venerdì 1 febbraio 2019

Capo Orso

Il Capo Orso a Genova nel 1941, con colorazione mimetica (g.c. Mauro Millefiorini via www.naviearmatori.net)

Piroscafo da carico di 3149 tsl e 1887 tsn, lungo 100,13 metri, largo 14,07 e pescante 6,55, con velocità di 10-11 nodi. Appartenente alla Compagnia Genovese di Navigazione a Vapore, avente sede a Genova, ed iscritto con matricola 2212 al Compartimento Marittimo di Genova.

Breve e parziale cronologia.

29 aprile 1916 (?)
Varato dai cantieri Maryland Steel Company di Sparrows Point, Maryland, come statunitense Munsomo (numero di cantiere 153).
29 maggio 1916
Completato come Munsomo per la Munson Steamship Company (Munson Steamship Line) di New York. Nave del tipo ‘Sparrows Point, 327 piedi’ (“lake type”, in grado sia di navigazione oceanica che di servirsi dei porti più piccoli della costa statunitense, in base alle esigenze), ha quattro gemelle: Margaret, Clare, Edith e Munplace.
Il trasferimento di proprietà dalla Maryland Steel Company alla Munson Line, per tramite della Merchants’ Trust Company di Baltimora, avviene formalmente il successivo 14 giugno.
1917
Ispezionato dal 3° Distretto Navale (3rd Naval District) in vista di una sua futura requisizione da parte della Marina statunitense.
Aprile 1917
In seguito all’entrata degli Stati Uniti nella prima guerra mondiale, il Munsomo viene armato a scopo difensivo.
Nello stesso mese il Munsomo compie un viaggio in convoglio dagli Stati Uniti alla Francia, carico di legname, insieme ad altre 22 navi, con la scorta dell’incrociatore protetto statunitense New Orleans. Il convoglio si scontra con un sommergibile, per poi arrivare a St. Nazaire.
19 febbraio 1918
Arriva a Brest, in Francia, al termine di un viaggio dagli Stati Uniti.
28 giugno 1918
Requisito dalla Marina statunitense a Baltimora.
5 luglio 1918
Secondo una fonte di incerta attendibilità in questa data il Munsomo sarebbe arrivato a Le Verdon-sur-Mer, in Francia, al termine di un viaggio negli Stati Uniti.
26 o 28 luglio 1918
Entra in servizio nella Marina statunitense come trasporto USS Munsomo (ID-1607), “nave ausiliaria temporanea” per il Naval Overseas Transportation Service, al comando del capitano di corvetta A. Asborn della U.S. Navy Reserve. La sua stazza lorda è di 3315 tsl, il dislocamento 7345 tonnellate, ha un equipaggio di 62 (o 85) uomini ed un armamento costituito da due cannoni da 76/50 mm; nominativo di chiamata LGBM. Ha un gemello, il Munplace.
(Altra fonte: entra in servizio per il Naval Overseas Transportation Service già il 28 giugno 1918).
9 agosto 1918
Salpa in convoglio da New York con un carico di rifornimenti per l’esercito statunitense.
29 agosto 1918
Raggiunge a Nantes, ove sbarca il suo carico, dopo di che si trasferisce a Le Verdon-sur-Mer da dove inizia il viaggio di ritorno. (Per altra fonte, raggiunge Le Verdon in convoglio e da lì prosegue da solo fino a Nantes, dove consegna il carico).
25 settembre 1918
Arriva a Baltimora.
16 ottobre 1918
Parte dagli Stati Uniti per un secondo viaggio transatlantico in convoglio, carico di merci varie.
2 novembre 1918
Arriva a Brest, da dove poi prosegue per Nantes, ove sbarca il carico.
29 novembre 1918
Arriva a Newport News, al termine del viaggio di ritorno.
Dicembre 1918
Rientra a Baltimora.
Gennaio 1919
Trasporta un carico di merci varie ad Antilla, Cuba, e poi riparte con un carico di zucchero, che trasporta a New York.
4 febbraio 1919
Radiato dalla U.S. Navy, formalmente trasferito allo United States Shipping Board e simultaneamente restituito alla Munson Steamship Lines.
Per lungo tempo viene impiegato nei collegamenti tra Boston, New Bedford ed i porti del Golfo del Messico; altra linea su cui presta servizio è la Mobile-Avana-Matanzas.
Stazza lorda e netta registrate risultano rispettivamente 2948 tsl e 1855 tsn.
12 novembre 1922
Il Munsomo, in navigazione da Galveston a Baltimora, subisce un grave incendio a bordo, scoppiato nella stiva numero 2, 180 miglia al largo dei Capi Virginia (od a 74 miglia da Capo Henry, o 75 miglia a sud di Capo Hatteras). Le fiamme vanno gradualmente estendendosi fino ad assumere proporzioni tali da non poter essere controllate dai 35 uomini dell’equipaggio, ma vengono infine domate grazie all’intervento dei mezzi della Guardia Costiera statunitense, tra cui il cutter Manning, che lo raggiunge all’alba.
3 settembre 1927
Intorno alle cinque del pomeriggio il Munsomo (al comando del capitano A. K. Anderson), partito da New York il giorno precedente con un carico di merci varie per L’Avana (Cuba), entra in collisione con il piroscafo britannico Dundrennan (anch’esso a pieno carico e parimenti diretto a Cuba, a Nuevidas) al largo di Sandy Hook, a causa della fitta nebbia che copre la Lower New York Bay. È il Dundrennan, navigando nella nebbia, a speronare il Munsomo a centro nave, subendo danni alla prua, che rimane parzialmente schiacciata. Il Munsomo rimane danneggiato più gravemente: la plancia viene quasi completamente strappata via, le sovrastrutture sono danneggiate, ed a centro nave la prua del Dundrennan apre un grosso squarcio nello scafo, piegando le piastre verso l’interno. Il Munsomo imbarca acqua e dev’essere rimorchiato in porto, al molo 10 (Old Slip), alle nove di sera. Nonostante i danni, non ci sono feriti.
22 dicembre 1930
Il Munsomo, in navigazione da New York a Puerto Cabello con un carico di automobili ed accessori per motori, s’incaglia vicino al Barrachl Reef, sulla costa orientale del Venezuela. Salpa da Kingston il piroscafo per recuperi Killerig (capitano Adams), della compagnia di recuperi Merritt, Chapman & Lindsay. Il Munsomo si trova in una posizione piuttosto critica, molto esposta al maltempo.
25 dicembre 1930
Il Killerig raggiunse il Munsomo e gli si affianca, dando inizio ai lavori di disincaglio, che si protraggono per otto giorni sotto la direzione del capitano Tooker, ufficiale addetto ai recuperi sul Killerig.
2 gennaio 1931
Il Munsomo viene finalmente disincagliato; nonostante tutto non ha subito danni nell’incaglio, ed una volta disincagliato è in grado di riprendere il suo viaggio con i propri mezzi. Trasborda però la maggior parte del carico sul Killerig, che lo consegna a Puerto Cabello per conto della Munson Line.
1938
Acquistato per 61.500 dollari dalla Compagnia Genovese di Navigazione a Vapore, ribattezzato Capo Orso e sottoposto a lavori di raddobbo ed adattamento per il servizio con la nuova compagnia. Insieme ad esso, la Compagnia Genovese di Navigazione a Vapore acquista anche un altro piroscafo della Munson Line, il più grande Munbeaver, ribattezzato Capo Alga.
La Compagnia Genovese di Navigazione a Vapore, nota internazionalmente come ‘Capo Line’ (dato che tutte le sue navi portano nomi di Capi), sta rapidamente espandendo la propria flotta: dai tre piroscafi del 1930, la compagnia è giunta a possederne dieci nel 1938. Sono tutte navi di seconda mano; tutte costruite in cantieri britannici, tranne Capo Orso e Capo Alga, che sono i primi piroscafi di costruzione statunitense ad essere acquistati dalla società (sono stati venduti dalla Munson Line nell’ambito di un piano per “svecchiare” la flotta mercantile statunitense).
7 giugno-4 luglio 1938
Il Capo Orso compie il suo primo viaggio sulla linea Italia-Mediterraneo-Montreal (Canada), partendo da Genova e facendo scalo a Cadice e St. Johns. Il Capo Orso è significativamente più piccolo degli altri tre piroscafi della compagnia impiegati sulla linea regolare Mediterraneo-Montreal, cioè Capo Noli, Capo Olmo e Capo Lena.
16 febbraio 1940
Durante il periodo della ‘non belligeranza’ italiana agli inizi della seconda guerra mondiale, il Capo Orso, in servizio sulla linea Tirreno-Mar Nero-Danubio, viene fermato all’entrata dello stretto dei Dardanelli da unità britanniche durante un viaggio dal Pireo ad Istanbul, e dirottato a Malta per controlli, pur essendo salpato dall’Italia con un carico coperto da regolari certificati sull’origine delle merci trasportate, e non avendo caricato nulla al Pireo.
4 settembre 1940
Requisito a Genova dalla Regia Marina, senza essere iscritto nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato.
15 settembre 1940
Il Capo Orso ed il piroscafo Capo Vita partono da Napoli alle 23, diretti a Tripoli con la scorta della torpediniera Orsa.
18 settembre 1940
Capo OrsoCapo Vita ed Orsa arrivano a Tripoli alle 9.30 (8.30 per altra versione).
3 ottobre 1940
Il Capo Orso ed il piroscafo Carnia lasciano Tripoli alle 6.30, scortati dalla vecchia torpediniera Giuseppe Cesare Abba.
5 ottobre 1940
Il convoglietto arriva a Palermo alle 11.40.
13 novembre 1940
Il Capo Orso ed il piroscafo Amsterdam salpano da Napoli per Tripoli alle 19.30, scortati dalla moderna torpediniera Procione.
16 novembre 1940
Le tre navi arrivano a Tripoli alle 14.
29 novembre 1940
Il Capo Orso riparte da Tripoli alle 18 diretto a Bengasi, con la scorta della torpediniera Antonio Mosto.
1° dicembre 1940
Capo Orso e Mosto arrivano a Bengasi alle 14.
8 dicembre 1940
Il Capo Orso lascia Bengasi alle 14 insieme al piroscafo Ascianghi, con la scorta della torpediniera Giuseppe Missori.
12 dicembre 1940
Le navi giungono a Tripoli alle 9.45.
14 dicembre 1940
Il Capo Orso e la nave cisterna Caucaso ripartono da Tripoli per tornare in Italia, con la scorta della torpediniera Orione.
16 dicembre 1940
Il convoglio arriva a Palermo alle 23.30.
23 dicembre 1940
Il Capo Orso salpa da Napoli alle 12.30 diretto a Tripoli. Lungo la rotta varie unità si avvicendano nella sua scorta.
1° gennaio 1941
Arriva a Tripoli alle 19.30.
19 gennaio 1941
