venerdì 15 febbraio 2019

Crema

Il Crema sotto il precedente nome di Hébé (da www.navale.pagesperso-orange.fr)

Piroscafo da carico di 1684 tsl, 884 tsn e 2450 tpl, lungo 79,30 metri, largo 11,35 e pescante 4,98, con velocità di 10 nodi.
Ex francese Hébé, era tra le decine di navi mercantili francesi consegnate all’Italia ed alla Germania in conseguenza degli accordi Laval-Kaufmann, che prevedevano la consegna all’Asse di 159 bastimenti mercantili che si trovavano nei porti mediterranei della Francia di Vichy, in seguito alla sua occupazione da parte dell’Asse nel novembre 1942.
Il Crema fu affidato in gestione alla Società Anonima Mare Nostrum, con sede a Genova, ed iscritto al Compartimento Marittimo di Genova con matricola 19/F.

Breve e parziale cronologia.

6 marzo 1920
Varato nei cantieri della Blyth Shipbuilding & Drydock Company Ltd. di Blyth come francese Hébé (numero di costruzione 213).
Giugno 1920
Completato come nave carboniera Hébé per la Société Navale Caennaise (in gestione a G. Lamy G. & Cie) di Caen. Porto di registrazione Caen, nominativo di chiamata FOPT. Ha una nave gemella, il Niobé.
23 marzo 1923
Mentre l’Hébé sta caricando merci nel porto di Caen, si verifica un’esplosione in una stiva (a causa dell’accumulazione di gas esplosivi in un carbonile), che ferisce due marinai, uno dei quali in modo molto grave.
27 settembre 1939 (o 10 novembre 1939)
Requisito dallo Stato francese.
26 maggio 1940
L’Hébé, insieme al piroscafo francese Margaux, salpa da Cherbourg formando il convoglio «2E» con rifornimenti per le truppe francesi e britanniche circondate dalle forze tedesche nella sacca di Dunkerque. Giunti a Dunes, i due piroscafi si mettono all’ancora, in attesa di ordini.
29 o 30 maggio 1940
Alle 14 del 30 (per altra fonte, il 29) l’Hébé ed il Margaux, insieme ai piroscafi francesi Normanville e Kerkéna, lasciano la rada di Dunes diretti a Dunkerque, in seguito ad un ordine impartito dal cacciatorpediniere Épervier (che scorta il piccolo convoglio), per partecipare all’evacuazione delle truppe britanniche e francesi dalle spiagge di Dunkerque. Capoconvoglio è il comandante del Normanville, capitano Edmond Bouchard. (Secondo altra fonte, il convoglio trasporta rifornimenti da Cherbourg a Dunkerque per le truppe che stanno ancora resistendo in questa città; ma essendo Dunkerque caduta lo stesso giorno, le navi imbarcano quante più truppe possibile e poi ritornano a Cherbourg).
1° giugno 1940
L’Hébé giunge davanti a Dunkerque, imbarca 346 soldati francesi (tra cui soldati della 653e Batterie Anti-Chars, dei quali l’Hébé imbarca circa metà degli effettivi superstiti, e genieri delle due compagnie sorte dal disciolto 92ème Bataillon du Génie, aggregati alla 2e Division d'Infanterie Nord-Africaine: di questi ultimi, su 500 che erano, sono rimasti in 110), e poi riparte diretto a Plymouth. L’imbarco delle truppe avviene, a seconda delle fonti, alle quattro del mattino del 31 maggio (653e Batterie Anti-Chars) od alle undici di sera del 1° giugno (genieri).
I soldati attendevano da quattro giorni l’arrivo di una nave che potesse evacuarli: essendo Dunkerque ed i villaggi circostanti continuamente bombardati dalla Luftwaffe, rimanendo incendiati e semidistrutti al punto da non lasciare edifici intatti per alloggiare le truppe, i soldati hanno trascorso i quattro giorni accampati direttamente sulla riva del mare, quasi senza mangiare ed esposti agli attacchi aerei tedeschi. A intervalli quasi regolari, pressappoco ogni due ore, squadriglie di tre, quattro o cinque aerei tedeschi attaccano le truppe accampate sulla spiaggia, bombardando e mitragliando; altri attaccano le navi al largo, ed i soldati atterriti assistono all’affondamento di alcuni dei bastimenti che dovrebbero salvarli, a poca distanza dalla riva. Durante i quattro giorni, i soldati hanno realizzato un rudimentale pontile, “costruito” allineando i loro autocarri sulla sabbia nei periodi di bassa marea, in modo da potersi imbarcare sulle barche che li porteranno verso le navi più grandi, che attendono più al largo, senza dover entrare in acqua. L’imbarco avviene sotto il tiro delle artiglierie tedesche e gli attacchi dei loro aerei; una bomba, cadendo in mezzo ai soldati sulla spiaggia, ne uccide una decina e ne ferisce il doppio.
L’Hébé è una delle ultime navi di dimensioni non piccole a lasciare Dunkerque con truppe a bordo. Per la sua partecipazione all’evacuazione, la nave verrà simbolicamente decorata con la Croix de Guerre francese.
Pochi giorni dopo, l’11 giugno, il Niobé, gemello dell’Hébé, viene affondato da bombardieri tedeschi durante l’evacuazione di Le Havre, con almeno 800 vittime tra i militari e civili imbarcatisi.
2 giugno 1940
Raggiunge Dover alle quattro del mattino, poi segue la costa inglese fino a raggiungere Plymouth, alle otto.
Successivamente, l’Hébé trasporta le truppe recuperate da Plymouth a Cherbourg.
2 o 3 giugno 1940
