L’Antares nel 1942 (foto Aldo Fraccaroli, per g.c. di Carlo Di Nitto via www.naviearmatori.net) |
Torpediniera della
classe Spica tipo Perseo (dislocamento standard di 630 tonnellate, in carico
normale 970, a pieno carico 1020). Durante la seconda guerra mondiale effettuò
140 missioni di scorta e 9 di altro tipo, affondando un sommergibile (il greco Proteus) ed abbattendo cinque aerei
nemici.
Breve e parziale cronologia.
2 ottobre 1935
Impostazione nei
cantieri Ansaldo di Sestri Ponente (numero di costruzione 305).
19 luglio 1936
Varo
nei cantieri Ansaldo di Sestri Ponente. Madrina è la marchesa Medici del
Vascello.
23 dicembre 1936
Entrata in
servizio.
L’Antares durante le prove in mare nel Golfo di Genova, nel 1936 (g.c. Nedo B. Gonzales via www.naviearmatori.net) |
23 gennaio-2 luglio 1937
È comandante dell’Antares il tenente di vascello Enrico
Moretti degli Adimari (già assegnato a questa nave dal 5 agosto al 1° settembre
1936, durante l’allestimento).
Agosto-Settembre 1937
Durante la guerra
civile spagnola, l’Antares partecipa,
con altre unità (incrociatori leggeri Luigi
Cadorna ed Armando Diaz,
cacciatorpediniere Freccia, Dardo, Saetta, Strale, Borea, Ostro, Espero e Zeffiro, torpediniere Cigno, Climene, Centauro, Castore, Altair, Andromeda, Aldebaran) al blocco del Canale di
Sicilia, per impedire l’invio di rifornimenti dall’Unione Sovietica (Mar Nero)
alle forze repubblicane spagnole. Benito Mussolini ha preso tale decisione a
seguito di richieste da parte dei comandi spagnoli nazionalisti, i quali
sostengono, esagerando di molto, che l’Unione Sovietica stia per rifornire le
forze repubblicane spagnole con oltre 2500 carri armati, 3000 “mitragliatrici
motorizzate” e 300 aerei.
Il blocco navale
viene ordinato da Roma il 7 agosto ed ha inizio due giorni più tardi; oltre ai
sommergibili, invati sia al largo dei Dardanelli che lungo le coste della
Spagna, prendono in mare otto cacciatorpediniere ed altrettante torpediniere
che si posizionano nel Canale di Sicilia e lungo le coste del Nordafrica
francese. Cacciatorpediniere e torpediniere operano in cooperazione con quattro
sommergibili ed un sistema di esplorazione aerea a maglie strette (idrovolanti
dell’83° Gruppo Ricognizione Marittima, di base ad Augusta) e sono alle
dipendenze dell’ammiraglio di divisione Riccardo Paladini, comandante militare
marittimo della Sicilia; successivamente verranno avvicendati da altre
siluranti e dalla IV Divisione Navale (incrociatori leggeri Armando Diaz, Alberto Di Giussano, Luigi
Cadorna, Bartolomeo Colleoni).
Sono complessivamente ben 40 le navi mobilitate per il blocco: i quattro
incrociatori della IV Divisione, l’esploratore Aquila, dieci
cacciatorpediniere (Freccia, Saetta, Dardo, Strale, Fulmine, Lampo, Espero, Ostro, Zeffiro e Borea),
24 torpediniere tra cui l’Antares (le
altre sono Cigno, Canopo, Castore, Climene, Centauro, Cassiopea, Altair, Andromeda, Aldebaran, Vega, Sagittario, Astore, Sirio, Spica, Perseo, Giuseppe La
Masa, Generale Carlo Montanari, Ippolito Nievo, Giuseppe
Cesare Abba, Generale Achille Papa, Nicola Fabrizi, Giuseppe
Missori e Monfalcone) e la
nave coloniale Eritrea. Altre
due navi, gli incrociatori ausiliari Adriatico e Barletta, camuffati da spagnoli Lago e Rio, hanno l’incarico di visitare i mercantili sospetti avvistati
dalle navi da guerra in crociera.
Il dispositivo di
blocco è articolato in più fasi: informatori ad Istanbul segnalano all’Alto
Comano Navale le navi sovietiche, o di altre nazionalità ma sospettate di operare
al servizio dei repubblicani, che passano per il Bosforo; ad attenderle in
agguato per primi vi sono i sommergibili appostati all’uscita dei Dardanelli.
Se le navi superano indenni questo primo ostacolo, vengono segnalate alle navi
di superficie ed ai sommergibili in crociera nel Canale di Sicilia e nello
Stretto di Messina; qualora dovessero riuscire ad evitare anche questo nuovo
pericolo (possibile soltanto appoggiandosi a porti neutrali) troverebbero ad
aspettarle altre navi da guerra in crociera nelle acque della Tunisia e
dell’Algeria. Infine, come ultima barriera per i bastimenti che riuscissero ad
eludere anche tale minaccia, altri sommergibili sono in agguato lungo le coste
della Spagna. Nei primi giorni del blocco sono molto attivi i cacciatorpediniere
di base ad Augusta.
Il blocco navale così
organizzato (del tutto illegale, dato che l’Italia non è formalmente in guerra
con la Repubblica spagnola) si rivela un pieno successo, portando in breve
tempo alla totale interruzione del flusso di rifornimenti dall’Unione Sovietica
alla Spagna repubblicana. Soltanto qualche mercantile battente bandiera
britannica o francese riesce a raggiungere i porti repubblicani, oltre a poche
navi che salpano dalla costa francese del Mediterraneo e raggiungono Barcellona
col favore della notte. Il blocco italiano impartisce un durissimo colpo ai
repubblicani, ma scatenerà anche gravi tensioni internazionali (specie col
Regno Unito) e feroci proteste sulla stampa spagnola repubblicana ed
internazionale, con accuse di pirateria – essendo, come detto, un’operazione in
totale violazione di ogni legge internazionale – nei confronti della Marina
italiana, ripetute anche da Winston Churchill.
L’Antares negli anni Trenta (Coll. Adimaro Moretti degli Adimari) |
1938
Insieme al resto
della XII Squadriglia Torpediniere (Andromeda, Altair ed Aldebaran), di cui fa parte, l’Antares viene
assegnata alla Scuola Comando di Augusta, in Sicilia, e di nuovo impiegata in
numerosi pattugliamenti anticontrabbando tra Pantelleria e Malta, per
intercettare eventuali navi provenienti dal Mar Nero e dirette in Spagna con
rifornimenti per le forze repubblicane spagnole.
5 maggio 1938
L’Antares, insieme al resto della XII
Squadriglia Torpediniere (Andromeda, Altair, Aldebaran), partecipa alla rivista navale "H" organizzata
nel Golfo di Napoli per la visita in Italia di Adolf Hitler. Partecipa alla
rivista la maggior parte della flotta italiana: le corazzate Cesare e Cavour, i 7 incrociatori pesanti della I e III Divisione, gli 11
incrociatori leggeri della II, IV, VII e VIII Divisione, 7 “esploratori
leggeri” classe Navigatori, 18 cacciatorpediniere (le Squadriglie VII, VIII, IX
e X, più il Borea e lo Zeffiro), 30 torpediniere (le
Squadriglie IX, X, XI e XII, più le vecchie Audace,
Castelfidardo, Curtatone, Francesco Stocco,
Nicola Fabrizi e Giuseppe La Masa ed i quattro “avvisi scorta” della classe Orsa), 85 sommergibili e 24 MAS
(Squadriglie IV, V, VIII, IX, X e XI), nonché le navi scuola Cristoforo Colombo ed Amerigo Vespucci, il panfilo di Benito
Mussolini, l’Aurora, la nave reale Savoia e la nave bersaglio San Marco.
La XII Squadriglia è
inquadrata nella Flottiglia Torpediniere (capo flottiglia il capitano di
vascello Fontana, sull’esploratore Nicoloso
Da Recco) insieme alle Squadriglie IX (Astore,
Spica, Canopo e Cassiopea), X (Sirio, Sagittario, Perseo e Vega) e XI (Cigno, Castore, Centauro e Climene).
Torpediniere
classe Spica ormeggiate a Napoli in occasione della rivista "H": l’Antares (AN) è la terza da sinistra; le
altre unità riconoscibili sono, da sinistra a destra, Altair, Aldebaran, Andromeda, Perseo, Cigno
(probabilmente) e Vega (sopra: g.c.
Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net;
sotto: foto di Hugo Jaeger, oggi nell’archivio della rivista “Life”)
10 giugno 1940
All’entrata
dell’Italia nella seconda guerra mondiale, l’Antares fa parte della XII Squadriglia Torpediniere, di base in
Sicilia (per una fonte a Messina, ma Trapani od Augusta sembrano più
probabili), che forma insieme alle gemelle Altair
(caposquadriglia), Andromeda ed Aldebaran.
Insieme alla I
Squadriglia (Alcione, Airone, Ariel, Aretusa), la XII
Squadriglia forma la 2a Flottiglia Torpediniere, alle dipendenze del
Comando Militare Marittimo Sicilia. La 1a e la 2a
Flottiglia Torpediniere (la 1a Flottiglia è composta dalle
Squadriglie Torpediniere XIII e XIV, anch’esse composte da navi classe Spica),
insieme alla V Squadriglia Torpediniere (vecchie unità del tipo “tre pipe”),
alla II Flottiglia MAS ed ai posamine Adriatico,
Scilla, Buccari e Brioni, nonché
alle forze aeree dell’Aviazione della Sicilia, costituisce il «dispositivo» del
Canale di Sicilia, il cui compito è di ostacolare alle forze navali nemiche il
transito nel Canale di Sicilia, passaggio di importanza strategica cruciale per
il controllo del Mediterraneo. Tale dispositivo prevede continua vigilanza
aerea diurna e, su alcune rotte, anche notturna; posti di vedetta e di ascolto
idrofonico a Capo Granitola, Pantelleria, Linosa e Lampedusa; agguati di
sommergibili; crociere di torpediniere ed altre siluranti (preferibilmente
notturne ed in aree non interferenti con quelle dei sommergibili); posa di
campi minati offensivi e difensivi; attacchi aerei contro unità nemiche
avvistate in mare. La 2a Flottiglia Torpediniere ha base a Trapani,
la 1a a Porto Empedocle.
14 giugno 1940
In seguito al
bombardamento di Genova, Savona e Vado Ligure da parte di una formazione navale
francese, avvenuto proprio il 14 giugno, in serata l’Antares ed il resto della XII Squadriglia (Altair, Andromeda ed Aldebaran) ricevono ordine di
lasciare Trapani e raggiungere subito La Spezia per andare a rafforzarne le
difese. Dopo l’attacco francese, infatti, Supermarina ha deciso di rinforzare
le esigue difese del Golfo Ligure con una squadriglia di moderne torpediniere.
Le quattro unità salpano da Trapani alle 19.
16 giugno 1940
Forzando l’andatura,
le quattro torpediniere della XII Squadriglia arrivano in Mar Ligure all’alba;
alle 4.20 del 16 giugno, mentre stanno per arrivare a La Spezia, ricevono
l’ordine di portarsi al largo di Genova, dove si teme stia per essere compiuta
una nuova incursione navale francese. La XII Squadriglia incrocia al largo di
Genova fino alle dieci del mattino (per altra fonte, pattuglia la zona fino a
mezzogiorno, per prevenire eventuali nuovi attacchi), poi, non essendosi
concretizzata alcuna minaccia, riceve ordine di raggiungere La Spezia.
Le torpediniere
rimangono poi in Liguria fino a fine mese, quando la resa della Francia fa
venir meno la minaccia di incursioni navali.
8 agosto 1940
L’Antares (tenente di vascello Pasquale
Senese) e la gemella Sagittario (capitano
di fregata Adone Del Cima) salpano da Trapani alle 17 scortando il posamine
ausiliario (ex traghetto ferroviario) Scilla,
incaricato di posare lo sbarramento di mine 5 AN (200 o 216 mine tipo P 200)
tra Pantelleria e la Tunisia. Quaranta minuti dopo la partenza, il gruppo Antares-Scilla-Sagittario viene
raggiunto dalla X Squadriglia Cacciatorpediniere, formata da Maestrale (caposquadriglia,
capitano di vascello Franco Garofalo), Grecale (capitano
di fregata Edmondo Cacace), Libeccio (capitano
di fregata Enrico Simola) e Scirocco (capitano
di fregata Franco Gatteschi), incaricata della posa dello sbarramento di mine 5
AN bis (240 mine tipo Elia).
9 agosto 1940
La posa – effettuata
dallo Scilla per il 5 AN e
dalla X Squadriglia per il 5 AN bis – avviene regolarmente; per determinare
correttamente la posizione, vengono usati oltre al faro di Pantelleria anche
quelli di Capo Bon e Kelibia, accesi dal Comando francese di Biserta su
richiesta della Commissione Italiana di Armistizio con la Francia (CIAF) a sua
volta sollecitata da Supermarina.
Il 23 agosto il
cacciatorpediniere britannico Hostile (capitano
di corvetta Anthony Frank Burnell-Nugent) urterà una delle mine dello
sbarramento 5 AN, riportando danni tanto gravi da costringere il gemello Hero a dargli il colpo di grazia,
affondandolo nel punto 36°53’ N e 11°19’ E, una ventina di miglia a sudest di
Capo Bon.
Antares, Scilla, Sagittario, Maestrale, Grecale, Libeccio e Scirocco rientrano a Trapani tra le 11 e le 12; lo Scilla e le quattro unità della X
Squadriglia imbarcano subito le mine per altri due campi minati, il 6 AN (200
mine tipo P 200) ed il 6 AN bis (240 mine tipo Elia), e ripartono nel
pomeriggio. La scorta dello Scilla,
di nuovo, è costituita da Antares e Sagittario.
Anche queste
operazioni di posa (effettuate dallo Scilla per
il 6 AN e dalla X Squadriglia per il 6 AN bis) sono effettuate regolarmente;
unico inconveniente è lo scoppio di una delle mine lanciate dal Maestrale. Terminata la posa, Antares, Scilla e Sagittario
rientrano a Trapani, da dove poi lo Scilla
verrà mandato a Messina dove sarà derequisito e tornerà al servizio civile di
traghetto ferroviario nello Stretto. I cacciatorpediniere della X Squadriglia
raggiungono invece Palermo.
13 agosto 1940
L’Antares salpa da Palermo per Tripoli
alle 12.30, scortando il piroscafo Achille
e la nave cisterna Caucaso.
17 agosto 1940
Il convoglio giunge a
Tripoli alle 13.
21 ottobre 1940
La XII Squadriglia
Torpediniere (Antares, Altair, Aretusa ed Andromeda)
viene posta da Supermarina a disposizione (pur non facendone formalmente parte)
del ricostituito Comando Superiore Traffico Albania (Maritrafalba, già attivo
dal 5 settembre al 12 ottobre ma senza la XII Squadriglia alle sue dipendenze),
con sede a Brindisi e compiti di scorta ai convogli tra Italia ed Albania,
nonché ricerca e caccia antisommergibili sulle stesse rotte. Le forze di
Maritrafalba comprendono i vecchi cacciatorpediniere Carlo Mirabello ed Augusto Riboty, le torpediniere classe
Spica Polluce, Partenope e Pleiadi, le ben più vecchie torpediniere Palestro, Solferino, Castelfidardo, Monzambano, Angelo
Bassini, Nicola Fabrizi e Giacomo Medici, gli incrociatori
ausiliari RAMB III, Capitano A. Cecchi e Barletta e la XIII Squadriglia MAS
con i MAS 534, 535, 538 e 539.
La XII Squadriglia
rimarrà a disposizione di Maritrafalba per diversi mesi.
Fine ottobre 1940 (22 ottobre?)
Sempre a fine ottobre
l’Antares, insieme alle gemelle Altair, Aretusa ed Andromeda,
alle ben più vecchie torpediniere Angelo
Bassini, Nicola Fabrizi e Giacomo Medici, agli anziani
cacciatorpediniere Carlo Mirabello ed Augusto Riboty, ai vecchi incrociatori
leggeri Bari e Taranto ed alle navi cisterna e da
sbarco Tirso, Sesia e Garigliano, viene assegnata alla neonata Forza Navale Speciale, al
comando dell’ammiraglio di squadra Vittorio Tur (con bandiera sul Bari), creata per la prevista operazione
di sbarco a Corfù, all’inizio dell’invasione della Grecia. La Forza Navale
Speciale ha l’incarico di scortare i convogli con le truppe da sbarco (due
dovranno partire da Taranto ed un terzo da Brindisi, più un gruppo di
motovelieri anch’esso da Brindisi) e di appoggiare le operazioni di sbarco. Le
torpediniere della XII Squadriglia, tra cui l’Antares, devono supportare l’operazione.
Il piano prevede che
il convoglio da sbarco, formato da Tirso,
Sesia, Garigliano e da un’altra motocisterna, l’Adige, nonché da piroscafi e da bragozzi trasformati in mezzi da
sbarco, sbarchi all’alba del giorno previsto, in quattro punti dell’isola, la
47a Divisione Fanteria "Bari" ed un battaglione del
Reggimento "San Marco" della Marina. La scorta del convoglio è
costituita appunto dalla Forza Navale Speciale, con Bari, Taranto, Mirabello, Riboty, le quattro unità della XII Squadriglia Torpediniere, le tre
vecchie Bassini, Fabrizi e Medici, una
squadriglia di MAS ed il posamine Azio,
mentre la IV e VII Divisione Navale, con 7 incrociatori leggeri e 7
cacciatorpediniere, dovranno fornire protezione a distanza.
Gli ordini
d’operazione vengono diramati il 22 (Supermarina, ordine generale di
operazione) e 26 ottobre (Forza Navale Speciale, ordine più particolareggiato),
ed in quest’ultimo giorno viene disposta la sospensione di tutte le partenze
dai porti nel Basso Adriatico a sud di Manfredonia, tranne che per le navi
dipendenti da Maritrafalba; negli ultimi giorni di ottobre, la XII Squadriglia
Torpediniere viene trasferita da Augusta a Brindisi, dove confluiscono anche la
IX Squadriglia MAS (da Crotone) e gli incrociatori Bari e Taranto (da
Taranto), mentre Tirso e Sesia vengono trasferite da Brindisi a
Valona. Vengono emanati anche gli ordini per l’impiego della 1a e 2a
Squadra Navale per la protezione indiretta dell’operazione (il 29 sarà ordinato
all’incrociatore pesante Pola, nave
ammiraglia della 2a Squadra, ed alla I e VII Divisione Navale di
tenersi pronti a muovere in due ore).
Lo sbarco è
inizialmente pianificato per il 28 ottobre, in contemporanea con l’inizio delle
operazioni terrestri contro la Grecia, ma il maltempo (mare in tempesta)
costringe a rimandare l’operazione dapprima al 30 e poi al 31 ottobre (anche
perché i comandi militari, ritenendo che l’occupazione della Grecia dovrebbe
avvenire in tempi rapidi, considerano di scarsa utilità un’invasione di Corfù
dal mare). Il 31 Supermarina dirama l’ordine esecutivo per lo sbarco, da
effettuarsi il 2 novembre, ma nel frattempo la situazione rivelata dai primi
giorni di combattimento in Grecia, con operazioni che vanno molto più a rilento
del previsto e si rivelano molto più difficili a causa del maltempo, delle
interruzioni nella rete stradale e dell’accanita resistenza greca, induce
Mussolini ad annullare l’operazione contro Corfù, inviando invece la Divisione
"Bari" in Albania come rinforzo. Informata per telefono, Supermarina
annulla l’ordine esecutivo; lo sbarco a Corfù non si farà.
Le unità della XII
Squadriglia verranno inizialmente utilizzate per compiti di ricerca e caccia
antisommergibili (essendo le torpediniere più moderne tra quelle disponibili
nel Canale d’Otranto), ma dopo pochi giorni saranno anch’esse adibite alla
scorta diretta dei convogli. Nel frattempo vengono dotate di idrofoni girevoli,
e viene aumentata la loro scorta di bombe di profondità.
Novembre 1940
Assume il comando
dell’Antares il tenente di vascello
Niccolò Nicolini.
12 novembre 1940
L’Antares, l’Aretusa ed il piccolo incrociatore ausiliario Lago Zuai partono da Brindisi alle 11.45 per scortare a Durazzo i
trasporti truppe Città di Trapani, Aventino e Milano, aventi a bordo 1661 militari, nove autoveicoli, dieci
carrette e 92,5 tonnellate di materiali. Il convoglio giunge a Durazzo alle
19.45.
13 novembre 1940
Alle due di notte l’Antares, insieme alla torpediniera Calatafimi ed all’incrociatore ausiliario
Egeo, salpa da Bari per scortare a
Valona un convoglio formato dai piroscafi Italia,
Firenze e Galilea e dalla motonave Città
di Marsala, che trasportano in tutto 1662 soldati e 48 quadrupedi. Il
convoglio raggiunge Valona alle 16.20.
Sempre secondo la
cronologia del libro U.S.M.M. “La difesa del traffico con l’Albania, la Grecia
e l’Egeo” (che deve evidentemente contenere un errore), l’Antares parte da Brindisi alle sei del mattino insieme all’Aretusa, al Lago Zuai ed alla torpediniera Monzambano scortando Firenze ed Italia che trasportano il primo
scaglione della 2a Divisione Alpina "Tridentina", (1105
militari, 9 automezzi e 90,5 tonnellate di materiali), giungendo a Durazzo alle
16.
16 novembre 1940
L’Antares salpa da Brindisi alle 9.50
scortando il piroscafo Caterina
(carico di 34 automezzi e 1064 tonnellate di materiali, oltre a 40 soldati ed
otto quadrupedi), col quale arriva a Valona alle 22.30.
20 novembre 1940
L’Antares e la gemella Andromeda lasciano Valona alle 11
scortando il piroscafo Galilea e
le motonavi Città di Savona, Città di Marsala e Donizetti, tutte scariche; il convoglio
arriva a Brindisi alle 19.
28 dicembre 1940
L’Antares e l’incrociatore ausiliario Brindisi partono da Brindisi alle 8
diretti a Valona, scortando un convoglio composto dai piroscafi Eolo (adibito a traffico
civile), Absirtea e Vittor Pisani e dalla
motonave Città di Agrigento, che
trasportano in tutto 383 militari, 437 quadrupedi, 18 automezzi e 256
tonnellate di viveri, foraggio e materiale vario.
Il convoglio giunge a
Valona alle 20.30.
29 dicembre 1940
L’Antares (tenente di vascello Nicolò
Nicolini) salpa da Valona tra le sette e le otto del mattino per scortare a
Brindisi i trasporti truppe Sardegna
(capo convoglio), Piemonte ed Italia, che rientrano vuoti in Italia.
Alle 7.30 l’Antares esce dalla rada di Valona e pilota
i piroscafi sulla rotta di sicurezza, alla velocità prestabilita di 10,5
nodi.
Alle 9.34, arrivata
nei pressi del punto convenzionale "A" di Saseno, l’Antares si avvicina a portata di
voce del Sardegna, ed il
comandante Nicolini domanda se inizierà subito a zigzagare. Dal Sardegna viene risposto che il
convoglio zigzagherà 6 miglia dopo il punto "A", all’inizio della
nuova rotta; l’Antares, dal canto
suo, inizia subito a zigzagare.
Alle 10.05, nel punto
40°31’ N e 19°02’ E (una quarantina di miglia ad est di Brindisi; per altra
fonte, 51 miglia ad est di tale città), il Sardegna emette diversi colpi di fischio e compie una rapida
accostata a sinistra, mentre Italia e Piemonte accostano a dritta. L’Antares, in quel momento, si trova ad un
centinaio di metri dal piroscafo capoconvoglio, sul suo rilevamento polare 40°.
Circa un minuto dopo, il Sardegna viene
colpito da due siluri sul lato sinistro, ed affonda di prua, undici miglia a
ponente di Saseno.
