Il Capo Orso a Genova nel 1941, con colorazione mimetica (g.c. Mauro Millefiorini via www.naviearmatori.net) |
Piroscafo da carico
di 3149 tsl e 1887 tsn, lungo 100,13 metri, largo 14,07 e pescante 6,55, con
velocità di 10-11 nodi. Appartenente alla Compagnia Genovese di Navigazione a
Vapore, avente sede a Genova, ed iscritto con matricola 2212 al Compartimento
Marittimo di Genova.
Breve e parziale cronologia.
29 aprile 1916 (?)
Varato dai cantieri
Maryland Steel Company di Sparrows Point, Maryland, come statunitense Munsomo (numero di cantiere 153).
29 maggio 1916
Completato come Munsomo per la Munson Steamship Company (Munson
Steamship Line) di New York. Nave del tipo ‘Sparrows Point, 327 piedi’ (“lake
type”, in grado sia di navigazione oceanica che di servirsi dei porti più
piccoli della costa statunitense, in base alle esigenze), ha quattro gemelle: Margaret, Clare, Edith e Munplace.
Il trasferimento di
proprietà dalla Maryland Steel Company alla Munson Line, per tramite della
Merchants’ Trust Company di Baltimora, avviene formalmente il successivo 14
giugno.
1917
Ispezionato dal 3°
Distretto Navale (3rd Naval District) in vista di una sua futura requisizione
da parte della Marina statunitense.
Aprile 1917
In seguito
all’entrata degli Stati Uniti nella prima guerra mondiale, il Munsomo viene armato a scopo difensivo.
Nello stesso mese il Munsomo compie un viaggio in convoglio
dagli Stati Uniti alla Francia, carico di legname, insieme ad altre 22 navi,
con la scorta dell’incrociatore protetto statunitense New Orleans. Il convoglio si scontra con un sommergibile, per poi
arrivare a St. Nazaire.
19 febbraio 1918
Arriva a Brest, in
Francia, al termine di un viaggio dagli Stati Uniti.
28 giugno 1918
Requisito dalla
Marina statunitense a Baltimora.
5 luglio 1918
Secondo una fonte di
incerta attendibilità in questa data il Munsomo
sarebbe arrivato a Le Verdon-sur-Mer, in Francia, al termine di un viaggio
negli Stati Uniti.
26 o 28 luglio 1918
Entra in servizio
nella Marina statunitense come trasporto USS Munsomo (ID-1607), “nave ausiliaria temporanea” per il Naval
Overseas Transportation Service, al comando del capitano di corvetta A. Asborn
della U.S. Navy Reserve. La sua stazza lorda è di 3315 tsl, il dislocamento
7345 tonnellate, ha un equipaggio di 62 (o 85) uomini ed un armamento costituito
da due cannoni da 76/50 mm; nominativo di chiamata LGBM. Ha un gemello, il Munplace.
(Altra fonte: entra
in servizio per il Naval Overseas Transportation Service già il 28 giugno
1918).
9 agosto 1918
Salpa in convoglio da
New York con un carico di rifornimenti per l’esercito statunitense.
29 agosto 1918
Raggiunge a Nantes,
ove sbarca il suo carico, dopo di che si trasferisce a Le Verdon-sur-Mer da
dove inizia il viaggio di ritorno. (Per altra fonte, raggiunge Le Verdon in
convoglio e da lì prosegue da solo fino a Nantes, dove consegna il carico).
25 settembre 1918
Arriva a Baltimora.
16 ottobre 1918
Parte dagli Stati
Uniti per un secondo viaggio transatlantico in convoglio, carico di merci varie.
2 novembre 1918
Arriva a Brest, da
dove poi prosegue per Nantes, ove sbarca il carico.
29 novembre 1918
Arriva a Newport
News, al termine del viaggio di ritorno.
Dicembre 1918
Rientra a Baltimora.
Gennaio 1919
Trasporta un carico
di merci varie ad Antilla, Cuba, e poi riparte con un carico di zucchero, che
trasporta a New York.
4 febbraio 1919
Radiato dalla U.S. Navy,
formalmente trasferito allo United States Shipping Board e simultaneamente restituito
alla Munson Steamship Lines.
Per lungo tempo viene
impiegato nei collegamenti tra Boston, New Bedford ed i porti del Golfo del
Messico; altra linea su cui presta servizio è la Mobile-Avana-Matanzas.
Stazza lorda e netta
registrate risultano rispettivamente 2948 tsl e 1855 tsn.
12 novembre 1922
Il Munsomo, in navigazione da Galveston a
Baltimora, subisce un grave incendio a bordo, scoppiato nella stiva numero 2,
180 miglia al largo dei Capi Virginia (od a 74 miglia da Capo Henry, o 75
miglia a sud di Capo Hatteras). Le fiamme vanno gradualmente estendendosi fino
ad assumere proporzioni tali da non poter essere controllate dai 35 uomini
dell’equipaggio, ma vengono infine domate grazie all’intervento dei mezzi della
Guardia Costiera statunitense, tra cui il cutter Manning, che lo raggiunge all’alba.
3 settembre 1927
Intorno alle cinque
del pomeriggio il Munsomo (al comando
del capitano A. K. Anderson), partito da New York il giorno precedente con un
carico di merci varie per L’Avana (Cuba), entra in collisione con il piroscafo britannico
Dundrennan (anch’esso a pieno carico
e parimenti diretto a Cuba, a Nuevidas) al largo di Sandy Hook, a causa della
fitta nebbia che copre la Lower New York Bay. È il Dundrennan, navigando nella nebbia, a speronare il Munsomo a centro nave, subendo danni
alla prua, che rimane parzialmente schiacciata. Il Munsomo rimane danneggiato più gravemente: la plancia viene quasi
completamente strappata via, le sovrastrutture sono danneggiate, ed a centro
nave la prua del Dundrennan apre un
grosso squarcio nello scafo, piegando le piastre verso l’interno. Il Munsomo imbarca acqua e dev’essere
rimorchiato in porto, al molo 10 (Old Slip), alle nove di sera. Nonostante i
danni, non ci sono feriti.
22 dicembre 1930
Il Munsomo, in navigazione da New York a
Puerto Cabello con un carico di automobili ed accessori per motori, s’incaglia
vicino al Barrachl Reef, sulla costa orientale del Venezuela. Salpa da Kingston
il piroscafo per recuperi Killerig
(capitano Adams), della compagnia di recuperi Merritt, Chapman & Lindsay.
Il Munsomo si trova in una posizione
piuttosto critica, molto esposta al maltempo.
25 dicembre 1930
Il Killerig raggiunse il Munsomo e gli si affianca, dando inizio
ai lavori di disincaglio, che si protraggono per otto giorni sotto la direzione
del capitano Tooker, ufficiale addetto ai recuperi sul Killerig.
2 gennaio 1931
Il Munsomo viene finalmente disincagliato;
nonostante tutto non ha subito danni nell’incaglio, ed una volta disincagliato
è in grado di riprendere il suo viaggio con i propri mezzi. Trasborda però la
maggior parte del carico sul Killerig,
che lo consegna a Puerto Cabello per conto della Munson Line.
1938
Acquistato per 61.500
dollari dalla Compagnia Genovese di Navigazione a Vapore, ribattezzato Capo Orso e sottoposto a lavori di
raddobbo ed adattamento per il servizio con la nuova compagnia. Insieme ad
esso, la Compagnia Genovese di Navigazione a Vapore acquista anche un altro piroscafo
della Munson Line, il più grande Munbeaver,
ribattezzato Capo Alga.
La Compagnia Genovese
di Navigazione a Vapore, nota internazionalmente come ‘Capo Line’ (dato che
tutte le sue navi portano nomi di Capi), sta rapidamente espandendo la propria
flotta: dai tre piroscafi del 1930, la compagnia è giunta a possederne dieci
nel 1938. Sono tutte navi di seconda mano; tutte costruite in cantieri
britannici, tranne Capo Orso e Capo Alga, che sono i primi piroscafi di
costruzione statunitense ad essere acquistati dalla società (sono stati venduti
dalla Munson Line nell’ambito di un piano per “svecchiare” la flotta mercantile
statunitense).
7 giugno-4 luglio 1938
Il Capo Orso compie il suo primo viaggio
sulla linea Italia-Mediterraneo-Montreal (Canada), partendo da Genova e facendo
scalo a Cadice e St. Johns. Il Capo Orso
è significativamente più piccolo degli altri tre piroscafi della compagnia
impiegati sulla linea regolare Mediterraneo-Montreal, cioè Capo Noli, Capo Olmo e Capo Lena.
16 febbraio 1940
Durante il periodo
della ‘non belligeranza’ italiana agli inizi della seconda guerra mondiale, il Capo Orso, in servizio sulla linea
Tirreno-Mar Nero-Danubio, viene fermato all’entrata dello stretto dei
Dardanelli da unità britanniche durante un viaggio dal Pireo ad Istanbul, e
dirottato a Malta per controlli, pur essendo salpato dall’Italia con un carico
coperto da regolari certificati sull’origine delle merci trasportate, e non
avendo caricato nulla al Pireo.
4 settembre 1940
Requisito a Genova
dalla Regia Marina, senza essere iscritto nel ruolo del naviglio ausiliario
dello Stato.
15 settembre 1940
Il Capo Orso ed il piroscafo Capo Vita partono da Napoli alle 23,
diretti a Tripoli con la scorta della torpediniera Orsa.
18 settembre 1940
Capo Orso, Capo Vita ed Orsa arrivano a Tripoli alle 9.30
(8.30 per altra versione).
3 ottobre 1940
Il Capo Orso ed il piroscafo Carnia lasciano Tripoli alle 6.30,
scortati dalla vecchia torpediniera Giuseppe
Cesare Abba.
5 ottobre 1940
Il convoglietto
arriva a Palermo alle 11.40.
13 novembre 1940
Il Capo Orso ed il piroscafo Amsterdam salpano da Napoli per Tripoli
alle 19.30, scortati dalla moderna torpediniera Procione.
16 novembre 1940
Le tre navi arrivano
a Tripoli alle 14.
29 novembre 1940
Il Capo Orso riparte da Tripoli alle 18
diretto a Bengasi, con la scorta della torpediniera Antonio Mosto.
1° dicembre 1940
Capo Orso e Mosto arrivano a
Bengasi alle 14.
8 dicembre 1940
Il Capo Orso lascia Bengasi alle 14 insieme
al piroscafo Ascianghi, con la
scorta della torpediniera Giuseppe
Missori.
12 dicembre 1940
Le navi giungono a
Tripoli alle 9.45.
14 dicembre 1940
Il Capo Orso e la nave cisterna Caucaso ripartono da Tripoli per tornare
in Italia, con la scorta della torpediniera Orione.
