L’Anfitrite alla banchina allestimento dei CRDA di Monfalcone nel gennaio 1934, poco prima della consegna (da it.wikipedia.org) |
Sommergibile di
piccola crociera della classe Sirena (dislocamento di 678 tonnellate in
superficie, 842 tonnellate in immersione).
Durante la seconda
guerra mondiale fu impiegato in missioni di pattugliamento ed agguato offensivo,
inizialmente nel Canale d’Otranto e successivamente nel Mediterraneo orientale
(soprattutto a sud di Creta, nelle acque comprese tra l’isolotto cretese di Gaudo
e Derna, in Cirenaica, per insidiare le linee di rifornimento britanniche tra
la Grecia e l’Egitto), effettuando complessivamente 7 missioni di guerra (5
missioni offensive/esplorative e 2 di trasferimento), percorrendo in tutto 4386
miglia in superficie e 970 in immersione, e trascorrendo 48 giorni in mare.
Breve e parziale cronologia.
11 luglio 1931
Impostazione presso i
Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Monfalcone (numero di costruzione 258).
Anfitrite, Sirena, Medusa, Naiade, Nereide, Galatea ed Ondina in vari stadi di costruzione ai CRDA di Monfalcone, nel 1931 (da www.cad3d.it) |
5 agosto 1933
Varo presso i
Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Monfalcone. Subito dopo il varo, l’Anfitrite viene posto a disposizione del
Comando Marina di Pola per l’allestimento ed il collaudo, che vengono
completati presso i CRDA.
L’Anfitrite pronto al varo (sopra, da www.grupsom.com, e sotto, Coll. Maurizio
Brescia via www.associazione-venus.it)
Il varo (da “Gli squali dell’Adriatico. Monfalcone e i suoi sommergibili nella storia navale italiana” di Alessandro Turrini, Vittorelli Edizioni, 1999, via www.betasom.it) |
22 marzo 1934
Entrata in servizio. Posto
alle dipendenze dell’Ispettorato Sommergibili, viene assegnato alla X
Squadriglia Sommergibili, con base a Brindisi ed alle dipendenze del Comando
Divisione Sommergibili, che forma insieme ai gemelli Sirena, Naiade, Nereide, Ondina e Galatea;
squadriglia chiamata, per via dei nomi dei battelli che la compongono, delle
"deità marine".
1934-1937
Compie diverse
crociere addestrative nei mari italiani. Secondo una fonte non verificabile, in
questo periodo l’Anfitrite sarebbe
anche stato dislocato a Lero e poi, durante la guerra d’Etiopia (1935-1936), a
Massaua, in Eritrea.
Luglio 1937
L’Anfitrite riceve la bandiera di
combattimento, insieme ai similari Ondina
e Serpente, nell’ambito degli eventi
della “Settimana del Mare”, organizzati dalla sezione di Taranto della Lega
Navale. Le bandiere sono offerte dalle «donne fasciste» della sezione di
Taranto della Lega Navale.
17 agosto 1937
L’Anfitrite (tenente di vascello Giovanni
Bruno), inquadrato nel IV Grupsom di Taranto, salpa da Messina per compiere una
missione clandestina nel Canale di Sicilia (un pattugliamento a nord di Capo
Bon) durante la guerra civile spagnola, in appoggio alle forze nazionaliste di
Francisco Franco.
29 agosto 1937
Rientra a Messina
senza aver avvistato naviglio sospetto.
1938
Dislocato a Brindisi,
inquadrato nella XLII Squadriglia Sommergibili insieme a Sirena, Naiade, Nereide, Ondina e Galatea.
1939
Trasferito a Tobruk,
in Libia.
1939
Il comandante dell’Anfitrite, tenente di vascello Goliardo
Zanfranceschi, si ritrova indagato per spionaggio a favore del servizio segreto
francese, a seguito di complicate vicende spionistiche tra Francia e Italia. In
realtà, Zanfranceschi si era prestato – volontariamente, per alcuni mesi, nel
1933 – a fingere di collaborare con il servizio segreto francese come agente
doppiogiochista, ma lavorava per il servizio segreto della Marina italiana.
Richiamato in “servizio” dal servizio segreto italiano nel 1939, è stato
nuovamente “infiltrato” in una autentica rete di spie al servizio della
Francia, contribuendo col suo lavoro all’arresto di decine di spie ed
informatori due dei quali, il disertore dell’Esercito Aurelio Cocuzza ed il
furiere della Marina Francesco Ghezzi, verranno successivamente condannati a
morte e fucilati per tradimento, avendo consegnato informazioni militarmente
sensibili alla Francia. (Secondo un libro di Giuseppina Mellace, Zanfranceschi,
che “doveva restituire una cospicua cifra di denaro al servizio segreto
francese, intascata per dei servigi poi non effettuati”, sarebbe stato nel
medesimo periodo “agganciato” dalla spia austriaca Margit Gross, poco dopo
arrestata). La difesa degli imputati (evidentemente ignorando il suo reale
ruolo nella vicenda), durante il processo, cercherà di implicare proprio
Zanfranceschi come loro complice; soltanto il 23 dicembre 1942 questi, chiarita
la sua complicata posizione, verrà prosciolto. Per evitare altri problemi del
genere, il capo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio Cavagnari, deciderà
che per il futuro il ruolo del giovane ufficiale svogliato e disposto al
tradimento, recitato da Zanfranceschi per carpire la fiducia del servizio
segreto francese, dovrà essere svolto da personale esterno alla Marina (ad
esempio, carabinieri).