Sull’Antares viene frattanto avvistato un
siluro che sta delfinando, ed il comandante in seconda, sottotenente di
vascello di complemento Claudio Scarpato, avvista la prua del sommergibile
attaccante, che sta procedendo di controbordo rispetto al convoglio, a circa
1500 metri di distanza. Si tratta del sommergibile greco Proteus (il cui nome è riportato anche
come Protefs), al comando del
capitano di corvetta Michail Hadjikonstantis (o Chatzikonstantis). Il Proteus è alla sua terza missione di
guerra: partito dalla base di Salamina il pomeriggio del 26 dicembre, aveva
l’ordine di pattugliare il Canale d’Otranto fino all’8 gennaio. (Secondo una
fonte di dubbia affidabilità, era stato avvisato del prossimo passaggio di un
convoglio italiano davanti a Valona, e lo stava dunque attendendo al varco; ma
dal momento che nessuna fonte italiana o greca qui consultata ne fa menzione,
sembra probabile che ciò sia errato). Probabilmente è venuto in affioramento
con la prua involontariamente, a causa di una manovra errata o di un’accidentale
perdita dell’assetto, forse causata dal lancio dei siluri. (Secondo qualche
fonte, l’Antares avrebbe localizzato
il Proteus risalendo le scie dei
siluri, ma ciò non risulta dal rapporto del comandante Nicolini, che parla
invece di avvistamento in seguito all’affioramento del sommergibile stesso).
Il comandante
Nicolini decide di speronare il battello nemico, e manovra di conseguenza,
ordinando di portare la velocità al massimo; al contempo dà ordine di caricare
i cannoni e di regolare le prime bombe di profondità nelle tramogge per
scoppiare alla profondità minima. Nicolini ha deciso per lo speronamento,
anziché il siluramento o cannoneggiamento, perché la manovra iniziale del
sommergibile avversario gli ha fatto temere che volesse cercare di silurare
anche un altro piroscafo; di conseguenza ha deciso di speronarlo, “soluzione”
più rapida e sicura. Vedendosi piombare addosso la torpediniera italiana, il Proteus tenta di manovrare per porsi su
rotta parallela rispetto all’Antares,
in modo da evitare la collisione; la manovra decisa dal comandante Nicolini si
trasforma così in un vero e proprio inseguimento, nel quale alla fine ha la
meglio la superiore velocità della torpediniera. Quando la distanza tra le due
unità è ridotta a pochi metri, Nicolini ordina “attenti all’urto” ed impartisce
alle tramogge poppiere l’ordine di gettare sullo scafo del sommergibile quattro
bombe di profondità, nel momento in cui esso si troverà sotto il timone dell’Antares.
L’impatto è
estremamente violento: la prua dell’Antares
sperona il Proteus poco a proravia
della torretta; la nave italiana s’impenna e poi ricade sulla dritta. Come
ordinato, subito dopo le tramogge di poppa lanciano sul punto dell’impatto
quattro bombe di profondità, che esplodono immediatamente, scuotendo la nave
con rinnovata violenza. (Secondo il ricordo dell’allora secondo capo Ferruccio
Pastoretto, timoniere di manovra sull’Antares
– che in quel momento si trovava al timone della torpediniera, e dunque la
condusse nella manovra di speronamento, portandola sul bersaglio – il
comandante Nicolini, dopo aver dato l’“attenti all’urto” perché l’equipaggio si
preparasse all’impatto, fu l’unico a dimenticarsi di reggersi, e finì col
rompersi un osso in seguito all’urto, risultando così l’unico ferito tra
l’equipaggio dell’Antares).
Per il Proteus non c’è scampo: spinto
sott’acqua dal peso dell’Antares dopo
la collisione, lo sventurato sommergibile greco viene riportato parzialmente in
superficie dallo scoppio delle bombe di profondità, affiorando nella scia dell’Antares per pochi secondi, rovesciato
sul lato di dritta. Subito dopo, il Proteus
si capovolge completamente ed affonda, portando con sé l’intero equipaggio di
48 uomini (6 ufficiali e 42 tra sottufficiali e marinai). È il primo
sommergibile greco ad andare perduto nella seconda guerra mondiale. Sono le
10.06.
Dall’Antares, prima che scompaia, si riescono
a distinguere alcuni particolari: prua affilata priva di tagliareti, cannone
prodiero di calibro superiore ai 100 mm, sporgente dalla torretta. Subito dopo
l’affondamento, nel punto in cui si è inabissato il Proteus appaiono in superficie vaste chiazze di nafta scura e
grandi bolle d’aria.
Con le macchine a
lento moto, la torpediniera torna sul punto in cui è avvenuto lo speronamento,
sul quale l’equipaggio italiano ha lanciato un salvagente per indicarlo; il
comandante Nicolini, per essere del tutto certo della distruzione dell’unità
avversaria, fa lanciare alcune altre bombe di profondità (secondo alcune fonti,
in questa fase ne sarebbero state lanciate sette, per un totale di undici,
contando le quattro lanciate in precedenza).
A questo punto, affondato
il Proteus, l’Antares torna nel punto in cui è
affondato il Sardegna, per
provvedere al salvataggio dei naufraghi; Italia e Piemonte, nel frattempo, proseguono
verso Brindisi, dove giungeranno indenni
alle 15.10 dopo essere stati raggiunti dalla torpediniera Aretusa che ne assumerà la scorta
(l’Italia proseguirà poi per Bari).
Nel luogo dell’affondamento si trovano due grosse scialuppe intatte, altre tre
o quattro lance semisfasciate ma ancora a galla, diverse zattere Carley,
tavoloni e rottami vari.
L’Antares mette a mare una piccola
iole ed un battellino, che lottano aspramente contro il mare agitato,
prodigandosi per recuperare quanti più uomini possibile, partendo da quelli che
sono senza salvagente e non hanno relitti cui aggrapparsi. Quando la prima
delle grosse lance del Sardegna arriva
sottobordo alla torpediniera, non appena i naufraghi vengono trasbordati gli
uomini dell’Antares si slanciano
a bordo per armarla ed utilizzarla per il recupero di altri superstiti. Si
distinguono in questa operazione il capo elettricista di terza classe Ariolando
Ambrogi, da Arcidosso; i sottocapi cannonieri puntatori scelti Mario Calvo, da
Oneglia, e Carmelo Nicoletti, da Brescia; i marinai Gennaro Chilelli (da
Amantea), Carmelo Colombo (da Pozzallo), Giuseppe Gaggero (nato negli Stati
Uniti, a San Francisco), Giuseppe Montecalvi (da Rodi Garganico), Gaetano Mini
(da Castiglione della Pescaia), Fedele Irrazionale (da Napoli), Nereo Sorz (da
Trieste), Giuseppe Giuliano (da Palermo) ed Ugo Baldi (da Genova); i cannonieri
Angelo Beltrami (da Venezia), Remo Turrini (da Modena) e Pietro Binetti (da
Brescia); i fuochisti Cesare Lockmonn (da Agnone), Giorgio Marsi (da
Capodistria) e Francesco Santini (nato negli Stati Uniti, ad Eberton); e
l’allievo furiere Cosimo De Donatis, da Maglio. Tutti riceveranno la Croce di
Guerra al Valor Militare, con motivazione: "In occasione dell’affondamento di un piroscafo, in condizioni di mare e
di tempo assai difficili, si offriva spontaneamente per armare una delle lance
dello stesso piroscafo affondato, e con la sua instancabile opera riusciva a
trarre in salvo numerosissimi naufraghi". Il nocchiere di terza classe
Giulio Battagliola, da Leno Verolanuova, riceverà analoga decorazione, con
motivazione: "Imbarcato su una
torpediniera, dirigeva con perizia professionale, slancio e sprezzo del rischio
le operazioni marinaresche relative al salvataggio di naufraghi di un piroscafo
silurato".
Mentre la
torpediniera è ferma a salvare i naufraghi, diversi aerei sorvolano la zona del
siluramento, ma non sganciano alcuna bomba.
Mentre è in corso il
salvataggio dei naufraghi del Sardegna,
il comandante Nicolini conduce una visita allo scafo, accompagnato dal
direttore di macchina, per accertare i danni causati dallo speronamento del Proteus. Le paratie di collisione sono
deformate ma hanno retto; si provvede comunque a rinforzarle e puntellarle, e
si prosciuga il locale fuochisti, che ha avuto alcune infiltrazioni, dall’acqua
che vi è entrata. Al contempo, per alleggerire la prua, vengono scaricate in
mare 40 tonnellate di nafta. Si distinguono in quest’opera il secondo capo
meccanico Pietro Magrini (da Serravalle), il sergente meccanico Paolo Falcone
(da Napoli) ed il sottocapo meccanico Salvatore Saddemi (da Giarratana), poi
decorati di Croce di Guerra al Valor Militare ("Dopo lo speronamento di un sommergibile nemico compiuto dalla
torpediniera sulla quale era imbarcato, accorreva con il direttore di macchina
nei locali parzialmente allagati, incurante del pericolo costituito dalle
paratie pericolanti. Con opera svelta e intelligente contribuiva ai lavori
necessari per permettere la sicura navigazione dell’unità").
In tutto, l’Antares recupera 220 sopravvissuti
del Sardegna, mentre i morti
sono 25. A tutti vengono forniti una coperta, vino e caffè caldo; l’infermiere
ed il comandante in seconda dell’Antares provvedono
a medicare alcuni feriti leggeri, mentre l’unico ferito grave, che ha due gambe
spezzate, riceve le prime cure consentite dai pochi mezzi a disposizione e
viene poi affidato al MAS 515,
che giunge sul posto verso le 11.30. Vengono recuperate anche tre salme, che vengono
deposte con gli onori militari in una scialuppa sulla quale viene issata la
bandiera italiana, e che verrà poi rimorchiata a Valona dai rimorchiatori
arrivati a mezzogiorno.
Giunti appunto questi
rimorchiatori, a mezzogiorno l’Antares lascia
la zona e fa rotta per Brindisi a 17 nodi, la velocità massima raggiungibile in
condizioni di sicurezza compatibilmente con i danni alla prua subiti nella
collisione. Al contempo, il comandante Nicolini comunica a Marina Brindisi (che
ha già aggiornato a più riprese sull’evolversi degli eventi mediante messaggi
cifrati inviati per radiosegnalatore col tono di soccorso, dato che la radio
principale è in avaria) che l’Antares
non sarà in grado di raggiungere Italia e Piemonte
e riassumerne la scorta prima delle 14.45, ossia entro le rotte di sicurezza
(proprio per questo viene mandata loro incontro l’Aretusa). La torpediniera giunge in porto alle 15.10.
L’affondamento del Proteus da parte dell’Antares verrà annunciato il 9 gennaio
1941 dal bollettino di guerra n. 216 del Comando Supremo, che (tacendo
ovviamente la perdita del Sardegna)
annuncerà: «Una nostra torpediniera al
comando del tenente di vascello Nicolò Nicolini ha speronato ed affondato un
sommergibile nemico». Il bollettino n. 224, del 18 gennaio, preciserà
l’identità del battello distrutto: «Il
sommergibile speronato il 29 dicembre e citato nel bollettino n. 216 é
risultato essere il greco Proteus. Detto sommergibile, di costruzione
francese, dislocava 700 tonnellate in superficie e 930 in immersione; era
armato con otto tubi di lancio ed un cannone da 102 millimetri».
Il comandante Nicolò
Nicolini, da La Spezia, riceverà per l’affondamento del Proteus la Medaglia d’Argento al Valor Militare, con motivazione "Comandante di una torpediniera di scorta ad
un convoglio, avvistata la serie dei siluri lanciati da un sommergibile e
subito dopo la prora del sommergibile stesso parzialmente emersa, con rapida ed
ardita manovra portava la sua nave a speronare lo scafo nemico assicurandone
l’affondamento col successivo impiego delle armi appropriate. Si prodigava
quindi nel salvataggio dei naufraghi di un piroscafo silurato, riuscendo a
trarli tutti a salvamento nonostante le difficoltà dovute al mare agitato".
Il tenente di vascello Nicolò Nicolini, comandante dell’Antares nel 1940-1941 e poi ancora nel maggio 1943 (da www.difesa.it) |
Il comandante in
seconda, sottotenente di vascello Claudio Scarpato da Gaeta, verrà decorato con
la Medaglia di Bronzo al Valor Militare, con motivazione: "Ufficiale in 2a di una
torpediniera, durante un servizio di scorta, avvistava un sommergibile che
aveva eseguito un attacco con lancio contro un piroscafo. Coadiuvava
efficacemente il comandante durante la manovra di speronamento e
successivamente si prodigava con slancio, serenità ed abnegazione
nell’organizzare il salvataggio dei naufraghi e nel dare assistenza ai feriti".
Il guardiamarina Marco Zanuso, da Milano,
e l’aspirante Angelo Maggiolo, da Camogli, riceveranno la Croce di Guerra al
Valor Militare con motivazione "Imbarcato
su una torpediniera, nel corso di una azione, risolta con l’affondamento di un
sommergibile nemico, ha validamente contribuito alla riuscita della manovra ed
al difficile salvataggio dei naufraghi di un piroscafo silurato, prodigandosi
con slancio ed entusiasmo".
Da parte greca, si ha
contezza del successo del Proteus
già lo stesso 29 dicembre, in quanto alle dieci di quel mattino il
piroscafo greco Ionia capta un S.O.S.
seguito da un S.S.S. (segnale di attacco di sommergibili) provenienti entrambi
dal Sardegna, che indica di
trovarsi davanti alla baia di Valona. Dato che tale zona ricade all’interno del
settore operativo assegnato al Proteus,
i greci comprendono che questi deve essere il responsabile del siluramento, e
celebrano il successo colto dal loro sommergibile. La gioia per il successo muterà
però gradualmente in apprensione ed infine dolore, quando dal Proteus non giunge nessuna
comunicazione ed il sommergibile non fa più ritorno alla sua base.
Solo 10 gennaio 1941
i greci appresenderanno della sorte del Proteus, quando un comunicato radio italiano trasmesso alle 9.25
annuncerà che tre settimane prima la torpediniera Antares, di scorta ad un convoglio, ha affondato un sommergibile
nemico, senza sopravvissuti (doveva trattarsi probabilmente del bollettino del
9 gennaio, che però non faceva il nome dell’Antares,
bensì quello del suo comandante). Tutto l’equipaggio del Proteus riceverà una promozione postuma, con decreto del 19
novembre 1941; il comandante Hadjikonstantis verrà decorato con la Croce al
Valore greca (massima decorazione militare ellenica), gli ufficiali la Croce di
Guerra di seconda classe, il resto dell’equipaggio la Croce di Guerra di terza
classe.
Così l’allora
sergente Giovanni Munari, dell’Antares,
ricorda gli eventi del 29 dicembre 1940: “La
mattina del 29 dicembre 1940 alle ore 7.30 l’Antares, la sola nave di scorta,
no copertura aerea, lasciava la baia di Valona per scortare 3 piroscafi a
Brindisi, il Piemonte, l’Italia e il Sardegna. I piroscafi navigavano in fila
indiana 50/60 metri l’uno dall’altro, e l’Antares continuava a girare intorno
al convoglio trovandosi ora su un lato ora sull’altro del convoglio. Due ore
fuori da Valona, mentre l’Antares si trovava sul lato destro del convoglio, un
sommergibile in agguato sul lato sinistro silurava e affondava il piroscafo Sardegna
che dava l’allarme. L’Antares partiva a tutta forza passato il piroscafo di
testa con una virata stretta si portava sul lato del sommergibile, che non
sapremo mai il perché stava salendo in superficie, così vicino che fu
impossibile usare le artiglierie; perciò il comandante Nicolò Nicolini a tutta
forza speronava il sommergibile investendolo giusto a proravia della torretta
che affondava, del suo equipaggio non fu possibile salvare nessuno. Noi dopo
avere salvato circa 200 naufraghi del Sardegna a velocità molto ridotta e la
nave molto appruata per il grande foro causato alla prora siamo riusciti a
raggiungere Brindisi l’Antares entrava
subito dentro un bacino galleggiante. (Faccio presente che a quel tempo l’Antares
non era ancora munita di ecogoniometro)”.
Due
immagini della prua dell’Antares
danneggiata dallo speronamento del Proteus,
scattate a Brindisi il pomeriggio del 29 dicembre 1940 (g.c. STORIA militare)
ca. 1940-1941
Lavori di modifica
dell’armamento: tre delle quattro mitragliere binate da 13,2/76 mm, poco
efficaci, vengono sostituite con altrettante mitragliere binate Breda 1935 da
20/65 mm. Vengono inoltre imbarcati due scaricabombe per bombe di profondità,
incrementando la dotazione di b.t.g. a 40.
8 aprile 1941
In seguito
all’intercettazione e decifrazione, da parte del Reparto Informazioni della
Regia Marina (che già da tempo ha decrittato i principali codici in uso presso
la Marina jugoslava), di messaggi jugoslavi relativi a previste operazioni
navali contro Zara – è iniziata, due giorni prima, l’invasione della Jugoslavia
da parte delle truppe dell’Asse – Supermarina ordina l’urgente trasferimento ad
alta velocità della XII Squadriglia Torpediniere (Antares, Altair, Aretusa, Aldebaran) da Brindisi all’Alto Adriatico, per intercettare le
unità jugoslave quando queste dovessero uscire da Sebenico. Il trasferimento
della squadriglia, in condizioni di maltempo, avviene con immediatezza.
Il piano jugoslavo,
che Supermarina apprende nella notte tra il 7 e l’8 aprile grazie alle
decrittazioni, prevede che l’attacco contro Zara dell’esercito jugoslavo sia
appoggiato dal mare dalle torpediniere T
2, T 5, T 6 e T 7, dalla nave
appoggio idrovolanti Zmaj e dalle
motosiluranti Rudnik, Kajmakcalan, Durmitor e Dinara, nonché
dall’aviazione navale jugoslava e da parte dell’aeronautica; queste forze sono
radunate a Sebenico. Inoltre, ulteriori decrittazioni rivelano che dovranno
partecipare all’operazione contro Zara anche i sommergibili Osvetnik e Hrabri.
L’intervento della
XII Squadriglia non si renderà necessario, perché un bombardamento eseguito lo
stesso 8 aprile dalla Regia Aeronautica (con 34 bombardieri FIAT BR. 20) contro
il porto Sebenico, dove sono concentrate le unità jugoslave destinate
all’attacco contro Zara, provocherà il danneggiamento della nave appoggio
idrovolanti Zmaj – destinata
all’operazione quale nave comando, trasporto ed antiaerei – ed il conseguente
annullamento dell’intera operazione (in ogni caso, la Regia Aeronautica
bombarderà ancora Sebenico il 10, 11, 12 e 13 aprile, danneggiando il
rimorchiatore di salvataggio Spasilac
e, in modo lieve, le torpediniere T 2
e T 5, oltre a distruggere alcuni
idrovolanti, ed inducendo il Comando della Marina jugoslava ad ordinare il
trasferimento a Cattaro delle motosiluranti).
Il 9 aprile
l’esercito jugoslavo (Divisione "Jadranska" e due reggimenti
"Odred"), senza il previsto appoggio della sua Marina, attaccherà
ugualmente Zara, ma verrà respinto dai 9000 uomini del presidio italiano.
9 aprile 1941
L’Antares e l’incrociatore ausiliario Brioni partono da Brindisi alle quattro
del mattino per scortare a Valona il piroscafo Francesco Crispi e la motonave Viminale,
che hanno a bordo 2478 tra ufficiali e soldati e 142 tonnellate di materiali.
Il convoglio giunge a Valona alle 10.45.
10 aprile 1941
Antares, Crispi e Viminale (vuoti) lasciano Valona alle 13
e raggiungono Brindisi alle 20.45.
14 aprile 1941
Le unità della XII
Squadriglia Torpediniere, su ordine dell’ammiraglio Oscar Di Giamberardino
(comandante del Dipartimento Militare Marittimo dell’Alto Adriatico), occupano
le isole croate di Selve, Isto ed Ulbo. Compiuta l’occupazione senza incontrare
resistenza, le torpediniere raggiungono Brindisi, dove avevano avuto ordine di
rientrare già dalla sera precedente.
22 aprile 1941
L’Antares parte da Brindisi alle 4.20 per
scortare a Valona, dove giunge alle 13.15, i piroscafi Aprilia e Costante,
carichi di materiali vari.
23 aprile 1941
Lascia Valona alle 6
per scortare a Brindisi la motonave Filippo
Grimani, con a bordo 81 prigionieri, ed il piroscafo Goffredo Mameli, scarico. Le tre navi arrivano a Brindisi alle
14.35.
L’Antares nella primavera del 1941 (Coll. Aldo Fraccaroli, via Maurizio Brescia e www.associazione-venus.it) |
24 aprile 1941
L’Antares e l’Aretusa partono da Brindisi alle 24 per scortare a Cattaro la
motonave Piero Foscari, in missione
speciale.
25 aprile 1941
Antares, Aretusa e Foscari giungono a Cattaro alle 10.
29 aprile 1941
L’Antares e l’incrociatore ausiliario Barletta salano da Brindisi alle 00.20
per scortare a Cattaro la motonave Città
di Agrigento, anch’essa in missione speciale. Il piccolo convoglio giunge a
destinazione alle 13.
3 maggio 1941
L’Antares salpa da Brindisi alle
16.40 insieme ad Altair ed Aretusa ed al vecchio incrociatore Bari (nave di bandiera
dell’ammiraglio di squadra Vittorio Tur, comandante della Forza Navale Speciale
ed incaricato degli sbarchi nelle Isole Ionie) per scortare i trasporti truppe Francesco Crispi, Argentina e Galilea, che
devono sbarcare le truppe destinate all’occupazione dell’isola di Cefalonia, al
termine della campagna di Grecia. I tre piroscafi hanno a bordo 112 ufficiali e
2946 soldati della 33a Divisione Fanteria "Acqui" (nonché
reparti di fanti di Marina del Reggimento "San Marco" e di camicie
nere da sbarco al comando del console generale della M.V.S.N. Marino Marino),
oltre al relativo materiale divisionale, comprensivo di viveri, automezzi e
quadrupedi.
A Cefalonia, la più
grande ed importante delle Isole Ionie (per via della presenza della base di
Argostoli), sono già stati paracadutati dei reparti di paracadutisti.
L’occupazione delle Isole Ionie è stata decisa prima ancora che l’armistizio di
Atene ponesse fine alle ostilità con la Grecia, pertanto l’ammiraglio Tur ha
pianificato l’operazione con il presupposto che vi sarebbero potuti essere
scontri armati; l’invio di una motovedetta in avanscoperta nel Canale di Corfù,
tuttavia, non ha provocato alcuna reazione da parte della guarnigione dell’isola,
ed il 28 aprile, all’apparire dei bombardieri sui cieli di Corfù, è apparsa
sull’isola una bandiera bianca. L’indomani l’isola è stata pacificamente
occupata con truppe sbarcate da due motocisterne; il 30 aprile sono state
occupate anche Itaca e Santa Maura con truppe aviolanciate e sono stati
lanciati paracadutisti su Zante e Cefalonia per stabilire i primi contatti.
L’ordine esecutivo
per l’occupazione di Cefalonia è stato impartito da Supermarina al comando
della Forza Navale Speciale alle 10.40 del 3 maggio, tramite il Comando Marina
di Brindisi; nei giorni precedenti le navi della F.N.S. erano state sorvolate
da ricognitori ed anche attaccate dall’aviazione nemica, senza però subire
danni.
4 maggio 1941
La notte è
chiarissima, con luna piena e cielo sereno. Superata Otranto, la formazione
italiana dirige verso l’isola di Fano e poi segue la costa fino a Cefalonia, in
modo da restare il più lontano possibile dalla probabile area di agguato dei
sommergibili britannici. Durante la navigazione il convoglio gode della
protezione aerea fornita da idroricognitori CANT Z. 501 e CANT Z. 506 decollati
da Taranto e da aerei da caccia della IV Zona Aerea Territoriale.
In mattinata, le navi
della F.N.S. arrivano a 6 miglia dall’estremità occidentale di Cefalonia, dove
incontrano il posamine Azio ed alcuni
dragamine, che le precedono sulla rotta per Argostoli.
