L’Ascianghi con l’equipaggio schierato in coperta (Coll. Giovanni Soprano, dall’Almanacco Navale del 1939, via Marcello Risolo e www.naviearmatori.net) |
Sommergibile di
piccola crociera della classe Adua (detta anche “classe Africani”; dislocamento
di 698 tonnellate in superficie, 866 tonnellate in immersione).
Durante il conflitto
effettuò 47 missioni di guerra (22 esplorative/offensive, una di trasporto e 24
di trasferimento), percorrendo in tutto 24.601 miglia in superficie e 4312 in
immersione, affondando una piccola nave mercantile di 389 tsl ed una nave da
guerra di 940 tonnellate.
Breve e parziale cronologia.
20 gennaio 1937
Impostazione nei
cantieri Odero Terni Orlando del Muggiano.
5 dicembre 1937
Varo nei cantieri
Odero Terni Orlando del Muggiano. Madrina è la moglie dell’ammiraglio Arturo
Riccardi, comandante del Dipartimento Militare Marittimo dell’Alto Tirreno (e futuro
capo di Stato Maggiore della Marina).
Il varo dell’Ascianghi; sulla sinistra un posamine classe Durazzo (da “La Spezia: la sua storia, l’arte e le tradizioni”, via Nedo B. Gonzales e www.naviearmatori.net) |
L’Ascianghi appena varato (da “I sommergibili classe 600 serie Adua” di Alessandro Turrini, su “Rivista Italiana di Difesa” n. 3 – marzo 1986, via Marcello Risolo e www.naviearmatori.net) |
Terminata la cerimonia del varo, viene assicurato all’Ascianghi un cavo di rimorchio per rimorchiare il sommergibile alla banchina allestimento (Coll. Maurizio Brescia, via www.associazione-venus.it) |
Si tratta in realtà
del “secondo” Ascianghi: l’originario
sommergibile di questo nome (impostato nel giugno 1936 e varato nel febbraio
successivo), infatti, è stato acquistato nel marzo 1937, durante la costruzione
(insieme a due gemelli, Gondar e Neghelli, divenuti Tymbira e Tupy), dalla
Marina brasiliana, che lo ha ribattezzato Tamoyo.
Il nome Ascianghi è stato pertanto
dato ad un nuovo sommergibile della stessa classe.
L’Ascianghi ed il Neghelli durante l’allestimento (da www.marinai.it) |
25 marzo 1938
Entrata in servizio.
L’Ascianghi al largo dei cantieri di La Spezia nel 1938 (Coll. Giuseppe Celeste, via www.associazione-venus.it) |
28 marzo 1938
Passa alle dipendenze di
Maricosom e viene subito dislocato nell’isola di Lero, nel Dodecaneso.
10 giugno 1940
All’entrata
dell’Italia nella seconda guerra mondiale l’Ascianghi
fa parte della XV Squadriglia Sommergibili (I Gruppo Sommergibili), di base a
La Spezia, insieme ai gemelli Gondar,
Neghelli e Scirè. Sebbene la squadriglia abbia base a La Spezia, al momento
della dichiarazione di guerra l’Ascianghi
si trova dislocato a Cagliari. Inizialmente verrà destinato a missioni
protettive tra Capo Sant’Antonio e Formentera.
20 giugno 1940
L’Ascianghi (tenente di vascello Ugo
Gelli) lascia Cagliari per la sua prima missione di guerra, un pattugliamento
al largo delle Baleari (nella stessa zona sono inviati i sommergibili Fratelli Bandiera, Nani e Santorre Santarosa) e più precisamente tra Capo Sant’Antonio e Formentera.
22 giugno 1940
Durante la notte l’Ascianghi, al largo di Formentera (a sud
delle Baleari), avvista da una distanza di quasi 4 km – in condizioni di mare
agitato forza 4, con luna quasi piena a sudest, bassa sull’orizzonte – un
piroscafo che naviga totalmente oscurato. La sagoma della nave si profila
contro la costa; il comandante Gelli ne stima la stazza in circa 15.000 tsl ed
all’1.25, subito dopo l’avvistamento, l’Ascianghi
manovra per attaccarla. All’1.30 viene lanciato un primo siluro dal tubo numero
3, ma questi manca il bersaglio, passandogli a proravia. Viene poi lanciato un
secondo siluro dal tubo 4; sebbene a tutti sembri che abbia colpito, non si
sente nessuna esplosione, anche se il mercantile sembra ridurre la velocità.
Vengono allora lanciati altri due siluri, dai tubi 1 e 2, ma il siluro del tubo
2 sembra avere corsa irregolare; secondo una fonte c’è mare grosso, che
contribuisce al fallimento dei lanci. A questo punto, trovandosi fuori dalle
acque territoriali, Gelli decide di aprire il fuoco con il cannone di coperta,
anche se le condizioni di luce non sono favorevoli; la seconda e la terza
cannonata centrano il piroscafo, che esegue una netta accostata a dritta ed
apre il fuoco a sua volta con l’armamento di bordo, inquadrando l’Ascianghi fin dalle prime salve. Preso
sotto un tiro avversario estremamente preciso, il sommergibile deve
interrompere l’attacco e s’immerge con la rapida.
Alle 4.38 l’Ascianghi riemerge e comunica a Supermarina
«Ascianghi – Ore 1.30 attaccato grosso
piroscafo armato con 4 siluri et cannone fuori acque territoriali spagnole.
Alcuni proietti visti scoppiare suo bordo. Sospeso tiro per sua reazione con
artiglieria».
Dopo la resa della
Francia con l’armistizio di Villa Incisa (25 giugno 1940), le autorità
transalpine, interpellate in merito all’attacco del 22 giugno, risponderanno
che nessuna loro nave è stata danneggiata o comunque attaccata in quella data e
luogo; da parte italiana si riterrà allora che la nave attaccata fosse un
mercantile od un incrociatore ausiliario britannico, ma nel dopoguerra il Regno
Unito negherà a sua volta che una sua nave sia stata attaccata in circostanze
compatibili con quelle riferite dal rapporto dell’Ascianghi. Ci sarà persino qualcuno, in Italia, che nel dopoguerra
arriverà a sostenere che l’equipaggio dell’Ascianghi
si sia inventato del tutto l’episodio per ottenere una decorazione (quando in
realtà tutto ciò che Gelli aveva ottenuto per quell’attacco era stato, il 14
luglio 1940, una reprimenda da parte niente meno che del comandante in capo
della flotta subacquea italiana, ammiraglio Mario Falangola, per aver usato in
una sola occasione tutti i siluri della camera di lancio AV, così mettendosi
nell’impossibilità, per il resto della missione, di usare i tubi di lancio di
prua contro eventuali navi da guerra che avesse poi avvistato), ricevendo una
dura risposta dal comandante Gelli per una tale assurda accusa, infamante non
solo per lui ma anche per tutto l’equipaggio dell’Ascianghi, metà del quale aveva successivamente trovato la morte
nell’affondamento del sommergibile.
La spiegazione del misterioso episodio verrà
scoperta, oltre settant’anni più tardi, dallo storico Enrico Cernuschi: un
piroscafo passeggeri di 9989 tsl, l’Exochorda,
né francese né britannico, ma invece statunitense (costruito nel 1931,
apparteneva all’American Export Lines e formava una serie chiamata “Quattro
Assi”, insieme ai gemelli Exeter, Excambion ed Excalibur, dei quali fu l’unico a sopravvivere alla guerra),
risultava effettivamente essere stato attaccato con il cannone, colpito e leggermente
danneggiato nel Mediterraneo occidentale (anche se una fonte secondaria
collocava invece l’episodio in Mar Nero) nel giugno 1940. Parecchi particolari,
però, non quadravano: secondo giornali statunitensi dell’epoca (estate 1940),
l’attacco si sarebbe verificato a Genova il 12 giugno 1940, da parte di
un’unità francese, oppure – secondo il “New York Times” – l’Exochorda sarebbe stata danneggiata,
sempre nel porto genovese e nella notte tra l’11 ed il 12 giugno (dunque in
data e luogo non compatibili con quelli riportati dall’Ascianghi), da un proiettile inesploso dell’artiglieria contraerea
italiana, sparato contro alcuni bombardieri britannici che stavano attaccando
Genova e ricaduto poi, dopo aver descritto la sua parabola nel cielo, colpendo a
poppa la nave statunitense. In realtà, se da una parte era vero che due
bombardieri britannici Armstrong Whitworth Whitley avevano attaccato Genova
quella notte, dall’altra risultava che la contraerea italiana non avesse
affatto aperto il fuoco, per non rivelare la posizione della città (difficile
da individuare grazie alle dense nubi ed alla foschia), stante anche la
pochezza degli attaccanti (il cui bombardamento non provocò, infatti, alcun
danno). Ed i registri della Capitaneria di Porto di Genova mostravano che l’Exochorda era partito da Genova già nel
pomeriggio dell’11 giugno, diretto a Barcellona (avendo come meta finale in
Europa Lisbona, da dove poi sarebbe proseguito verso gli Stati Uniti), quindi
non poteva essere stato danneggiato a Genova la notte successiva; quanto
all’attribuzione del danneggiamento alla Francia, dagli archivi francesi non
risultava alcun attacco da parte di navi od aerei d’oltralpe compatibile con le
circostanze indicate, l’11 o 12 giugno 1940.
Mentre la
documentazione dell’U.S.M.M. relativa a questa specifica missione dell’Ascianghi risultava insolitamente (e
sospettosamente) sintetica, il mistero ha potuto essere risolto grazie ad una
ricerca presso l’archivio del Ministero degli Esteri, condotta da un
ambasciatore.
L’Exochorda (capitano Wenzel Abel) era
salpato da Barcellona il 21 giugno 1940, dopo aver sostato in quel porto molto
più a lungo di quanto programmato, sia per via delle operazioni militari in
corso nel Mediterraneo occidentale, sia e soprattutto – dietro disposizione del
Dipartimento di Stato statunitense – per imbarcare cittadini statunitensi in
fuga dalla Costa Azzurra, che minacciava di diventare zona di guerra, e
profughi ebrei in fuga dalle persecuzioni naziste, che avevano ottenuto il
visto per entrare negli Stati Uniti. In tutto l’Exochorda aveva a bordo 213 passeggeri (in maggioranza profughi
ebrei, tra cui Gershon Weinberg, rabbino capo di Tel Aviv), compresi ben 50
bambini, sistemati alla meno peggio in locali normalmente destinati ad
ospitarne 140 (e infatti 57 passeggeri avevano dovuto arrangiarsi a dormire su
materassi provvisoriamente sistemati nel ristorante di bordo). Era a bordo
anche la moglie del console generale statunitense in Palestina, George Wadsworth, la quale aveva
diviso la sua cabina con quattro bambine. Il comandante Abel, per scelta
personale oppure cedendo alle insistenze dei passeggeri, aveva deciso di
navigare, durante la notte successiva, a luci spente, per “evitare di esporsi
come un albero di Natale”: una madornale imprudenza, perché le navi che
navigavano a luci spente erano quelle delle nazioni belligeranti, mentre i
mercantili dei Paesi neutrali viaggiavano con le luci accese per essere
prontamente riconosciuti ed evitare così di essere attaccati, come accadde all’Exochorda per la sciagurata scelta di
spegnere le luci. Era infatti l’Exochorda
la grossa nave oscurata che l’Ascianghi
di Ugo Gelli aveva incontrato nella notte sul 22 giugno, e che aveva attaccato
ritenendo, legittimamente (visto che navigava oscurata), che fosse un
bastimento nemico. Durante l’attacco l’Exochorda
era stato colpito da un siluro, che non era esploso, e da uno dei proiettili da
100 mm sparati dal cannone di coperta del sommergibile, che aveva perforato una
piastra (spessa 37 mm) dello scafo del piroscafo statunitense, a poppa,
esplodendo all’interno ed aprendo un foro di mezzo metro quadrato, con notevole
proiezione di schegge tutt’intorno. Per fortuna, nessuno era rimasto ferito. L’Exochorda, forzando le macchine (poteva raggiungere
i 16 nodi), aveva accostato ed era fuggito alla massima velocità, dileguandosi
nella notte; aveva superato lo stretto di Gibilterra, raggiunto Lisbona (dove
aveva imbarcato altri profughi) il 23 giugno e poi era proseguito per Boston
(dove erano state compiute le prime riparazioni) e Jersey City (dov’era giunto
due giorni più tardi).