10 giugno 1940
All’entrata
dell’Italia nella seconda guerra mondiale, l’Anfitrite (tenente di vascello Bruno Ghersina) è l’unica unità
della XLIV Squadriglia Sommergibili (appartenente al IV Gruppo Sommergibili), ed
ha base a Taranto (per altra fonte, è invece distaccato presso la Flottiglia
Sommergibili di Brindisi; per altra ancora, al momento della dichiarazione di
guerra si trovava a Tobruk).
L’Anfitrite in navigazione (da “The Roya Navy and the Mediterranean, Vol. II: November 1940-December 1941”) |
10-18 giugno 1940
Prima missione di
guerra, un pattugliamento nel Canale d’Otranto, senza eventi di rilievo (per
una fonte, l’Anfitrite sarebbe stato
inviato al largo della costa greco-albanese, insieme ai sommergibili Balilla, Sciesa ed Uarsciek, già
qualche ora prima dell’entrata in guerra). Al momento dell’ingresso in guerra,
il 10 giugno, l’Anfitrite si trova
già in mare per un’esercitazione: è il comandante Ghersina a dare agli uomini
l’annuncio dell’entrata in guerra.
Al termine della
missione raggiunge Lero, dove viene stabilmente dislocato presso la base
sommergibili di San Giorgio.
15 giugno 1940
All’1.20 il
sommergibile britannico Rorqual
(capitano di corvetta Ronald Hugh Dewhurst) avvista l’Anfitrite che naviga in superficie su rotta 340°, nel Canale
d’Otranto (forse in posizione 40°40’ N e 18°50’ E); portatosi in posizione di
attacco, all’1.24, non essendo certo dell’identità dell’altro sommergibile, il Rorqual effettua il segnale di
riconoscimento. Non avendo ottenuto risposta, il battello britannico lancia tre
siluri contro l’Anfitrite; nessuno di
essi va a segno (da parte italiana l’attacco, con differenza di un’ora a causa
del fuso orario, è registrato come avvenuto alle 00.25).
Giugno 1940/Estate 1940
L’Anfitrite, trovandosi in porto sotto
attacco aereo, contribuisce con le proprie armi alla difesa contraerea della
base di Lero, contribuendo all’abbattimento di alcuni degli aerei attaccanti.
Fine giugno 1940
L’Anfitrite prende il mare per la seconda
missione di guerra: insieme a Salpa, Ondina e Uebi Scebeli, dovrà andare a formare uno sbarramento di
sommergibili tra Creta la Cirenaica. Lo
sbarramento, che dovrebbe formarsi a partire dal 30 giugno, è stato disposto
dall’ Ordine Generale di Operazione n. 10 di Supermarina, che stabilisce che i
sommergibili debbano posizionarsi a trenta miglia l’uno dall’altro – in modo
che lo sbarramento abbia un’ampiezza complessiva di un centinaio di miglia –
lungo la linea congiungente un punto prestabilito 15 miglia a sudovest di Gaudo
ed un altro 40 miglia a nordest di Derna. Lo sbarramento, tuttavia, non riuscirà
ad entrare in funzione, perché le forze antisommergibili britanniche (la Forza
C con i cacciatorpediniere Dainty, Defender, Ilex, Decoy e Voyager, oltre a diversi idrovolanti
antisom), incaricate di “rastrellare” le rotte dei convogli britannici in mare
nell’ambito dell’operazione "M.A. 3" (che prevede l’invio di una
serie di convogli tra Alessandria d’Egitto, Malta e i Dardanelli) per eliminare
eventuali minacce subacquee, ispezioneranno a fondo la zona in cui si deve
formare lo sbarramento – la cui esistenza sospettavano –, affondando l’Uebi Scebeli, danneggiando Salpa e Anfitrite ed attaccando anche l’Ondina.
L’Uebi Scebeli, tra l’altro, prima di affondare viene abbordato da un
drappello britannico che riesce ad impadronirsi di alcuni documenti segreti,
dai quali scopre le posizioni assegnate agli altri sommergibili dello
sbarramento: nel diario del Comando della Mediterranean Fleet, infatti, alla
data del 29 giugno 1940 viene annotato "Have secret orders for Italian submarines which order them to be in the
following positions tomorrow 30 June: ONDINA 34°16N, 23°24’E – ANFITRIDE
34°46’N, 23°40’E. (…), returning to
Augusta 10 July (…) Am sweeping
toward Northern position. (…) on
receipt of the signal VOYAGER was ordered to Alexandria and STUART and HOSTILE
to sea to join the hunt for ANFITRIDE and ONDINA". L’Anfitrite, tuttavia, non arriverà
nemmeno nel punto indicato, perché danneggiato da un attacco aereo già durante
la navigazione di trasferimento.
28 giugno 1940
Alle 11.36 l’Anfitrite, in navigazione in superficie
verso l’area di agguato assegnata (situata nelle acque tra Gaudo e Derna)
nell’ambito del costituendo sbarramento di sommergibili da formare a sud di
Creta, viene attaccato in posizione 37°31’ N e 19°55’ E da un idrovolante
britannico Short Sunderland, il velivolo L 5806 (aereo "Q") del 228th
Squadron del Coastal Command della Royal Air Force, pilotato dal tenente
colonnello Gilbert Edward Nicholetts (comandante del 228th Squadron).