Il convoglio giunge
ad Argostoli (Cefalonia) a mezzogiorno, e vi sbarca rapidamente il corpo di
occupazione, senza incontrare opposizione o particolare ostilità dalla
popolazione affamata (l’ammiraglio Tur scriverà anche, nelle sue memorie, che
l’arrivo delle truppe italiane fu accolto favorevolmente, che la popolazione
“venne anche in aiuto alle operazioni di sbarco” e che “i battellieri chiesero
la bandiera italiana per issarla sulle loro imbarcazioni”, ma questo sembra un
po’ eccessivo). Le truppe vengono messe a terra dall’Azio, dall’Aretusa e
dalle imbarcazioni del Bari e dei
trasporti truppe, mentre Antares ed Altair vengono distaccate nella baia col
compito di difendere lo sbarco da eventuali attacchi aerei, subacquei o
siluranti. Terminato lo sbarco, l’ammiraglio Tur si reca a terra per rivolgere
il suo saluto alle truppe.
I piroscafi scarichi
ripartono al tramonto, e rientrano a Brindisi seguendo le medesime rotte
dell’andata.
Alcune
foto dell’Antares scattate in
occasione dell’occupazione di Cefalonia (Archivio Centrale dello Stato):
10 maggio 1941
L’Antares, l’Aretusa ed il vecchio incrociatore leggero Bari partono da Brindisi alle 16.15 per scortare a Patrasso la
motonave Viminale, avente a bordo
truppe del Reggimento "San Marco" e personale della Marina incaricato
di organizzare i nuovi comandi e servizi della Regia Marina creati a Patrasso e
Capo Papas (sede quest’ultimo di una stazione di vedetta che dovrà essere
rimessa in efficienza) dopo la caduta della Grecia.
Per garantire la
sicurezza del viaggio, il tratto di mare a nord di Capo Papas (all’entrata del
Golfo di Patrasso) è stato sottoposto a dragaggio preventivo.
11 maggio 1941
Il piccolo convoglio
giunge a Patrasso alle 14.30. Lo stesso giorno vengono formalmente istituiti il
Comando Marina di Patrasso ed il Comando Militare Marittimo della Grecia
Occidentale (Marimorea), avente anch’esso sede a Patrasso, retto inizialmente
dall’ammiraglio Vittorio Tur (comandante della Forza Navale Speciale, giunto a
Patrasso sul Bari, sua nave ammiraglia) cui il 18 giugno subentrerà
l’ammiraglio Alberto Marenco di Moriondo. A Capo Papas vengono costituiti un
Comando dei Servizi Militari Marittimi ed un Comando difesa militare marittima
(Maridife).
16 maggio 1941
Antares ed Aretusa scortano la
Viminale ed il piroscafo Laura C. da Patrasso a Taranto.
19 maggio 1941
L’Antares scorta da Patrasso a Bari la Viminale, con a bordo 1210 militari
nonché materiali vari.
28 maggio 1941
Antares, Aretusa e Barletta partono da Taranto alle 4.55
scortando le motonavi Città di Agrigento
e Caldea ed il piroscafo Dubac, carichi di truppe e materiali. Il
convoglio raggiunge dapprima Argostoli, dove si ferma la Città di Agrigento, e poi prosegue per Patrasso e Rodi.
10 giugno 1941
L’Antares scorta da Patrasso a Brindisi i
piroscafi tedeschi Achaia, Trapani, Spezia e Livorno, aventi
a bordo 5000 prigionieri.
24 giugno 1941
Scorta da Brindisi a
Missolungi i piroscafi Perla, Zena e Sant’Agata, che trasportano complessivamente 2460 tonnellate di
materiale militare.
15 luglio 1941
L’Antares ed il cacciatorpediniere Augusto Riboty scortano da Brindisi a
Patrasso i piroscafi Francesco Crispi,
Argentina e Galilea e la motonave Viminale,
carichi di truppe italiane e tedesche, autoveicoli, rimorchi e materiali vari.
Crispi, Argentina e Viminale (da sinistra a destra) fotografati da bordo dell’Antares, nella missione del 15 luglio 1941 (foto tratta da “The Italian Navy in World War II” di James Sadkovich) |
18 luglio 1941
Antares e Riboty scortano da
Valona a Patrasso Crispi, Argentina, Viminale e Galilea,
carichi di truppe e materiali.
28 luglio 1941
L’Antares parte da Brindisi alle due
scortando il piroscafo Capo Orso,
diretto a Bengasi. Alle 21.30 la torpediniera lascia la scorta del piroscafo,
che raggiungerà felicemente la sua destinazione dopo essere stato raggiunto
dalla torpediniera Generale Achille Papa.
2 agosto 1941
L’Antares scorta da Valona a Brindisi,
insieme all’incrociatore ausiliario Arborea,
la motonave Puccini, carica di truppe
rimpatrianti.
Da Brindisi la
torpediniera raggiunge poi Taranto e ne parte alle 21.30 scortando la motonave Cilicia, diretta a Bengasi. La
torpediniera accompagna la motonave fin nelle acque della Libia, poi la lascia
proseguire da sola (arriverà indenne a Bengasi alle 11 del 5 agosto).
12 agosto 1941
Antares e Barletta scortano Crispi e Galilea, carichi di personale militare diretto a varie
destinazioni, da Brindisi a Patrasso.
15 agosto 1941
Antares e Barletta scortano il
Galilea che rientra da Patrasso a
Brindisi con truppe rimpatrianti.
17 agosto 1941
L’Antares e l’incrociatore ausiliario Attilio Deffenu scortano da Valona a
Brindisi la Città di Savona,
avente a bordo personale militare rimpatriante.
27 agosto 1941
L’Antares parte da Brindisi all’una di
notte (per altra fonte, le due) scortando il piroscafo Alfredo Oriani e la motonave Cilicia,
diretti a Bengasi.
28 agosto 1941
Alle tre di notte,
come stabilito dall’ordine d’operazione del Comando Marina di Brindisi, l’Antares lascia il convoglio, che
prosegue da solo, e si allontana verso est per rientrare in porto: è questa la
prassi, all’epoca, per i mercantili di dimensioni medio-piccole avviati verso
Bengasi lungo la rotta che passa ad est di Malta. Di solito tutto fila liscio,
ma stavolta le cose andranno male: l’Oriani
sarà danneggiato da bombardieri e costretto a tornare indietro, e la Cilicia verrà affondata dal sommergibile
britannico Rorqual.
Lasciato il convoglio
Oriani-Cilicia, il giorno stesso l’Antares
raggiunge Prevesa e scorta da quel porto ad Argostoli, insieme all’incrociatore
ausiliario Brindisi, la
motonave Città di Bastia ed
il piroscafo Sant’Agata, carichi
di truppe e materiali.
30 agosto 1941
Antares e Brindisi
scortano le motonavi Città di Bastia e Città di Trapani, cariche di truppe
rimpatrianti, da Argostoli a Prevesa, e poi a Brindisi.
4 settembre 1941
L’Antares ed il Deffenu scortano da Bari a Durazzo la motonave Città di Trapani ed i
piroscafi Milano e Rosandra, che trasportano personale
militare italiano.
7 settembre 1941
Antares e Deffenu scortano
da Durazzo a Bari Città di Trapani, Rosandra e Milano, che trasportano 2900 militari
rimpatrianti.
Il giorno
stesso, Antares e Deffenu ripartono da Bari e
scortano a Durazzo Città di Trapani, Italia e Quirinale, che trasportano personale dell’Esercito e della Marina
nonché materiali dell’Esercito e dell’Aeronautica.
10 settembre 1941
Antares e Deffenu scortano
da Bari a Durazzo Italia e Quirinale, che trasportano materiali
vari e personale dell’Esercito e dell’Aeronautica avente destinazioni varie.
10 ottobre 1941
L’Antares e l’incrociatore ausiliario Zara scortano da Bari a Durazzo i
piroscafi Italia, Milano e Rosandra, con a bordo personale e materiale militare.
11 ottobre 1941
Antares e Zara scortano da
Durazzo a Bari Italia, Milano e Rosandra che rientrano trasportando truppe rimpatrianti.
12 ottobre 1941
Antares e Deffenu scortano
da Bari a Patrasso i piroscafi Piemonte e Francesco Crispi e la motonave Viminale, aventi a bordo truppe e
materiali vari dell’Esercito e della Marina.
15 ottobre 1941
L’Antares scorta le motonavi Calino e Calitea da Patrasso a Brindisi.
4 dicembre 1941
L’Antares scorta da Taranto a Patrasso i
piroscafi Orione, Tripoli e Vincente, carichi di materiali vari.
9 dicembre 1941
Scorta da Patrasso ad
Argostoli la nave cisterna Caucaso.
11 dicembre 1941
Scorta da Patrasso a
Navarino il piroscafo Tripoli.
12 dicembre 1941
Scorta il Tripoli da Patrasso a Zante.
17 dicembre 1941
Scorta da Bari a
Corfù la nave cisterna romena Balcic.
L’Antares nel 1941 (da “Le torpediniere italiane 1881-1964” di Paolo Mario Pollina, 2a edizione, USMM, Roma 1974, via Marcello Risolo e www.naviearmatori.net) |
3 gennaio 1942
L’Antares salpa da Taranto alle 15.06
insieme alle gemelle Castore ed Aretusa ed alla più moderna torpediniera
di scorta Orsa, scortando la
motonave Monviso e la
petroliera Giulio Giordani,
nell’ambito dell’operazione di rifornimento «M. 43». Nell’ambito di questa operazione, Antares, Orsa, Monviso, Giordani, Castore ed Aretusa
compongono il convoglio numero 3; la «M. 43» prevede in tutto l’invio in Libia
di cinque grandi motonavi da carico ed una petroliera, tutte veloci (almeno 14
nodi) e di recente costruzione, con una scorta poderosa: oltre alle siluranti
di scorta di ciascun convoglio, vi sono una forza di “scorta diretta
incorporata nel convoglio” (ammiraglio di squadra Carlo Bergamini, con il
compito di respingere eventuali attacchi di formazioni leggere di superficie
come la Forza K) composta dalla corazzata Duilio con gli incrociatori leggeri Emanuele Filiberto Duca d’Aosta, Raimondo Montecuccoli, Muzio
Attendolo e Giuseppe
Garibaldi ed i cacciatorpediniere Maestrale, Scirocco, Alfredo Oriani e Vincenzo Gioberti, ed un gruppo
d’appoggio a distanza (ammiraglio di squadra Angelo Iachino, con l’incarico di
proteggere il convoglio da un eventuale attacco in forze della Mediterranean
Fleet) formato dalle corazzate Littorio, Giulio Cesare ed Andrea Doria, dagli incrociatori
pesanti Trento e Gorizia e dai
cacciatorpediniere Aviere, Geniere, Carabiniere, Alpino, Camicia Nera, Ascari, Antonio Pigafetta ed Antonio Da Noli. Alla scorta aerea
concorrono la Regia Aeronautica (Armata Aerea e Ricognizione Marittima) e la
Luftwaffe (II Corpo Aereo Tedesco e X Corpo Aereo Tedesco, di base l’uno in
Sicilia e l’altro in Grecia) per effettuare ricognizione sul porto della
Valletta (Malta) e nelle acque di Alessandria, bombardamenti preventivi sugli
aeroporti maltesi e scorta di caccia, antiaerosilurante ed antisommergibile sui
cieli del convoglio nonché a protezione delle navi impegnate nello scarico una
volta giunte a Tripoli. Completa il dispositivo di difesa la dislocazione di
undici sommergibili sulle probabili rotte che una ipotetica forza navale nemica
dovrebbe percorrere per attaccare il convoglio.
4 gennaio 1942
Tra le 4 e le 11,
come previsto, il convoglio 2 si unisce ai convogli 1 (motonavi Monginevro, Lerici e Nino Bixio,
cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi, Nicoloso Da Recco, Antoniotto Usodimare, Bersagliere e Fuciliere) e 3 (motonave Gino Allegri, cacciatorpediniere Freccia, torpediniera Procione), partiti rispettivamente da
Messina e Brindisi; si forma così un unico grande convoglio, il cui caposcorta
è il contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone sul Vivaldi. La III Divisione
Navale (Trento e Gorizia) del gruppo d’appoggio viene
avvistata da un ricognitore britannico; da Malta decolla una formazione aerea
per attaccare, ma deve rientrare senza essere riuscita a trovare il convoglio.
Al tramonto il gruppo «Duilio» s’incorpora nella formazione del convoglio, che
durante la notte mette la prua su Tripoli.
5 gennaio 1942
Il gruppo «Duilio»
lascia il convoglio, che giunge indenne a Tripoli alle 12.30 senza aver subito
alcun attacco.
Con l’operazione «M.
43» giungono in Libia 901 uomini, 520 veicoli, 144 carri armati, 15.379
tonnellate di carburante, 2417 tonnellate di munizioni e 10.242 tonnellate di
altri materiali.
13 gennaio 1942
Scorta da Taranto a
Corfù il piroscafo italiano Polcevera
e la nave cisterna bulgara Balkan.
15 gennaio 1942
L’Antares ed il cacciatorpediniere Riboty scortano da Corfù a Patrasso Polcevera, Balkan ed il piroscafo tedesco Hans
Harp.
7 febbraio 1942
L’Antares scorta da Taranto a Corfù il
piroscafo Potestas.
8 febbraio 1942
L’Antares, gli incrociatori ausiliari Egitto e Città di Napoli, e le vecchie torpediniere Francesco Stocco e Generale
Carlo Montanari scortano da Corfù a Patrasso un grosso convoglio
formato dai piroscafi Città di
Bergamo, Potestas, Volodda, Vesta, Mameli, Hermada, Rosario e Salvatore.
9 febbraio 1942
L’Antares e l’incrociatore ausiliario Città di Genova scortano da Patrasso a
Bari la motonave Calino.
13 febbraio 1942
Antares, Città di Genova
e la vecchia torpediniera Antonio Mosto scortano
da Bari a Durazzo un convoglio composto dai piroscafi Aventino, Italia e Città di Catania con truppe e
materiali. Alle 11.40 un sommergibile lancia due siluri contro le navi
italiane, ma nessuna arma va a segno.
15 febbraio 1942
Antares, Mosto e Città di Genova scortano da Durazzo a
Bari gli stessi tre piroscafi del viaggio precedente, ora carichi di truppe
rimpatrianti.
4 aprile 1942
L’Antares e la torpediniera Stocco scortano da Taranto ad Argostoli
la pirocisterna Alberto Fassio ed i piroscafi Pluto e Rhea (quest’ultimo tedesco).
16 giugno 1942
L’Antares, l’Aretusa e la Sagittario
vengono fatte salpare da Taranto alle 3.10, su ordine di Supermarina, per
andare a rinforzare la scorta antisommergibili delle corazzate Littorio (nave di bandiera del comandante
della Squadra Navale, ammiraglio Angelo Iachino) e Vittorio Veneto, che
stanno rientrando a Taranto dopo aver partecipato, in Mediterraneo orientale,
alla battaglia aeronavale di Mezzo Giugno. Il rinforzo alla scorta
antisommergibili è stato disposto da Supermarina per proteggere il più
possibile le navi da attacchi di sommergibili, specialmente dato che la Littorio è stata danneggiata da un
aerosilurante: alcune ore prima l’incrociatore pesante Trento, immobilizzato da un aerosilurante, è stato affondato dal
sommergibile britannico Umbra mentre
si tentava di prenderlo a rimorchio.
Verso le 8.30 Antares, Aretusa e Sagittario
raggiungono la squadra, sostituendo i cacciatorpediniere Euro e Turbine e la
torpediniera Partenope (in precedenza
inviati a rinforzare la scorta, provenendo da porti della Grecia), che possono
così lasciare la formazione e raggiungere le rispettive destinazioni (Argostoli
per la Partenope, Brindisi per i cacciatorpediniere). Intorno alle nove del
mattino un caccia della Luftwaffe lancia alcune bombette fumogene in mare sul
lato dritto della formazione, così avvertendo le navi italiane della presenza
di un sommergibile in quel punto; le navi accostano immediatamente a sinistra,
anche se non vengono avvistati periscopi.
Alle 10.35 la formazione
imbocca le rotte di sicurezza e smette di zigzagare, restando però in allerta,
dato che non è del tutto impossibile che qualche sommergibile nemico si sia
spinto anche nelle zone minate. I sommergibili britannici della I Flottiglia si
sono effettivamente spostati, nel corso della notte, poco a sud di Santa Maria
di Leuca, posizionandosi nei pressi delle rotte percorse dalla squadra
italiana; pur essendosi portati, entro il sorgere del sole, in una buona
posizione per l’attacco (specie il Thrasher
ed il Porpoise, che pur non ricevendo
da ore aggiornamenti sulla posizione delle unità italiane sono riusciti a
prevederne le rotte di ritorno con buona precisione), non riusciranno ad
attaccare.
Alle 16 il gruppo
«Littorio», formato dalle due corazzate e dalla loro scorta, attraversa le
ostruzioni di Taranto ed entra in porto, seguito ventuno minuti più tardi dal
gruppo «Garibaldi», formato dagli incrociatori. Ha così termine la battaglia di
Mezzo Giugno.
23 giugno 1942
L’Antares esce da Messina per prestare
assistenza alla motonave Mario
Roselli, silurata ed immobilizzata da un attacco aereo a 39 miglia per 134°
da Capo Rizzuto, durante la navigazione in convoglio da Palermo a Bengasi. Da
Taranto e Crotone escono in soccorso, rispettivamente, anche la torpediniera Enrico Cosenz con tre rimorchiatori (Gagliardo, Fauna e Portoferraio; per
altra fonte il Fauna sarebbe partito
da Crotone), e la torpediniera Aretusa.
Giunte sul posto, Antares ed Aretusa rimpiazzano la Partenope ed il cacciatorpediniere Turbine, appartenenti alla scorta del
convoglio di cui la Roselli faceva
parte, nella scorta della motonave danneggiata.
La Roselli, presa a rimorchio dapprima
dalla torpediniera Orsa (capitano
di corvetta Eugenio Henke) della scorta diretta (dopo un primo tentativo
fallito da parte della torpediniera Partenope)
e poi dal rimorchiatore Pluto di
Taranto (per altra fonte, partito da Crotone), può essere condotta in salvo a
Taranto, dove giungerà alle 12.35 del 25 giugno, scortata da Antares ed Aretusa.
La nave nell’estate del 1942 (g.c. Marcello Risolo, via Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net) |
2 luglio 1942
L’Antares salpa alle 13 da Taranto insieme
ai cacciatorpediniere Turbine, Euro e Giovanni Da Verrazzano (caposcorta) ed alle torpediniere Castore, Polluce, Pegaso e San Martino, per scortare a Bengasi un
convoglio composto dalle moderne motonavi Monviso, Nino Bixio ed Ankara (quest’ultima tedesca).
Si tratta del primo
importante convoglio dopo la riconquista di Tobruk da parte dell’Asse, con un
carico complessivo di 8182 tonnellate di munizioni e materiali, 1247 tonnellate
di carburanti e lubrificanti, sette carri armati e 439 veicoli; la Monviso ha a bordo 128 automezzi,
due carri armati, 300 tonnellate di carburanti e lubrificanti e 3020 tonnellate
di altri materiali (tra cui materiale d’artiglieria e munizioni), oltre a 165
militari.
Già alle 14.18 il servizio
di decrittazione britannico “ULTRA” intercetta e decifra un messaggio
codificato dalla macchina “Enigma”, apprendendo così della partenza del
convoglio; successive decrittazioni precisano la composizione della scorta e la
rotta che il convoglio seguirà (rotte costiere e di sicurezza fino alle 4.30
del 3 luglio, quando Sagittario e San Martino si devono unire alla
scorta, dopo aver completato un rastrello in quelle acque; indi riunione con
convoglio che deve passare probabilmente a sudovest di Capo Gherogambo).
Vengono dunque disposti attacchi aerei contro il convoglio, ed un ricognitore
viene inviato a cercarlo, in base alle informazioni di “ULTRA”, per precisarne
meglio la posizione.
Tuttavia, anche
l’Ufficio Beta del Servizio Informazioni Segrete (il servizio segreto della
Regia Marina) è al lavoro: la sera del 2 luglio gli uomini del SIS intercettano
e decrittano un messaggio radio inviato alle 20.40 da Malta ai ricognitori YU3Y
e 86KK, con l’ordine di cambiare rotta e cercare 30 miglia più ad est delle
posizioni assegnate. Il messaggio è codificato col sistema SYKO, che i
decrittatori del SIS sono riusciti a decifrare; inoltre, rilevazioni
radiogoniometriche permettono di localizzare i ricognitori britannici (a 150
miglia per 350° da Bengasi l’uno, a 90 miglia per 350° da Bengasi l’altro).
Alle 21.40, così, Supermarina invia al convoglio dell’Antares un messaggio PAPA (Precedenza Assoluta sulle
Precedenze Assolute) ed informa il capoconvoglio che i britannici conoscono la
loro posizione: in tal modo, il capoconvoglio cambia rotta.
La Pegaso rileva all’ecogoniometro un
sommergibile nemico e lo attacca con intenso lancio di bombe di profondità,
ritenendo di averlo affondato, ma in realtà non è stato colpito nulla (è
possibile che il sommergibile stesso fosse solo un falso contatto).
3 luglio 1942
Nonostante il
cambiamento di rotta, alle 3.30 il ricognitore H3TL riesce a trovare il
convoglio, e lo comunica per radio a Malta. Di nuovo, però, il SIS intercetta e
decifra il messaggio, e nel giro di mezz’ora Supermarina invia un nuovo
avvertimento al convoglio, che cambia di nuovo rotta. La mattina ed il
pomeriggio il convoglio procede senza incontrare forze britanniche.
Alle 15.13 ed alle
16.13, però, il SIS intercetta nuovi messaggi in codice britannici, e scopre
che da Malta sono decollati otto aerosiluranti Bristol Beaufort.
Infatti il convoglio
è stato avvistato da ricognitori nel pomeriggio, ed alle 18.30 sono decollati
per attaccarlo otto aerosiluranti Bristol Beaufort, scortati da cinque caccia
Bristol Beaufighteer; due degli aerei, però, non sono riusciti a decollare, ed
altri due sono stati costretti a tornare indietro poco dopo il decollo. I
rimanenti attaccano il convoglio alle 20.10, da est, provenendo dalla direzione
opposta del crepuscolo e delle navi della scorta. Due aerei attaccano il
mercantile al centro (la Bixio),
altri due il mercantile di coda; questi ultimi due vengono abbattuti dal tiro
contraereo della scorta (per altra fonte i Beaufort attaccanti erano sei, di
cui tre abbattuti). Nonostante la coordinazione con i Beaufighters, che
mitragliano le navi per contrastare il loro tiro contraereo, l’attacco
britannico fallisce completamente: nessuna nave è colpita.
(Secondo una fonte,
sempre in serata il convoglio viene attaccato da tre aerosiluranti Vickers
Wellington, guidati da un Wellington VIII dotato di radar ASV – Air to Surface
Vessel, per l’individuazione delle navi da parte di un aereo –, ma anche in
questo caso non vengono subiti danni. È però probabile una confusione col
successivo attacco di Wellington del 4 luglio).
4 luglio 1942
Alle 00.18 ed alle
00.42 il ricognitore N1KL invia due segnali di scoperta del convoglio, seguiti
all’una di notte da un terzo segnale, lanciato dal ricognitore ZZ7P. Sono
decollati da Malta cinque velivoli Vickers Wellington, due dei quali armati con
siluri e tre con bombe da 227 kg: la scorta del convoglio, però, occulta i
mercantili con cortine fumogene, e gli attaccanti devono sganciare bombe e
siluri pressoché a caso, senza riuscire a vedere i bersagli. Nessuna bomba o
siluro va a segno.
Nella mattinata del 4
luglio, nuovo attacco: stavolta da parte di tre Wellington e tre bombardieri
quadrimotori Consolidated B-24 “Liberator”, tutti della Royal Air Force,
decollati dall’Egitto. I Wellington non riescono a trovare il convoglio; i B-24
invece sì, ma le loro bombe non vanno a segno.
Alle 10.30 ed alle
14.15 (quando l’Ankara viene
mancata da quelli che sembrano dei siluri) il convoglio viene attaccato da
sommergibili (ma è probabile che si sia trattato di falsi allarmi).