16 dicembre 1940
Il convoglio arriva a
Palermo alle 23.30.
23 dicembre 1940
Il Capo Orso salpa da Napoli alle 12.30
diretto a Tripoli. Lungo la rotta varie unità si avvicendano nella sua scorta.
1° gennaio 1941
Arriva a Tripoli alle
19.30.
19 gennaio 1941
Il Capo Orso lascia Tripoli alle 8 diretto
a Bengasi, con la scorta dell’incrociatore ausiliario Attilio Deffenu.
21 gennaio 1941
Le due navi giungono
a Bengasi alle 13.
27 gennaio 1941
Il Capo Orso, il piroscafo Sabaudia e la motonave Riv salpano da Bengasi alle 11 diretti a
Tripoli, con la scorta della torpediniera Generale
Carlo Montanari.
29 gennaio 1941
Il convoglio arriva a
Tripoli alle 17.
5 febbraio 1941
Il Capo Orso, il piroscafo Montello e la motonave Riv lasciano Tripoli alle 5.30 per
rientrare a Napoli, scortati dall’incrociatore ausiliario Francesco Morosini.
8 febbraio 1941
Il convoglio arriva a
Napoli alle 8.
23 marzo 1941
Il Capo Orso, insieme ai piroscafi Caffaro ed Amsterdam ed alle motonavi Giulia e Col di
Lana, salpa da Napoli per Tripoli tra le 5 e le 15, con la scorta delle
torpediniere Circe, Clio, Castore (caposcorta), Calliope
e Centauro.
27 marzo 1941
Il convoglio arriva a
Tripoli alle 14.
10 aprile 1941
Il Capo Orso ed il piroscafo Tembien salpano da Tripoli alle 22,
diretti a Napoli, scortati dai cacciatorpediniere Turbine e Saetta (caposcorta)
nonché dalla torpediniera Pegaso.
13 aprile 1941
Il convoglietto
giunge a Napoli alle 14.30.
16 maggio 1941
Lascia Napoli alle
18.30 insieme ai piroscafi italiani Motia e Castelverde ed ai tedeschi Preussen e Sparta, formando il «26. Seetransport
Konvoi» (o convoglio «Capo Orso») diretto in Libia e scortato dai cacciatorpediniere Folgore (caposcorta), Fulmine, Turbine, Euro e Strale.
17 maggio 1941
In mattinata il
convoglio viene dirottato a Palermo per allarme navale (causato dall’avvistamento
di una grossa squadra navale britannica nel Mediterraneo occidentale, che
spinge ad una momentanea sospensione del traffico con la Libia), giungendovi
alle 19.
19 maggio 1941
Il convoglio riparte
da Palermo alle 9.30; ad esso si sono unite le navi cisterna Panuco e Superga.
Alle 19 salpa da
Palermo anche una forza di copertura, costituita dagli incrociatori
leggeri Luigi di Savoia Duca degli
Abruzzi e Giuseppe
Garibaldi con i cacciatorpediniere Granatiere, Bersagliere
ed Alpino.
Alle 11.30 un sommergibile
lancia una salva di siluri contro il convoglio; per evitarli, Preussen e Panuco entrano in collisione, ma
non riportano danni di rilievo e possono proseguire entrambe.
20 maggio 1941
Alle 9.32 il
sommergibile britannico Urge (tenente
di vascello Edward Philip Tomkinson) avvista su rilevamento 020° un
cacciatorpediniere seguito da altre navi (aventi rotta apparente 100°), che due
minuti dopo identifica come una formazione composta da due incrociatori e tre
cacciatorpediniere, che passano a 6 miglia di distanza: è la forza di copertura
del «26. Seetransport Konvoi» (Duca degli
Abruzzi, Garibaldi e
cacciatorpediniere). Poco dopo, l’Urge
avvista su rilevamento 315° un’altra nave, troppo distante per poter essere
identificata, ed alle 9.40 scende a 27 metri e modifica la rotta per evitare un
idrovolante che ha avvistato su rilevamento 080°, a distanza di soli 730 metri,
diretto proprio verso di lui. Tornato a quota periscopica alle 9.47, il
sommergibile si avvede che la nave avvistata in precedenza è un cacciatorpediniere,
che procede a zig zag davanti ad un convoglio di quattro navi, che navigano a
12 nodi su rotta 135° con la scorta di cinque cacciatorpediniere. Si tratta
appunto del convoglio «Capo Orso», che sta navigando lungo le Kerkennah.
L’Urge passa quindi all’attacco (in
posizione 35°44’ N e 11°59’ E, una quarantina di miglia a nordovest di
Lampedusa; altra fonte indica 35°46’ N e 11°56’ E), lanciando alle 10.30
quattro siluri contro il Capo Orso
(la cui stazza viene sovrastimata in 7000 tsl) e la Superga, poi s’immerge subito a maggiore
profondità; nonostante l’Urge
rivendichi tre centri, uno dei quali – il quarto siluro – da soli 460 metri di
distanza, e l’affondamento di entrambi i mercantili, in realtà nessuno dei
siluri va a segno, grazie alla pronta contromanovra di tutte le navi del
convoglio. L’Euro risale le scie dei
siluri e contrattacca con bombe di profondità; al termine della caccia riterrà
di aver affondato il sommergibile, ma anche in questo caso si tratta di una
rivendicazione errata (in realtà l’Urge,
che è sceso a 85 metri di profondità, è riuscito a scampare senza subire danni
seri, anche se viene investito da una “tremenda esplosione” che causa lievi
danni e diversi feriti tra l’equipaggio: esplosione attribuita da Tomkinson ad
una nave colpita, ma in realtà dovuta evidentemente ad una bomba di profondità,
sebbene il comandante britannico ritenga che nessuna delle 10 bombe lanciate
nei dieci minuti successivi al lancio sia esplosa particolarmente vicina).
21 maggio 1941
Il convoglio giunge a
destinazione alle 11.
23 maggio 1941
Alle 21.45 il Capo Orso lascia Tripoli per Bengasi,
scortato dalla torpediniera Pleiadi.
24 maggio 1941
Alle 6.30 la Pleiadi, a causa del maltempo, deve
lasciare la scorta del Capo Orso,
che prosegue da solo. Il piroscafo raggiunge Bengasi alle 15.
8 giugno 1941
Il Capo Orso lascia Bengasi per tornare a
Tripoli alle 14.30, scortato dal cacciatorpediniere Alvise Da Mosto.
10 giugno 1941
Capo Orso e Da Mosto arrivano a
Tripoli alle 16.30.
29 giugno 1941
Il Capo Orso (commissario militare capitano
del Genio Navale Patrignano) riparte da Tripoli
alle 7 (per altra versione, probabilmente erronea, parte da Napoli la
sera del 29), diretto a Bengasi con la scorta della torpediniera Cigno.
30 giugno 1941
Si unisce alla scorta
il cacciasommergibili Albatros.
1° luglio 1941
Cigno
ed Albatros lasciano la scorta del Capo Orso, che prosegue da solo.
2 luglio 1941
Scortato nell’ultimo
tratto da due aerei dell’Aeronautica della Libia, il Capo Orso giunge a Bengasi alle 21.
A causa della
limitatezza delle infrastrutture portuali di Bengasi (già modeste all’inizio
della guerra, e poi ulteriormente menomate dai bombardamenti aerei e dalle
distruzioni operate dagli eserciti in ritirata tra febbraio e aprile 1941), il Capo Orso ci metterà quasi dieci giorni
a scaricare meno di 2000 tonnellate di carico. Durante questa permanenza
forzosa verrà ripetutamente attaccato da aerei, senza però mai subire danni.
12 luglio 1941
Il Capo Orso lascia Bengasi per Brindisi
alle 14.30, privo di scorta.
Quella dell’invio di
singole navi senza scorta è una costante del traffico con Bengasi nel corso del
1941; siccome, come detto, tale porto non è in grado di ricevere grandi
convogli (ma è comunque opportuno inviarvi delle navi, perché è molto più vicino
alla linea del fronte rispetto al più capace porto di Tripoli), si preferisce
mandarvi singoli bastimenti di non grande tonnellaggio (massimo 3000 tsl, come
appunto il Capo Orso), inviati da
Brindisi in navigazione isolata, scortati da una torpediniera o da un paio
d’aerei solo nella parte iniziale e finale della traversata. Le forze
aeronavali disponibili, infatti, sono già fortemente occupate nella difesa
dell’intenso traffico convogliato verso Tripoli; per i mercantili mandati a
Bengasi, si confida nelle loro non grandi dimensioni, e nella loro velocità
(inizialmente si pensa di usare solo mercantili capaci di raggiungere velocità
di almeno 12 nodi, anche se ben presto bisogna rassegnarsi ad abbassare la
soglia a 10 nodi, come appunto per il Capo
Orso), perché compiano la traversata passando inosservati, costeggiando la
Grecia nella prima parte del viaggio e tenendosi il più lontano possibile da
Malta.
14 luglio 1941
Alle 2.40 di notte,
ad ovest di Cefalonia, il Capo Orso
viene avvistato dal sommergibile britannico Osiris
(capitano di corvetta Thomas Tod Euman). Inizialmente, l’ufficiale di guardia
sul sommergibile britannico crede di vedere, nel buio della notte, un intero
convoglio formato da ben quattro navi su rilevamento 175°, a circa 2,5 miglia
di distanza; dopo essersi avvicinato per vederci chiaro, però, l’Osiris si rende conto che si tratta di
una sola nave – il Capo Orso, appunto
–, in zavorra, della quale viene fortemente sovrastimata la stazza (9000 tsl,
il triplo di quella reale). Alle 3.24, nel punto 38°28’ N e 19°55’ E (al largo
di Argostoli; altra fonte indica erroneamente la posizione come 36°27’ N e
11°54’ E, cioè nel Mediterraneo centrale tra Pantelleria e Lampedusa), l’Osiris lancia quattro siluri contro il Capo Orso da una distanza di 1370 metri;
nessuno di essi va a segno, ed il secondo, evidentemente difettoso, affiora in
superficie e devia dalla rotta verso destra, girando in cerchio e passando
pericolosamente vicino allo stesso sommergibile (appena 36 metri dal suo lato
di dritta). Alle 3.44, pertanto, l’Osiris
apre il fuoco col cannone da 102 mm contro il Capo Orso, distante circa 1830 metri. Da parte britannica si
ritiene di aver messo diversi colpi a segno, ma il Capo Orso risponde al fuoco col suo cannone, e costringe l’attaccante
ad interrompere l’attacco ed immergersi dopo appena un minuto dall’apertura del
fuoco.
Così scampato il
pericolo, il piroscafo prosegue ed arriva a Brindisi alle 17 (o 20).