Il Capo Orso lascia Tripoli alle 8 diretto a Bengasi, con la scorta dell’incrociatore ausiliario Attilio Deffenu.
21 gennaio 1941
Le due navi giungono a Bengasi alle 13.
27 gennaio 1941
Il Capo Orso, il piroscafo Sabaudia e la motonave Riv salpano da Bengasi alle 11 diretti a Tripoli, con la scorta della torpediniera Generale Carlo Montanari.
29 gennaio 1941
Il convoglio arriva a Tripoli alle 17.
5 febbraio 1941
Il Capo Orso, il piroscafo Montello e la motonave Riv lasciano Tripoli alle 5.30 per rientrare a Napoli, scortati dall’incrociatore ausiliario Francesco Morosini.
8 febbraio 1941
Il convoglio arriva a Napoli alle 8.
23 marzo 1941
Il Capo Orso, insieme ai piroscafi Caffaro ed Amsterdam ed alle motonavi Giulia e Col di Lana, salpa da Napoli per Tripoli tra le 5 e le 15, con la scorta delle torpediniere CirceClioCastore (caposcorta), Calliope e Centauro.
27 marzo 1941
Il convoglio arriva a Tripoli alle 14.
10 aprile 1941
Il Capo Orso ed il piroscafo Tembien salpano da Tripoli alle 22, diretti a Napoli, scortati dai cacciatorpediniere Turbine e Saetta (caposcorta) nonché dalla torpediniera Pegaso.
13 aprile 1941
Il convoglietto giunge a Napoli alle 14.30.
16 maggio 1941
Lascia Napoli alle 18.30 insieme ai piroscafi italiani Motia e Castelverde ed ai tedeschi Preussen e Sparta, formando il «26. Seetransport Konvoi» (o convoglio «Capo Orso») diretto in Libia e scortato dai cacciatorpediniere Folgore (caposcorta), FulmineTurbineEuro e Strale.
17 maggio 1941
In mattinata il convoglio viene dirottato a Palermo per allarme navale (causato dall’avvistamento di una grossa squadra navale britannica nel Mediterraneo occidentale, che spinge ad una momentanea sospensione del traffico con la Libia), giungendovi alle 19.
19 maggio 1941
Il convoglio riparte da Palermo alle 9.30; ad esso si sono unite le navi cisterna Panuco e Superga.
Alle 19 salpa da Palermo anche una forza di copertura, costituita dagli incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi con i cacciatorpediniere GranatiereBersagliere ed Alpino.
Alle 11.30 un sommergibile lancia una salva di siluri contro il convoglio; per evitarli, Preussen e Panuco entrano in collisione, ma non riportano danni di rilievo e possono proseguire entrambe.
20 maggio 1941
Alle 9.32 il sommergibile britannico Urge (tenente di vascello Edward Philip Tomkinson) avvista su rilevamento 020° un cacciatorpediniere seguito da altre navi (aventi rotta apparente 100°), che due minuti dopo identifica come una formazione composta da due incrociatori e tre cacciatorpediniere, che passano a 6 miglia di distanza: è la forza di copertura del «26. Seetransport Konvoi» (Duca degli Abruzzi, Garibaldi e cacciatorpediniere). Poco dopo, l’Urge avvista su rilevamento 315° un’altra nave, troppo distante per poter essere identificata, ed alle 9.40 scende a 27 metri e modifica la rotta per evitare un idrovolante che ha avvistato su rilevamento 080°, a distanza di soli 730 metri, diretto proprio verso di lui. Tornato a quota periscopica alle 9.47, il sommergibile si avvede che la nave avvistata in precedenza è un cacciatorpediniere, che procede a zig zag davanti ad un convoglio di quattro navi, che navigano a 12 nodi su rotta 135° con la scorta di cinque cacciatorpediniere. Si tratta appunto del convoglio «Capo Orso», che sta navigando lungo le Kerkennah.
L’Urge passa quindi all’attacco (in posizione 35°44’ N e 11°59’ E, una quarantina di miglia a nordovest di Lampedusa; altra fonte indica 35°46’ N e 11°56’ E), lanciando alle 10.30 quattro siluri contro il Capo Orso (la cui stazza viene sovrastimata in 7000 tsl) e la Superga, poi s’immerge subito a maggiore profondità; nonostante l’Urge rivendichi tre centri, uno dei quali – il quarto siluro – da soli 460 metri di distanza, e l’affondamento di entrambi i mercantili, in realtà nessuno dei siluri va a segno, grazie alla pronta contromanovra di tutte le navi del convoglio. L’Euro risale le scie dei siluri e contrattacca con bombe di profondità; al termine della caccia riterrà di aver affondato il sommergibile, ma anche in questo caso si tratta di una rivendicazione errata (in realtà l’Urge, che è sceso a 85 metri di profondità, è riuscito a scampare senza subire danni seri, anche se viene investito da una “tremenda esplosione” che causa lievi danni e diversi feriti tra l’equipaggio: esplosione attribuita da Tomkinson ad una nave colpita, ma in realtà dovuta evidentemente ad una bomba di profondità, sebbene il comandante britannico ritenga che nessuna delle 10 bombe lanciate nei dieci minuti successivi al lancio sia esplosa particolarmente vicina).
21 maggio 1941
Il convoglio giunge a destinazione alle 11.
23 maggio 1941
Alle 21.45 il Capo Orso lascia Tripoli per Bengasi, scortato dalla torpediniera Pleiadi.
24 maggio 1941
Alle 6.30 la Pleiadi, a causa del maltempo, deve lasciare la scorta del Capo Orso, che prosegue da solo. Il piroscafo raggiunge Bengasi alle 15.
8 giugno 1941
Il Capo Orso lascia Bengasi per tornare a Tripoli alle 14.30, scortato dal cacciatorpediniere Alvise Da Mosto.
10 giugno 1941
Capo Orso e Da Mosto arrivano a Tripoli alle 16.30.
29 giugno 1941
Il Capo Orso (commissario militare capitano del Genio Navale Patrignano) riparte da Tripoli  alle 7 (per altra versione, probabilmente erronea, parte da Napoli la sera del 29), diretto a Bengasi con la scorta della torpediniera Cigno.
30 giugno 1941
Si unisce alla scorta il cacciasommergibili Albatros.
1° luglio 1941
Cigno ed Albatros lasciano la scorta del Capo Orso, che prosegue da solo.
2 luglio 1941
Scortato nell’ultimo tratto da due aerei dell’Aeronautica della Libia, il Capo Orso giunge a Bengasi alle 21.
A causa della limitatezza delle infrastrutture portuali di Bengasi (già modeste all’inizio della guerra, e poi ulteriormente menomate dai bombardamenti aerei e dalle distruzioni operate dagli eserciti in ritirata tra febbraio e aprile 1941), il Capo Orso ci metterà quasi dieci giorni a scaricare meno di 2000 tonnellate di carico. Durante questa permanenza forzosa verrà ripetutamente attaccato da aerei, senza però mai subire danni.
12 luglio 1941
Il Capo Orso lascia Bengasi per Brindisi alle 14.30, privo di scorta.
Quella dell’invio di singole navi senza scorta è una costante del traffico con Bengasi nel corso del 1941; siccome, come detto, tale porto non è in grado di ricevere grandi convogli (ma è comunque opportuno inviarvi delle navi, perché è molto più vicino alla linea del fronte rispetto al più capace porto di Tripoli), si preferisce mandarvi singoli bastimenti di non grande tonnellaggio (massimo 3000 tsl, come appunto il Capo Orso), inviati da Brindisi in navigazione isolata, scortati da una torpediniera o da un paio d’aerei solo nella parte iniziale e finale della traversata. Le forze aeronavali disponibili, infatti, sono già fortemente occupate nella difesa dell’intenso traffico convogliato verso Tripoli; per i mercantili mandati a Bengasi, si confida nelle loro non grandi dimensioni, e nella loro velocità (inizialmente si pensa di usare solo mercantili capaci di raggiungere velocità di almeno 12 nodi, anche se ben presto bisogna rassegnarsi ad abbassare la soglia a 10 nodi, come appunto per il Capo Orso), perché compiano la traversata passando inosservati, costeggiando la Grecia nella prima parte del viaggio e tenendosi il più lontano possibile da Malta.
14 luglio 1941
Alle 2.40 di notte, ad ovest di Cefalonia, il Capo Orso viene avvistato dal sommergibile britannico Osiris (capitano di corvetta Thomas Tod Euman). Inizialmente, l’ufficiale di guardia sul sommergibile britannico crede di vedere, nel buio della notte, un intero convoglio formato da ben quattro navi su rilevamento 175°, a circa 2,5 miglia di distanza; dopo essersi avvicinato per vederci chiaro, però, l’Osiris si rende conto che si tratta di una sola nave – il Capo Orso, appunto –, in zavorra, della quale viene fortemente sovrastimata la stazza (9000 tsl, il triplo di quella reale). Alle 3.24, nel punto 38°28’ N e 19°55’ E (al largo di Argostoli; altra fonte indica erroneamente la posizione come 36°27’ N e 11°54’ E, cioè nel Mediterraneo centrale tra Pantelleria e Lampedusa), l’Osiris lancia quattro siluri contro il Capo Orso da una distanza di 1370 metri; nessuno di essi va a segno, ed il secondo, evidentemente difettoso, affiora in superficie e devia dalla rotta verso destra, girando in cerchio e passando pericolosamente vicino allo stesso sommergibile (appena 36 metri dal suo lato di dritta). Alle 3.44, pertanto, l’Osiris apre il fuoco col cannone da 102 mm contro il Capo Orso, distante circa 1830 metri. Da parte britannica si ritiene di aver messo diversi colpi a segno, ma il Capo Orso risponde al fuoco col suo cannone, e costringe l’attaccante ad interrompere l’attacco ed immergersi dopo appena un minuto dall’apertura del fuoco.
Così scampato il pericolo, il piroscafo prosegue ed arriva a Brindisi alle 17 (o 20).
28 luglio 1941
Il Capo Orso salpa da Brindisi per Bengasi alle due di notte, seguendo la rotta che passa ad est di Malta, scortato dalla torpediniera Antares. Alle 21.30 l’Antares lo lascia, ed il piroscafo prosegue da solo.
Durante la prima parte della traversata il Capo Orso gode, come gli altri convogli in mare, della copertura a distanza da parte dell’VIII Divisione Navale (ammiraglio Giuseppe Lombardi), fatta salpare da Spermarina la sera del 27 per proteggere il traffico con la Libia (quattro convogli e due piroscafi isolati) in seguito alla segnalazione di una considerevole attività di navi di superficie britanniche nel Mediterraneo occidentale. L’VIII Divisione (incrociatori leggeri Raimondo Montecuccoli e Giuseppe Garibaldi, cacciatorpediniere Granatiere e Bersagliere) incrocia tra Pantelleria, le Pelagie e le Kerkennah durante la notte del 27-28 e parte della giornata del 28, subendo quella sera il siluramento del Garibaldi ad opera del sommergibile britannico Upholder.