Già il 23 giugno, non
appena l’Exochorda era giunto a
Lisbona, la notizia dell’attacco era stata comunicata via telegrafo a
Washington, dove gli animi erano ancora accesi dopo che qualche giorno prima un
sommergibile tedesco, l’U 101, aveva
fermato un altro piroscafo passeggeri statunitense, il Washington, scambiandolo
per una nave al servizio del Regno Unito, ed ordinando ai suoi passeggeri di
abbandonare la nave in dieci minuti. L’U-Boot aveva poi annullato l’intimazione
e si era scusato, rendendosi conto dell’errore, e nessuno si era fatto male,
anche se sul Washington c’erano state scene di panico; l’episodio aveva però
rasentato l’incidente diplomatico tra Stati Uniti e Germania, e si era appena
chiuso quando era piombata la notizia di un nuovo attacco, ben più grave, ai
danni dell’Exochorda. Da parte
statunitense si era rapidamente intuito che l’attaccante doveva essere stato un
sommergibile italiano; in quel periodo, però, gli Stati Uniti mantenevano
ancora una politica relativamente conciliante nei confronti dell’Italia, e per
giunta l’intera responsabilità dell’increscioso episodio non era da ascriversi
all’Ascianghi ma al capitano Abel
dell’Exochorda, che con la sua
iniziativa di oscurare la nave aveva reso impossibile riconoscere l’Exochorda come bastimento neutrale. I
governi italiano e statunitense decisero dunque di comune accordo di insabbiare
l’incidente e, siccome non era possibile nascondere il fatto che una nave con a
bordo centinaia di passeggeri era stata attaccata e colpita da una cannonata,
venne artefatta una versione concordata dell’episodio, da pubblicare sui
giornali statunitensi prima che l’Exochorda
arrivasse negli Stati Uniti. Versione che venne però cambiata più volte. Dapprima
fu deciso di dire che l’attacco era avvenuto addirittura in Mar Nero; poi, visto
che probabilmente sarebbe risultato troppo inverosimile, si disse che l’Exochorda era stato attaccato nel Mediterraneo
occidentale, ma da un sommergibile francese (la Francia, ormai sconfitta,
poteva essere più facilmente sfruttata per l’occasione come capro espiatorio),
anziché italiano. Infine, si era deciso di rivelare che effettivamente il danno
era stato causato dall’Italia (in modo da potersi fare anche pagare i danni),
ma mentendo sulle circostanze, inventando quell’inesistente proiettile della
contraerea genovese che sarebbe accidentalmente caduto a bordo dell’Exochorda durante un’incursione aerea
avvenuta quando in realtà il piroscafo non si trovava neanche più a Genova. Si
volle anche aggiungere, per dare alla notizia un tono leggero, il particolare
inventato che la cannonata in questione aveva centrato una cassa di formaggio
(“after passing through the deck the
shell entered a case of cheese”). Di qui le notizie fumose e discordanti,
con data e luogo dell’attacco rigorosamente falsificati, pubblicate sui
quotidiani d’oltre oceano nell’estate 1940. L’arzigogolata faccenda del “quasi
incidente” Ascianghi-Exochorda ebbe anche un risvolto
positivo, perché i contatti diplomatici avviati in quell’occasione proseguirono
e portarono, nei mesi successivi (luglio-ottobre 1940), ad un accordo in
seguito al quale centinaia di profughi ebrei provenienti dall’Europa orientale,
i cui documenti non erano del tutto regolari, poterono passare attraverso
l’Italia diretti verso gli Stati Uniti, dove furono portati nientemeno che dal
rappezzato Exochorda.
Un ultimo punto
oscuro nell’episodio Ascianghi-Exochorda era la reazione del piroscafo
che, secondo il rapporto dell’Ascianghi,
aveva aperto il fuoco costringendo il sommergibile ad immergersi: l’Exochorda non era armato (le navi
mercantili statunitensi non furono munite di armamento fino al 1941), dunque
non poteva aver sparato contro il battello italiano. La soluzione a
quest’ultimo dilemma è venuta dalla Francia – che in fin dei conti era davvero
coinvolta nella vicenda del 22 giugno 1940, anche se in un modo del tutto
diverso da quello che si era creduto –, sottoforma di un libretto scritto di
Hervé Cras, che nel 1940 era ufficiale medico nell’Aéronavale, l’Aviazione di
Marina francese, e più precisamente alla squadriglia idrovolanti/aerosiluranti
"T2", munita di idrovolanti (ricognitori, idrosiluranti e bombardieri
in picchiata) Latécoère 298. Il 18 giugno 1940 tale squadriglia aveva iniziato
un trasferimento in più tappe dalla Bretagna all’Algeria; nella notte tra il 21
ed il 22 giugno nove Latécoère 298 della squadriglia "T2" si erano
trasferiti con un lungo volo dagli stagni di Barre, in Francia, all’idroscalo
di Bougie, in Algeria (una località che molto tempo dopo sarebbe stata
protagonista proprio di un’altra impresa dell’Ascianghi). Durante quel volo notturno, cinque dei Latécoère 298
avevano improvvisamente avvistato, alla luce della luna piena, un grosso
sommergibile emerso che stava prendendo a cannonate una nave a sud delle
Baleari; sapendo che nella zona non c’erano sommergibili francesi e presumendo
dunque (e correttamente) che si trattasse di un battello nemico, il comandante
della squadriglia, tenente di vascello Jacques Lamiot, aveva lanciato il
segnale di scoperta e si era subito dopo lanciato in picchiata a tutta velocità
contro il sommergibile, seguito da altri quattro aerei. Qualche secondo più
tardi il velivolo di Lamiot aveva sganciato due bombe alari da 220 kg contro il
sommergibile, che era stato mancato e si era immerso prima che gli altri
Latécoère 298 potessero raggiungerlo ed attaccarlo a loro volta. La data, il
luogo e le circostanze non lasciavano dubbi: il sommergibile avvistato ed
attaccato dagli aerei francesi era l’Ascianghi,
intento in quel momento a cannoneggiare l’Exochorda,
pure esso avvistato dagli aerei di Lamiot. Nel buio della notte il comandante
Gelli non si era accorto della presenza degli aerei, e quando aveva visto le
bombe esplodere in mare le aveva scambiate per colpi di cannone sparati,
presumibilmente, dalla nave che stava attaccando. Ciò lo aveva indotto
all’immersione rapida, saggia scelta in ogni caso visto che in caso contrario si
sarebbe di lì a poco trovato sotto attacco da parte di almeno altri quattro
idrovolanti.
Con il senno di poi
si può dire che l’intervento francese fu inconsapevolmente provvidenziale, per
tutte le parti coinvolte: se Lamiot non avesse sganciato le sue bombe sull’Ascianghi, infatti, il sommergibile
avrebbe proseguito nel suo attacco e probabilmente affondato l’Exochorda, provocando una strage di
innocenti ed un gravissimo incidente internazionale tra Italia e Stati Uniti. A
poco sarebbe servito, in tal caso, protestare dinanzi all’infuriata stampa e
opinione pubblica statunitense che il piroscafo americano viaggiava oscurato
come una nave di un Paese belligerante, circostanza peraltro che sarebbe stato
ben difficile dimostrare. L’ultimo capitolo di quella incredibile storia lo
scrisse un altro idrovolante francese, un Lioré et Olivier LeO H-257 bis della
squadriglia "B2", che il mattino seguente sorvolò la zona in cui i
Latécoère 298 avevano attaccato l’Ascianghi,
avvistando un’ampia chiazza di nafta. Da ciò i comandi francesi dedussero che
il sommergibile doveva essere stato almeno danneggiato, o forse anche
affondato, ragion per cui il tenente di vascello Lamiot fu citato nell’ordine
del giorno della flotta. In realtà l’Ascianghi
era uscito indenne dall’attacco, e la nafta proveniva dall’Exochorda, che l’aveva persa da un’ammaccatura nello scafo
provocata dall’unico siluro (il secondo in ordine di lancio), tra i quattro
lanciati dal sommergibile, che era andato realmente a segno, ma senza esplodere
(anche questa fu una fortuna per tutti, col senno di poi), facendo sconnettere
alcune lamiere e facendo infiltrare dell’acqua di mare in un deposito di nafta
(ciò confermava l’impressione dell’equipaggio dell’Ascianghi, che riteneva di aver colpito il bersaglio con un siluro
ma che non aveva visto l’esplosione).
28 o 30 giugno 1940
L’Ascianghi termina la missione
raggiungendo Cagliari. Nell’ultimo tratto di navigazione viene raggiunto dalla
torpediniera Vega, mandatagli
incontro, che lo pilota attraverso un corridoio dragato in un campo minato
posato alcuni giorni prima dal sommergibile francese Saphir.
7 luglio 1940
Inviato in
pattugliamento a sud della Sardegna, insieme ai sommergibili Axum, Glauco, Turchese, Luciano Manara e Ciro Menotti.
9 luglio 1940
L’Ascianghi viene inviato, insieme ad
altri cinque sommergibili (Axum, Turchese, Glauco, Luciano Manara e Ciro Menotti), tra il meridiano di Capo
Spartivento Sardo e le congiungenti Capo Carbonara-Capo Lilibeo e Capo
Passero-Zuara, per pattugliare le acque tra l’isola di La Galite e Tunisi fino
a una profondità di 50 miglia dalla costa tunisina. La formazione di tale
sbarramento è stata disposta da Maricosom (il Comando Squadra Sommergibili,
ammiraglio Mario Falangola) per ordine del capo di Stato Maggiore della Marina,
ammiraglio Domenico Cavagnari, in seguito all’uscita da Gibilterra della Forza
H britannica. Quest’ultima, partita alle 17 dell’8 luglio con l’incrociatore da
battaglia Hood (nave di bandiera
dell’ammiraglio James Somerville), le corazzate Valiant e Resolution, la
portaerei Ark Royal, gli incrociatori
leggeri Delhi, Aurora ed Enterprise e
dieci cacciatorpediniere (Keppell, Douglas, Vortigen, Wishart, Watchman, Faulknor, Foresight, Fearless, Fouhound, Escort), è
uscita in mare per creare un diversivo rispetto all’operazione "M.A.
5" (invio di convogli tra Malta ed Alessandria con la protezione del
grosso della Mediterranean Fleet), in corso negli stessi giorni nel
Mediterraneo centro-orientale (ne deriverà la battaglia di Punta Stilo). L’Ark Royal deve lanciare un attacco aereo
con 12 aerosiluranti Fairey Swordfish contro Cagliari, all’alba del 10 luglio;
scopo dell’operazione è tenere in allarme le forze italiane anche nel
Mediterraneo occidentale. Supermarina ha saputo alle 13.40 dell’8 luglio, da
osservatori appostati in territorio spagnolo vicino a Gibilterra, della
partenza da qul porto di una corazzata, una portaerei, tre incrociatori e
tredici cacciatorpediniere; un dispiegamento di forze simile a quelle uscite
nello stesso tempo da Alessandria, che desta notevole preoccupazione a
Supermarina, la quale ipotizza che possa essere in atto un’operazione combinata
da parte della Forza H e della Mediterranean Fleet, nei due bacini del
Mediterraneo, anche perché la Forza H, a differenza della Mediterranean Fleet,
non sta scortando nessun convoglio. Alle 14.30 dell’8 Marina Orano, sulla base
di un’intercettazione francese, ha comunicato che alle 13.45 sono state
avvistate quattro grosse navi, due incrociatori e unità leggere in posizione
36°16’ N e 03°16’ E. A questo punto l’ammiraglio Cavagnari, supponendo che la
Forza H possa dirigere verso le acque meridionali della Sardegna per attaccare
all’alba obiettivi sulle coste sud di quell’isola (come infatti avverrà) e
magari anche sulle coste orientali della Sicilia, ha ordinato all’ammiraglio
Falangola di predisporre uno sbarramento di sommergibili. L’Ascianghi non entrerà però in contatto
con le forze britanniche, il cui attacco contro Cagliari non produrrà danni.
5 agosto 1940
Inviato in
pattugliamento ad est di Gibilterra, insieme ai sommergibili Gondar e Marcello.
15 ottobre 1940
Inviato a pattugliare
le acque tra Alessandria d’Egitto e Creta, insieme ai sommergibili Anfitrite, Topazio, Fratelli Bandiera,
Tito Speri e Santorre Santarosa (coi quali forma uno sbarramento a sud di Creta), senza
risultato.