28 luglio 1941
Il Capo Orso salpa da Brindisi per Bengasi
alle due di notte, seguendo la rotta che passa ad est di Malta, scortato dalla
torpediniera Antares. Alle 21.30 l’Antares lo lascia, ed il piroscafo
prosegue da solo.
Durante la prima
parte della traversata il Capo Orso
gode, come gli altri convogli in mare, della copertura a distanza da parte
dell’VIII Divisione Navale (ammiraglio Giuseppe Lombardi), fatta salpare da
Spermarina la sera del 27 per proteggere il traffico con la Libia (quattro
convogli e due piroscafi isolati) in seguito alla segnalazione di una
considerevole attività di navi di superficie britanniche nel Mediterraneo
occidentale. L’VIII Divisione (incrociatori leggeri Raimondo Montecuccoli e Giuseppe
Garibaldi, cacciatorpediniere Granatiere
e Bersagliere) incrocia tra
Pantelleria, le Pelagie e le Kerkennah durante la notte del 27-28 e parte della
giornata del 28, subendo quella sera il siluramento del Garibaldi ad opera del sommergibile britannico Upholder.
30 luglio 1941
In mattinata il Capo Orso incontra la torpediniera Generale Achille Papa, inviatagli
incontro per assumerne la scorta nell’ultimo tratto della navigazione.
Un paio d’ore prima,
la Papa (tenente di vascello Gino
Rosica) ha incontrato ed affondato, nella zona prevista per l’appuntamento con
il Capo Orso, il sommergibile
britannico Cachalot. La Papa era stata inviata da Tripoli a
Bengasi nel pomeriggio 29, allo specifico scopo di assumere la scorta del Capo Orso in arrivo l’indomani mattina;
essendo segnalati sommergibili nemici nell’area, una volta giunta sul posto la
torpediniera non è entrata nel porto di Bengasi, ma si è diretta verso nord,
ispezionando la rotta che il Capo Orso
avrebbe dovuto percorrere il giorno seguente.
Lasciata Malta il 26
luglio (con a bordo un carico di materiali da portare ad Alessandria e 24
militari di passaggio, diretti in Egitto), il Cachalot ha ricevuto ordine di passare al largo di Bengasi ed
attaccare il Capo Orso –
erroneamente identificato come una "nave cisterna" –, del cui viaggio
verso Bengasi i britannici sono al corrente. Il sommergibile si è posizionato
lungo la rotta sulla quale sarebbe dovuto passare il Capo Orso, prevedendo di precederlo di due ore nel previsto punto
d’incontro, incontrarlo alle 2.30, seguirlo (o piuttosto precederlo, tenendosi
otto miglia a proravia della nave italiana) fin dopo l’alba e di attaccarlo con
la luce del sole, stando immerso (il comandante britannico, tenente di vascello
Netwon, intendeva evitare azioni notturne, data la voluminosa sagoma del Cachalot, che lo rende troppo visibile).
Il Cachalot ha avvistato
la Papa già all’1.55 e si è
immerso per evitarla, per poi riemergere alle 2.50; a questo punto, ritenendo
che la torpediniera, fosse ormai passata, il comandante del sommergibile ha
ordinato di risalirne la rotta per un’ora, mandando in torretta le migliori
vedette per cercare la "petroliera". L’ha infine avvistata a 1370
metri di distanza, su rilevamento di 120° a dritta, preparandosi a lanciare i
siluri; poi – dopo che questa si è immediatamente ritirata coprendosi con una
cortina fumogena, o almeno così è parso a Newton – l’ha inseguita per 20
minuti, per poi aprire il fuoco col cannone. In realtà, né il Capo Orso né altre navi da carico o
petroliere erano presenti: la "petroliera" avvistata dal Cachalot era ancora la Papa, scambiata per una petroliera a
causa dell’oscurità. Newton, considerando che i banchi di foschia ridevano a
tratti la visibilità, ha deciso di rallentare la "petroliera"
danneggiandola col cannone, in modo da impedirle di allontanarsi troppo e di
far perdere le sue tracce. Alle 3.30 la Papa
ha a sua volta avvistato il Cachalot
in posizione 32°49’ N e 20°11’ E ed ha ingaggiato con esso un duello
d’artiglieria, per poi speronarlo alle 3.43, inducendolo alla resa. Il Cachalot è affondato alle 3.52, e la Papa ne ha recuperati i 70 naufraghi,
per poi riprendere la sua missione e recarsi incontro al Capo Orso, puntualmente arrivato nel punto prestabilito, qualche
ora più tardi.
Capo Orso e Papa giungono a
Bengasi a mezzogiorno.
4 agosto 1941
Il Capo Orso salpa da Bengasi alle 17
diretto a Brindisi. Inizialmente lo scorta la torpediniera Climene, ma soltanto nelle acque della Libia; nel tratto centrale
della navigazione il Capo Orso
procede da solo.
7 agosto 1941
Arriva a Brindisi
alle 5.
17 agosto 1941
Il Capo Orso ed il piroscafo Petrarca salpa da Brindisi per Bengasi
alle 19, con la scorta della torpediniera Aldebaran.
18 agosto 1941
Alle 21 l’Aldebaran lascia la scorta dei due
piroscafi.
20 agosto 1941
Raggiunti dalla
torpediniera Calliope nell’ultimo
tratto, Capo Orso e Petrarca arrivano a Bengasi a
mezzogiorno.
28 agosto 1941
Capo Orso e Petrarca lasciano
Bengasi alle 17.45 per tornare a Brindisi. Durante la navigazione sono scortati
da varie unità che si alternano.
31 agosto 1941
Capo Orso e Petrarca arrivano a
Brindisi alle 8.30.
14 settembre 1941
Capo Orso e Petrarca partono da
Brindisi alle 19 alla volta di Bengasi, scortati dalla torpediniera Polluce e dal cacciasommergibili Selve. (Per altra versione il Selve si sarebbe unito al convoglio
il 16, sostituendo la Polluce).
17 settembre 1941
Il convoglio raggiunge
Bengasi alle 3.30.
24 settembre 1941
Durante la notte,
mentre il Capo Orso si trova
ormeggiato a Bengasi, il porto libico viene sottoposto ad un’incursione aerea;
il piroscafetto Prospero, carico di
600 tonnellate di munizioni, viene colpito ed esplode, danneggiando in modo non
grave il Capo Orso ed il Petrarca, che sono ormeggiati nei
pressi.
25 settembre 1941
Capo Orso e Petrarca lasciano
Bengasi alle 19 per rientrare a Brindisi, scortati dalla torpediniera Orione.
28 settembre 1941
Alle 9.30 il convoglio
raggiunge Brindisi.
11 ottobre 1941
Il Capo Orso ed il piroscafo tedesco Tinos partono da Brindisi per Bengasi
alle 14.15 (o 14), scortati dal cacciatorpediniere Freccia (capitano di fregata Alvise Minio Paluello). Il carico dei
due piroscafi assomma in tutto a 5278 tonnellate di materiali vari, 359 di
munizioni, 213 di viveri, 11 tra automezzi e rimorchi e tre motomezzi.
12 ottobre 1941
Alle 19 il convoglio,
essendo stato avvistato da ricognitori britannici, viene dirottato ad
Argostoli.
13 ottobre 1941
Il convoglio arriva
ad Argostoli alle 13.30, dopo una difficile navigazione nel mare burrascoso, e
vi sosta per due giorni.
15 ottobre 1941
Capo Orso, Tinos e Freccia lasciano Argostoli alle 10. Il
convoglio fa scalo a Patrasso prima di proseguire per Bengasi; la navigazione è
molto difficoltosa, incontrando mare tempestoso che sballotta le navi,
sommergendole continuamente con immense onde.
17 ottobre 1941
Raggiunto dalla
torpediniera Centauro, uscita da
Bengasi per recarglisi incontro, il convoglio arriva nel porto cirenaico alle
15.
25 ottobre 1941
Capo Orso e Tinos lasciano
Bengasi alle 18.30 per tornare a Brindisi, scortati dal cacciatorpediniere Strale.
Già alle 17.40, in
seguito ad informazioni sul convoglio ottenute da decrittazioni di “ULTRA”, prende
il mare da Malta la Forza K britannica (incrociatori leggeri Aurora e Penelope, cacciatorpediniere Lance
e Lively) per intercettarlo. La Forza
K lo cerca durante la notte, navigando a 26 nodi, ma non riesce a trovarlo,
nonostante la collaborazione di un ricognitore Vickers Wellington del 211st
Squadron R.A.F. dotato di radar ASV (Air to Surface Vessel, per la scoperta di
navi da aerei), che lancia bengala per illuminare l’area di ricerca. La Forza K
rientra a Malta a mani vuote il 26 ottobre.
28 ottobre 1941
Il convoglietto
giunge a Brindisi alle 12.30.
12 dicembre 1941
Il Capo Orso salpa da Brindisi diretto
ad Argostoli, scortato dal cacciatorpediniere Strale. Si uniscono ad essi un altro piroscafo, l’Iseo, ed un altro cacciatorpediniere, il
Turbine, partiti da Taranto alle 11;
lo Strale assume il ruolo di
caposcorta (per altra versione tutte e quattro le navi sarebbero salpate
insieme da Taranto).
13 dicembre 1941
Il convoglio arriva
ad Argostoli in mattinata. Durante la sosta nel porto greco, le navi vengono
attaccate da 6 bombardieri britannici Bristol Blenheim Mk. IV del 107th
Squadron della Royal Air Force, decollati da Luqa (Malta) e guidati dal
sottotenente Ivor Broom (gli altri cinque aerei sono pilotati rispettivamente
dal sottotenente William Williamson e dai sergenti Noseda, Crossley, Gracie e
Lee). Siccome se attaccassero dal mare verrebbero avvistati da maggiore
distanza, i Blenheim seguono un percorso più largo e si avvicinano a Cefalonia
sorvolando l’entroterra greco-albanese, per poi puntare sull’isola solo nella
fase finale dell’avvicinamento; conducono l’attacco a volo radente, quasi
sfiorando gli alberi delle navi. Sganciate le bombe (Broom e Crossley
effettuano anche dei passaggi di mitragliamento contro i cacciatorpediniere),
virano bruscamente verso destra e si allontanano verso ovest, sorvolando le
colline che dominano il porto. Su di loro fanno fuoco le batterie contraeree
situate sulle alture circostanti la baia di Argostoli e le armi antiaeree dei
cacciatorpediniere, ed interviene anche un caccia Macchi della Regia
Aeronautica in volo sul porto (forse un Macchi Mc 202), respinto – secondo
fonti britanniche – dall’aereo del sergente Crossley. Nessuna nave subisce
danni (contrariamente alle affermazioni di Broom, che nel 1987, divenuto
maresciallo a riposo della RAF, affermerà che una nave sarebbe stata affondata
ed un’altra seriamente danneggiata; secondo altro resoconto britannico,
parimenti errato, Broom avrebbe colpito un mercantile con una bomba, mentre
un’altra avrebbe mancato il bersaglio di 7-8 metri), mentre gli attaccanti
perdono due dei sei aerei: uno (il Z7800 pilotato dal sergente A. J. Lee), colpito
dal tiro delle navi o da quello del Macchi, impatta contro la superficie del
mare ed affonda (il suo equipaggio – sergenti A. J. Lee, R. Haggett ed Ambrose
John Comeau – viene tratto in salvo da mezzi italiani e fatto prigioniero);
l’altro viene centrato dal tiro delle navi durante il sorvolo, e precipita con
la morte di tutto l’equipaggio (sergente R. G. Gracie, pilota; sergente A. P.