L’idrovolante lancia tre bombe, che mancano il sommergibile, che non riporta
danni e prosegue nelle navigazione.
Poche ore dopo, alle
14.05 (secondo alcune fonti, mentre naviga in superficie; secondo un’altra,
mentre si trova a quota periscopica), l’Anfitrite
viene attaccato di nuovo al largo di Bengasi (o Tobruk), nel punto 37°29’ N e
19°51’ E (o 37°18’ N e 19°54’ E), da un altro Sunderland, l’L 5804
"S" del 230th Squadron (capitano William Weir Campbell,
canadese, autore in quei giorni dell’affondamento di ben due sommergibili
italiani nel giro di quarantott’ore: Argonauta
e Rubino), decollato da Malta per un
volo di pattugliamento (altra fonte parla erroneamente del Sunderland L 5803,
l’aereo "T" del 230th Squadron; in realtà in quel momento
tale idrovolante era in volo da Alessandria a Malta, e non effettuò alcun
attacco il 28 giugno). L’aereo sorvola il sommergibile a bassa quota e sgancia due
bombe di profondità da 250 libbre (113 kg) che mancano il bersaglio, ma cadono
tanto vicine allo scafo da provocare con le sole concussioni danni piuttosto
seri agli impianti vitali del sommergibile, che viene così costretto al rientro,
interrompendo la missione. Si tratta dei primi attacchi da parte di un
idrovolante Short Sunderland ai danni di un sommergibile italiano.
In seguito al
danneggiamento dell’Anfitrite,
all’affondamento da parte di cacciatorpediniere britannici di un secondo
sommergibile, l’Uebi Scebeli, ed alla caccia subita da un
terzo, l’Ondina, che non riuscirà
così a portarsi nella posizione assegnata, dei quattro battelli che dovevano
formare il previsto sbarramento tra Creta e la Cirenaica soltanto uno, il Salpa, riuscirà a raggiungere la
posizione prevista.
L’episodio del
bombardamento è così ricordato da un marinaio imbarcato sull’Anfitrite, Carlo Zuccon: “Era verso mezzogiorno, queste cose non si
dimenticano, mi trovavo a poppavia e stavamo pranzando in coperta, le bombe
caddero nelle immmediate vicinanze del sommergibile e danneggiarono i due
periscopi e un asse del motore. Ci disimpegnammo ricorrendo all'immersione
rapida, c'erano piatti e gamelle che volavano da tutte le parti. Scendemmo fino
a 80 m, caddero un altro paio di bombe, poi gli aerei se ne andarono. Visti i
danni rientrammo subito a Brindisi, dove il smg fu mandato ai lavori, mentre a
noi fu data una licenza di 10 giorni”. Sempre secondo il ricordo di Zuccon,
durante la medesima missione si sarebbe verificato un incontro con un
sommergibile non identificato: “Nel corso
della seconda missione,una notte udimmo un rumore come di motori e lamiere, al
che il comandante in seconda Napoli, disse: "Signor comandante
attacchiamo?" Ma Ghersina era restio ad attaccare perchè non riconosceva
la sagoma e rispose: "E se è uno dei nostri, cosa facciamo?" Il
secondo insistette: "O nostro o nemico non dovrebbe essere in questa
nostra zona di agguato". Nel dubbio non attaccammo; venimmo poi a sapere
che era veramente un battello nemico”.
27 luglio-5 agosto 1940
Missione offensiva a
sudovest di Capo Krio (Creta).
L’Anfitrite in bacino per lavori, nella tarda estate del 1940 (g.c. Carlo Di Nitto) |
17-21 ottobre 1940
Pattugliamento tra
Creta e Ras Uleima, Egitto (per altra fonte la missione sarebbe stata svolta a
sud di Creta, od al largo di Ras Uleima), al termine della quale raggiunge
Taranto.
Nella stessa zona (a
sud di Creta, tra quell’isola ed Alessandria d’Egitto) e periodo sono
dispiegati anche i sommergibili Topazio,
Ascianghi, Tito Speri, Fratelli Bandiera
e Santorre Santarosa, coi quali l’Anfitrite forma uno sbarramento.
10 novembre 1940
Entra in bacino nell’Arsenale
a Taranto per un turno di lavori di manutenzione, che dureranno due mesi e
venti giorni.
1° febbraio 1941
Conclusione dei lavori
di manutenzione.
20 febbraio 1941
Ritorna a Lero.
(da “I sommergibili di Monfalcone” di Alessandro Turrini, supplemento alla “Rivista Marittima” n. 11 del novembre 1998, via www.betasom.it) |
L’affondamento
Il 4 marzo 1941 l’Anfitrite, sempre al comando del tenente
di vascello Bruno Ghersina, salpò da Lero per una nuova missione di guerra, un
agguato nel Canale di Caso, tra l’isola omonima e Creta (secondo una fonte, l’Anfitrite avrebbe dovuto attaccare in
quelle acque un importante convoglio britannico che si sapeva essere in
navigazione da Alessandria d’Egitto alla Grecia). Il 5 marzo il sommergibile
raggiunse la posizione assegnata per l’agguato, ed il mattino del 6 marzo,
mentre si trovava immerso in quella posizione, l’Anfitrite venne sottoposto ad un improvviso attacco con bombe di
profondità: era stato infatti localizzato dai cacciatorpediniere britannici di
scorta al convoglio AS. 16 (altre fonti parlano, erroneamente, del convoglio
GA. 8, carico di truppe e diretto in Grecia, o dell’AS. 17, che in realtà prese
il mare soltanto l’8 marzo), in navigazione dal Pireo a Port Said ("AS"
significava infatti "Athens-Suez Canal", da Atene al Canale di Suez).