Il britannico Turbulent (capitano di fregata John
Wallace Linton) avvista le alberature e poi le navi italiane alle 11.10, in
posizione 33°30’ N e 20°30’ E (un’ottantina di miglia a nord di Bengasi), ma
viene localizzato dal sonar della Pegaso alle
11.41, venendo costretto ad interrompere l’attacco, e subisce poi una caccia
antisom che inizia alle 11.48: la prima scarica di 6 bombe di profondità,
lanciata in posizione 33°28’ N e 20°28’ E, esplode molto vicina ma causa
soltanto danni minori; successivamente vengono gettate molte altre bombe di
profondità, che però esplodono più lontane. Da parte italiana si ritiene,
erroneamente, di avere affondato il sommergibile; comunque, l’attacco è
sventato.
Il convoglio giunge
indenne a Bengasi alle 18.45.
Subito (leggera
discrepanza negli orari: 18.15 è indicato come l’ora di partenza) l’Antares riparte per scortare a
Brindisi, insieme alle torpediniere Castore, Polluce e Pegaso, la motonave Rosolino
Pilo. Alle 19 queste navi si uniscono alle motonavi Sestriere e Vettor Pisani, scortate dal
cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco e
dalle torpediniere Lince e Calatafimi, e formano un unico grande
convoglio, l’«M», con il Da Recco come
caposcorta.
5 luglio 1942
Alle 7 si unisce alla
scorta la torpediniera Sagittario,
ed alle 8.30 si aggrega anche il Da
Verrazzano, che però se ne va dopo
tre ore.
Alle 24 anche
la Polluce lascia il
convoglio per dirigere su Patrasso, come da ordini in precedenza ricevuti.
6 luglio 1942
Alle 5.30 anche
la Sagittario lascia il
convoglio per raggiungere Taranto, in base a disposizioni prestabilite. Il
convoglio raggiunge Brindisi alle 14.
23 luglio 1942
Alle 12.30 (o 13) l’Antares parte da Taranto scortando la
motonave Vettor Pisani
(comandante civile capitano di lungo corso Cesare, comandante militare tenente
di vascello Mancini) diretta a Tobruk con un carico di 2052 tonnellate di
carburante e lubrificanti, 503 tonnellate di materiale vario, 48 tonnellate di
alcool, 165 tra automezzi e rimorchi, cinque carri armati ed un motoscafo.
I britannici sono al
corrente del viaggio: le decrittazioni di “ULTRA” hanno rivelato lo stesso 23
luglio che la Pisani partirà
da Taranto quel giorno, a mezzogiorno, scortata dall’Antares, procedendo a 14 nodi, per raggiungere Navarino alle 18 del
24 e poi da lì ripartire alle 6.30 del 25 alla volta di Tobruk, con arrivo
previsto per le 8 del 26.
Verso le 18, al
traverso di Santa Maria di Leuca, l’Antares viene
sostituita dalle torpediniere Orsa (capitano
di corvetta Eugenio Henke, che divenne caposcorta) e Calliope, inviate da Brindisi, dopo di che inverte la rotta per
rientrare a Taranto. La Vettor Pisani
verrà successivamente attaccata ed incendiata da aerosiluranti, pur riuscendo
ad evitare l’affondamento; sarà portata ad incagliare a Cefalonia.
28 luglio 1942
L’Antares scorta da Taranto a Patrasso i
piroscafi Daniele Bianchi e Goffredo Mameli.
31 luglio 1942
Antares e Brindisi
scortano da Patrasso a Taranto i piroscafi cisterna Alberto Fassio e Sanandrea.
7 agosto 1942
Antares ed Aretusa scortano da
Taranto al Pireo il piroscafo Fougier
e la nave cisterna Sanandrea.
10 agosto 1942
L’Antares scorta da Patrasso a Valona il
piroscafo Re Alessandro.
17-18 agosto 1942
L’Antares, il cacciatorpediniere Folgore e la torpediniera Calliope (quest’ultima unitasi alle
16.30 del 17 dopo un rastrello antisommergibili nelle acque di Capo Dukato) scortano
la motonave Unione dall’Italia a
Patrasso, dove arrivano il mattino del 18. [notizia
di fonte incerta]
21 agosto 1942
Scorta la Sanandrea da Patrasso a Corfù. Qui la Sanandrea imbarca il carico della nave
cisterna Poza Rica, danneggiata da
aerosiluranti durante la navigazione in convoglio da Messina a Bengasi e
portata ad incagliare sulla costa corfiota.
30 agosto 1942
Alle 5.50 l’Antares (capitano di corvetta Antonio
Biondo) salpa da Taranto, uscendo dal Mar Grande, per scortare a Tobruk, con
scali al Pireo ed a Suda, la nave cisterna Sanandrea,
carica di 3959 tonnellate di benzina. In aggiunta alla protezione fornita dall’Antares, c’è una scorta aerea rappresentata
da un idrovolante antisommergibile CANT Z. 501 (che vola a proravia del
convoglio, sulla dritta, in funzione antisommergibili), da due bimotori Caproni
CA. 314 (che devono difendere il convoglio da eventuali attacchi di
aerosiluranti), da un idrovolante antisommergibili Arado (tedesco), da due o
tre bombardieri Junkers Ju 88 della Luftwaffe (impiegati però come caccia
pesanti) e da tre (per altra fonte otto) caccia italiani Macchi C. 200.
L’Antares e la Sanandrea, che la segue in linea di
fila, superano le ostruzioni di Taranto alle 6.06 del 30 agosto, imboccando poi
le rotte di sicurezza orientali. Alle 8.10 il convoglietto è al traverso di
Torre Ovo.
Le due navi seguono
rotte costiere radenti la costa pugliese tra le secche di Torre San Giovanni di
Ugento e Capo Santa Maria di Leuca. La Sanandrea procede
alla velocità di nove nodi su rotta vera 100°, mentre l’Antares zigzaga a 12 nodi (l’angolo dello zig zag è di circa
60° sulla direttrice di marcia) tenendosi mediamente 30° di prora a dritta
della cisterna, sul lato esterno, ad una distanza di 1200 metri. Il mare è
piatto, il sole picchia alto nel cielo.
I servizi sono a
conoscenza della prevista partenza della Sanandrea per la Libia: i messaggi relativi al viaggio,
inviati con la macchina cifrante C-38 M, sono stati intercettati e decifrati
dall’organizzazione britannica “ULTRA”, che ha poi inviato ai comandi
britannici ben sei dispacci circa la Sanandrea,
uno dei quali, inviato alle 21.38 del 29 agosto, precisa rotta ed orari
previsti. Già dal 28 i britannici sanno che la Sanandrea sta caricando carburante a Taranto, e che il suo arrivo a
Tobruk è previsto per il 3 settembre. Viene così ordinato un attacco di
aerosiluranti, per impedire che la cisterna, con il suo prezioso carico, possa
raggiungere la sua destinazione.
Lo stesso 30 agosto,
in mattinata, un ricognitore britannico raggiunge il convoglio, e completa il
lavoro di “ULTRA” appurando la precisa consistenza della scorta aerea e navale.
Poi, alle 11.45, decollano da Malta nove aerosiluranti Bristol Beaufort del 39th Squadron
al comando del maggiore (Squadron Leader) R. Patrick Gibbs, scortati da nove
caccia Bristol Beaufighter (cinque dei quali muniti di bombe per attaccare a
loro volta la nave) al comando di D. Ross Shore. Tre dei Beaufighter sono però colpiti
da avarie ai motori, e sono così costretti al rientro. Patrick “Pat” Gibbs, il
comandante dei Beaufort, prima del decollo ha studiato il rapporto del
ricognitore: dato che l’Antares (identificata
come un cacciatorpediniere) protegge il lato della Sanandrea rivolto verso il mare, gli aerei dovranno attaccare
dal lato opposto, provenendo da terra. Gli aerei dovranno compiere un largo
giro, sorvolando la terraferma a due miglia di quota, per poi tornare verso il
mare ed attaccare.
Alle 14.15, quando il
convoglio italiano si trova ad un miglio per 214° da Torre Vado (cinque miglia
a ponente di Leuca, e precisamente nel punto 39°48’ N e 18°14’ E), da bordo
delle navi vengono avvistati nella lieve foschia, verso sud, degli aerei
sospetti in numero inizialmente difficile da stabilire. L’Antares li avvista quando sono a circa 7-8 km di distanza,
sulla dritta; volano a bassissima quota, piuttosto distanti l’uno dall’altro,
seguendo una rotta verso sudest, e la leggera foschia sull’orizzonte rende difficile
capire che tipo di aerei siano. Nella medesima direzione, ma a quota maggiore,
sono visibili anche due aerei tedeschi (identificati nel rapporto dell’Antares come caccia “tipo Arado”)
che seguono la stessa rotta degli aerei sconosciuti: la presenza degli aerei della
Luftwaffe induce il comandante Biondo a ritenere che i velivoli avvistati
per primi siano nemici, intercettati ed inseguiti da quelli tedeschi. Poco
dopo, infatti, gli aerei sconosciuti vengono identificati come caccia
britannici Bristol Beaufighter, almeno dodici, che procedono verso est
bassissimi sul mare. Viene dato l’allarme, ed i caccia italiani e tedeschi
(questi ultimi volano a quota più alta degli aerei nemici, mentre i caccia
italiani volano a quota ancora maggiore di quelli tedeschi) dirigono contro la
formazione di Beaufighter per attaccarla. Il comandante Biondo vede un Arado
tedesco ingaggiare gli attaccanti, altri membri dell’equipaggio vedono i caccia
italiani fare lo stesso. I piloti britannici vedono sul cielo del convoglio tre
Macchi MC 200 e tre Ju 88, che volano a quota intermedia, nonché un idrovolante
Arado ed un CANT Z. 501B impegnati nel loro compito antisommergibili.
Contemporaneamente,
alle 14.16, il piccolo convoglio viene attaccato da bombardieri nemici,
provenienti da sud. Sotto l’attacco dei caccia tedeschi, i Beaufighter si aprono
a ventaglio; parte di essi si allontanano, gli altri si avvicinano al
convoglio. Gli aerei conducono l’attacco individualmente, da una distanza di un
migliaio di metri; avvicinandosi alla Sanandrea,
salgono gradualmente di quota fino a circa 200 metri, lanciano le bombe e poi
si allontanano verso ovest.
Sulle prime l’Antares, dato che gli aerei britannici
si mescolano a quelli italiani e tedeschi, non apre il fuoco per non colpire i
velivoli amici (per altra versione, prima iniziò il tiro, ma poco dopo lo
sospese per non colpire i due idrovolanti della scorta); poi, quando le
distanze si sono di molto ridotte, la torpediniera deve aprire ugualmente il
fuoco, dapprima con i cannoni da 100 mm dell’armamento principale, che
tuttavia, a causa della rapidità dell’avvicinamento degli aerei, cessano subito
il fuoco e vengono rimpiazzati dal tiro dalle mitragliere. Il tiro dell’Antares, che è possibile soltanto nelle
zone “libere” da aerei amici nonché nella fase di allontanamento, viene
giudicato dal comandante Biondo «a distanza utile, preciso ed efficace» (ma con
la precisazione che «si ritiene però che il munizionamento sia troppo sensibile
e di conseguenza poco efficace contro aerei parzialmente protetti»), e da bordo
della torpediniera si ritiene di aver colpito tutti e quattro gli aerei che
stanno attaccando la Sanandrea,
dei quali il secondo ha un principio d’incendio a bordo ed abbandona l’attacco.
Dovendo fare fuoco sugli aerei che stanno attaccando la nave cisterna, l’Antares non può sparare contro
quelli che stanno invece attaccando lei, e viene mitragliata da due Beaufighter
che ne spazzano il ponte con preciso tiro di mitragliera provenendo da due
direzioni diverse, subendo pochi danni ma lamentando 18 feriti tra
l’equipaggio. Ciò indurrà il comandante Biondo a proporre, nel suo rapporto, di
destinare la mitragliera centrale da 20/65 mm e le due mitragliere da 8 mm al
solo ruolo di difesa ravvicinata della torpediniera.
Anche la Sanandrea apre il fuoco con le
proprie mitragliere da 20 mm contro gli aerei attaccanti, ma un altro
Beaufighter mitraglia il ponte della petroliera, poi altri tre sganciano ognuno
due bombe da 250 libbre, che tuttavia finiscono in mare. Un quarto Beaufighter,
pilotato dal tenente Dallas W. Schmidt, mette invece a segno le sue due bombe
da 250 libbre sulla petroliera.
Nel frattempo i
Macchi C. 200 e gli Ju 88 hanno attaccato i Beaufort, perciò i Beaufighter
interrompono l’attacco e tornano indietro per difendere gli aerosiluranti;
nella conseguente battaglia aerea vengono danneggiati un Beaufort e tre
Beaufighter (per parte loro, i piloti britannici rivendicano l’abbattimento di
un Macchi C. 200 e quello ‘probabile’ di due Ju 88, ed il danneggiamento di un
altro Ju 88 e del CANT Z. 501), ma altri quattro Beaufort riescono a portarsi
all’attacco ed a lanciare i loro siluri.
Da bordo dell’Antares, vengono distinti quattro aerei
che attaccano la Sanandrea: il
primo sgancia le bombe a poppa dritta della petroliera, e viene colpito, prima
di sganciare le bombe, dal tiro delle mitragliere della torpediniera. Il
secondo, probabilmente già danneggiato dalla caccia aerea mentre si avvicinava
al suo bersaglio, viene colpito ancora dal tiro delle armi di bordo, prende
fuoco e, prima di compiere il lancio, scivola d’ala a circa trenta metri dalla
superficie del mare, ma poi si riprende e si allontana verso ovest, in fiamme.
Il successivo avvistamento di una colonna di fumo bianco verso ovest induce
Biondo a ritenere che questo aereo sia successivamente precipitato in mare,
fuori vista rispetto all’Antares. Il
terzo ed il quarto attaccano più o meno contemporaneamente, colpendo ed
incendiando la Sanandrea; l’Antares ritiene di aver colpito
anche questi due aerei. Oltre a sganciare le bombe, tutti gli aerei che
attaccano la Sanandrea la
mitragliano al contempo.
Da fonti britanniche,
risulta che ad ottenere il centro decisivo sarebbe uno dei quattro Beaufort che
riuscirono a lanciare i propri siluri, e precisamente quello pilotato dal
maggiore Gibbs. Sebbene già danneggiato, l’aereo di Gibbs scende basso sul
mare, si avvicina al suo bersaglio sino a riuscire addirittura a leggere il suo
nome ed a quel punto, da 460 metri, sgancia l’arma, per poi riprendere quota
mancando per un soffio l’albero della cisterna. Dopo una brevissima corsa il
siluro colpisce la Sanandrea e
la cisterna esplode in una palla di fuoco e di fumo, proiettando rottami in
aria e venendo immediatamente avvolta dalle fiamme scatenate dall’incendio di
quasi quattromila tonnellate di carburante.
Ciò avviene alle
14.19, quando il convoglietto si trova a 5 miglia per 270° da Capo Santa Maria
di Leuca.
Pochi secondi dopo
che la Sanandrea è stata colpita, due
aerei attaccano e mitragliano anche l’Antares
con abbondanti raffiche di mitragliatrice da 7,7 mm e da 20 mm: uno dei due
velivoli conduce l’attacco a bassa quota sul lato di dritta, e l’altro, quasi
simultaneamente, fa lo stesso sul lato sinistro, entrambi provenienti da poppa.
Nell’attacco diversi uomini dell’Antares
rimangono feriti; l’aereo che ha attaccato sul lato di dritta, allontanandosi, mitraglia
anche il CANT Z. 501, il quale risponde al fuoco e cerca vanamente di
inseguirlo. Colpi di mitragliatrice sforacchiano qua e là lo scafo, le
sovrastrutture, i complessi da 100/47 mm e la mitragliera centrale dell’Antares, senza comunque causare danni di
rilievo.
Concluso l’attacco,
alle 14.20, i velivoli nemici si allontanano inseguiti dai tre Macchi 200;
anche l’Antares tira qualche
altra cannonata nella loro direzione.
L’Antares comunica l’accaduto a
Marina Taranto, e richiede l’invio sul posto di un aereo di soccorso, avendo
alcuni feriti gravi tra l’equipaggio. Nel corso dell’attacco la torpediniera ha
sparato in tutto tre colpi di cannone da 100 mm (uno per ciascun cannone) e 525
proiettili di mitragliera da 20 mm.
Sebbene incendiata,
la Sanandrea non si ferma
dopo il siluramento: le sue macchine rimangono in moto e, col timone alla banda
a sinistra, la petroliera senza più controllo gira in tondo per tre ore,
continuando a perdere carburante che s’incendia poi sulla superficie del mare.
Purtroppo, molti naufraghi non riescono a uscire dalla zona in cui si è
scatenato l’incendio, e la presenza della nave in fiamme che continua a girare
e perdere benzina ostacola i tentativi di soccorso.
Alle 14.25 l’Antares cerca di avvicinarsi
alla Sanandrea, per quanto lo
permette il rischio rappresentato dalle continue esplosioni di barili di
benzina e munizioni delle mitragliere che si verificano a bordo della cisterna
in fiamme. Alle 14.40 la torpediniera mette a mare una lancia e la manda verso
la pirocisterna, con il compito di salvare i naufraghi; alle 14.47 giunge sottobordo
all’Antares il dragamine ausiliario
(peschereccio requisito) R
54 Luigi II, proveniente da Gallipoli, il cui comandante ha visto a
distanza l’incendio della Sanandrea ed
ha preso l’iniziativa di dirigersi sul posto per partecipare ai soccorsi,
mettendosi a disposizione del comandante dell’Antares. Questi gli ordina di avvicinarsi alla Sanandrea, trasbordare i naufraghi recuperati
dalla lancia e portarli sulla torpediniera. Così viene fatto: l’R 54 preleva dalla lancia i
naufraghi recuperati fino a quel momento – soltanto quattro, tutti feriti – e
li trasborda sull’Antares alle
15.25. Torna poi verso la Sanandrea e
prende a bordo altri due naufraghi feriti ed un terzo già morto, che vengono
trasferiti sull’Antares alle
16.04.
Questi sei uomini,
che la lancia dell’Antares è
faticosamente riuscita a salvare lottando contro l’incendio che arde sul mare, sono
gli unici sopravvissuti dei 55 uomini che formavano l’equipaggio della Sanandrea. Sono quasi tutti ustionati, e
due di essi moriranno a bordo dell’Antares prima
di arrivare in porto.
Alle 16.23 arriva sul
posto il rimorchiatore Talamone,
che stava rimorchiando una semovente verso Gallipoli quando ha avvistato la
petroliera in fiamme, e si è a sua volta diretto sul posto per essere di aiuto,
dopo aver mollato il rimorchio della semovente ed averle impartito gli ordini
necessari per proseguire la navigazione. L’Antares gli
ordina di avvicinarsi alla nave cisterna per cercare altri naufraghi: cosa che fa,
ma senza riuscire a trovare alcun altro sopravvissuto. Alle 16.33 passa sul
posto il piroscafo Rubicone, ed un
minuto dopo arriva sul posto l’idrovolante di soccorso richiesto dall’Antares due ore prima; sorvola la Sanandrea e la zona di mare
tutt’attorno ad essa, poi si allontana verso ovest, senza passare vicino all’Antares e senza vedere così il suo
segnale di ammarare nei pressi, fatto con il telesegnalatore.
Alle 17.15 le macchine
della Sanandrea, finalmente, si
fermano, ma ormai non c’è molto da fare. Un minuto più tardi, l’idrovolante
CANT Z. 506 n. 171/2, che a differenza dell’aereo di soccorso ha sorvolato la
torpediniera e visto il segnale, ammara sottocosta (dove l’acqua è abbastanza
calma da permettere tale manovra) con rapida manovra, sulla dritta dell’Antares, e si avvicina alla
torpediniera, che a sua volta dirige verso la costa per agevolare la manovra.
L’Antares trasferisce quindi
sull’aereo, con la massima celerità possibile, i due feriti più gravi: il
sergente silurista Federico Cuccioli (26 anni, da Minturno), dell’Antares, ed
un naufrago della Sanandrea, il
primo macchinista Antonio Zuccaroni.
Da Taranto (per altra
fonte, Gallipoli) vengono inviati sul posto il rimorchiatore Tenace ed il piroscafetto F 89 Istria I, una navicella
costiera requisita come vedetta foranea, pilotina e nave scorta ausiliaria.
Arriva per primo sul posto l’Istria I,
cui l’Antares ordina di
aspettare che l’incendio della Sanandrea si
estingua per poi cercare di prendere a rimorchio la pirocisterna insieme al Tenace, che si sta anch’esso dirigendo
verso il luogo dell’attacco. Alle 17.36 la torpediniera ordina invece all’altro
rimorchiatore, il Talamone, di
tornare verso la semovente che stava prima rimorchiando – e che ha lasciato per
accorrere sul posto – e di riprendere la navigazione.
Alle 17.52 il CANT Z.
506, avendo imbarcato Cuccioli e Zuccaroni, decolla e si allontana; otto minuti
dopo riappare l’aereo di soccorso, che torna a sorvolare la zona e poi si
allontana verso est.
Alle 18.08 la
stazione semaforica di Santa Maria di Leuca segnala all’Antares che Marina Taranto ordina di rientrare. Alle 18.40
la Sanandrea è quasi completamente
sommersa: sembra spezzata in due a centro nave, e affiorano dal mare soltanto
le sovrastrutture prodiere e poppiere, che continuano a bruciare. Il mare, in
quel punto, è profondo soltanto 26 metri.
Essendo ormai
evidente che non è più possibile tentare un rimorchio, l’Antares ordina all’Istria
I di rientrare a Gallipoli. Alle 18.55 l’Antares lascia finalmente il posto facendo rotta per Taranto,
ed alle 19.20 s’imbatte nel Tenace,
cui ordina di raggiungere Gallipoli, dove gli verranno comunicate per semaforo
ulteriori istruzioni da Marina Taranto. Alle 21.40 l’Antares è al traverso di Torre Ovo, alle 22.46 supera le ostruzioni
di Taranto ed alle 23.20 si ormeggia alla banchina torpediniere, sbarcando
alle 23.45 i feriti e le salme dei tre naufraghi della Sanandrea deceduti dopo il recupero
(secondo una fonte, ci sarebbero state delle vittime anche tra l’equipaggio
dell’Antares, ma ciò non risulta dal
rapporto del comandante Biondo).
A conclusione del suo
rapporto il comandante Biondo osserverà: «Durante
le operazioni di salvataggio l’armamento della lancia si è particolarmente
distinto perché, malgrado la presenza dell’incendio che ostacolava le
operazioni, con sprezzo del pericolo e con rischio personale, riusciva a trarre
in salvo i superstiti. Il comportamento dello Stato Maggiore e dell’Equipaggio
della torpediniera può definirsi sereno, calmo ed ammirevole sia durante la
fase di attacco e mitragliamento che ha provocato diciotto feriti, sia nella
fase successiva di assistenza ai feriti ed ai naufraghi della cisterna Sanandrea.
Ritengo doveroso segnalare a codesto Comando in Capo, che al momento dello
sbarco i feriti ed in particolar modo quelli più gravi, hanno voluto domandare
al Comandante il numero degli aerei abbattuti durante l’azione bellica ed hanno
voluto esprimere il desiderio di ritornare al più presto a bordo».
