barham, l’incrociatore pesante Berwick, l’incrociatore leggero Glasgow ed i cacciatorpediniere Gallant, Greyhound e Griffin, con una forza di copertura
costituita dalla portaerei Ark Royal –
che lancerà anche un attacco aereo diversivo su Cagliari, l’operazione «Crack»
–, dall’incrociatore leggero Sheffield e
da tre cacciatorpediniere, tutti appartenenti alla Forza H, che li accompagnano
fino all’imbocco del Canale di Sicilia per poi tornare indietro); l’invio da
Alessandria a Malta del convoglio «MW. 3» (5 mercantili, partiti il 4 novembre
e scortati dagli incrociatori antiaerei Calcutta
e Coventry e dai cacciatorpediniere Dainty, Vampire, Voyager e Waterhen); l’invio da Malta ad Alessandria
del convoglio di ritorno «ME. 3» (i mercantili scarichi Clan Macauley, Clan Ferguson,
Memnon e Lanarkshire, scortati dalla corazzata Ramillies, dal Coventry e
dai cacciatorpediniere Dainty, Vampire e Waterhen); il trasferimento di unità da guerra da Gibilterra ad
Alessandria (facente parte dell’operazione «Coat»); l’invio di convogli in
Grecia (l’«AN. 6», formato da quattro navi cisterna partite da Port Said il 4
novembre e dirette a Suda con la scorta di un peschereccio armato, nonché
l’invio da Alessandria a Suda degli incrociatori leggeri Ajax e Sydney il 5-6
novembre, poi ricongiuntisi con il grosso della Mediterranean Fleet, e l’invio
al Pireo dell’incrociatore leggero Orion,
tutti con rinforzi e rifornimenti per le truppe britanniche in Grecia); il
transito del convoglio di ritorno «AS. 5» dalla Greca all’Egitto; l’attacco di
aerosiluranti contro Taranto (operazione «Judgment») ed una puntata offensiva
contro convogli italiani nel Canale d’Otranto da parte di una divisione di
incrociatori (Orion, Ajax e Sydney, più due cacciatorpediniere).
L’operazione è
coperta dal grosso della Mediterranean Fleet (Forza A, al comando
dell’ammiraglio Andrew Browne Cunningham), con le corazzate Valiant, Warspite, Ramillies e Malaya, la portaerei Illustrious (che lancerà l’attacco
contro Taranto), gli incrociatori Orion,
York e Gloucester ed i cacciatorpediniere Nubian, Mohawk, Jervis, Janus, Juno, Hyperion, Hasty, Hereward, Hero, Havock, Ilex, Defender e Decoy; questa forza è anche quella incaricata dell’esecuzione di
«Judgment» (gli aerei decolleranno dalla Illustrious).
La Forza A, con le
quattro corazzate e l’Illustrious
(oltre a quattro incrociatori e tredici cacciatorpediniere), è salpata da
Alessandria nel pomeriggio del 5 novembre, diretta verso ovest.
Oltre all’invio di Capponi, Topazio e Bandiera a
sudest di Malta, Supermarina allerta anche la flotta perché sia pronta a
muovere entro l’8 mattina, e dispone crociere di vigilanza con alcuni MAS, la
XIV Squadriglia Cacciatorpediniere e la XIV Squadriglia Torpediniere (MAS e
cacciatorpediniere non potranno poi compiere tali pattugliamenti a causa del
mare mosso). Vengono infine ordinate ricognizioni da parte degli idrovolanti
dell’83° Gruppo della Ricognizione Marittima della Sicilia, che alle 11 dell’8
avvistano cinque piroscafi, scortati da un incrociatore e 4 cacciatorpediniere,
180 miglia ad est di Malta (dove evidentemente è diretto), ed alle 15.20
localizzano anche due corazzate, una portaerei e parecchi incrociatori e
cacciatorpediniere che si trovano a nord del convoglio, con l’apparente compito
di proteggerlo. (Secondo altra versione, i ricognitori italiani avrebbero
localizzato la Mediterranean Fleet il mattino dell’8 novembre, ed alle 15
Supermarina avrebbe stimato, sulla base delle notizie raccolte, che la flotta
britannica si trova a circa 300 miglia da Taranto, con rotta verso Alessandria;
apprezzamento poi smentito, il 10 novembre, proprio dall’avvistamento di parte
di quelle unità da parte del Capponi.
In generale Supermarina riceve in quei giorni informazioni imprecise e
contrastanti dalla ricognizione aerea e dalle stazioni di vedetta di Linosa e
Pantelleria, non riuscendo così a farsi un’idea esatta della composizione e
delle intenzioni delle forze nemiche).
A seguito di questi
avvistamenti, l’ammiraglio Cavagnari ordina tramite Maricosom a Capponi, Topazio, Bandiera ed
altri due sommergibili, Corallo e Mameli, di spostarsi in settori di
agguato situati a sudest e sud-sudest di Malta, a distanza di 50-90 miglia da
tale isola, formando 90 miglia a sud-sud-est di Malta uno sbarramento con
intervalli di 20-30 miglia tra ogni unità e l’ordine di effettuare pendolamento
notturno (a contrasto dell’operazione «Coat»). Nella stessa zona dovrà inoltre
agire, nottetempo, una squadriglia di MAS.
L’emblema
dipinto sulla torretta del Capponi,
raffigurante due galli (capponi) che suonano delle piccole campane (oltre ad
afferrare un siluro con gli artigli): il gioco di parole si basa sull'episodio
più celebre della vita del condottiero e statista eponimo del sommergibile,
Pier Capponi. Questi, nel 1494, dopo l’ingresso a Firenze del re di Francia
Carlo VIII alla testa del suo esercito, respinse come "cose
disoneste" le esose pretese del monarca francese; alla minaccia di Carlo
VIII di usare la forza – “allora noi
suoneremo le nostre trombe” – Capponi rispose con la minaccia della
resistenza armata della popolazione, con la frase “e noi faremo suonare le nostre campane”. Carlo VIII, poco attratto
dalla prospettiva di una battaglia per le strade della città, accettò di
moderare le sue richieste, e poco dopo lasciò Firenze. Di qui l’ispirazione
dell’emblema del sommergibile, con i “Capponi” che suonano le campane. Lo
stemma venne pitturato dal guardiamarina Franco Fiaschi, di Volterra, ufficiale
di rotta del Capponi, durante la
navigazione di ritorno dalla prima missione di guerra. Fiaschi, divenuto
ammiraglio nel dopoguerra, fu doppiamente “miracolato”: già sbarcato dal Capponi prima della sua ultima e fatale
missione, perché trasferito sul sommergibile Fratelli Bandiera, nel 1943 non partecipò – perché in licenza – al
trasferimento del suo nuovo sommergibile, il Remo, da Taranto a Napoli, viaggio nel quale anche questo battello
andò perduto con l’intero equipaggio (foto sopra, da www.betasom.it; foto sotto, g.c. STORIA
militare)
9 novembre 1940
Durante la giornata
il Capponi, in agguato circa 50 (per
altra fonte 40) miglia a sudest di Malta, viene attaccato da unità leggere
britanniche al largo di Malta e sottoposto a caccia antisommergibili, alla
quale riesce a sottrarsi pur avendo riportato diversi danni.
Mantiene comunque
l’agguato nella zona; quella sera, riemerso, inizia il pendolamento e la
ricarica delle batterie riportandosi sul punto di agguato indicato dall’ordine
d’operazioni. C’è mare grosso forza 6, da nordovest, con vento forza 5 pure da
nordovest; il cielo è nuvoloso, ma l’orizzonte è nitido.
Alle 23.54 (con “luna abbastanza alta”), mentre il sommergibile
si trova in superficie, la vedetta Luigi De Donno annuncia concitatamente
l’avvistamento di una nutrita formazione avversaria (“Comandante, un milione di navi!”) in posizione 34°33’ N e 16°08’ E.
Il comandante Romei ed il comandante in seconda Stea, che in quel momento si
trovano seduti sui loro seggiolini, si alzano, scrutano l’orizzonte con il
binocolo ed avvistano a circa 10.000 metri di distanza una squadra britannica,
della quale Romei apprezza la composizione in due corazzate, una portaerei,
alcuni incrociatori e numerosi cacciatorpediniere (lo storico Francesco
Mattesini afferma che Romei avrebbe stimato che la forza britannica consisteva
in una portaerei, due incrociatori e otto cacciatorpediniere; tuttavia dal
rapporto di Romei risulta: «La formazione
è costituita da forte numero di CC.TT. ed incrociatori leggeri in scorta
avanzata a cuneo, da una portaerei e da due grosse navi la cui sagoma è quella
del Royal Sovereign e Ramillies. Queste tre grosse unità procedono in linea di
fila, secondo l'ordine sopradetto. L'ultima unità della scorta laterale
avanzata si profila sulla portaerei»). Incrociatori e cacciatorpediniere
precedono la portaerei, che a sua volta è seguita dalle corazzate; la
formazione ha rotta verso Malta.
Si tratta della Forza
A, il nucleo principale della Mediterranean Fleet (del quale fanno parte tra
l’altro le quattro corazzate Valiant,
Warspite, Malaya e Ramillies e la
portaerei Illustrious), sotto il
diretto comando dell’ammiraglio Cunningham: alle ore 21 questa formazione,
giunta 100 miglia a sudest di Malta, ha assunto rotta 310° (verso nordovest)
per congiungersi con la Forza F in arrivo da Gibilterra (Barham, Berwick, Glasgow e relativi cacciatorpediniere).
Nel momento in cui le avvista il sommergibile italiano, le navi di Cunningham
stanno procedendo verso l’isolotto di Gozo, facente parte dell’arcipelago
maltese, per raggiungere il punto prestabilito per l’incontro con le navi della
Forza F. (Altre fonti affermano che la forza incontrata dal Capponi sarebbe consistita nella sola
corazzata Ramillies e nei
cacciatorpediniere Havock, Hyperion ed Ilex, distaccati dal resto della Mediterranean Fleet per rifornirsi
di carburante a Malta o per scortare a Malta il convoglio MW. 3 insieme al Coventry e ad alcuni cacciatorpediniere).
Il Pier Capponi si avvicina alla formazione
nemica per attaccare restando in superficie, assumendo rotta 235°,
perpendicolare alla direttrice di marza della squadra britannica (che è 325°).
Per cercare di serrare le distanze, Romei ordina al direttore di macchina
Giuseppe Leognani di utilizzare anche il motore diesel in parziale avaria,
accettando di correre il rischio di essere avvistato (il motore avariato emette
parecchio fumo di scarico, che potrebbe facilitarne l’individuazione). Come se
non bastasse, durante l’avvicinamento il Capponi
sbanda fortemente sulla sinistra a causa di un’avaria agli sfoghi d’aria; per
due volte Romei dà ordini per cercare di raddrizzare il sommergibile.