Secondo il libro "Navi
militari perdute" dell’USMM, l’attacco avvenne da parte di «navi che [l’Anfitrite] aveva già rilevato agli
idrofoni», il che peraltro sembrerebbe contraddire la repentinità dell’attacco,
pure riferita dal medesimo libro; la maggior parte delle altre fonti, compresa
la relazione dell’ufficiale di rotta Marino Ridi, afferma invece che l’idrofono
dell’Anfitrite si trovava in quel
momento in avaria, e che di conseguenza il sommergibile non si accorse del
sopraggiungere delle navi nemiche
Il convoglio AS. 16,
formato da 19 mercantili (i britannici Destro,
Vasco e Cyprian Prince, il norvegese Egerø
ed i greci Ais Giorgis, Axios, Ardena, Chryssoroi, Condylis, Corinthia, Hellas, Iacovos, Nicolas G. Culucundis, Pancration,
Petroil, Prodromos, Santorini, Spyros e Tanais) e scortato dall’incrociatore antiaerei Calcutta e dai cacciatorpediniere Havock e Greyhound (erano
partiti dal Pireo, per fornire copertura al convoglio, anche gli incrociatori
leggeri Ajax e Perth), era salpato dal Pireo il 4 marzo, diretto ad Alessandria
d’Egitto (dove poi giunse il 7 marzo, proseguendo poi fino a Port Said,
arrivandovi il giorno seguente), nell’ambito dell’Operazione "Lustre".
Quest’ultima era
stata decisa dai comandi britannici pochi giorni prima: essa consisteva
nell’invio in Grecia, con convogli partiti dall’Egitto, di rinforzi e
rifornimenti britannici, per aiutare l’esercito ellenico impegnato contro
quello italiano in Albania ed ora minacciato anche dall’imminente intervento
tedesco sul confine bulgaro, come risultava dalle decrittazioni di “ULTRA”. "Lustre"
era cominciata proprio il 4 marzo, con l’invio delle prime navi cariche di
rinforzi da Alessandria al Pireo; il convoglio AS. 16, che navigava su rotta
opposta, era composto da mercantili scarichi che si recavano in Egitto a
caricare truppe e rifornimenti, che avrebbero poi trasportato in Grecia. Tra
marzo ed aprile 1941, con il duplice invio, ogni tre giorni (da Alessandria al
Pireo ed a Volo), di un convoglio di navi mercantili scortate cariche di
materiali ed un convoglio veloce di navi da guerra adibite a trasporto truppe
(in tutto 27 convogli, 15 dall’Egitto alla Grecia e 12 sulla rotta opposta),
furono trasferiti dall’Egitto alla Grecia 58.364 o 60.364 uomini (la 1a
Brigata Corazzata, la 2a Divisione Neozelandese e la 6a e
7a Divisione Australiana) e 8588 tra veicoli, mezzi corazzati e
pezzi d’artiglieria, più i relativi equipaggiamenti e rifornimenti. Per la
difesa contraerea dei convogli erano a disposizione gli incrociatori antiaerei Coventry, Calcutta e Carlisle,
mentre contro eventuali attacchi con navi di superficie prendeva il mare una
forza di copertura solitamente composta da una corazzata od un incrociatore,
più un gruppo di cacciatorpediniere.
Da parte italiana,
ben undici sommergibili erano stati inviati nelle acque attorno a Creta (nei
canali ad est ed ovest dell’isola, nonché a sudest della stessa) per ostacolare,
durante tutto il mese di marzo, il flusso dei convogli britannici: oltre all’Anfitrite, anche il Beilul, il Galatea, il Malachite, lo Smeraldo, l’Ambra, l’Ascianghi, il Dagabur, il Nereide, l’Ondina e l’Onice. L’impiego di questi sommergibili fu però infruttuoso (non fu
affondato nessun mercantile, anche se il 31 marzo l’Ambra colse un isolato successo affondando l’incrociatore leggero Bonaventure), come pure lo furono i
primi attacchi aerei lanciati dalla Regia Aeronautica, il 6 marzo (dopo che l’Anfitrite era già andato perduto),
contro i convogli AS. 16 e AN. 17 a sud del Canale di Caso: l’unico effetto fu
di costringere la scorta a consumare tra il 30 % ed il 50 % delle proprie
munizioni per respingere gli attacchi, ma nessuna nave fu colpita.
L’Anfitrite fu uno dei pochi sommergibili
che entrarono in contatto con un convoglio britannico; ma per esso l’esito
dell’incontro fu nefasto.
Sottoposto a ripetuti
lanci di cariche di profondità (ciò secondo una versione italiana, ma da parte
britannica risulterebbe un unico lancio, evidentemente molto centrato ed
efficace dati i risultati), specialmente da parte del cacciatorpediniere
britannico Greyhound (capitano di
fregata Walter Roger Marshall-A’Deane), l’Anfitrite
si ritrovò presto ridotto a mal partito: le esplosioni causarono gravi danni, i
timoni vennero messi fuori uso, le lamiere dello scafo resistente si
sconnessero generando notevoli vie d’acqua e principi di allagamento; fu
giocoforza emergere.