30 luglio 1941
In mattinata il Capo Orso incontra la torpediniera Generale Achille Papa, inviatagli incontro per assumerne la scorta nell’ultimo tratto della navigazione.
Un paio d’ore prima, la Papa (tenente di vascello Gino Rosica) ha incontrato ed affondato, nella zona prevista per l’appuntamento con il Capo Orso, il sommergibile britannico Cachalot. La Papa era stata inviata da Tripoli a Bengasi nel pomeriggio 29, allo specifico scopo di assumere la scorta del Capo Orso in arrivo l’indomani mattina; essendo segnalati sommergibili nemici nell’area, una volta giunta sul posto la torpediniera non è entrata nel porto di Bengasi, ma si è diretta verso nord, ispezionando la rotta che il Capo Orso avrebbe dovuto percorrere il giorno seguente.
Lasciata Malta il 26 luglio (con a bordo un carico di materiali da portare ad Alessandria e 24 militari di passaggio, diretti in Egitto), il Cachalot ha ricevuto ordine di passare al largo di Bengasi ed attaccare il Capo Orso – erroneamente identificato come una "nave cisterna" –, del cui viaggio verso Bengasi i britannici sono al corrente. Il sommergibile si è posizionato lungo la rotta sulla quale sarebbe dovuto passare il Capo Orso, prevedendo di precederlo di due ore nel previsto punto d’incontro, incontrarlo alle 2.30, seguirlo (o piuttosto precederlo, tenendosi otto miglia a proravia della nave italiana) fin dopo l’alba e di attaccarlo con la luce del sole, stando immerso (il comandante britannico, tenente di vascello Netwon, intendeva evitare azioni notturne, data la voluminosa sagoma del Cachalot, che lo rende troppo visibile). Il Cachalot ha avvistato la Papa già all’1.55 e si è immerso per evitarla, per poi riemergere alle 2.50; a questo punto, ritenendo che la torpediniera, fosse ormai passata, il comandante del sommergibile ha ordinato di risalirne la rotta per un’ora, mandando in torretta le migliori vedette per cercare la "petroliera". L’ha infine avvistata a 1370 metri di distanza, su rilevamento di 120° a dritta, preparandosi a lanciare i siluri; poi – dopo che questa si è immediatamente ritirata coprendosi con una cortina fumogena, o almeno così è parso a Newton – l’ha inseguita per 20 minuti, per poi aprire il fuoco col cannone. In realtà, né il Capo Orso né altre navi da carico o petroliere erano presenti: la "petroliera" avvistata dal Cachalot era ancora la Papa, scambiata per una petroliera a causa dell’oscurità. Newton, considerando che i banchi di foschia ridevano a tratti la visibilità, ha deciso di rallentare la "petroliera" danneggiandola col cannone, in modo da impedirle di allontanarsi troppo e di far perdere le sue tracce. Alle 3.30 la Papa ha a sua volta avvistato il Cachalot in posizione 32°49’ N e 20°11’ E ed ha ingaggiato con esso un duello d’artiglieria, per poi speronarlo alle 3.43, inducendolo alla resa. Il Cachalot è affondato alle 3.52, e la Papa ne ha recuperati i 70 naufraghi, per poi riprendere la sua missione e recarsi incontro al Capo Orso, puntualmente arrivato nel punto prestabilito, qualche ora più tardi.
Capo Orso e Papa giungono a Bengasi a mezzogiorno.
4 agosto 1941
Il Capo Orso salpa da Bengasi alle 17 diretto a Brindisi. Inizialmente lo scorta la torpediniera Climene, ma soltanto nelle acque della Libia; nel tratto centrale della navigazione il Capo Orso procede da solo.
7 agosto 1941
Arriva a Brindisi alle 5.
17 agosto 1941
Il Capo Orso ed il piroscafo Petrarca salpa da Brindisi per Bengasi alle 19, con la scorta della torpediniera Aldebaran.
18 agosto 1941
Alle 21 l’Aldebaran lascia la scorta dei due piroscafi.
20 agosto 1941
Raggiunti dalla torpediniera Calliope nell’ultimo tratto, Capo Orso e Petrarca arrivano a Bengasi a mezzogiorno.
28 agosto 1941
Capo Orso e Petrarca lasciano Bengasi alle 17.45 per tornare a Brindisi. Durante la navigazione sono scortati da varie unità che si alternano.
31 agosto 1941
Capo Orso e Petrarca arrivano a Brindisi alle 8.30.
14 settembre 1941
Capo Orso e Petrarca partono da Brindisi alle 19 alla volta di Bengasi, scortati dalla torpediniera Polluce e dal cacciasommergibili Selve. (Per altra versione il Selve si sarebbe unito al convoglio il 16, sostituendo la Polluce).
17 settembre 1941
Il convoglio raggiunge Bengasi alle 3.30.
24 settembre 1941
Durante la notte, mentre il Capo Orso si trova ormeggiato a Bengasi, il porto libico viene sottoposto ad un’incursione aerea; il piroscafetto Prospero, carico di 600 tonnellate di munizioni, viene colpito ed esplode, danneggiando in modo non grave il Capo Orso ed il Petrarca, che sono ormeggiati nei pressi.
25 settembre 1941
Capo Orso e Petrarca lasciano Bengasi alle 19 per rientrare a Brindisi, scortati dalla torpediniera Orione.
28 settembre 1941
Alle 9.30 il convoglio raggiunge Brindisi.
11 ottobre 1941
Il Capo Orso ed il piroscafo tedesco Tinos partono da Brindisi per Bengasi alle 14.15 (o 14), scortati dal cacciatorpediniere Freccia (capitano di fregata Alvise Minio Paluello). Il carico dei due piroscafi assomma in tutto a 5278 tonnellate di materiali vari, 359 di munizioni, 213 di viveri, 11 tra automezzi e rimorchi e tre motomezzi.
12 ottobre 1941
Alle 19 il convoglio, essendo stato avvistato da ricognitori britannici, viene dirottato ad Argostoli.
13 ottobre 1941
Il convoglio arriva ad Argostoli alle 13.30, dopo una difficile navigazione nel mare burrascoso, e vi sosta per due giorni.
15 ottobre 1941
Capo Orso, Tinos e Freccia lasciano Argostoli alle 10. Il convoglio fa scalo a Patrasso prima di proseguire per Bengasi; la navigazione è molto difficoltosa, incontrando mare tempestoso che sballotta le navi, sommergendole continuamente con immense onde.
17 ottobre 1941
Raggiunto dalla torpediniera Centauro, uscita da Bengasi per recarglisi incontro, il convoglio arriva nel porto cirenaico alle 15.
25 ottobre 1941
Capo Orso e Tinos lasciano Bengasi alle 18.30 per tornare a Brindisi, scortati dal cacciatorpediniere Strale.
Già alle 17.40, in seguito ad informazioni sul convoglio ottenute da decrittazioni di “ULTRA”, prende il mare da Malta la Forza K britannica (incrociatori leggeri Aurora e Penelope, cacciatorpediniere Lance e Lively) per intercettarlo. La Forza K lo cerca durante la notte, navigando a 26 nodi, ma non riesce a trovarlo, nonostante la collaborazione di un ricognitore Vickers Wellington del 211st Squadron R.A.F. dotato di radar ASV (Air to Surface Vessel, per la scoperta di navi da aerei), che lancia bengala per illuminare l’area di ricerca. La Forza K rientra a Malta a mani vuote il 26 ottobre.
28 ottobre 1941
Il convoglietto giunge a Brindisi alle 12.30.
12 dicembre 1941
Il Capo Orso salpa da Brindisi diretto ad Argostoli, scortato dal cacciatorpediniere Strale. Si uniscono ad essi un altro piroscafo, l’Iseo, ed un altro cacciatorpediniere, il Turbine, partiti da Taranto alle 11; lo Strale assume il ruolo di caposcorta (per altra versione tutte e quattro le navi sarebbero salpate insieme da Taranto).
13 dicembre 1941
Il convoglio arriva ad Argostoli in mattinata. Durante la sosta nel porto greco, le navi vengono attaccate da 6 bombardieri britannici Bristol Blenheim Mk. IV del 107th Squadron della Royal Air Force, decollati da Luqa (Malta) e guidati dal sottotenente Ivor Broom (gli altri cinque aerei sono pilotati rispettivamente dal sottotenente William Williamson e dai sergenti Noseda, Crossley, Gracie e Lee). Siccome se attaccassero dal mare verrebbero avvistati da maggiore distanza, i Blenheim seguono un percorso più largo e si avvicinano a Cefalonia sorvolando l’entroterra greco-albanese, per poi puntare sull’isola solo nella fase finale dell’avvicinamento; conducono l’attacco a volo radente, quasi sfiorando gli alberi delle navi. Sganciate le bombe (Broom e Crossley effettuano anche dei passaggi di mitragliamento contro i cacciatorpediniere), virano bruscamente verso destra e si allontanano verso ovest, sorvolando le colline che dominano il porto. Su di loro fanno fuoco le batterie contraeree situate sulle alture circostanti la baia di Argostoli e le armi antiaeree dei cacciatorpediniere, ed interviene anche un caccia Macchi della Regia Aeronautica in volo sul porto (forse un Macchi Mc 202), respinto – secondo fonti britanniche – dall’aereo del sergente Crossley. Nessuna nave subisce danni (contrariamente alle affermazioni di Broom, che nel 1987, divenuto maresciallo a riposo della RAF, affermerà che una nave sarebbe stata affondata ed un’altra seriamente danneggiata; secondo altro resoconto britannico, parimenti errato, Broom avrebbe colpito un mercantile con una bomba, mentre un’altra avrebbe mancato il bersaglio di 7-8 metri), mentre gli attaccanti perdono due dei sei aerei: uno (il Z7800 pilotato dal sergente A. J. Lee), colpito dal tiro delle navi o da quello del Macchi, impatta contro la superficie del mare ed affonda (il suo equipaggio – sergenti A. J. Lee, R. Haggett ed Ambrose John Comeau – viene tratto in salvo da mezzi italiani e fatto prigioniero); l’altro viene centrato dal tiro delle navi durante il sorvolo, e precipita con la morte di tutto l’equipaggio (sergente R. G. Gracie, pilota; sergente A. P. McLean, osservatore; sergente J. S. Calderwood, operatore radio, questi ultimi due canadesi), i cui corpi vengono recuperati e sepolti nel cimitero di Argostoli.
