Il Francesco Crispi in tempo di pace (g.c. Giorgio Parodi, via www.naviearmatori.net) |
Piroscafo passeggeri di 7600 tsl, 4292 tsn e 9000 tpl, lungo 139,29
metri, largo 16,12 e pescante 7,75, con velocità di 16 nodi. Appartenente alla
Società Anonima di Navigazione Lloyd Triestino, con sede a Trieste, ed iscritto
con matricola 1438 al Compartimento Marittimo di Genova. Poteva trasportare 69
passeggeri in prima classe, 70 in seconda, 100 in "seconda economica"
e 206 in terza (altra fonte parla invece di una capienza complessiva di 800
passeggeri).
Per tutta la sua vita, in tempo di pace, il Crispi fu impiegato sulla linea che collegava l’Italia all’Africa
Orientale (Eritrea, Somalia, Sudan, Kenya e Tanzania, con scali anche in Egitto
e Yemen), insieme ai similari piroscafi Giuseppe
Mazzini, Leonardo Da Vinci, Nazario Sauro, Cesare Battisti ed Ammiraglio
Bettolo. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, il Crispi era l’unico di questi piroscafi
(ridottisi ai primi quattro, poiché il Battisti
era stato affondato nel 1936 da un attentato dinamitardo ed il Bettolo era stato venduto ad una
compagnia egiziana nel 1932) a trovarsi in Mediterraneo: Da Vinci, Sauro e Mazzini erano in Africa Orientale, e non
fecero più ritorno in Italia. Fu però il Crispi
ad avere la sorte più tragica.
Breve e parziale
cronologia.
1920
Impostato nei cantieri Ansaldo-San Giorgio del Muggiano, La Spezia
(numero di costruzione 194) per la Transatlantica Italiana Società di
Navigazione, avente sede a Genova. La nave dovrebbe essere impiegata per il
servizio celere postale quindicinale tra l’Italia e le Americhe, con
“Trattamento e Servizio di Lusso Tipo Grand Hotel” (dalla pubblicità della
Transatlantica Italiana pubblicata sui giornali dell’epoca). Il Crispi ha un gemello, il Giuseppe Mazzini, ed un “quasi gemello”
che si differenzia per alcuni particolari, il Leonardo Da Vinci; inoltre la Transatlantica Italiana ha da poco
completato altri tre “grandiosi e nuovissimi piroscafi” di caratteristiche
similari, ma dimensioni leggermente superiori: Ammiraglio Bettolo, Nazario
Sauro e Cesare Battisti.
Collettivamente queste sei navi sono note anche come "tipo Sauro",
anche se di fatto non sono gemelle in senso proprio.
Successivamente, tuttavia, i problemi finanziari della Transatlantica
Italiana portano alla sospensione della costruzione, che rimane bloccata per
diversi anni.
Un dipinto fatto realizzare dalla Transatlantica Italiana, ritraente il Crispi con la livrea della compagnia, che il piroscafo non giunse mai a portare (g.c. Rosario Sessa via www.naviearmatori.net) |
22 dicembre 1925
La nave incompleta viene acquistata dalla Compagnia Italiana
Transatlantica (CITRA), avente sede a Roma, che fa riprendere la costruzione.
10 settembre 1926
Varato nei cantieri Ansaldo-San Giorgio del Muggiano come Francesco Crispi.
Cartolina della CITRA ritraente il Crispi (g.c. Rosario Sessa via www.naviearmatori.net) |
Dicembre 1926
Completato per la CITRA. Caratteristiche originarie 7464 tsl, 4255 tsn
e 9000 tpl.
Compie il viaggio inaugurale sulla rotta
Genova-Livorno-Napoli-Messina-Port Said-Port
Sudan-Massaua-Aden-Dante-Mogadiscio-Chisimaio-Mombasa-Zanzibar-Dar-es-Salaam,
sulla quale poi presterà in servizio per i successivi tredici anni.
Il Crispi a Livorno, in una cartolina del 1926 (g.c. Pietro Berti via www.naviearmatori.net) |
Anni Venti
Subisce alcune modifiche: la veranda aperta viene chiusa e lo scafo
viene riverniciato di nero.
Il Crispi od il gemello Mazzini ormeggiato ad Hafun, in Somalia (all’epoca nota con il nome di Dante, attribuitogli dall’amministrazione italiana) (foto Pedrini-da www.internetculturale.it) |
1928
Il Crispi è in servizio
postale sulla "linea celere di lusso Italia-Est Africa" della CITRA.