10 novembre 1940
Pur spingendo i due
motori diesel alla massima velocità possibile, quando il Capponi si viene a trovare in posizione adatta a lanciare contro il
primo bersaglio di rilievo – la portaerei, ossia l’Illustrious – la sua distanza è ancora superiore ai 5000 metri,
troppi per sperare di colpire. Deve dunque lasciarla passare, senza poter fare
nulla. Proprio in quel momento, per giunta, la squadra britannica accosta in
fuori, allargando il beta; Romei decide allora di attaccare l’ultima nave della
formazione (che avrebbe, secondo una versione, la sagoma di una corazzata tipo Ramillies).
Alle 00.08 la formazione avversaria accosta nuovamente, tornando adesso a
stringere il beta.
Un minuto dopo, la distaza
si è ridotta a circa 4000 metri (invero ancora un po’ troppo elevata per
lanciare con buone probabilità di successo, come rilevato in un commento anche
dalla storia ufficiale dell’USMM: forse ebbe peso nella decisione il timore di
vedersi sfuggire anche le due corazzate come già accaduto con la portaerei); il
comandante Romei stima la velocità della formazione britannica in circa 15
nodi, il beta in 90°, l’angolo di mira in 21°; questi dati vengono trasmessi
alla camera di lancio prodiera, dove sono approntati tre siluri da 533 mm ed
uno da 450 mm (quest’ultimo, essendo regolato per una corsa di 2000 metri, non
viene lanciato). Alle 00.09 il Capponi
lancia tre siluri da 533 mm contro le navi britanniche: in base alle
disposizioni in vigore, i tre siluri vengono lanciati con uno sfasamento
iniziale di cinque gradi (avente lo scopo di garantire un’apertura della salva
di 85 metri per parte; a 4000 metri di distanza, l’apertura risulterebbe di 340
metri per parte), pertanto quello lanciato dal tubo numero 1 ha un’angolazione
di 16°, quello del tubo 3 di 21°, quello del tubo 4 di 26°. Il primo siluro
(tubo 1) viene lanciato mirando quasi “uno scafo e mezzo” a proravia della
plancia del bersaglio (in modo che l’apertura prodotta dall’angolazione venga
ridotta a 70 metri, e quindi a 270 a 4000 metri); il secondo (tubo 3) viene
lanciato con punteria sulla plancia della nave britannica; il terzo (tubo 4)
nelle intenzioni di Romei dovrebbe essere lanciato uno scafo e mezzo a poppavia
della plancia (sempre allo scopo di ridurre l’apertura della salva entro i
limiti da questi desiderati), ma una forte alambardata avvenuta al momento del
lancio fa sì che venga in realtà lanciato con punteria a proravia della prua
del bersaglio. Tutti e tre i siluri vengono regolati per cinque metri di
profondità.
Dopo poco più di tre
minuti dal lancio, vengono sentite sul Capponi
tre detonazioni, che si ritiene indichino che i siluri sono andati a segno
(anche perché solitamente i siluri italiani, se giungevano a fine corsa senza
aver colpito bersagli, non esplodevano, ma si limitavano ad affondare); subito
prima del primo dei tre scoppi, da bordo del sommergibile – che si sta
frattanto preparando all’immersione rapida, che viene di lì a poco effettuata –
viene osservata anche quella che sembra un’alta colonna nera che si solleva
dallo scafo del bersaglio prescelto, l’ultima nave della formazione. Scriverà
nel suo rapporto il comandante Romei: «Le
prime due esplosioni sono state udite dopo 3 minuti e 15 secondi circa, e la
prima di esse è stata preceduta da un'alta colonna nera levatasi contro lo
scafo del bersaglio mirato (ultima unità della formazione). L'intervallo
tra queste due esplosioni è stato brevissimo, dell'ordine di 3 o 4 secondi
circa. La terza esplosione è seguita dopo 6 secondi circa ed è stato udito il
contraccolpo sullo scafo del sommergibile, mentre già si iniziavano le
operazioni per la rapida; pertanto non è stata possibile l'osservazione visiva
dell'effetto prodotto». Circa il terzo siluro, Romei stima che sia passato
circa 500 metri a proravia del bersaglio; avendone sentita l’esplosione,
ritiene che abbia colpito la nave che precedeva nella formazione quella presa a
bersaglio. Alle 00.30 Romei riferisce per radio di ritenere di aver colpito con
due siluri, o forse anche con tre, un incrociatore pesante.
In realtà, nessuna
nave britannica è stata colpita; anche i britannici, pur non accorgendosi di
essere sotto attacco, sentono effettivamente intorno a mezzanotte due forti esplosioni,
le stesse avvertite dall’equipaggio del Capponi,
ritenendo però che siano dovute all’esplosione di siluri per fine corsa. È
stato poi ipotizzato, da parte italiana (ad esempio, da Francesco Mattesini in
un suo saggio sull’operazione "Judgment"), che i siluri siano esplosi
incontrando la scia di una delle navi, visto che solitamente essi non
esplodevano a fine corsa, ma per contatto; l’ipotesi della scia spiegherebbe
anche l’impressione di Romei di aver colpito (date le posizioni reciproche, la
grande distanza col buio della notte e la prospettiva, la colonna d’acqua di un
siluro che esplodeva contro la scia di una nave poco distante avrebbe potuto
apparire come la colonna d’acqua di un siluro che esplodeva contro una nave). Altra
ipotesi (avanzata da Platon Alexiades) è che i siluri siano esplosi urtando
contro il fondale dopo essere giunti a fine corsa.
Poco dopo il suo
infruttuoso attacco contro la Forza A, al quale non fa seguito un contrattacco
(per una fonte alcuni cacciatorpediniere si avvicinano al sommergibile,
inducendolo ad allontanarsi, ma senza localizzarlo), il Capponi deve interrompere la missione e rientrare alla base a causa
di avarie ai motori elettrici.
L’erroneo
apprezzamento del comandante Romei, di per sé tutt’altro che inspiegabile o
senza precedenti nel contesto della guerra subacquea – dove spesso i
sommergibili, dopo aver attaccato formazioni nemiche fortemente scortate,
dovevano frettolosamente immergersi ed allontanarsi dopo aver potuto valutare
solo sommariamente i risultati dei loro lanci – verrà per assurdo amplificato,
nei giorni seguenti, da un grossolano errore di valutazione da parte di
Supermarina. Avendo ricevuto la comunicazione del Capponi sul presunto danneggiamento di un incrociatore pesante,
infatti, il comando della Regia Marina chiede al suo omologo dell’Aeronautica
(Superaereo) di inviare i suoi aerei per dare il colpo di grazia
all’incrociatore colpito; i ricognitori inviati sul luogo dell’attacco il
mattino del 10 novembre non avvistano né navi danneggiate né rottami che
indichino un affondamento, ma alcuni biplani FIAT CR. 42 del 23° Gruppo Caccia notano
la presenza a La Valletta della Ramillies,
che qui sta sostando per fare rifornimento. Giudicando con fin troppo ottimismo
il motivo della sosta a Malta di questa unità (molto raramente, dallo scoppio
della guerra, le corazzate britanniche si trattengono nel porto maltese),
Supermarina ritiene che debba essere proprio questa la nave colpita dal Capponi, e che si sia rifugiata a Malta
per via dei danni subiti. In realtà la Ramillies,
dopo essersi rifornita di carburante, lascia Malta alle 13.30 dello stesso
giorno, unitamente al Coventry ed ai
cacciatorpediniere Decoy e Defender, scortando i quattro piroscafi
del convoglio "ME. 3" diretti in Egitto.
La notizia, errata,
del siluramento di una nave da battaglia nemica viene data nel bollettino n.
158 del Comando Supremo del 12 novembre («Nella
notte sul io novembre nel Mediterraneo centrale un nostro sommergibile ha
attaccato una rilevante forza navale inglese ed ha colpito sicuramente con due
siluri e probabilmente con un terzo l'ultima grande nave della formazione. E'
da ritenere probabile la perdita dell'unità nemica, certo gravissimamente
danneggiata») e poi ripresa nel bollettino n. 161 del 15 novembre con
maggiori particolari («Nella notte dal 9
al 10 corrente — come già annunciato nel bollettino n. 158 — il sommergibile Capponi ha
colpito con tre siluri una nave da battaglia tipo Ramillies che,
insieme con altre, scortava la nave portaerei Illustrious nel canale
di Sicilia. Il capitano di corvetta Romeo Romei, comandante del sommergibile,
ha controllato con visione diretta dal sommergibile emerso lo scoppio dei tre
siluri sullo scafo della nave nemica»). Nei giorni successivi, la stampa
italiana darà ampio risalto all’episodio; quella anglosassone confuterà le
rivendicazioni italiane. Il comandante Romei, in conseguenza di questo
colossale equivoco, verrà decorato con la Medaglia d’Argento al Valor Militare
per aver silurato una corazzata, mentre al resto dell’equipaggio sarà conferita
con analoga motivazione la Croce di Guerra al Valor Militare.
Pietro Caporilli,
corrispondente di guerra del "Giornale d’Italia" imbarcato sul Pier Capponi, scriverà un opuscolo
illustrato ("Le straordinarie
avventure del sommergibile Pier
Capponi") pubblicato nel 1941 dall’Editoriale di Propaganda/Gioventù
Italiana del Littorio di Roma, primo numero della "Collana di monografie
sugli eroi del mare, del cielo e della terra" (costo, due lire dell’epoca).
Successivamente Caporilli riprenderà questo tema anche nel libro "Noi
della ciurma".
Il titolo
del “Giornale d’Italia” (da “L’affondamento del sommergibile Pier Capponi” di Enzo Poci, a cura della
Società di Storia Patria per la Puglia)
Sopra, un
dipinto di Vittorio Pisani ritraente il presunto siluramento della Ramillies, e sotto, la medesima
illustrazione nella copertina dell’opuscolo di Pietro Caporilli sul Pier
Capponi (da Pinterest)
Una pagina dell’opuscolo di Pietro Caporilli sulle avventure del Capponi (da “L’affondamento del sommergibile Pier Capponi” di Enzo Poci, a cura della Società di Storia Patria per la Puglia) |
23 o 24 febbraio 1941
Il Pier Capponi (capitano di corvetta Romeo
Romei) parte da Messina per un nuovo agguato nelle acque di Malta, ma deve
tornare in porto il giorno stesso a causa di un’avaria.
9-10 marzo 1941
In agguato ad est di
Malta. Di nuovo deve interrompere la missione e tornare alla base prima del
previsto a causa di un’avaria (che tra l’altro impedisce di immergersi, così
costringendo a navigare in superficie), giungendo a Messina il 10 marzo.