Qualche ora dopo vengono inviati ad attaccare le navi presenti ad Argostoli altri cinque Blenheim, appartenenti al 18th Squadron della RAF (anch’essi decollati da Luqa), armati ciascuno con 600 kg di bombe. Anche questo attacco è infruttuoso per i britannici, che perdono un altro Blenheim (il Z7858, pilotato dal sergente Frank Jury) attaccato da un caccia Macchi Mc 202, che ne danneggia il motore di sinistra, con perdita dell’elica. Il Blenheim tenta di tornare verso Malta, ma è costretto ad ammarare vicino ad un peschereccio presso Delimara, dopo essersi liberato della bomba che ha ancora a bordo. Tutto l’equipaggio (sergente Frank Jury, pilota; sergente Tom Black, navigatore; sergente Dennis J. Mortimer, mitragliere) sopravvive riportando soltanto lievi ferite, viene tratto in salvo dai pescatori maltesi.
In tutto, secondo una fonte, la RAF avrebbe lanciato ben quattro aerei contro il convoglio Iseo-Capo Orso durante la sosta ad Argostoli, nella mattina del 13 dicembre, tutti senza successo.
Alle 15.30 (o 18) Capo Orso, Iseo e scorta ripartono per Bengasi, nell’ambito dell’operazione di traffico «M. 41» (ora è caposcorta il Turbine). Dopo le gravi perdite subite dai convogli diretti in Libia nelle settimane precedenti, infatti, le forze italo-tedesche in Nordafrica si trovano in situazione di grave carenza di rifornimenti proprio mentre è in corso una nuova offensiva britannica, l’operazione «Crusader», ed urge rifornirle.
Con la «M. 41», Supermarina intende inviare a Tripoli e Bengasi tutti i mercantili già carichi presenti nei porti dell’Italia meridionale, mobilitando per la loro protezione, diretta e indiretta, pressoché tutta la flotta in condizioni di efficienza.
Sono previsti tre convogli: l’«A», da Messina a Tripoli, formato dalle moderne motonavi Fabio Filzi e Carlo Del Greco scortate dai cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco ed Antoniotto Usodimare (poi dirottato su Taranto per unirsi da subito all’«L» ma distrutto durante tale percorso dal sommergibile britannico Upright); l’«L», da Taranto per Tripoli, formato dalle motonavi MonginevroNapoli e Vettor Pisani scortate dai cacciatorpediniere Freccia ed Emanuele Pessagno (con a bordo il contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone) e dalla torpediniera Pegaso; e l’«N», da Navarino ed Argostoli per Bengasi, costituito da Capo OrsoIseo, Turbine e Strale, cui si devono aggiungere la motonave tedesca Ankara, il cacciatorpediniere Saetta e la torpediniera Procione provenienti da Argostoli.
Ogni convoglio deve fruire della protezione di una forza navale di sostegno, che di giorno si terrà in vista dei trasporti e di notte a stretto contatto con essi. Il gruppo assegnato al convoglio «N» è composto dalla corazzata Andrea Doria e dalla VII Divisione (ammiraglio di divisione Raffaele De Courten) con gli incrociatori leggeri Muzio Attendolo ed Emanuele Filiberto Duca d’Aosta, mentre gli altri due convogli saranno protetti dalla corazzata Duilio (nave ammiraglia dell’ammiraglio di squadra Carlo Bergamini) e da un’eterogenea VIII Divisione composta per l’occasione dagli incrociatori leggeri Giuseppe Garibaldi (nave di bandiera dell’ammiraglio Giuseppe Lombardi, comandante della VIII Divisione) e Raimondo Montecuccoli e dall’incrociatore pesante Gorizia (con a bordo l’ammiraglio di divisione Angelo Parona).
Infine, a tutela dell’intera operazione contro un’eventuale uscita in mare delle corazzate della Mediterranean Fleet, prende il mare la IX Divisione Navale (ammiraglio di squadra Angelo Iachino, comandante superiore in mare) con le moderne corazzate Littorio e Vittorio Veneto, scortate dalla XIII Squadriglia Cacciatorpediniere (GranatiereBersagliereFuciliereAlpino). Queste navi si dovranno posizionare nel Mediterraneo centrale.
A completamento dello schieramento, un gruppo di sommergibili viene dislocato nel Mediterraneo centro-orientale con compiti esplorativi ed offensivi; è inoltre previsto un imponente intervento della Regia Aeronautica.
Per via della carenza di navi scorta e del tempo necessario a reperirne, l’operazione, inizialmente prevista per il 12 dicembre, viene posticipata di un giorno.
Nel tardo pomeriggio del 13, quando i convogli sono già in mare, la ricognizione aerea comunica a supermarina che una consistente forza britannica, comprensiva di corazzate ed incrociatori (in realtà sono solo quattro incrociatori leggeri: i ricognitori hanno grossolanamente sovrastimato la composizione e potenza della forza avvistata), si trova tra Tobruk e Marsa Matruh, diretta verso ovest. La somma delle forze italiane in mare è complessivamente superiore, ma si trova divisa in gruppi tra loro distanziati e vincolati a convogli lenti e poco manovrieri; per questo, alle ore 20 Supermarina decide di sospendere l’operazione, ed i convogli ricevono ordine di rientrare. Ciò non basterà ad evitare danni: durante la notte, il sommergibile britannico Urge silurerà la Vittorio Veneto, danneggiandola gravemente.
Alle 22.50 il Turbine ordina ad Capo Orso ed Iseo, che procedono in linea di fronte, d’invertire la rotta: durante la manovra, a coronamento di una delle notti più funeste della guerra per la Marina italiana, l’Iseo sperona il Capo Orso, ed entrambe le navi riportano danni piuttosto seri, per quanto non tali da impedire loro di rientrare in porto con i propri mezzi.
14 dicembre 1941
Entrambi i piroscafi e la loro scorta riescono a raggiungere Argostoli alle nove-dieci del mattino.
Secondo decrittazioni di “ULTRA” del 15 dicembre, entrambe le navi avrebbero serie falle, ed il Capo Orso sarebbe stato portato all’incaglio per evitarne l’affondamento (ma ciò appare strano, considerato che già due giorni dopo la nave sarà in grado di trasferirsi a Patrasso senza scorta).
16 dicembre 1941
Il Capo Orso si trasferisce da Argostoli a Patrasso insieme alla nave cisterna Caucaso, senza scorta.
30 dicembre 1941
Il Capo Orso e l’Iseo, scortati dalla torpediniera Pegaso e dalla motovedetta Spanedda dalla Guardia di Finanza, salpano da Patrasso per Brindisi trasportando personale militare rimpatriante e materiali.
Per un tratto il convoglio si ritrova a navigare a poppavia di un altro, più piccolo (che si trova più a nord), in navigazione da Patrasso a Taranto e formato dalla nave cisterna romena Campina scortata dall’incrociatore ausiliario italiano Egitto. Alle 16.45 la Campina viene silurata in posizione 38°37’ N e 20°28’ E dal sommergibile britannico Thorn; la Pegaso, sentendo le esplosioni, lascia temporaneamente il suo convoglio e si precipita sul luogo dell’attacco, partecipando alla caccia all’attaccante insieme all’Egitto ed a due cacciasommergibili tedeschi (che proprio al momento del siluramento stavano sopraggiungendo per rinforzare la scorta del convoglio), e lo stesso fa anche la Spanedda, che spara quattro colpi contro un periscopio e lancia 10 bombe di profondità. In tutto le cinque unità lanciano ben 61 bombe di profondità, ma nessuna esplode vicina al Thorn, che così non subisce danni. La Campina affonda alle 17.15, e poco dopo la Pegaso ritorna da Capo Orso ed Iseo e ne riprende la scorta.
18 aprile 1942
Il Capo Orso parte da Taranto per Bengasi alle 6.40, scortato dal cacciatorpediniere Turbine. In seguito al siluramento del piroscafo tedesco Bellona, avvenuto in acque non lontane, il convoglietto viene temporaneamente dirottato.
Originariamente, infatti, era previsto che il Bellona – partito da Brindisi alle 13 del 17 e diretto anch’esso a Bengasi – ed il cacciatorpediniere Strale, di scorta a quest’ultimo, dovessero unirsi in mare aperto a Capo Orso e Turbine per formare un unico convoglio. I decrittatori britannici dell’organizzazione “ULTRA”, tuttavia, già il 16 aprile intercettano messaggi italiani dai quali apprendono che «il Capo Orso scortato dal Turbine deve lasciare Taranto alle 6.30 del giorno 18 a 10 nodi ed unirsi al più presto al Bellona ed allo Strale per raggiungere Bengasi alle 15.00 del giorno 20»; il 17 decrittano altri messaggi da cui ricavano che «Il Capo Orso scortato dal cacciatorpediniere Turbine dovrà lasciare Taranto alle 6.30 del 18 per Bengasi a 10 nodi e deve arrivare alle 15.00 del giorno 20. Il Bellona scortato dal cacciatorpediniere Strale lascerà Brindisi e si unirà al convoglio», ed il 18 altri ancora da cui traggono che «Il Capo Orso deve lasciare Taranto alle 6.30 di questa mattina sotto la protezione del cacciatorpediniere Turbine per unirsi al piroscafo Bellona scortato dal cacciatorpediniere Strale che proviene da Brindisi. Il convoglio deve giungere a Bengasi alle 15.00 del giorno 20». Sulla base di tali informazioni il sommergibile britannico Torbay, alle 7.28 del 18, ha intercettato il Bellona, silurandolo ed affondandolo; il Capo Orso evita analoga sorte grazie al tempestivo dirottamento, seguito alla notizia dell’affondamento del Bellona.
Nemmeno questo sfugge ad “ULTRA”: il 19 aprile, infatti, i decrittatori britannici informano i loro comandi che «il Capo Orso scortato dal Turbine ha lasciato Taranto alle 6.40 del giorno 18 per Bengasi, a mezzogiorno la sua rotta è stata alterata, ma dovrà ugualmente raggiungere Bengasi nel pomeriggio del 20» e che «gli ordini riguardanti la riunione col Bellona proveniente da Brindisi sono stati cancellati».
20 aprile 1942
Capo Orso e Turbine arrivano a Bengasi alle 14.10.
27 aprile 1942
Il Capo Orso lascia Bengasi alle 20 per rientrare a Brindisi; lo scortano i cacciatorpediniere Freccia ed Ugolino Vivaldi (caposcorta).
28 aprile 1942