Mentre si trova ancorato nella rada di Dunes, vicino a Dover, verso le sei del mattino l’Hébé viene urtato dal piccolo e vecchissimo (72 anni) piroscafo svedese Emma, che ha da poco salpato l’ancora per raggiungere Cherbourg. La nave svedese, proveniente da Hull e diretta a Brest con un carico di carbone, si era ancorata nella rada in attesa di disposizioni, che sono poi giunte sotto forma dell’ordine di raggiungere Cherbourg; dopo aver salpato l’ancora, per procedere verso il largo il comandante dell’Emma (capitano John Erik Axel Eriksson) ha cercato di aggirare l’Hébé, ancorato lì vicino, ma le esauste macchine dell’anzianissimo piroscafo si sono rivelate insufficienti a vincere la forte corrente (5 nodi), che l’ha invece portato a sbattere contro la poppa dell’Hébé. La collisione provoca un grosso squarcio in corrispondenza della sala caldaie dell’Emma, che imbarca acqua ed affonda rapidamente, senza vittime tra i 19 uomini dell’equipaggio (i quali lo abbandonano sulla lancia di sinistra, mentre quella di dritta è rimasta schiacciata nella collisione). L’Hébé riesce a raggiungere Bordeaux.
Successivamente passa in Mediterraneo.
25 giugno 1940
Derequisito.
Novembre 1942
Dopo gli sbarchi angloamericani nel Nordafrica francese (operazione "Torch", 8 novembre 1942) e il passaggio agli Alleati, dopo un’iniziale reazione, delle truppe francesi di Vichy ivi stanziate, le forze italo-tedesche lanciano l’Operazione "Anton" (10-11 novembre 1942), procedendo all’occupazione della Francia meridionale e della Corsica, fino a quel momento controllate dal regime francese collaborazionista di Vichy.
Anche la flotta mercantile francese nel Mediterraneo, concentrata nei porti di Marsiglia e Berre, cade al completo in mani italo-tedesche (non così quella militare, che si autoaffonda in massa a Tolone il 27 novembre). Il 20 novembre Germania pretende che tutti i mercantili francesi disponibili vengano messi a sua disposizione per essere impiegati per le esigenze belliche delle forze tedesche; già il giorno seguente, ad ogni modo, 900 militari tedeschi vengono inviati a Marsiglia per sorvegliare le navi francesi, a bordo delle quali sono mandate delle guardie armate, preparandosi ad impadronirsene con la forza nel caso la Francia dovesse rifiutarne la concessione.
Il presidente del consiglio di Vichy, il collaborazionista Pierre Laval, accetta verbalmente ed il 22 novembre 1942, in una lettera ad Hitler, informa quest’ultimo che 158 bastimenti mercantili francesi (112 navi da carico, 31 navi passeggeri e 16 navi cisterna), per quasi 650.000 tsl complessive, verranno messi a disposizione della Germania. Il 1° dicembre 1942 si tiene a Roma un incontro tra Karl Kaufmann ("Gauleiter" nazista di Amburgo e commissario del Reich alla Marina Mercantile), il gerarca nazista Hermann Göring, il feldmaresciallo Erwin Rommel, il maresciallo Albert Kesselring (comandante delle forze tedesche nel Mediterraneo), l’ammiraglio Arturo Riccardi (capo di Stato Maggiore della Regia Marina) ed il generale Ugo Cavallero (capo di Stato Maggiore generale delle forze armate italiane), nel quale viene decisa la spartizione tra Italia e Germania dei mercantili francesi: 83 andranno all’Italia e 75 alla Germania. Per la flotta mercantile italiana, duramente colpita dalla guerra, queste 83 navi sono una notevole boccata d’ossigeno, e permetteranno, a caro prezzo, il mantenimento dei collegamenti con la Tunisia.
L’accordo formale, detto accordo Laval-Kaufmann (dal nome di Laval e del firmatario da parte tedesca, Karl Kaufmann), verrà firmato a Parigi il 23 gennaio 1943; in base a tale impegno, il governo francese mette a disposizione dell’Asse un quarto della flotta mercantile francese del 1939. In base all’articolo 4 dell’accordo, le navi francesi devono essere in buone condizioni d’efficienza e pienamente equipaggiate; in cambio, il governo tedesco s’impegna a pagare alla Francia un indennizzo, eccezion fatta che per i viaggi verso il Nordafrica. Laval vorrebbe che le navi mantenessero bandiera ed equipaggio francese, ma la proposta viene rifiutata; vi è diffidenza verso i marinai francesi (specie dato il comportamento delle forze di Vichy nel Nordafrica francese) e, d’altro canto, sono ben pochi i marittimi francesi che desiderino navigare per conto dell’Asse.
Quando l’accordo viene firmato, comunque, la maggior parte dei mercantili francesi ha già lasciato la Francia per l’Italia.
11 dicembre 1942
Confiscato a Marsiglia dalle forze tedesche e trasferito al Governo italiano in seguito agli accordi Laval-Kaufmann.
19 dicembre 1942
Arriva a Savona, proveniente da Marsiglia. Affidato in gestione alla Società Anonima Mare Nostrum di Genova (una fonte francese parla erroneamente della S. A. di Navigazione Adriatica), viene ribattezzato Crema (secondo una fonte, il cambio di nome sarebbe avvenuto il 31 dicembre 1942). Non viene requisito dalla Regia Marina, né iscritto nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato.