McLean, osservatore; sergente J. S. Calderwood, operatore radio, questi ultimi
due canadesi), i cui corpi vengono recuperati e sepolti nel cimitero di
Argostoli.
Qualche ora dopo
vengono inviati ad attaccare le navi presenti ad Argostoli altri cinque
Blenheim, appartenenti al 18th Squadron della RAF (anch’essi
decollati da Luqa), armati ciascuno con 600 kg di bombe. Anche questo attacco è
infruttuoso per i britannici, che perdono un altro Blenheim (il Z7858, pilotato
dal sergente Frank Jury) attaccato da un caccia Macchi Mc 202, che ne danneggia
il motore di sinistra, con perdita dell’elica. Il Blenheim tenta di tornare
verso Malta, ma è costretto ad ammarare vicino ad un peschereccio presso
Delimara, dopo essersi liberato della bomba che ha ancora a bordo. Tutto
l’equipaggio (sergente Frank Jury, pilota; sergente Tom Black, navigatore; sergente
Dennis J. Mortimer, mitragliere) sopravvive riportando soltanto lievi ferite, viene
tratto in salvo dai pescatori maltesi.
In tutto, secondo una
fonte, la RAF avrebbe lanciato ben quattro aerei contro il convoglio Iseo-Capo
Orso durante la sosta ad Argostoli, nella mattina del 13 dicembre, tutti
senza successo.
Alle 15.30 (o 18) Capo Orso, Iseo e scorta ripartono per Bengasi, nell’ambito dell’operazione di
traffico «M. 41» (ora è caposcorta il Turbine).
Dopo le gravi perdite subite dai convogli diretti in Libia nelle settimane
precedenti, infatti, le forze italo-tedesche in Nordafrica si trovano in
situazione di grave carenza di rifornimenti proprio mentre è in corso una nuova
offensiva britannica, l’operazione «Crusader», ed urge rifornirle.
Con la «M. 41»,
Supermarina intende inviare a Tripoli e Bengasi tutti i mercantili già carichi
presenti nei porti dell’Italia meridionale, mobilitando per la loro protezione,
diretta e indiretta, pressoché tutta la flotta in condizioni di efficienza.
Sono previsti tre
convogli: l’«A», da Messina a Tripoli, formato dalle moderne motonavi Fabio Filzi e Carlo Del Greco scortate dai
cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco ed Antoniotto Usodimare (poi dirottato
su Taranto per unirsi da subito all’«L» ma distrutto durante tale percorso dal
sommergibile britannico Upright);
l’«L», da Taranto per Tripoli, formato dalle motonavi Monginevro, Napoli e Vettor Pisani scortate dai
cacciatorpediniere Freccia ed Emanuele Pessagno (con a bordo il
contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone) e dalla torpediniera Pegaso; e l’«N», da Navarino ed
Argostoli per Bengasi, costituito da Capo
Orso, Iseo, Turbine e Strale, cui si devono aggiungere la motonave tedesca Ankara, il cacciatorpediniere Saetta e la torpediniera Procione provenienti da Argostoli.
Ogni convoglio deve
fruire della protezione di una forza navale di sostegno, che di giorno si terrà
in vista dei trasporti e di notte a stretto contatto con essi. Il gruppo
assegnato al convoglio «N» è composto dalla corazzata Andrea Doria e dalla VII Divisione (ammiraglio di divisione
Raffaele De Courten) con gli incrociatori leggeri Muzio Attendolo ed Emanuele
Filiberto Duca d’Aosta, mentre gli altri due convogli saranno protetti
dalla corazzata Duilio (nave
ammiraglia dell’ammiraglio di squadra Carlo Bergamini) e da un’eterogenea VIII
Divisione composta per l’occasione dagli incrociatori leggeri Giuseppe Garibaldi (nave di
bandiera dell’ammiraglio Giuseppe Lombardi, comandante della VIII Divisione)
e Raimondo Montecuccoli e
dall’incrociatore pesante Gorizia (con
a bordo l’ammiraglio di divisione Angelo Parona).
Infine, a tutela
dell’intera operazione contro un’eventuale uscita in mare delle corazzate della
Mediterranean Fleet, prende il mare la IX Divisione Navale (ammiraglio di
squadra Angelo Iachino, comandante superiore in mare) con le moderne
corazzate Littorio e Vittorio Veneto, scortate dalla XIII
Squadriglia Cacciatorpediniere (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino).
Queste navi si dovranno posizionare nel Mediterraneo centrale.
A completamento dello
schieramento, un gruppo di sommergibili viene dislocato nel Mediterraneo
centro-orientale con compiti esplorativi ed offensivi; è inoltre previsto un
imponente intervento della Regia Aeronautica.
Per via della carenza
di navi scorta e del tempo necessario a reperirne, l’operazione, inizialmente
prevista per il 12 dicembre, viene posticipata di un giorno.
Nel tardo pomeriggio
del 13, quando i convogli sono già in mare, la ricognizione aerea comunica a
supermarina che una consistente forza britannica, comprensiva di corazzate ed
incrociatori (in realtà sono solo quattro incrociatori leggeri: i ricognitori
hanno grossolanamente sovrastimato la composizione e potenza della forza
avvistata), si trova tra Tobruk e Marsa Matruh, diretta verso ovest. La somma
delle forze italiane in mare è complessivamente superiore, ma si trova divisa
in gruppi tra loro distanziati e vincolati a convogli lenti e poco manovrieri;
per questo, alle ore 20 Supermarina decide di sospendere l’operazione, ed i
convogli ricevono ordine di rientrare. Ciò non basterà ad evitare danni:
durante la notte, il sommergibile britannico Urge silurerà la Vittorio
Veneto, danneggiandola gravemente.
Alle 22.50 il Turbine ordina ad Capo Orso ed Iseo, che procedono in linea di fronte, d’invertire la rotta:
durante la manovra, a coronamento di una delle notti più funeste della guerra
per la Marina italiana, l’Iseo sperona
il Capo Orso, ed entrambe le
navi riportano danni piuttosto seri, per quanto non tali da impedire loro di
rientrare in porto con i propri mezzi.
14 dicembre 1941
Entrambi i piroscafi
e la loro scorta riescono a raggiungere Argostoli alle nove-dieci del mattino.
Secondo decrittazioni
di “ULTRA” del 15 dicembre, entrambe le navi avrebbero serie falle, ed il Capo Orso sarebbe stato portato
all’incaglio per evitarne l’affondamento (ma ciò appare strano, considerato che
già due giorni dopo la nave sarà in grado di trasferirsi a Patrasso senza scorta).
16 dicembre 1941
Il Capo Orso si trasferisce da Argostoli a
Patrasso insieme alla nave cisterna Caucaso,
senza scorta.
30 dicembre 1941
Il Capo Orso e l’Iseo, scortati dalla torpediniera Pegaso e dalla motovedetta Spanedda
dalla Guardia di Finanza, salpano da Patrasso per Brindisi trasportando
personale militare rimpatriante e materiali.
Per un tratto il
convoglio si ritrova a navigare a poppavia di un altro, più piccolo (che si
trova più a nord), in navigazione da Patrasso a Taranto e formato dalla nave
cisterna romena Campina scortata
dall’incrociatore ausiliario italiano Egitto.
Alle 16.45 la Campina viene silurata
in posizione 38°37’ N e 20°28’ E dal sommergibile britannico Thorn; la Pegaso, sentendo le esplosioni, lascia temporaneamente il suo convoglio
e si precipita sul luogo dell’attacco, partecipando alla caccia all’attaccante
insieme all’Egitto ed a due
cacciasommergibili tedeschi (che proprio al momento del siluramento stavano
sopraggiungendo per rinforzare la scorta del convoglio), e lo stesso fa anche
la Spanedda, che spara quattro colpi
contro un periscopio e lancia 10 bombe di profondità. In tutto le cinque unità
lanciano ben 61 bombe di profondità, ma nessuna esplode vicina al Thorn, che così non subisce danni. La Campina affonda alle 17.15, e poco dopo
la Pegaso ritorna da Capo Orso ed Iseo e ne riprende la scorta.
18 aprile 1942
Il Capo Orso parte da Taranto per Bengasi
alle 6.40, scortato dal cacciatorpediniere Turbine.
In seguito al siluramento del piroscafo tedesco Bellona, avvenuto in acque non lontane, il convoglietto viene
temporaneamente dirottato.
Originariamente,
infatti, era previsto che il Bellona
– partito da Brindisi alle 13 del 17 e diretto anch’esso a Bengasi – ed il
cacciatorpediniere Strale, di scorta
a quest’ultimo, dovessero unirsi in mare aperto a Capo Orso e Turbine per
formare un unico convoglio. I decrittatori britannici dell’organizzazione
“ULTRA”, tuttavia, già il 16 aprile intercettano messaggi italiani dai quali
apprendono che «il Capo Orso scortato
dal Turbine deve lasciare Taranto
alle 6.30 del giorno 18 a 10 nodi ed unirsi al più presto al Bellona ed allo Strale per raggiungere Bengasi alle 15.00 del giorno 20»; il 17
decrittano altri messaggi da cui ricavano che «Il Capo Orso scortato dal cacciatorpediniere Turbine dovrà lasciare Taranto alle 6.30 del 18 per Bengasi a 10
nodi e deve arrivare alle 15.00 del giorno 20. Il Bellona scortato dal cacciatorpediniere Strale lascerà Brindisi e si unirà al convoglio», ed il 18 altri
ancora da cui traggono che «Il Capo Orso
deve lasciare Taranto alle 6.30 di questa mattina sotto la protezione del
cacciatorpediniere Turbine per unirsi
al piroscafo Bellona scortato dal
cacciatorpediniere Strale che
proviene da Brindisi. Il convoglio deve giungere a Bengasi alle 15.00 del giorno
20». Sulla base di tali informazioni il sommergibile britannico Torbay, alle
7.28 del 18, ha intercettato il Bellona,
silurandolo ed affondandolo; il Capo Orso
evita analoga sorte grazie al tempestivo dirottamento, seguito alla notizia
dell’affondamento del Bellona.