Il direttore di
macchina, capitano del Genio Navale Oberdan Barsotti, verrà decorato di
Medaglia di Bronzo al Valor Militare, con motivazione: “Direttore di macchina di torpediniera, di scorta a convoglio, durante
un attacco di bombardieri nemici che mitragliavano l’unità, provocando numerosi
feriti, coadiuvava con prontezza e perizia professionale il comandante nella
manovra di difesa, mantenendo in piena efficienza l’apparato motore e
contribuendo efficacemente a sventare l’insidia nemica. Si prodigava in seguito
nell’apportare le prime cure ai feriti, dimostrando belle doti militari ed
elevato senso del dovere”. Il comandante Biondo (nato a Maglie il 23
dicembre 1906) riceverà analoga decorazione, con motivazione: “Comandante di torpediniera, di scorta a
convoglio, durante un attacco di numerosi bombardieri nemici, che mitragliavano
l’unità, provocando numerosi feriti fra l equipaggio, dirigeva con serenità e
noncuranza del pericolo la manovra e la reazione della nave il cui fuoco
danneggiava quattro degli aerei attaccanti. Successivamente, nel generoso tentativo
di salvare il maggior numero possibile di vite umane, dopo essersi avvicinato
con la propria nave ad una cisterna in fiamme, cooperava a dirigere con
decisione e perizia l’opera di altri mezzi sopraggiunti per le operazioni di
salvataggio”.
Il sergente Giovanni
Munari ha così descritto, in una lettera inviata molti anni più tardi
all’Associazione Nazionale Marinai d’Italia, l’attacco in cui fu affondata la Sanandrea: “Il 30 agosto 1942 l’Antares, la sola nave senza copertura aerea di
scorta [evidentemente in errore su questo punto, e su qualche altro
particolare, come spesso accade trattandosi di ricordi risalenti a decenni
prima] alla petroliera Sant’Andrea da
Taranto a Bengasi, alle ore 13-attaccati da un susseguirsi di aerosiluranti,
bombardieri e caccia per la durata di 22 minuti, al ventesimo minuto la
petroliera colpita da bombe e siluro esplodeva in una palla di fuoco e
continuando a girare intorno a sé stessa, seminava il liquido infiammato sul
mare, che per un raggio di 5/600 metri il mare era un mare di fuoco, e dentro
quel fuoco vedevamo gettarsi i marinai della petroliera. Finito il
bombardamento il Comandante Antonio Biondo faceva mettere a mare una lancia che
comandata dal Sergente Nocchiere Canu si avventurava fra le fiamme in cerca di
naufraghi, raccoglieva 6 persone talmente ustionate che un’ora dopo erano tutti
morti. Sull’Antares si contavano 18 feriti dai mitragliamenti, 6 molto gravi
che morivano prima che ritornassimo a Taranto. In quell’attacco l’Antares
abbatteva 7 aerei visti cadere e 3 si allontanavano in fumo che saranno stati
fortunati se hanno raggiunto la base”.
Il
rapporto del comandante dell’Antares
relativo alla missione di scorta in cui venne affondata la Sanandrea (Ufficio Storico della Marina Militare, via Fabrizio
Colucci):
25 settembre 1942
Scorta da Prevesa a
Taranto la nave cisterna Alfredo.
4 ottobre 1942
L’Antares (capitano di corvetta Maurizio
Ciccone) salpa alle 24 da Bengasi insieme ai cacciatorpediniere Folgore (capitano di corvetta
Renato D’Elia) e Nicolò Zeno (capitano
di fregata Roberto Lo Schiavo), scortando la motonave Sestriere (carica di 3030 tonnellate di carburante, 1060
tonnellate di altri materiali, 70 tonnellate di munizioni, 28 carri armati e
144 veicoli) diretta a Bengasi.
5 ottobre 1942
Alle 6.25 la scorta
viene rafforzata dall’arrivo dei cacciatorpediniere Antonio Pigafetta (capitano di vascello Enrico Mirti della
Valle), che diviene caposcorta, Saetta (capitano
di corvetta Enea Picchio) e Camicia
Nera (capitano di fregata Adriano Foscari),
provenienti da Corfù. Per meglio godere della protezione della caccia aerea (la
scorta aera sarà pressoché ininterrotta fino alla sera del 6), fino all’altezza
di Creta il convoglio si mantiene vicino alla costa greca.
6 ottobre 1942
Alle 5.20 Zeno e Camicia Nera lasciano il convoglio e raggiungono Navarino.
Alle 10 Supermarina
avverte il caposcorta che alle 8.15 il convoglio è stato avvistato da
ricognitori, una trentina miglia ad est di Cerigotto. Tra le 12 e le 16 un
piovasco e poi un banco di densa foschia danno ulteriore “protezione” al
convoglio, privandolo però della scorta aerea.
Alle 17.40, trenta
miglia ad ovest di Cerigotto, la Sestriere avvista
aerei sospetti alla sinistra – sono quattro bombardieri quadrimotori, che
volano ad alta quota in direzione del convoglio – e viene dato l’allarme aereo.
La scorta aerea è costituita in questo momento da tre bombardieri tedeschi
Junkers Ju 88 e da altrettanti caccia Messerschmitt Me 111 della Luftwaffe.
Le navi della scorta
aprono il fuoco con le mitragliere, ma alle 17.46 il tiro viene cessato perché
inutile – gli aerei nemici volano troppo alti, oltre la portata delle armi di
bordo – e superfluo – la scorta aerea sta passando al contrattacco. Uno degli
aerei nemici è abbattuto da un caccia tedesco, gli altri tre attaccano alle
17.48; le loro bombe mancano di poco la Sestriere ed il Pigafetta,
ma non ci sono danni. Inseguiti dai caccia tedeschi, i bombardieri si ritirano
verso est, mentre alle 18 il convoglio può tornare ad assumere rotta e
formazione originaria. Mezz’ora dopo gli aerei di scorta se ne vanno.
7 ottobre 1942
Il convoglio giunge a
Bengasi alle 11.30, senza aver avuto altri problemi.
8 ottobre 1942
Alle 5.40 l’Antares ed il cacciatorpediniere Saetta, in trasferimento da Bengasi a
Tobruk, arrivano sul luogo del siluramento del piroscafo Dandolo, colpito da aerosiluranti alcune
ore prima durante la navigazione da Suda a Tobruk. La torpediniera Giacomo Medici (tenente di vascello
di complemento Antonio Furlan) sta cercando di rimorchiare il Dandolo, ma ogni sforzo è vano; alle
6.36 il piroscafo affonda e le siluranti ne recuperano l’equipaggio (non ci sono
vittime), dopo di che dirigono su Tobruk, dove arriveranno nel pomeriggio.
Attacco aereo
Alle quattro del
pomeriggio dell’11 ottobre 1942 l’Antares,
al comando del capitano di corvetta Maurizio Ciccone, lasciò Tobruk insieme
alla gemella Lupo (capitano di
corvetta Carlo Zinchi) ed al cacciatorpediniere Freccia (capitano di fregata Giuseppe Andriani), per scortare
in Grecia uno strano convoglio composto dal cacciatorpediniere Saetta (capitano di corvetta Enea
Picchio) che rimorchiava lo scafo dell’ex sommergibile Domenico Millelire, trasformato in cisterna galleggiante per trasporto nafta
con denominazione G.R. 248, e dalla
motonave Col di Lana. Saetta e Millelire/G.R. 248 erano
diretti a Navarino, mentre la Col
di Lana aveva come destinazione Salonicco.
La sosta a Tobruk
dall’8 all’11 ottobre era stata tutt’altro che tranquilla: quasi continuamente
il porto era stato sotto attacco aereo, a volte da parte di gruppi di velivoli
che bombardavano le installazioni portuali e le navi ormeggiate, a volte da parte
di un unico aereo con funzioni più che altro di disturbo.
Sull’Antares il sergente meccanico Giovanni
Munari, milanese, 23 anni, era in servizio in sala caldaie: fu avvicendato alle
otto di sera dal sottocapo meccanico Bruno Tozzi, e dopo aver cenato andò in
segreteria macchine, dove doveva restare a disposizione del direttore di
macchina quando non era in servizio in sala macchine o in caldaia. Il direttore
di macchina, capitano del Genio Navale Oberdan Barsotti, era in segreteria e
stava discutendo alcuni lavori da compiere all’arrivo a Taranto – sempre che il
continuo servizio di scorta, che lasciava ben poco tempo per soste e turni di
lavori, lo permettesse – con i sottufficiali di macchina: il secondo capo
meccanico Francesco Ascolese, il capo meccanico di seconda classe Guglielmo
Giannino ed il capo motorista di seconda classe Romeo Tippolotti.
Alle undici di sera
Munari uscì in coperta per fare un giro, e notò dei bagliori in lontananza,
verso sud, a tratti bianchi ed a tratti rossi. Chiamò il direttore Barsotti,
glieli mostò; l’ufficiale rispose che si trattava di un bombardamento aereo su
Tobruk. A mezzanotte, Munari scese nel locale caldaie numero 2, per
disimpegnare il secondo turno di guardia.
Tra le 00.00 e l’1.40
del 12 ottobre, una settantina di miglia a nord di Tobruk, il convoglio venne
attaccato da bombardieri. L’Antares
accelerò ed iniziò a girare intorno al convoglio, emettendo cortine fumogene
per occultare i mercantili; ma verso l’una di notte fu proprio la torpediniera ad
essere colpita in pieno da alcune bombe, subendo gravissimi danni e pesanti perdite
tra l’equipaggio. Trentuno uomini rimasero uccisi (3 ufficiali, 4 sottufficiali
e 24 tra sottocapi e marinai), altri 37 furono feriti: praticamente metà
dell’equipaggio, tra cui quasi tutto il personale di macchina, fu messo fuori
combattimento. Anche in plancia ci furono morti e feriti: il comandante Ciccone
fu ferito ad un occhio dalle schegge, mentre il timoniere di guardia, Carmelo
Colombo, ebbe una gamba tranciata e l’altra gravemente lacerata. Morì poco
dopo.
Altri uomini, che si
trovavano in coperta – i nocchieri Giuseppe Fede e Ferdinando Aversano, i
cannonieri Virginio Cattaneo ed Antonio Cernaz, il marinaio Dante Tiozzo, il
silurista Emilio Pagnacco ed il torpediniere Giovanni Cardiello – furono feriti
dalle esplosioni e gettati in mare dallo spostamento d’aria. Non vennero mai
più ritrovati.
Il sergente Munari,
al momento dell’attacco, si trovava ancora in caldaia numero 2: poco prima che
la bomba colpisse (erano le 00.50) aveva ricevuto ordine di aprire la valvola
della nafta per i fumogeni; il direttore Barsotti disse a Munari che il mare
tutt’intorno era illuminato a giorno. Alle 00.59 venne sentito un forte colpo
che parve provenire da sotto lo scafo, e tutta la nave sbandò fortemente sulla
sinistra, arrestandosi. I bruciatori delle caldaie erano accese, ma la
pressione in caldaia precipitò: Munari tolse il tappo del tubo portavoce per
mettersi in contatto con il locale caldaia numero 1, ma ne uscì un getto di
vapore. Evidentemente la caldaia uno era stata colpita: di conseguenza, Munari
interruppe la comunicazione del vapore tra le due caldaie, ed in breve la
caduta della pressione della caldaia 2 si arrestò, e a poco a poco iniziò a
risalire, fino a tornare alla pressione di regime. Il sergente tentò di
mettersi in comunicazione con la sala macchine prodiera, con la segreteria
macchine e con la plancia, ma non rispose nessuno; intanto i fuochisti, temendo
che la nave stesse per affondare, chiedevano di lasciare il locale. Munari
decise di mandare uno dei fuochisti, Ceresoli, in coperta, per cercare il
direttore di macchina od un qualsiasi altro ufficiale al quale chiedere ordini.
Ceresoli trovò la
coperta cosparsa di morti e feriti; giunto a poppa, vi trovò il comandante in
seconda, tenente di vascello Claudio Scarpato, che gli ordinò di dire a Munari
di spegnere la caldaia, scaricare la pressione e poi raggiungerlo a poppa.
Ceresoli tornò dunque da Munari – erano trascorsi sette od otto minuti – e gli
riferì quanto ordinato; il sergente eseguì le istruzioni ricevute e poi andò a
poppa, scavalcando i morti e i feriti disseminati lungo la strada, vedendo che
sul lato sinistro il mare già lambiva la coperta dell’Antares per 10 o 15 centimetri. A poppa, Munari trovò Scarpato insieme
a cinque o sei marinai, aggrappati alle draglie per non scivolare a causa del
forte sbandamento. Scarpato disse a Munari che lui era l’unico sottufficiale di
macchina rimasto illeso: il direttore Barsotti era morto, capo Tipotti, capo
Giannini e capo Ascolese erano morti, gli altri due sottufficiali di macchina
erano gravemente feriti; restava solo lui per scendere nel locale timone e
portare in posizione centrale il timone, rimasto alla banda. Era l’unica
speranza per poter raddrizzare la nave. Il tentativo si presentava
rischiosissimo, dato che l’Antares
poteva capovolgersi da un momento all’altro: per questo, Scarpato disse a
Munari che il suo non era un ordine, ma una richiesta. Il giovane sergente
ponderò brevemente la situazione: il rischio era di fare la fine del topo, ma
se la nave fosse affondata non ci sarebbe stato scampo per i tanti feriti che
giacevano ovunque, ed anche per gli illesi sarebbe stato tutt’altro che facile
salvarsi. Si fece forza, e scese nel locale del timone. Con l’acqua alle
ginocchia, disinserì la manovra meccanica del timone ed inserì quella a mano,
dopo di che manovrando la ruota del timone lo riportò in posizione centrale.
Eseguito il suo compito, Munari tornò in coperta, dove poté immediatamente
constatare che qualcosa era già cambiato il meglio: l’Antares aveva ridotto di alcuni gradi il suo sbandamento, il mare
non lambiva più la coperta. Il tenente di vascello Scarpato lo ringraziò e gli
disse: “Io mi prendo cura dei feriti, e tu cerca di salvare la nave”. Insieme
ad alcuni marinai, Munari prelevò una pompa azionata a mano che si trovava in
un magazzino, la portò in coperta e la assemblò; dopo di che ordinò al
sottocapo meccanico Michele Farella di prosciugare il locale dinamo insieme
agli uomini presenti sul posto, mentre lui e Ceresoli andavano all’interno di
quello stesso locale per tamponare due fori. Completato questo lavoro, Munari e
Ceresoli si spostarono nel locale macchina prodiero, dove giaceva ancora il
corpo esanime di capo Giannini. Qui c’erano altri tre fori, due dietro le pompe
d’aria e di circolazione ed uno dietro le pompe dell’olio, che Munari e
Ceresoli provvidero a tamponare, scottandosi ripetutamente nel farlo. Poi i due
passarono nel locale macchina poppiero: qui trovarono il cadavere di capo Ascolese.
Tamponarono altri due fori che si trovavano in quel locale; ormai era quasi
l’alba. Farella e i suoi avevano fatto un buon lavoro: l’acqua era scesa sotto
il livello del pagliolo, e Munari, dopo vari tentativi, riuscì a rimettere in
funzione il generatore diesel, facendo così tornare la corrente elettrica. Andò
allora nel locale macchine prodiero, dove c’era una pompa elettrica
d’esaurimento, e la azionò; così fu possibile iniziare il prosciugamento dei
locali allagati, mentre con le pompe di travaso – anch’esse azionate
elettricamente – vennero travasate acqua e nafta dal lato sinistro a quello di
dritto, riuscendo finalmente a riportare l’Antares
in assetto di navigazione. Ciò ebbe anche l’effetto benefico di portare al di
sopra del galleggiamento diversi fori da cui continuava ad entrare acqua nello
scafo, afflusso che finalmente ebbe termine.
Il resto del
convoglio, intanto, era proseguito (sia la Col
di Lana che Saetta e Millelire raggiunsero regolarmente le
rispettive destinazioni); intorno alle otto del mattino ammararono vicino all’Antares due idrovolanti tedeschi, su cui
furono trasbordati otto dei feriti più gravi, e verso le quattro del pomeriggio
apparve la Lupo, che era tornata a
prestare assistenza alla gemella danneggiata. Vennero trasbordati sulla Lupo i feriti che non avevano potuto
trovare posto sugli idrovolanti.
Munari fu molto
critico del comportamento tenuto dal comandante Ciccone, il quale – a sua detta
– dal momento dell’attacco aereo non era più stato visto, tanto che i più
(Munari compreso) lo credevano morto. Munari lo rivide, ferito all’occhio
sinistro, al momento del trasbordo dei feriti sulla Lupo; un tenente medico si diresse verso di lui, ma Munari ne
richiamò rabbiosamente l’attenzione sul sottocapo meccanico Tozzi, ferito in
modo molto più grave e quasi esanime, che lui stava portando in braccio. Il
tenente gli disse allora di distenderlo su un materassino, lo esaminò e si rese
conto che era ancora vivo. Tozzi sarebbe sopravvissuto.
(Il contrasto tra
Munari e Ciccone avrebbe poi avuto strascichi che, secondo il primo, avrebbero
comportato ripercussioni negative anche sull’iter per la decorazione al Valor
Militare conferita a Munari per le sue azioni la notte del 12 ottobre, avviato
dal comandante in seconda Scarpato. Si rimanda alla testimonianza di Munari,
riportata in fondo alla pagina, evitando ogni commento sulla questione, dal
momento che in fin dei conti si dispone della versione di una sola delle parti
interessate).
Altri feriti vennero
trasbordati; tra di essi Munari portò sulla Lupo
un fuochista, Giovanni Caminiti, che aveva perso la vista a causa delle schegge
di bombe che lo avevano colpito. Quando fu terminato il trasbordo, la Lupo prese a rimorchio l’Antares ed iniziò a trainarla in
direzione di Suda. La navigazione a rimorchio fu molto travagliata: dopo circa
un’ora il mare iniziò a guastarsi, provocando la rottura del cavo di rimorchio
in canapa di Manila, che dovette essere sostituito con un altro in acciaio.
Lupo
ed Antares, raggiunte dalla
torpediniera di scorta Ciclone che
era stata fatta appositamente partire dal Pireo per assumerne la scorta e
fornire assistenza, giunsero a Suda alle 13 del 13 ottobre. L’Antares fu portata ad ormeggiare accanto
alla nave officina Antonio Pacinotti;
morti e feriti furono caricati su ambulanze italiane e tedesche. Il comandante
Ciccone lasciò l’Antares quello
stesso pomeriggio, in aereo, diretto in Italia, da dove sarebbe poi tornato a
metà gennaio 1943. I morti – alcuni non furono mai trovati – vennero sepolti a
Creta.
Le vittime tra l’equipaggio dell’Antares:
Francesco Altomonte, sergente S.D.T., deceduto
Francesco Altomonte, sergente S.D.T., deceduto
Francesco Anfosso, guardiamarina, deceduto
Fioravante Ascolese, secondo capo meccanico,
deceduto
Ferdinando Aversano, marinaio nocchiere,
disperso
Giuseppe Baldi, sottocapo S.D.T., deceduto
Oberdan Barsotti, capitano del Genio Navale,
deceduto
Leopoldo Bonivento, marinaio fuochista,
deceduto
Giovanni Cardiello, marinaio torpediniere,
disperso
Virginio Cattaneo, marinaio cannoniere,
disperso
Antonio Cernac/Cernaz, marinaio cannoniere,
disperso
Carmelo Colombo, sottocapo nocchiere, deceduto
Mario Crisafi, tenente commissario, deceduto
Giancarlo De Antoni, sottocapo cannoniere,
deceduto
Giuseppe Fede, marinaio nocchiere, disperso
Rino Fiorimonte, marinaio cannoniere, deceduto
Mario Flauto, marinaio, deceduto
Gino Fumagalli, marinaio elettricista,
deceduto
Guglielmo Giannino, capo meccanico di seconda
classe, deceduto
Carlo Guzzetti, sottocapo elettricista,
deceduto
Francesco La Perna, marinaio cannoniere,
deceduto
Fernando Liberatore, marinaio, deceduto
Erminio Meloni, marinaio fuochista, deceduto
Nazzareno Merlini, marinaio cannoniere,
deceduto
Libero Mirabella, marinaio S.D.T., deceduto
Emilio Pagnacco, marinaio silurista, disperso
Aldo Reale, marinaio meccanico, deceduto
Pietro Salice, marinaio fuochista, deceduto
Francesco Santini, marinaio fuochista,
deceduto
Dante Tiozzo, marinaio, disperso
Romeo Tippolotti, capo motorista di seconda
classe, deceduto
Remo Turrini, sottocapo cannoniere, deceduto
Il sergente S.D.T. Francesco Altomonte, 23 anni, da Reggio Calabria (per g.c. della nipote Bianca Desideri) |
L’equipaggio dell’Antares, mentre gli uomini della Pacinotti provevedano alle prime e provvisorie
riparazioni (tamponare i fori, lavare e disinfettare la nave), venne
momentaneamente alloggiato a bordo della nave officina. La torpediniera rimase
a Suda per dieci giorni, dopo di che fu rimorchiata al Pireo dal rimorchiatore Valente, con uno scalo intermedio.
Giunta al Pireo, l’Antares entrò nel
locale arsenale, dove furono svolte le prime riparazioni dell’apparato motore;
questi lavori durarono circa 40 giorni. Durante questo periodo giunsero sull’Antares, inviati dal Comando Marina, tre
capi meccanici ed una dozzina tra fuochisti e marinai, destinati a rimpiazzare
le perdite subite nel bombardamento del 12 ottobre; dei tre sottufficiali
soltanto uno, il capo meccanico di terza classe Mario Matera, era di carriera,
mentre gli altri due erano secondi capi richiamati dalla Marina Mercantile: congedati
dalla Regia Marina da più di quindici anni, avevano sempre lavorato soltanto su
navi propulse da macchine alternative a vapore, e non sapevano nulla di turbine
come quelle che spingevano l’Antares.
Dovettero dunque essere Munari e Matera ad istruirli in materia.
A metà dicembre 1942
l’Antares si trasferì dal Pireo a
Taranto, dove fu immessa in bacino di carenaggio; l’intero equipaggio ricevette
allora quaranta giorni di licenza, mentre si procedeva alle riparazioni
definitive. Il sergente Giovanni Munari ne approfittò per passare il Natale con
i genitori: il primo da diversi anni, in una famiglia dove tutti e tre i figli
maggiorenni si trovavano al fronte, due nell’Esercito ed uno in Marina. Un ben
triste Natale, condiviso da milioni di famiglie in Italia e in tutto il mondo.
Nel gennaio 1943 le
riparazioni potevano finalmente dirsi ultimate; l’Antares era nuovamente in piena efficienza e si ritrovava con un
equipaggio nuovo per più della metà. Era giunto un nuovo direttore di macchina,
nuovi sottufficiali di macchina, nuovi ufficiali; del “vecchio” stato maggiore
restavano soltanto Ciccone e Scarpato.
La motivazione della
Medaglia d’Argento al Valor Militare conferita alla memoria del sottonocchiere
Carmelo Colombo, nato a Pozzallo (Ragusa) il 12 luglio 1917:
"Di guardia al
timone su torpediniera di scorta a convoglio, violentemente attaccata da
bombardieri nemici, veniva mortalmente colpito da grosse schegge che gli
asportavano una gamba e gli laceravano l’altra. Sereno e impavido, benché
conscio del suo grave stato, sopportava con stoica fermezza il dolore
lancinante delle ferite, dando prova di suprema abnegazione. AI comandante, che
gli era vicino, esprimeva solo il rammarico di non poter più continuare il
combattimento, affermando che il suo sacrificio non era vano purché la sua nave e i suoi
cameratifossero salvi."
La motivazione della
Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita alla memoria del guardiamarina
Francesco Anfosso, nato a Genova il 1° aprile 1921:
"Imbarcato su
torpediniera scorta a convoglio, attaccata e colpita da bombardieri nemici,
rimaneva, incurante dell’imminente pericolo, al suo posto di combattimento,
impartendo con calma e precisione le disposizioni di sua competenza. Gravemente
ferito da schegge di bombe esplose in prossimità dello scafo suggellava con
eroica morte la propria vita ispirata al dovere ed all’attaccamento alla
nave".
La motivazione della
Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita alla memoria del capitano del
Genio Navale Oberdan Barsotti, nato a Livorno il 31 gennaio 1906:
"Imbarcato su
torpediniera scorta a convoglio, attaccata e colpita da bombardieri nemici,
rimaneva, incurante dell’imminente pericolo, al suo posto di combattimento,
impartendo con calma e precisione le disposizioni di sua competenza. Gravemente
ferito da schegge di bombe esplose in prossimità dello scafo suggellava con
eroica morte la propria vita ispirata al dovere ed all’attaccamento alla
nave".