Convoglio «GG»

La storia del Crema e del suo convoglio è un esempio tragicamente eloquente di come la rotta per la Tunisia si sia guadagnata, tra gli equipaggi, la nomea di “rotta della morte”.
Il Crema partì da Napoli per Biserta alle 19.30 del 29 marzo, insieme ai piroscafi Chieti (diretto a Palermo) e Nuoro, coi quali formava un convoglio lento (9 nodi) denominato «GG». Doveva fare parte del convoglio anche un quarto piroscafo, il Benevento, che tuttavia fu trattenuto in porto da alcune non gravi avarie e partì pertanto da Napoli in ritardo, all’1.30 del 30 marzo. La partenza delle navi era stata originariamente programmata per il 27 marzo, ma era stata più volte rinviata a causa del maltempo.
A bordo del Crema si trovavano un carico di 1594 tonnellate di merci varie e 70 uomini: 60 di equipaggio (27 civili e 33 militari) e dieci militari di scorta al carico.
La scorta del convoglio era formata da due torpediniere della classe Spica, la Cigno (caposcorta, capitano di corvetta Carlo Maccaferri) e la Cassiopea (capitano di corvetta Virginio Nasta), e da due cacciasommergibili tedeschi, l’UJ 2203 e l’UJ 2210. Comandante superiore in mare era il capitano di vascello Francesco Camicia, imbarcato sulla Cigno. Una terza torpediniera della stessa classe, la Clio (capitano di corvetta Carlo Brambilla), rimase a Napoli con l’incarico di scortare il Benevento quando questo fosse potuto partire.
Alle quattro del pomeriggio del 30 marzo si aggregò al convoglio anche la moderna corvetta Cicogna (tenente di vascello Augusto Migliorini), partita da Trapani, che poco dopo se ne separò insieme al Chieti, la cui destinazione, a differenza delle altre navi, era Palermo. Scortato il Chieti fino al porto siciliano, dove giunse alle 23.35 dello stesso 30 marzo (e dove il piroscafo venne affondato due settimane più tardi da un bombardamento aereo), la Cicogna riprese subito il mare per tornare ad unirsi al convoglio.
Quest’ultimo, intanto, aveva raggiunto Trapani all’1.45 di notte del 31 marzo, sostando in quella rada fino alle tre di notte per aspettare il Benevento. Scortato dalla Clio e dal cacciasommergibili tedesco UJ 2207, il Benevento si riunì al convoglio – che intanto era ripartito da Trapani facendo rotta per Biserta – alle 6.30 del 31 marzo (per altra versione alle 5.30), al largo di Trapani e poco ad ovest delle Isole Egadi. Clio e UJ 2207 andarono a rinforzare la scorta del convoglio; dieci minuti più tardi, raggiunse il convoglio anche la Cicogna. Alle 14.43 del 30 marzo Benevento e Clio avevano evitato con la manovra due siluri lanciati dal sommergibile britannico Tribune (tenente di vascello Stewart Armstrong Porter), una cinquantina di miglia a nord di Ustica.
Così riunito, il convoglio «GG» puntò infine su Biserta. La scorta era di tutto rispetto: per proteggere tre piroscafi, erano state mobilitate tre torpediniere, una modernissima corvetta e tre cacciasommergibili, oltre ad una poderosa scorta aerea.
Tutti e tre i piroscafi del convoglio «GG» (come pure il Chieti) erano navi ex francesi, consegnate all’Italia in seguito all’occupazione della Francia meridionale; tutti e tre erano al loro primo viaggio verso la Tunisia; nessuno sarebbe mai arrivato a Biserta.
I comandi britannici erano al corrente del viaggio di questo convoglio già da giorni: la prima intercettazione da parte dei decrittatori di “ULTRA” di una comunicazione relativa alla partenza per l’Africa di quelle navi risaliva al 27 marzo, quando avevano decifrato un messaggio dal quale risultava che i mercantili Crema, Nuoro, Benevento, Capua e Caterina Costa erano «attesi a breve scadenza in Tunisia, provenienti dall’Italia». Il 28 marzo gli specialisti di “ULTRA” avevano decrittato un’altra comunicazione che aveva rivelato che «Benevento, Nuoro e Crema avrebbero dovuto lasciare Napoli il giorno 27 per la Tunisia, tempo permettendo», e l’indomani un’altra ancora da cui era risultato che «Sono attesi i seguenti arrivi, sempre condizionati dallo stato del tempo: a Tunisi il giorno 31 verso le 23.00 Crema, Nuoro e Benevento». Il 31 marzo, infine, un’ultima intercettazione aveva permesso ad “ULTRA” di apprendere che «Crema, Nuoro e Benevento hanno lasciato Napoli alle 22.00 del giorno 29. Essi doppieranno l’isola di Marettimo alle 6.30 del 31 e procederanno per Biserta». Le forze aeronavali britanniche si erano organizzate di conseguenza.