(da www.xmasgrupsom.com) |
L’affondamento
Dopo la sua ultima
missione al largo di Malta, il Pier
Capponi era ormai ridotto in condizioni precarie, non più in grado di
partecipare a missioni di guerra (secondo una fonte, non era neanche più in
grado di immergersi, ma ciò è contraddetto dalla relazione della Commissione
d’Inchiesta Speciale del 1947): ragion per cui ne fu disposto il trasferimento
da Messina a La Spezia per esservi disarmato, autorizzato da Supermarina con
messaggio a mano 1894 del 29 marzo 1941, inviato a Maricosom (il Comando
Squadra Sommergibili). Lo stesso giorno Maricosom inviò a sua volta a III
Gruppo Sommergibili di Messina il telecifrato 89010, col quale si ordinava: «Destinatario terzo Grupsom alt Sommergibile
"Capponi" si trasferisca appena possibile a La Spezia dove inizierà
operazioni disarmo alt Rotta costiera stretto Messina punto 3 miglia ponente
Stromboli punto miglia otto ponente scoglio Africa punto A La Spezia alt 183029».
Marina Messina rispose con il telecifrato 13612, che confermando la ricezione
dell’ordine aggiungeva: «Previsione
movimenti alt Sommergibile "CAPPONI" da Messina 100031 per La Spezia
in superficie velocità miglia 11,5 rotte costiere sino al punto n. 1 di Messina
indi rotta diretta punto a miglia tre ponente Stromboli previsto transito
150031 rotta diretta punto a miglia otto ponente scoglio Africa previsto
transito 190001 rotta punto A La Spezia previsto arrivo 070002 – 100030».
Nella base ligure,
secondo qualche fonte secondaria, il Capponi
avrebbe dovuto ricevere delle riparazioni per essere rimesso in efficienza, ma
dai documenti della Commissione d’Inchiesta Speciale (C.I.S.) istituita nel dopoguerra
per indagare sulla sua perdita risulta invece che una volta giunto a La Spezia
il sommergibile avrebbe dovuto essere posto in disarmo. (Per una fonte ancora
diversa, il Capponi sarebbe stato
demolito – ma sembra più probabile parlare di disarmo, considerato che si
disarmarono ma non si demolirono nemmeno vecchi battelli come i Balilla, i
Pisani o gli X – soltanto qualora non fosse più risultata conveniente la sua
riparazione). Peraltro, stando alla C.I.S., che a sua volta citava informazioni
dello Stato Maggiore della Marina (Maristat), il Pier Capponi risultava non impiegabile fin dal 15 febbraio 1941.
Il giornalista Pietro
Caporilli, già imbarcato sul Pier Capponi
come corrispondente in varie missioni di guerra e amico del comandante Romei,
avrebbe ricordato nel dopoguerra, in un articolo pubblicato postumo dal figlio
Memmo nel libro "Guerra negli abissi": «Il "vecchio chiodo" non ne poteva più e, dopo alcuni tentativi
di rabberciamento ai Cantieri della Navalmeccanica di Napoli, il Superiore
Comando ne decise il disarmo destinando l'intero equipaggio, me compreso, ad
armare il Sommergibile di grande crociera (2000 tonnellate, 14 tubi di lancio,
36 siluri e 120 giorni di autonomia) "Ammiraglio Cagni" in
allestimento a Monfalcone per la guerra di corsa sulle coste americane. Questa
era la promessa formale che il Comandante in Capo della Squadra Sommergibili
Ammiraglio Falangola aveva fatta a Romei e che l'intero equipaggio aveva
salutato con grande entusiasmo. Ma il destino aveva disposto altrimenti». Il
15 marzo, Romei e Caporilli erano andati in licenza insieme, il primo a
Caprarola, dove si trovava la sua famiglia, ed il secondo a Roma. A Messina,
con il Capponi, era rimasto il
comandante in seconda, il ventiseienne tenente di vascello Alessandro Stea,
napoletano. Terminata la licenza, il mattino del 30 marzo, Romei si recò a
Roma, dov’era Caporilli, e dalla casa di quest’ultimo telefonò a Stea,
dicendogli di tenersi pronto perché l’indomani mattina sarebbe stato a Messina
e sarebbero partiti per La Spezia. Stea rispose che non era il caso che Romei
venisse di nuovo fino a Messina, avrebbe potuto condurre lui il “vecchio
chiodo” a La Spezia, dopo di che lo avrebbe raggiunto a Roma, dov’era la sua
vecchia madre, di cui si prendeva cura la moglie di Caporilli. La madre di
Stea, che era presente alla telefonata, chiese invece a Romei di mandare subito
il figlio in licenza, senza aspettare l’arrivo a La Spezia (“…quasi che al suo cuore di madre una voce
misteriosa avesse già parlato del tragico destino che stava per compiersi”);
il comandante del Capponi rispose
tranquillamente: “Signora, è una
passeggiata. Mercoledì Sandro sarà qui. Viene con noi anche Caporilli”.
Dopo la telefonata a
Stea, Romei e Caporilli si recarono al Ministero della Marina, dove trascorsero
il resto del mattino; dopo aver pranzato insieme, i due passarono il pomeriggio
a rivedere sul taccuino di Caporilli la narrazione delle avventure del Capponi. Alle 22 chiamarono per telefono
un taxi per farsi portare in stazione, il treno per Messina sarebbe partito tra
un’ora; il telefono di Caporilli risultò però isolato, e non essendo riusciti a
rimetterlo in funzione, fecero la chiamata dall’appartamento adiacente. Romei
voleva che anche Caporilli venisse con lui in quello che chiamava “il funerale”
del suo vecchio battello, ma alla fine si persuase che sarebbe stata per questi
una perdita di tempo, specialmente dal momento che in un banale viaggio di
trasferimento in acque nazionali non ci sarebbe stato niente del quale un
giornalista avrebbe potuto parlare. Pertanto si lasciarono, con l’accordo che
Caporilli l’avrebbe raggiunto insieme a Stea, che dopo l’arrivo a La Spezia
sarebbe andato in licenza a Roma, a Monfalcone, per le prove del Cagni. «Una stretta di mano, un'altra risata (Romei rideva sempre) e poi il
tassi se lo portò via».
Pietro Caporilli a bordo del Pier Capponi (da www.giornalisticalabria.it) |
Il Capponi lasciò Messina diretto a La
Spezia il 31 marzo 1941, alle dieci del mattino. Lo comandava ancora, come in
tutte le missioni fin dall’inizio della guerra, il capitano di corvetta Romeo
Romei; tuttavia, siccome il sommergibile era destinato al disarmo, gran parte
dell’equipaggio venne sbarcata a Messina, lasciando a bordo soltanto il
personale strettamente necessario per il viaggio di trasferimento a La Spezia:
cinque ufficiali, sette sottufficiali e 26 tra sottocapi e marinai. Per gli
uomini “di troppo”, la decisione di sbarcarli a Messina rappresentò la salvezza.
Fu invece
particolarmente sfortunato il maresciallo di prima classe Pasquale Ammirati, campano
trapiantato a Pola (di famiglia marinara: il padre Ciro, capitano del C.R.E.M.
assegnato all’Arsenale della città istriana, vi si era trasferito con tutta la
famiglia nel primo dopoguerra, per ragioni di servizio; anche il fratello
Fulvio era in Marina), capo motorista: inizialmente designato tra coloro che
dovevano sbarcare prima della partenza, venne poi trattenuto a bordo a causa di
problemi ai motori diesel manifestatisi all’ultimo momento (i motoristi
rimasti, meno esperti, non riuscivano ad avviarli). La moglie di Ammirati, con
il figli Ciro di soli nove mesi, si trovava in quel periodo anch’essa a Messia:
abbracciò il marito in partenza, senza sapere che era l’ultima volta che lo
avrebbe visto.
Lasciata Messina, il Pier Capponi iniziò quindi la
navigazione verso nord ad equipaggio ridotto, procedendo in superficie alla
velocità di undici nodi e mezzo. Il comandante Romei aveva l’ordine di
segnalare il passaggio del suo battello alle diverse Capitanerie nelle cui
acque sarebbe transitato durante il viaggio di trasferimento a La Spezia; ma
dopo la partenza, il Pier Capponi non
diede più notizie di sé (una fonte secondaria afferma che l’ultimo segnale del
sommergibile sarebbe stato inviato al largo di Stromboli, ma sembra trattarsi
di un errore, in quanto i documenti della C.I.S. del 1947 affermano chiaramente
che dopo la partenza il Capponi «non
diede più segni di vita»).
Il mattino stesso del
31 marzo, alle 10.40, Marina Messina diede notizia dell’avvenuta partenza del sommergibile
con il telecifrato 04086 («Sommergibile CAPPONI
per La Spezia 104031»). L’arrivo del Capponi
a La Spezia era previsto per il mattino del 2 aprile, ma qui il sommergibile
non giunse mai: le ricerche eseguite nel punto convenzionale "A" dai
mezzi inviati da quel Comando non diedero alcun risultato, ed alle cinque del
pomeriggio del 2 aprile Marina La Spezia ne informò sia Supermarina che
Maricosom con il telecifrato 82724: «Ricerca
aerea su rotta provenienza sommergibile CAPPONI che doveva giungere punto A/1
La Spezia 0700 di oggi ha dato esito negativo (semialt) Stazioni semaforiche et
vedetta interessate (Alt) 170002».
Siccome il
sommergibile non era stato avvistato neanche dalle stazioni semaforiche di
Stromboli, il mattino del 3 aprile Marina Messina inviò la torpediniera Simone Schiaffino a cercarlo nelle acque
tra Capo Rasocolmo e Stromboli stessa, in cooperazione con aerei, nella
supposizione che il sommergibile fosse incorso in qualche incidente in quel
tratto di mare. Di ciò quel Comando diede notizia a Supermarina con il
telecifrato 32131, che riferiva: «Torpediniera
SCHIAFFINO dalle ore 070003 in ricerca sistematica traccie di sommergibile
sinistrato tra punto N. Capo Rasocolmo et punto miglia tre ponente Stromboli
sino al tramonto in collaborazione ricerca aerea (Alt) 090003». La Schiaffino cercò fino al tramonto, ma
non trovò nulla. Supermarina ordinò che le ricerche venissero proseguite ancora
nei giorni successivi, con navi ed aerei, ma non si trovò nulla: l’8 marzo
Marina La Spezia comunicò per telecifrato allo Stato Maggiore della Marina
(Maristat) di non aver ancora trovato nulla («71070… informo che il sommergibile "CAPPONI" atteso per ore
0900 del due corrente non est ancora giunto semialt ricerche sistematiche
navali et aeree organizzate da questo Comando in Capo et ordinate da
Supermarina hanno dato esito negativo semialt Supermarina tenuta costantemente
informata da prime ore pomeridiane del due corrente alt 173008»).
Nessuna stazione
semaforica o di vedetta aveva avvistato il Pier
Capponi dopo la sua partenza da Messina (secondo Pietro Caporilli, invece,
il passaggio del sommergibile venne registrato per l’ultima volta dal semaforo
di Punta Faro, dopo di che non se ne era saputo più nulla).
