martedì 15 gennaio 2019

Caterina

Il Caterina in procinto di affondare, il pomeriggio del 19 ottobre 1941 (dal libro “Il vero traditore” di Alberto Santoni)

Piroscafo da carico di 4786 tsl e 2492 tsn, lungo 120,9 metri, largo 16,2 e pescante 7,3, con velocità di 10 nodi. Appartenente alla Società di Navigazione Carlo Martinolich, avente sede a Trieste, ed iscritto con matricola 434 al Compartimento Marittimo di Trieste; nominativo di chiamata internazionale IBFM.

Breve e parziale cronologia.

27 marzo 1920
Varato nei cantieri Todd Drydock & Construction Company di Tacoma (Washington) come statunitense Padnsay (numero di cantiere 14).
15 aprile 1920
Prove statiche dell’apparato motore.
21 aprile 1920
Il Padnsay esce dal cantiere ed effettua le prove in mare, che danno risultati soddisfacenti.
24 aprile 1920
Completato come Padnsay per lo United States Shipping Board, ente governativo statunitense avente sede a Washington e creato nel 1916 con lo scopo di sostenere lo sviluppo della Marina Mercantile statunitense; finalità poi trasformatasi l’anno successivo, con l’entrata in guerra degli Stati Uniti, nella gestione della flotta mercantile statunitense durante il conflitto, e nella sua espansione per soddisfare le esigenze belliche americane (e non solo) mediante acquisizioni, requisizioni e programmi di costruzione basati su progetti standardizzati, per conto dell’appositamente costituita Emergency Fleet Corporation (EFC, poi divenuta Emergency Merchant Fleet Corporation).
Uno dei numerosi tipi di navi mercantili standardizzate previste dall’EFC è il "Design 1014, Cascade type", di cui fa parte il Padnsay: si tratta di navi da carico di 7500 tpl, lunghe 116 metri e larghe 16, a due ponti e cinque stive, propulse da macchine a triplice espansione da 2400 IHP con caldaie di tipo scozzese alimentate a nafta, tutte costruite dalla Todd Drydock & Construction Company (che ha originariamente stipulato contratti per la costruzione degli scafi da 105 a 114 e da 2629 a 2652 dell’EFC). Del "Design 1014" vengono realizzati in tutto 22 esemplari (su 34 inizialmente previsti), tra cui il Padnsay.
Caratteristiche originarie del Padnsay: stazza lorda 4838 tsl, stazza netta 2977 tsn, portata lorda 7659 tpl. Nominativo di chiamata LWJP, numero USSB 2635. In vista di un possibile futuro utilizzo come nave ausiliaria da parte della Marina statunitense, il Padnsay riceve anche il numero identificativo ID-4497.
Fine aprile 1920
Subito dopo il completamento, il Padnsay viene assegnato ad una nuova linea merci inaugurata dallo United States Shipping Board, con partenza da Los Angeles e periplo del Sud America. La linea, gestita dalla compagnia Swayne & Hoyt Lines di San Francisco, prevede scali in tutti i principali porti di entrambe le coste dell’America Latina, tra cui Buenos Aires e Montevideo, costeggiando verso sud la costa occidentale, attraversando lo stretto di Magellano e poi risalendo la costa orientale, per poi attraversale il Canale di Panama e raggiungere Los Angeles (da dove parte il viaggio di andata) e San Francisco. Per assicurare il successo della nuova linea, vengono coinvolti nella sua promozione anche funzionari argentini (una delle finalità della linea è anche quella di rafforzare le relazioni commerciali con la fiorente economia argentina) e messicani. Tra le merci trasportate vi sono legname, merluzzo e salmone in scatola, per i quali c’è molta richiesta in Sud America; nonché catrame, frutta secca, altro cibo in scatola, fagioli, iuta, cemento, farina, riso, olio, carta, trattori e attrezzi agricoli nei viaggi di andata, e caffè, cacao, melassa, zucchero nel viaggio di ritorno.
Tocca proprio al Padnsay di inaugurare la nuova linea, con un viaggio da Los Angeles verso il Sud America carico di prodotti della California; gli altri piroscafi assegnati a tale servizio sono tutti suoi gemelli costruiti dalla Todd Shipbuilding, tra cui il Pallas, il Pansa ed il Paphos.
17 settembre 1928
Ceduto alla American West African Line Inc. di New York, linea dagli Stati Uniti all’Africa Occidentale fondata  dallo United States Shipping Board e gestita dalla Barber Steamship Company, che ha così anche la gestione del Padnsay. Porto di registrazione New York, nominativo di chiamata KUQG.
Oltre alle merci, nelle sue traversate il Padnsay trasporta occasionalmente anche missionari diretti in Africa, come quelli del Lewis Memorial Fund (1935) per la realizzazione di un ospedale in Congo.
15 febbraio 1929