Il primo attacco aereo si verificò alle 13.52 del 31 marzo. In quel momento il convoglio si trovava una decina di miglia ad est del Banco di Skerki; otto bombardieri bimotori, identificati da parte italiana come Lockheed Hudson, apparvero volando ad una quota compresa tra i 2500 ed i 3000 metri, scortati da quattro o cinque caccia Lockheed P-38 “Lightning”. Sia i piroscafi che le navi scorta aprirono subito un rabbioso tiro contraereo con le loro mitragliere; nessuno dei velivoli attaccanti, tuttavia, venne colpito. I bombardieri sganciarono le bombe; sebbene il lancio risultasse centrato, nessuno degli ordigni andò a segno, ed il convoglio proseguì indenne.
In realtà, i bombardieri attaccanti non erano dei Lockheed Hudson, bensì dei North American B-25 “Mitchell” (anch’essi bimotori, e di aspetto vagamente somigliante a quello degli Hudson) del 321st Bomb Group dell’USAAF. I bombardieri di questo reparto avevano già compiuto un primo “rastrello antinave” durante il mattino, quando un gruppo di “Mitchell” era decollato alle 7.45 con la scorta di caccia P-38 “Lightning” del 1st Fighter Group. Gli aerei avevano però incontrato maltempo e non avevano trovato nulla, interrompendo pertanto la missione e rientrando alla base. Gli aerei che attaccarono il convoglio alle 13.52 erano invece decollati alle 13.45 (12.45 secondo le fonti statunitensi, che mostrano una differenza di un’ora rispetto a quelle italiane, evidentemente dovuta a differenze nel fuso orario); inizialmente la formazione era composta da quattordici B-25 del 321st Bomb Group, scortati da 25 caccia P-38 del 1st Fighter Group, ma sei bombardieri e tredici caccia erano tornati indietro poco più tardi. Il resto degli aerei aveva invece avvistato il convoglio «GG» alle 12.55 (fonti statunitensi, con la già menzionata differenza di fuso orario), una quindicina di miglia a nord di Capo Bon, stimandone la composizione in due grossi mercantili (probabilmente Nuoro e Benevento) ed altre quattro navi. Gli equipaggi statunitensi ritennero erroneamente di aver colpito con una bomba uno dei grossi mercantili, e di aver mancato di poco (“near miss”) un altro mercantile di piccole dimensioni (probabilmente il Crema, il più piccolo dei tre piroscafi). Sebbene il caposcorta Camicia avesse affermato nel suo rapporto che «gli aerei da caccia nazionali e alleati [tedeschi] non hanno avuto contatti con aerei nemici» perché al momento dell’attacco stavano volando a bassa quota, in realtà i “contatti” ci furono eccome: i piloti degli aerei americani riferirono di essere stati attaccati da un totale di sei caccia Messerschmitt Bf 109, tre Focke-Wulf Fw 190 e due Messerschmitt Bf 110. I mitraglieri dei B-25 rivendicarono il danneggiamento di un caccia tedesco ed il probabile abbattimento di un altro; da parte tedesca, i piloti dei Messerschmitt del 7./Jagdgeschwader 53 ritennero erroneamente di aver abbattuto tre B-25 (uno alle 14.25, dal sottotenente Karl Vockelmann, 25 km a nordovest di Capo Bon; uno alla stessa ora, dal sottotenente Walter Hicke, 30 km a nordovest di Capo Bon; uno alle 14.27, dal sergente Günter Seeger, 35 km a nordovest di Capo Bon). In realtà nessun aereo, né statunitense né tedesco, andò perduto in questo scontro.
Alle 14.24 le navi del convoglio avvistarono l’anziana torpediniera Enrico Cosenz (capitano di corvetta Emanuele Campagnoli), distaccata alle 11.25 di quel mattino dal caposcorta del convoglio «RR» (motonavi Belluno e Pierre Claude, in navigazione da Napoli a Tunisi con la scorta delle torpediniere Fortunale, Antares e Sagittario e di due cacciasommergibili tedeschi), che precedeva il «GG» di una quarantina di miglia, con il compito di rafforzare ulteriormente la scorta di quest’ultimo. Raggiunto il convoglio, la Cosenz funse inoltre da unità pilota sulla rotta di Zembretta; alle 15.57 le navi si trovavano già in linea di fila per imboccare la rotta obbligata di Zembretta, quando vennero attaccate da un totale di 31 tra bombardieri ed aerosiluranti angloamericani. Ciò secondo le stime italiane; da parte statunitense risulta che questo attacco fu portato da una formazione di quindici bombardieri B-25 Mitchell del 321st Bomb Group, al loro terzo ed ultimo “rastrello antinave” della giornata, scortati da venticinque caccia P-38 del 95th Squadron dell’82nd Fighter Group. Gli aerei erano decollati alle 13.45 (12.45 per le fonti statunitensi); uno dei B-25 e tre dei P-38 erano però dovuti rientrare alla base poco dopo il decollo. Gli altri avevano avvistato un convoglio al largo di Zembra verso le 15.50 (14.50 per le fonti statunitensi), apprezzandone la composizione come quattro cacciatorpediniere, un trasporto, un pontone Siebel e quattro chiatte, e poco lontano una nave scorta e quattro grossi mercantili, uno dei quali a rimorchio. In realtà, le navi avvistate erano quelle del convoglio «GG».
La scorta aerea italo-tedesca reagì prontamente: un singolo bombardiere Junkers Ju 88 del II./Kampfgeschwader 76 riuscì ad attirare su di sé l’attenzione di diverse squadriglie di P-38, portandoli lontano dai bombardieri; i piloti dell’82nd Fighter Group si ritrovarono sotto attacco da parte di un totale di dieci Messerschmitt Bf 109, uno Ju 88 ed alcuni caccia italiani (numero e tipo non specificato). Gli aerei dell’Asse scompaginarono la formazione dei bombardieri, costringendo molti di essi a scaricare le loro bombe in mare ed a ritirarsi senza attaccare; i restanti B-25 attaccarono in due gruppi, dei quali uno effettuò il suo attacco da appena 30 metri di quota, secondo la tattica dello “skip bombing” (nel quale le bombe venivano sganciate dal bombardiere a bassissima quota ed a ridotta distanza dalla nave attaccata, in modo tale da rimbalzare sulla superficie dell’acqua, come un sasso tirato a “rimbalzello”, e colpissero la nave), mentre l’altro sganciò le bombe da alta quota, circa 2440 metri.