Comanda il Crispi, in questo periodo,
il capitano di lungo corso Mario Lagorio.
Il Crispi in banchina negli anni Venti (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net) |
15 dicembre 1931
Trasferito alla Florio Società Italiana di Navigazione, con sede a
Roma, che sta fondendosi proprio con la CITRA. (Per altra fonte, il Crispi passa alla costituenda società
Tirrenia il 13 novembre 1931, quando la CITRA confluisce nella Tirrenia con
tutta la sua flotta).
Il Crispi ed il gemello Mazzini sono in servizio sulla linea
mensile Genova-Capetown via Canale di Suez, con vari scali intermedi in porti
africani.
Il Crispi od il Mazzini a Mogadiscio nel 1930 (foto Pedrini-da www.internetculturale.it) |
13 febbraio 1932
La fusione tra CITRA e società Florio dà vita alla Tirrenia Flotte
Riunite Florio-Citra, con sede a Napoli, che diviene proprietaria anche del Crispi.
18 aprile 1932
Il Crispi arriva a Napoli con
a bordo il principe ed emiro saudita Faysal, Ministro degli Esteri del Regno
dell’Hegiaz, del Neged e dei territori annessi (che pochi mesi dopo muterà nome
in Arabia Saudita), ed il console d’Italia in quel regno, Guido Sollazzo: due
mesi prima Faysal e Sollazzo hanno firmato un trattato di amicizia e commercio
tra l’Italia ed il regno saudita, ed ora si sono recati in Italia per procedere
alla ratifica del trattato, che avverrà a Roma il 22 aprile. Per il principe
Faysal è il primo viaggio in Italia: il Crispi,
partito da Massaua, ha compiuto appositamente uno scalo eccezionale a Gedda
(Arabia Saudita) per imbarcarlo.
28 luglio 1932
Il Crispi ed il gemello Mazzini vengono assegnati, a seguito
della convenzione con cui la Tirrenia assume l’esercizio delle Linee Postali e
Commerciali per la Sardegna, Sicilia, Libia, Eritrea, Somalia, Tunisi, Malta ed
Egitto, alla linea Genova-Africa Orientale, che viene accorciata a Zanzibar,
senza più andare fino a Capetown.
Anni Trenta
Sottoposto a lavori di sostituzione delle caldaie (in origine quattro
caldaie Ansaldo-Sampierdarena) presso il cantiere Orlando di Livorno. Più o
meno nello stesso periodo lo scafo viene riverniciato di grigio.
Negli anni Trenta il Crispi
(che porta proprio il nome di uno dei primi fautori del colonialismo italiano
in Africa Orientale), prestando servizio sulla linea dell’Africa Orientale,
porterà in Eritrea e Somalia migliaia di soldati italiani là inviati dapprima a
combattere la guerra d’Etiopia e poi a presidiare il Paese conquistato, spedizioni
scientifiche o militari, e migliaia di coloni che dall’Italia si recano a
cercare una nuova vita in A.O.I. Uno di questi viaggi è così ricordato
dall’allora bambino Carlo Di Salvo, che lasciò Palermo per l’Africa sul Crispi nel 1939, a soli sei anni, per
raggiungere il padre che aveva trovato lavoro come ferroviere in Eritrea: la
partenza: "Il 14 dicembre 1939
giunse il momento dell’imbarco. Cugini, zii e zie ci accompagnarono a bordo del
“Francesco Crispi” , il piroscafo che ci avrebbe condotto in Africa. Al
suono della prima sirena i visitatori furono invitati a scendere perché la nave
era prossima a salpare; furono gli ultimi abbracci di mamma con le cugine e
zio Fritz. Ci staccammo così dagli ultimi parenti e dalla nostra terra
natia. Al doppio suono delle sirene furono staccate le gomene che tenevano la
nave alle bitte della banchina, fu tirata l’ancora e lentamente la massa
d’acciaio del Francesco Crispi cominciò a staccarsi dalla banchina dove a
centinaia si sventolavano i fazzoletti in segno di saluto verso chi, come
noi, stava lasciando l’amata Patria. Lentamente il Francesco Crispi si
avviò verso l’uscita del porto passando di fronte alla statua della Madonna
posta all’imboccatura del porto alla cui base vi è la scritta in latino:
“VOS ET IPSAM CIVITATEM BENEDICIMUS”. Quasi tutti,
passeggeri e marinai, ci segnammo con il segno della Croce; era la benedizione
che ci avrebbe accompagnato nella lontana terra africana." Dopo un
viaggio attraverso il Canale di Suez ed il Mar Rosso, toccando Port Said e Port