Pietro Caporilli
ricorda nel suo "Guerra negli abissi" un evento inquietante,
verificatosi la sera stessa del suo commiato da Romei: «Verso le ventitrè sento mia moglie chiamarmi concitatamente e mi porge
sbiancata in volto il microfono del telefono che aveva sollevato per sentire se
era cessata l'interruzione. Odo un agghiacciante lamento come dall'altra parte
del filo una persona morente chiedesse aiuto. Invano grido, batto sulla
forcella. Poi il lamento cessa. Esattamente a mezzanotte un lungo trillo del
telefono mi fa balzare dal letto. Corro, ma non odo che il solito
caratteristico segnale dell'apparecchio che aveva ripreso a funzionare. Che
cosa era accaduto? Mistero!». L’arrivo a Roma del sottotenente di vascello
Stea era previsto per il 2 aprile, ma Stea non giunse a Roma; trascorse una
settimana senza che Caporilli avesse nuove da Romei, dopo di che, pressato
dalla madre di Stea, il giornalista si recò dall’ammiraglio Mario Falangola,
comandante in capo di Maricosom, per chiedere notizie. «Appena mi vide capì lo scopo della mia visita e un velo di tristezza
offuscò il suo volto. Lui era come un papà per i suoi sommergibilisti e ogni
perdita era motivo di acuta sofferenza. Mi disse tutta la verità; cioè quel
poco che risultava». La madre del tenente di vascello Stea, dopo aver perso
l’unico figlio, si uccise. Il suo corpo venne trovato un mattino nel parco del
Vomero a Napoli, dove viveva: in mano aveva l’ultima lettera scritta dal figlio
tre giorni prima della morte, il 28 marzo 1941 (era stato Caporilli, partendo
per la licenza, a consegnargliela). Per sua espressa volontà, la lettera fu
sepolta con lei nella tomba.
Il comandante Romei, a sinistra, ed il comandante in seconda Stea, a destra (da “L’affondamento del sommergibile Pier Capponi” di Enzo Poci, a cura della Società di Storia Patria per la Puglia) |
Il 12 aprile 1941
Supermarina concluse, con una nota interna, che il Pier Capponi doveva essere stato affondato da un sommergibile
nemico durante il trasferimento da Messina a La Spezia. L’equipaggio venne
dichiarato disperso in quella data.
L’equipaggio del Pier Capponi, scomparso al completo:
Sebastiano Accolla, sottocapo nocchiere, da
Siracusa
Ettore Acquafresca, capo silurista di terza
classe, da Matera
Antonio Alberelli, marinaio, da Banari
Pasquale Ammirati, capo meccanico di terza
classe, da Torre Annunziata
Raffaele Ayala, secondo capo furiere, da
Ercolano
Enzo Bernardini, marinaio elettricista, da
Arezzo
Aldo Breanza, marinaio fuochista, da Legnano
Antonio Bumbaca, marinaio cannoniere, da
Siderno
Francesco Buonocore, marinaio, da Amalfi
Aldo Cesolini, sottotenente di vascello, da
Roma
Pasquale Costa, sergente elettricista, da
Anoia
Giulio Cozzani, guardiamarina, da La Spezia
Emilio Dainesi, marinaio silurista, da Laurana
Luigi De Donno, marinaio (ordinanza del
comandante), da Aradeo
Sestilio Fabbri, marinaio elettricista, da
Castiglione dei Pepoli
Cesarino Gasparini, marinaio
radiotelegrafista, da Novi di Modena
Renzo Gemme, sottocapo radiotelegrafista, da
Genova
Giuseppe Giardino, sottocapo elettricista, da
Bari
Emilio Greco, sottocapo motorista, da Torre
Annunziata
Giuseppe Leognani, tenente del Genio Navale
(direttore di macchina), da Loreto Aprutino
Vittorio Maccari, marinaio fuochista, da
Carrara
Armando Mazzetti, marinaio elettricista, da
Sasso Marconi
Vito Muolo, capo elettricista di seconda
classe, da Ginosa
Ersilio Nardi, sottocapo segnalatore, da
Cremona
Ruggero Nordio, marinaio, da Chioggia
Roberto Orciani, sottocapo silurista, da
Ancona
Vilfredo Paradisi, sottocapo silurista, da
Massa Marittima
Vittorio Pavone, capo motorista di prima
classe, da Taranto
Alessandro Pazzaglia, marinaio fuochista, da
Roma
Policarpo Rigon, secondo capo nocchiere, da
Vicenza
Luigi Rima, marinaio, da Gallipoli
Romeo Romei, capitano di corvetta
(comandante), da Castelnuovo di Cattaro
Pietro Russo, marinaio silurista, da Galati
Mamertino
Armando Sartori, sottocapo silurista, da
Maserada sul Piave
Remo Simoniello, marinaio cannoniere, da
Brindisi
Alessandro Stea, tenente di vascello, da Napoli
(comandante in seconda)
Pietro Vella, marinaio, da Santa Flavia
Celestino Zadra, marinaio motorista, da
Valdobbiadene
Presso le famiglie
dei dispersi, come spesso accadeva in questi casi, si rincorsero per lungo
tempo le voci più strane. C’era chi non credeva all’affondamento da parte di un
sommergibile, visto che le ricerche compiute subito dopo la scomparsa e per
diversi giorni a seguire da navi ed aerei lungo la rotta presunta del Capponi non avevano portato al
rinvenimento di alcun rottame, corpo o chiazza di nafta, né altre tracce che
indicassero l’avvenuto affondamento. Circolarono storie, alimentate più che
altro dalla speranza di rivedere i propri cari, che il sommergibile fosse stato
catturato e l’equipaggio fatto prigioniero; la famiglia del capo meccanico
Pasquale Ammirati, ad esempio, sentì a lungo racconti in questo senso fatti da
parte di suore e missionari attivi nel Sudan anglo-egiziano.
La verità, i vertici
della Marina italiana, la appresero nel dopoguerra, dai documenti britannici cui
poterono finalmente avere accesso: il Pier
Capponi era stato affondato il giorno stesso della sua partenza, il 31
marzo 1941, dall’HMS Rorqual, un
sommergibile posamine comandato dal capitano di fregata Ronald Hugh Dewhurst. Il
Rorqual era una vecchia e dolorosa
conoscenza per la Marina italiana: durante il conflitto aveva affondato con le
sue mine ben 35.951 tonnellate di naviglio dell’Asse (il che lo rende il
sommergibile posamine di maggior successo della seconda guerra mondiale), in
massima parte italiane, tra cui le torpediniere Generale Antonio Chinotto, Calipso,
Fratelli Cairoli, Altair ed Aldebaran, le cisterne militari Ticino
e Verde, il cacciasommergibili
ausiliario AS 99 Zuri ed i mercantili
Celio, Loasso, Salpi, Rina Croce,
Leopardi ed Ankara (quest’ultimo tedesco), ma anche la corvetta britannica Erica, saltata nel 1943 su un suo
vecchio campo minato. Oltre a queste, con cannone e siluro aveva colato a picco
altre 21.753 tonnellate di naviglio.
Il 22 marzo 1941 il Rorqual aveva lasciato Malta per la sua
tredicesima missione di guerra, la decima in Mediterraneo. Dopo aver posato due
campi minati, tra il 25 ed il 26 marzo, al largo di Palermo (sui quali
saltarono, tra il 26 ed il 28 marzo, la torpediniera Chinotto e le navi cisterna Ticino
e Verde), si era disposto in agguato
a nord della Sicilia, affondando il 30 marzo con i siluri la nave cisterna Laura Corrado al largo di Capo Gallo. Poi,
alle 13.37 del 31 marzo, il Rorqual,
immersosi a mezzogiorno, aveva rilevato agli idrofoni rumore di motori su
rilevamento 140°, in posizione 38°32’ N e 15°19’ E (o 15°15’ E), a nordest
della Sicilia nordorientale ed a sud di Stromboli (altra fonte, probabilmente
erronea, indica come posizione 38°42’ N e 15°12’ E). Il mare era quasi completamente
calmo. Due minuti più tardi, il sommergibile britannico aveva avvistato
qualcosa all’orizzonte: passati alcuni minuti, il “qualcosa” si era rivelato
essere un sommergibile italiano che navigava in superficie. Il Rorqual aveva pertanto iniziato una
manovra d’attacco, identificando il suo bersaglio come un sommergibile classe
Calvi (di dimensioni, per la verità, notevolmente superiori alla classe Mameli
di cui faceva parte il Pier Capponi)
e stimando che seguisse rotta 325° senza variazioni, passando a sud di
Stromboli. Sulle prime Dewhurst aveva avuto delle incertezze sull’opportunità
di attaccare: gli era stato segnalato come probabile il passaggio in zona di
importanti forze navali italiane, unità danneggiate qualche giorno prima nella
battaglia di Capo Matapan, ed infatti quel mattino aveva avvistato in quelle
acque due cacciatorpediniere, forse destinati alla scorta di quelle navi. Un
attacco contro il sommergibile avvistato avrebbe potuto tradire la presenza in
zona del Rorqual e far così sfumare
bersagli più “appetitosi”; ma d’altro canto il passaggio delle forze navali
italiane era stato annunciato per quel mattino, e ormai si erano quasi fatte le
due del pomeriggio senza che di loro apparisse traccia. Il comandante
britannico aveva pertanto deciso di attaccare; si trovava già in una posizione
perfetta a questo scopo, non doveva neanche cambiare rotta per condurre
l’attacco.
Alle 14.02, da una
distanza di 915 metri, il Rorqual aveva
lanciato cinque siluri – gli ultimi che gli erano rimasti – contro il
sommergibile italiano, su rotta approssimativamente di 85°: Dewhurst aveva
stimato che quest’ultimo avesse una velocità di 13 nodi (in realtà era
leggermente inferiore) ed aveva puntato partendo da metà lunghezza, in avanti.
Tra un siluro e l’altro aveva lasciato un intervallo di cinque secondi. 55
secondi dopo il lancio, uno dei siluri aveva centrato il bersaglio sotto la
torretta, e dopo altri cinque secondi un altro siluro l’aveva colpito a poppa:
quest’ultima, anzi, era stata una duplica esplosione, particolarmente violenta.
Forse erano stati due, anziché uno, i siluri che avevano colpito a poppa, o
forse il siluro che era andato a segno in quel punto aveva provocato a sua
volta l’esplosione dei siluri presenti in camera di lancio della vittima. La
prua del sommergibile italiano era rimasta visibile per pochi attimi dopo il
siluramento, protesa verso il cielo con un angolo di 60°, mentre il resto del
battello si era dissolto in una nuvola di fumo marrone, come disintegrato. Dewhurst
giudicò poco probabile che qualcuno potesse essere sopravvissuto. Alle 14.03 il
Rorqual era sceso in profondità per
20 minuti a scopo precauzionale, e nello stesso momento l’equipaggio britannico
aveva avvertito un’ulteriore esplosione: forse un siluro a fine corsa, forse
uno scoppio avvenuto nel sommergibile affondato. Alle 14.23, portatosi quota periscopica, il Rorqual non aveva avvistato più nulla; avendo finito i siluri,
Dewhurst aveva intrapreso la navigazione di rientro. L’attacco si era svolto 17
miglia a sud di Stromboli e 28 miglia a nordovest di Messina (o 10 miglia a
nord di Milazzo).