La motivazione della
Croce di Guerra al Valor Militare conferita alla memoria dei nocchieri Giuseppe
Fede (nato a Pozzallo l’8 settembre 1921) e Ferdinando Aversano (nato a La
Maddalena il 26 febbraio 1923), del marinaio s.m. Dante Tiozzo (nato a
Sottomarina di Chioggia il 12 maggio 1922), dei cannonieri Antonio Cernaz (nato
a Fiume il 25 gennaio 1920) e Virginio Cattaneo (nato a Figino Serenza il 3
agosto 1920), del silurista Emilio Pagnacco (nato a Fiume il 7 agosto 1919) e
del torpediniere Giovanni Cardiello (nato a Sant’Arsenio il 14 novembre 1919):
" Imbarcato su
torpediniera scorta a convoglio, durante attacco aereo nemico, assolveva con
serenità e noncuranza del pericolo i suoi compiti finché, ferito e proiettato
in mare dall’esplosione di bombe cadute in prossimità dello scafo, scompariva
nell’adempimento incondizionato del dovere".
La motivazione della
Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita alla memoria del tenente
commissario Mario Crisafi, nato ad Agrigento il 24 marzo 1914:
"Imbarcato su
torpediniera scorta a convoglio, attaccata e colpita da bombardieri nemici,
rimaneva, incurante dell’imminente pericolo, al suo posto di combattimento,
impartendo con calma e precisione le disposizioni di sua competenza. Gravemente
ferito da schegge di bombe esplose in prossimità dello scafo suggellava con
eroica morte la propria vita ispirata al dovere ed all’attaccamento alla
nave".
La motivazione della
Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita alla memoria del capo meccanico
di seconda classe Romeo Tippolotti, nato a Perugia il 7 agosto 1909:
"Imbarcato su
torpediniera scorta a convoglio, attaccata e colpita da bombardieri nemici,
rimaneva, incurante dell’imminente pericolo, al suo posto di combattimento,
impartendo con calma e precisione le disposizioni di sua competenza. Gravemente
ferito da schegge di bombe esplose in prossimità dello scafo suggellava con
eroica morte la propria vita ispirata al dovere ed all’attaccamento alla
nave".
La motivazione della
Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita al marinaio fuochista Nino
Ricciardi, nato a Vezzano Ligure (La Spezia) il 3 dicembre 1921:
"Di guardia in
macchina di torpediniera, di scorta a convoglio, attaccata e colpita da
bombardieri nemici, si prodigava con elevato senso del dovere e capacità
professionale per mantenere efficienti, nei limite del possibile, i servizi
dell’apparato motore, ridotto in precarie condizioni di funzionamento per le
avarie riportate da alcuni macchinari, colpiti da schegge. Con serena noncuranza
del pericolo rimaneva al suo posto nell’assolvimento dei suoi incarichi, anche
quando la stabilità della nave sembrava compromessa, cooperando alla sua
salvezza".
La motivazione della
Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita al tenente di vascello Claudio
Scarpato, nato a Gaeta (Latina) il 26 giugno 1898:
"Ufficiale in 2a
di torpediniera, di scorta a convoglio, attaccata e colpita da bombardieri
nemici, si prodigava con elevata capacità e noncuranza del pericolo nell’opera
di assistenza del personale ferito e nell’attuazione delle provvidenze atte ad
assicurare la galleggiabilità della nave. Suscitava col suo esempio fra i
dipendenti una generosa gara di operosità e di abnegazione, conclusa con la
salvezza dell’unità e il suo rimorchio alla prossima base".
La motivazione della
Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita al sergente meccanico Giovanni
Munari, nato a Milano il 31 maggio 1919:
"Di guardia in
macchina di torpediniera, di scorta a convoglio, attaccata e colpita da
bombardieri nemici, si prodigava con elevato senso del dovere e capacità
professionale per mantenere efficienti, nei limite del possibile, i servizi
dell’apparato motore, ridotto in precarie condizioni di funzionamento per le
avarie riportate da alcuni macchinari, colpiti da schegge. Con serena
noncuranza del pericolo rimaneva al suo posto nell’assolvimento dei suoi
incarichi, anche quando la stabilità della nave sembrava compromessa,
cooperando alla sua salvezza".
La motivazione della
Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita al sottocapo meccanico Michele
Farella, nato a Taranto l’8 aprile 1922:
"Di guardia in
macchina di torpediniera, di scorta a convoglio, attaccata e colpita da
bombardieri nemici, si prodigava con elevato senso del dovere e capacità
professionale per mantenere efficienti, nei limite del possibile, i servizi
dell’apparato motore, ridotto in precarie condizioni di funzionamento per le
avarie riportate da alcuni macchinari, colpiti da schegge. Con serena
noncuranza del pericolo rimaneva al suo posto nell’assolvimento dei suoi
incarichi, anche quando la stabilità della nave sembrava compromessa,
cooperando alla sua salvezza".
La motivazione della
Croce di Guerra al Valor Militare conferita al sottocapo meccanico Bruno Tozzi
(nato ad Empoli il 14 dicembre 1921), al cannoniere puntatore mitragliere Mario
Elettrico (nato a Piazza Armerina il 20 gennaio 1921), al marinaio servizi vari
Albino Redaelli (nato a Monza l’8 gennaio 1923) ed ai marinai fuochisti
Giovanni Sorrentino (nato a Torre del Greco il 10 maggio 1922), Giovanni D’Aria
(nato a Grottole il 14 gennaio 1923), Giovanni Caminiti (nato a Villa San
Giovanni il 4 marzo 1920), Adolfo Vettore (nato a Bottighe il 24 maggio 1921),
Fedele Farella (nato a Giovinazzo il 24 giugno 1922) ed Antonio Starita (nato a
Napoli il 17 maggio 1921):
"Imbarcato su
torpediniera, di scorta a convoglio, attaccata e colpita da aerei nemici,
benchè gravemente ferito da schegge di bombe, conservava un contegno forte e
sereno e, mentre attendeva senza un lamento le prime cure, incitava, con parole
di fede i camerati illesi a prestare tutta la loro opera per la salvezza della
nave".
La motivazione della
Medaglia d’Argento al Valor Militare conferita al capitano di corvetta Maurizio
Ciccone, nato a Diano Marina (Imperia) il 2 settembre 1905:
"Comandante di
torpediniera di scorta a convoglio, attaccata e colpita durante un attacco di
bombardieri nemici, benché ferito da schegge di bombe che provocavano numerose
vittime a bordo, rimaneva fiero e sereno al suo posto di combattimento in
plancia, affrontando decisamente la difficile situazione. Nonostante le ferite
riportate, dirigeva con sovrumano coraggio ed elevato spirito di sacrificio,
per quasi due giorni, le operazioni intese ad attuare la salvezza dell'unità ed
il successivo rimorchio che veniva compiuto con successo fino alla prossima
base. Esempio ai suoi dipendenti di operosità fattiva e di completa dedizione
al dovere, pur nelle sue precarie condizioni fisiche, dimostrava nel grave
frangente elevate virtù militari e professionali."
Il capitano di corvetta Maurizio Ciccone (g.c. Giovanni Pinna) |
1942-1943
Potenziamento
dell’armamento contraereo: viene eliminata anche l’ultima mitragliera binata da
13,2/76 mm e vengono installate quattro mitragliere singole Scotti-Isotta
Fraschini 1939 da 20/70 mm.
15 gennaio 1943
L’Antares scorta una nave da Taranto a
Messina.
Da Messina si
trasferisce poi a Napoli, dove inizia le scorte ai convogli tra l’Italia e la
Tunisia.
Febbraio 1943
Il comandante in
seconda Scarpato sbarca (secondo Giovanni Munari, in seguito a gravi contrasti
con il comandante Ciccone, che avrebbero indotto Scarpato a chiedere di essere
sbarcato, non potendo più collaborare con quest’ultimo) e viene sostituito dal
tenente di vascello Tommaso Adami Rook.
17 marzo 1943
L’Antares (capitano di corvetta Maurizio
Ciccone) salpa da Taranto alle 2.30, insieme al cacciatorpediniere Lubiana (capitano di fregata Luigi
Caneschi, caposcorta), alla torpediniera di scorta Tifone (capitano di corvetta Stefano Baccarini) ed al
cacciasommergibili VAS 221, per
scortare a Biserta le motonavi Marco Foscarini
e Nicolò Tommaseo. La navigazione
durante la notte si svolge tranquilla sino alla prima mattina.
Verso le 10, nel
Golfo di Squillace, si verifica un primo allarme, e viene avvistato un
ricognitore, che ha localizzato il convoglio e lo tallona tenendosi fuori tiro.
Tra le 13.30 e le 14.30, al largo di Punta Stilo, il convoglio viene attaccato
a più riprese da quelli che da parte italiana vengono identificati come dodici
aerosiluranti. Dalle fonti britanniche risulta che la forza attaccante fosse
composta da nove aerosiluranti Bristol Beaufort del 39th Squadron
della Royal Air Force (guidati dal tenente colonnello Larry Gaine, comandante
del 39th Squadron), decollati da Malta alle 11.25 e scortati da
altrettanti caccia Bristol Beaufighter del 272nd Squadron R.A.F.
(guidati dal tenente colonnello John Buchanan, comandante del 272nd
Squadron). Uno dei Beaufort, pilotato dal sergente D. W. Frazer, è dovuto
ammarare al largo della costa maltese appena cinque minuti dopo il decollo, a
causa di un improvviso guasto ai motori (i due membri dell’equipaggio sono
stati subito soccorsi); gli altri incontrano il convoglio al largo di Punta
Stilo (alle 13.25 circa, secondo l’orario britannico), e vanno all’attacco. I
Beaufighters, intanto, ingaggiano la scorta aerea, che viene apprezzata da
parte britannica come composta da due bombardieri Junkers Ju 88, dieci caccia
bimotori Messerschmitt Bf 110, uno Junkers Ju 52 (identificazione quasi
certamente errata), un bombardiere Dornier Do 217 ed un idrosilurante Heinkel He
115 (identificazione quasi certamente errata), che volano in cerchio sopra il
convoglio a quote comprese tra i 240 e i 300 metri. Nella battaglia aerea,
diversi Beaufighters lamentano l’inceppamento dei loro cannoncini proprio nei
momenti cruciali in cui hanno i bersagli nel mirino; nondimeno, i caccia
britannici rivendicano il danneggiamento di un Me 110, un Do 217, uno Ju 52 ed
un He 115, mentre subiscono la perdita di un Beaufighter, con la morte del suo
equipaggio (sergenti Lancelot H. Schultz, della RAAF, e William R. Wainwright).
Si buttano nella mischia anche quattro caccia Messerschmitt Bf 110 del III./ZG
26, i quali, trovandosi in volo da Trapani a Gerbini, hanno avvistato l’attacco
in corso e sono subito intervenuti, gettando in mare (per alleggerirsi) i
serbatoi alari supplementari. Godendo del vantaggio della sorpresa e della
quota (attaccano infatti da quota più elevata), i quattro Me 110 del ZG 26
rivendicano l’abbattimento di quattro o cinque Beaufighters; in realtà risulta
che solo due di questi aerei siano andati perduti: quello già citato di Schultz
e Wainwright ed un altro precipitato in mare al largo di Malta durante il volo
di rientro, a causa di problemi ai motori. Da parte tedesca risulta la perdita
di uno Ju 88 del 2./KG. 54, caduto in mare al largo di Punta Stilo (tratti in
salvo il pilota ed altri due uomini).
Nel mentre, i
Beauforts attaccano le navi dalla direzione della costa, volando a pelo
d’acqua: Lubiana e Antares, che si trovano tra gli aerei e
le motonavi, aprono il fuoco per primi con tiro di sbarramento; la Tifone accelera per difendere
la Foscarini, quindi apre il
fuoco con i cannoni da 100/47 mm e le mitragliere da 20 mm, scompaginando la
formazione attaccante e ritenendo (con eccessivo ottimismo) di aver abbattuto
tre aerei. Gli aerei rimasti tornano all’attacco da un’altra direzione e
lanciano siluri rimanenti, che vengono evitati con la manovra dall’Antares e dalle motonavi, poi si
allontanano inseguiti dai caccia della Luftwaffe.
Sette dei Beaufort,
fatti segno ad intenso fuoco contraereo dalle navi della scorta (mentre i
velivoli della Luftwaffe interferiscono poco o niente, essendo impegnati nello
scontro con i Beaufighter), sganciano i loro siluri; l’ottavo aerosilurante,
pilotato dal tenente Norman Petch, ha perso il suo siluro a causa di un difetto
nel congegno di sgancio. Nonostante i piloti britannici rivendichino tre siluri
certamente a segno (quelli lanciati dai Beaufort del tenente colonnello Gaine,
del sergente Harry Deacon e del sergente E. P. Twiname) e quattro probabili
(maggiore Don Tilley, maggiore Colin Milson, capitano Stanley Muller-Rowland,
sergente ‘Paddy’ Garland), in realtà nessun siluro ha fatto centro, e tutte le
navi escono completamente indenni dall’attacco. Uno dei Beaufort, pilotato dal
capitano australiano Donald I. Fraser, viene abbattuto da un caccia tedesco (un
Messerschmitt Bf 109, secondo una fonte); i quattro uomini dell’equipaggio
vengono salvati e fatti prigionieri dalla VAS
221. Gli altri Beaufort, terminato l’attacco, si riuniscono in formazione
compatta per potersi meglio proteggere dai caccia della scorta aerea;
rientreranno tutti alla base di Luqa (Malta) dopo aver rivendicato
l’abbattimento di un Messerschmitt Bf 110, un secondo e forse un terzo Bf 110
probabilmente abbattuti e quattro o cinque danneggiati.
Al tramonto il
convoglio raggiunge Messina, dove sosta in rada dalle 19 alle 22, poi prosegue
per Biserta senza più la VAS 221 ma
con il rinforzo del cacciatorpediniere Lampo (capitano
di corvetta Loris Albanese) e delle torpediniere Perseo (capitano di corvetta Saverio Marotta) e Cassiopea (capitano di corvetta
Virginio Nasta).
18 marzo 1943
Alle 14 Lubiana e Tifone lasciano la scorta del convoglio, dirigendo per Napoli, dove
devono assumere la scorta di altri convogli in partenza per la Tunisia.
19 marzo 1943
All’1.30 il Lampo subisce una grave avaria di
macchina, al punto da dover essere preso a rimorchio dalla Cassiopea; entrambe le unità devono così lasciare la scorta del
convoglio e dirigere per Napoli (dove arriveranno alle 2.50 del 20, scortate
dal cacciatorpediniere Gioberti). La
scorta di Foscarini e Tommaseo si trova così ridotta alla sola
Antares: di conseguenza, il convoglio
viene dirottato a Trapani, dove giunge alle 11.20.
20 marzo 1943
Il convoglio lascia
Trapani alle 4.30, rinforzato nella scorta dalle torpediniere Sagittario (capitano di corvetta
Vittorio Barich) e Fortunale
(capitano di corvetta Mario Castelli della Vinca, che diviene il nuovo
caposcorta), per raggiungere Biserta.
Alle 11.15 il
convoglio viene avvistato in posizione 37°57’ N e 11°44’ E dal sommergibile
britannico Saracen (tenente di
vascello Michael Geoffrey Rawson Lumby), che ne apprezza la rotta in 240° e la
velocità in 15 nodi; oltre alle torpediniere (che Lumby identifica come
cacciatorpediniere, e delle quali sovrastima il numero, credendo di vederne
quattro), Foscarini e Tommaseo godono in quel momento anche di
nutrita scorta aerea (16 velivoli, sempre secondo l’apprezzamento del
comandante britannico). Il Saracen si
avvicina fino a 1460 metri dal convoglio e si appresta a lanciare i suoi siluri
contro la Foscarini, che appare come
la nave più grande, ma proprio quando Lumby sta per lanciare, la motonave
italiana lancia un allarme sommergibili e vira prontamente nella direzione del Saracen, così vanificandone il tentativo
di attacco. Dato che le distanze sono troppo ridotte per poter tentare di
manovrare per lanciare col tubo poppiero, il sommergibile britannico deve
rinunciare all’attacco. Contemporaneamente all’allarme lanciato dalla Foscarini, anche l’ecogoniometro della Sagittario localizza il Saracen; anche la torpediniera accosta
in direzione del battello nemico, ma non inizia subito il lancio delle bombe di
profondità, per cercare di mantenere il contatto sonar (le esplosioni delle
bombe, infatti, farebbero perdere il contatto). Poco dopo, tuttavia, la Sagittario perde egualmente il contatto,
ed il caposcorta le ordina di riunirsi al convoglio.
Avvistato di nuovo
nel Canale di Sicilia, verso mezzogiorno il convoglio viene duramente attaccato
(ad est-nord-est di Pantelleria) da ben 21 bombardieri quadrimotori
Consolidated B-24 “Liberator” dell’USAAF (altra fonte parla di bimotori North
American B-25 “Mitchell”), scortati da 25 caccia pesanti Lockheed P-38
“Lightning”, anch’essi statunitensi. Mentre i “Liberator” attaccano il
convoglio, i “Lightning” vengono attaccati da un nutrito “sciame” di caccia
italiani Macchi M.C. 200 e tedeschi Messerschmitt Bf 109 (questi ultimi del
Jadgeschwader 53) provenienti dalla Sicilia; i caccia statunitensi reagiscono,
contrattaccando a coppie attraverso lo strato di nubi che coprono il mare.
Nella successiva battaglia aerea, i piloti dei “Lightning” (appartenenti al 96th
Fighter Squadron dell’USAAF) rivendicano l’abbattimento di undici aerei
dell’Asse (due Ju 88, otto Bf 109 più altri due probabili, ed “un caccia
italiano monomotore a due posti”: forse un idrovolante CANT Z. 501 della 197a
Squadriglia della Ricognizione Marittima, perduto quel giorno al largo di
Alicudi), mentre i piloti italiani rivendicano l’abbattimento di un bimotore e
di un secondo aereo di tipo non identificato, entrambi a nord di Capo Bon, ed i
tedeschi quello di tre P-38 e due B-25. In realtà, come sempre, le
rivendicazioni sono esagerate da tutte le parti: complessivamente, le perdite statunitensi
consistono in due bombardieri abbattuti al largo di Capo Serrat ed in un P-38
gravemente danneggiato e costretto ad un atterraggio d’emergenza (nel quale
subisce danni tali da essere considerato perduto), quelle italiane in un Macchi
C. 200 precipitato presso Chinisia durante il ritorno alla base
(presumibilmente per danni riportati nel combattimento) e quelle tedesche in un
Messerschmitt Bf 109 del 6./JG 53 (tenente Herst, deceduto) ed in un
Messerschmitt Me 210 dell’8/ZG. 1 (abbattuto dai mitraglieri dei B-25).
Quello lanciato
dall’USAAF contro Foscarini e Tommaseo costituisce uno dei più pesanti
attacchi aerei fino a quel momento subiti da un convoglio diretto in Tunisia,
ma nessuna nave subisce danni; le bombe cadono tutte in mare e l’Antares abbatte uno degli aerei nemici
(per altre fonti, due), mentre un altro viene abbattuto dai caccia tedeschi che
formano la scorta aerea. La Sagittario
setaccia lungamente il mare alla ricerca dell’equipaggio di uno degli aerei
tedeschi abbattuti durante lo scontro, ma senza successo (per questo, arriverà
in porto quattro ore più tardi del resto del convoglio).
Alle 19 il convoglio
raggiunge Biserta.
21 marzo 1943
Alle 2.30 l’Antares (capitano di corvetta
Maurizio Ciccone) lascia Biserta insieme alla gemella Sagittario (tenente di vascello Alessandro Senzi) ed alla più
moderna torpediniera di scorta Fortunale (avente
a bordo il caposcorta, capitano di fregata Antonio Monaco di Longano), per
scortare a Napoli le motonavi Manzoni
e Mario Roselli.
Durante la navigazione,
la Manzoni subisce ripetute
avarie di macchina, che la costringono a fermarsi più volte durante la
giornata: la motonave finisce così col trovarsi arretrata di circa 25 miglia
rispetto alla Roselli, che
prosegue invece verso Napoli alla velocità prevista, insieme alla Fortunale. Antares e Sagittario
rimangono con la Manzoni, per
fornirle protezione ed assistenza.
I britannici sono al
corrente del viaggio: lo stesso 21 marzo i decrittatori di «ULTRA» hanno potuto
riferire che «era prevista per il 21 marzo la partenza del Roselli e del Manzoni, nonché del Saluzzo, da Biserta per Napoli». Di
conseguenza, la sera stessa aerei britannici si mettono puntualmente alla
ricerca del convoglio, che viene localizzato poco prima di mezzanotte.
Tra le 23.15 del 21 e
l’una di notte del 22 il gruppo formato da Antares, Sagittario e Manzoni avvista a grande distanza verso poppa, ad intervalli, otto
serie di bengala.
22 marzo 1943
All’1.45, quando
ormai Antares, Manzoni e Sagittario sono
in vista del faro di Capri, si accoda al gruppo anche un MAS, che pattuglia la
zona alla ricerca di eventuali sommergibili; la notte è limpida, con la luna
piena.
All’1.50 un
aerosilurante britannico Vickers Wellington del 221st Squadron
della Royal Air Force si materializza improvvisamente dinanzi al convoglio:
la Sagittario lo avvista
solo all’ultimo momento, troppo tardi per potergli impedire di lanciare il
siluro. L’arma, dopo una breve corsa, colpisce la Manzoni a poppa, un paio di miglia a sudest (per altra fonte,
a sudovest) di Punta Carena, all’estremità sudoccidentale di Capri. Gli
attacchi aerei, sempre da parte di Wellington del 221st Squadron,
proseguono con ripetuti sganci di bombe, che costringono Antares e Sagittario a lasciare momentaneamente la motonave danneggiata
per rifugiarsi sottocosta a nord di Capri, dove non vengono più attaccate.
Alle 3.05 la Manzoni affonda a cinque miglia per
240° (a sudest) di Punta Carena, nell’isola di Capri; Antares e Sagittario tornano
sul posto alle 3.40, precedute dal MAS di prima e da una motovedetta frattanto
giunta sul luogo, che hanno già iniziato a recuperare i naufraghi, opera cui
ora si uniscono anche le torpediniere. Vengono tratti in salvo 119 dei 125
uomini che si trovavano a bordo della motonave; Antares e Sagittario,
dopo aver ultimato il salvataggio e preso a bordo anche i naufraghi recuperati
dal MAS e dalla motovedetta, proseguono per Napoli, dove arrivano alle 8,
sbarcandovi i superstiti della Manzoni.
29 marzo 1943
L’Antares, la Sagittario, la Fortunale
(caposcorta, capitano di fregata Antonio Monaco) e la vecchia torpediniera Cosenz (capitano di corvetta
Emanuele Campagnoli) partono da Napoli per Tunisi alle 16.30, insieme i
cacciasommergibili tedeschi UJ 2202 e UJ 2207, scortando il convoglio «RR»
(motonavi Belluno, italiana,
e Pierre Claude, tedesca).
30 marzo 1943
Il convoglio si
ridossa a Favignana dalle 17.30 fino alle tre di notte del giorno successivo.
31 marzo 1943
Alle 3.45 il
sommergibile britannico United
(tenente di vascello John Charles Young Roxburgh) avvista il convoglio «RR»
(del quale apprezza erroneamente la composizione in tre mercantili e due
cacciatorpediniere) in posizione 37°54’ N e 11°42’ E. La manovra d’attacco
iniziata dall’United viene però
frustrata quando una delle torpediniere accosta nella sua direzione,
inducendolo ad immergersi in profondità.
Alle 11.25, su ordine
del caposcorta, la Cosenz lascia
il convoglio «RR» per andare a rafforzare la scorta del convoglio «GG»
(piroscafi Nuoro, Crema e Benevento, in navigazione da Napoli a Biserta con la scorta delle
torpediniere Cigno, Clio e Cassiopea, della corvetta Cicogna e
dei cacciasommergibili tedeschi UJ
2203, UJ 2207 e UJ 2210), che segue l’«RR» a circa
40 miglia di distanza. Successivamente anche la Sagittario lascia il convoglio. L’Antares e le altre navi arrivano a Tunisi alle 14.50.