Secondo fonti
britanniche ("The Royal Navy and the Mediterranean: Vol. II: November
1940-December 1941"), il cacciatorpediniere Greyhound, di scorta al convoglio AS. 16 (che in quel momento stava
uscendo dal Canale di Caso), attaccò alle 7.13 del 6 marzo un contatto sonar
con sei bombe di profondità; un minuto dopo il lancio delle bombe, il
sommergibile emerse, e venne subito preso sotto il tiro dei cannoni del Greyhound.
Tra gli ufficiali
dell’Anfitrite c’era anche il
sottotenente di vascello Marino Ridi, di 26 anni, che ricopriva l’incarico di
ufficiale di rotta. Nativo di Rio nell’Elba, Ridi si era diplomato all’Istituto
Nautico e si era arruolato in Marina nel 1936, come allievo ufficiale di
complemento; dopo imbarchi sugli incrociatori Zara ed Alberico Da Barbiano,
poco prima dell’inizio della guerra aveva ottenuto il trasferimento sui
sommergibili, con l’imbarco sull’Anfitrite.
Il mattino del 6 marzo, come scrisse nella relazione redatta al rientro dalla
prigionia, Ridi stava dormendo (avendo smontato di guardia alle quattro del
mattino) quando, intorno alle sette, venne svegliato dalle esplosioni delle
bombe di profondità. Precipitatosi in camera di manovra, si rese presto conto
che erano in atto le manovre di emersione, e venne a sapere che gli scoppi
delle cariche di profondità avevano generato delle vie d’acqua nel locale
motori ausiliari. Il comandante Ghersina ordinò a Ridi di tenersi pronto con
l’archivio segreto, cosa che fece; pochi secondi più tardi, l’Anfitrite emerse.
Non appena giunse in
superficie, il sommergibile venne immediatamente fatto oggetto del tiro delle
artiglierie dell’Havock e del Greyhound. Il portello della torretta
era bloccato, pertanto l’equipaggio salì in coperta attraverso il portello di
poppa; il sottotenente di vascello Ridi fu il secondo uomo ad uscire, subito
dopo il marinaio che aveva aperto il portello, e non appena fu in coperta
provvide a gettare in mare le due cassette regolamentari contenenti l’archivio
segreto, che andarono subito a fondo. Intanto, anche il resto dell’equipaggio
stava ordinatamente uscendo in coperta; verso proravia Ridi vide un convoglio
formato da una dozzina di piroscafi e da due cacciatorpediniere (Greyhound ed Havock), che aprirono subito il fuoco sull’Anfitrite. La seconda salva sparata dal Greyhound colpì il sommergibile alla base della torretta, uccidendo
cinque uomini e ferendone altrettanti (ciò secondo la relazione di Ridi; altre
fonti affermano che questo colpo avrebbe ucciso tre uomini, ferendone altri),
mentre altri uomini, secondo una fonte, constatavano che il cannone di coperta
era stato reso inservibile dalle esplosioni delle bombe di profondità. Il
sergente elettricista Francesco D’Amelio, leccese, 23 anni (si era arruolato
volontario in Marina nel 1937), avrebbe in seguito ricordato che l’Anfitrite emerse fortemente appoppato,
con la prua molto rialzata; i primi uomini che fuoriuscirono dal portello
fecero per spostarsi verso prua, forse per via dell’appoppamento, e vennero
subito falciati da una raffica di mitragliera da una delle unità britanniche,
probabilmente nella presunzione che si stessero dirigendo verso prua (ov’era
ubicato il cannone) per tentare una reazione. Uno di quegli uomini, colpito in
pieno da una raffica mentre stava uscendo in coperta, gli cadde addosso “quasi
tagliato a metà”.
Non rimase che
l’autoaffondamento; su ordine del comandante, il direttore di macchina, tenente
del Genio Navale Perrucca, scese sottocoperta ed eseguì le necessarie manovre.
Le navi britanniche, resesi conto che il sommergibile non era più in condizione
di reagire, non tardarono a cessare il fuoco e misero a mare una lancia per
soccorrere i naufraghi dell’Anfitrite;
quando l’imbarcazione giunse sottobordo al sommergibile agonizzante, vi furono
trasbordati i feriti, dopo di che venne dato l’ordine generale di abbandonare
il battello. Erano trascorsi appena otto minuti dall’inizio dell’attacco del Greyhound: la già citata fonte
britannica commenta a riguardo che “si ritenne che questo [il tempo trascorso
dall’inizio dell’azione all’abbandono del sommergibile] fosse un primato”.
Poco dopo, intorno
alle otto del mattino di quel 6 marzo, l’Anfitrite
s’inabissò venti miglia a sudest di Capo Sidero, nell’isola di Caso, in
posizione 34°55’ N e 26°43’ E (25 miglia ad est di Creta; altre fonti indica 34°55’
N e 23°45’ E o 35°15’ N e 26°43’ E, ma deve trattarsi di un errore).
Sempre dal libro
"The Royal Navy and the Mediterranean: Vol. II: November 1940-December
1941" sorge un altro interrogativo: secondo la versione britannica, dopo
essere stato colpito dal tiro britannico il sommergibile si arrese e dal Greyhound venne messa a mare una
baleniera con una squadra d’abbordaggio; “nonostante difficoltà nell’affiancarsi
[al sommergibile] ed intralcio da parte degli italiani che lottavano per salire
sulla baleniera, il tenente di vascello [Robert] Scott e due uomini raggiunsero
la camera di controllo del sommergibile e s’impadronirono di alcuni libri.