Il Padnsay, in navigazione da New York (da dov’è salpato il 10 febbraio) all’Africa Occidentale con a bordo 35 uomini di equipaggio e due passeggeri diretti a Monrovia, incappa in una violenta burrasca da nordest (della durata di 36 ore, definita da un giornale come la peggior tempesta dell’inverno) a seguito della quale perde il timone; anche l’aereo della radio viene strappato dalla violenza del mare, ma il Padnsay riesce ad alzare un’antenna di fortuna. Il piroscafo chiede aiuto con un SOS, annunciando di trovarsi alla deriva nell’Atlantico in tempesta, in posizione 41°30’ N e 49°50’ O (circa 1440 o 1100 miglia ad est di New York, 1100 miglia ad est della nave faro di Ambrose, 720 miglia a sudest di Halifax e 300 miglia a sud-sudest di Cape Race; praticamente al centro dell’oceano).
Verso le dieci del mattino del 16 febbraio la richiesta di aiuto viene captata da un altro piroscafo statunitense, il President Harding (il quale, al comando del capitano William Rind, si trova in quel momento 850 miglia ad est di New York, in navigazione da quel porto a Brema), distante circa 300 miglia, che si precipita al suo soccorso; a causa della violenza del mare, il President Harding non riesce a superare i 12 nodi di velocità. Successivamente si uniscono alle ricerche anche altre cinque navi, tra cui il transatlantico italiano Vulcania; le condizioni del tempo sono particolarmente avverse, con venti di forza prossima a quella di una burrasca, pioggia e neve. Le ricerche, ostacolate da forti nevicate, proseguono nella notte senza successo; dopo circa ventiquattr’ore, tuttavia, mentre la forza della burrasca va gradualmente scemando, l’equipaggio del Padnsay riesce da solo a compiere delle riparazioni provvisorie, realizzando un timone di fortuna, e la nave fa rotta per le Azzorre (dove potrà ricevere riparazioni più estese agli organi di governo) senza bisogno di ulteriore assistenza.
3 febbraio 1930
Mentre il Padnsay è ormeggiato nel porto fluviale di Matadi, nel Congo belga (a circa 250 miglia dalle foci del Congo), per operazioni di scarico, il marinaio filippino Santos Flores uccide il terzo ufficiale di macchina, John Woolford.
Il delitto sarà, tra l’altro, al centro di una disputa giurisdizionale, avendo coinvolto due cittadini statunitensi (sia Flores – dato che le Filippine sono un possedimento statunitense – che Woolford) a bordo di una nave statunitense, ma ormeggiata in un porto sotto la giurisdizione belga: Flores verrà portato a Filadelfia (Stati Uniti) per il processo, ma la locale corte distrettuale riterrà di non aver giurisdizione sul caso, poiché l’omicidio si è verificato su una nave statunitense ma non in alto mare, bensì all’interno di un territorio (il Congo) di giurisdizione di un Paese straniero (il Belgio). La Corte Suprema statunitense, chiamata a deliberare sul caso, darà invece giudizio opposto, ritenendo che – non avendo le autorità belghe rivendicato giurisdizione sul caso – debba prevalere la giurisdizione degli Stati Uniti.
23 dicembre 1936
Il Padnsay salpa dagli Stati Uniti per un viaggio straordinario verso l’Africa Occidentale, sostituendo un altro piroscafo che è immobilizzato per equipaggio insufficiente in conseguenza degli scioperi indetti tra i marittimi.
Il viaggio del Padnsay si rivelerà particolarmente scalognato: nel corso della navigazione, infatti, la nave subirà un incendio a bordo, s’incaglierà presso Marshall (Liberia), sarà speronata da un rimorchiatore a Takoradi (Costa d’Oro, attuale Ghana) ed infine subirà un grave incidente a Port Harcourt, in Nigeria, nel quale il primo ufficiale rimarrà ucciso da un argano.
1938
Acquistato dall’armatore Matteo Scuderi di Catania e ribattezzato Fortunata.
1939
Acquistato dalla Navigazione Carlo Martinolich S.a.g.I. di Trieste e ribattezzato Caterina.
Marzo 1940
A guerra mondiale già scoppiata, ma durante la non belligeranza italiana, il Caterina finisce al centro di un incidente internazionale: partito da Rotterdam e diretto in Italia con un carico di carbone tedesco, viene sequestrato e dirottato da cacciatorpediniere britannici nella rada delle Downs (al largo di Deal, nel Kent, dove è stata stabilita una base britannica per i controlli sul contrabbando) dalle unità britanniche che assicurano il blocco navale contro la Germania (dal 1° marzo è entrato in vigore il divieto, imposto dal Regno Unito, dell’esportazione di carbone tedesco da Rotterdam in Italia, pena l’intercettazione in alto mare e conseguente sequestro delle navi e confisca dei carichi come preda bellica), per effettuare controlli. Stessa sorte subiscono anche altre sette navi italiane anch’esse cariche di carbone: i piroscafi OrataAbsirteaLianaRapidoErnesto e Felce e la motonave