16 ottobre 1940
Alle 21.20, in
posizione 32°57’ N e 23°22’ E (a nord del Golfo di Bomba), il sommergibile
britannico Pandora (capitano di
corvetta John Wallace Linton) avvista due sommergibili in navigazione in linea
di fila, a 1370 metri di distanza l’uno dall’altro: si tratta dell’Ascianghi e del Topazio. Il Pandora
inizia la manovra di attacco, ma il sommergibile in posizione più arretrata,
cioè l’Ascianghi, s’immerge; l’altro
– il Topazio – rimane in superficie e
diventa il bersaglio dell’attacco. Anche il Pandora
è stato avvistato dal Topazio, ma il
sommergibile italiano, incerto sull’identità del battello avvistato, si astiene
dall’azione, temendo di attaccare accidentalmente l’Ascianghi. Il lancio del Pandora
ai danni del Topazio risulterà
fallimentare.
L’Ascianghi con l’equipaggio schierato in coperta, all’inizio del conflitto (da www.sommergibili.com) |
3 febbraio 1941
In seguito alla
partenza da Gibilterra, il 31 gennaio, della Forza H (corazzata Barham, incrociatore da battaglia Renown, portaerei Ark Royal, incrociatore Sheffield
e dieci cacciatorpediniere) diretta verso est (suo obiettivo è bombardare Genova
il mattino del 3 febbraio, minare le acque di La Spezia con aerei dell’Ark Royal e lanciare un attacco aereo
contro la diga del Tirso il mattino del 2), l’Ascianghi lascia La Spezia e viene inviato da Supermarina venti miglia a sudest di
Capo Mele, per un agguato protettivo. Grazie al maltempo, tuttavia, la
formazione nemica si limita a lanciare un infruttuoso attacco aereo contro la
diga del Tirso e rientra alla base nel pomeriggio del 4, senza attaccare Genova
(il tentativo sarà ripetuto, e portato a termine con successo, il successivo 9
febbraio). L’Ascianghi viene pertanto
fatto rientrare a La Spezia.
Secondo una fonte ("I sommergibili italiani 1940-1943" di Erminio Bagnasco e Maurizio Brescia) l'Ascianghi sarebbe poi stato nuovamente fatto salpare da La Spezia a contrasto dell'operazione "Grog" (il secondo tentativo - stavolta riuscito - di bombardare Genova da parte della Forza H, il 9 febbraio 1941), venendo inviato a nord della Corsica.
Secondo una fonte ("I sommergibili italiani 1940-1943" di Erminio Bagnasco e Maurizio Brescia) l'Ascianghi sarebbe poi stato nuovamente fatto salpare da La Spezia a contrasto dell'operazione "Grog" (il secondo tentativo - stavolta riuscito - di bombardare Genova da parte della Forza H, il 9 febbraio 1941), venendo inviato a nord della Corsica.
17 febbraio 1941
Inviato in agguato ad
ovest di Capo Corso.
5 marzo 1941
L’Ascianghi è tra gli undici sommergibili
(gli altri sono Ambra, Anfitrite, Beilul, Ondina, Galatea, Smeraldo, Nereide, Malachite, Onice e Dagabur) inviati
a pattugliare le acque a sud, ad est e ad ovest di Creta in cerca di convogli
britannici: compito dei sommergibili è contrastare l’operazione britannica
«Lustre», consistente nell’invio dall’Egitto alla Grecia di 58.000 uomini,
quale rinforzo per la Grecia, con una serie di convogli (uno ogni tre giorni,
da Alessandria al Pireo), nell’arco di un mese. I primi due convogli di
«Lustre» partono il 6 marzo: incrociatori York,
Gloucester e Bonaventure con truppe da Alessandria al Pireo (dove giungono il 7
marzo) e mercantili Cingalese Prince e Clan Macauley con carri armati e rifornimenti, scortati dai
cacciatorpediniere Wryneck, Nubian e Mohawk, anch’essi da Alessandria al Pireo (dove giugono l’8 marzo).
L’Ascianghi non trova nulla.
24-29 marzo 1941
L’Ascianghi viene inviato in agguato sulla
direttrice Alessandria-Capo Krio (costa sudorientale di Creta) insieme ai
sommergibili Ambra e Dagabur, coi quali deve formare uno
sbarramento. All’Ascianghi è assegnata
la posizione più sudorientale, tra Creta e l’Egitto: deve posizionarsi 60
miglia a sudest dell’Ambra, che a sua
volta deve assumere una posizione 60 miglia a sudest del Dagabur.
La dislocazione dei
sommergibili in Mediterraneo orientale (poco lontano ve ne sono altri
due, Nereide e Galatea) è stata programmata nell’ambito
dell’operazione «Gaudo», un’incursione in Egeo da parte di un’importante
aliquota della flotta italiana, avente lo scopo di attaccare i convogli
britannici in quel settore; i sommergibili hanno scopo offensivo/esplorativo
(segnalare eventuali avvistamenti di forze navali nemiche nel Mediterraneo
orientale) nonché di appoggio dell’azione delle forze di superficie, ma non
sono avvertiti da Supermarina dell’operazione in corso, e della particolare
importanza di segnalare qualsiasi segno di movimento rilevato. I
sommergibili non coglieranno il risultato desiderato: nella notte sul 28 marzo
la flotta britannica passerà tra le maglie troppo larghe dello sbarramento
(nella zona occupata da Ascianghi, Ambra e Nereide), e dei cinque battelli, soltanto l’Ambra rileverà qualche segnale del passaggio di navi britanniche (lontani
rumori di motori captati all’idrofono), senza però giungere all’avvistamento.
L’operazione «Gaudo» sfocerà nella tragedia di Capo Matapan.
1-12 maggio 1941
In pattugliamento al
largo di Marsa Matruh (Egitto).
Agosto 1941
Compie una missione in Mar Egeo.
Agosto 1941
Compie una missione in Mar Egeo.
20 settembre 1941
Inviato in
pattugliamento al largo di Beirut e Tripoli di Siria, in Libano.
21 settembre 1941
Alle 21.46 l’Ascianghi (tenente di vascello Olinto Di
Serio) attacca in posizione 33°57’ N e 35°04’ E (otto miglia a nordovest di Ras
Beirut; altra fonte indica erroneamente al largo di Haifa) la piccola nave
cisterna Antar di 389 tsl, battente
bandiera palestinese (altra fonte riporta erroneamente "polacca, al
servizio degli inglesi") ed appartenente alla Atid Navigation Company di
Haifa, in navigazione da Port Said a Mersina con un carico di tè, cotone e
latta. Dopo aver dato all’equipaggio il tempo di abbandonare la nave sulle
scialuppe, l’Ascianghi lancia contro
di essa ben sei siluri in tre coppiole, ma senza riuscire a colpirla (secondo
una fonte secondaria, uno o più siluri avrebbero colpito l’Antar, danneggiandola, ma ciò appare impossibile, dato che con una
nave così piccola un singolo siluro a segno avrebbe certamente provocato
l’immediato affondamento). Dispendio notevole per una nave tanto piccola: forse
sintomo dell’esasperazione di comandanti che, nel Mediterraneo, trascorrevano
spesso intere missioni senza trovare un bersaglio. Risultati vani gli attacchi
coi siluri, l’Ascianghi passa al
cannone ed incendia la nave a cannonate (durante l’azione il cannone subisce un
guasto e deve interrompere l’azione, ma l’avaria viene riparata e viene ripreso
il tiro, ostacolato anche dalle condizioni del mare piuttosto avverse), dopo di
che lascia la zona. Il relitto in fiamme dell’Antar verrà successivamente preso a rimorchio dalla baleniera armata
HMS Southern Isle, accorsa sul posto,
ma affonderà il 23 settembre prima di poter arrivare in porto. (Fonti italiane non
parlano del tentato rimorchio da parte del Southern
Isle, affermando che l’Antar
sarebbe affondata sotto i colpi dell’Ascianghi
e non in un secondo momento. Non cambia, comunque, il risultato finale).
L’equipaggio dell’Antar, che ha
abbandonato la nave sulle lance, sbarca a Tiro, sulla costa libanese.
Per quest’azione, il
comandante Di Serio riceverà la Medaglia di Bronzo al Valor Militare, mentre
riceveranno la Croce di Guerra al Valor Militare il tenente di vascello Marco
Colotto (comandante in seconda), il tenente del Genio Navale G. Antonio Prondi
(direttore di macchina), i guardiamarina Guido Trapani e Giuseppe Cardillo,
l’aspirante guardiamarina Elvidio Cavarocchi, i capi motoristi di seconda
classe Alfredo Gambula e Luigi Norma, il capo elettricista di seconda classe
Francesco Carmelo Gugliotta, il capo silurista di terza classe Filomeno
Lacitignola, il capo radiotelegrafista di terza classe Antonio Carrisi, ed i
sei serventi del cannone: secondo capo nocchiere Andrea Mazzella, sergente
nocchiere Ernesto Azzi, sottocapo cannoniere Giovanni Di Stefano, marinaio
Mario Gori, marinaio silurista Vladimiro Berselli, marinaio cannoniere Alberto
Cellone.
24 settembre 1941
Termina la missione.
15-24 novembre 1941
In pattugliamento al largo delle coste della Palestina, senza risultato.
In pattugliamento al largo delle coste della Palestina, senza risultato.
13 dicembre 1941
L’Ascianghi viene inviato a pattugliare le
acque a sud di Creta con compito esplorativo ed offensivo, insieme ai
sommergibili Dagabur e Galatea, per contrastare un’eventuale
uscita da Alessandria d’Egitto della Forza B britannica, a protezione
dell’operazione di traffico «M. 41» per il rifornimento della Libia, che
prevede l’invio di 3 convogli per un totale di 8 mercantili, con la scorta
diretta di 7 cacciatorpediniere ed una torpediniera nonché la scorta a distanza
di tre gruppi pesanti che contano in tutto 4 corazzate, 5 incrociatori, 18
cacciatorpediniere e due torpediniere (l’operazione verrà abortita a seguito
degli intensi attacchi britannici e dei relativi danni e perdite subiti).
Contestualmente, altri sommergibili (Santarosa,
Narvalo, Squalo, Topazio e Veniero) vengono inviati al largo di
Malta per contrastare un’eventuale sortita della Forza K che lì ha base
(incrociatori leggeri Aurora, Penelope e Neptune ed alcuni cacciatorpediniere).
La Forza B (incrociatori
leggeri Euryalus, Naiad e Galatea e cacciatorpediniere Jervis,
Kingston, Kipling, Kimberley, Griffin, Havock, Hotspur, Napier e Nizam, gli ultimi due australiani), al comando dell’ammiraglio
Philip L. Vian, salpa effettivamente da Alessandria a contrasto dell’operazione
«M. 41», unendosi alla Forza K uscita da Malta per cercare convogli italiani
nel Mar Ionio. Le navi britanniche non riescono tuttavia ad intercettare nulla,
dal momento che i convogli sono stati fatti rientrare, pertanto dopo ore di inutili
ricerche intraprendono la navigazione di rientro verso Malta (Forza K) ed
Alessandria (Forza B).
17 dicembre 1941
Ascianghi, Topazio, Squalo, Galatea, Dagabur e Santarosa sono ancora in agguato
nel Mediterraneo centro-orientale (ad est di Malta ed a sud di Creta), con
compiti esplorativi/offensivi, in appoggio stavolta all’operazione di traffico
«M. 42», organizzata dopo il fallimento della «M. 41».
Questa volta
l’operazione – con la quale vengono inviati in Libia di due convogli con
rifornimenti urgenti per le truppe italo-tedesche in Africa Settentrionale (312
automezzi, 3224 tonnellate di carburanti e lubrificanti, 1137 tonnellate di
munizioni, 10.409 tonnellate di materiali vari), con la scorta di consistenti
aliquote della flotta da battaglia – è un pieno successo: tutti i mercantili
arrivano indenni a destinazione, mentre la forza italiana di scorta a distanza
si scontra con una formazione britannica (impegnata anch’essa nella scorta di
un convoglio – o piuttosto di una singola nave, la petroliera Breconshire – diretto a Malta) in
un’inconclusiva scaramuccia divenuta poi nota come prima battaglia della Sirte,
e la Forza K britannica, inviata al largo di Tripoli per intercettare il
convoglio italiano, finisce su un campo minato subendo la perdita
dell’incrociatore Neptune e del
cacciatorpediniere Kandahar ed il
grave danneggiamento dell’incrociatore Aurora.