Mentre tornavano sul ponte di coperta, l’Anfitrite
affondò, obbligandoli ad abbandonare i libri e nuotare; ma alcuni dei libri
vennero ripescati più tardi”. Ciò contrasta con la dichiarazione del sottotenente
di vascello Ridi di aver gettato in mare l’archivio segreto subito dopo
l’emersione; giova però notare che il dettagliato libro “Il vero traditore” di
Alberto Santoni, che descrive – sulla scorta di ricerche negli archivi
britannici – i diversi casi in cui marinai britannici s’impossessarono di
cifrari italiani su sommergibili catturati od abbordati mentre si
autoaffondavano, non fa menzione della cattura di documenti sull’Anfitrite. Per cui si potrebbe
ipotizzare che l’archivio segreto sia stato effettivamente gettato in mare da
Ridi per impedirne la cattura, e che Scott ed i suoi uomini si siano
impadroniti di altre pubblicazioni non giudicate importanti, e per questo non
distrutte o affondate (né si è trovata menzione di un utilizzo, da parte
britannica, di documenti o cifrari catturati sull’Anfitrite).
Il tenente di
vascello Robert Scott sarebbe stato poi decorato con la Distinguished Service Cross
per il suo ruolo nell’affondamento dell’Anfitrite
(«For courage and skill in a successful
attack on an Italian Submarine»), mentre sarebbe stato insignito del Distinguished
Service Order, per la medesima motivazione, il comandante Walter Roger
Marshall-A'Deane; altri tre membri dell’equipaggio del Greyhound (il sottufficiale Leonard George Charles Rose, il
fuochista Frederick William Simpson, il marinaio Frank Robinson) avrebbero
ricevuto la Distinguished Service Medal. Scott, Rose e Marshall-A’Deane
avrebbero perso la vita meno di due mesi dopo, nell’affondamento del Greyhound, bombardato dalla Luftwaffe
nella battaglia di Creta.
Un telegramma-rapporto
sulla situazione militare, inviato da Londra (presumibilmente, agli Stati
Uniti) il 9 marzo 1941 ed oggi conservato presso la Franklin D. Roosevelt
Presidential Library and Museum, Great Britain Diplomatic Files, annunciava
sinteticamente la distruzione del sommergibile italiano: "His Majesty's Destroyer "Greyhound"
sank Italian submarine "Anfitrite" forty miles south of Creta on
March 6th and took thirty-nine prisoners".
La notizia
dell’affondamento dell’Anfitrite
sarebbe stata data, piuttosto succintamente, da alcuni giornali britannici il
10 marzo («The Admiralty announced today
that the Italian submarine Anfitrite (590 tons) attempted to attack a British
convoy in the Aegean last Thursday and was immediately sunk by the convoy's
escort. The Anfitrite, which was completed in 1933, normally carries a
complement of 41»).
Dell’equipaggio dell’Anfitrite, cinque uomini morirono nel
breve combattimento, ed altri due, feriti gravemente, spirarono a bordo del Greyhound.
I loro nomi:
Cataldo Antonante, sottocapo cannoniere, da
Brindisi, disperso
Giacomo Certo, marinaio motorista, da Messina,
deceduto
Michele Martinelli, sottocapo motorista, da
Capannori, disperso
Doris Matteucci, marinaio elettricista, da
Carmignano, disperso
Salvatore Perrone, marinaio elettricista, da
Maglie, disperso
Alfredo Sebastianutti, capo meccanico di terza
classe, da Udine, disperso
Guido Speciale, marinaio fuochista, da Napoli,
disperso
Sopra,
una foto dell’equipaggio dell’Anfitrite,
e sotto, le firme dei membri dell’equipaggio (Coll. Alfredo Sebastianutti, via www.grupsom.com)
Il comandante
Ghersina e gli altri sopravvissuti furono tutti recuperati dal mare dal Greyhound; parte dei naufraghi, tra cui
il sottotenente di vascello Ridi, vennero inizialmente raccolti
nell’antiquadrato del comandante britannico. Il numero complessivo dei
superstiti dell’Anfitrite è
variamente indicato dalle diverse fonti in 39 o 43; il già citato "The
Royal Navy and the Mediterranean: Vol. II: November 1940-December 1941"
parla di 43 naufraghi tratti in salvo, due dei quali deceduti a bordo del Greyhound, il che significherebbe che i
sopravvissuti furono 41, mentre il telegramma britannico del 9 marzo 1941, sopra
menzionato, parla di 39 superstiti.
Una volta ultimato il
recupero dei naufraghi, il Greyhound
rimise in moto. Il sottotenente di vascello Ridi, rimasto solo con il
comandante Ghersina, apprese da questi che gli idrofoni dell’Anfitrite non avevano sentito il
convoglio nemico, e che le esplosioni delle bombe di profondità avevano causato
delle vie d’acqua nella camera ausiliari, costringendo all’emersione.
I naufraghi dell’Anfitrite furono sbarcati dal Greyhound ad Alessandria; da qui vennero
dopo breve tempo trasferiti in un campo di smistamento vicino al Cairo, dove
alcuni giorni più tardi vennero interrogati da ufficiali della Royal Navy
(risulterebbe che ancora nel giugno 1941 i naufraghi del sommergibile, del
tutto od in parte, fossero prigionieri in Egitto). Il sottotenente di vascello
Ridi ricordò poi che le domande riguardavano la base da cui era partito l’Anfitrite, la posizione in cui era
avvenuta la cattura, il numero di sommergibili che avevano base a Lero, ed
altre cose che non ricordava; rifiutò di rispondere alle domande di carattere
tecnico.