Alle 22.20, nel punto 36°20’ N e 18°21’ E (nel Mar Ionio), il sommergibile britannico Proteus (capitano di corvetta Philip Stewart Francis) avvista tre navi oscurate su rilevamento 165°, a circa quattro miglia e mezzo di distanza. Il Proteus si avvicina per verificare la situazione, ed alle 22.24 identifica le tre navi come un mercantile di circa 3000 tsl scortato da due cacciatorpediniere: si tratta, pressoché certamente, di Capo Orso, Freccia e Vivaldi. Un minuto dopo, il Proteus s’immerge per attaccare; alle 22.40, a seguito di una perdita di assetto, il sommergibile sprofonda fino a 18 metri, per poi tornare a quota periscopica alle 22.50 e prepararsi nuovamente all’attacco. Alle 22.54 il Proteus lancia un primo siluro da 2740 metri, ma al momento del lancio diventa momentaneamente ingovernabile; risolto il problema, dopo tre minuti il sommergibile lancia un secondo siluro, stavolta da 1830 metri. Entrambe le armi mancano il bersaglio, e le navi italiane non si accorgono neanche dell’attacco.
Alle 23.20 il Proteus emerge per cercare di inseguire il convoglio e tentare un nuovo attacco, ma non riesce a ristabilire il contatto, così che alle 4 del 29 abbandona l’inseguimento.
29 aprile 1942
Le tre navi arrivano a Brindisi alle 21.30.
17 ottobre 1942
Alle 17 il Capo Orso salpa da da Napoli per Tripoli insieme ai piroscafi Beppe e Titania, formando il convoglio «D» (o «Delta»), scortato dai cacciatorpediniere Alfredo Oriani (capitano di fregata Paolo Pesci), Vincenzo Gioberti (capitano di fregata Pietro Tona) e Giovanni Da Verrazzano (capitano di fregata Carlo Rossi).
18 ottobre 1942
Alle 12.30, con un ritardo di tre ore rispetto al previsto, si uniscono al convoglio anche la nave cisterna Saturno, proveniente da Cagliari, la vecchia torpediniera Nicola Fabrizi (tenente di vascello Augusto Bini) che la scorta ed i cacciatorpediniere Antonio Da Noli (capitano di fregata Pio Valdambrini) ed Ascari (capitano di fregata Teodorico Capone) usciti da Palermo (si tratta del convoglio «C»); le navi si riuniscono nel Basso Tirreno, a nord delle Egadi, formando un unico convoglio, che alle 12.35 viene raggiunto dal cacciatorpediniere Antonio Pigafetta (capitano di vascello Enrico Mirti della Valle), il quale ne assume il comando della scorta.
Durante la giornata del 18, un totale di 62 caccia della Regia Aeronautica di base in Sicilia (23 FIAT G. 50, 18 Reggiane Re. 2001, 12 FIAT CR. 42, 7 Macchi Mc 200 e due FIAT CR. 25) si alternano nella scorta aerea del convoglio, dall’alba al tramonto, come chiesto da Supermarina a Superaereo. In origine le richieste di Supermarina erano state ancora maggiori: il 16 e 17 ottobre il maresciallo Ugo Cavallero, capo di Stato Maggiore generale, ha chiesto al generale Rino Corso Fougier, capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, di accordarsi con il feldmaresciallo Albert Kesselring (comandante della Luftwaffe nello scacchiere del Mediterraneo) per incrementare i turni di scorta aerea del convoglio «Delta», nel tratto tra Pantelleria e Lampedusa (dove si ritiene necessaria la massima protezione aerea), a 10 aerei da caccia rispetto agli usuali 6, numero ritenuto troppo scarso dall’ammiraglio Luigi Sansonetti, sottocapo di Stato Maggiore della Marina, dopo aver consultato il Comitato sui Convogli. Sia Fougier che Kesselring, tuttavia, hanno risposto di non ritenere preoccupante la situazione delle scorte diurne, bensì il rischio rappresentato dagli attacchi notturni, ragion per cui la scorta aerea dovrà essere assicurata per quanto possibile dalla caccia notturna e da aerei provvisti di disturbatori Wimmer, ed il convoglio dovrà potenziare al massimo le sue difese contraeree ed antisiluranti. Fougier e Kesselring hanno comunque assicurato che aumenteranno le scorte diurne come chiesto da Supermarina, ma Sansonetti ha alzato il tiro, affermando stavolta di ritenere insufficienti anche 10 aerei per turno, ed elevando la richiesta a 30 velivoli per turno: il che avrebbe comportato l’impiego di ben 180 aerei per la scorta al convoglio «Delta», forze di cui le aviazioni italiana e tedesca del Mediterraneo, duramente provate in quei giorni da una nuova – e fallimentare – offensiva aerea contro Malta, non dispongono. Ad ogni modo, la Regia Aeronautica ha cercato di soddisfare almeno parzialmente queste richieste trasferendo altri aerei da caccia nelle basi di Trapani e Palermo, tra cui i 15 Reggiane Re. 2001 efficienti del 22° Gruppo (in precedenza impiegati negli attacchi su Malta), trasferiti da Gela a Palermo, ed i 13 Re. 2001 efficienti del 2° Gruppo da Caccia (finallora impiegati nella difesa dei porti pugliesi ed in quella dei convogli nel Canale d’Otranto) trasferiti dalla Puglia a Castelvetrano. Il generale Giuseppe Santoro, sottocapo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, ha inoltre chiesto a Fougier l’autorizzazione di trasferire nelle basi della Sicilia occidentale un altro gruppo di Re. 2001 entro il primo mattino del 18, il che permetterebbe di garantire sul convoglio «Delta» turni di scorta con almeno sei caccia italiani a partire dalle 11 del 18 e per tutta la giornata; ed al contempo Fougier ha ottenuto da Kesselring la concessione di un’aliquota di velivoli tedeschi, così assicurando al convoglio, almeno nei limiti del raggio d’azione di Pantelleria, turni di scorta di 10 aerei (otto italiani e due tedeschi), come chiesto da Cavallero. Nella zona di Tripoli la scorta aerea sarà fornita invece dalla sola Regia Aeronautica, con non più di cinque caccia per turno data la disponibilità ed efficienza degli aerei di base in Libia; allo scopo viene trasferita dalla Sicilia alla Tripolitania (base di Castel Benito) parte del 54° Stormo da Caccia, con 17 Macchi Mc. 200, in rinforzo alle scorte che la V Squadra Aerea (di stanza in Libia) dovrà garantire nel settore ovest. Successivamente, tuttavia, il comando tedesco ha fatto un passo indietro; non volendo distogliere i suoi aerei dall’azione contro Malta, ha deciso di non prendere direttamente parte alla scorta del convoglio «Delta», ma di limitarsi invece a tenere 4 aerei pronti a decollare su allarme dalla base di Pantelleria. Per sopperire a questo problema e mantenere una scorta aerea di almeno di 10 aerei per turno, il generale Fougier ha dovuto ordinare di trasferire altri 6 caccia a Reggio Calabria entro il 19 ottobre.
Alle 20 del 18, intanto, la Fabrizi viene fatta dirigere per Trapani, venendo sostituita dalla più moderna torpediniera Centauro (capitano di corvetta Luigi Zerbi).
Nelle giornate del 18 e 19 ottobre, fino anche alle prime ore notturne, il convoglio gode anche di una forte scorta aerea. La sera del 18, e nella prima metà della notte seguente, vengono avvertiti rumori di aerei (nemici) in volo e vengono avvistate delle cortine di bengala che si accendono a poppavia delle navi, il che indica che il convoglio è stato localizzato e seguito dalle forze avversarie. Ciò è infatti avvenuto nel pomeriggio del 18, ad ovest di Capo San Vito, ad opera del radarista Eric Cameron, in servizio su un ricognitore britannico Vickers Wellington del 69th Squadron della RAF. Questo aereo, apparso tra le nuvole ad alta quota, è stato visto dalle navi convoglio, ma la scorta aerea – in quel momento cinque caccia e due aerei antisom – non è riuscita ad intercettarlo.
In realtà la "scoperta" è ancora antecedente: il 18 ottobre, infatti, le decrittazioni di “ULTRA” hanno permesso ai comandi britannici di sapere che la Saturno è partita da Cagliari alle 16 del 17 e che alle 12.30 del 18 si deve unire a Capo OrsoBeppe e Titania partiti da Napoli alle 16 del 17, dopo di che il convoglio deve proseguire sulla rotta a ponente di Malta a 8 nodi, per giungere a Tripoli alle 13 del 20 ottobre («La petroliera SATURNO è salpata da Cagliari alle 16.00 del 17 e dovrà unirsi alle 12.30 del 18 con il CAPO ORSO, il BEPPE e il TITANIA, tutti partiti da Napoli alle 16.00 del 17. Il convoglio riunito dovrà procedere a ovest di Malta per Tripoli, arrivando alle ore 13.00 del giorno 20 alla velocità di 8 nodi»).
Il governatore di Malta, generale John Standish Surtees Prendergast Vereker Gort, ha dunque ordinato ai suoi subordinati della Royal Navy e della RAF – rispettivamente il viceammiraglio Ralph Leatham ed il vice maresciallo dell’aria Keith Park – di organizzare gli attacchi contro il convoglio; Park ha quindi inviato dei ricognitori Vickers Wellington del 69th Squadron (dotati di radar ASV per l’individuazione di navi) alla ricerca del convoglio, e concordato con Leatham una serie di attacchi notturni da parte di aerosiluranti Fairey Albacore dell’828th Squadron della Fleet Air Arm e Fairey Swordfish dell’830th Squadron della Fleet Air Arm. Al contempo, Leatham ha ordinato al comandante della 10th Submarine Flotilla, capitano di vascello George Simpson, di formare uno sbarramento di sommergibili nel Canale di Sicilia lungo la rotta del convoglio «Delta». Cinque sommergibili ricevono l’ordine di attaccare il convoglio: il P 37 (poi Unbending), il P 42 (poi Unbroken), il P 44 (poi United), il P 211 (poi Safari) e l’Utmost. Una volta informato dell’avvistamento del convoglio da parte del Wellington di Cameron, Simpson dispone i battelli in modo da formare una linea di sbarramento poco a sud di Pantelleria, orientata da nord verso sud: nell’ordine, Utmost (inviato in zona già dal 17), P 211P 37P 42 e P 44 (quest’ultimo, non potendo arrivare in tempo per completare lo sbarramento, viene mandato più a sud, con l’ordine di operare con direttrice nord).
19 ottobre 1942
All’una di notte un altro Wellington del 69th Squadron individua nuovamente il convoglio «Delta» una quarantina di miglia a nord di Pantelleria; l’aereo lancia dei bengala, e riesce così ad identificare la composizione del convoglio come una nave cisterna, tre navi da carico ed otto cacciatorpediniere.