(da www.xmasgrupsom.com) |
11 giugno 1942
Viene inviato,
assieme ad altri quattro sommergibili (Onice,
Aradam, Corallo e Dessiè), in
agguato nel triangolo compreso tra Malta, Pantelleria e Lampedusa a contrasto
dell’operazione britannica "Harpoon" (consistente nell'invio da Gibilterra a Malta di un convoglio formato dai mercantili Burdwan, Kentucky, Chant, Orari, Troilus e Tanimbar, carichi di rifornimenti e scortati dall'incrociatore antiaerei Cairo, da nove cacciatorpediniere e da quattro dragamine di squadra, oltre ad una forza pesante di copertura a distanza nel primo tratto della navigazione), nell'ambito della battaglia di Mezzo Giugno. In tutto sono
16 i battelli schierati nel Mediterraneo centrale e centro-occidentale per
contrastare "Harpoon"; la dottrina d’impiego dei sommergibili è mutata rispetto
al passato: ora è previsto l’impiego a massa contro navi o gruppi di navi
avvistati e segnalati dagli aerei. Mentre a Mezzo Agosto, due mesi più tardi,
questa tattica avrà grande successo, a Mezzo Giugno i sommergibili non
coglieranno alcun risultato (per quelli dislocati al largo di Malta, anche a
causa della forte vigilanza antisommergibili da parte degli aerei).
L’Ascianghi, infatti, non avvista navi
nemiche; il convoglio subirà gravi perdite per opera dell'azione congiunta degli aerei italo-tedeschi e della VII Divisione Navale dell'ammiraglio Alberto Da Zara, cui poi si aggiungeranno quelle causate dai campi minati. Complessivamente andranno a fondo quattro mercantili e due cacciatorpediniere, mentre diverse altre unità riporteranno seri danni.
16-17 giugno 1942
L'Ascianghi ed un altro sommergibile, l'Onice, vengono inviati ad attaccare la formazione britannica (Forza X) di ritorno da Malta a Gibilterra dopo la conclusione dell'Operazione "Harpoon" (si tratta dell'incrociatore leggero Cairo e dei cacciatorpediniere Marne, Ithuriel, Blankney e Middleton).
Lasciata Malta la sera del 16 giugno, le cinque navi britanniche si ricongiungono poco dopo le 19 del 17 con la Forza W (forza di copertura a distanza, composta dalla corazzata Malaya, dalle portaerei Eagle ed Ark Royal, da tre incrociatori e da otto cacciatorpediniere) nel Mediterraneo occidentale, e raggiungono indenni Gibilterra; gli attacchi di Ascianghi ed Onice contro di esse risulteranno infruttuosi, al pari di quelli della Regia Aeronautica e della Luftwaffe.
16-17 giugno 1942
L'Ascianghi ed un altro sommergibile, l'Onice, vengono inviati ad attaccare la formazione britannica (Forza X) di ritorno da Malta a Gibilterra dopo la conclusione dell'Operazione "Harpoon" (si tratta dell'incrociatore leggero Cairo e dei cacciatorpediniere Marne, Ithuriel, Blankney e Middleton).
Lasciata Malta la sera del 16 giugno, le cinque navi britanniche si ricongiungono poco dopo le 19 del 17 con la Forza W (forza di copertura a distanza, composta dalla corazzata Malaya, dalle portaerei Eagle ed Ark Royal, da tre incrociatori e da otto cacciatorpediniere) nel Mediterraneo occidentale, e raggiungono indenni Gibilterra; gli attacchi di Ascianghi ed Onice contro di esse risulteranno infruttuosi, al pari di quelli della Regia Aeronautica e della Luftwaffe.
Luglio 1942
Il comando dell’Ascianghi passa al tenente di vascello
Rodolfo Bombig, che lo manterrà per poco tempo. In questo periodo il battello è
alle dipendenze dell’VIII Gruppo Sommergibili, con base a Trapani.
Nella prima metà del mese l'Ascianghi, insieme all'Onice, pattuglia le acque al largo dell'isola tunisina di La Galite.
Nella prima metà del mese l'Ascianghi, insieme all'Onice, pattuglia le acque al largo dell'isola tunisina di La Galite.
11 agosto 1942
L’Ascianghi (comandante tenente di
vascello Rodolfo Bombig, direttore di macchina tenente del Genio Navale
Vittorio Rosati) lascia Trapani per raggiungere la zona d’agguato assegnata,
nell’ambito della battaglia aeronavale di Mezzo Agosto.
Insieme ad altri nove
sommergibili (Alagi, Avorio, Axum, Bronzo, Cobalto, Otaria, Dandolo, Dessiè ed Emo), viene schierato a nord delle coste tunisine, tra Scoglio
Fratelli e Banco Skerki (dalle acque ad est di La Galite fino agli approcci del
Canale di Sicilia, costituendo una linea a sbarramento dell’ingresso
occidentale del Canale di Sicilia, a nord della congiungente La Galite-Banco
Skerki), per attaccare il convoglio britannico diretto a Malta nell’ambito
dell’Operazione "Pedestal", composto da 14 navi mercantili con la
scorta diretta di 4 incrociatori leggeri e 11 cacciatorpediniere, più una forza
di appoggio composta da 2 corazzate, 3 portaerei, 3 incrociatori leggeri e 15
cacciatorpediniere. Gli ordini sono di agire con grande decisione offensiva,
lanciando quanti siluri possibile contro ogni bersaglio, mercantile o militare,
più grande di un cacciatorpediniere. L’Ascianghi
fa parte del gruppo di sommergibili posizionato più ad est, insieme ad Alagi, Axum e Bronzo.
12 agosto 1942
Raggiunge l’area
assegnata e, sulla scorta delle notizie che riceve ogni ora al "Siti",
riesce dapprima ad individuare con gli idrofoni, e poi anche ad avvistare al
periscopio, da grande distanza, il convoglio britannico. Cerca di avvicinarsi,
ma quando è giunto a 15 km il convoglio accosta in fuori e scompare alla vista.
Durante la notte,
mentre l’Ascianghi è in superficie,
l’equipaggio sente un’esplosione ed avvista fumo e fiamme ad una certa
distanza; si porta sul luogo in cui ristagna il fumo e vi trova parecchi
rottami ed imbarcazioni di salvataggio che galleggiano nel mare.
13 agosto 1942
Durante il pomeriggio
l’Ascianghi si sposta verso una zona
dove, stando alle comunicazioni ricevute, dovrebbe esserci una portaerei
danneggiata, ma di questa unità, o di qualsiasi altra, non c’è traccia.
14 agosto 1942
Riceve ordine di
portarsi in un nuovo settore d’agguato, situato 140 miglia più ad ovest di
quello di prima. Supermarina, infatti, spera di poter cogliere ancora
l’occasione per attaccare le unità superstiti del convoglio (che ha subito
pesanti perdite ad opera di sommergibili, aerei e motosiluranti, anche se
qualche mercantile è riuscito a raggiungere Malta con i rifornimenti vitali
alla sopravvivenza dell’isola) durante la loro navigazione di ritorno verso
Gibilterra. Di conseguenza, Ascianghi,
Bronzo, Alagi ed Axum la sera del
14 ricevono ordine di emergere immediatamente, spostarsi 140 miglia più ad
ovest e riprendere l’agguato nelle nuove posizioni, con le stesse modalità di
prima. Poco dopo tale ordine viene modificato, spostando le aree d’agguato
altre 20 miglia più ad ovest.
17 agosto 1942
Non avendo avvistato
nulla, l’Ascianghi fa ritorno a
Trapani.
Un’altra immagine dell’Ascianghi (da www.sommergibili.com) |
17-18 agosto 1942
Durante la notte tra
il 17 ed il 18 l’Ascianghi viene
fatto ripartire da Trapani: la battaglia di Mezzo Agosto si è ormai conclusa,
ma alle 6.50 del 17 è stato avvistato al largo di Algeri un gruppo di navi
britanniche identificate come la vecchia portaerei Furious, un incrociatore e sette cacciatorpediniere, ed è inoltre
giunta notizia che il 16 agosto altre navi britanniche si apprestavano a
lasciare Gibilterra; l’insieme di queste informazioni ha determinato uno stato
di allarme e l’ordine di far prendere il mare a tutti i sommergibili pronti,
tra cui l’Ascianghi. La Furious e le altre navi del suo gruppo
sono in mare per l’operazione "Baritone", consistente nell’invio a
Malta di 32 caccia Supermarine Spitfire allo scopo di rimpinguare le decimate
squadriglie di base nell’isola. Gli Spitfire, portati a Gibilterra da un
mercantile proveniente dal Regno Unito, vengono lanciati dalla Furious, uscita allo scopo da Gibilterra
il 16 agosto con la scorta degli incrociatori leggeri Aurora e Charybdis, e dei
cacciatorpediniere Antelope, Eskimo, Derwent, Bicester, Keppel, Lookout, Laforey, Lightning, Malcolm, Tartar, Venomous e Wishart (parte della Forza H). La Furious lancia gli Spitfire il 17 agosto, a sud delle Baleari; 29
dei 32 caccia riusciranno a raggiungere a Malta, mentre Furious e scorta rientreranno a Gibilterra il 18.
L’Ascianghi non avvista nulla.
19 agosto 1942
Chiarita la natura
dei movimenti avvistati o segnalati delle navi britanniche (appreso cioè che a
Gibilterra, prima di partire, la Furious
ha imbarcato 35 caccia Hawker Hurricane – il che indica con certezza che essa
era in mare per rifornire Malta di aerei –, mentre le navi in partenza da Gibilterra
il 16 sono dirette in Atlantico ed in Inghilterra, non in Mediterraneo), gli
alti comandi fanno cessare l’allarme e richiamano in porto tutti i
sommergibili, Ascianghi compreso.
Qualche tempo dopo
Mezzo Agosto, il comando dell’Ascianghi
passa al tenente di vascello Rino Erler.
1° novembre 1942
L’Ascianghi (tenente di vascello Rino
Erler, alla sua prima missione) salpa da Messina per Tobruk alle 22, in
missione di trasporto: a bordo ha 20 (per altra fonte 18) tonnellate di
munizioni.
3 novembre 1942
Alle 14.15 l’Ascianghi s’imbatte in un aereo tedesco
caduto in mare (o abbattuto) e ne recupera 20 sopravvissuti, che poi trasborda
sul cacciatorpediniere Corsaro,
precipitatosi sul posto.
4 novembre 1942
Arriva a Tobruk alle
9, sbarca le munizioni e poi riparte alle 18.
8 novembre 1942
Arriva ad Augusta
alle 12.30.
Nel frattempo, fin
dal mattino del 7 novembre, Maricosom (il Comando della Squadra Sommergibili),
prevedendo il passaggio di un convoglio nemico nel Canale di Sicilia, ha
ordinato all’Ascianghi di raggiungere
al più presto una zona d’agguato nel Canale di Sicilia.
È iniziata
l’operazione "Torch", che vedrà lo sbarco di oltre 107.000 soldati
angloamericani sulle coste del Nordafrica francese (Algeria e Marocco). In
seguito all’avvistamento della flotta d’invasione Alleata, in navigazione da
Gibilterra verso ovest, Supermarina invia numerosi sommergibili nelle acque
della Tunisia e dell’Algeria, ritenendo probabile uno sbarco su quelle coste
(che in realtà avverrà però più ad ovest, in Algeria e Marocco), ma non esclude
del tutto la possibilità che si tratti di un convoglio di rifornimenti diretto
a Malta. Proprio per quest’ultima eventualità, viene ordinato all’Ascianghi e ad altri tre sommergibili di
posizionarsi nel Canale di Sicilia, dove un eventuale convoglio diretto a Malta
dovrebbe passare.
9 novembre 1942
L’Ascianghi (tenente di vascello Rino
Erler) salpa da Trapani per una missione offensiva nelle acque di Bougie, in
Algeria.