Loasso, ed entro l’8 marzo il numero salirà a 15, tra cui i mercantili PozzuoliIschiaIntegritasPamiaSemien e San Luigi (in tutto in quei giorni vi sono a Rotterdam 17 navi intente a caricare carbone: l’Italia, per questa risorsa di energia, dipende infatti dalle importazioni, ed il 60 % del carbone importato – 11.000.000 di tonnellate – viene dalla Germania). In tutto più di 100.000 tonnellate di carbone vengono confiscate. Il governo italiano invia a Londra una forte nota di protesta, dicendo che l’accaduto mette in discussione le relazioni politiche ed economiche stabilite tra i due paesi, e la notizia viene riportata da numerosi giornali tedeschi (che parlano di pirateria e furto ai danni dell’Italia), britannici (alcuni dei quali rivendicano il diritto del Regno Unito di interdire le esportazioni di carbone della Germania, mentre altri prospettano una crisi con l’Italia ed ipotizzano i suoi risvolti), italiani (tra i quali “Il popolo d’Italia” denuncia l’accaduto come imperdonabile, mentre altre testate auspicano una soluzione che non nuocia ai rapporti anglo-italiani), australiani, americani. A Venezia un folto gruppo di studenti universitari organizza una manifestazione di protesta (la prima manifestazione antibritannica dai tempi della guerra d’Etiopia) contro il blocco navale britannico sotto il consolato del Regno Unito, venendo disperso da polizia e carabinieri. L’accaduto sconcerta anche molti circoli italiani usualmente favorevoli ai britannici.
Tutte le navi, tranne la Loasso (che ha caricato il suo carbone prima che il divieto entrasse in vigore), vengono rilasciate solo dopo la confisca del carico.
29 ottobre 1940
Mentre il Caterina è ancorato nella rada di Valona, in Albania, un’altra delle navi presenti in rada, l’incrociatore leggero Alberto Di Giussano, ara sull’ancora per effetto delle pessime condizioni meteorologiche (mare agitato, vento teso) ed investe il piroscafo, causando alcuni lievi danni.
5 novembre 1940
Il Caterina parte scarico da Valona alle 23, in convoglio con il piroscafo Tagliamento, la nave cisterna Nautilus e la motonave Città di Bastia, scortate dalla torpediniera Monzambano e dal posamine Azio.
6 novembre 1940
Il convoglio arriva a Brindisi alle 14.45.
16 novembre 1940
Il Caterina, con a bordo 40 militari ed un carico di otto automezzi, 34 quadrupedi e 1064 tonnellate di materiali, salpa da Brindisi alle 9.50 e raggiunge Valona alle 22.30, scortato dalla torpediniera Antares.
1° gennaio 1941
Il Caterina ed il piroscafo Albano, scarichi, lasciano Valona alle 6.30 diretti a Durazzo, scortati dalla torpediniera Aretusa, ma il mare burrascoso li costringe a tornare indietro alle 11.30.
2 gennaio 1941
Caterina, Albano ed Aretusa ripartono da Valona alle 7.
Il convoglio procede in linea di fila, con l’Aretusa in testa, seguita dall’Albano, ed il Caterina in coda; le condizioni meteomarine sono ancora avverse, con mare grosso e vento teso da ostro-libeccio.
Alle 15.49, ad una decina di miglia da Durazzo, l’Albano urta una mina (appartenente agli sbarramenti difensivi italiani: l’incidente è causato da un errore di rotta e dal fatto che l’Aretusa non conosce la posizione del campo minato) e si spezza in due, per poi lentamente affondare nel punto 41°10’ N e 19°24’ E, al largo di Capo Laghi (ad una quarantina di miglia da Valona). L’Aretusa recupera 35 superstiti, quattro dei quali feriti, mentre altri cinque uomini (tra cui il comandante dell’Albano) hanno perso la vita.
Il Caterina prosegue e raggiunge Durazzo alle 13.
30 gennaio 1941
Parte da Bari a mezzanotte in convoglio con la motonave Donizetti ed i piroscafi Titania e Città di Tripoli, scortati dalla torpediniera Giacomo Medici e dall’incrociatore ausiliario Barletta. Il carico del convoglio assomma a 688 quadrupedi e 128 tonnellate di foraggio e materiali, oltre a 1506 militari.
31 gennaio 1941
Il convoglio arriva a Durazzo alle 14.
11 febbraio 1941
Il Caterina ed altri due piroscafi scarichi, ZenaTitania, lasciano Durazzo alle 3.30 insieme alla torpediniera Solferino, arrivando a Bari alle 17.
26 febbraio 1941
Il Caterina ed i piroscafi Tagliamento, Sant’Agata ed Andrea Contarini salpano da Bari alle 18 diretti a Durazzo, con la scorta della torpediniera Giacomo Medici. Il convoglio ha un carico che assomma complessivamente a 145 militari, 1131 quadrupedi, 6,5 tonnellate di foraggio e 1907 tonnellate di materiali.
27 febbraio 1941
Il convoglio giunge a Durazzo alle 10.45.
5 marzo 1941
Il Caterina, lo Zena e la motonave Riv, scortati dal cacciatorpediniere Carlo Mirabello, rientrano scarichi da Durazzo a Bari.
27 marzo 1941