1° aprile 1943
L’Antares (caposcorta) e le torpediniere
Orione e Fortunale lasciano Biserta a
mezzogiorno per scortare a Napoli la motonave Marco Foscarini.
In questa data muore
sull’Antares, in Mediterraneo Centrale,
il sottocapo cannoniere Giuseppe Bergamaschi, 24 anni, da Crema. (È possibile
che questi sia scomparso in mare durante una burrasca: il sergente Giovanni
Munari, infatti, ricorda che nel febbraio 1943, di ritorno da Biserta a Napoli,
l’Antares avrebbe perso due marinai,
trascinati in mare dalle onde durante una burrasca. Di essi non si trova
traccia nell’albo dei caduti e dispersi della Marina Militare, dove l’unico
caduto dell’Antares in data diversa
dal 12 ottobre 1942 è appunto Giuseppe Bergamaschi; è del tutto possibile che
Munari, a distanza di tanto tempo, abbia sbagliato circa l’epoca in cui si
verificò il tragico incidente, e che in realtà esso abbia avuto luogo il 1°
aprile 1943).
2 aprile 1943
Il convoglio giunge a
Napoli alle 15.55.
4 aprile 1943
L’Antares (caposcorta) salpa da Tunisi
alle 16 insieme alla torpediniera di scorta Tifone, scortando il piroscafo tedesco Pierre Claude e la motonave italiana Belluno, ambedue ex francesi.
6 aprile 1943
Dopo tre giorni di
navigazione insidiata giorno e notte da attacchi di bombardieri, aerosiluranti
e motosiluranti, Antares, Tifone, Pierre Claude e Belluno giungono
a Livorno alle 7.30.
Aprile 1943
L’Antares viene destinata alla scorta di
convogli nel Mar Tirreno.
26 aprile 1943
L’Antares salpa da Palermo per scortare a
Livorno il piroscafo Anagni.
Alle 15.45, poco dopo
la loro partenza, il sommergibile britannico Unbroken (tenente di vascello Bruce John Bevis Andrew) avvista Anagni ed Antares, protetti da due aerei che volano sul loro cielo, in uscita
da Palermo e manovra per attaccarli; alle 16.17, in posizione 38°13’ N e 13°26’
E, l’Unbroken lancia tre siluri (gli
ultimi che gli siano rimasti) contro di essi, da una distanza di 5030 metri,
per poi scendere subito in profondità. I siluri mancano il bersaglio.
Maggio 1943
Il comandante Ciccone
sbarca e viene sostituito dal capitano di corvetta Nicolò Nicolini, che già
aveva comandato l’Antares nel
1940-1941, quando aveva affondato il Proteus.
(Da quando ha lasciato il comando dell’Antares,
Nicolini è stato imbarcato sull’incrociatore Bande Nere, sopravvivendo al suo affondamento il 1° aprile 1942, e
poi è stato sottocapo di stato maggiore al Comando del settore militare
marittimo in Francia, a Tolone). Con il comandante Nicolini l’Antares terminerà la sua storia: il
secondo periodo di comando di questo ufficiale durerà solo poche settimane.
15-16 maggio 1943
Durante una missione
di scorta ad un convoglio in Alto Tirreno, l’Antares (capitano di corvetta Nicolò Nicolini) bombarda un
sommergibile con cariche di profondità al largo di Olbia, rivendicandone il
danneggiamento.
Epilogo
Mentre la campagna
tunisina volgeva al termine (le ultime truppe dell’Asse in terra africana si
arresero il 13 maggio), l’Antares
venne destinata a compiti di scorta in Mar Tirreno, svolgendo diverse missioni
in questo nuovo teatro, apparentemente meno pericoloso del Canale di Sicilia,
tra aprile e maggio del 1943.
Il 28 maggio la
torpediniera si trovava ormeggiata al molo Mediceo del porto di Livorno, quando
si abbatté sulla città toscana il primo bombardamento aereo da essa subito nel
corso della guerra. A condurre l’attacco furono 92 “Fortezze Volanti”
(quadrimotori Boeing B-17) della 12th USAAF, su 100 originariamente decollati
dalle basi dell’Algeria (soltanto con la conquista angloamericana del
Nordafrica francese, infatti, era stato possibile per i bombardieri Alleati
raggiungere Livorno, città di notevole interesse industriale e militare, ma
troppo lontana, fino alla fine del 1942, dalle basi aeree britanniche, maltesi
ed egiziane). L’incursione si protrasse dalle 11.35 alle 12.26, ed ebbe effetti
devastanti: se effettivamente furono duramente colpiti gli obiettivi prescelti,
cioè il porto, lo scalo ferroviario e la zona industriale (sede dei cantieri
Odero Terni Orlando, delle acciaierie Motofides e della raffineria ANIC:
quest’ultima costituiva uno degli obiettivi principali), d’altra parte
moltissime bombe caddero anche sul centro cittadino, seminando morte e
distruzione soprattutto nel quartiere Venezia e nelle zone del Voltone, di
Piazza Magenta, Via Baiocchi e Via Marrani. Le bombe distrussero 170 edifici,
tra cui il Duomo, la grande Sinagoga (la seconda in Europa per dimensione), i
teatri San Marco e Rossini ed il Mercato Centrale. Decine di becolini, piccole
imbarcazioni a fondo piatto e vela latina tipiche di Livorno, vennero
frantumate dalle bombe nei canali del porto Mediceo. Come spesso avveniva quando
una città era bombardata per la prima volta, il bilancio tra la popolazione fu
particolarmente grave: almeno 212 civili e 13 militari morirono sotto le bombe,
altri 232 rimasero feriti; il 3 giugno, con il decesso di molti feriti, il
numero delle vittime era già salito a 280. Decine furono i morti nel crollo dei
malsicuri ricoveri antiaerei ricavati nelle cantine dell’Unione Canottieri
Livornesi (cento persone rimasero sepolte nel crollo di un singolo rifugio,
centrato da una bomba in zona Scali d’Azeglio); in un caso, non essendo
possibile recuperare i cadaveri, si decise di murare il ricovero dopo aver
gettato calce viva per evitare epidemie. Particolarmente funesta fu la seconda
ondata, che colse i pompieri intenti ai soccorsi dopo la prima ondata, ed
innumerevoli civili in fuga lungo le vie della città. Molte delle vittime erano
operai dei cantieri Odero Terni Orlando, nonché abitanti del centro e delle
zone limitrofe al porto, alla zona industriale ed all’Accademia Navale.
Decine di migliaia di
livornesi abbandonarono la città nei giorni successivi, rifugiandosi nelle
campagne e negli altri centri della costa toscana: nella sola cittadina di
Rosignano, che contava all’epoca circa 20.000 abitanti, piombarono in un sol
giorno 8000 livornesi sfollati.
Tra le navi
ormeggiate in porto, mercantili e militari, che rappresentavano uno degli
obiettivi principali, il bombardamento fece un vero scempio: affondarono sotto
le bombe la torpediniera Angelo Bassini,
la corvetta FR 52, i piroscafi Lercara e Tiziano, l’incrociatore ausiliario Caralis, il piroscafetto Maralunga,
i motovelieri Alas (vedetta foranea V 84), Luciano, Maria Concetta M.,
Sandro e Sandrina (dragamine ausiliario DM
33), i rimorchiatori Alcione, Artigliere e Francesca Neri
(quest’ultimo requisito come dragamine ausiliario B 404). Altre navi rimasero danneggiate: tra di essere il
cacciatorpediniere Velite e la corvetta
Antilope, entrambe ai lavori nei
cantieri Odero-Terni-Orlando (in conseguenza dei danni causati dalle bombe,
anzi, i lavori sull’Antilope non
poterono essere ultimati prima dell’armistizio, così causando indirettamente la
perdita della nave). Gravissimi danni subì anche lo stesso cantiere navale OTO,
che fu pressoché paralizzato dalle conseguenze dirette e indirette del
bombardamento; la corvetta Stambecco,
colpita sullo scalo dove si trovava in costruzione, fu danneggiata tanto
gravemente che se ne decise la demolizione senza che mai avesse neanche toccato
il mare.
Anche l’Antares fu tra le tante vittime di quel
giorno: durante il bombardamento venne centrata da alcune bombe, che causarono
l’allagamento delle sale macchine e caldaie; nel tentativo di evitarne
l’affondamento, che i danni subiti facevano apparire inevitabile, con l’aiuto
di alcuni rimorchiatori l’Antares
venne portata ad affiancarsi al molo, affinché si poggiasse su fondali più
bassi, evitando la completa sommersione. In quella posizione l’Antares affondò, verso l’una del
pomeriggio, fortemente sbandata sul lato di dritta, lasciando emergere le
sovrastrutture ed il castello di prua. Non vi furono perdite tra il suo
equipaggio (l’Albo dei caduti e dispersi della Marina Militare nella seconda
guerra mondiale non elenca infatti alcuna vittima, in questa data, tra
l’equipaggio dell’Antares; va però
rilevato che la motivazione della M.B.V.M. conferita al comandante Nicolini
accenna a "perdite a bordo").
Il capitano di
corvetta Nicolò Nicolini, nato a La Spezia il 3 agosto 1911, fu decorato con la
Medaglia di Bronzo al Valor Militare per il contegno tenuto durante il
bombardamento ed i tentativi di salvare la sua unità ("Comandante di torpediniera ormeggiata
nell’ambito portuale di località marittima investita da pesante bombardamento
aereo, avuta l’unità danneggiata dall’esplosione di alcune bombe cadute nei
pressi, e perdite a bordo, iniziata la reazione con le armi c.a. disponibili,
dava esempio di serenità e di calma portandosi ovunque fosse necessaria la sua
opera. Constatata la gravità dei danni riusciva ad affiancare la nave alla
banchina, ove si adagiava su bassi fondali. Nella difficile circostanza
otteneva da tutti i dipendenti un comportamento ammirevole").
Il tenente di
vascello Tommaso Adami Rook, ventottenne, da Pisa, venne decorato con la
Medaglia di Bronzo al Valor Militare per essersi prodigato nei tentativi di
salvare la nave: "Imbarcato su una
torpediniera, gravemente colpita da offesa aerea nemica, si prodigava
instancabilmente, malgrado il pericolo di capovolgimento dell’unità e il
perdurare dell’attacco, negli sforzi intesi a salvare la nave. Eseguite le
riparazioni di emergenza, prendeva parte attiva alla manovra di incaglio
dell’unità e successivamente alle prime azioni di recupero, dimostrando
coraggio e spirito di abnegazione".
Si distinsero nel
tentativo di salvare l’Antares, e
furono per questo decorati con la Croce di Guerra al Valore Militare, anche il
marinaio fuochista Nino Ricciardi, ventunenne, da Vezzano Ligure (La Spezia);
il capo meccanico di terza classe Mario Matera, quarantunenne, da Napoli; il
secondo capo furiere Giovanni Cavallero, ventiseienne, da Carmagnola (Torino);
il sottocapo cannoniere puntatore scelto Oreste Capraia, diciannovenne, da
Lucca; il sottocapo elettricista Rosario Frendo, diciannovenne, da Rovigo; il
sottocapo meccanico Giuseppe Giudice, diciannovenne, da Siracusa; il sottocapo
meccanico Sergio Lazzerini, diciannovenne, da Arezzo; il marinaio nocchiere
Nello Boscolo, ventitreenne, da Sottomarina (Venezia); il marinaio nocchiere
Aldo Fanciulli, ventitreenne, da Porto Santo Stefano (Grosseto); il marinaio
nocchiere Antonio Gullo, ventitreenne, da Patti (Messina); il marinaio
nocchiere Raffaele De Marco, ventenne, da Ponza (Latina); il marinaio
cannoniere Vincenzo Velletrini, ventiduenne, da Putignano (Teramo); il marinaio
fuochista motorista navale Cipriano Pinesich, ventunenne, da San Martino in
Valle (Pola); il marinaio fuochista Egisto Baldioli, ventitreenne, da Omegna
(Novara).
Nino Ricciardi, già
decorato di Medaglia di Bronzo al Valor Militare per il contegno tenuto quando
l’Antares era stata bombardata il 12
otobre 1942, dopo l’affondamento dell’Antares
sarebbe stato trasferito a bordo della Spada,
nuovissima torpediniera classe Ariete in allestimento a Trieste. Dopo
l’armistizio, caduta l’incompleta Spada
in mano tedesca, Ricciardi si sarebbe sottratto alla cattura e si sarebbe
arruolato nelle fila della Resistenza, morendo in combattimento l’8 aprile 1945
(fu decorato, alla memoria, con la Medaglia d’Oro al Valor Militare).
Il relitto dell’Antares a Livorno nel 1944, poco dopo la liberazione della città (g.c. STORIA militare) |
La storia operativa
dell’Antares terminò così il 28
maggio 1943. Secondo una fonte, i comandi italiani ne progettarono il recupero
già poco tempo dopo l’affondamento, ma i lavori non poterono avere inizio prima
dell’armistizio dell’8 settembre 1943, quando Livorno, al pari del resto
dell’Italia centrale e settentrionale, fu occupata dalle truppe tedesche, per
poi essere liberata dagli Alleati – ormai ridotta a città fantasma,
semidistrutta dai bombardamenti – il 19 luglio 1944.
Per agevolarne il
recupero, l’Antares venne
inizialmente raddrizzata con l’uso di paranchi e cavi in acciaio, ma tali
lavori di recupero furono successivamente sospesi. Furono ripresi soltanto
verso la fine del 1944, per liberare la banchina e demolire il relitto.
Nel 1946 il relitto
dell’Antares giaceva ancora
semiaffondato nel porto di Livorno: in queste condizioni rivide quella che era
stata la sua nave una sua vecchia conoscenza, il secondo capo nocchiere
Ferruccio Pastoretto. Arruolatosi volontario in Marina nel 1931, a soli sedici
anni, Pastoretto aveva trascorso cinque anni della sua vita sull’Antares, cui era molto affezionato: vi
era stato imbarcato dal momento della sua entrata in servizio, nel 1936, fino
al 1941, quando era stato trasferito sulla motosilurante MS 31. Trovandosi imbarcato su un dragamine che in quell’epoca si
trovava a Livorno, durante una gita in barca nel porto Pastoretto si accostò al
relitto dell’Antares, saltò a bordo e
visitò per un’ultima volta i locali dove aveva trascorso tanta parte della sua
giovinezza.
Formalmente radiata
il 18 ottobre 1946, la carcassa dell’Antares
venne recuperata e definitivamente smantellata nel corso dello stesso anno.
Livorno 1944, raddrizzamento del relitto dell’Antares per il suo recupero (Coll. Erminio Bagnasco, via Maurizio Brescia e www.associazione-venus.it)
Le vicende dell’Antares dall’ottobre 1942 al maggio
1943, nel ricordo dell’allora sergente Giovanni Munari (da www.marinaiditalia.com, sito
ufficiale dell’Associazione Nazionale Marinai d’Italia):
“Dopo tre giorni di inferno in porto a Tobruk 24 ore al giorno sotto
bombardamento, alle volte un solo aereo chiamato il disturbatore, altre volte
dozzine di aerei che sganciavano bombe a volontà la baia di Tobruk era un
cimitero di navi Italiane e Ingìesi. Finalmente alle ore 16 dell’undici Ottobre
42 lasciavamo Tobruk di scorta a 4 piroscafi e un sommergibile a rimorchio di
una delle navi, diretti a Taranto. Alle ore 20 venivo rilevato dal servizio in
caldaia dal sotto capo Meccanico Tozzi. Dopo avere consumato la cena mi recavo
in segreteria macchine (mio posto di combattimento a disposizione del Direttore
Macchine quando non ero di servizio in caldaia o in macchina). In segreteria
c’era il direttore macchine signor Bassotti Capitano GNDM capo Tipolotti Capo
Giannini e Capo Ascolese, il Direttore stava spiegando certi lavori che si avrebbe
dovuto fare una volta arrivati a Taranto, sempre che il Comando Marina ci
avesse dato il tempo. (Perché in questi ultimi mesi eravamo in continua
navigazione). Ore 23 circa uscivo per fare un giro intorno alla nave quando
notavo un bagliore ora bianco ora rosso lontano verso il sud, chiamavo il
Direttore che venisse a vedere e disse: Stanno bombardando Tobruk. Ore 24
scendevo in caldaia N° 2 per il mio secondo turno. Ore 0.50 ricevevo ordine di
aprire la valvola nafta: per i fumogeni e il Direttore mi informava che il mare
era illuminato come se fosse giorno. L’Antares aumentava la velocità e girava
intorno al convoglio coprendolo di nebbia artificiale. Ore 0,59 si udiva un
colpo che sembrava sotto la chiglia, la nave sbandava paurosamente sul lato sinistro,
e si fermava, Benché tutti i bruciatori fossero accesi al massimo la pressione
in caldaia scendeva rapidamente, cercai di comunicare con la caldaia N° uno, ma
quando tolsi il tappo dal tubo porta voce usciva vapore con forza, compresi che
la uno doveva essere danneggiata, perciò io chiusi la comunicazione del vapore
fra te due caldaie, poco dopo la pressione nella 2 si fermava di scendere e poi
incominciò a risalire alla pressione di regime. A questo punto cercai di
comunicare con la macchina di Prora, con la Segreteria Macchine con la Plancia
ma da nessuno ricevevo risposta, la situazione era critica i Fuochisti mi
chiedevano di abbandonare il locale, per me era un dilemma abbandonare il
locale potevo essere messo alla corte marziale rimanere la sotto potevamo tutti
4 fare la fine del topo Perciò mandai il fuochista Ceresoli in coperta a
cercare il Direttore o qualunque altro ufficiale che le dasse istruzioni. Dopo
7/8 minuti Ceresoli ritornava ( Non ho mai dimenticato le sue parole e le
ripeto) Mi disse: “Munari in coperta c’è solo morti e feriti, a Poppa ho
trovato il signor Scarpato (sarebbe il Comandante in seconda) mi disse di dirti
di spegnere la caldaia, scaricare la pressione e poi vai a Poppa che ti
aspetta.” Dopo fatto quanto ordinato mi avviavo verso Poppa cercando di non
pestare su qualche morto o ferito, mentre camminavo verso Poppa notavo che sul
lato sinistro il mare lambiva la coperta per una profondità di 10/15
centimetri. A Poppa trovavo il signor Scarpato con 5/6 Marinai aggrappati alla
draglia per non scivolare. Il signor Scarpato mi disse Munari sei il solo dei
sotto ufficiali di macchina incolume (Qui faccio una osservazione era la prima
volta che da Sergente passavo per sotto ufficiale) il djrettore è morto, Capo
Tipolotti, Giannini e Ascolese sono morti e gli altri due sono gravemente
feriti, non te lo ordino perché la nave può capovolgersi ogni momento, ti
chiedo se scendi nel locale timone e porti il timone al centro che è rimasto
tutto alla banda forse raddrizzeremo di qualche grado la nave. Non che avessi
piacere andare là sotto ma il lamento dei feriti che se la nave fosse affondata
per loro non c’era tanta speranza e forse neanche per noi, scesi nel locale
timone l’acqua mi arrivava sopra le ginocchia disconettavo la manovra meccanica
e inserivo la manovra a mano, e con la ruota timone sistemata nel locale stesso
portavo il timone al centro. Risalito in coperta notavo che il mare non lambiva
più la coperta perciò la nave si era raddrizzata di qualche grado. Il signor
Scarpato mi ringraziava, ma non aveva finito mi disse: io (lui Scarpato) prendo
cura dei feriti e tu cerca di salvare la nave. Sapevo che in magazzino c’era
una pompa a mano come quelle usate dai pompieri, con l’aiuto di alcuni marinai
la portavamo in coperta, in pochi minuti fu messa insieme e incaricai il sotto
capo meccanico Farella che con gli uomini presenti provasse ad asciugare il
locale dinamo, io con Ceresoli scendevamo nel locale dinamo e tamponavamo 2
fori, poi passavamo in macchina di Prora e tamponavamo 3 fori 2 dietro le pompe
d’aria e di circolazione e uno dietro le pompe dell’olio, dove mi prendevo
diverse scottature, poi passati in macchina di Poppa tamponavamo altri 2 fori.
Faccio presente che in macchina di Prora c’era Capo Giannini morto e in Macchina
di Poppa c’era capo Ascolese morto. Fare questi lavori aveva preso tempo e
stava per spuntare l’alba quando andai a vedere cosa aveva fatto Farella, e
visto che I’acqua era scesa al disotto dei paglioli provavo mettere in moto il
motore Diesel Generatore, dopo diversi temtativi il motore andava in funzione,
ora avevamo corente, Passavo in macchina di Prora dove cera una pompa elettrica
di esaurimento la mettevo in funzione e iniziavo ad asciugare i locali allagati
e con le pompe elettriche di travaso nafta e acqua passavo i liquidi dal Iato
sinistro sul lato destro e portavo la nave in chiglia, con la nave in chiglia
molti dei fori che prima entrava acqua, ora non entrava più perché qui fori
erano venuti a trovarsi al di sopra della linea di galleggiamento. Verso le ore
0,8 arrivava 2 idrovolanti Tedeschi che portarono via 8 dei feriti piu gravi e
circa alle ore 16 arrivava la Torpediniera Lupo a portarci aiuto. Passavamo i
feriti sul Lupo e fu facendo questo che persi il rispetto. Stavo portando il
mio amico Tozzi che non sapevo se era vivo o morto quando ai piedi delle
passerella mi incontravo con il mio Comandante Ceccone, che la magior parte di
noi lo credevamo morto perché si era mai fatto vedere dopo l’attacco, si teneva
una mano sopra l’occhio sinistro, lo lasciai passare, ma quando vidi un Tenente
medico che si avviava verso di lui io gridai: Dottore questo ragazzo ha bisogno
di lei più del Comandante. Quel Tenente sI girava e visto che io tenevo in
braccio uno che sembrava morto venne vicino e mi disse: mettilo su quel
materrassino e cominciò a esaminare Tozzi, io le chiesi se era vivo la risposta
fu SI. Portavo sul Lupo il fuochista Caminetti rimasto cieco e altri feriti,
portati tutti i feriti sul Lupo il Lupo ci prendava a rimorchio (Siamo stati
fortunati che l’Inglesi non sono più ritornati, dopo circa un’ora a rimorchio
si era alzata una buona maretta e il cavo di manilla si spezzava, cosi veniva
perso ancora tempo ad allacciare un cavo d’acciaio, il Lupo ci portava in porto
a Suda (Creta) e ci attraccavano vicino alla nave officina Pacinottì, ambulanze
Italiane e tedesche portarono via morti e feritì, e il Comandante Ceccone
partiva in aereo quel pomeriggio per l’Italia e non si è più visto fino circa
la metà di gennaio 43. In porto a Suda gli operai della Pacinotti lavavano e
disinfettavano e chiudevano in diversi fori del’Antares, mentre noi venivamo
alloggiati sulla Pacinotti. Dopo 5 giorni il Signor Scarpato mi chiamava in
quel sgabuzzino che le serviva da ufficio, e mi leggeva la Motivazione che
doveva mandarla al Comandante Ceccone per la firma, e in confidenza mi disse:
con questa motivazione riceverai la medaglia d’Argento e la promozione. lo lo
ringraziavo e non ci ho più pensato. Dopo 10 giorni a Suda a rimorchio del
rimorchiatore Valente in 2 tappe ci portarono all’Arsenale del Pireo, dove
iniziarono a riparare la macchine. Siamo rimasti fermi al Pireo una quarantina
di giorni, durante i quali il Comando Marina aveva mandato una dozzina fra
Marinai e fuochisti e 3 Capi meccanici, Capo Matera di carriera e due secondi
capi richiamati, che mi dissero che loro non sanno dove mettere le mani, hanno
sempre lavorato su navi con macchine alternative, ed erano in congedo da più di
15 anni, così io e capo Matera abbiamo cercato dì istruirli per quando la nave
sarà pronta a muovere. Non ricordo il giorno ma verso la metà di dicembre 42
dal Pireo ci siamo trasferiti a Taranto, dove I’Antares veniva messa in secca e
tutti i superstiti fummo mandati in licenza per 40 giorni. E qui voglio fare un
commento. Da anni non passavo il Natale con i miei genitori, noi eravamo 4
fratelli e 3 eravamo in prima linea io in Marina dove il fronte andava da
Trieste e Genova all’Africa e il dodecaneso gli altri 2 fratelli Giuseppe
trattenuto ha combattuto sul fronte Greco e Antonio chiamato alle armi nel 1941
ora tutti e due negli Alpini sul fronte Russo, a casa c’era il piu piccolo che
allo scoppio della Guerra aveva 9 anni. Voi che leggerete questo scritto
potrete capire l’angoscia dei miei Genitori. Finita la licenza ai primi di
Gennaio 43 ritornavo a bordo e trovavo l’Antares fatta come nuova quel giorno
che rientravo stavano facendo nafta e caricavano le munizioni. Trovavo più
della metà di nuovo equipaggio e i sotto uffciali e il direttore macchine tutti
nuovi, degli Ufficiali vecchi solo il Comandante Ceccone e il Signor Scarpato
erano rimasti. Il 15 Gennaio 43 comincia la prima missione di scorta una nave
da Taranto a Messina. Da Messina ci trasferirono a Napoli dove abbiamo
cominciato la scorta a singole navi e convogli per la Tunisia su quella che era
chiamata la rotta della morte. Nel mese di Febbraio 43 di ritorno da Biserta a
Napoli perdevamo 2 marinai portati via dal mare e in quel mese sbarcava il
signor Scarpato e lo sostituiva il Tenente di Vascello Adamo Rook. Nei primi
giorni di Marzo 43 arrivava le Decorazioni che ci furono consegnate dal
Comandante in seconda signor Rook benché il Comandante Ceccone fosse a bordo.