Date l’ora e la
posizione, la vittima del Rorqual non
poteva essere che il Pier Capponi.
Per la distruzione del sommergibile italiano, nell’ottobre 1941 Dewhurst era
stato insignito del Distinguished Service Order.
La Commissione
d’Inchiesta Speciale sulla perdita del Capponi,
composta dai capitani di vascello Giovanni Di Gropello (comandante in guerra dei
cacciatorpediniere Grecale ed Antoniotto Usodimare e poi della
corazzata Littorio) ed Araldo Fadin
(già comandante del cacciatorpediniere Daniele
Manin, affondato in Mar Rosso nel 1941) e presieduta dall’ammiraglio di
divisione Emilio Brenta, sembrò accennare una velata critica quando nella sua
relazione menzionò che «nessuna notizia
appare dalla documentazione che il sommergibile "CAPPONI" fosse
impossibilitato ad immergersi e la C.I.S. al proposito osserva che in tal caso
sarebbe stato opportuno non derogare dalle consuete norme di sicurezza che
prevedevano per le unità subacquee la navigazione in immersione durante le ore
diurne e in zone pericolose. D’altra parte la C.I.S. non esclude che la
notizia, certo nota a bordo, che l’unità si recava a La Spezia per il disarmo,
abbia provocato una certa distensione negli animi che si sia in definitiva
risolta in un allentamento della vigilanza». Si coglie qui l’occasione di
osservare, a proposito del fatto che il Capponi
stesse navigando in superficie, che già il telecifrato 13612 di Marina Messina
del 30 marzo 1941, che comunicava a Maricosom il programma per il trasferimento
del sommergibile da Messina a La Spezia, annunciava che il sommergibile avrebbe
compiuto il viaggio navigando in superficie. Ciò dà l’impressione che quella di
procedere emerso non fu una scelta del comandante Romei. Comunque sia, nel prosieguo
la relazione della C.I.S. affermava che «nessun
elemento è emerso che possa far dubitare di una eventuale responsabilità per la
perdita dell’unità da parte del Comandante o di qualche membro dell’equipaggio,
o che non siano state seguite le alte tradizioni di onore e di dovere della
Marina d’Italia (…) il Comandante,
Capitano di Corvetta ROMEI Romeo, anziano e valentissimo sommergibilista,
(…) si era molto distinto durante il
breve periodo di guerra compiuto».
La Commissione
d’Inchiesta Speciale terminò la propria relazione il 6 agosto 1947 e la inviò
al capo di Stato Maggiore della Marina, che dopo averla letta rispose con il
foglio d’ordini del 9 febbraio 1948, dichiarando di condividerne le
conclusioni: «Concordo con le conclusioni
della C.I.S. che nessuna responsabilità per la perdita dell’unità sia da
attribuirsi al Comandante o ad altra persona dell’equipaggio: tutti scomparsi
in mare con l’unità, si sono comportati secondo le più alte tradizioni di onore
e di dovere della Marina italiana. Nei riguardi di una maggiore esaltazione
dell’opera e della figura del Cap. di Corv. Romeo ROMEI (…) è in corso la proposta di commutazione della
Medaglia d’Argento sul campo, già concessa, in Medaglia d’Oro. Con la
concessione della massima ricompensa al V.M. si ritiene di dover riconoscere
l’opera coraggiosa, intelligente, di assoluta dedizione al dovere di detto
ufficiale superiore».
Se la Marina poté
così sapere fin dal 1947 come e quando il Pier
Capponi era stato affondato, i parenti dei dispersi non ne furono informati
ancora per molti anni, continuando a sapere soltanto che i loro cari
risultavano dispersi in mare con il loro sommergibile in data 12 aprile 1941.
Ancora il 31 maggio 1959, in una cerimonia commemorativa in memoria dei caduti
del Capponi e di altri sommergibili
tenuta presso la cripta di Magnanapoli a Roma, alla presenza degli ammiragli
Domenico Cavagnari (già capo di Stato Maggiore della Marina dal 1934 al 1940,
ormai ottantatreenne), Salvatore Pelosi (già comandante in guerra del sommergibile
Torricelli affondato in Mar Rosso) e
Giuseppe Roselli Lorenzini (già comandante di sommergibili in Atlantico durante
il conflitto: proprio lui, anzi, aveva ricevuto il comando del Cagni, che sarebbe dovuto andare a Romei
se questi non fosse morto nell’ultima missione del Capponi), nonché di numerosi parenti di caduti del Capponi tra cui Ciro Ammirati e la
vedova e la figlia del comandante Romei, il cappellano militare e gli ufficiali
chiamati a ricordare il Pier Capponi
ed il suo equipaggio parlarono di sommergibile dichiarato scomparso in mare,
senza menzionare che era stato affondato dal Rorqual.
Ciro Ammirati, figlio
del capo motorista Pasquale Ammirati disperso sul Pier Capponi, seppe che il sommergibile era stato affondato dal Rorqual al largo di Stromboli solo
parecchi anni più tardi, quasi per caso, da una zia di Venezia. Altri tra i
parenti dei dispersi, o tra i “miracolati” sbarcati a Messina prima della
partenza, che sul Capponi avevano
perso i compagni di tante vicissitudini belliche, seppero la verità solo quando
fu pubblicata in Italia, nel 1965, la traduzione del libro "Battle for the
Mediterranean" del comandante britannico Donald Macintyre, nel quale si
accennava brevemente, tra una pagina e l’altra, all’affondamento del Pier Capponi da parte del Rorqual. Macintyre non era, peraltro, il
primo a rivelare in un libro la sorte del Capponi;
già due anni prima, nel 1963, era stato pubblicato proprio dall’U.S.M.M. il
volume "I sommergibili italiani 1895-1962", a cura del capitano di
vascello Paolo Mario Pollina, nel quale si menzionava che «Il Capponi andò perduto il 31 marzo 1941 a Sud di Stromboli mentre si
trasferiva da Messina a La Spezia, quasi certamente per siluramento da parte
del Smg. britannico Rorqual».
Insieme con le
circostanze della perdita del Capponi,
nel dopoguerra lo Stato Maggiore della Marina riesaminò anche la questione
dell’azione del 10 novembre 1940. Risultava ormai evidente che l’attacco del Pier Capponi in quella data,
contrariamente a quanto ritenuto in precedenza, non aveva portato all’affondamento
di una corazzata britannica, né di altra nave nemica (anche se stranamente,
nonostante le informazioni di fonte britannica lo negassero, il capo di Stato
Maggiore della Marina affermava che «si
può però affermare con fondati elementi che nell’azione fu silurata una nave
maggiore britannica, probabilmente il RAMILLIES»; ancora nel 1947 i membri
della Commissione d’Inchiesta Speciale sull’affondamento del Capponi sembravano incredibilmente
ritenere che non solo la Ramillies
fosse stata silurata, ma addirittura che potesse essere forse stata anche
affondata, benché in quell’anno questa nave fosse ancora a galla, ancorché
radiata nel 1946 ed in attesa di demolizione); nel rilevare questo fatto,
tuttavia, il capo di Stato Maggiore della Marina puntualizzò nel febbraio 1948 che
«l’attacco fu condotto (…) con elevato spirito aggressivo, nonostante
le precarie condizioni dell’unità in seguito alle gravi avarie riportate per la
caccia subita durante il giorno da parte di unità antisommergibili britanniche.
Il fatto che l’azione non si sia conclusa con l’affondamento dell’unità colpita
[sic] non diminuisce sostanzialmente il
merito del Comandante e dell’equipaggio che hanno fatto tutto il possibile per
ottenere il massimo rendimento dai mezzi e dalle armi disponibili. (…) Il Cap. di
Corv. ROMEO ROMEI (…) ha
confermato in tale azione le sue brillanti doti di combattente deciso e fermo e
la sua particolare attitudine di sommergibilista». Inoltre, «Il valore della sua opera di comando, alla
luce delle attuali conoscenze, risulta ancora più evidente, in quanto si può
con giusta valutazione rilevare come l’impiego dell’unità effettuato dal
Comandante Romei in varie azioni belliche fosse il più adeguato alle
caratteristiche della moderna tattica subacquea anche se in contrasto con le
direttive esistenti nell’epoca». Sulla base di ciò, venne deciso non solo
di mantenere la Medaglia d’Argento al Valor Militare conferita al comandante
Romei per l’azione del 10 novembre 1940, ma anche di commutarla in Medaglia
d’Oro, alla memoria, in riconoscimento «non
solo [del]la particolare azione del
10 novembre 1940 ma [di] tutta la sua
opera di sommergibilista». La commutazione avvenne nel 1949, la motivazione
della decorazione fu: «Comandante di sommergibile si distingueva sin
dall’inizio del conflitto per perizia e valore. All’agguato in prossimità di
importante base avversaria, attaccato di giorno da unità leggere di superficie,
riusciva con insigne bravura a sfuggire alla caccia, nonostante le notevoli
avarie che avevano menomato sensibilmente la possibilità di manovra della sua
unità. Con coraggiosa determinazione e sicuro intuito manteneva ancora
l’agguato nella zona e poteva così avvistare, in ore notturne, grossa
formazione navale avversaria composta di una portaerei, di due navi da
battaglia e di vari incrociatori e CC.TT. Precorrendo le teorie di impiego,
successivamente adottate dai sommergibili, conduceva risolutamente in
superficie l’attacco alla formazione e, pur di raggiungere il suo audace
intento non esitava ad impiegare un motore termico in parziale avaria che con
il rilevante fumo di scarico avrebbe potuto rivelare la sua presenza al nemico.
Portato a fondo l’attacco colpiva con due siluri una corazzata avversaria e con
un terzo, probabilmente, un’altra unità, prendendo l’immersione soltanto dopo
aver constatato l’avvenuto scoppio delle armi. Nel corso di successiva missione
scompariva in mare con la propria unità. Esempio di sereno ardimento, di
eccezionale tempra di combattente e di elevate virtù militari. Canale di
Sicilia, notte del 10 novembre 1940; Basso Tirreno, 31 marzo 1941». Mentre la motivazione, rispetto a quella
della precedente Medaglia d’Argento, era stata estesa in modo da
abbracciare tutto il servizio di guerra del comandante Romei, vi si mantenne
comunque, stranamente, il riferimento all’avvenuto siluramento di una
corazzata, nonostante le informazioni ottenute dall’ex nemico a guerra finita.