Il Caterina parte da Bari alle 16 diretto a Valona, con la scorta dell’incrociatore ausiliario Brioni. Nel punto convenzionale «Y», al largo di Brindisi, si unisce al convoglio un secondo piroscafo proveniente da quel porto, lo Stampalia, mentre un terzo, l’Iseo, non lo trova e ritorna a Brindisi. Il convoglio trasporta complessivamente 1664 tonnellate di foraggio e 729 di benzina e provviste.
28 marzo 1941
Caterina, Stampalia e Brioni arrivano a Valona alle 9.15.
21 aprile 1941
Il Caterina ed i piroscafi Scarpanto e Bucintoro lasciano vuoti Valona alle 10, scortati dalla torpediniera Solferino, e raggiungono Brindisi alle 19.45.
10 giugno 1941
Il Caterina, il piroscafo Istria e la motonave Marin Sanudo trasportano truppe e materiali da Bari a Durazzo, scortati dalla torpediniera Medici.
13 giugno 1941
Caterina, Istria e Marin Sanudo, scortati dalla torpediniera Generale Marcello Prestinari, trasportano truppe e materiali da Durazzo a Bari.
3 luglio 1941
Il Caterina compie un viaggio da solo da Durazzo a Bari.
7 luglio 1941
Trasporta materiali del Regio Esercito da Bari a Durazzo.
12 luglio 1941
Viaggio isolato da Durazzo a Brindisi.
9 agosto 1941
Viaggio isolato da Durazzo a Bari.
16 agosto 1941
Requisito a Bari dalla Regia Marina, senza essere iscritto nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato.
23 agosto 1941
Viaggio isolato da Bari a Durazzo.
17 settembre 1941
Il Caterina lascia Napoli alle cinque del mattino, diretto a Tripoli, in convoglio con le motonavi Marin Sanudo e Col di Lana e la nave cisterna Minatitlan. Il convoglio (terzo convoglio di navi da carico del mese), denominato proprio «Caterina», è scortato dai cacciatorpediniere Freccia (caposcorta, capitano di fregata Giorgio Ghè), Folgore, Dardo ed Euro, ed imbocca la rotta di ponente.
I mercantili del convoglio «Caterina» sono i primi bastimenti da carico, nella guerra dei convogli libici, ad essere muniti di radiosegnalatori per le comunicazioni radio con le altre unità della formazione; un significativo progresso nell’organizzazione dei convogli (nel corso della navigazione, infatti, le comunicazioni tra mercantili e navi scorta si svolgeranno regolarmente e con facilità, come riferito dal caposcorta nel suo rapporto).
18 settembre 1941
Alle quattro del mattino il convoglio, mentre naviga sulle rotte interne di Favignana, viene attaccato da aerosiluranti britannici a tre miglia da Marsala. Le navi della scorta, come al solito, cercano di nascondere i mercantili con cortine nebbiogene ed aprono il fuoco con l’armamento contraereo (anche i piroscafi lo fanno, ma il caposcorta Ghè lamenterà nel suo rapporto che, mentre il tiro contraereo delle navi scorta è efficace, «i piroscafi di solito hanno eseguito un disordinato tiro di sbarramento che molte volte era diretto verso le unità di scorta»); data la vicinanza della costa, anche le batterie di terra sparano contro gli aerei. Uno degli attaccanti viene abbattuto, ma un siluro colpisce la Col di Lana, che viene rimorchiata a Trapani dai rimorchiatori Liguria e Montecristo, scortati dal Dardo.
In serata, il convoglio viene nuovamente attaccato da aerosiluranti, decollati a Malta dopo il tramonto; questa volta, però, le abbondanti cortine nebbiogene emesse dalle navi scorta riescono a frustrare l’attacco.
19 settembre 1941
In mattinata si unisce alla scorta il cacciatorpediniere Vincenzo Gioberti, proveniente da Tripoli. Qui il convoglio giunge alle 12.30 (o 17.30).
30 settembre 1941
Caterina, Minatitlan e Marin Sanudo lasciano Tripoli alle 16 per tornare in Italia, scortati dai cacciatorpediniere Alpino (caposcorta), Oriani, Fulmine e Strale. Il convoglio è denominato "H".
2 ottobre 1941
All’1.19, in posizione 37°53’ N e 12°05’ E (al largo di Marettimo), il sommergibile britannico Utmost (capitano di corvetta Richard Douglas Cayley) avvista il convoglio di cui fa parte il Caterina a 6 miglia di distanza, su rilevamento 130°, con rotta stimata 330°. Pur giudicando le condizioni molto sfavorevoli per un attacco, Cayley tenta ugualmente e lancia un singolo siluro; sarebbe in realtà sua intenzione lanciarne tre, ma dopo il lancio del primo l’Utmost viene localizzato dall’Oriani, che lancia un razzo Very verde nella sua direzione. Il sommergibile, pertanto, interrompe l’attacco e s’immerge immediatamente, venendo poi sottoposto dall’Oriani, precipitatosi contro di esso, a caccia col lancio di 22 bombe di profondità (nessuna delle quali esplode vicino all’Utmost, che così non subisce danni). Il siluro lanciato non colpisce nulla.
3 ottobre 1941
Il convoglio arriva a Napoli alle due.
 