Nemmeno questo sfugge
ad “ULTRA”: il 19 aprile, infatti, i decrittatori britannici informano i loro
comandi che «il Capo Orso scortato
dal Turbine ha lasciato Taranto alle
6.40 del giorno 18 per Bengasi, a mezzogiorno la sua rotta è stata alterata, ma
dovrà ugualmente raggiungere Bengasi nel pomeriggio del 20» e che «gli ordini
riguardanti la riunione col Bellona
proveniente da Brindisi sono stati cancellati».
20 aprile 1942
Capo Orso e Turbine arrivano a
Bengasi alle 14.10.
27 aprile 1942
Il Capo Orso lascia Bengasi alle 20 per
rientrare a Brindisi; lo scortano i cacciatorpediniere Freccia ed Ugolino Vivaldi
(caposcorta).
28 aprile 1942
Alle 22.20, nel punto
36°20’ N e 18°21’ E (nel Mar Ionio), il sommergibile britannico Proteus (capitano di corvetta Philip
Stewart Francis) avvista tre navi oscurate su rilevamento 165°, a circa quattro
miglia e mezzo di distanza. Il Proteus
si avvicina per verificare la situazione, ed alle 22.24 identifica le tre navi
come un mercantile di circa 3000 tsl scortato da due cacciatorpediniere: si
tratta, pressoché certamente, di Capo
Orso, Freccia e Vivaldi. Un minuto dopo, il Proteus s’immerge per attaccare; alle
22.40, a seguito di una perdita di assetto, il sommergibile sprofonda fino a 18
metri, per poi tornare a quota periscopica alle 22.50 e prepararsi nuovamente
all’attacco. Alle 22.54 il Proteus
lancia un primo siluro da 2740 metri, ma al momento del lancio diventa
momentaneamente ingovernabile; risolto il problema, dopo tre minuti il
sommergibile lancia un secondo siluro, stavolta da 1830 metri. Entrambe le armi
mancano il bersaglio, e le navi italiane non si accorgono neanche dell’attacco.
Alle 23.20 il Proteus emerge per cercare di inseguire
il convoglio e tentare un nuovo attacco, ma non riesce a ristabilire il
contatto, così che alle 4 del 29 abbandona l’inseguimento.
29 aprile 1942
Le tre navi arrivano
a Brindisi alle 21.30.
17 ottobre 1942
Alle 17 il Capo Orso salpa da da Napoli per Tripoli
insieme ai piroscafi Beppe e Titania, formando il convoglio «D» (o
«Delta»), scortato dai cacciatorpediniere Alfredo
Oriani (capitano di fregata
Paolo Pesci), Vincenzo Gioberti (capitano di fregata
Pietro Tona) e Giovanni Da Verrazzano (capitano di fregata Carlo
Rossi).
18 ottobre 1942
Alle 12.30, con un
ritardo di tre ore rispetto al previsto, si uniscono al convoglio anche la nave
cisterna Saturno, proveniente da
Cagliari, la vecchia torpediniera Nicola Fabrizi (tenente di vascello
Augusto Bini) che la scorta ed i cacciatorpediniere Antonio Da Noli (capitano
di fregata Pio Valdambrini) ed Ascari (capitano
di fregata Teodorico Capone) usciti da Palermo (si tratta del convoglio «C»);
le navi si riuniscono nel Basso Tirreno, a nord delle Egadi, formando un unico
convoglio, che alle 12.35 viene raggiunto dal cacciatorpediniere Antonio Pigafetta (capitano di vascello Enrico Mirti della Valle), il
quale ne assume il comando della scorta.
Durante la giornata
del 18, un totale di 62 caccia della Regia Aeronautica di base in Sicilia (23
FIAT G. 50, 18 Reggiane Re. 2001, 12 FIAT CR. 42, 7 Macchi Mc 200 e due FIAT
CR. 25) si alternano nella scorta aerea del convoglio, dall’alba al tramonto,
come chiesto da Supermarina a Superaereo. In origine le richieste di
Supermarina erano state ancora maggiori: il 16 e 17 ottobre il maresciallo Ugo
Cavallero, capo di Stato Maggiore generale, ha chiesto al generale Rino Corso
Fougier, capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, di accordarsi con il
feldmaresciallo Albert Kesselring (comandante della Luftwaffe nello scacchiere
del Mediterraneo) per incrementare i turni di scorta aerea del convoglio
«Delta», nel tratto tra Pantelleria e Lampedusa (dove si ritiene necessaria la
massima protezione aerea), a 10 aerei da caccia rispetto agli usuali 6, numero
ritenuto troppo scarso dall’ammiraglio Luigi Sansonetti, sottocapo di Stato
Maggiore della Marina, dopo aver consultato il Comitato sui Convogli. Sia
Fougier che Kesselring, tuttavia, hanno risposto di non ritenere preoccupante
la situazione delle scorte diurne, bensì il rischio rappresentato dagli attacchi
notturni, ragion per cui la scorta aerea dovrà essere assicurata per quanto
possibile dalla caccia notturna e da aerei provvisti di disturbatori Wimmer, ed
il convoglio dovrà potenziare al massimo le sue difese contraeree ed
antisiluranti. Fougier e Kesselring hanno comunque assicurato che aumenteranno
le scorte diurne come chiesto da Supermarina, ma Sansonetti ha alzato il tiro,
affermando stavolta di ritenere insufficienti anche 10 aerei per turno, ed
elevando la richiesta a 30 velivoli per turno: il che avrebbe comportato
l’impiego di ben 180 aerei per la scorta al convoglio «Delta», forze di cui le
aviazioni italiana e tedesca del Mediterraneo, duramente provate in quei giorni
da una nuova – e fallimentare – offensiva aerea contro Malta, non dispongono.
Ad ogni modo, la Regia Aeronautica ha cercato di soddisfare almeno parzialmente
queste richieste trasferendo altri aerei da caccia nelle basi di Trapani e
Palermo, tra cui i 15 Reggiane Re. 2001 efficienti del 22° Gruppo (in
precedenza impiegati negli attacchi su Malta), trasferiti da Gela a Palermo, ed
i 13 Re. 2001 efficienti del 2° Gruppo da Caccia (finallora impiegati nella
difesa dei porti pugliesi ed in quella dei convogli nel Canale d’Otranto)
trasferiti dalla Puglia a Castelvetrano. Il generale Giuseppe Santoro,
sottocapo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, ha inoltre chiesto a Fougier
l’autorizzazione di trasferire nelle basi della Sicilia occidentale un altro
gruppo di Re. 2001 entro il primo mattino del 18, il che permetterebbe di
garantire sul convoglio «Delta» turni di scorta con almeno sei caccia italiani
a partire dalle 11 del 18 e per tutta la giornata; ed al contempo Fougier ha
ottenuto da Kesselring la concessione di un’aliquota di velivoli tedeschi, così
assicurando al convoglio, almeno nei limiti del raggio d’azione di Pantelleria,
turni di scorta di 10 aerei (otto italiani e due tedeschi), come chiesto da
Cavallero. Nella zona di Tripoli la scorta aerea sarà fornita invece dalla sola
Regia Aeronautica, con non più di cinque caccia per turno data la disponibilità
ed efficienza degli aerei di base in Libia; allo scopo viene trasferita dalla
Sicilia alla Tripolitania (base di Castel Benito) parte del 54° Stormo da
Caccia, con 17 Macchi Mc. 200, in rinforzo alle scorte che la V Squadra Aerea
(di stanza in Libia) dovrà garantire nel settore ovest. Successivamente,
tuttavia, il comando tedesco ha fatto un passo indietro; non volendo
distogliere i suoi aerei dall’azione contro Malta, ha deciso di non prendere
direttamente parte alla scorta del convoglio «Delta», ma di limitarsi invece a
tenere 4 aerei pronti a decollare su allarme dalla base di Pantelleria. Per
sopperire a questo problema e mantenere una scorta aerea di almeno di 10 aerei
per turno, il generale Fougier ha dovuto ordinare di trasferire altri 6 caccia
a Reggio Calabria entro il 19 ottobre.
Alle 20 del 18,
intanto, la Fabrizi viene
fatta dirigere per Trapani, venendo sostituita dalla più moderna
torpediniera Centauro (capitano
di corvetta Luigi Zerbi).
Nelle giornate del 18
e 19 ottobre, fino anche alle prime ore notturne, il convoglio gode anche di
una forte scorta aerea. La sera del 18, e nella prima metà della notte
seguente, vengono avvertiti rumori di aerei (nemici) in volo e vengono
avvistate delle cortine di bengala che si accendono a poppavia delle navi, il
che indica che il convoglio è stato localizzato e seguito dalle forze
avversarie. Ciò è infatti avvenuto nel pomeriggio del 18, ad ovest di Capo San
Vito, ad opera del radarista Eric Cameron, in servizio su un ricognitore
britannico Vickers Wellington del 69th Squadron della RAF. Questo
aereo, apparso tra le nuvole ad alta quota, è stato visto dalle navi convoglio,
ma la scorta aerea – in quel momento cinque caccia e due aerei antisom – non è
riuscita ad intercettarlo.
In realtà la
"scoperta" è ancora antecedente: il 18 ottobre, infatti, le
decrittazioni di “ULTRA” hanno permesso ai comandi britannici di sapere che
la Saturno è partita da
Cagliari alle 16 del 17 e che alle 12.30 del 18 si deve unire a Capo Orso, Beppe e Titania partiti
da Napoli alle 16 del 17, dopo di che il convoglio deve proseguire sulla rotta
a ponente di Malta a 8 nodi, per giungere a Tripoli alle 13 del 20 ottobre («La petroliera SATURNO è salpata da Cagliari
alle 16.00 del 17 e dovrà unirsi alle 12.30 del 18 con il CAPO ORSO, il BEPPE e
il TITANIA, tutti partiti da Napoli alle 16.00 del 17. Il convoglio riunito
dovrà procedere a ovest di Malta per Tripoli, arrivando alle ore 13.00 del
giorno 20 alla velocità di 8 nodi»).