Poi, le strade degli
uomini dell’Anfitrite si divisero:
alcuni, come il sergente elettricista Francesco D’Amelio e parecchi compagni, furono
portati in prigionia in Inghilterra; altri, come il sottotenente di vascello
Marino Ridi, in India; altri ancora, come il sergente motorista Edmondo Tardi,
rimasero in Sudafrica. Parecchi poterono fare ritorno in Italia soltanto nel
1946, ad un anno dalla fine della guerra: sia Francesco D’Amelio che Edmondo
Tardi, ad esempio, vennero rilasciati dalla prigionia solo nell’aprile 1946;
Marino Ridi, ancora più tardi.
Francesco D’Amelio fu
inizialmente internato per qualche mese nel campo di prigionia n. 8 di Zonderwater,
vicino a Pretoria, in Sudafrica, da dove successivamente venne trasferito in
Inghilterra, nel campo di prigionia n. 59 di Sawtry (Huntingdonshire, contea
del Cambridgeshire), rimanendovi fino al 23 aprile 1946. Il campo 59 di Sawtry
(noto anche come campo di Wood Walton Lane) ospitava alcune centinaia di prigionieri
italiani, alloggiati in prefabbricati in cemento (alcuni dei quali, usati nel
dopoguerra per ospitare famiglie senzatetto, esistono ancor oggi) e “baracche
nissen” (edifici tondeggianti in lamiera ondulata); era dotato anche di un
proprio ospedale e di una cappella. Agli italiani si aggiunsero, più avanti nel
corso della guerra, anche prigionieri tedeschi, il cui numero si accrebbe,
entro la fine del conflitto, ad oltre un migliaio. I prigionieri erano adibiti
al lavoro dei campi per le fattorie del luogo, od anche in lavori di
“giardinaggio”. Dopo l’armistizio, apparentemente, il contingente di
prigionieri italiani venne riorganizzato come 59th Italian Labour
Battalion, del quale entrò a far parte anche D’Amelio; gli “Italian Labour
Battalions” vennero creati dopo l’8 settembre 1943, quando l’Italia non era più
nemica degli Alleati, ed erano composti da prigionieri – la maggioranza (circa
114.000, in tutto il Regno Unito), anche se ci fu un numero non trascurabile
(40.000 nel Regno Unito) che rifiutò per vari motivi – che, data la nuova
situazione, avevano accettato di collaborare allo sforzo bellico alleato
(volontari cooperatori); essi avrebbero ricevuto un miglior trattamento
lavorativo, sarebbero stati pagati di più ed in valuta britannica (anziché in
valuta del campo) che avrebbero anche potuto inviare alle famiglie in Italia, ed
avrebbero goduto di maggior libertà (eliminazione dei reticolati, abolizione
delle guardie armate quando si recavano a lavorare).
Come tanti altri, a
Sawtry Francesco D’Amelio fu fatto lavorare in una fattoria; il trattamento era
buono, tanto che per parecchi anni dopo la guerra intrattenne cordiali rapporti
epistolari con i proprietari della fattoria, e durante la prigionia ebbe anche
modo di imparare molto bene l’inglese. Decisamente peggiore, nel suo ricordo,
era stato il trattamento durante l’iniziale periodo di prigionia in Sudafrica.
Alla famiglia di
D’Amelio, però, era stato inizialmente comunicato che questi era disperso
nell’affondamento del sommergibile, non prigioniero: ritenuto morto in mare, ne
venne celebrato un funerale solenne con partecipazione delle autorità locali e
fu persino stampato un "ricordino" («Francesco Antonio D’Amelio, 5 ottobre 1917-20 marzo 1941, eroicamente
caduto nel Mar Egeo per la grandezza d’Italia») con foto ed una preghiera
in sua memoria. Soltanto dopo 6-8 mesi dall’affondamento si seppe che era vivo
e prigioniero in Inghilterra; i familiari gli mandarono il ricordino-preghiera,
e poté riderci sopra.
Il
sottocapo elettricista Francesco D’Amelio, imbarcato sull’Anfritrite (Coll. Antonio D’Amelio, via www.grupsom.com)
Alcuni
documenti d’identità di Francesco D’Amelio risalenti al periodo della prigionia
(Coll. Antonio D’Amelio, via www.grupsom.com):
Il “ricordino” che doveva commemorare la “morte” di Francesco D’Amelio (Coll. Antonio D’Amelio, via www.grupsom.com) |
Alcune
foto di Francesco D’Amelio durante la prigionia (Coll. Antonio D’Amelio, via www.grupsom.com):
Fazzoletto ricamato da Francesco D’Amelio durante la permanenza nel campo di prigionia di Pretoria (Coll. Antonio D’Amelio, via www.grupsom.com) |
Molto simile è la
storia di Edmondo Tardi: anche lui venne dichiarato disperso in azione, e nel
suo paese, Finale Ligure, ne venne celebrato un simbolico funerale, con una
bara vuota. Sulla sua tomba, nel locale cimitero, venne eretta una croce che
recitava: «Tardi Edmondo, 1917-1941, disperso». Cinque anni più tardi, “come un
fantasma”, Edmondo Tardi riapparve vivo e vegeto davanti alla madre.