Profilo e pianta dei piroscafi standardizzati tipo Design 1014, classe cui apparteneva il Padnsay, poi Caterina (da www.shipscribe.com). Non è stato possibile rintracciare immagini del Caterina in condizioni “normali”, prima del suo affondamento; chi ne fosse in possesso potrebbe contattarmi all’indirizzo lorcol94@gmail.com

L’affondamento

Alle 11 (per altra versione 13.30) del 16 ottobre 1941 il Caterina, al comando del capitano di lungo corso Mario Suttora, salpò da Napoli per una nuova traversata verso Tripoli, in convoglio con i piroscafi Beppe e Paolina e con le motonavi Probitas e Marin Sanudo, e sotto la scorta dei cacciatorpediniere Folgore (caposcorta, capitano di fregata Ernesto Giuriati), Fulmine, Alfredo Oriani, Vincenzo Gioberti ed Antoniotto Usodimare e della torpediniera Cigno. Nelle stive e sul ponte di coperta, il Caterina trasportava complessivamente 158 automezzi (una fonte afferma che fossero veicoli tedeschi, ma il volume dell’U.S.M.M. non ne specifica la nazionalità) e 2163 tonnellate di rifornimenti. Il convoglio, denominato «Beppe», avrebbe seguito la rotta che passava ad ovest di Malta, che pur essendo sotto qualche aspetto più rischiosa di quella di est, era giudicata la più idonea per il transito di convogli lenti (velocità non superiore ai 9 nodi, come appunto il «Beppe», che era considerato un convoglio lentissimo) in quanto più breve. I vantaggi di questa rotta consistevano nella minor durata del viaggio e nella possibilità di garantire alle navi la scorta aerea – per lo meno di giorno – per tutta la traversata, con aerei decollati da Pantelleria e Lampedusa; gli svantaggi, nella minor distanza della rotta da Malta, nel non dare ai mercantili vie di scampo verso ovest, e nell’avere un percorso racchiuso entro un corridoio ampio poche miglia, delimitato da un lato dai campi minati posati nel Canale di Sicilia e dall’altro dalla costa della Tunisia e dalle secche di Kerkennah. Seguire la rotta di levante avrebbe comportato, per un convoglio lento, di trattenersi molto più a lungo entro il raggio dell’offesa britannica, così vanificando il vantaggio della maggior distanza dalla base avversaria (peraltro ulteriormente ridotto, nell’ottobre 1941, dall’arrivo a Malta degli aerosiluranti Vickers Wellington, aventi un raggio d’azione maggiore degli Swordfish e degli Albacore, così che nemmeno la rotta di levante passava più al di fuori del raggio operativo degli aerosiluranti).
Alle 16.50, poco più di tre ore dopo la partenza, la Probitas venne colta da un’avaria e dovette rientrare a Napoli scortata dal Fulmine, mentre la minuscola motonave Amba Aradam (requisita come unità ausiliaria con sigla F 138) si unì al convoglio provenendo da Trapani, dove invece si diresse la Cigno lasciando il convoglio.
Il primo giorno di navigazione trascorse tranquillo, ma il 17 ottobre “ULTRA”, la celebre organizzazione britannica dedicata alla decrittazione dei messaggi in codice dell’Asse, intercettò e decifrò un messaggio relativo al convoglio «Beppe» (da esso chiamato «Caterina»), dal quale apprese tutto quello che c’era da sapere: «Convoglio Caterina comprendente sei navi italiane scortate da 4 Ct doveva lasciare Napoli alle 11.00 del giorno 16 per Tripoli, arrivando alle ore 18.00 del giorno 19, rotta ad ovest di Malta, 9 nodi».
Da Malta vennero dunque fatti decollare dei ricognitori, che rintracciarono le navi italiane a mezzogiorno e poi ancora alle 16.40, al largo di Marettimo.
Nella notte tra il 17 ed il 18 il convoglio, che procedeva a velocità molto bassa e si trovava a sud di Pantelleria, venne informato via radio da Supermarina di essere stato avvistato da un ricognitore britannico. Un’ora dopo si verificarono i primi attacchi, da parte di almeno tre aerosiluranti: questi attaccarono dopo aver lanciato dei razzi illuminanti, ma l’attacco poté essere eluso grazie a manovre difensive ed alla pronta stesura di cortine nebbiogene, attorno ai mercantili, da parte della scorta (grazie anche alla rotta seguita, 188°, ed al leggero vento di poppa, che aveva facilitato la copertura dei piroscafi con le cortine fumogene). Vennero avvertite le esplosioni di tre siluri, evidentemente giunti a fine corsa dopo il lancio.
Il convoglio scampò indenne a questi primi attacchi, ma nella mattinata del 18, a sud di Lampedusa (nel punto 35°25' N e 11°39' E) ed a 140 miglia da Tripoli (per altra fonte, 45 miglia ad ovest di Lampedusa e 85 miglia ad ovest-nord-ovest di Tripoli), le navi incapparono nel sommergibile britannico Ursula (tenente di vascello Arthur Richard Hezlet): questi, salpato da Malta per una missione nella zona dello stretto di Messina, era stato poi dirottato nelle acque di Lampedusa a seguito delle segnalazioni di “ULTRA”. Alle 8.06 l’Ursula avvistò il fumo prodotto dalle navi del convoglio nel punto 35°27'N e 11°45'E (su rilevamento 306°), ed alle 9.02, in posizione 35°25'N e 11°39'E, lanciò quattro siluri da distanze di 5500 e 6400 metri contro due dei mercantili italiani, stimati in 6000 tsl: si trattava con ogni probabilità del Caterina e del Beppe.
Alle 9.10 il Beppe avvistò due siluri: riuscì ad evitarne uno, ma l’altro lo colpì a prua, lasciandolo immobilizzato, fortemente appruato, sbandato ed abbandonato da una parte dell’equipaggio. Un’unità della scorta contrattaccò con nove bombe di profondità tra le 9.25 e le 10, senza riuscire a danneggiare l’attaccante; il caposcorta distaccò per l’assistenza l’Oriani ed il Gioberti, ma poco dopo richiamò l’Oriani, a seguito della notizia che (per sua stessa richiesta) altri due cacciatorpediniere, il Nicoloso Da Recco ed il Sebenico, erano salpati da Tripoli a quel preciso scopo. Il Caterina non fu colpito.
Mentre il Gioberti si apprestava a prendere a rimorchio il Beppe (che riuscì poi a raggiungere Tripoli, assistito dai cacciatorpediniere e dai rimorchiatori Ciclope e Max Berendt, dopo tre giorni di travagliata navigazione in condizioni precarie), il resto del convoglio proseguì per la propria rotta.