11 novembre 1942
Arriva nelle acque
dell’Algeria. Lo stesso giorno, alle 17.56, Maricosom annuncia ai sommergibili
in mare che truppe nemiche stanno sbarcando nella rada di Bougie (si tratta
dell’operazione "Perpetual", una sotto-operazione di "Torch"
che consiste nell’occupazione di Bougie da parte di truppe della 36a
Brigata di fanteria britannica sbarcate dai trasporti truppe Marnix van St. Aldgegonde, Karanja e Cathay, con l’appoggio dell’incrociatore britannico Sheffield, della nave antiaerei Tynwald – poi affondata a Bougie dal sommergibile italiano Argo –, dal monitore Roberts e da alcuni cacciatorpediniere,
più il trasporto truppe Awatea – pure
affondato dall’Argo qualche giorno
dopo – con commandos e materiale della RAF, ed i dragamine di squadra Algerine e Cadmus) ed ordina ad Ascianghi,
Argento, Argo, Avorio, Diaspro ed Emo di portarsi subito in quelle acque e di operarvi «senza alcuna limitazione con energia e
decisione», per poi fare ritorno nei rispettivi settori assegnati il giorno
seguente. L’Ascianghi e gli altri
sommergibili eseguono l’ordine; muovendosi a tutta velocità verso la zona
indicata, notano nella rada di Bougie una ferrea vigilanza antisommergibili, ma
agiscono egualmente con decisione, grazie anche all’ampia libertà d’iniziativa
loro accordata.
13 novembre 1942
Alle 18.38, avendo
ricevuto informazione che truppe britanniche sono sbarcate a Bona e
Philippeville (in Algeria), Maricosom ordina ai sommergibili di portarsi in
quelle rade ed agirvi con la massima risolutezza fino all’alba, quando dovranno
tornare nelle zone d’agguato a ciascuno assegnate. L’Ascianghi, in particolare, insieme ad Argento, Asteria, Velella e Mocenigo, viene mandato nelle acque di Philippeville. Questo invio
si rivelerà però infruttuoso, perché parte dei sommergibili non avvisterà
nessuna nave, mentre gli altri non riusciranno a portare a termine gli attacchi
iniziati a causa delle sfavorevoli condizioni di avvistamento e della forte
vigilanza avversaria.
14 novembre 1942
Alle 10.40 Maricosom
ordina una nuova putnata offensiva contro la rada di Bougie, da effettuarsi
nella notte successiva.
15 novembre 1942
Forzata la rada di
Bougie con ardita manovra, favorita dalla notte molto buia e con visibilità
estremamente limitata, l’Ascianghi si
porta vicino alla riva ed alle 3.39 avvista una formazione di tre navi da
guerra che sembra stiano uscendo dal porto, e che vengono identificate dal
comandante Erler come un incrociatore classe Caledon, un incrociatore classe
Leander ed un cacciatorpediniere (secondo lo storico Francesco Mattesini, inizialmente
sarebbero stati avvistate due navi da guerra in linea di fila, ritenute
incrociatori classe Caledon, e poi una terza, giudicata un incrociatore classe
Leander; altra fonte parla di un convoglietto di quattro navi, ma sembra
trattarsi di un errore; un’altra ancora afferma che l’Ascianghi avrebbe identificato i bersagli come un incrociatore
scortato da due cacciatorpediniere). Restando in superficie, il sommergibile
serra le distanze per attaccare ed alle 3.45 (o 3.42), da ridotta distanza,
lancia una coppiola siluri contro la seconda nave della formazione,
identificata come incrociatore classe Caledon, ma le armi non vanno a segno;
allora l’Ascianghi inverte la rotta
ed alle 3.46 (o 3.47) lancia un’altra coppiola, da 700 metri di distanza,
stavolta contro la nave che procede in coda alla formazione, ritenuta un
incrociatore classe Leander. Dopo due minuti e 47 secondi dal lancio, entrambi
i siluri vanno a segno: secondo quanto visto dal comandante Erler, uno colpisce
il bersaglio a proravia della plancia, l’altro a centro nave tra la plancia ed
il fumaiolo. La nave affonda, mentre l’Ascianghi
s’immerge e si disimpegna senza che si materializzi, da parte britannica,
alcuna reazione (per altra fonte, invece, la reazione ci sarebbe stata ma il
sommergibile l’avrebbe elusa senza subire danni).
Una nave britannica è
stata effettivamente affondata, anche se il comandante Erler, complice il buio e
la poca visibilità, ha sovrastimato di parecchio le dimensioni dei suoi
bersagli. Non si trattava, infatti, di un incrociatore e due
cacciatorpediniere, bensì di tre grossi dragamine di squadra della classe Algerine, dal dislocamento di 850
tonnellate standard e 1125 a pieno carico: l’Algerine stesso, l’Alarm
ed il Cadmus. Al momento
dell’attacco, le unità britanniche hanno appena completato una missione di
dragaggio della rada di Bougie (loro compito era di liberare tale rada dalle
mine dell’Asse, sempre nell’ambito dell’operazione "Perpetual"; per
altra fonte tale missione era svolta solo da Alarm ed Algerine, mentre
il Cadmus si trovava anch’esso sul
posto in quel momento per caso), nella quale hanno neutralizzato in tutto 46 mine,
nell’ambito dell’attività di supporto all’operazione "Torch" (per
altra fonte, l’Algerine e l’Alarm erano impegnati in un
pattugliamento antisommergibili al momento del siluramento). I siluri dell’Ascianghi hanno colpito proprio l’unità
capoclasse e capoflottiglia, l’Algerine
(capitano di corvetta Wilfrid Alan Cooke, che è anche il comandante della 12th
Minesweeping Flotilla, che l’Algerine
forma insieme ai gemelli Albacore, Alarm, Acute e Cadmus), che
affonda rapidamente cinque miglia a nord di Capo Carbon ed a levante di Bougie,
nel punto 36°45' N e 05°11' E (per altra fonte, probabilmente erronea, 36°47' N
e 05°11' E).
L’HMS Algerine, affondato dall’Ascianghi il 15 novembre 1942 (Imperial War Museum) |
L’esplosione delle
bombe di profondità che lo stesso Algerine
aveva a bordo (le unità di questa classe, di dimensioni ed aspetto simili alle
corvette classe Flower, sono sovente utilizzate anche come navi scorta, ed
armate di conseguenza), verificatasi subito dopo l’affondamento, ha conseguenze
catastrofiche per il suo equipaggio: su 92 uomini imbarcati sull’Algerine, parecchi fanno in tempo a
gettarsi in mare, calandosi lungo la murata, mentre la nave affonda, ma vengono
uccisi dalle esplosioni; 32 vengono tratti in salvo all’alba, quando la
formazione si accorge dell’affondamento dell’Algerine (la cui scomparsa, essendo unità di coda, non era stata
subito notata), dal gemello HMS Cadmus
(altra fonte attribuisce erroneamente il salvataggio alla nave antiaerei
ausiliaria HMS Pozarica, oppure
affianca al Cadmus, nel soccorso dei
naufraghi, il gemello Albacore), che
li sbarca a Bougie, ma 24 di essi muoiono nei giorni successivi per le lesioni
interne causate dallo scoppio delle bombe di profondità mentre si trovavano in
acqua. Soltanto in otto sopravvivono, perché al momento dell’esplosione delle
bombe si trovavano su una zattera Carley invece che in acqua, e di conseguenza
non sono stati interessati dalla tremenda onda d’urto subacqua. L’equipaggio
del Cadmus, cui era parso che i
naufraghi dell’Algerine tratti in
salvo stessero tutti bene salvo che per ferite minori, rimarrà stupefatto
nell’apprendere, qualche giorno dopo, che dopo lo sbarco a Bougie sono morti
quasi tutti. Sarà l’autposia a rivelare le gravissime lesioni interne,
soprattutto allo stomaco, che sono state loro fatali. Alla fine i morti saranno
84, tra cui il comandante Cooke e tutti gli ufficiali (nove in tutto, nessuno
dei quali, comunque, era nemmeno tra i naufraghi raccolti dal Cadmus).
In conseguenza di
questa tragedia, la Royal Navy modificherà le proprie procedure relative
all’utilizzo delle bombe di profondità, ordinando che vengano armate soltanto
subito prima dell’inizio della caccia ad un sommergibile anziché, come si
faceva in precedenza, fin dal momento della partenza dal porto.
16 novembre 1942
Lascia la zona
d’agguato per rientrare alla base.
18 novembre 1942
L’Ascianghi arriva a Napoli, ponendo
termine alla sua missione. Per il duplice forzamento della rada di Bougie e
l’azione del 15 novembre, il comandante Erler verrà decorato di Medaglia
d’Argento al Valor Militare; la stessa decorazione verrà conferita al
comandante in seconda, sottotenente di vascello Ignazio Spinale, mentre il capo
silurista di terza classe Filomeno Lacitignola avrà la Medaglia di Bronzo al
Valor Militare ed altri 35 membri dell’equipaggio (guardiamarina Mario Ferrando
e Claudio Ansaldo, sottotenente G.N. Mario Nebbiani, secondi capi motoristi
Francesco Peluso e Vittorio Maschio, secondo capo furiere Santo Manzoni,
secondo capo silurista Carmelo Luparelli, sergenti radiotelegrafisti Mario
Ponticelli e Ottavio Chetry, sergente elettricista Edoardo Soresini, sottocapo
fuochista Ferrando Pellegrinetti, sottocapi elettricisti Antonio Grando e
Vincenzo Romano, sottocapo silurista Giacinto Petrella, sottocapo segnalatore
Sergio Bernardoni, sottocapo motorista Giuseppe Somma, marinaio cannoniere
puntatore mitragliere Alfonso Micellino, motoristi Giuseppe Lanotte, Ugo
Palestini ed Enrico Serini, siluristi Michele Correro e Giovanni Culatina,
sottonocchiere Domenico Franco, marinaio cannoniere Alberto Cellone,
elettricisti Renato Demori, Onelio Zaina ed Alessandro Quagliata, nocchieri
Giovanni Zamboni, Bruno Bucciarelli, Francesco Zappia, Romano Quarantotto,
Vittorio Siena ed Angelo Pippa, fuochista Camillo Morsella) riceveranno la
Croce di Guerra al Valor Militare.
Dopo il
forzamento di Bougie e l’affondamento dell’Algerine,
l’equipaggio dell’Ascianghi dipinse
sulla torretta del proprio battello questa scritta canzonatoria: "Visitate Bougie – Grand Hotel Rada – Tutti i
conforti moderni" (sopra: da “Sommergibili in guerra” di Achille
Rastelli ed Erminio Bagnasco, via Dante Flore; sotto: da www.betasom.it)
Gennaio 1943
Sottoposto ad
ispezione, in seguito alla quale viene giudicato in buone condizioni di
efficienza (equipaggio compreso), con un punteggio di 100/100 (il giudizio
complessivo è «buono» nella seguente scala: ottimo-buono-mediocre-cattivo-pessimo).
18 febbraio 1943
Prende il mare per
una nuova missione in acque nordafricane, nel Golfo della Sirte.
2-3 marzo 1943
Nella notte tra il 2
ed il 3 l’Ascianghi (tenente di
vascello Rino Erler), in agguato nel Golfo della Sirte, avvista un grosso
convoglio fortemente scortato in posizione 31°47’ N e 16°13’ E; serrate le
distanze fino a soli 800 metri, all’1.31 del 3 marzo lancia tre siluri contro
un cacciatorpediniere. Dopo il lancio viene avvistato ed una delle navi della
scorta tenta di speronarlo, costringendolo all’immediata immersione per evitare
la collisione; non è così possibile verificare l’esito dei lanci, anche se un
minuto dopo il lancio vengono distintamente sentite due (o tre) esplosioni,
tali da indurre l’equipaggio a ritenere d’aver fatto centro (si ritiene di aver
colpito un cacciatorpediniere ed una nave mercantile). Non risulta, tuttavia,
che alcuna nave sia stata danneggiata od affondata in tale occasione.
5 marzo 1943
Rientra alla base.
Marzo 1943
Entra in arsenale per
un periodo di lavori, che si protrarranno per oltre tre mesi.
Giugno 1943
Assume il comando
dell’Ascianghi, ancora ai lavori, il
sottotenente di vascello Mario Fiorini (27 anni, da Camogli), mentre il
comandante Erler, promosso a capitano di corvetta, è destinato al comando del
sommergibile Atropo. Il comandante
Fiorini è uno dei pochissimi sottotenenti di vascello (non più di due o tre, in
tutta la Regia Marina) a ricevere il comando di un sommergibile, incarico
solitamente riservato almeno a tenenti di vascello: un sintomo, probabilmente,
della moria di comandanti – e in generale di uomini – che l’arma subacquea
italiana sta subendo in una guerra sempre più disperata.