Secondo il rapporto del caposcorta Camicia, i velivoli avversari attaccarono il convoglio in tre ondate, in rapida successione: la prima era composta da otto bombardieri Mitchell (di nuovo erroneamente identificati, da parte italiana, come degli Hudson), scortati da caccia “Lightning”, che sganciarono parecchie bombe da circa 2500 metri di quota, senza colpire nulla; la seconda era formata da otto bombardieri e quattro aerosiluranti, che attaccarono dalla direzione del sole (ovest, cioè dal lato di dritta del convoglio) e sganciarono svariate bombe e qualche siluro, di nuovo senza colpire nulla. Fu la terza ed ultima ondata, che seguì la seconda a brevissimo intervallo, a fare il danno: sei bombardieri e cinque aerosiluranti attaccarono il convoglio da entrambi i lati. Secondo il rapporto del caposcorta Camicia, il tiro contraereo delle navi riuscì ad abbattere due dei velivoli attaccanti (secondo quanto riferito allo Stato Maggiore della Kriegsmarine dagli ufficiali tedeschi di collegamento presso Supermarina, invece, le navi dell’Asse avrebbero rivendicato il probabile abbattimento di ben sei aerei, uno da un cacciasommergibili tedesco e gli altri cinque dalle unità italiane), mentre un terzo, un quadrimotore, fu abbattuto dai caccia della Luftwaffe di scorta aerea, che però subirono a loro volta la perdita di due dei loro aerei nei duelli combattuti sul cielo del convoglio.
Durante la battaglia aerea combattuta sul cielo del convoglio, i piloti dei P-38 statunitensi rivendicarono l’abbattimento di uno Ju 88 e di un Messerschmitt Bf 109 (rispettivamente da parte dei sottotenenti Marion Moore e Ralph C. Embrey, entrambi una ventina di miglia a nord-nord-est di Cap Zembra), mentre i mitraglieri dei B-25 (tre del 445th Bomb Squadron ed uno del 448th) ritennero di aver certamente abbattuto tre Messerschmitt Bf 109 ed un Focke-Wulf Fw 90, di aver probabilmente abbattuto un altro Bf 109 e di averne danneggiati altri tre. In realtà, le perdite complessive da parte tedesca ammontarono all’abbattimento di un singolo Messerschmitt Bf 109 (il WNr 15039 del caporale Konstantin Benzien del 4./JG. 27, abbattuto da caccia nemici 20 km a nord di Zembra e rimasto ferito) e di uno o due Junkers Ju 88 del 4./Kampfgeschwader 76 (questi ultimi andarono perduti mentre erano impegnati in compiti di scorta convogli; uno fu abbattuto alle 15.50, quasi certamente nel corso dei combattimenti aerei attorno al convoglio «GG», mentre meno sicuro è il coinvolgimento dell’altro Ju 88). I caccia tedeschi del II./Jagdgeschwader 27 e del III./Zerstörergeschwader 1 rivendicarono l’abbattimento di due P-38 e due B-25 (più precisamente, un P-38 dal sottotenente Hans Lewes del 5./JG 27, alle 15.58; un altro dal sergente Bernard Schneider dello stesso reparto; un B-25 dal caporale Hans Reiter del 4./JG 27; un presunto Lockheed Ventura – altro bimotore simile al B-25 – dal tenente Walter Lardy del III./ZG 1; i primi tre alle 15.58 ed il quarto alle 16, tutti 20 km a nordest di Zembra). In effetti, le fonti statunitensi riconoscono la perdita di due P-38 (quelli dei sottotenenti Joseph R. Sheen jr. e Francis M. Molloy, entrambi rimasti uccisi), ad ovest di Zembra, e di due B-25 del 448th Bomb Group, dei quali uno (il 41-13205 del tenente Charles A. McKinney, rimasto ucciso con sei uomini del suo equipaggio) abbattuto alle 16.14 da caccia nemici, e l’altro (il 41-13209 “Trouble” del tenente Robert G. Hess, morto insieme a cinque uomini del suo equipaggio) abbattuto alle 15.55 dal tiro contraereo delle navi.
Nonostante le perdite inflitte agli attaccanti, questa volta un siluro – o così si ritenne da parte italiana – andò a segno, colpendo il Nuoro sul lato sinistro. Il piroscafo, carico di munizioni, s’incendiò e venne abbandonato dall’equipaggio, saltando in aria alle 16.34. La Cicogna fu distaccata per recuperarne i naufraghi (fece poi rotta per Trapani, dove giunse alle 2.15 del 1° aprile), mentre il resto del convoglio proseguiva verso Biserta.
È da notare che il libro "A History of the Mediterranean Air War, 1940-1945", Vol. III "Tunisia and the End in Africa, November 1942-May 1943", non fa alcuna menzione dell’impiego di aerosiluranti in questo attacco. Si può fare questa ipotesi: gli “aerosiluranti” di cui parlano i rapporti italiani, probabilmente, erano in realtà i bombardieri che attaccarono a bassa quota secondo la citata tattica dello “skip bombing”, ed i “siluri” erano in realtà le bombe da essi sganciate. Il metodo dello “skip bombing”, infatti, era stato introdotto nel Mediterraneo da poco tempo, e gli equipaggi italiani probabilmente non ne erano ancora a conoscenza; l’avvicinamento al bersaglio a bassa quota e lo sgancio dell’ordigno a ridotta distanza erano tipici degli attacchi di aerosiluranti, e per marinai abituati a veder piovere le bombe dall’alto, direttamente sulle loro navi, una bomba che arrivava “di rimbalzo” contro il fianco della nave poteva essere scambiata per un siluro, specialmente nella concitazione di un attacco, ed a maggior ragione quando lo “skip bombing” avveniva in contemporanea con il bombardamento “tradizionale” da parte degli altri B-25. (Una fonte secondaria afferma che il Nuoro sarebbe stato silurato da velivoli britannici della Fleet Air Arm, ma sembra probabile un errore).
I piloti statunitensi – che durante l’attacco notarono che i tre mercantili erano dotati di palloni aerostatici di sbarramento, per ostacolare gli aerei che avessero attaccato a bassa quota – furono estremamente ottimistici nel valutare gli effetti dei loro attacchi: i piloti dei bombardieri che avevano attaccato con lo “skip bombing” ritennero di aver messo tre bombe a segno su un mercantile, che era stato visto appruato dopo l’attacco; i piloti dei B-25 che avevano sganciato le loro bombe da 2400 metri ritennero di aver affondato un mercantile ed incendiato altri tre, cioè uno in più del totale dei piroscafi effettivamente presenti. In realtà, l’unica nave colpita fu il Nuoro, che rimase probabilmente vittima dello “skip bombing”.