All’alba il convoglio assume una formazione su due colonne: Capo Orso e Beppe a sinistra, Saturno e Titania a dritta; le unità di scorta si dispongono tutt’intorno, con Da Noli e Gioberti (uniche navi provviste di ecogoniometro di tipo tedesco) in testa rispettivamente alle colonne di dritta e di sinistra, Oriani e Pigafetta sul lato sinistro, Ascari e Da Verrazzano su quello dritto, e Sagittario in coda. Le navi scorta prive sprovviste di ecogoniometro procedono a zig zag. Sul cielo del convoglio arrivano i primi velivoli della scorta aerea (8 caccia inviati da Pantelleria, più un idrovolante CANT Z. 501 dell’Aviazione Ausiliaria della Marina per scorta antisommergibili); nel corso della giornata, la Regia Aeronautica impiegherà ben 73 caccia (67 Reggiane Re. 2001 e 6 FIAT CR. 42) e 9 bombardieri (tutti Savoia Marchetti S.M. 79 “Sparviero”, utilizzati in funzione antisommergibili), decollati dalle basi siciliane, per la scorta al convoglio. Molto più limitato il contributo della Luftwaffe (II. Fliegerkorps), consistente in otto bombardieri Junkers Ju 88. Degli aerei italiani, un Re. 2001 del 2° Gruppo da Caccia Terrestre (sergente maggiore Egidio Masiero) sarà costretto ad un atterraggio d’emergenza in Tunisia a causa di un’avaria al motore.
Le condizioni meteomarine – vento fresco da ponente, mare mosso con onda viva – sono piuttosto problematiche, non perché il mare sia particolarmente burrascoso, ma perché tali condizioni rendono molto difficile avvistare periscopi o scie di siluri.
Alle 9.25, dato che Supermarina ha segnalato la presenza di un sommergibile nelle acque in cui deve passare il convoglio, la Centauro viene distaccata per dargli la caccia, mentre il suo posto nella scorta viene preso dalla torpediniera Sagittario (capitano di corvetta Lanfranco Lanfranchi) appositamente inviata.
Primo battello britannico ad avvistare il convoglio «Delta» è il P 211, che dopo aver avvistato una piccola imbarcazione non identificata diretta verso nord (forse un peschereccio) scorge alcuni aerei che volano sopra il convoglio, e poi il convoglio stesso, che sta passando ad est rispetto alla sua posizione. Manovrando in immersione, però, il P 211 non riesce a portarsi in posizione idonea a lanciare i siluri.
Il primo sommergibile ad attaccare è invece l’Utmost (tenente di vascello John Walter David Coombe): alle 8.40, in posizione 36°03’ N e 11°56’ E (tra Pantelleria e Lampedusa), avvista due aerei e gli alberi di quattro navi su rilevamento 350°; alle 8.50 identifica le navi come tre mercantili di medie dimensioni, su due colonne, scortate da sette cacciatorpediniere disposti su ogni estremità, lato e quarto del convoglio nonché a poppavia dello stesso, ed alle 9.32 avvista anche una nave cisterna (la Saturno, nave di coda della colonna di dritta), che diviene il suo bersaglio (prima, intenzione di Coombe era di attaccare il mercantile di testa della colonna di sinistra). Alle 10.03 l’Utmost lancia due siluri (gli ultimi che gli sono rimasti), da 5500 metri, contro la petroliera, ma nessuna arma va a segno, e l’attacco passa inosservato. Più tardi riemerge per segnalare la presenza del convoglio.
Viene poi il turno del P 37 (poi Unbending, tenente di vascello Edward Talbot Stanley), che ha assunto la sua posizione nello sbarramento alle sei del mattino del 18. Nove aerei, uno dei quali antisommergibili, sono in volo sul cielo del convoglio, ma nessuno vede l’unità britannica immersa a quota periscopica. Il convoglio si trova 70 miglia a sud di Pantelleria.
Alle 11.48 il P 37 ha avvistato degli aerei che volano con ampi zig zag sia a sud che a nord della sua posizione (35°45’ N e 12°01’ E, circa 21 miglia a sud dell’Utmost), e cinque minuti dopo ha avvistato, su rilevamento 360°, anche il convoglio. Le navi mercantili, disposte su due colonne di due unità ciascuna (le due navi di testa hanno alti fumaioli e sono entrambe stimate in 5000-7000 tsl), procedono su rotta 180°; degli aerei procedono a zig zag davanti ad esse, mentre lo schermo dei cacciatorpediniere procede un miglio a poppavia dei velivoli, nonché a proravia dei trasporti, anch’essi distanziati tra loro di circa un miglio.
Alle 12.15 il convoglio accosta su rotta 156°, ed il sommergibile passa tra i due cacciatorpediniere che coprono il suo fianco sinistro, così superando lo schermo della scorta; poi, alle 12.49, il P 37 lancia quattro siluri da 915 metri, contro il mercantile in testa alla colonna di sinistra (posizionando la mira a proravia del mercantile di circa mezza lunghezza, e poi lanciando i siluri a intervalli di 13 secondi nella speranza che quelli che fossero passati a prua od a poppa del bersaglio colpiscano il mercantile in testa all’altra colonna, più lontana). Subito dopo scende in profondità.
Alle 12.53 (in posizione 35°52’ N e 12°05’ E, 28-30 miglia a sudovest dell’isolotto di Lampione), senza alcun preavviso, il Beppe viene colpito da un siluro a poppa sinistra; un minuto più tardi anche il Da Verrazzano, dopo aver evitato un primo siluro, viene colpito da una seconda arma, che gli asporta la poppa.
Il resto del convoglio accosta subito di 90° a dritta, ma ormai il danno è fatto: il Pigafetta ordina all’Oriani di dare assistenza al Beppe ed alla Sagittario di dare assistenza al Da Verrazzano, nonché al Gioberti di dare la caccia al sommergibile; quest’ultima viene cessata dopo che il cacciatorpediniere, ottenuto un contatto all’ecogoniometro ed eseguiti tre lanci di bombe di profondità, vede apparire in superficie un’ampia chiazza di nafta, riferendolo al caposcorta (secondo fonti italiane, l’Unbending venne seriamente danneggiato dalle bombe di profondità; dal suo giornale di bordo risulta però che tra le 11.54 e le 15 furono lanciate 24 bombe di profondità, di cui solo due esplosero vicine).
Per le due navi colpite non c’è niente da fare: il Beppe cola a picco già alle 13.43, dopo che l’Oriani ne ha recuperato i sopravvissuti; la Sagittario tenta di prendere a rimorchio il Da Verrazzano mentre il Gioberti, finita la caccia, dà loro scorta, ma il cacciatorpediniere affonda alle 15.30 nel punto 35°12’ N e 12°05’ E, a sud di Pantelleria ed a 25 miglia da Lampedusa.
Gioberti e Sagittario recuperano 255 dei 275 membri dell’equipaggio del Da Verrazzano; la Sagittario viene fatta rientrare a Trapani, OrianiGioberti sbarcano i rispettivi naufraghi a Lampedusa e poi ripartono a tutta forza per riunirsi al convoglio.
Il convoglio, intanto, viene riordinato; i tre mercantili superstiti vengono disposti in linea di fronte, con la Saturno (che stenta a tenere la sua posizione, tendendo a restare arretrata) al centro, mentre il Da Noli si posizione in testa al convoglio, l’Ascari a dritta ed il Pigafetta a sinistra.
Alle 15.05 il P 42 (tenente di vascello Alastair Campbell Gillespie Mars), già preavvisato alle 14 da un messaggio dell’Utmost, avvista fumo su rilevamento 290° e dirige per intercettare il convoglio, del quale alle 15.30 apparezza la rotta come 135°. Il sommergibile inizia la manovra di attacco, ostacolata dallo zigzagamento del convoglio (sul cui cielo volano tre aerei di scorta), che accosta dapprima per 155° e poi, poco prima del lancio dei siluri, per 175°. Alle 16.10, nel punto 35°22’ N e 12°15’ E (o 34°45’ N e 12°31’ E; a nordovest di Tripoli ed a sudest di Lampedusa) il P 42 lancia una salva di quattro siluri contro il convoglio (con beta molto ampio), due dei quali contro un mercantile di stazza valutata in 7000 tsl (probabilmente il Titania), uno contro una nave cisterna stimata in 8000 tsl (la Saturno) ed uno contro un mercantile più piccolo (probabilmente il Capo Orso), da una distanza stimata di 7315 metri. Avvistate le scie dei siluri, il Pigafetta ordina ai mercantili di accostare subito a dritta, mentre il Da Noli si lancia al contrattacco. Nonostante il P 42 abbia avvertito due esplosioni 7-8 minuti dopo i lanci, nessuno dei siluri va a segno; due passano sotto la Saturno senza esplodere alle 16.19, e gli altri due vengono evitati dalla petroliera con la manovra.
Il P 42, che è sceso a 21 metri di profondità per allontanarsi, viene subito sottoposto a precisa caccia da parte del Da Noli (il Pigafetta, sprovvisto di ecogoniometro, deve invece limitarsi a lanci di bombe di profondità a scopo intimidatorio), col lancio di 9 bombe di profondità (mentre il P 42 ne conta 20, dalle 16.21 alle 16.37), rimanendo seriamente danneggiato, al punto di dover interrompere la missione e rientrare a Malta (il Da Noli non può replicare l’attacco perché il fango del fondale – profondo nella zona solo una sessantina di metri –, sollevato dagli scoppi delle bombe di profondità, provoca la perdita del contatto; deve dunque abbandonare il contrattacco e riunirsi al Pigafetta nella scorta ai mercantili).
Alle 18.55 il Pigafetta riceve un messaggio da Supermarina, che annuncia che un attacco aerosilurante è probabilmente in arrivo; poco dopo le 20, difatti, Gioberti (che si trova insieme all’Oriani e sta per raggiungere il convoglio) ed Ascari riferiscono al Pigafetta di avvertire rumori di aerei sul loro cielo. Alle 19.32, infatti, le navi sono state localizzate da un Wellington del 69th Squadron munito di radar ASV, che guida sul posto un gruppo di aerosiluranti distanti in quel momento una ventina di miglia. L’unico velivolo della scorta aerea, un aereo tedesco, ha da poco lasciato il convoglio. Il tempo è burrascoso, con mare grosso e temporali, il che complica sia le manovre delle navi italiane che i lanci di siluri da parte dei velivoli britannici.