19 luglio 1943
Secondo alcune fonti
polacche, in questa data l’Ascianghi
sarebbe stato attaccato con quattro siluri, al largo di Malta, dal sommergibile
polacco Dzik (che stava rientrando a
Malta dopo un agguato al largo di Taranto), mentre si apprestava a sua volta a
silurare il sommergibile britannico Unshaken
(che proprio in quelle acque doveva incontrare, a quell’ora, lo Dzik). I siluri dello Dzik avrebbero mancato l’Ascianghi, ma lo avrebbero indotto ad
interrompere l’attacco contro l’Unshaken.
In realtà, l’Ascianghi in quella data
non si trovava al largo di Malta, bensì (vedi sotto) in navigazione da Pozzuoli
alla zona di Augusta, oppure già in agguato al largo di Augusta; pertanto è del
tutto erronea la notizia del suo coinvolgimento nell’azione dello Dzik. Secondo alcune fonti il
sommergibile attaccato dallo Dzik
sarebbe stato lo stesso Unshaken,
scambiato per nemico: eventualità questa tutt’altro che impossibile, essendosi
episodi del genere verificati in quel conflitto in quasi tutte le Marine,
talvolta con esito fatale.
Un’altra immagine dell’Ascianghi appena varato (g.c. Marcello Risolo via www.naviearmatori.net) |
Sicilia
Nelle prime ore del
10 luglio 1943, una flotta Alleata che contava 2590 unità navali (1614
britanniche, 945 statunitensi, dieci olandesi, nove polacche, sette greche,
quattro norvegesi ed una belga) di tutti i tipi (237 navi trasporto, 1742 tra
mezzi e navi da sbarco, 6 corazzate, due portaerei, 15 incrociatori, quattro
navi antiaeree, tre monitori, 128 cacciatorpediniere, 36 fregate, 5 cannoniere,
4 posamine, 42 dragamine, 26 sommergibili, 243 tra motosiluranti e
motocannoniere ed altre unità minori ed ausiliarie), appoggiata da più di 4000 aerei
appartenenti a 259 gruppi di volo (146 statunitensi e 113 britannici), sbarcava
160.000 soldati statunitensi, britannici e canadesi (nelle settimane
successive, questo numero sarebbe triplicato) sulle coste della Sicilia.
Iniziava l’operazione "Husky", e con essa la sequenza di eventi che
nel giro di due mesi avrebbe portato alla caduta del regime fascista ed alla
resa dell’Italia con l’armistizio di Cassibile.
Nel giro di 38
giorni, l’isola sarebbe caduta; tra le fila italiane si sarebbero contati 4678
morti accertati, migliaia di dispersi, 32.500 feriti e 116.000 prigionieri.
La malridotta flotta
di superficie italiana, stante la disparità di forze ed il dominio del cielo da
parte angloamericana, che avrebbero reso il suo intervento un suicidio, rimase
in porto; l’onere di difendere la Sicilia ricadde sull’arma subacquea e sui
mezzi insidiosi.
L’Ascianghi partì da Pozzuoli (per altra
fonte Napoli) il 16 luglio (altra fonte parla del 17 o 18 luglio), diretto in
un settore d’agguato situato una trentina di miglia a sudest di Augusta, nella
Sicilia sudorientale. Insieme ad altri sommergibili, avrebbe dovuto tentare di
contrastare le operazioni di sbarco angloamericane: un’impresa disperata,
contro forze soverchianti, con poche probabilità di successo e tante di
lasciarci la pelle.
Successivamente gli
fu ordinato di spostarsi più a nord, sottocosta lungo la fascia costiera tra
Augusta e Catania (per altra fonte, invece, si posizionò tra Augusta e
Siracusa). Proprio tra queste due città correva la linea del fronte: Augusta,
una delle maggiori piazzeforti militari marittime della Sicilia, era già
caduta, conquistata dai britannici il 12 luglio dopo che metà della sua
guarnigione, in testa i militi della MILMART, aveva praticamente disertato, per
la disperazione dell’ammiraglio Priamo Leonardi, comandante di una piazzaforte dissoltasi
sotto i suoi piedi e futuro capro espiatorio dell’intera faccenda. A niente era
servita la difesa opposta nelle campagne circostanti dai soldati del 76°
Reggimento Fanteria "Napoli" e da quei marinai e fanti costieri ancora
intenzionati a battersi: i britannici, ben sapendo che le difese di Augusta
erano tanto poderose sul lato mare quanto deboli sul lato terra, avevano
attaccato da quest’ultima parte, ed avevano prevalso dopo due giorni di
combattimenti. Catania, le cui deboli difese erano state rinforzate con l’invio
di due reggimenti scelti di paracadutisti tedeschi, sarebbe invece rimasta in
mano all’Asse fino al 5 agosto.
L’Ascianghi era ormai l’unico sommergibile
italiano ad essere ancora attivo sottocosta nelle acque tra Augusta, Siracusa e
Catania, porti dei quali i primi due erano caduti in mano nemica e venivano ora
utilizzati dai britannici per sbarcare truppe, mezzi e rifornimenti con cui
alimentare l’avanzata in Sicilia: il sommergibile di Fiorini avrebbe dovuto
tentare di insidiare queste linee di rifornimento, ma il rischio era grande.
Nei giorni precedenti la preponderanza dei mezzi aeronavali angloamericani
adibiti alla protezione antisommergibili delle navi di "Husky",
soprattutto vicino alla costa ed ai porti conquistati ed usati per lo sbarco di
uomini e materiali, aveva fatto mostra della propria letale efficienza,
infliggendo una serie di dolorose perdite ai sommergibili italiani che
tentavano di attaccare il naviglio Alleato: il Bronzo (catturato) il 12 luglio, il Flutto, il Nereide e l’Acciaio il 13, mentre il 16 era stato
gravemente danneggiato da aerei il Dandolo
ed il 18 aveva avuto analoga sorte l’Ambra.
Tutte le perdite, tranne quella dell’Acciaio,
si erano verificate nelle acque di Augusta, Siracusa e Catania, cioè proprio
quelle dove si trovava in agguato l’Ascianghi.
In conseguenza di ciò, Maricosom decise di arretrare le zone di agguato dei
sommergibili, spostandoli verso il largo, con l’obiettivo di attaccare il
naviglio nemico prima che giungesse in vista della Sicilia. Unica eccezione fu
l’Ascianghi, che venne lasciato dove
si trovava.
Nel primo pomeriggio
del 23 luglio (per una fonte, intorno alle tre del pomeriggio) l’Ascianghi, mentre si trovava immerso ad
una decina di miglia da Augusta, avvistò una nutrita formazione navale
britannica in uscita da quella rada, composta da incrociatori e
cacciatorpediniere (altra fonte parla di un incrociatore e sei
cacciatorpediniere, un’altra ancora di una formazione di cinque
cacciatorpediniere). Il marinaio Andrea D’Alessandro, molti anni dopo, avrebbe
ricordato che la formazione nemica venne dapprima rilevata agli idrofoni; l’Ascianghi si portò poi a quota
periscopica ed avvistò le navi britanniche, mentre l’equipaggio veniva mandato
ai posti di combattimento. Il comandante Fiorini manovrò per superare lo
schermo difensivo, con l’intenzione di colpire quella che sembrava la nave più
grossa.
Dopo aver serrato le
distanze, alle 15.43 (ora italiana) l’Ascianghi
lanciò due siluri in rapida successione, da non grande distanza, contro la nave
che procedeva in testa alla formazione, identificata variabilmente come un
incrociatore od un cacciatorpediniere, a seconda delle fonti (per altra fonte,
probabilmente erronea, lanciò infruttuosamente una prima coppiola di siluri dai
tubi di prua, contro l’incrociatore che procedeva in testa, dopo di che lanciò
un’altra coppiola dai tubi di poppa, stavolta ritenendo di aver fatto centro).
Il sommergibile italiano aveva appena iniziato la manovra di disimpegno quando
iniziarono a piovere le bombe di profondità, lanciate dai cacciatorpediniere
britannici Laforey ed Eclipse.
Alle 15.41 (ora
britannica, con discrepanza di qualche minuto rispetto all’orario italiano),
infatti, uno dei siluri lanciati dall’Ascianghi
aveva mancato di stretta misura, passandogli a poppavia, il Laforey (capitano di vascello Reginald
Maurice James Hutton), che ne aveva avvistato la scia e si era diretto subito
verso il punto in cui essa sembrava avere origine, seguito dall’Eclipse (capitano di fregata Edward
Mack). Ottenuto un buon contatto al sonar, Laforey
ed Eclipse effettuarono in breve
tempo ben cinque attacchi, con lancio di parecchie bombe di profondità.
La pesante caccia arrecò
danni gravissimi allo scafo del sommergibile; due bombe di profondità esplosero
vicinissime alla poppa ed alla prua dell’Ascianghi,
che iniziò ad imbarcare parecchia acqua (le infiltrazioni d’acqua si
verificarono in particolare nella camera di lancio poppiera) e di conseguenza,
per il derivante appesantimento, cominciò a sprofondare rapidamente verso
l’abisso, scendendo ben oltre la quota massima strutturalmente consentita. Le
esplosioni delle bombe di profondità continuavano, facevano tremare tutto lo
scafo. Ancora un po’ e la pressione avrebbe schiacciato il malridotto
sommergibile, senza lasciare scampo all’equipaggio: fu giocoforza emergere,
altrimenti sarebbe stata la fine per tutti. Il comandante Fiorini decise che
avrebbe tentato un’ultima lotta con cannoni e mitragliere in superficie, dove
almeno l’equipaggio avrebbe avuto una possibilità di salvarsi, dopo di che
avrebbe autoaffondato il sommergibile.
Lottando contro gli
strumenti che rispondevano sempre meno, l’equipaggio riuscì ad arrestare la
discesa verso il fondale, e poi, a poco a poco, a risalire; infine l’Ascianghi venne a galla, fortemente
appoppato, e non appena in superficie fu immediatamente preso sotto l’intenso e
preciso tiro di Laforey ed Eclipse, da distanza ravvicinata. Secondo
una fonte parteciparono all’azione anche altri due cacciatorpediniere (secondo
altra fonte il cacciatorpediniere HMS Inglefield
avrebbe attaccato l’Ascianghi prima
di Laforey ed Eclipse, ma senza successo) e la corvetta olandese Flores, che aprì anch’essa il fuoco
contro il sommergibile.
Ci volle qualche
minuto per aprire i portelli e poter uscire in coperta: a chi doveva aspettare,
bloccato in un sommergibile divenuto inerme bersaglio contro il quale
continuava il cannoneggiamento, parve un’eternità. Prima che si potesse tentare
una reazione con cannoni e mitragliere, i pezzi da 120 mm dei caccia britannici
colpirono più volte l’Ascianghi,
mentre le mitragliere Bofors e Vickers ne spazzavano la plancia e la coperta, falciando
gli uomini che fuoriuscivano dal sommergibile: reagire, in quelle condizioni,
era del tutto impossibile. Molti furono uccisi, altri feriti; il comandante
Fiorini ordinò di abbandonare la nave, aiutò gli uomini che esitavano a
gettarsi in mare. L’equipaggio dell’Ascianghi
abbandonò il battello, sotto un tiro che non cessava. Anni dopo un superstite,
il tarantino Francesco Tortora, avrebbe raccontato al giornalista e scrittore
Donatello Bellomo che le navi britanniche mitragliarono i naufraghi che si
erano gettati in mare (date le circostanze, sembra più probabile che come
spesso avveniva in casi simili, le navi abbiano “semplicemente” sparato sul
sommergibile con tutte le armi per impedire qualsiasi reazione ed assicurarne
la rapida distruzione, così colpendo anche gli uomini che lo stavano
abbandonando, ma senza intendere deliberatamente far fuoco sui naufraghi; anche
se chi si ritrovò ad essere oggetto di quel tiro ciò faceva ben poca
differenza).
Parecchi uomini erano
già morti a bordo del sommergibile, annegati nei compartimenti più danneggiati,
che già si erano allagati. Le cannonate continuavano a scoppiare tutt’intorno;
il timoniere Salvatore Grande – che ricordò in seguito che il mare “si tingeva
di rosso” –, appena diciassettenne (si era arruolato volontario a quindici
anni), ed il marinaio Giorgio Bergani, dopo essersi buttati in acqua, videro
che l’aspirante guardiamarina Mario Marinelli, ventenne, era gravemente ferito,
chiedeva aiuto: lo raggiunsero, lo afferrarono per le braccia e cercarono di
riportarlo a bordo del sommergibile che ancora galleggiava, ma prima che
potessero riportarlo sull’Ascianghi
il giovane ufficiale fu colpito un’altra volta, morì. Il corpo ricadde in
acqua, scomparve.