Alle 21.50, ad una sessantina di miglia da Tripoli, vennero avvistati quattro aerei che si avvicinavano per attaccare; in realtà erano cinque, aerosiluranti Fairey Swordfish dell’830th Squadron della Fleet Air Arm, decollati Malta alle 19.40 al comando del tenente di vascello Aidan F. Wigram (altra fonte parla invece del tenente di vascello Robert Edgar Bibby). Li avevano guidati sul posto le segnalazioni di un ricognitore Vickers Wellington del 211st Squadron della Royal Air Force, munito di radar ASV (Air to Surface Vessel, per la localizzazione di navi da parte di aerei), che aveva localizzato e pedinato il convoglio (da esso apprezzato come composto da quattro mercantili di 3000-6000 tsl scortati da quattro cacciatorpediniere).
La scorta iniziò ad emettere cortine fumogene, ma la copertura del convoglio risultò meno efficace rispetto alla sera precedente: mancava infatti un cacciatorpediniere (il Gioberti, rimasto col Beppe). Il caposcorta aveva tenuto un cacciatorpediniere a poppavia del convoglio con l’intento di farlo passare sul lato dove più fosse stata richiesta la sua presenza sulla base della probabile direzione da cui sarebbero arrivati gli aerei nemici; dato che i razzi illuminanti (li aveva lanciati il Wellington del 211st Squadron per illuminare le navi e facilitare il compito degli attaccanti) erano stati lanciati sulla sinistra del convoglio (il che faceva presumere che l’attacco sarebbe giunto dal lato opposto, in modo che gli attaccanti potessero distinguere le sagome delle navi che si stagliavano contro la luce dei bengala), Giuriati fece passare il cacciatorpediniere sulla dritta, inevitabilmente accettando di lasciare sguarnito il lato sinistro del convoglio. Alle 22.30, quando l’attacco era in corso da circa tre quarti d’ora, il caposcorta Giuriati ritenne che la nebbia artificiale si fosse diffusa abbastanza da coprire un’accostata; pertanto ordinò per radiosegnalatore ai mercantili di accostare di 45° a dritta (portandosi su rotta 135°) in modo da allontanarsi dalla zona illuminata dai bengala. Proprio in quel momento, però (altra versione indica le 23.45), il Caterina venne raggiunto da un siluro in sala macchine. L’aereo che l’aveva lanciato, contrariamente alle previsioni, aveva attaccato il convoglio sul lato sinistro, pur con lo svantaggio di avere i bengala alle spalle.
Da parte britannica, uno dei piloti degli Swordfish, il sottotenente di vascello Stewart William Lennox Campbell, ricordò in seguito: “Questo convoglio sembrava in fase di formazione quando arrivammo. Era di nuovo una notte perfetta. Scelsi una grossa nave e mi avvicinai per attaccare. Mentre andavo all’attacco, vidi un lampo quando la nave fu colpita a poppa da un altro aereo, che scoprii poi essere [quello di] Bobby Lawson. Proseguii nel mio attacco ed ottenni un centro a centro nave. Salii di quota per vedere quali fossero i danni [inflitti al bersaglio]. La nave si era fermata e vidi un cacciatorpediniere che le si affiancava. All’improvviso ci fu una tremenda esplosione, e fumo e rottami furono lanciati più in alto del mio aereo, che in quel momento stava volando a circa 2000 piedi [610 metri]. Era uno spettacolo fantastico e penso che anche il cacciatorpediniere fu affondato”.
Che il Caterina fosse saltato in aria fu un’erronea impressione che non deve aver riguardato il solo Campbell, tanto che anche l’articolo “Ole Stringbag” dello storico maltese Richard J. Caruana, che descrive le imprese degli Swordfish di Malta, afferma a riguardo che «La nave, che trasportava munizioni (…) fu colpita diverse volte finché infine saltò in aria, mentre un’altra nave fu seriamente danneggiata» (in reltà, unica altra nave del convoglio a subire danni fu il Beppe, ma per i siluri dell’Ursula, non per attacco aereo). Secondo una fonte britannica il Caterina sarebbe stato colpito da almeno due siluri; il primo, a poppa, dallo Swordfish del sottotenente di vascello Robert Arthur Lawson, seguito subito dopo da un secondo a centro nave, lanciato dallo Swordfish del sottotenente di vascello Stewart William Lennox Campbell. La nave, così immobilizzata, venne poi attaccata ancora dagli Swordfish del sottotenente di vascello Raymond Warren Taylor e del tenente di vascello George Myles Thomas Osborn, attratti dalle luci degli incendi a bordo.
Da parte italiana, tuttavia, risulta che il Caterina fu colpito da un solo siluro (e certamente non saltò in aria); oltre a quello, vennero avvertiti gli scoppi di altri tre siluri a fine corsa. L’attacco aereo terminò alle 23.01, ed alle 23.30 il convoglio compì una nuova accostata di 45° a dritta (assumendo rotta 180°) per evitare di essere individuato.
Subito dopo il siluramento del Caterina, il caposcorta Giuriati aveva ordinato all’Oriani (capitano di fregata Vittorio Chinigò) di prestare assistenza al piroscafo sinistrato.
Sebbene gravemente danneggiato, il Caterina continuò a galleggiare per parecchie ore dopo il siluramento; da Tripoli vennero fatte salpare alcune unità di soccorso, tra cui l’anziana torpediniera Generale Antonino Cascino ed il rimorchiatore tedesco Max Berendt (fatto partire alle 4.30 del 19 ottobre dopo che il Comando navale tedesco di Tripoli aveva ricevuto alle quattro una chiamata del locale Comando Marina italiano, che informava che il Caterina era stato silurato alle 22.30 in posizione 34°04’ N e 12°55’ E, ma che poteva proseguire a bassa velocità). Si diresse sul posto anche il Sebenico, inizialmente fatto salpare da Tripoli per andare in soccorso del Beppe. L’equipaggio del Caterina venne trasferito sulle unità di scorta; il comandante Suttora fu l’ultimo a lasciare la nave, cosa che fece solo dopo ripetute sollecitazioni da parte del comandante Chinigò dell’Oriani. Durante il successivo rimorchio, poi, Suttora ritornò più volte a bordo del piroscafo per dirigere le operazioni.
L’Oriani assisté il Caterina in ogni modo e tentò infruttuosamente di prenderlo a rimorchio, ma fu tutto inutile: alle 17.30 del 19 ottobre, dopo un’agonia durata diciannove ore, il piroscafo si capovolse ed affondò a 62 miglia per 350° dal faro di Tripoli (cioè a nord della città libica) e 80 miglia a sudest di Lampedusa.
Il Max Berendt, la cui opera ormai non era più necessaria, venne inviato in soccorso del Beppe, che prese a rimorchio per l’ultimo tratto della sua difficile navigazione verso Tripoli. I decrittatori di “ULTRA” intercettarono, lo stesso 19 ottobre, altri messaggi dai quali poterono apprendere con tutti i particolari gli esiti degli attacchi sferrati contro il convoglio per effetto delle loro decrittazioni di due giorni prima.