Calò il buio; dopo le quattro del pomeriggio non si manifestarono altri attacchi aerei, ma all’una di notte del 1° aprile (all’1.45, secondo il diario del reparto operazioni dello Stato Maggiore della Kriegsmarine), quando ormai il convoglio era giunto a sole dieci miglia da Biserta, due motosiluranti britanniche – la MTB 266 e la MTB 315 – attaccarono la formazione dal lato di dritta.
Le piccole unità nemiche facevano parte delle 10a e 15a Flottiglie Motosiluranti britanniche (10th e 15th MTB Flotilla), interamente composta da motosiluranti ELCO di origine americana, cedute dalla Marina statunitense a quella britannica nell’ambito del programma lend-lease: la 10th MTB Flotilla era formata da motosiluranti del tipo ELCO da 70 piedi, la 15th MTB Flotilla da unità del tipo ELCO da 77 piedi. La MTB 266 era la ex PT 17 statunitense (trasferita alla Royal Navy nell’aprile 1941), del tipo ELCO da 70 piedi; la MTB 315 era una motosilurante del tipo ELCO da 77 piedi, leggermente più grande, costruita negli Stati Uniti direttamente per la Royal Navy.
In origine le motosiluranti partite da Bona (Algeria) alle sei di sera del 31 marzo, con il compito di intercettare un convoglio italiano che era stato loro segnalato (probabilmente sulla scorta delle informazioni di “ULTRA”), erano state quattro: oltre alle MTB 266 e 315 c’erano anche la MTB 265, gemella della MTB 266, e la MTB 316, gemella della MTB 315 (una fonte afferma che avrebbe partecipato al successivo attacco anche la MTB 311, ma si tratta probabilmente di un errore). Sulla MTB 316 imbarcava il capo formazione, tenente di vascello Denis Jermain. Alle 21.50, tuttavia, al largo di Capo Serrat, la MTB 265 aveva perso un uomo, caduto in mare, ed era stata distaccata per cercarlo, dopo di che aveva ricevuto ordine di non ricongiungersi con la formazione. Un’ora più tardi era stata la MTB 316 a dover abbandonare la formazione, a causa di problemi ai motori; essendo il mare troppo mosso per consentire il trasbordo del tenente di vascello Jermain su una delle due rimanenti unità, aveva assunto il comando della dimezzata formazione il tenente di vascello Richard Routledge Smith, comandante della MTB 266. Alle 00.10 del 1° aprile la MTB 266 e la MTB 315 avevano raggiunto il punto prestabilito per l’agguato, un miglio a nord di Capo Zebib (e tre miglia a sud/sudovest dell’Isola dei Cani); fermati i motori, si erano messe ad attendere l’arrivo del convoglio, ferme e acquattate nel buio.
Alle 00.50 gli equipaggi britannici avvistarono delle navi in avvicinamento da est; entrambe le motosiluranti misero subito in moto i loro motori ed iniziarono a lento moto l’avvicinamento al convoglio, del quale apprezzarono la composizione come tre navi mercantili scortate da due cacciatorpediniere e diverse motosiluranti (“E-Boats”). Cogliendo di sorpresa il convoglio, le due MTB silurarono sia il Crema che il Benevento e subito dopo si dileguarono a tutta forza nell’oscurità, con il mare in poppa, nonostante una rapida e confusa mischia – nella quale la MTB 315 subì leggeri danni ed un ferito lieve tra l’equipaggio – con la Cassiopea e l’UJ 2203 (quest’ultimo ritenne infatti di aver “almeno danneggiato” una delle motosiluranti), che proteggevano i due mercantili sul lato di dritta.
La MTB 266, in particolare, lanciò entrambi i suoi siluri al secondo mercantile della formazione – il Crema – ed osservò l’esplosione di una delle armi tra la plancia ed il fumaiolo del bersaglio, che ritenne essere poi affondato, mentre ripiegava per allontanarsi. La motosilurante avvistò poi un “cacciatorpediniere” (evidentemente una delle torpediniere classe Spica) e tentò di attaccarlo con le sue bombe di profondità, ma fu respinta dalla sua violenta reazione. Intanto, la MTB 315 aveva silurato il Benevento.
Mentre quest’ultimo, un’unità di oltre 5000 tsl, resse inizialmente il danno e riuscì a trascinarsi fino alla vicina costa, andandosi ad incagliare presso Capo Zebib (il che permise di recuperare il carico ma non la nave, che venne considerata perduta), il ben più piccolo Crema, colpito da entrambi i siluri della MTB 266, affondò in meno di due minuti in un punto variamente indicato come 37°40’ N e 10°06’ E (forse troppo a nord rispetto al vero), 18 miglia ad est di Biserta, cinque miglia a nord di Capo Farina od a tre miglia per 210° dall’Isola dei Cani.
Il comandante della MTB 266, tenente di vascello Richard Routledge Smith, descrisse così, in seguito, lo svolgimento dell’attacco: “Misi in moto i motori ed iniziai ad avvicinarmi al nemico a bassa velocità per un attacco silenzioso. La notte era molto buia, e la visibilità era ulteriormente ridotta da una leggera foschia e dagli spruzzi causati dal mare mosso. Inizialmente risultò molto difficile distinguere tra le navi mercantili e le loro unità di scorta. Infine identificai due cacciatorpediniere e diverse E-Boat che setacciavano il mare poco a proravia di tre navi mercantili; ridussi la velocità per permettere a questo schermo di passarmi davanti. La velocità venne poi aumentata per compiere un attacco con i siluri contro la seconda nave del convoglio”. Cioè il Crema; “alle 00.05 [cioè l’1.05 per l’orario italiano] due siluri vennero lanciati contro questa nave. Una delle navi scorta ed una nave mercantile aprirono poi il fuoco ed io ripiegai e, procedendo ad alta velocità, passai a proravia della terza nave mercantile, che la MTB 315 stava attaccando. Osservai uno dei miei siluri colpire tra la plancia ed il fumaiolo della nave mercantile [il Crema] ed è probabile che anche il secondo [siluro] abbia colpito, dato che la nave affondò molto rapidamente; [visto che] la [MTB] 315 passò in mezzo ai naufraghi circa due minuti dopo. La MTB 315 osservò il primo siluro colpire il lato sinistro della [nave] nemica [che era il Benevento], immediatamente a proravia dell’albero di trinchetto; poi passò sotto la poppa del nemico e lanciò dal traverso a dritta del nemico. Ne risultò un’ulteriore esplosione, e quando l’acqua si fu calmata la nave era completamente scomparsa [in realtà, come detto, il Benevento non affondò subito: evidentemente la MTB 315 lo perse di vista dopo l’esplosione e ritenne erroneamente che fosse affondato]. Io cercai di avvicinarmi al cacciatorpediniere [che si trovava] a poppavia dritta del convoglio per attaccarlo con le bombe di profondità, ma il cacciatorpediniere aprì il fuoco mentre mi trovavo ancora ad una certa distanza ed a questo punto ripiegai e passai attraverso lo schermo poppiero senza subire alcun danno. La MTB 315 si disimpegnò [passando] a proravia di questo cacciatorpediniere a poppavia dritta e, procedendo verso nord, si ritrovò sotto il tiro accurato di cacciatorpediniere ed E-Boat. La 315 subì danni superficiali ed un ferito lieve. Le motosiluranti si riunirono in un punto al largo dell’Isola dei Cani, e venne fatta rotta per Bona”.
Completato l’attacco, la MTB 266 e la MTB 315 fecero rotta per Bona. La burrasca in peggioramento le costrinse a ridurre la velocità dapprima a 13 nodi e poi, dopo un’ora, a otto nodi; la MTB 266 imbarcava parecchia acqua nel locale motori e nel compartimento poppiero, costringendo l’equipaggio a sgottare ininterrottamente per tenere il livello degli allagamenti sotto controllo, e le sue estremità prodiera e poppiera si “piegavano” in modo preoccupante (di 12-15 centimetri) quando era sulla cresta di un’onda (Routledge Smith ritenne che ciò fosse dovuto alla rottura della chiglia della motosilurante, con conseguente apertura del fasciame del fondo e del lato dello scafo), ma entrambe le piccole unità raggiunsero Tabarka (Tunisia) a mezzogiorno.
Il fatto che le motosiluranti fossero riuscite ad attaccare nonostante il mare forza 4-5 portò i Comandi italo-tedeschi a ritenere che dovesse trattarsi di motosiluranti di grosse dimensioni.