Dopo l’emersione, l’Ascianghi rimase a galla soltanto per
pochi minuti: le molte cannonate incassate, ed in particolare una via d’acqua a
poppa, ne determinarono il rapido affondamento alle 16.23 (altre fonti parlano
delle 16 circa, o delle 16.30). Secondo le fonti italiane il sommergibile
affondò di poppa nel punto 37°09’ N e 15°22’ E, una decina di miglia a sudest
di Augusta (per altra fonte, invece, una decina di miglia a nordest di quella
città) e circa undici miglia al traverso della penisola di Magnisi; le fonti
britanniche indicano invece come posizione 37°09’ N e 14°22’ E, ma deve
trattarsi evidentemente di un errore di trascrizione – 14° anziché 15° –, dal
momento che detta posizione si trova sulla terraferma.
Furono le stesse
unità affondatrici a recuperare i sopravvissuti dell’Ascianghi, lanciando loro delle cime con le quali i naufraghi,
laceri e sporchi di nafta, furono issati a bordo. In tutto si salvarono 27 tra
ufficiali (compresi il comandante Fiorini ed il direttore di macchina capitano
G.N. Vittorio Rosati), sottufficiali e marinai, in parte feriti. Tra questi
ultimi era anche Andrea D’Alessandro, ferito all’occhio sinistro, che fu
raccolto dal Laforey.
La maggior parte
delle fonti riferisce che le vittime furono 23; dalla consultazione dell’Albo
d’Oro dei Caduti e Dispersi della Marina Militare nella seconda guerra mondiale
risulta che 21 uomini morirono (tutti dichiarati dispersi) nell’affondamento
del sommergibile, un ventiduesimo (il marinaio cannoniere Alfonso Micellino)
morì a Malta due giorni dopo, presumibilmente per le ferite riportate, mentre
un ventitreesimo (il marinaio motorista Giuseppe Cartelli) morì in Italia nel
dopoguerra, nel febbraio 1946, per cause di servizio (presumibilmente i postumi
di ferite subite nell’affondamento, o le conseguenze della prigionia).
Risulterebbe quindi che l’equipaggio dell’Ascianghi
al momento dell’affondamento fosse composto da 48 uomini, di cui 21 morirono
nell’affondamento o subito dopo e 27 furono tratti in salvo dalle navi
britanniche; dei 27 superstiti uno morì due giorni dopo per le ferite subite,
ed un altro morì nel dopoguerra per postumi delle ferite o della prigionia. Qualcuno
dei 21 uomini che risultano dispersi nell’affondamento morì a bordo delle navi
soccorritrici subito dopo il salvataggio, come il sergente segnalatore Giovanni
Nozze il quale, ferito gravemente, spirò a bordo di uno dei cacciatorpediniere
e venne avvolto in un lenzuolo e sepolto in mare. Per una fonte, sarebbero
stati due i naufraghi italiani deceduti a bordo dei cacciatorpediniere poco
dopo il salvataggio.
Alle 13.38 dello
stesso 23 luglio, in acque vicinissime a quelle in cui fu poco dopo affondato
l’Ascianghi (37°05'5" N e
15°24'2" E, al largo di Siracusa), l’incrociatore leggero britannico Newfoundland (capitano di vascello
William Rudolph Slayter), facente parte della "Support Force East" e
da poco uscito da Augusta per trasferirsi a Malta insieme al gemello Mauritius ed ai cacciatorpediniere Loyal, Lookout e Laforey, era
stato colpito a poppa sinistra da un siluro, riportando danni molto gravi alle
strutture poppiere (con anche la distruzione del timone) oltre ad una vittima e
6 feriti tra l’equipaggio. Raggiunta faticosamente Malta, il Newfoundland necessitò di riparazioni
che si protrassero fino all’aprile 1944 (e cui seguì poi un periodo di
raddobbo, per cui l’incrociatore tornò operativo solo in novembre).
All’epoca si
credette, da parte britannica, che l’Ascianghi
fosse il sommergibile che aveva silurato il Newfoundland,
e questa versione fu riportata per lungo tempo (e talvolta lo è tuttora) sia
dalle fonti italiane che da quelle anglosassoni, anche ufficiali. Il capitano
di vascello Hutton, comandante del Laforey,
era convinto di aver affondato il siluratore del Newfoundland: nel suo rapporto scrisse che «Alle 15.41 l’U-Boat ebbe la temerità di lanciare due siluri al Laforey,
i quali mancarono a poppavia. Risalendo la scia [dei siluri] venne ottenuto un buon contatto e dopo
cinque attacchi con cariche di profondità da parte di Laforey ed Eclipse il
sommergibile emerse e venne affondato a cannonate alle 16.23. Recuperai un
sopravvissuto che mi informò che [il sommergibile] era l’Ascianghi e che aveva lanciato quattro siluri contro il Newfoundland
due ore prima».
Negli anni Ottanta,
tuttavia, un più attento confronto degli orari e dei rapporti delle unità
coinvolte ha mostrato che l’orario dell’attacco dell’Ascianghi era del tutto incompatibile con quello del danneggiamento
del Newfoundland; mentre risultava
coerente con questo evento l’attacco di un altro sommergibile, il tedesco U 407 (tenente di vascello Ernst-Ulrich
Brüller), che un paio d’ore prima dell’Ascianghi,
alle 13.37, aveva lanciato anch’esso due siluri contro un incrociatore
britannico (facente parte di un gruppo formato da due incrociatori e quattro
cacciatorpediniere), praticamente nelle stesse acque (37°03' N e 15°24' E),
avvertendo una detonazione dopo un minuto e dieci secondi. Dopo il lancio l’U 407 era riuscito ad allontanarsi
indisturbato verso il largo, mentre la reazione della scorta (8th
Destroyer Flotilla, di cui facevano parte anche il Laforey e l’Eclipse,
distaccati con altre unità per dare la caccia al sommergibile siluratore) si
era concentrata sullo sfortunato Ascianghi,
ritenuto a torto il “colpevole” (secondo il libro "La partecipazione
tedesca alla guerra aeronavale nel Mediterraneo" di Francesco Mattesini,
l’Ascianghi avrebbe inconsapevolmente
attaccato i tre cacciatorpediniere che, dopo il siluramento del Newfoundland, erano impegnati nella
ricerca, verso nord, del sommergibile che lo aveva silurato; avvistate e
risalite le scie dei siluri che l’Ascianghi
aveva lanciato contro di essi, erano passati al contrattacco e lo avevano
affondato). I sopravvissuti dell’Ascianghi
avevano identificato la nave da loro attaccata come un incrociatore, ma con
ogni probabilità si trattava in realtà del Laforey.
Oggi si ritiene pertanto che sia stato l’U
407 a silurare il Newfoundland.
I superstiti dell’Ascianghi, sorvegliati a vista dopo il
salvataggio, furono portati inizialmente a Malta, dove i feriti poterono
ricevere le necessarie cure ed i più gravi vennero ricoverati nel locale
ospedale (tra questi anche Andrea D’Alessandro, che venne sottoposto ad
un’operazione all’occhio ferito); poi, i 21 uomini rimasti illesi furono
imbarcati su un’altra nave che li portò ad Algeri, da dove furono inviati nel
campo di prigionia numero 211, in Algeria. Durante il viaggio da Malta ad
Algeri, i naufraghi dell’Ascianghi
rischiarono nuovamente di morire in mare, quando la loro nave venne attaccata
da aerei tedeschi; uno di essi, Giorgio Bergoni, disse ai compagni: «A casa non si torna più. Ragazzi, moriremo
tutti». Per fortuna, la sua previsione si rivelò troppo pessimistica; la
nave non fu colpita. Sempre durante quel viaggio verso la prigionia, i 21
uomini dell’Ascianghi imbarcati sulla
nave diretta in Algeria ebbero un’idea quasi romanzesca, forse piuttosto
bizzarra col senno di poi: per tentare di informare i famigliari e le fidanzate,
che a casa certamente ignoravano la loro sorte, di quanto era accaduto e della
loro situazione, scrissero i loro nomi su un pezzo di carta, insieme ad un
semplice messaggio: «Siamo vivi!». Arrotolarono il pezzo di carta, lo infilarono
in una bottiglia, poi gettarono la bottiglia in mare attraverso un oblò. Le
probabilità che quel messaggio in bottiglia approdasse in Italia, e
raggiungesse qualcuno che conosceva uno dei superstiti dell’Ascianghi, erano molto tenui, prossime a
zero.
La vita nel campo 211
si rivelò un inferno, il trattamento riservato ai prigionieri era pessimo; alla
fine alcuni di essi, tra cui il timoniere Salvatore Grande dell’Ascianghi, presero la decisione di
fuggire. Il primo tentativo fallì: Grande venne ricatturato e per punizione fu
rinchiuso per 18 giorni in una minuscola tenda adibita a prigione. Miglior
fortuna ebbe il secondo tentativo, nel quale un gruppetto di prigionieri scavò
un tunnel partendo da un foro praticato nel pavimento dei bagni. Fuggito dal campo,
Grande riuscì a rientrare rocambolescamente in Italia, quasi un anno dopo
l’affondamento dell’Ascianghi; riuscì
anche ad essere reintegrato nei ranghi della Marina, ora co-belligerante con
gli Alleati in seguito all’armistizio dell’8 settembre, e dal 1945 imbarcò
nuovamente su un sommergibile. Avrebbe lasciato la Marina nel 1949.
Il comandante
Fiorini, prigioniero per trenta mesi dapprima in Algeria e poi in Inghilterra,
fu rimpatriato il 31 marzo 1946, a guerra finita – in Europa – da quasi undici
mesi. L’inchiesta sulla sua condotta in occasione della perdita dell’Ascianghi diede un giudizio positivo (il
Ministro della Marina, Giuseppe Micheli, gli scrisse in proposito il 14 ottobre
1946: «Ho esaminato la relazione della
Commissione Speciale d’Inchiesta, in merito all’affondamento dell’Ascianghi
avvenuto il 23 luglio 43 al largo di Augusta e di cui Lei era il Comandante. Da
esso ho rilevato che Ella, si comportò con perizia e slancio durante un attacco
contro caccia nemici e quando in seguito a grosse avarie riportate dall’Unità
al Suo Comando, come da conseguenza avversaria, si trovò nella dura necessità
di dover scegliere tra il perdere l’Unità con tutto l’equipaggio, o perderla
cercando di salvare il personale, giustamente decise per quest’ultima soluzione.
Giudico, pertanto, il Suo comportamento conforme alle leggi dell’onore militare
e dai doveri derivanti dalla situazione contingente»). Fiorini
proseguì la sua carriera in Marina nel dopoguerra, raggiungendo il grado di
contrammiraglio; morì a Roma il 19 novembre 1983, all’età di 67 anni.
Ma la storia dell’Ascianghi, prima di giungere al termine,
doveva avere ancora un ultimo, incredibile risvolto. Nel 1999 una giovane
ambientalista siciliana, dedita a passeggiare per le spiagge ripulendole dai
rifiuti abbandonati dai bagnanti o portati a riva dal mare, trovò su una
spiaggia vicino a Catania – non molto lontano dalle stesse acque in cui l’Ascianghi era affondato – una vecchia
bottiglia, gettata sulla battigia dalle onde. Al suo interno era visibile un
biglietto: presa da curiosità, la ragazza – si chiamava Carmela – lo aprì e vi
trovò i nomi di 21 uomini, insieme ad uno strano messaggio. Intraprese delle
ricerche, riuscì a rintracciare uno di quei ventuno, ottenerne il recapito
telefonico, contattarlo: era Salvatore Grande, ormai settantaquattrenne,
pensionato e con due figli, residente a Napoli ed ancora in forma. Fu lui a
raccontare alla ritrovatrice la storia incredibile di quella bottiglia che ventuno
uomini disperati, prigionieri e isolati dal resto del mondo, avevano affidato
alle onde tanti anni prima, da bordo della nave che li portava verso l’Algeria.
Dopo 56 anni, il messaggio era arrivato a destinazione.