Pietro Caporilli, il
giornalista che nelle missioni come corrispondente di guerra era diventato
fraterno amico di Romeo Romei e che tanto aveva scritto sulle sue gesta,
apprese che il Capponi era stato
affondato dal Rorqual più di tre anni
dopo la fine della guerra, nell’ottobre del 1948. Non soddisfatto dal poco che
aveva potuto sapere attraverso la Marina o dalla lettura della storia ufficiale
della Royal Navy (Naval Staff History, Vol. II, Submarines: «…Il giorno seguente il sommergibile Pier
Capponi (800 ton.) pagò la sua imprudenza di navigare in superficie durante il
giorno, rimanendo colpito da due siluri…»), nei decenni successivi
Caporilli proseguì nelle sue ricerche sulla sorte del Capponi e del comandante che era stato il suo migliore amico in
tempo di guerra, scrivendo all’ammiragliato britannico per ottenere il rapporto
di missione del Rorqual, che
ricevette, ed anche l’indirizzo del comandante Dewhurst: negli anni Settanta questi
era ancora in vita, residente a Rotorua, in Nuova Zelanda. Rispose cortesemente
alla lettera di Caporilli, con una missiva datata 5 maggio 1976 in cui riassumeva
quanto ricordava su quell’episodio: "Signor
Caporilli, sono spiacente di non aver risposto prima alla sua lettera. La prego
di scusarmi. Non ho la copia del rapporto di missione che feci all'Ammiraglio
sull'azione che lei mi ha accennato, ma i particolari sono ancora vivi nella mia
memoria e posso chiarire più ampiamente quanto lei già sa. Io ero in
missione nello Stretto di Messina a circa dieci miglia a nord della città .
Ero stato avvertito che importanti forze navali italiane erano attese in mattinata
nella zona a nord dello stretto ma nessun segno di queste apparve
all'orizzonte. Nel primo pomeriggio un sommergibile sbucò fuori o dal porto o
dallo stretto con rotta nord. Il tempo era bello e il mare era molto calmo
quasi uno specchio rendendo l'attacco difficile. Lanciai cinque siluri a circa
novecento metri di distanza cui fecero seguito tre esplosioni. A causa delle
condizioni del mare presi la speciale precauzione di evitare l'emersione per
cui non mi fu possibile vedere i siluri colpire il bersaglio. Ma quando risalii
a quota periscopica circa un minuto più tardi, vidi soltanto una coltre di
fumo. Io continuai ad avvicinarmi al luogo dell' affondamento ma non vidi alcun
segno di vita. Non posso dare maggiori particolari sull'affondamento del sommergibile
perchè due cacciatorpedinieri mossero contro di me per affondarmi.
Spero che ciò possa essere utile al suo lavoro e si abbia i miei migliori saluti".
Spero che ciò possa essere utile al suo lavoro e si abbia i miei migliori saluti".
(foto tratta dal libro “Mare grosso forza 6… Luna abbastanza alta”, di Daniela Stanco e Patrizia Giuliani) |
L’affondamento del Pier Capponi nel giornale di bordo del Rorqual (da Uboat.net):
“1337 hours - In position 38°32N, 15°19'E heard HE bearing 140°.
1339 hours - Sighted something on the horizon. This was later seen to be
an Italian submarine. Started attack.
1402 hours - Fired 5 torpedoes from 1000 yards. Two hits were obtained
and the submarine sank rapidly.”
Traduzione del
rapporto di missione del Rorqual, con
maggiori dettagli (da “Guerra negli abissi” di Pietro Caporilli):
"Lunedì 31 marzo 1941
05,44 - Immersione a S.E. dello Stromboli. Proseguiamo verso lo stretto di Messina.
06,19-Rilevamento idrofonico 185. Quota periscopio, mare calmo senza traccia d’onde, luce ancora scarsa.
06,25 - Avvistata una nave che più tardi risultò essere due cacciatorpediniere del tipo "Dardo" e "Oriani" che filavano a due miglia di distanza alla velocità di circa 18 nodi. Il rilevamento idrofonico dei caccia fu udito fino alle 0700 in ottime condizioni acustiche e fino a 8 miglia di distanza.
09,09 - Avvistato aereo ghibli che è passato molto vicino.
Immersione alle ore 12.000.
13,37-Posizione 38,32, n. 15,19. E con mare quasi calmo, agli idrofoni rilevamento 140.
13,39-Avvistato un punto all'orizzonte. Più tardi venne identificato per un sommergibile italiano e iniziammo l'attacco. In base alle istruzioni contenute nel Captoun (S) l'S 23 29/29 il comandante era in dubbio se doveva procedere all'attacco avendo constatato che i caccia avvistati erano destinati a scortare le navi danneggiate alla battaglia di Capo Mapatan - n.d.A.) ma essendo il Rorqual giunto in ritardo in zona, non aveva altra alternativa.
Questa decisione venne confermata più tardi vedendo due caccia dirigere per occidente.
"Il sommergibile venne riconosciuto come appartenente alla classe "Calvi" e procedeva su una rotta costante di 325 passando a sud dello Stromboli.
14.02 - Lanciata una salva di 5 siluri con rotta approssimativa di 85 stimando una velocità di 13 nodi e puntando mezza lunghezza avanti. Lancio a intervalli di 5 secondi. 55 secondi dopo il sommergibile fu colpito sotto la torretta, 5 secondi più tardi fu colpito ancora nella parte posteriore provocando una violenta e doppia esplosione che potrebbe essere stata causata da due siluri in rapida successione o dal secondo siluro provocando l'esplosione dei siluri del sommergibile colpito. La prua del sommergibile rimase in vista per pochi secondi con una inclinazione di 60 gradi in alto. Il resto del sommergibile fu disintegrato in una nube di fumo marrone. E' improbabile che ci fossero superstiti.
14.03 - Ci immergemmo per 20 minuti come precauzione contro un attacco aereo.
14,03-Un'esplosione fu dovuta a uno dei siluri alla fine della sua corsa, oppure dal sommergibile affondato.
14,23 - Quota periscopica. Niente in vista, esauriti i siluri procediamo per lasciare la zona di agguato.
17,49 - Rilevamento idrofonico 115.
17,51 -Avvistati due cacciatorpediniere identificati più tardi per i tipi "Oriani" con le lettere di identificazione GR e SN pitturate sulla prua. I caccia passarono a 4000 yards di distanza dal Rorqual seguendo la rotta di 305 ad una velocità di 20 nodi doppiando lo Stromboli sulla destra. Il rilevamento idrofonico dei caccia è durato fino alle 18,35 e è fin quando furono fuori vista a circa 6 miglia.
"Quando passammo lo Stromboli a 4 miglia di distanza prima di risalire in superficie, avvertimmo un violento cannoneggiamento. Tenendoci vicino all'isola avremmo avuto un ottimo rifugio in caso di incursione aerea. Emersione per il viaggio di ritorno".
05,44 - Immersione a S.E. dello Stromboli. Proseguiamo verso lo stretto di Messina.
06,19-Rilevamento idrofonico 185. Quota periscopio, mare calmo senza traccia d’onde, luce ancora scarsa.
06,25 - Avvistata una nave che più tardi risultò essere due cacciatorpediniere del tipo "Dardo" e "Oriani" che filavano a due miglia di distanza alla velocità di circa 18 nodi. Il rilevamento idrofonico dei caccia fu udito fino alle 0700 in ottime condizioni acustiche e fino a 8 miglia di distanza.
09,09 - Avvistato aereo ghibli che è passato molto vicino.
Immersione alle ore 12.000.
13,37-Posizione 38,32, n. 15,19. E con mare quasi calmo, agli idrofoni rilevamento 140.
13,39-Avvistato un punto all'orizzonte. Più tardi venne identificato per un sommergibile italiano e iniziammo l'attacco. In base alle istruzioni contenute nel Captoun (S) l'S 23 29/29 il comandante era in dubbio se doveva procedere all'attacco avendo constatato che i caccia avvistati erano destinati a scortare le navi danneggiate alla battaglia di Capo Mapatan - n.d.A.) ma essendo il Rorqual giunto in ritardo in zona, non aveva altra alternativa.
Questa decisione venne confermata più tardi vedendo due caccia dirigere per occidente.
"Il sommergibile venne riconosciuto come appartenente alla classe "Calvi" e procedeva su una rotta costante di 325 passando a sud dello Stromboli.
14.02 - Lanciata una salva di 5 siluri con rotta approssimativa di 85 stimando una velocità di 13 nodi e puntando mezza lunghezza avanti. Lancio a intervalli di 5 secondi. 55 secondi dopo il sommergibile fu colpito sotto la torretta, 5 secondi più tardi fu colpito ancora nella parte posteriore provocando una violenta e doppia esplosione che potrebbe essere stata causata da due siluri in rapida successione o dal secondo siluro provocando l'esplosione dei siluri del sommergibile colpito. La prua del sommergibile rimase in vista per pochi secondi con una inclinazione di 60 gradi in alto. Il resto del sommergibile fu disintegrato in una nube di fumo marrone. E' improbabile che ci fossero superstiti.
14.03 - Ci immergemmo per 20 minuti come precauzione contro un attacco aereo.
14,03-Un'esplosione fu dovuta a uno dei siluri alla fine della sua corsa, oppure dal sommergibile affondato.
14,23 - Quota periscopica. Niente in vista, esauriti i siluri procediamo per lasciare la zona di agguato.
17,49 - Rilevamento idrofonico 115.
17,51 -Avvistati due cacciatorpediniere identificati più tardi per i tipi "Oriani" con le lettere di identificazione GR e SN pitturate sulla prua. I caccia passarono a 4000 yards di distanza dal Rorqual seguendo la rotta di 305 ad una velocità di 20 nodi doppiando lo Stromboli sulla destra. Il rilevamento idrofonico dei caccia è durato fino alle 18,35 e è fin quando furono fuori vista a circa 6 miglia.
"Quando passammo lo Stromboli a 4 miglia di distanza prima di risalire in superficie, avvertimmo un violento cannoneggiamento. Tenendoci vicino all'isola avremmo avuto un ottimo rifugio in caso di incursione aerea. Emersione per il viaggio di ritorno".
Un articolo
dell’epoca, scritto dal giornalista Pietro Caporilli, sull’episodio di cui il Capponi fu protagonista nelle acque di
Malta il 12 giugno 1940 (il tono è quello, decisamente enfatico, della stampa
italiana del ventennio):
"…Improvvisamente dietro l'isolotto, ecco
spuntare la prora di un cacciasommergibili inglese che dirige con rotta inclinata
in modo da tagliare al Capponi ogni possibilità di allontanarsi dalla costa;
d'immergersi non c'è tempo ed è troppo breve la distanza per sfuggire, più che
a uno speronamento, alle bombe di profondità, dati i bassi fondali in vicinanza
dell'isola. È nella drammaticità di questo attimo che il coraggio e la
freddezza del comandante Romei toccano il leggendario. Vedendo un sommergibile
avvicinarsi così tranquillamente in emersione, con la vecchia bandiera a riva i
cui colori non erano stati certamente identificati, il cacciasommergibili ha un
attimo di esitazione a prua si affolla la gente di coperta curiosa di sapere
cosa è questa storia. Il comandante Romei gesticola, facendo segni di saluto
col passamontagna, mentre Stea e il puntatore Bumbaca si tengono a portata
delle mitragliatrici pronti a vender cara la pelle. La camera di lancio di
prora ha avuto il "pronti" nella eventualità che il caccia, il quale
essendo di prua non offre un bersaglio utile, capiti in posizione buona. Intanto
il marconista del nostro sommergibile intercetta in chiaro il susseguirsi delle
segnalazioni del caccia nemico che dicono;
- Sommergibile francese sembra voglia arrendersi!