 Una serie di immagini della lunga agonia del Caterina:

La nave inizia a sbandare: ben visibile il gran numero di autocarri stipati dovunque in coperta, nonché il notevole armamento contraereo che non bastò a proteggere il Caterina dagli Swordfish (g.c. Mauro Millefiorini via www.naviearmatori.net)
…lo sbandamento aumenta (da “Il vero traditore”)…
…finché il Caterina si abbatte su un fianco. Affonderà poco dopo dopo. (Foto scattata dal Sebenico nel tardo pomeriggio del 19 ottobre; sulla destra si riconosce l’Oriani. Per g.c. di “STORIA militare”)

La maggior parte del personale imbarcato sul Caterina poté essere salvato; vennero tratti in salvo 185 uomini, mentre il volume U.S.M.M. "La difesa del traffico con l’Africa Settentrionale dal 1° ottobre 1941 al 30 settembre 1942" sembra contraddirsi sul numero delle vittime. A pagina 28, infatti, tale libro afferma che «nel sinistro si persero soltanto tre uomini dell’equipaggio, tutti gli altri vennero recuperati dall’Oriani», mentre a pagina 371 del medesimo volume viene detto che «dei 199 presenti a bordo 185 sono salvati dalla Tp Cascino», nel qual caso le vittime sarebbero state 14.
Il comandante Mario Suttora, da Trieste, per il suo comportamento dopo il siluramento ed i suoi sforzi per tentare di salvare la nave, venne decorato con la Medaglia di Bronzo al Valor Militare, con motivazione: "Comandante di piroscafo navigante in convoglio, colpito da siluro durante un attacco di aerosiluranti nemici, affrontava con decisione e ardimento la difcile situazione e, mentre si preoccupava del salvataggio dei suoi dipendenti, si prodigava con sereno coraggio nei tentativi di effettuare la salvezza della nave. Abbandonata per ultimo la nave, solo per intimazione del comandante dell’unità di scorta, ritornava a bordo più volte per dirigere personalmente le operazioni di rimorchio nché, accentuatosi lo sbandamento e divenute ancor più precarie le condizioni di galleggiabilità, era costretto a desistere dall’ardua impresa".