Diametralmente
opposta, invece, è la storia del capo meccanico di terza classe Alfredo
Sebastianutti, 31 anni, friulano. Nel suo caso, la famiglia ricevette una
lettera che affermava che il loro congiunto fosse vivo e in salute, prigioniero
in Grecia: ma poi non se ne seppe più nulla, non fece mai ritorno a guerra
finita. Un caso misterioso per almeno due aspetti: a quanto risulta, i
superstiti dell’Anfitrite dopo
l’affondamento furono portati in Egitto, non in Grecia (dunque non si comprende
come Sebastianutti potrebbe essere finito in un campo di prigionia greco);
inoltre, sugli elenchi dei caduti e dispersi della Marina Militare nell’ultimo
conflitto mondiale Sebastianutti Alfredo risulta disperso, non in prigionia ma
in azione, in data 6 marzo 1941, cioè quella dell’affondamento dell’Anfitrite…
(**)
Cercando informazioni sulla perdita dell’Anfitrite
è emersa anche una versione profondamente diversa, narrata su alcuni forum da
un nipote di un sopravvissuto dell’Anfitrite,
il sottocapo Edmondo Tardi. Secondo questi, l’Anfitrite avrebbe avvistato ed attaccato il convoglio (che sarebbe
stato scortato da sei cacciatorpediniere), avvicinandosi con accorta manovra e
lanciando dopo aver atteso il momento favorevole, calato il buio, una salva di
siluri, che avrebbe colpito tre cacciatorpediniere, incendiandoli. Immersosi
rapidamente ad alta profondità, il sommergibile sarebbe stato sottoposto ad una
serie di attacchi con bombe di profondità, sempre più vicine, sino ad essere
colpito dalle bombe ed affondato con alcune vittime tra l’equipaggio, mentre i
superstiti, bloccati all’interno del sommergibile posato sul fondale ed
impossibilitato a risalire, sarebbero fuoriusciti dal sommergibile ed avrebbero
raggiunto la superficie, uno per volta, mediante la campana «Gerolimi-Arata»
(un apparato installato sui sommergibili italiani negli anni Trenta e
progettato appunto per la fuoriuscita e risalita da sommergibili affondati). La
maggior parte degli uomini così riemersi sarebbero stati uccisi da tiro di armi
automatiche non appena giunti in superficie, ad eccezione di sette (compreso
Tardi, che sarebbe stato ferito alla coscia sinistra da un proiettile, in modo
non grave), che sarebbero stati salvati dalle medesime navi britanniche dopo
parecchie ore, all’alba del giorno seguente.
Questa versione non
sembra attendibile, dal momento che essa appare del tutto incompatibile sia con
la versione ufficiale riportata sia da fonti italiane che britanniche, sia con
le testimonianze di altri superstiti dell’Anfitrite
(che sono invece coerenti con la versione ufficiale: Marino Ridi, Francesco
D’Amelio), sia perché risulta dagli elenchi della Marina Militare che i caduti
dell’Anfitrite furono sette, e non la
maggioranza dell’equipaggio. Infine, la risalita dei superstiti dal
sommergibile affondato sarebbe stata del tutto impossibile, dal momento che nel
punto in cui affondò l’Anfitrite il
mare è profondo oltre mille metri, e qualora al suo interno fosse rimasto
qualche compartimento ancora stagno, il battello sarebbe stato schiacciato
dalla pressione ben prima di raggiungere il fondale (nessun sommergibile
dell’epoca poteva resistere a più di 200-300 metri di profondità, e la campana
Gerolimi-Arata – al pari di ogni altro sistema di fuoriuscita esistente
all’epoca – avrebbe permesso la risalita soltanto da un sommergibile affondato
ad una profondità non superiore al centinaio di metri). Né sembra plausibile
che l’equipaggio britannico, se davvero avesse ucciso la maggior parte dei
naufraghi via via che riemergevano, avrebbe poi cambiato idea e salvato i sette
rimanenti, cioè altrettanti pericolosi testimoni di quello che sarebbe stato
inequivocabilmente un crimine di guerra. Resta il quesito, anche considerando
che il trascorrere del tempo spesso distorce la memoria dei reduci (Francesco
D’Amelio, ad esempio, “ricordava” anche che l’Anfitrite, non avendo rilevato le navi nemiche a causa
dell’idrofono guasto, fosse emerso accidentalmente proprio in mezzo al
convoglio britannico, per poi immergersi subito con la rapida una volta
accortosi dell’errore, ma venendo subito danneggiato dal contrattacco della
scorta: questa emersione in mezzo al convoglio non risulta dalle fonti
ufficiali), su come sia nato un racconto così difforme da quanto risulta da
altri superstiti e dalle fonti ufficiali (il racconto sarebbe il frutto in
parte del diario scritto da Edmondo Tardi durante la prigionia, ed in parte dai
racconti dello stesso Tardi, riferiti però attraverso la moglie di questi, che
li ascoltò dal marito e li raccontò al nipote a decenni di distanza; il nipote
aveva solo tredici anni quando Tardi morì).
Bsera Lorenzo. I tenenti di vascello Goliardo Zanfranceschi e Brunone Ghersina era ufficiali di complemento del ruolo speciale. In particolare Ghersina, fu Giovanni e di Rosa de Manzolini, era nato a Parenzo (Pola) il 10.1.1908 e in occasione dell'affondamento dell'Anfitrite ricevette una CGVM. Morì a Venezia nel 1990.
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