- Sommergibile non est francese ma italiano.
- Sommergibile ha aperto il fuoco. Chiedo intervento di forze aeronavali.
La commedia è difatti durata fino a quando la distanza s'è raccorciata a settanta metri circa. L'espressione degli uomini del Pier Capponi è quella delle estreme decisioni. Il tenente Stea e il mitragliere Bumbaca si avventano alle mitragliatrici ed iniziano il fuoco. Le armi sgranano a sventagliate il loro rosario di morte contro gli uomini che dalla prua del cacciasommergibili stavano lì a curiosare, il tiro bene aggiustato dei caricatori che si vuotano con rapidità fulminea, falcia inesorabilmente tutti, fra alte grida di dolore.
Ne nasce un pandemonio. Razzi s'alzano contro il cielo invocando aiuto anche dalle batterie costiere. Con rapida manovra, prima ancora che a bordo della nave nemica, decimata nell'equipaggio e sbalordita dalla sgradevole sorpresa, il Capponi si disimpegna, emettendo a protezione cortine fumogene e puntando verso il largo per un rapida immersione. Intanto anche le batterie costiere di Marsa Scirocco aprono il fuoco.
I colpi piovono sollevando funghi d'acqua intorno allo scafo, che con i motori termici fila a tutta forza. D'improvviso uno schianto contro le lamiere fa sussultare il comandante Romei che dalla torretta domina la critica situazione.
Un colpo ha raggiunto a poppa il sommergibile che, decisamente, ha la fortuna dalla sua, perché nessuna via d'acqua ha invaso il battello; solo le lamiere esterne sono state lacerate dal colpo arrivato a segno. L'allarme intanto farà sì che dal porto de La Valletta una muta di siluranti ed aerei si lanci alla caccia e non c'è altro da fare che immergersi, giocando ancora d'astuzia. Due fischi di sirena e il Pier Capponi s'inabissa nell'attimo in cui le batterie costiere hanno inquadrato il tiro, tanto che un altro colpo esplode in prossimità della torretta che una scheggia fora sul lato sinistro.
Anche il caccia giocato ha aperto il fuoco col cannone prodiero, dirigendo con l'evidente intenzione di speronare, sul punto in cui il sommergibile s'inabissa. A tutto vapore altri due caccia, arrivano di rinforzo.
Dalla fessura praticata dalla scheggia, l'acqua ha allagato rapidamente tutta la torretta che oltre ad appesantire di ben otto tonnellate il sommergibile, ne compromette anche la stabilità. La situazione è grave ma il giuoco d'astuzia continua. Il comandante Romei ordina di tornare indietro facendo rotta, cioè, verso il porto nemico di La Valletta. Qui, pensa, non verranno a cercarci! I motori elettrici sibilano sotto lo sforzo massimo cui sono sottoposti mentre la discesa continua rapida: sessanta. .. ottanta... cento metri. La caccia si manifesta rabbiosa attraverso le comunicazioni che ad alta voce il sottocapo agli idrofoni Gemme trasmette dalla cabina di ascoltazione. Le esplosioni però, come aveva previsto il freddo calcolo del comandante, si allontanano sempre più. Finalmente la discesa si arresta. Con dolce dondolio il Pier Capponi si posa sul fondo. La lancetta del manometro si arresta sui 102 metri! Tutti tirano un sospiro di sollievo e col solito straordinario ottimismo Romei, ridendo, commenta: - Bene siamo andati! Dalla torretta allagata intanto, sotto la forte pressione, l'acqua stilla giù provocando avarie d'ogni genere. L'orologio segna le 13,30: fino alle 22 e cioè col favore delle tenebre, è inutile pensare di venire in superficie. Ma sarà poi possibile l'emersione col sommergibile appesantito da otto tonnellate d'acqua e con le scorte d'aria compressa pressoché esaurite? Per quindici ore questa domanda martella il cervello del comandante, dei suoi ufficiali e dell'equipaggio, che non possono ignorare la situazione. I manometri sono dei congegni, a bordo di un sommergibile, sui quali a lungo andare sa leggere anche il cuoco. Nessuna penna potrà mai rendere quelle ore posati sul fondo di un porto nemico. Una serenità ascetica domina l'equipaggio eroico. Il cuoco Rima mescola l'impossibile nelle sue casseruole elettriche serve i pasti e il caffè con insolita generosità. Nessuno si scompone. Tutti sono ai loro posti. C'è chi legge e c'è chi ha il coraggio di schiacciarci su, al dramma, un pisolino. Ad un certo momento le infiltrazioni d'acqua mettono in avaria il circuito luce. Tutte le lampadine si spengono ed è necessario ricorrere alla scialba illuminazione degli accumulatori di riserva. Il mitragliere Bumbaca, il più scanzonato dell'equipaggio, non ha perduto il suo buon umore neanche quando verso sera i primi colpi di tosse denunciano la comparsa del più terribile nemico a bordo di un sommergibile: il cloro!
Com'è noto, questo gas altamente tossico si forma quando l'acqua salata viene a contatto con l'acido cloridrico degli accumulatori elettrici. Il comandante è nella sua angusta cuccetta, ma non dorme mai. Come faccia a resistere nessuno sa spiegarselo. Pisola qualche attimo, seduto, ma le orecchie sono sempre vigili. Ai primi colpi di tosse balza fuori: - Mettete subito le maschere!
La respirazione è greve, ma, sia pure con l'anima fra i denti, si resiste. Il comandante, mentre si procede alla distribuzione delle maschere, percorre da prora a poppa tutti i locali del battello. Sulle facce, cui la barba incolta, l'insonnia e il disagio, hanno scavato i loro segni, non un nervo si contrae. È un equipaggio che si è "tirato su" in pace per la guerra. Cinquantaquattro uomini e una volontà sola. Finalmente l'ora della prova suprema, che deciderà del ritorno alla vita o della morte lenta in quella bara d'acciaio, si avvicina. Alle 21,30, non senza una certa emozione per l'incognita cui si va incontro, Romei ordina: - In moto la pompa dell'esaurimento centrale! Aria all'emersione!
Sotto l'azione del volantino l'aria compressa sibila nei doppi fondi, ma la lancetta del manometro rimane ferma sui 102 metri; il sommergibile è come inchiodato sul fondo del mare. Si prova ancora: niente! Non rimane che un tentativo disperato, l'ultimo, e cioè quello di smuovere dal fondo il sommergibile mettendo in moto le eliche coi motori elettrici a rischio di fracassarle, e azionare contemporaneamente l'aria compressa. Prima di dare quello che potrebbe essere l'ultimo ordine, il comandante Romei si avvicina al microfono dell'interfonico in camera di manovra e, togliendosi la maschera, ordina – A tutti i locali, attenzione! - e poi dice queste brevi terribili parole al suo fedele equipaggio: - Ragazzi, la situazione è disperata. Abbiamo un solo tentativo ancora da fare, fallito il quale sapete la fine che ci attende. Ciò rientra del resto nell'ordine normale della nostra vita di sommergibilisti in difesa della Patria alla quale abbiamo votato la nostra esistenza. Se il destino dovrà compiersi la nostra coscienza di soldati è tranquilla. Noi abbiamo fatto tutto il nostro dovere. Altri camerati ci vendicheranno!
Segue una breve pausa, un silenzio soprannaturale e poi l'ordine: - Timori orizzontali a salire... motori elettrici avanti al minimo di giri... tutta l'aria all'emersione!
Il momento è il più drammatico che mente umana possa immaginare. La vita di tutti è legata a un sottilissimo filo. Tutti i respiri sono sospesi. Solo i cuori forse avranno accelerato i loro battiti. Dopo un attimo si ode, sotto i piedi il lento frusciare dello scafo sul fondo; poi il sommergibile resta un po' in forse, ondeggia leggermente come per scrollarsi un grosso peso di dosso e subito la lancetta del manometro di profondità prende a tornare lentamente indietro.
- Sale! - è il grido soffocato di tutti attraverso la maschera. Quell'attimo di angoscia in cui dietro le grandi occhiaie di celluloide gli uomini in camera di manovra fissavano il manometro, è una visione impossibile a rendere con la penna! Come Dio vuole, lentissimamente si arriva in superficie. Dal portello di prora Romei, il nostromo Rigon e il marinaio De Donno, saltano in coperta per dare un'occhiata all'intorno; per fortuna tutto è tranquillo. Solo quattro proiettori da terra, frugano sulle acque con il loro enorme occhio ed uno di essi centra per qualche attimo il lungo fuso del sommergibile e poi riprende la sua corsa di esplorazione. Cautamente coi motori elettrici, il Pier Capponi si allontana da quella zona pericolosa. Intanto nell'interno dello scafo si procede allo svuotamento della torretta che è possibile solo mercé la forza erculea del motorista Toson il quale, puntando testa e braccia come una cariatide, riesce a spostare il portello della torretta di quel tanto necessario a provocare la caduta delle otto tonnellate d'acqua in camera di manovra e che via via vengono espulse dallo scafo con la pompa della sentina. Anche l'avviamento dei motori termici, a causa dello esaurimento dell'aria compressa, da dei seri grattacapi. Tre tentativi falliscono mentre i riflettori sciabolano il mare; finalmente al quarto avviamento fatto con l'ultimo residuo di aria a 50 Kg i motori accennano a partire, ma ormai la vita, strappata al destino coi denti, ha centuplicato il coraggio degli uomini. Prima il motore di dritta e successivamente l'altro sia pure zoppicando, riprendono a rombare.
- Anche questa è andata! - esclama Romei.
La prua verso casa, il sommergibile fila allegramente per il rientro. Alla base, il capogruppo Longobardo che lo aspettava da due giorni, era nero di peste. Purtroppo egli, vecchio sommergibilista, sapeva cosa dover pensare quando un battello è in così lungo ritardo su l'ora prevista per il ritorno.
- Speriamo che non ci abbia lasciate le penne! - non faceva che dire. E quando il semaforo segnalò che stava rientrando il Capponi, la sua voce tuonò come quella di un profeta in tempesta. In un battibaleno tutto il personale della base fu mobilitato per ricevere con particolare effusione il figliol prodigo.
Mentre da bordo tirano la cima per attraccare, Longobardo grida:
- Romei! Non ci mettere più di questi spaventi! - Poi lo abbraccia fraternamente.