Tutti i superstiti la Croce di Guerra al V.M, io La Medaglia di Bronzo al V.M..
Un giorno in Aprile 43 avevo 4 ore di libera uscita a Napoli, il caso volle che
incontrassi il Signor Scarpato e cosi parlando le dissi che avevo ricevuto la
medaglia di Bronzo e no promozione. (Volete sapere cosa mi ha risposto?) Queste
sono le parole del Signor Scarpato. Mi ha detto (Munari devi ringraziare il
Comandante Ceccone che ha cambiato i termini della mia motivazione, perché ha
detto che hai la lingua troppo lunga (Allora ho ripensato a quello che avevo
detto sul Lupo.) Poi continuando mi ha detto che per questo e altre cose lui
non poteva più collaborare con il Comandante Ceccone perciò ha fatto domanda di
essere trasferito. La Motivazione del signor Scarpato descriveva quello che
avevo fatto e terminava che avevo salvato la nave da sicuro affondamento. La
modifica del Comandante Ceccone parla che ho cercato di mantenere nel limite
del possibile i vari macchinari in funzione. Non c’erano macchinari da
mantenere in funzione perché spenta la caldaia non c’era più forza. La forza è
ritornata quando ho messo in funzione il Motore Diesel Generatore. Verso la
metà di marzo credo era il 15 abbiamo perso la Motonave Monzoni silurata alle 2
di notte da sommergibili, il 19 Maggio 43 nelle acque di Olbia l’Antares
affondava il terzo sommergibile. Il 23 o 24 Maggio sbarcava il Comandante
Ceccone e lo sostituiva il Caoitano di Corvetta Nicolò Nicolini che aveva
comandato l’Antares nel 40/41. lo salutavo il Comandante Ceccone con queste
parole: (La saluto Comandante e la ringrazio per avermi fatto saltare la
medaglia d’Argento e la promozione). Non ha detto una parola: il 28 Maggio 43
alle ore 9,30 un attacco aereo in porto a Livorno faceva grandi danni sul
porto, alle ore 11,30 dello stesso giorno un secondo attacco aereo sul porto a
Livorno una bomba cadeva razando lo scafo dell’Antares ed eplodeva sotto la
nave affondandola. E qui finisce la storia dell’Antares No certo la mia che con
alti e bassi continuava fino il 26 Giugno 1947 quando da Maridepo Taranto
venivo congedato. Epilogo l’Antares ha al suo passivo la perdita di 3 navi Il
PRF Sardegna affondato da sommergibile il 29 Dicembre 1940 nel basso Adriatico.
La Petroliera Sant’Andrea affondata da aerei il 30 Agosto 1942 sulla rotta
Taranto Bengasi La Motonave Monzoni affondata da sommergibili non sono sicuro
ma credo sia stato il 15 o il 17 Marzo 1943 sulla rotta Tunisi Livorno. Ha
subito la perdita di circa 60 morti dai numerosi attacchi aerei in mare e un
numero grande di feriti. Al suo attivo l’Antares ha l’affondamento sicuro di 3
sommergibili e 2 probabili e la distruzione di 13 aerei da sola senza contare
quelli distrutti assieme ad altre navi”.
L’Antares in navigazione (g.c. Nedo B. Gonzales via www.naviearmatori.net) |
Un episodio di guerra
vissuto dall’Antares e dal suo
equipaggio nel novembre 1940, narrato dall’allora secondo capo nocchiere
Ferruccio Pastoretto (da Torino, nato nel 1915):
“In uno dei primi giorni del novembre 1940 la R.T. Antares si cullava
dolcemente nelle placide acque antistanti il porto di Valona, ed il suo
equipaggio, dopo aver vinto quel che potrebbesi definire un terno al lotto
secco fino all'osso, si crogiolava in imbando (allascato, rilassato) al tepore
del pallido sole novembrino. La vicenda del terno secco o dell'attuale tredici
sisalino, va ricercata nella appartenenza, a quell'epoca, dell'Unità di cui
trattasi a Maritrafalba e pertanto impiegata in quel tour de force che era la
scorta convogli la quale impegnava navi e uomini 24 ore su 24 tutti i santi
giorni che il buon Dio inviava in questa valle di lacrime, festivi compresi.
Qui ora si pone di parlare del suo equipaggio perché, cita un vecchio adagio marinaro,
è l'equipaggio che fa la barca e non viceversa, e quello in argomento era
piuttosto, come suol dirsi, con i fiocchi, generoso, affezionato all'Unità,
rotto ad ogni fatica da più periodi di 'Scuola Comando'. A questi valori devesi
aggiungere che ogni suo componente vantava non meno di 24 mesi d'imbarco sulla
citata Torpediniera, tralasciando i vari periodi di richiamo in voga a quei
tempi. È doveroso aggiungere che ogni suo singolo elemento si riteneva, e lo
era, un consumato esperto delle sue mansioni di bordo, in modo che tutti si
consideravano facenti parte di un equipaggio secondo a nessuno. Poi, per quanto
concerneva gli avversari (inglesi, i greci non erano presi in considerazione)
erano dell'opinione che, per quanto bravi fossero, potevano al massimo
eguagliarli ma non mai superarli, quindi non li temevano. Tra gli spaparazzati
(giacenti) nella piazzola centrale sovrastante l'osteriggio di macchina ove era
sistemato il complesso binato da 20 mm, trovavasi anche lo scrivente,
personaggio di spicco per quella piccola Unità in quanto appartenente a quella
élite di ex sottocapi che vi avevano preso imbarco nel periodo della sua
consegna alla Marina Militare ed ora già promossi od in attesa della stessa a
Secondo Capo. Gli incarichi di questo 'anziano Antares' erano piuttosto
numerosi: Timoniere di manovra, il che in guerra è tutto dire, padrone della
seppietta, (motoscafo comandante) e della lancetta quando quest'ultima
imbarcava il motore fuoribordo, dirigente del posto di manovra di poppa al
'macchine libere' della plancia, responsabile del fuori bordo e del castello,
braccio destro del nostromo ed amministratore dei materiali di consumo del
nocchiere ed altri ammennicoli vari. Impegnati nella cura elioterapica, in
quella piazzola, trovavansi oltre al sottoscritto, anche due fochisti
indossanti il farsetto bianco, ora grigio sporco e costellato di buchi, calzoni
di macchina intrisi di nafta e scarpe sformate trasudanti oli e grassi vari. Il
terzo ed ultimo stazionante era rappresentato da un marò sv (servizi vari –
sciacquino), tutto lindo e pinto in quanto addetto alla mensa Ufficiali.
Quest'ultimo manteneva una certa distanza dai precedenti in quanto si riteneva
culturalmente superiore: lui aveva fatto la sesta elementare e della faccenda
ne aveva intronate le capocce di tutto l'Orbis nonché dell'Urbis; a tutto ciò
va aggiunta la sua sicumera per il delicato e responsabile incarico che lo
portava a bazzicare l'aristocrazia di bordo, cioè i Sigg. Ufficiali, il che non
era poco. La conversazione del gruppo lasciava piuttosto a desiderare in quanto
i parcheggiati erano tutti intenti ad assaporare i tiepidi raggi solari, quando
la loro attenzione fu attratta dal decollo, in mezzo ad una nube di polvere, di
cinque nostri bombardieri. “Chissà che faranno quelli?”, chiese distrattamente
un fochista. “Che vuoi che facciano”, intervenne sussiegoso il marò, “Sono
bombardieri, ed i bombardieri li hanno fabbricati apposta per bombardare.”
“Beeeh! Come fai a sapere che vanno a bombardare? Te lo hanno detto per fonogramma?”
“Sai com'è, visto che i bombardieri non mandano mai le bombe a mezzo posta, ma
sono abituati a recapitarle di persona, ed assodato che noi siamo qua ed i
greci là, chiunque con una zucca leggermente razionale dice che quattro e
quattro fanno otto, e tra breve ne avremo la conferma perché nel giro di una
ventina di minuti saranno di ritorno”, informò con sicumera il marò sv in
quanto in mensa aveva appreso che il fronte, per degli aerei, trovavasi quasi a
portata di mano. “Sììì! Perché quelli vanno a razzo”, sbottò ironicamente il
secondo fochista, al quale incominciava a pesare sul piloro il tono saccente
del marò sv. “Credi che ci mettano il sale sulla coda per farli andare così
veloci?”, s'informò il primo fochista. “Vedete”, ribatté il marò sv, “quelli
volano e non vanno a carburo come la mano nera” (personale di macchina).
“Intanto precisiamo”, intervenne il secondo fochista, “la nostra non è una mano
nera, ma una mano santa, e non andiamo né ad acetilene né a carbonella, ma con
i polverizzatori, e la nostra non è più una macchina alternativa, ma una
moderna turbina.” “Lascia perdere”, interruppe l'altro fochista, “che vuoi che
ne capisca uno che non distingue un bullone fallito da una bulletta per le
scarpe.” Ma il primo fochista non era del parere in quanto aveva ancora
qualcosa da esternare, quindi proseguì: “E se non fosse per noi che ti portiamo
a spasso, visto che in mare non vi sono paracarri, tu saresti costretto a
sedere su di uno scoglio in attesa che vi passi una cacavella.” “Caravella, si
dice caravella”, corresse sogghignando il marò sv. “Sì, quelle di Colombo, ma
per te una cacavella che ti sbarchi a Fan Gù è già troppo.” “Così potresti
sempre importare bachi da seta”, suggerì l'altro fochista, “dicono che la seta
cinese sia la migliore del mondo.” “Non è che per caso voi l'abbiate già
bazzicato questo Fan Gù”, chiese quel curiosone del marò sv, “perché in tale
caso gradirei conoscere se vi hanno soddisfatti o meno”, poi terminò con un
“per conto mio preferisco rimanere sullo scoglio a pescare. Questo Fan Gù è
troppo lontano per il mio carattere.” La faccenda andò ancora avanti con
qualche picca e ripicca; poi il motivo, in considerazione che v'era in corso
una guerra mondiale, che la Cina era piuttosto distante e che occorreva un pozzo
di tempo per raggiungerla, fu lasciato cadere e la diatriba tornò sul
precedente argomento e proseguì finché il marò, interrompendo bruscamente la
disputa, si mise a strillare indicando la baia Ducati: “Eccoli, eccoli!”
Volgemmo tutti lo sguardo nella direzione indicata ed aguzzando la vista
scorgemmo una formazione di tre aerei. “Porc…, ma quelli sono solo tre”,
ringhiò un fochista, “non vorrei che ce ne avessero fregati due.” “Aspettiamo
un momento”, suggerì il marò sv, “può darsi che quelli che mancano si siano
attardati per un motivo qualsiasi.” “Sì, per fare la pipì”, brontolò mezzo
incollerito l'altro fochista, poi, strizzando gli occhi per metterli più a
fuoco, tirò un sospiro di sollievo e tutto raggiante muggì: “Ve ne sono altri
dietro.” Ed era vero, perché concentrando tutte le nostre facoltà visive
riuscimmo a scorgere ad una certa distanza dalla precedente altre due
formazioni di tre aerei ciascuna. “Che succede”, fece il marò sv., “Sono
partiti in cinque e tornano in nove.” “Devono aver fatto come la ragazza del
paese che non è mio” informò un fochista. “Che ha fatto la ragazza del paese
che non è tuo?” volle conoscere incuriosito l'altro fochista. “È andata alla
fiera di Pinerolo”, notiziò il primo, “e tornata a casa comprò (partorì) un
figliolo.” “Che può essere successo?”, chiese il marò rivolgendosi a me. “Io ne
so quanto voi, posso solo fare delle congetture.” “E sarebbero?” insistette il
marò sv. “Potrebbe darsi che, per potenziare l'azione, gli aerei decollati da
Valona dovessero unirsi a squadriglie provenienti da altri campi, oppure
trattarsi di aerei in trasferimento dall'Italia, ovvero che il tutto sia dovuto
a un semplice e banale scalo tecnico per rifornimento, o che so io. In ogni
caso teniamoli d'occhio.” E per quanto sopra tutti e quattro, lasciata cadere
ogni discussione, ci trasformammo in osservatori. Fu così che nell'esercizio
della mia nuova mansione rilevai, con una certa apprensione, che mentre la
prima squadriglia si abbassava le altre rimanevano in quota, ma il fattore che né
dal campo di atterraggio che da altri luoghi a terra nessuno aprisse il fuoco,
mi tranquillizzò alquanto. “Sergente, come mai scendono solo i primi tre?” “Che
vi debbo dire, non lo so. Può darsi che il campo possa ricevere solo tre aerei
per volta e che gli altri debbano rimanere in volo in attesa del turno.” Così,
per quanto detto, acuimmo la sorveglianza decisi ad appurare l'arcano delle
terne aeree, ma il tutto andò a monte quando un fochista, non senza una certa
meraviglia, se ne uscì con: “Guardate, buttano manifestini.” A quel buttano
manifestini mi si rizzarono le orecchie; quei manifestini erano un anacronismo,
quindi la faccenda cambiava indirizzo. Scrutai con più cura gli aerei e notai
sotto gli stessi gruppi di puntini biancheggianti. “Quelli sono gabbiani”,
rettificò il marò sv.; se fossero manifestini svolazzerebbero in tutte le
direzioni.” Contemporaneamente da parte mia rilevavo che i puntini di cui
trattasi sembravano allontanarsi gli uni dagli altri come se si sgranassero, e
finalmente intuii ciò che stava accadendo: quelli non erano né gabbiani né
manifestini, ma grappoli di bombe luccicanti al sole. “Sono bombe!”, urlai, ed
istantaneamente partii a razzo. Percorsi come un fulmine il tratto di
passerella che collegava la piazzuola al fumaiolo, (a quei tempi facevo 100
metri in 12“), girai attorno al detto alla stessa velocità, con tre balzi
superai la breve scaletta che portava all'aletta di sn., mi precipitai in
plancia. Qui, prima facendo perno sul telegrafo di macchina sn., ed una frazione
di secondo dopo sulla barra di compensazione della chiesuola, giungevo a tiro
del pulsante dei segnali sul quale pestavo in continuazione 'posto di
combattimento'. Quanto vi avevo impiegato? In quei momenti in cui le gambe si
muovono da sole vertiginosamente, è difficile stabilire i tempi, ma valuto non
oltre i 20”. Alcuni istanti dopo fui sorpreso dal classico 'clac'
dell'otturatore del pezzo di prora. Sembrava impossibile, data la brevità di
tempo da che battevo posto di combattimento, che qualcuno fosse già sul posto
ed azionasse il cannone. Qualche secondo ancora e percepivo il caratteristico
rumore dei caricatori delle mitragliere da 20 mm che venivano estratti dai loro
cofani. Una manciata di secondi ed un calpestio sulla mia testa mi avvertiva
che gli addetti alla D.T. (direzione tiro) avevano raggiunto la loro stazione.
Ancora qualche altro secondo e la voce calma del telemetrista iniziava a
scandire le distanze. Fuori, sull'aletta di plancia, il Serg. P.S. (puntatore
scelto) brandeggiava velocemente il binocolo della punteria asservita. Nel
frattempo erano giunti in plancia gli addetti, telegrafi di macchina,
brogliaccio, segnalatori, tutta gente come il sottoscritto, che essendo l'unità
alla fonda, non aveva niente da fare. Il Comandante, in considerazione che la
direzione di tiro era compito del 'Tenente' (Com/te in 2a ), s'era limitato ad
impartire l'ordine alla macchina di comunicare non appena pronta a muovere.
Dopodiché, preso il binocolo, si mise ad osservare gli aerei che riconobbe per
inglesi. Era imperturbabile e sereno, ma sulle sue labbra aleggiava un sorriso
che pareva dicesse: “Sembra che ce l'abbiano fatta a sorprenderci gli
albionici.” Adesso, nel fare un riepilogo di tutto quel trambusto, possiamo
considerare che in meno di un minuto, forse 50”, l'Antares era pronto ad aprire
il fuoco con tutte le sue armi. Ora si impone, prima di passare alla
disavventura che descriveremo, di specificare i motivi che la determinarono. Il
fuoco antiaereo dell'Antares non è che fosse granché; non per colpa del
personale, che anzi si scervellava in continuazione per migliorarlo con
mezzucci e ritrovati casalinghi, ma per tre fondamentali moventi. 1° - Le
esercitazioni antiaeree erano sempre state ridotte all'osso. Venivano, come è
uso dire, ad ogni morte di papa, ed i papi, anche se tali sono affezionati alla
loro pelle e non lasciano questa valle di lacrime tutti i giorni. E pertanto
era grassa se le suddette avvenivano un paio di volte all'anno. Non ho mai
capito la ragione di questa carestia di addestramento: forse la penuria di
aerei, difficoltà di telecomunicazioni, insufficienza di collaborazione tra
Aeronautica e Marina (bisogna riconoscere che un po' di ruggine era in atto).
Tutto ciò però non toglie che si ripercuotesse in modo deleterio sull'efficienza
della direzione di tiro ed armamenti dei pezzi. 2° - L'esercitazione consisteva
nell'apparire nel cielo dell'unità che doveva eseguire i tiri di un apparecchio
lumaca che portava a guinzaglio (rimorchio) una manica a vento. Questa
tartaruga del cielo aveva l'abitudine di mantenere inalterata rotta, quota e
velocità. Quindi, una volta stabiliti a mezzo del telemetro i tre dati, e
conoscendo la velocità di arrampicata dei proiettili, era un gioco da ragazzi
accertare ove il bersaglio si sarebbe trovato in un qualsiasi momento. La
faccenda cambiava leggermente quando, al posto del flemmatico rimorchiatore, si
trovavano moderni e veloci bombardieri, i cui piloti avevano il vizio, non
appena si accorgevano che le granate si stavano prendendo una certa confidenza
col loro aereo, di variar rotta, quota e velocità, rimettendo in tal modo tutto
in discussione”. Così termina, interrompendosi per motivi rimasti ignoti,
il dattiloscritto scritto di proprio pugno da Ferruccio Pastoretto; il figlio
Piero ha ricostruito la conclusione dell’episodio ivi narrato sulla base dei
racconti del padre: “Dunque gli aerei
inglesi, dopo aver sganciato delle bombe su Valona, si dirigono sulla baia
probabilmente per mitragliare e spezzonare le unità alla fonda. Il pezzo da
100/47 è messo in punteria e il primo colpo è incamerato. Tuttavia i colpi
dell'antiaerea erano spolettati per deflagrare a una determinata distanza e
pitturati sul fondello con un colore diverso per distinguerli tra loro. Già nel
novembre del 1940, data dell'episodio, c'era inoltre l'ordine assoluto di
risparmiare i proiettili e, come narrava ironico mio padre, di 'sparare contro
gli aerei solo a colpo sicuro'. Dunque il pezzo era pronto ad aprire il fuoco
contro il più prossimo degli attaccanti, ma poiché la distanza diminuiva
rapidamente, ecco dal telemetro venire la voce (non ricordo naturalmente i
colori, ma devo per necessità inventare): “Rosso, rosso rosso!” Da qui la
necessità di togliere il primo proietto destinato alle distanze maggiori, e
incamerare il colpo con il fondello spolettato per le distanze minori. Ma
appena compiuta l'operazione, e avvicinatosi di più l'aereo, ecco un nuovo
ordine: “Giallo, giallo, giallo!”. E così una terza volta: “Verde, verde,
verde!” Alla fine l'attaccante superò l'Antares senza procurare alcun danno
all'unità, ma purtroppo anche senza che il pezzo antiaereo di prua avesse
potuto sparare un solo colpo. A questo punto, narrava mio padre, il
sottufficiale capopezzo (il “capo cannò”, come era comunemente chiamato tra i
marinai) si tolse il berretto, lo scagliò sul ponte e cominciò a calpestarlo
per la rabbia e l'onta di non aver potuto, non dico mettere a segno un colpo,
ma neppure fare fuoco – rosso, giallo o verde poco importa – contro il nemico
per il semplice motivo che si doveva sparare 'soltanto a colpo sicuro'. La
storia non ha una morale e si concludeva con la macchietta del 'capo cannò' che
comicamente ballava bestemmiando sul suo berretto. Essa era fine a se stessa,
unicamente un episodio fra i tanti, rimasto impresso nel ricordo di mio padre
forse perché compiaciuto per la prontezza di riflessi che in quell'occasione
aveva mostrato. Una morale però è possibile ricavarla: lo spreco inutile di uno
splendido personale così altamente addestrato, aggressivo e motivato, per un miserabile
e burocratico regolamento di approccio all'obiettivo (…)”.
Una breve poesia
dedicata dall’allora sergente Giovanni Munari, imbarcato sull’Antares dal 18 giugno 1940 al 28 maggio
1943, alle torpediniere, “piccole navi, veloci, belle ed efficienti signorine
del mare”:
Quando spunta il sole all’orizonte
la Torpediniera da ore è fuori in mare,
nella calma, nella tempesta
singola nave o convoglio,
su l’altra sponda deve scortare.
Arrivano gli aerei,
la Torpediniera zig zaga,
spara rabbiosa.
Vengono dai lati da Poppa da Prora,
volano tutto al’intorno
cadono le bombe,
mitragliano a tutto andare,
è un inferno, un manicomio difficile da
descrivere
o raccontare.
Gli aerei se ne vanno;
meno alcuni finiti in mare,
ci si guarda intorno dal mitragliamento
sei morti e una ventina di feriti;
c’è, da assistere e medicare.
Non c'è dottore, per loro poco si può fare
a quei poveretti,
soltanto conforto si cerca di dare.
Si arriva su l’altra sponda,
sbarcano morti e feriti,
nuovo personale viene a imbarcare,
e la stessa storia sta per ricominciare.
Per le Torpediniere non c’è sosta,
non c’è riposo
una singola nave o un convoglio è sempre,
pronto da scortare.
Erano trentuna le Torpediniere
della classe Spica ne sono rimaste otto,
le altre ventitré riposano in fondo al mare,
fra queste anche la Torpediniera Antares
(g.c. Giorgio Parodi, via www.naviearmatori.net) |
Grazie per il bellissimo lavoro di ricostruzione svolto. "Il secondo capo furiere Giovanni Cavallero, ventiseienne, da Carmagnola (Torino)" decorato con la Croce di Guerra al Valore Militare nel tentativo di salvare l’Antares nel porto di Livorno il 28 maggio 1943
RispondiEliminaera mio zio, il fratello di mia mamma
Franco Bonino