Il governatore di
Malta, generale John Standish Surtees Prendergast Vereker Gort, ha dunque
ordinato ai suoi subordinati della Royal Navy e della RAF – rispettivamente il
viceammiraglio Ralph Leatham ed il vice maresciallo dell’aria Keith Park – di
organizzare gli attacchi contro il convoglio; Park ha quindi inviato dei
ricognitori Vickers Wellington del 69th Squadron (dotati di radar
ASV per l’individuazione di navi) alla ricerca del convoglio, e concordato con
Leatham una serie di attacchi notturni da parte di aerosiluranti Fairey Albacore
dell’828th Squadron della Fleet Air Arm e Fairey Swordfish dell’830th
Squadron della Fleet Air Arm. Al contempo, Leatham ha ordinato al comandante
della 10th Submarine Flotilla, capitano di vascello George Simpson,
di formare uno sbarramento di sommergibili nel Canale di Sicilia lungo la rotta
del convoglio «Delta». Cinque sommergibili ricevono l’ordine di attaccare il
convoglio: il P 37 (poi Unbending), il P 42 (poi Unbroken),
il P 44 (poi United), il P 211 (poi Safari)
e l’Utmost. Una volta informato
dell’avvistamento del convoglio da parte del Wellington di Cameron, Simpson dispone
i battelli in modo da formare una linea di sbarramento poco a sud di
Pantelleria, orientata da nord verso sud: nell’ordine, Utmost (inviato in zona già dal 17), P 211, P 37, P 42 e P 44 (quest’ultimo, non potendo arrivare
in tempo per completare lo sbarramento, viene mandato più a sud, con l’ordine
di operare con direttrice nord).
19 ottobre 1942
All’una di notte un
altro Wellington del 69th Squadron individua nuovamente il convoglio
«Delta» una quarantina di miglia a nord di Pantelleria; l’aereo lancia dei
bengala, e riesce così ad identificare la composizione del convoglio come una
nave cisterna, tre navi da carico ed otto cacciatorpediniere.
All’alba il convoglio
assume una formazione su due colonne: Capo
Orso e Beppe a sinistra, Saturno e Titania a dritta; le unità di scorta si dispongono tutt’intorno,
con Da Noli e Gioberti (uniche navi provviste di ecogoniometro di tipo tedesco)
in testa rispettivamente alle colonne di dritta e di sinistra, Oriani e Pigafetta sul lato sinistro, Ascari
e Da Verrazzano su quello dritto, e Sagittario in coda. Le navi scorta prive
sprovviste di ecogoniometro procedono a zig zag. Sul cielo del convoglio
arrivano i primi velivoli della scorta aerea (8 caccia inviati da Pantelleria,
più un idrovolante CANT Z. 501 dell’Aviazione Ausiliaria della Marina per
scorta antisommergibili); nel corso della giornata, la Regia Aeronautica
impiegherà ben 73 caccia (67 Reggiane Re. 2001 e 6 FIAT CR. 42) e 9 bombardieri
(tutti Savoia Marchetti S.M. 79 “Sparviero”, utilizzati in funzione
antisommergibili), decollati dalle basi siciliane, per la scorta al convoglio.
Molto più limitato il contributo della Luftwaffe (II. Fliegerkorps),
consistente in otto bombardieri Junkers Ju 88. Degli aerei italiani, un Re.
2001 del 2° Gruppo da Caccia Terrestre (sergente maggiore Egidio Masiero) sarà
costretto ad un atterraggio d’emergenza in Tunisia a causa di un’avaria al
motore.
Le condizioni
meteomarine – vento fresco da ponente, mare mosso con onda viva – sono
piuttosto problematiche, non perché il mare sia particolarmente burrascoso, ma
perché tali condizioni rendono molto difficile avvistare periscopi o scie di
siluri.
Alle 9.25, dato che
Supermarina ha segnalato la presenza di un sommergibile nelle acque in cui deve
passare il convoglio, la Centauro viene
distaccata per dargli la caccia, mentre il suo posto nella scorta viene preso
dalla torpediniera Sagittario (capitano
di corvetta Lanfranco Lanfranchi) appositamente inviata.
Primo battello
britannico ad avvistare il convoglio «Delta» è il P 211, che dopo aver avvistato una piccola imbarcazione non
identificata diretta verso nord (forse un peschereccio) scorge alcuni aerei che
volano sopra il convoglio, e poi il convoglio stesso, che sta passando ad est
rispetto alla sua posizione. Manovrando in immersione, però, il P 211 non riesce a portarsi in posizione
idonea a lanciare i siluri.
Il primo sommergibile
ad attaccare è invece l’Utmost (tenente
di vascello John Walter David Coombe): alle 8.40, in posizione 36°03’ N e
11°56’ E (tra Pantelleria e Lampedusa), avvista due aerei e gli alberi di
quattro navi su rilevamento 350°; alle 8.50 identifica le navi come tre mercantili
di medie dimensioni, su due colonne, scortate da sette cacciatorpediniere
disposti su ogni estremità, lato e quarto del convoglio nonché a poppavia dello
stesso, ed alle 9.32 avvista anche una nave cisterna (la Saturno, nave di coda della colonna di
dritta), che diviene il suo bersaglio (prima, intenzione di Coombe era di
attaccare il mercantile di testa della colonna di sinistra). Alle 10.03 l’Utmost lancia due siluri (gli
ultimi che gli sono rimasti), da 5500 metri, contro la petroliera, ma
nessuna arma va a segno, e l’attacco passa inosservato. Più tardi riemerge per
segnalare la presenza del convoglio.
Viene poi il turno
del P 37 (poi Unbending, tenente di vascello Edward
Talbot Stanley), che ha assunto la sua posizione nello sbarramento alle sei del
mattino del 18. Nove aerei, uno dei quali antisommergibili, sono in volo sul
cielo del convoglio, ma nessuno vede l’unità britannica immersa a quota
periscopica. Il convoglio si trova 70 miglia a sud di Pantelleria.
Alle 11.48 il P 37 ha avvistato degli aerei che
volano con ampi zig zag sia a sud che a nord della sua posizione (35°45’ N e
12°01’ E, circa 21 miglia a sud dell’Utmost),
e cinque minuti dopo ha avvistato, su rilevamento 360°, anche il convoglio. Le
navi mercantili, disposte su due colonne di due unità ciascuna (le due navi di
testa hanno alti fumaioli e sono entrambe stimate in 5000-7000 tsl), procedono
su rotta 180°; degli aerei procedono a zig zag davanti ad esse, mentre lo
schermo dei cacciatorpediniere procede un miglio a poppavia dei velivoli,
nonché a proravia dei trasporti, anch’essi distanziati tra loro di circa un
miglio.
Alle 12.15 il
convoglio accosta su rotta 156°, ed il sommergibile passa tra i due
cacciatorpediniere che coprono il suo fianco sinistro, così superando lo
schermo della scorta; poi, alle 12.49, il P 37 lancia quattro siluri da 915 metri, contro il
mercantile in testa alla colonna di sinistra (posizionando la mira a proravia
del mercantile di circa mezza lunghezza, e poi lanciando i siluri a intervalli
di 13 secondi nella speranza che quelli che fossero passati a prua od a poppa
del bersaglio colpiscano il mercantile in testa all’altra colonna, più
lontana). Subito dopo scende in profondità.
Alle 12.53 (in
posizione 35°52’ N e 12°05’ E, 28-30 miglia a sudovest dell’isolotto di
Lampione), senza alcun preavviso, il Beppe viene
colpito da un siluro a poppa sinistra; un minuto più tardi anche il Da Verrazzano, dopo aver evitato un
primo siluro, viene colpito da una seconda arma, che gli asporta la poppa.
Il resto del
convoglio accosta subito di 90° a dritta, ma ormai il danno è fatto: il Pigafetta ordina all’Oriani di dare assistenza al Beppe ed alla Sagittario di dare assistenza
al Da Verrazzano, nonché
al Gioberti di dare la
caccia al sommergibile; quest’ultima viene cessata dopo che il
cacciatorpediniere, ottenuto un contatto all’ecogoniometro ed eseguiti tre
lanci di bombe di profondità, vede apparire in superficie un’ampia chiazza di
nafta, riferendolo al caposcorta (secondo fonti italiane, l’Unbending venne seriamente
danneggiato dalle bombe di profondità; dal suo giornale di bordo risulta però
che tra le 11.54 e le 15 furono lanciate 24 bombe di profondità, di cui solo
due esplosero vicine).
Per le due navi
colpite non c’è niente da fare: il Beppe cola
a picco già alle 13.43, dopo che l’Oriani ne
ha recuperato i sopravvissuti; la Sagittario tenta
di prendere a rimorchio il Da
Verrazzano mentre il Gioberti,
finita la caccia, dà loro scorta, ma il cacciatorpediniere affonda alle 15.30
nel punto 35°12’ N e 12°05’ E, a sud di Pantelleria ed a 25 miglia da
Lampedusa.
Gioberti e Sagittario recuperano
255 dei 275 membri dell’equipaggio del Da
Verrazzano; la Sagittario viene
fatta rientrare a Trapani, Oriani e Gioberti sbarcano i rispettivi naufraghi
a Lampedusa e poi ripartono a tutta forza per riunirsi al convoglio.
Il convoglio, intanto,
viene riordinato; i tre mercantili superstiti vengono disposti in linea di
fronte, con la Saturno (che stenta a
tenere la sua posizione, tendendo a restare arretrata) al centro, mentre il Da Noli si posizione in testa al
convoglio, l’Ascari a dritta ed il Pigafetta a sinistra.
Alle 15.05 il P 42 (tenente di vascello Alastair
Campbell Gillespie Mars), già preavvisato alle 14 da un messaggio dell’Utmost, avvista fumo su rilevamento 290°
e dirige per intercettare il convoglio, del quale alle 15.30 apparezza la rotta
come 135°. Il sommergibile inizia la manovra di attacco, ostacolata dallo
zigzagamento del convoglio (sul cui cielo volano tre aerei di scorta), che
accosta dapprima per 155° e poi, poco prima del lancio dei siluri, per 175°.
Alle 16.10, nel punto 35°22’ N e 12°15’ E (o 34°45’ N e 12°31’ E; a nordovest
di Tripoli ed a sudest di Lampedusa) il P
42 lancia una salva di quattro siluri contro il convoglio (con beta molto
ampio), due dei quali contro un mercantile di stazza valutata in 7000 tsl
(probabilmente il Titania), uno
contro una nave cisterna stimata in 8000 tsl (la Saturno) ed uno contro un mercantile più piccolo (probabilmente il Capo Orso), da una distanza stimata di
7315 metri. Avvistate le scie dei siluri, il Pigafetta ordina ai mercantili di accostare subito a dritta, mentre
il Da Noli si lancia al contrattacco.
Nonostante il P 42 abbia avvertito
due esplosioni 7-8 minuti dopo i lanci, nessuno dei siluri va a segno; due passano
sotto la Saturno senza esplodere alle
16.19, e gli altri due vengono evitati dalla petroliera con la manovra.