Dei 70 uomini imbarcati sul Crema, soltanto 26 poterono essere salvati dalle unità della scorta: 14 membri dell’equipaggio civile, 9 militari italiani e tre militari tedeschi, che furono tutti sbarcati a Trapani. Sulla sorte degli altri 44 uomini del Crema, il 3 aprile 1943 un telegramma della Capitaneria di Porto di Trapani a quella di Genova riportava solamente: «Ignorasi sorte rimanenti persone imbarcate».
Un marinaio superstite raccontò alla moglie del secondo ufficiale del Crema Lorenzo Gianetto, suo compaesano e deceduto nell’affondamento, che a salvarsi erano stati coloro che erano scesi in mare da un lato della nave (lui compreso); quelli che avevano tentato di scendere in mare dal lato opposto, erano stati mitragliati. Anche quel marinaio, trasferito su un altro mercantile, trovò la morte pochissimo tempo dopo, quando anche la sua “nuova” nave venne affondata durante un’altra navigazione in convoglio. (Lorenzo Gianetto, prima di imbarcarsi sul Crema come secondo ufficiale di coperta, era stato un piccolo armatore, proprietario e comandante di una goletta affondata in guerra. Aveva combattuto in fanteria nella prima guerra mondiale, venendo decorato; all’età di sessantun anni, con due figli di quattro anni e dieci mesi, doveva ancora navigare per necessità).