La vicenda del
messaggio in bottiglia è confermata anche da Giorgio Tortora, figlio di un
altro sopravvissuto dell’Ascianghi,
il quale diversi anni dopo – il 25 novembre 2013 – raccontò al programma
radiofonico "Voi siete qui", in onda su Radio 24, una storia ancora
più stupefacente: nell’estate del 1999, Tortora aveva rivolto mentalmente al defunto
padre, durante una visita al cimitero, il seguente pensiero: “Papà, dicevi sempre di non essere un
credente, ma di invidiare chi una fede ce l’aveva (…) Ora però tu sai come stanno le cose e se davvero lì dove sei esiste
qualcosa e tu ancora esisti, vorrei tanto che me lo facessi sapere… in qualche
modo. Se vuoi… e se puoi…” Pochi giorni dopo, era giunta la notizia del
ritrovamento della bottiglia sulla spiaggia di Catania, con i nomi e il
messaggio «Siamo vivi!».
Caduti tra l’equipaggio dell’Ascianghi:
Ottavio Betetto, marinaio motorista, da Abano
Terme, disperso
Saverio Bruno, marinaio silurista, da Erice,
disperso
Alberto Cacace, marinaio silurista, da
Taranto, disperso
Giovanni Carozzo, marinaio elettricista, da
Sestri Levante, disperso
Giuseppe Cartelli, marinaio motorista, da
Francofonte, deceduto in Italia l’1/2/1946
Alberto Cellone, sottocapo cannoniere, da
Bruino, disperso
Modesto Falconi, marinaio elettricista, da
Roma, disperso
Filippo Ferrari, sottocapo radiotelegrafista,
da Monterotondo, disperso
Filomeno Lacitignola, capo silurista di terza
classe, da Monopoli, disperso
Mario Marinelli, aspirante guardiamarina, da
Civitanova Marche, disperso
Alfonso Micellino, marinaio cannoniere, da
Torre Pellice, deceduto a Malta il 25/7/1943
Antonio Modolfino, marinaio elettricista, da
Sessa Aurunca, disperso
Renzo Moroni, marinaio radiotelegrafista, da
Mantova, disperso
Camillo Morsella, marinaio fuochista, da San
Valentino in Abruzzo, disperso
Bruno Mozzachiodi, secondo capo elettricista,
da Riccò del Golfo di Spezia, disperso
Celestino Murgia, marinaio nocchiere, da
Serramanna, disperso
Giovanni Nozze, sergente segnalatore, da
Vicenza, disperso
Vittorio Pelliccione, sottocapo elettricista,
da Civitella Roveto, disperso
Giacinto Petrella, sottocapo silurista, da
Pozzilli, disperso
Antonio Pietrini, marinaio silurista, da
Casola in Lunigiana, disperso
Angelo Pippa, marinaio nocchiere, da Torri del
Benaco, disperso
Saverio Russo, secondo capo motorista, da
Roccabascerana, disperso
Vittorio Siena, marinaio, da Senigallia,
disperso
La Marina Militare ha
periodicamente commemorato l’affondamento dell’Ascianghi con il lancio di una corona d’alloro sul punto
dell’affondamento, nel suo anniversario. Il 23 luglio 2013, settantesimo
anniversario dell’affondamento, un’imbarcazione di rappresentanza con a bordo
l’ammiraglio Roberto Camerini (comandante di Marisicilia ed anch’esso
sommergibilista in passato), il cappellano militare don Paolo Spinella, il
direttore del Museo della Piazzaforte di Augusta Antonello Forestiere, lo
storico locale Francesco Migneco (promotore della commemorazione) ed alcuni
ufficiali si è portata al largo di Augusta, dove l’aiutante di bandiera
dell’ammiraglio Camerini, tenente di vascello Umberto Castronovo, ha dato
lettura dei nomi degli scomparsi, accompagnando ciascuno con un minuto di
silenzio; dopo una breve omelia di suffragio da parte di don Spinella, è stata
deposta in mare una corona d’alloro, benedetta dal cappellano. Ha scritto un
giornalista locale, presente alla cerimonia: “Anche se per motivi contingentali, quel simbolo non è stato posato alle
otto miglia dalla nostra costa ove avvenne l’affondamento, bensì a circa tre
miglia, tuttavia l’abbiamo visto allontanarsi placidamente tra le onde, quasi a
dimostrare di conoscere la rotta e di aver fretta di raggiungere quel luogo che
custodisce quei 23 giovani, cui il destino negò di conoscere la vita”.
Una nuova, analoga
cerimonia si è tenuta il 24 luglio 2015, alla presenza del nuovo comandante di
Marisicilia, ammiraglio Nicola De Felice. È stata lanciata in mare una corona
di fiori, benedetta dal cappellano militare Don Nicola Minervini.
Il 13 luglio 2016
(con dieci giorni di anticipo rispetto alla data inizialmente prevista, che
coincideva con il 73° anniversario dell’affondamento, allo scopo di
approfittare della presenza ad Augusta della Palinuro) la nave scuola Palinuro,
partita da Augusta, ha deposto in mare una corona d’alloro alla presenza del
figlio di Sebastiano Pavone (da Acireale), superstite dell’Ascianghi (il quale durante la cerimonia ha ricordato come il
padre, gravemente ferito, si fosse prodigato per aiutare altri compagni durante
l’affondamento, e ciononostante, come molti sopravvissuti ad eventi del genere,
provasse a distanza di anni un “senso di colpa”), dell’ammiraglio De Felice,
dello storico locale Francesco Migneco e delle rappresentanze di diverse
associazioni d’arma (tra cui l’Associazione Nazionale Marinai d’Italia, la
sezione di Acireale dell’Istituto del Nastro Azzurro, la sezione di Acireale
dell’Associazione Arma Aeronautica e l’Assoarma/UNUCI, rappresentata
dall’ammiraglio Zanghi). Con una solenne cerimonia, davanti al picchetto d’onore
schierato, è stato suonato il silenzio e sono stati letti i nomi degli uomini
dell’Ascianghi che riposano ancor oggi
nella loro “bara di ferro” al largo di Augusta. A quanto risulta, nel 2016 era
ancora in vita un solo sopravvissuto dell’Ascianghi,
non più in grado di camminare.
La cerimonia
commemorativa del 2017 si è svolta il 24 luglio presso il Monumento ai Caduti
del Mare del comprensorio Terravecchia di Marisicilia, anziché in mare aperto
come in precedenza. Hanno presenziato ancora una volta l’ammiraglio De Felice,
altri rappresentanti delle autorità civili e militari della provincia di
Siracusa, lo storico augustano Migneco – promotore per anni di iniziative volte
a ricordare la tragedia dell’Ascianghi
–, i discendenti di alcuni marinai caduti sull’Ascianghi ed anche la figlia del comandante Fiorini, Rossella.
Un modello in scala
dell’Ascianghi è esposto nel Museo
della Piazzaforte di Augusta, insieme all’elenco nominativo dei marinai periti nel
suo affondamento, posto nel settantesimo anniversario dell’affondamento.
L’affondamento dell’Ascianghi e le vicissitudini dei
sopravvissuti in un’intervista di Andrea Illiano al superstite Salvatore
Grande, nato a Potenza nel 1925 ed arruolatosi volontario in Marina a soli
quindici anni (da “Il mattino” del 24 luglio 2000):
"Ci descriva le fasi dell’affondamento dell’Ascianghi.
«Furono momenti terribili. Una esperienza che non si può dimenticare.
Ero il timoniere «verticale» e ricordo ancora il rumore delle esplosioni che
facevano tremare lo scafo. Molti film sono stati girati per testimoniare quei
giorni tragici della Seconda guerra mondiale o di altre guerra sotto i mari. Ma
non si possono riportare sullo schermo le sensazioni di paura e di terrore
disegnate sui volti dei sommergibilisti. La nostra meta era la Sicilia. Nel
tratto Siracusa - Catania avvistammo una flotta inglese, il comandante Mario
Fiorini decise di lanciare due siluri, ma il contrattacco non si fece
attendere. Fu scagliata, subito, contro di noi l’unità antisommergibile. L’Ascianghi
fu colpito a poppa, lesioni gravi furono riportate anche a prua. Eravamo
spacciati».
A quel punto bisognava solo uscire dal
sommergibile..
«Certo, ma ci volle un tempo incredibile per aprire il portello, pochi
minuti lunghissimi, in cui si sentivano i boati di morte. Il bombardamento
continuava e noi eravamo lì, facile bersaglio».
Dopo l’affondamento dell’Ascianghi, cosa accadde?
«Venni fatto prigioniero dagli inglesi durante le operazioni successive
allo sbarco in Sicilia. Venni condotto ad Algeri, nel campo 211».
Che accadde durante la sua prigionia?
«Una vita d’inferno. Nessuno di noi riusciva a resistere, tanto è vero
che studiammo una evasione. Ce la facemmo soltanto al secondo tentativo. La
prima volta mi presero e fui rinchiuso per diciotto giorni in una tenda
piccolissima. Ma la seconda volta riuscimmo a scappare».
Quale fu il piano di fuga?
«Facemmo un buco nel pavimento dei bagni e scavammo un tunnel attraverso
il quale riuscimmo a guadagnare la libertà».
Poi cosa accadde?
«Non posso raccontare come ma arrivammo in Italia. Era passato quasi un
anno dalle peripezie a bordo dell’Ascianghi. Fui reintegrato nei ranghi della
marina e nel ‘45 nuovamente imbarcato su un sommergibile. Dopo quattro anni
lasciai la Marina».
Ha mai cercato di sapere che fine avevano
fatto tutti i suoi compagni di sventura?
Non ho mai smesso di sperare di rincontrare i
miei compagni superstiti. Ne ho ritrovati tre, Vardo Santini, di Genova,
Antonio D’Alessandro, di Roma, Giuseppe Compagnoni di Lezise (lago di Garda)»
Ritorniamo all’affondamento. Voi, superstiti
riusciste a rimanere uniti?
«Sì, anche se era difficile. Furono giorni terribili, di terrore, di
morte improvvisa, di violenza. Il sergente Giovanni Nozze, ferito gravemente
morì sulla nave inglese. Il suo corpo, avvolto in un lenzuolo, fu buttato in
mare. Eravamo disperati, sicuri di andare incontro alla morte. A Malta i feriti
furono curati, ma ci aspettavano giorni duri di prigionia».
Quale l’immagine di quei giorni che le torna
ancora in mente?
«Quando uscimmo dal sommergibile e le bombe continuavano ad esplodere,
l’acqua si tingeva di rosso, dovunque era morte. Fu allora che vidi l’aspirante
Guardiamarina, Mario Marinelli, 20 anni, urlava dal dolore, chiedeva aiuto, era
ferito, io e Giorgio Bergani tentammo di farlo salire su ciò che rimaneva del
sommergibile. Lo prendemmo tra le braccia, eravamo pronti a issarlo, ma una
bomba lo raggiunse prima, il suo corpo scivolò, squarciato, in acqua. Era morto
tra le mie braccia»."
L’affondamento dell’Ascianghi nel ricordo del sopravvissuto
Andrea D’Alessandro, nato a Roma nel 1923, volontario in Marina (intervista del
1998 tratta dal defunto sito www.utenti.tripod.it/falcesoft):
"Fu un giorno tristissimo il 23 luglio 1943.
Ero allora imbarcato sul Regio Sommergibile "Ascianghi", quando in
servizio agli idrofoni si presentò un’intera squadra navale nemica.
Il Comandante S. Ten. Vasc. Mario Fiorini
diede l'ordine di venire a quota periscopica e al personale di schierarsi al
posto di combattimento. Superò gli sbarramenti difensivi, scelse il bersaglio
più grosso e lanciò una coppia di siluri che si presume colpisse
l'incrociatore. Dico "si presume" perché il sommergibile non ebbe il
tempo di raggiungere la quota di sicurezza e venne raggiunto da una gragnola di
bombe in profondità. Colpito a morte e costretto a risalire in superficie, non
fece in tempo ad accettare battaglia perché fu centrato dalle batterie di
cannone di due caccia inglesi; così lentamente affondò, mentre io, ferito, fui
preso a bordo del caccia inglese "Foly" [Laforey], assieme ad altri
23 naufraghi, e portato all'ospedale di Malta, dove venni operato all'occhio
sinistro e curato."
Un’altra immagine dell’Ascianghi (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net) |
I mio papà era li … grazie per l'incredibile articolo, bellissimo!
RispondiEliminaanche mio padre era li...e ringrazio molto per le citazione, nel suo lungo racconto e ricostruzione dei fatti...
RispondiEliminaHo anche un suo diario..,che racconta l'ultima infausta ma coraggiosa missione
cordialita'
Giorgio e Francesco Tortora ( che purtroppo non c'e' piu' )