Gli aerosiluranti – due Albacore dell’828th Squadron F.A.A. (sottotenenti di vascello Scott e Simpson) ed uno Swordfish dell’830th Squadron (sottotenente di vascello Elliott), guidati sull’obiettivo da un altro Swordfish con radar ASV (capitano di corvetta W.E. Lashmore) – iniziano il loro attacco alle 21.30, circa 54 miglia a nord di Lampedusa. I velivoli britannici attaccano sul lato sinistro del convoglio, così da avere le navi sulla dritta, illuminate dalla luna sorgente; tuttavia la luna si rivela essere coperta dalle nuvole, riducendo il vantaggio offerto da quella posizione, così che l’ultimo Albacore ad attaccare deve usare i razzi illuminanti per meglio vedere i bersagli.
Le siluranti della scorta circondano i mercantili con cortine nebbiogene ed aprono il fuoco sugli attaccanti, ma alle 23.06 il Titania viene colpito da un siluro, restando immobilizzato nel punto 34°45’ N e 12°31’ E. L’Ascari riesce a prenderlo a rimorchio, portandolo verso Tripoli; l’Oriani rimane per dargli assistenza, mentre il resto del convoglio, compreso il Capo Orso, prosegue verso Tripoli.
Gli aerosiluranti britannici, rientrati alla base di Hal Far (Malta), si riforniscono rapidamente di siluri e carburante, cambiano due piloti e poi decollano per un eseguire secondo attacco.
20 ottobre 1942
Gli attacchi aerei continuano: tra le 00.10 e le 00.22 Oriani ed Ascari vengono attaccati da bombardieri in picchiata ed aerosiluranti, ed alle 00.36 anche il Da Noli viene mancato di stretta misura da alcune bombe.
Il caposcorta decide dunque di dividere il convoglio in due gruppi, in base alla velocità: Capo Orso (capace di navigare a 10 nodi), Da Noli e Gioberti formano il primo; la Saturno (8,4 nodi) ed il Pigafetta costituiscono il secondo.
Alle tre di notte si svolge il secondo attacco da parte degli aerei ripartiti da Hal Far, stavolta senza risultato. Altri aerei lanciano bengala quasi senza interruzione, così da illuminare i mercantili e facilitare sia gli attacchi degli aerei che quelli dei sommergibili.
Alle 3.05 (o 2.45) il Da Noli avvista un sommergibile emerso e tenta di speronarlo, ma questi s’immerge prima della collisione; il cacciatorpediniere esegue un attacco con bombe di profondità, ritenendo di aver danneggiato il battello nemico. Il sommergibile in questione è il P 44 (tenente di vascello Thomas Erasmus Barlow), che alle 22 della sera precedente ha avvistato i bengala ed assistito da distanza agli attacchi aerei contro il convoglio, tentando infruttuosamente di avvicinarsi a tutta forza per attaccare a sua volta. All’1.20, circa 21 miglia ad ovest di Lampedusa, il P 44 ha avvistato la cortina nebbiogena emessa dai cacciatorpediniere a circa dodici miglia di distanza; all’1.40 (ma dal giornale di bordo del P 44 risulterebbe che l’avvistamento sia avvenuto all’1.28, ad una distanza di due miglia e mezzo) ha attraversato la cortina per cercare di attaccare, e si è inaspettatamente trovato dinanzi ad un piroscafo e due cacciatorpediniere. Ha allora lanciato (all’1.31, secondo il giornale di bordo del P 44), in posizione 34°03’ N e 12°35’ E, tre siluri per poi disimpegnarsi con l’immersione rapida, ritenendo erroneamente di aver colpito il piroscafo con due delle armi e scampando senza danni al contrattacco del Da Noli, le cui bombe di profondità non esplodono vicine. Durante la notte, il P 44 riemergerà altre due volte per tentare di attaccare, ma ciò gli sarà sempre impedito dalla presenza dei cacciatorpediniere, che lo costringeranno ogni volta all’immersione rapida. L’identità del Capo Orso come la nave attaccata dal P 44, ad ogni modo, è oggetto di discussione; altra fonte identifica il bersaglio dell’attacco di Barlow come la Saturno, che formava un altro gruppo a qualche miglio di distanza.
Alle 4.39 il Gioberti avvista quello che ritiene essere un sommergibile, ma rimane nella sua posizione di scorta perché appare imminente un nuovo attacco aereo ed è pertanto impegnato a coprire il Capo Orso con una cortina nebbiogena.
Pochi minuti più tardi è il Pigafetta, rimasto qualche miglio più indietro per difendere la Saturno, che sta perdendo velocità, ad avvistare la scia di un siluro diretto verso di lui; lo evita con una rapida accostata.
Tra le 4.25 e le 4.45 entrambi i gruppi vengono attaccati da bombardieri ed aerosiluranti, ma non subiscono danni. Alle 7.15 il convoglio viene raggiunto dalla torpediniera Circe (capitano di corvetta Stefano Palmas), mandata da Tripoli per rinforzare la scorta e pilotare il convoglio in porto; sopraggiunge anche un gruppo di aerei, che assume la scorta aerea delle navi. Durante la giornata del 20 la V Squadra Aerea impiega in tutto 60 aerei per la protezione del convoglio «Delta»: 43 per la scorta e 17 per crociere di protezione.
Nelle vicinanze di Tripoli il convoglio viene nuovamente avvistato da ricognitori di base a Malta, ma non essendovi più aerei pronti nelle basi dell’isola, non vengono lanciati nuovi attacchi.
Alle 7.20 il Titania, colpito da un altro siluro (lanciato dal sommergibile britannico P 211, quello che per primo aveva avvistato il convoglio il mattino del 19 senza poterlo attaccare: è rimasto in immersione fino al calare del buio, poi è emerso e si è messo a tutta forza all’inseguimento del convoglio, avvistandolo alle 5.10 del 20), affonda in posizione 33°53’ N e 12°30’ E. Le altre navi arrivano a Tripoli alla spicciolata: per primo l’Oriani, con feriti del Titania, alle 10, quindi Capo Orso e Gioberti, alle 11, poi SaturnoPigafettaCirceDa Noli, alle 13.40. L’Ascari (avendo poca nafta, e non essendovene a sufficienza a Tripoli) rientra invece a Trapani, dove giungerà il mattino del 21.
La travagliata traversata del convoglio «Delta», dimezzato dall’offesa britannica, rappresenta la prima occasione in cui i sommergibili della 10th Submarine Flotilla di Malta, impiegati secondo una tattica non molto diversa da quella tedesca del “branco di lupi”, hanno attaccato tutti, in modo concentrato e reiterato, lo stesso obiettivo per due giorni di fila, praticamente senza interruzione. Nello spazio di quarantott’ore, le navi del convoglio «Delta» hanno subito cinque attacchi di sommergibili e due attacchi aerei, il tutto abbinato al continuo stato d’allarme mantenuto dai ricognitori britannici, che hanno continuamente illuminato le navi italiane con lanci di bengala.
I decrittatori britannici di “ULTRA”, sulla base dei messaggi intercettati in quei giorni, sono in grado già il 20 ottobre di elaborare una accurata ricostruzione dei fatti: «La petroliera SATURNO proveniente da Cagliari e CAPO ORSO, BEPPE e TITANIA provenienti da Napoli, in convoglio per Tripoli, sono stati attaccati da aerei alle 20.00 del 19 a circa 32’ a nord di Pantelleria e anche dal sommergibile P.42 alle 16.10 del 19 a circa 32’ a ovest sud-ovest di Lampedusa. In un segnale del P.211 e P.44 il Captain S.10 [Comandante della 10a Flottiglia Sommergibili] stabilì che la petroliera era stata silurata e che una nave mercantile era stata bombardata con successo alle 04.30 del 20 a 76’ a nord nord-ovest di Tripoli. Alle 11.30 aerei informarono di aver visto soltanto una nave mercantile in rotta per Tripoli. Ora viene riferito che il CAPO ORSO è giunto a Tripoli alle 11.50 del 20, ma non ci sono ulteriori informazioni riguardanti le altre unità del convoglio. Inoltre il cacciatorpediniere DA VERAZZANO è stato affondato alle 16.00 del 19 a 350°, 24 miglia da Lampedusa, probabilmente dal P.42»; il 21 ottobre aggiungerà che «Del convoglio diretto a sud riferito ieri, la petroliera SATURNO e il CAPO ORSO sono giunti a Tripoli a mezzogiorno del 20. Il BEPPE è stato silurato dal P.42 [poi cancellato a matita e corretto con P.37] presso Lampedusa alle 12.50 del 19. Il TITANIA è stato colpito da un aerosilurante alle 23.30 del 19 e nuovamente da un sommergibile alle 07.20 del 20 presso Kerkennah. E’ stato comunicato che esso si trovava in affondamento». Il maresciallo Cavallero, in un incontro tenutosi il 21 ottobre col generale tedesco Enno Von Rintelen, plenipotenziaro tedesco presso il Comando Supremo italiano, dichiarerà, forse più che altro per non mostrarsi scoraggiato, che "Il nostro convoglio non ha avuto danni dagli aerei bensì dai sommergibili, quindi lo sforzo su Malta ha servito. Non si può pretendere che duri all’infinito ma le azioni intermittenti potranno forse servire. Di questo sarà bene parlarne con il Maresciallo Kesselring perché non bisogna dare al nemico la sensazione della coincidenza della maggiore attività su Malta con i nostri convogli".
2 novembre 1942
Il Capo Orso parte da Tripoli per Bengasi alle 15, scortato dalla torpediniera Centauro.
3 novembre 1942
Alle due di notte il Capo Orso viene infruttuosamente attaccato da aerei cinque miglia a nord di Misurata.
4 novembre 1942
Capo Orso e Centauro giungono a Bengasi alle 7.30.
12 novembre 1942
Il Capo Orso ed il piroscafo Galiola lasciano Bengasi alle 11 per raggiungere Taranto, scortati dalla torpediniera di scorta Fortunale. Si tratta dell’ultimo convoglio di ritorno da Bengasi verso l’Italia: otto giorni più tardi la città sarà occupata dalle forze britanniche, in avanzata dopo la battaglia di El Alamein.
14 novembre 1942
I due piroscafi giungono al Pireo, dove sostano per due giorni.
16 novembre 1942
Ripartiti dal Pireo senza scorta, Capo Orso e Galiola arrivano a Corinto, dove sostano fino al 20.
20 novembre 1942
Capo Orso e Galiola lasciano Corinto, sempre senza scorta.
21 novembre 1942
Capo Orso e Galiola arrivano in mattinata a Patrasso, vi sostano per due ore e poi ripartono con la scorta del cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco. Si aggrega ad essi il piroscafo tedesco Rhea, diretto a Brindisi.
22 novembre 1942
Capo Orso e Galiola arrivano a Taranto alle 16.30.
 