Le vittime tra l’equipaggio civile del Crema:
(nomi tratti dall’Albo d’Oro della Marina Mercantile, si ringrazia Carlo Di Nitto)

Antonio Accardo, fuochista, da Torre del Greco
Francesco Ascione, cameriere, da Torre del Greco
Guglielmo Cacace, carbonaio, da Meta di Sorrento
Angelo D’Angelo, marinaio, da Pozzallo
Donato Del Gatto, carbonaio, da Torre del Greco
Vincenzo Ferraiolo, ingrassatore
Mario Fevola, garzone, da Genova
Raffaele Gargiulo, ufficiale di coperta, da Positano
Lorenzo Gianetto, secondo ufficiale, da Voltri
Antonio Montaldo, fuochista, da Rivarolo (Genova)
Ferdinando Natali, cuoco, da Santa Margherita Ligure
Beniamino Schiazzano, fuochista, da Bacoli
Camillo Totano, fuochista, da Napoli


Per altri quattro giorni, dopo la distruzione del convoglio «GG», “ULTRA” continuò ad intercettare e decifrare altre comunicazioni italiane dalle quali i britannici poterono ricostruire l’accaduto; il 3 aprile i decrittatori britannici poterono compilare un dispaccio nel quale, sulla scorta delle decrittazioni dei giorni precedenti, riassumevano la sorte del convoglio («Il Nuoro è stato affondato da attacchi aerei a circa 25 miglia a nord-nord-est di Zembretta alle 17.00 del 31. Il Crema è stato colato a picco da motosiluranti britanniche a 9 miglia a sudest dell’Isola di Cani alle 23.59 del 31. Il Benevento è stato silurato nello stesso attacco ed è stato portato ad incagliare a Capo Zebib a 8 miglia a est di Biserta»).
Per il successo conseguito contro il convoglio «GG», il tenente di vascello Richard Routledge Smith (soprannominato “Stinker”) sarebbe stato decorato con la Distinguished Service Cross; anche il resto dell’equipaggio della MTB 266 sarebbe stato decorato, con la Distinguisherd Service Medal per il sottocapo (Leading Seaman) nocchiere John Wilson ed il sottufficiale Robert Leonard Capindale (“For an attack by M.T.B.s 266 and 315 on a heavily escorted enemy convoy off Cape Zebib; as a result of the attack two of the three enemy ships in the convoy were sunk. Motor Mechanic Capindale, by displaying coolness in an emergency and by getting the centre engine started quickly, contributed largely to the safe withdrawal of M.T.B. 266 from the scene of action. He has always been untiring in his work of keeping his engines in running order and it is due to his work that no engine failures have occurred at sea”), e la “menzione nei dispacci” per il sottotenente di vascello John Norman Broad (comandante in seconda della MTB 266) ed il marinaio John Hyslop. Per tutti la motivazione era 'For bravery in skilful and determined attacks on enemy shipping in the Mediterranean made from light coastal craft and from the air' ("per il coraggio [mostrato] in abili e determinati attacchi contro naviglio nemico nel Mediterraneo, condotti da unità veloci costiere e dall’aria").


Il racconto dell’azione che portò all’affondamento del Crema nelle parole del tenente di vascello Richard Routledge Smith, comandante della MTB 266:

I started engines and commenced to close the enemy at slow speed for a silent attack. The night was very dark, and visibility was further reduced by a slight haze and the spray caused by heavy seas. It was extremely difficult to distinguish at first between merchant ships and their escort. I finally identified two destroyers and a number of E-Boats [in fact Italian torpedo boats] sweeping close ahead of three merchant ships; I reduced speed to allow this screen to pass ahead of me. Speed was then increased to carry out a torpedo attack on the second ship in the convoy.
At 0005 two torpedoes were fired at this ship. One of the escort and one merchant ship then opened fire and I turned away and, proceeding at high speed, ran across the bows of the third merchant ship which M.T.B. 315 was attacking. I observed one of my torpedoes explode between the bridge and the funnel of the merchant ship and it is probable that the second was also a hit, as the ship sank very quickly; 315 running through the survivors about two minutes later.
M.T.B. 315 observed the first torpedo hit the enemy's port side, just abaft the foremast; he then crossed under the enemy's stern and fired from the enemy's starboard beam. A further explosion resulted and when this subsided the ship had completely disappeared. I attempted to close the destroyer on the starboard quarter of the convoy to attack her with depth charges, but the destroyer opened fire whilst I was still some distance away and I then turned away and passed between the after screen without sustaining any damage.
M.T.B. 315 disengaged ahead of this destroyer on the starboard quarter and, steering due North came under accurate fire from the destroyers and E-Boats. 315 sustained superficial damage and one slight casualty. The boats reformed in position off Cani Rocks and course was set for Bone. The sea had now increased considerably and the boats were only able to make 13 knots: after one hours' steaming speed had to be reduced to 8 knots. It was found that M.T.B. 266 was making water fast in the Engine Room and after compartment, and constant bailing was requied to keep the water under control. The leaks were apparently due to the boat's back breaking and the side and bottom planking opening out. When daylight came the whole of the after deck could be seen to sag about five or six inches every time the boat crossed a swell
(…)”.
 
Telegramma della Capitaneria di Porto di Trapani alla Capitaneria di Porto di Genova relativo alla sorte dell’equipaggio del Crema (Ufficio Storico della Marina Militare)

2 commenti:

  1. Sentitamente ringrazio il Sig. Lorenzo Colombo, col quale mi ero già incotrato:( http://www.betasom.it/forum/index.php?/topic/43035-un-caso-di-autolesionismo-navale/ ) per questa segnalazione,ricca di particolari, avevo tentato invano di trovare la foto della nave.
    Come in precedenza avevo segnalato sicuramente c' è un errore sulla latitudine segnalata sul rapporto ufficiale, 37° 40' , secondo me, risulta troppo a nord, la latitudine corretta dovrebbe essere 37° 20' N

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  2. Signor Colombo grazie alla lettura di questo scritto, ho conosciuto il modo assurdo in cui ha perso la vita mio nonno Gargiulo Raffaele.
    Grazie Mario Cinque.

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