La perdita del Caterina provocò non pochi malumori tra gli alti comandi italiani; lo stesso 19 ottobre il capo di Stato Maggiore Generale, generale Ugo Cavallero, convocò i sottocapi di Stato Maggiore di Esercito, Marina ed Aeronautica, cui lamentò che nella protezione notturna al convoglio «Beppe» non si era applicato, come invece Supermarina aveva richiesto prima della partenza del convoglio, il "principio della massa", secondo cui l’Aeronautica della Sicilia avrebbe dovuto lanciare contro le basi aeree di Malta attacchi aerei che si sarebbero dovuti susseguire durante tutta la notte, così da impedirne o almeno limitarne l’utilizzo da parte nemica. Invece, i bombardamenti sulle basi maltesi erano stati effettuti soltanto poco prima dell’alba del 19, parecchie ore dopo il decollo gli Swordfish che avevano affondato il Caterina. I tre sottocapi di S.M. delle tre forze armate ventilarono allora la possibilità di costituire un comando unificato per la protezione diretta e indiretta dei convogli, che si occupasse – superando i limiti di competenza delle rispettive forze armate – di tutto ciò che concerneva tale tematica; ma dopo essere stata esaminata l’idea venne scartata, perché ritenuta troppo difficile da attuare e non foriera di sostanziali miglioramenti. Occorrevano invece, si disse, direttive che impedissero il ripetersi di una “scucitura” come quella del 18-19 ottobre, e che garantissero una capillare unità d’azione protettiva specie nei momenti di maggior pericolo per i convogli. Il 19 ottobre il generale Cavallero inviò a Supermarina e Superaereo un messaggio con cui sollecitava a mettere allo studio gli accorgimenti più opportuni per migliorare la difesa del traffico con la Libia: «Est assolutamente necessario migliorare difesa traffico A.S.I. contro attacchi aerei et sommergibili che si vanno facendo sempre più gravi. Supermarina e Superaereo studino possibilità di intensificare reazione ciascuno nel proprio campo oltre le scorte dirette di propria competenza. Particolarmente Supermarina per quanto riguarda caccia preventiva sommergibili nella zona di transito obbligato e di atterraggio et Superaereo per quanto riguarda azione su Malta, il tutto in relazione partenza convogli. Azioni aeree su Malta devono tendere at impedire attività aerea nemica durante navigazione convoglio perciò devono essere effettuate soprattutto nel periodo in cui convoglio si trova in zona pericolosa, però con carattere di grande intensità e di durata. Supermarina e Superaereo riferiscano su predisposizioni prese». L’Aeronautica doveva dunque mantenere Malta sotto costante martellamento aereo; il 23 ottobre il capo di Stato Maggiore di quella forza armata, generale Francesco Pricolo, rispose che stava «facendo tutto quanto era in suo potere per la protezione diretta ed indiretta ai convogli in navigazione per l’A.S.I.», con l’impiego di quasi tutti gli aerei stanziati in Sicilia per la scorta ai convogli e per l’interdizione e l’attacco contro Malta, dichiarandosi inoltre fermamente convinto che fossero più efficaci azioni saltuarie di massa che azioni di disturbo continue, che risultavano anche più rischiose. Non potendo potenziare l’Aeronautica della Sicilia, pertanto, non sarebbero state impartite nuove disposizioni; in sostanza, Pricolo respingeva i suggerimenti di Cavallero, che invece desiderava contro malta una «azione aerea a massa (…) nei momenti più appropriati, in connessione coi movimenti dei convogli». Il 27 ottobre, durante una riunione, Cavallero accuserà Pricolo di Pricolo “di non aver compreso quale relazione potesse correre fra il contenuto della sua lettera” e “le direttive da lui stesso emanate”.
In seguito alle pesanti perdite subite dai convogli nelle settimane successive per effetto dell’azione di Malta, che l’Aeronautica non ha saputo contrastare, ed all’aggravarsi dei rapporti con Cavallero e con i comandi tedeschi, il 15 novembre Pricolo dovrà dimettersi.


8 commenti:

  1. Buongiorno,
    nella serie di foto dell'affondamento, la prima non penso sia relativa al CATERINA, ma probabilmente al BAINSIZZA.

    Saluti

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Confrontando con le foto del Bainsizza, probabilmente ha ragione. La ringrazio.

      Elimina
  2. Salve,mio nonno fu naufrago sul Beppe...qualcuno ha foto della nave o equipaggio?
    grazie

    Marco

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Una foto del Beppe è qui: http://www.naviearmatori.net/ita/foto-8979-dHg9YmVwcGUmbmE9MSZpbW89MCZkYz0xJmNsPTAmYXI9MCZjYT0wJnNtPTA=.html

      Elimina
  3. Mio nonno morì sul piroscafo Caterina

    RispondiElimina
  4. Mio nonno morì sul piroscafo Caterina

    RispondiElimina