Il P 42, che è sceso a 21 metri di
profondità per allontanarsi, viene subito sottoposto a precisa caccia da parte del
Da Noli (il Pigafetta, sprovvisto di ecogoniometro, deve invece limitarsi a
lanci di bombe di profondità a scopo intimidatorio), col lancio di 9 bombe di
profondità (mentre il P 42 ne conta
20, dalle 16.21 alle 16.37), rimanendo seriamente danneggiato, al punto di
dover interrompere la missione e rientrare a Malta (il Da Noli non può replicare l’attacco perché il fango del fondale –
profondo nella zona solo una sessantina di metri –, sollevato dagli scoppi
delle bombe di profondità, provoca la perdita del contatto; deve dunque
abbandonare il contrattacco e riunirsi al Pigafetta
nella scorta ai mercantili).
Alle 18.55 il Pigafetta riceve un messaggio da
Supermarina, che annuncia che un attacco aerosilurante è probabilmente in
arrivo; poco dopo le 20, difatti, Gioberti (che
si trova insieme all’Oriani e
sta per raggiungere il convoglio) ed Ascari riferiscono
al Pigafetta di avvertire
rumori di aerei sul loro cielo. Alle 19.32, infatti, le navi sono state
localizzate da un Wellington del 69th Squadron munito di radar ASV,
che guida sul posto un gruppo di aerosiluranti distanti in quel momento una ventina
di miglia. L’unico velivolo della scorta aerea, un aereo tedesco, ha da poco
lasciato il convoglio. Il tempo è burrascoso, con mare grosso e temporali, il
che complica sia le manovre delle navi italiane che i lanci di siluri da parte
dei velivoli britannici.
Gli aerosiluranti –
due Albacore dell’828th Squadron F.A.A. (sottotenenti di vascello
Scott e Simpson) ed uno Swordfish dell’830th Squadron (sottotenente
di vascello Elliott), guidati sull’obiettivo da un altro Swordfish con radar
ASV (capitano di corvetta W.E. Lashmore) – iniziano il loro attacco alle 21.30,
circa 54 miglia a nord di Lampedusa. I velivoli britannici attaccano sul lato
sinistro del convoglio, così da avere le navi sulla dritta, illuminate dalla
luna sorgente; tuttavia la luna si rivela essere coperta dalle nuvole,
riducendo il vantaggio offerto da quella posizione, così che l’ultimo Albacore
ad attaccare deve usare i razzi illuminanti per meglio vedere i bersagli.
Le siluranti della
scorta circondano i mercantili con cortine nebbiogene ed aprono il fuoco sugli
attaccanti, ma alle 23.06 il Titania viene
colpito da un siluro, restando immobilizzato nel punto 34°45’ N e 12°31’ E. L’Ascari riesce a prenderlo a rimorchio,
portandolo verso Tripoli; l’Oriani rimane
per dargli assistenza, mentre il resto del convoglio, compreso il Capo Orso, prosegue verso Tripoli.
Gli aerosiluranti
britannici, rientrati alla base di Hal Far (Malta), si riforniscono rapidamente
di siluri e carburante, cambiano due piloti e poi decollano per un eseguire
secondo attacco.
20 ottobre 1942
Gli attacchi aerei
continuano: tra le 00.10 e le 00.22 Oriani ed Ascari vengono attaccati da
bombardieri in picchiata ed aerosiluranti, ed alle 00.36 anche il Da Noli viene mancato di stretta
misura da alcune bombe.
Il caposcorta decide
dunque di dividere il convoglio in due gruppi, in base alla velocità: Capo Orso (capace di navigare a 10
nodi), Da Noli e Gioberti formano il primo; la Saturno (8,4 nodi) ed il Pigafetta costituiscono il secondo.
Alle tre di notte si
svolge il secondo attacco da parte degli aerei ripartiti da Hal Far, stavolta
senza risultato. Altri aerei lanciano bengala quasi senza interruzione, così da
illuminare i mercantili e facilitare sia gli attacchi degli aerei che quelli
dei sommergibili.
Alle 3.05 (o 2.45)
il Da Noli avvista un
sommergibile emerso e tenta di speronarlo, ma questi s’immerge prima della
collisione; il cacciatorpediniere esegue un attacco con bombe di profondità,
ritenendo di aver danneggiato il battello nemico. Il sommergibile in questione
è il P 44 (tenente di vascello Thomas
Erasmus Barlow), che alle 22 della sera precedente ha avvistato i bengala ed
assistito da distanza agli attacchi aerei contro il convoglio, tentando
infruttuosamente di avvicinarsi a tutta forza per attaccare a sua volta. All’1.20,
circa 21 miglia ad ovest di Lampedusa, il P
44 ha avvistato la cortina nebbiogena emessa dai cacciatorpediniere a circa
dodici miglia di distanza; all’1.40 (ma dal giornale di bordo del P 44 risulterebbe che l’avvistamento sia
avvenuto all’1.28, ad una distanza di due miglia e mezzo) ha attraversato la
cortina per cercare di attaccare, e si è inaspettatamente trovato dinanzi ad un
piroscafo e due cacciatorpediniere. Ha allora lanciato (all’1.31, secondo il
giornale di bordo del P 44), in
posizione 34°03’ N e 12°35’ E, tre siluri per poi disimpegnarsi con
l’immersione rapida, ritenendo erroneamente di aver colpito il piroscafo con
due delle armi e scampando senza danni al contrattacco del Da Noli, le cui bombe di profondità non esplodono vicine. Durante
la notte, il P 44 riemergerà altre
due volte per tentare di attaccare, ma ciò gli sarà sempre impedito dalla
presenza dei cacciatorpediniere, che lo costringeranno ogni volta
all’immersione rapida. L’identità del Capo
Orso come la nave attaccata dal P 44,
ad ogni modo, è oggetto di discussione; altra fonte identifica il bersaglio
dell’attacco di Barlow come la Saturno,
che formava un altro gruppo a qualche miglio di distanza.
Alle 4.39 il Gioberti avvista quello che ritiene
essere un sommergibile, ma rimane nella sua posizione di scorta perché appare
imminente un nuovo attacco aereo ed è pertanto impegnato a coprire il Capo Orso con una cortina nebbiogena.
Pochi minuti più
tardi è il Pigafetta, rimasto qualche
miglio più indietro per difendere la Saturno,
che sta perdendo velocità, ad avvistare la scia di un siluro diretto verso di
lui; lo evita con una rapida accostata.
Tra le 4.25 e le 4.45
entrambi i gruppi vengono attaccati da bombardieri ed aerosiluranti, ma non
subiscono danni. Alle 7.15 il convoglio viene raggiunto dalla
torpediniera Circe (capitano
di corvetta Stefano Palmas), mandata da Tripoli per rinforzare la scorta e
pilotare il convoglio in porto; sopraggiunge anche un gruppo di aerei, che
assume la scorta aerea delle navi. Durante la giornata del 20 la V Squadra
Aerea impiega in tutto 60 aerei per la protezione del convoglio «Delta»: 43 per
la scorta e 17 per crociere di protezione.
Nelle vicinanze di
Tripoli il convoglio viene nuovamente avvistato da ricognitori di base a Malta,
ma non essendovi più aerei pronti nelle basi dell’isola, non vengono lanciati
nuovi attacchi.
Alle 7.20 il Titania, colpito da un altro siluro
(lanciato dal sommergibile britannico P
211, quello che per primo aveva avvistato il convoglio il mattino del 19
senza poterlo attaccare: è rimasto in immersione fino al calare del buio, poi è
emerso e si è messo a tutta forza all’inseguimento del convoglio, avvistandolo
alle 5.10 del 20), affonda in posizione 33°53’ N e 12°30’ E. Le altre navi
arrivano a Tripoli alla spicciolata: per primo l’Oriani, con feriti del Titania,
alle 10, quindi Capo Orso e Gioberti, alle 11, poi Saturno, Pigafetta, Circe e Da Noli, alle 13.40. L’Ascari (avendo poca nafta, e non
essendovene a sufficienza a Tripoli) rientra invece a Trapani, dove giungerà il
mattino del 21.
La travagliata
traversata del convoglio «Delta», dimezzato dall’offesa britannica, rappresenta
la prima occasione in cui i sommergibili della 10th Submarine
Flotilla di Malta, impiegati secondo una tattica non molto diversa da quella
tedesca del “branco di lupi”, hanno attaccato tutti, in modo concentrato e
reiterato, lo stesso obiettivo per due giorni di fila, praticamente senza
interruzione. Nello spazio di quarantott’ore, le navi del convoglio «Delta»
hanno subito cinque attacchi di sommergibili e due attacchi aerei, il tutto
abbinato al continuo stato d’allarme mantenuto dai ricognitori britannici, che
hanno continuamente illuminato le navi italiane con lanci di bengala.
I decrittatori
britannici di “ULTRA”, sulla base dei messaggi intercettati in quei giorni,
sono in grado già il 20 ottobre di elaborare una accurata ricostruzione dei
fatti: «La petroliera SATURNO proveniente
da Cagliari e CAPO ORSO, BEPPE e TITANIA provenienti da Napoli, in convoglio
per Tripoli, sono stati attaccati da aerei alle 20.00 del 19 a circa 32’ a nord
di Pantelleria e anche dal sommergibile P.42 alle 16.10 del 19 a circa 32’ a
ovest sud-ovest di Lampedusa. In un segnale del P.211 e P.44 il Captain S.10
[Comandante della 10a Flottiglia Sommergibili] stabilì che la petroliera era
stata silurata e che una nave mercantile era stata bombardata con successo alle
04.30 del 20 a 76’ a nord nord-ovest di Tripoli. Alle 11.30 aerei informarono
di aver visto soltanto una nave mercantile in rotta per Tripoli. Ora viene
riferito che il CAPO ORSO è giunto a Tripoli alle 11.50 del 20, ma non ci sono
ulteriori informazioni riguardanti le altre unità del convoglio. Inoltre il
cacciatorpediniere DA VERAZZANO è stato affondato alle 16.00 del 19 a 350°, 24
miglia da Lampedusa, probabilmente dal P.42»; il 21 ottobre aggiungerà che
«Del convoglio diretto a sud riferito
ieri, la petroliera SATURNO e il CAPO ORSO sono giunti a Tripoli a mezzogiorno
del 20. Il BEPPE è stato silurato dal P.42 [poi cancellato a matita e corretto
con P.37] presso Lampedusa alle 12.50 del 19. Il TITANIA è stato colpito da un
aerosilurante alle 23.30 del 19 e nuovamente da un sommergibile alle 07.20 del
20 presso Kerkennah. E’ stato comunicato che esso si trovava in affondamento».