Il Munsomo, futuro Capo Orso, fotografato nel 1917, probabilmente all’epoca di un’ispezione da parte del Terzo Distretto Navale della U.S. Navy (Naval History and Heritage Command)

L'affondamento

Alle quattro del pomeriggio del 15 febbraio 1943 il Capo Orso partì da Palermo diretto a Tunisi, in convoglio con il trasporto militare tedesco KT 13 e con la scorta del cacciatorpediniere Lampo (capitano di corvetta Loris Albanese). Il carico del Capo Orso comprendeva materiale e personale militare italiano nonché 4 militari tedeschi, 11 mezzi corazzati, 16 automezzi e 1334 tonnellate di materiali per le forze tedesche.
I movimenti del Capo Orso erano tenuti “sotto controllo” dai decrittatori britannici di “ULTRA” già da qualche giorno: il 12 ed il 13 febbraio questi avevano appreso che il piroscafo, la cui partenza era stata rinviata a causa del maltempo, sarebbe arrivato «ben presto» in Tunisia, ed il 15 febbraio aveva aggiunto, sbagliando, che «il Capo Orso e il KT 13 potranno giungere a Tunisi il 15 febbraio». Informazione questa vaga ed errata, tale da indurre a ritenere che “ULTRA” non ebbe ruolo nell’affondamento del Capo Orso, che con ogni probabilità fu trovato dalla ricognizione aerea britannica senza aiuto “esterno”.
Alle 20.58 di quel giorno, in condizioni di buona visibilità nonostante il buio, il Lampo avvistò un ricognitore avversario giunto sui cieli del convoglio ed aprì il fuoco contro di esso, ritenendo di averlo abbattuto.
All’1.45 della notte del 16 febbraio ebbero inizio gli attacchi di aerosiluranti, che si protrassero fino alle 3.33: in questo lasso di tempo se ne svolsero ben nove, ma solo quattro dei velivoli giunsero al lancio dei siluri, grazie all’intenso tiro contraereo delle navi, che indusse gli altri a rinunciare. Ma quattro lanci furono sufficienti: il terzo di essi, alle 2.45, vide il Capo Orso colpito da uno o due siluri.
Secondo le fonti britanniche, per attaccare il convoglio del Capo Orso decollarono inizialmente da Malta sei aerosiluranti Bristol Beaufort del 39th Squadron della Royal Air Force, dei quali soltanto la metà riuscirono a trovare le navi da attaccare. Uno dei tre, pilotato dal tenente John N. Cartwright, fu danneggiato dall’intenso tiro contraereo del Lampo e costretto ad abbandonare l’attacco e rientrare a Malta (secondo una fonte, questo sarebbe il presunto ricognitore che il Lampo ritenne di aver abbattuto alle 20.58); gli altri due lanciarono i loro siluri, ma senza successo (uno di essi, pilotato dal capitano sudafricano Donald Pax Tilley, compì tre tentativi di attacco in condizioni di scarsa visibilità, lanciando il suo siluro nell’ultimo passaggio, senza risultato apprezzabile). (Secondo un’altra versione, furono solo due i Beaufort che avvistarono il convoglio e andarono all’attacco: quello di Tilley e quello di Cartwright).
Fu poi il turno di nove Vickers Wellington del 221st Squadron RAF, armati parte con bombe e parte con siluri; due di essi, pilotati dal sottotenente George Alfred Painter (aereo LB182) e dal sergente neozelandese William Alexander Fraser (aereo LB153, danneggiato nell’attacco dal tiro contraereo delle navi), rivendicarono due siluri a segno su un bastimento che identificarono come “nave cisterna” ma che in realtà era il Capo Orso. Fraser fu poi decorato con la Distinguished Flying Medal per questa azione, con motivazione «Il sergente Fraser riceveva ordine di attaccare un convoglio formato da una nave cisterna di 5000 tsl [in realtà era il Capo Orso] scortata da due cacciatorpediniere. Nonostante intenso tiro contraereo che danneggiava l’aereo e feriva il mitragliere di coda, il siluro veniva lanciato da 600 iarde [549 metri] e colpiva la nave cisterna a centro nave. Il sergente Fraser è uno straordinario pilota di aerosiluranti Wellington il cui coraggio, determinazione e iniziativa rappresentano un magnifico esempio per la squadriglia».
L’esplosione asportò la prua del Capo Orso; carico di benzina, il piroscafo venne ben presto avvolto dalle fiamme ed affondò in meno di mezz’ora, a sudovest di Marsala e di Favignana e 17 miglia a sud di Marettimo.
Il caposcorta Albanese descrisse così la fine del Capo Orso: «Alle 2.45 odo un’esplosione sul lato sinistro e vedo un forte incendio a bordo del Capo Orso. L’incendio si estende su una vasta zona a causa della benzina, di cui era carico il piroscafo, sparsa sulla superficie del mare. Il piroscafo affonda a mano a mano e alle 3.10 scompare nel punto lat. 37°40’ [Nord] long. 12°07’ [Est]». Altra fonte indica l’orario di affondamento come le 3.20, anziché le 3.10.
Gli attacchi aerei non si fermarono: alle 3.21 ed alle 3.33 il Lampo venne assalito da tre aerei, tutti sulla dritta, reagendo con forte fuoco contraereo ed eseguendo veloci accostate per schivare i siluri.

Dei 100 uomini imbarcati sul Capo Orso, tre vennero raccolti dal KT 13, che si era brevemente fermato a prestare soccorso (arrivò poi a Tunisi, insieme al Lampo, alle 21.55 dello stesso giorno); il Lampo ordinò poi alla nave soccorso Capri, che stava passando nelle vicinanze alle 4.30, di occuparsi del salvataggio dei naufraghi. La Capri salvò così altri 41 uomini del Capo Orso. Le vittime furono 56.

 Le vittime tra l’equipaggio civile:
(nominativi tratti dall’Albo d’Oro della Marina Mercantile, si ringrazia Carlo Di Nitto)
 
Giovanni Bourzanachi, cameriere, da Trieste
Francesco Currò, fuochista, da Asinara
Massimiliano Erasmi, cuoco, da Genova
Edoardo Iacomelli, ufficiale di coperta, da Genova
Vittorio Luxardo, marinaio, da Framura
Aurelio Pagan, ufficiale di macchina, da Sampierdarena
Mario Pisoni, fuochista, da Sassari
Domenico Saia, panettiere, da Augusta
Oliviero Scopazzi, ingrassatore, da Albona
Rosario Valenti, fuochista, da Riposto
 
Le vittime tra il personale imbarcato della Regia Marina:
 
Valentino Accolla, marinaio, da Messina
Marco Delfino, sottocapo fuochista, da Pallare
Raffaele Di Lillo, marinaio fuochista, da Alatri
Giacomo Fazzeri, sottocapo nocchiere, da Sestri Levante
Prospero Festa, marinaio fuochista, da Verbicaro
Nostredo Maffini, marinaio fuochista, da Pozzuoli
Mario Mangano, marinaio, da Catania
Giuseppe Messina, sottocapo segnalatore, da Catania
Franco Molteni, capo cannoniere di terza classe, da Como
Rosario Pirrotta, marinaio cannoniere, da Palermo
Armando Botticelli, marinaio cannoniere, da Benevento
 
(N.B. Negli elenchi dei caduti della Marina Militare i sunnominati uomini sono indicati come deceduti o dispersi il 16 febbraio 1943 su una nave mercantile requisita il cui nome non è precisato. In tale data andarono perduti soltanto il Capo Orso, il piroscafo Pasubio ed il motoveliero Sparviero; su quest’ultimo non vi furono vittime, mentre sul Pasubio ve ne fu una sola, il comandante. Ne consegue che questi uomini morirono quasi certamente sul Capo Orso).


Un’altra foto del Capo Orso come Munsomo, scattata probabilmente poco dopo il suo completamento (Naval History and Heritage Command)

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