Sulle lamiere di poppa e della torretta, il sole baciava le ferite delle granate nemiche".
- Sommergibile francese sembra voglia arrendersi!
- Sommergibile non est francese ma italiano.
- Sommergibile ha aperto il fuoco. Chiedo intervento di forze aeronavali.
La commedia è difatti durata fino a quando la distanza s'è raccorciata a settanta metri circa. L'espressione degli uomini del Pier Capponi è quella delle estreme decisioni. Il tenente Stea e il mitragliere Bumbaca si avventano alle mitragliatrici ed iniziano il fuoco. Le armi sgranano a sventagliate il loro rosario di morte contro gli uomini che dalla prua del cacciasommergibili stavano lì a curiosare, il tiro bene aggiustato dei caricatori che si vuotano con rapidità fulminea, falcia inesorabilmente tutti, fra alte grida di dolore.
Ne nasce un pandemonio. Razzi s'alzano contro il cielo invocando aiuto anche dalle batterie costiere. Con rapida manovra, prima ancora che a bordo della nave nemica, decimata nell'equipaggio e sbalordita dalla sgradevole sorpresa, il Capponi si disimpegna, emettendo a protezione cortine fumogene e puntando verso il largo per un rapida immersione. Intanto anche le batterie costiere di Marsa Scirocco aprono il fuoco.
I colpi piovono sollevando funghi d'acqua intorno allo scafo, che con i motori termici fila a tutta forza. D'improvviso uno schianto contro le lamiere fa sussultare il comandante Romei che dalla torretta domina la critica situazione.
Un colpo ha raggiunto a poppa il sommergibile che, decisamente, ha la fortuna dalla sua, perché nessuna via d'acqua ha invaso il battello; solo le lamiere esterne sono state lacerate dal colpo arrivato a segno. L'allarme intanto farà sì che dal porto de La Valletta una muta di siluranti ed aerei si lanci alla caccia e non c'è altro da fare che immergersi, giocando ancora d'astuzia. Due fischi di sirena e il Pier Capponi s'inabissa nell'attimo in cui le batterie costiere hanno inquadrato il tiro, tanto che un altro colpo esplode in prossimità della torretta che una scheggia fora sul lato sinistro.
Anche il caccia giocato ha aperto il fuoco col cannone prodiero, dirigendo con l'evidente intenzione di speronare, sul punto in cui il sommergibile s'inabissa. A tutto vapore altri due caccia, arrivano di rinforzo.
Dalla fessura praticata dalla scheggia, l'acqua ha allagato rapidamente tutta la torretta che oltre ad appesantire di ben otto tonnellate il sommergibile, ne compromette anche la stabilità. La situazione è grave ma il giuoco d'astuzia continua. Il comandante Romei ordina di tornare indietro facendo rotta, cioè, verso il porto nemico di La Valletta. Qui, pensa, non verranno a cercarci! I motori elettrici sibilano sotto lo sforzo massimo cui sono sottoposti mentre la discesa continua rapida: sessanta. .. ottanta... cento metri. La caccia si manifesta rabbiosa attraverso le comunicazioni che ad alta voce il sottocapo agli idrofoni Gemme trasmette dalla cabina di ascoltazione. Le esplosioni però, come aveva previsto il freddo calcolo del comandante, si allontanano sempre più. Finalmente la discesa si arresta. Con dolce dondolio il Pier Capponi si posa sul fondo. La lancetta del manometro si arresta sui 102 metri! Tutti tirano un sospiro di sollievo e col solito straordinario ottimismo Romei, ridendo, commenta: - Bene siamo andati! Dalla torretta allagata intanto, sotto la forte pressione, l'acqua stilla giù provocando avarie d'ogni genere. L'orologio segna le 13,30: fino alle 22 e cioè col favore delle tenebre, è inutile pensare di venire in superficie. Ma sarà poi possibile l'emersione col sommergibile appesantito da otto tonnellate d'acqua e con le scorte d'aria compressa pressoché esaurite? Per quindici ore questa domanda martella il cervello del comandante, dei suoi ufficiali e dell'equipaggio, che non possono ignorare la situazione. I manometri sono dei congegni, a bordo di un sommergibile, sui quali a lungo andare sa leggere anche il cuoco. Nessuna penna potrà mai rendere quelle ore posati sul fondo di un porto nemico. Una serenità ascetica domina l'equipaggio eroico. Il cuoco Rima mescola l'impossibile nelle sue casseruole elettriche serve i pasti e il caffè con insolita generosità. Nessuno si scompone. Tutti sono ai loro posti. C'è chi legge e c'è chi ha il coraggio di schiacciarci su, al dramma, un pisolino. Ad un certo momento le infiltrazioni d'acqua mettono in avaria il circuito luce. Tutte le lampadine si spengono ed è necessario ricorrere alla scialba illuminazione degli accumulatori di riserva. Il mitragliere Bumbaca, il più scanzonato dell'equipaggio, non ha perduto il suo buon umore neanche quando verso sera i primi colpi di tosse denunciano la comparsa del più terribile nemico a bordo di un sommergibile: il cloro!
Com'è noto, questo gas altamente tossico si forma quando l'acqua salata viene a contatto con l'acido cloridrico degli accumulatori elettrici. Il comandante è nella sua angusta cuccetta, ma non dorme mai. Come faccia a resistere nessuno sa spiegarselo. Pisola qualche attimo, seduto, ma le orecchie sono sempre vigili. Ai primi colpi di tosse balza fuori: - Mettete subito le maschere!
La respirazione è greve, ma, sia pure con l'anima fra i denti, si resiste. Il comandante, mentre si procede alla distribuzione delle maschere, percorre da prora a poppa tutti i locali del battello. Sulle facce, cui la barba incolta, l'insonnia e il disagio, hanno scavato i loro segni, non un nervo si contrae. È un equipaggio che si è "tirato su" in pace per la guerra. Cinquantaquattro uomini e una volontà sola. Finalmente l'ora della prova suprema, che deciderà del ritorno alla vita o della morte lenta in quella bara d'acciaio, si avvicina. Alle 21,30, non senza una certa emozione per l'incognita cui si va incontro, Romei ordina: - In moto la pompa dell'esaurimento centrale! Aria all'emersione!
Sotto l'azione del volantino l'aria compressa sibila nei doppi fondi, ma la lancetta del manometro rimane ferma sui 102 metri; il sommergibile è come inchiodato sul fondo del mare. Si prova ancora: niente! Non rimane che un tentativo disperato, l'ultimo, e cioè quello di smuovere dal fondo il sommergibile mettendo in moto le eliche coi motori elettrici a rischio di fracassarle, e azionare contemporaneamente l'aria compressa. Prima di dare quello che potrebbe essere l'ultimo ordine, il comandante Romei si avvicina al microfono dell'interfonico in camera di manovra e, togliendosi la maschera, ordina – A tutti i locali, attenzione! - e poi dice queste brevi terribili parole al suo fedele equipaggio: - Ragazzi, la situazione è disperata. Abbiamo un solo tentativo ancora da fare, fallito il quale sapete la fine che ci attende. Ciò rientra del resto nell'ordine normale della nostra vita di sommergibilisti in difesa della Patria alla quale abbiamo votato la nostra esistenza. Se il destino dovrà compiersi la nostra coscienza di soldati è tranquilla. Noi abbiamo fatto tutto il nostro dovere. Altri camerati ci vendicheranno!
Segue una breve pausa, un silenzio soprannaturale e poi l'ordine: - Timori orizzontali a salire... motori elettrici avanti al minimo di giri... tutta l'aria all'emersione!
Il momento è il più drammatico che mente umana possa immaginare. La vita di tutti è legata a un sottilissimo filo. Tutti i respiri sono sospesi. Solo i cuori forse avranno accelerato i loro battiti. Dopo un attimo si ode, sotto i piedi il lento frusciare dello scafo sul fondo; poi il sommergibile resta un po' in forse, ondeggia leggermente come per scrollarsi un grosso peso di dosso e subito la lancetta del manometro di profondità prende a tornare lentamente indietro.
- Sale! - è il grido soffocato di tutti attraverso la maschera. Quell'attimo di angoscia in cui dietro le grandi occhiaie di celluloide gli uomini in camera di manovra fissavano il manometro, è una visione impossibile a rendere con la penna! Come Dio vuole, lentissimamente si arriva in superficie. Dal portello di prora Romei, il nostromo Rigon e il marinaio De Donno, saltano in coperta per dare un'occhiata all'intorno; per fortuna tutto è tranquillo. Solo quattro proiettori da terra, frugano sulle acque con il loro enorme occhio ed uno di essi centra per qualche attimo il lungo fuso del sommergibile e poi riprende la sua corsa di esplorazione. Cautamente coi motori elettrici, il Pier Capponi si allontana da quella zona pericolosa. Intanto nell'interno dello scafo si procede allo svuotamento della torretta che è possibile solo mercé la forza erculea del motorista Toson il quale, puntando testa e braccia come una cariatide, riesce a spostare il portello della torretta di quel tanto necessario a provocare la caduta delle otto tonnellate d'acqua in camera di manovra e che via via vengono espulse dallo scafo con la pompa della sentina. Anche l'avviamento dei motori termici, a causa dello esaurimento dell'aria compressa, da dei seri grattacapi. Tre tentativi falliscono mentre i riflettori sciabolano il mare; finalmente al quarto avviamento fatto con l'ultimo residuo di aria a 50 Kg i motori accennano a partire, ma ormai la vita, strappata al destino coi denti, ha centuplicato il coraggio degli uomini. Prima il motore di dritta e successivamente l'altro sia pure zoppicando, riprendono a rombare.
- Anche questa è andata! - esclama Romei.
La prua verso casa, il sommergibile fila allegramente per il rientro. Alla base, il capogruppo Longobardo che lo aspettava da due giorni, era nero di peste. Purtroppo egli, vecchio sommergibilista, sapeva cosa dover pensare quando un battello è in così lungo ritardo su l'ora prevista per il ritorno.
- Speriamo che non ci abbia lasciate le penne! - non faceva che dire. E quando il semaforo segnalò che stava rientrando il Capponi, la sua voce tuonò come quella di un profeta in tempesta. In un battibaleno tutto il personale della base fu mobilitato per ricevere con particolare effusione il figliol prodigo.
Mentre da bordo tirano la cima per attraccare, Longobardo grida:
- Romei! Non ci mettere più di questi spaventi! - Poi lo abbraccia fraternamente.
Sulle lamiere di poppa e della torretta, il sole baciava le ferite delle granate nemiche".
Romeo Romei non e nato a Castelnuovo d'Istria, bensi Castelnuovo (Bocche di Cattaro)
RispondiEliminaHa ragione: correggo subito.
EliminaBgiorno. Il Capponi dal 22 dicembre 1936 fu al comando del CC Domenico Emiliani.
RispondiEliminaGrazie, aggiungo.
Elimina