Il maresciallo Cavallero, in un incontro tenutosi il 21 ottobre col generale
tedesco Enno Von Rintelen, plenipotenziaro tedesco presso il Comando Supremo
italiano, dichiarerà, forse più che altro per non mostrarsi scoraggiato, che "Il
nostro convoglio non ha avuto danni dagli aerei bensì dai sommergibili, quindi
lo sforzo su Malta ha servito. Non si può pretendere che duri all’infinito ma
le azioni intermittenti potranno forse servire. Di questo sarà bene parlarne
con il Maresciallo Kesselring perché non bisogna dare al nemico la sensazione
della coincidenza della maggiore attività su Malta con i nostri convogli".
2 novembre 1942
Il Capo Orso parte da Tripoli per Bengasi
alle 15, scortato dalla torpediniera Centauro.
3 novembre 1942
Alle due di notte il Capo Orso viene infruttuosamente
attaccato da aerei cinque miglia a nord di Misurata.
4 novembre 1942
Capo Orso e Centauro giungono a
Bengasi alle 7.30.
12 novembre 1942
Il Capo Orso ed il piroscafo Galiola lasciano Bengasi alle 11 per
raggiungere Taranto, scortati dalla torpediniera di scorta Fortunale. Si tratta dell’ultimo convoglio di ritorno da Bengasi
verso l’Italia: otto giorni più tardi la città sarà occupata dalle forze
britanniche, in avanzata dopo la battaglia di El Alamein.
14 novembre 1942
I due piroscafi
giungono al Pireo, dove sostano per due giorni.
16 novembre 1942
Ripartiti dal Pireo
senza scorta, Capo Orso e Galiola arrivano a Corinto, dove sostano
fino al 20.
20 novembre 1942
Capo Orso e Galiola lasciano
Corinto, sempre senza scorta.
21 novembre 1942
Capo Orso e Galiola arrivano in
mattinata a Patrasso, vi sostano per due ore e poi ripartono con la scorta del
cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco.
Si aggrega ad essi il piroscafo tedesco Rhea,
diretto a Brindisi.
22 novembre 1942
Capo Orso e Galiola arrivano a
Taranto alle 16.30.
Il Munsomo, futuro Capo Orso, fotografato nel 1917, probabilmente all’epoca di un’ispezione da parte del Terzo Distretto Navale della U.S. Navy (Naval History and Heritage Command) |
L'affondamento
Alle quattro del
pomeriggio del 15 febbraio 1943 il Capo
Orso partì da Palermo diretto a Tunisi, in convoglio con il trasporto militare
tedesco KT 13 e con la scorta del
cacciatorpediniere Lampo (capitano di
corvetta Loris Albanese). Il carico del Capo
Orso comprendeva materiale e personale militare italiano nonché 4 militari
tedeschi, 11 mezzi corazzati, 16 automezzi e 1334 tonnellate di materiali per
le forze tedesche.
I movimenti del Capo Orso erano tenuti “sotto controllo”
dai decrittatori britannici di “ULTRA” già da qualche giorno: il 12 ed il 13
febbraio questi avevano appreso che il piroscafo, la cui partenza era stata
rinviata a causa del maltempo, sarebbe arrivato «ben presto» in Tunisia, ed il
15 febbraio aveva aggiunto, sbagliando, che «il Capo Orso e il KT 13
potranno giungere a Tunisi il 15 febbraio». Informazione questa vaga ed errata,
tale da indurre a ritenere che “ULTRA” non ebbe ruolo nell’affondamento del Capo Orso, che con ogni probabilità fu
trovato dalla ricognizione aerea britannica senza aiuto “esterno”.
Alle 20.58 di quel
giorno, in condizioni di buona visibilità nonostante il buio, il Lampo avvistò un ricognitore avversario
giunto sui cieli del convoglio ed aprì il fuoco contro di esso, ritenendo di
averlo abbattuto.
All’1.45 della notte
del 16 febbraio ebbero inizio gli attacchi di aerosiluranti, che si protrassero
fino alle 3.33: in questo lasso di tempo se ne svolsero ben nove, ma solo
quattro dei velivoli giunsero al lancio dei siluri, grazie all’intenso tiro
contraereo delle navi, che indusse gli altri a rinunciare. Ma quattro lanci
furono sufficienti: il terzo di essi, alle 2.45, vide il Capo Orso colpito da uno o due siluri.
Secondo le fonti
britanniche, per attaccare il convoglio del Capo
Orso decollarono inizialmente da Malta sei aerosiluranti Bristol Beaufort
del 39th Squadron della Royal Air Force, dei quali soltanto la metà
riuscirono a trovare le navi da attaccare. Uno dei tre, pilotato dal tenente John
N. Cartwright, fu danneggiato dall’intenso tiro contraereo del Lampo e costretto ad abbandonare
l’attacco e rientrare a Malta (secondo una fonte, questo sarebbe il presunto
ricognitore che il Lampo ritenne di
aver abbattuto alle 20.58); gli altri due lanciarono i loro siluri, ma senza
successo (uno di essi, pilotato dal capitano sudafricano Donald Pax Tilley,
compì tre tentativi di attacco in condizioni di scarsa visibilità, lanciando il
suo siluro nell’ultimo passaggio, senza risultato apprezzabile). (Secondo
un’altra versione, furono solo due i Beaufort che avvistarono il convoglio e
andarono all’attacco: quello di Tilley e quello di Cartwright).
Fu poi il turno di
nove Vickers Wellington del 221st Squadron RAF, armati parte con
bombe e parte con siluri; due di essi, pilotati dal sottotenente George Alfred
Painter (aereo LB182) e dal sergente neozelandese William Alexander Fraser
(aereo LB153, danneggiato nell’attacco dal tiro contraereo delle navi),
rivendicarono due siluri a segno su un bastimento che identificarono come “nave
cisterna” ma che in realtà era il Capo
Orso. Fraser fu poi decorato con la Distinguished Flying Medal per questa
azione, con motivazione «Il sergente
Fraser riceveva ordine di attaccare un convoglio formato da una nave cisterna
di 5000 tsl [in realtà era il Capo
Orso] scortata da due
cacciatorpediniere. Nonostante intenso tiro contraereo che danneggiava l’aereo
e feriva il mitragliere di coda, il siluro veniva lanciato da 600 iarde
[549 metri] e colpiva la nave cisterna a
centro nave. Il sergente Fraser è uno straordinario pilota di aerosiluranti
Wellington il cui coraggio, determinazione e iniziativa rappresentano un
magnifico esempio per la squadriglia».
L’esplosione asportò
la prua del Capo Orso; carico di
benzina, il piroscafo venne ben presto avvolto dalle fiamme ed affondò in meno
di mezz’ora, a sudovest di Marsala e di Favignana e 17 miglia a sud di
Marettimo.
Il caposcorta
Albanese descrisse così la fine del Capo
Orso: «Alle 2.45 odo un’esplosione
sul lato sinistro e vedo un forte incendio a bordo del Capo Orso. L’incendio si
estende su una vasta zona a causa della benzina, di cui era carico il
piroscafo, sparsa sulla superficie del mare. Il piroscafo affonda a mano a mano
e alle 3.10 scompare nel punto lat. 37°40’ [Nord] long. 12°07’ [Est]». Altra fonte indica l’orario di affondamento
come le 3.20, anziché le 3.10.
Gli attacchi aerei
non si fermarono: alle 3.21 ed alle 3.33 il Lampo
venne assalito da tre aerei, tutti sulla dritta, reagendo con forte fuoco
contraereo ed eseguendo veloci accostate per schivare i siluri.
Dei 100 uomini
imbarcati sul Capo Orso, tre vennero
raccolti dal KT 13, che si era
brevemente fermato a prestare soccorso (arrivò poi a Tunisi, insieme al Lampo, alle 21.55 dello stesso giorno);
il Lampo ordinò poi alla nave
soccorso Capri, che stava passando
nelle vicinanze alle 4.30, di occuparsi del salvataggio dei naufraghi. La Capri salvò così altri 41 uomini del Capo Orso. Le vittime furono 56.
Francesco Currò, fuochista, da Asinara
Massimiliano Erasmi, cuoco, da Genova
Edoardo Iacomelli, ufficiale di coperta, da Genova
Vittorio Luxardo, marinaio, da Framura
Aurelio Pagan, ufficiale di macchina, da Sampierdarena
Mario Pisoni, fuochista, da Sassari
Domenico Saia, panettiere, da Augusta
Oliviero Scopazzi, ingrassatore, da Albona
Rosario Valenti, fuochista, da Riposto
Le vittime tra il personale imbarcato della Regia
Marina:
Valentino Accolla, marinaio, da Messina
Marco Delfino, sottocapo fuochista, da Pallare
Raffaele Di Lillo, marinaio fuochista, da Alatri
Giacomo Fazzeri, sottocapo nocchiere, da Sestri Levante
Prospero Festa, marinaio fuochista, da Verbicaro
Nostredo Maffini, marinaio fuochista, da Pozzuoli
Mario Mangano, marinaio, da Catania
Giuseppe Messina, sottocapo segnalatore, da Catania
Franco Molteni, capo cannoniere di terza classe, da Como
Rosario Pirrotta, marinaio cannoniere, da Palermo
Armando Botticelli, marinaio cannoniere, da Benevento
(N.B. Negli elenchi dei caduti
della Marina Militare i sunnominati uomini sono indicati come deceduti o
dispersi il 16 febbraio 1943 su una nave mercantile requisita il cui nome non è
precisato. In tale data andarono perduti soltanto il Capo Orso, il piroscafo Pasubio
ed il motoveliero Sparviero; su
quest’ultimo non vi furono vittime, mentre sul Pasubio ve ne fu una sola, il comandante. Ne consegue che questi
uomini morirono quasi certamente sul Capo
Orso).
Edoardo Iacomelli, ufficiale di coperta, da Genova
Vittorio Luxardo, marinaio, da Framura
Aurelio Pagan, ufficiale di macchina, da Sampierdarena
Mario Pisoni, fuochista, da Sassari
Domenico Saia, panettiere, da Augusta
Oliviero Scopazzi, ingrassatore, da Albona
Rosario Valenti, fuochista, da Riposto
Marco Delfino, sottocapo fuochista, da Pallare
Raffaele Di Lillo, marinaio fuochista, da Alatri
Giacomo Fazzeri, sottocapo nocchiere, da Sestri Levante
Prospero Festa, marinaio fuochista, da Verbicaro
Nostredo Maffini, marinaio fuochista, da Pozzuoli
Mario Mangano, marinaio, da Catania
Giuseppe Messina, sottocapo segnalatore, da Catania
Franco Molteni, capo cannoniere di terza classe, da Como
Rosario Pirrotta, marinaio cannoniere, da Palermo
Armando Botticelli, marinaio cannoniere, da Benevento
Un’altra foto del Capo Orso come Munsomo, scattata probabilmente poco dopo il suo completamento (Naval History and Heritage Command) |
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