Sudan, l’arrivo a Massaua: "Tutto il
giorno lo trascorremmo passeggiando su e giù per la nave, guardando il mare che
si era fatto calmo come una tavola; spesso i delfini saltavano davanti alla
prua della nave come a volerle indicare la rotta da seguire, alcuni pesci,
alcuni pesci si vedevano volare per lunghi tratti fuori dal mare quasi a voler
fuggire al mostro di acciaio che invadeva il loro mondo tinto di un blu
intenso. Il Francesco Crispi navigava sul Mar Rosso lasciando dietro di sé una
lunga scia bianca puntando dritto verso la nostra destinazione:
“Massaua”, ogni tanto gettavamo lo sguardo lontano all’orizzonte alla nostra
destra cercando di scorgere qualche segno della costa africana, ancora però ne
eravamo lontani. Arrivò così il momento del tramonto del sole, l’immenso disco
di fuoco sembrava si fosse gonfiato a dismisura tanto da voler esplodere da un
momento all’altro, cominciò a scendere velocemente sull’orizzonte per essere
improvvisamente inghiottito dal mare, rimase il suo chiarore nel cielo dapprima
bianco, poi rosa, poi arancione ed in fine rosso fuoco intenso che si spense
nell’oscurità più assoluta lasciando il posto a miliardi di stelle che
coprivano l’intera volta celeste. Adesso la costellazione della Croce del Sud
appariva in tutto il suo splendore in mezzo al luminoso chiarore della Via
Lattea. Descrivere questo cielo? Ma come? E’ quasi impossibile! Solo
vivendolo si può restare lì in silenzio con gli occhi spalancati e
riflettere quanto misero sia l’uomo di fronte all’immensità dell’Universo
che lo circonda. Ciò dovrebbe far riflettere noi umani che che viviamo in
questo granello di sabbia dell’Universo che è la Terra e che ci
affanniamo a combattere l’un l’altro per un potere di prestigio, di ricchezza,
o di predominio autodistruggendoci stupidamente. E’ proprio
vero, “l’uomo sulla terra ha la stessa funzione delle termiti per il
legno la sta lentamente distruggendo e non se ne rende conto.” Dopo
un’affrettata cena scendemmo subito in cuccetta. L’arrivo a Massaua era
previsto per l’indomani mattina e mamma doveva preparare le valigie lasciando
fuori solo il necessario per vestirci e prepararci per lo sbarco,
ci coricammo con il pensiero fisso all’indomani, avremmo riabbracciato
papà dopo circa due anni di separazione, saremmo sbarcati in Africa in una
terra che i miei zii e cugini mi avevano descritto popolata di selvaggi e di
bestie feroci, come potevo mai dormire con questi pensieri, eppure ad un certo
punto chiusi gli occhi e mi addormentai, forse avrò sognato chissà quali
avventure, ma sono passati così tanti anni e non so cosa pagherei per
ricordarmi. Di certo non dormimmo molto perché l’indomani, 24 dicembre 1939,
mamma mi svegliò che albeggiava appena, era la vigilia del S. Natale ma era
tale l’emozione che non pensammo a questo evento, guardammo fuori dall’oblò
della cabina, si vedeva a malapena un leggero chiarore; appena
vestiti e sistemate le ultime cose da mettere in valigia, salimmo subito
in coperta, la prima cosa che notammo fu il faro dell’isolotto di Difnei che
avevamo appena superato lasciandolo alla nostra sinistra, il Francesco Crispi
era entrato nel canale a nord di Massaua, la nave sembrava tutta
assonnata,si sentiva solo il rumore dei motori e i flutti delle onde che
sbattevano contro le fiancate della nave, in cielo ancora brillava qualche
stella alla pallida luce dell’alba che che a oriente adesso andava
assumendo un colore azzurro intenso, alcuni gabbiani e qualche pellicano
volavano attorno alla nave. Nel frattempo il chiarore dell’alba ad oriente
cominciava ad illuminare la costa dell’Eritrea all’altezza di Mersa-Gulgub;
il grande disco del sole che come rapidamente era scomparso la sera prima, così
rapidamente era riapparso in uno sfolgorio di luci e di colori passando dal
rosso all’arancione, al giallo, al verde, al bianco Abbagliante, stavamo
navigando adesso tra la costa eritrea a destra e la lunga isoletta di Harat
sulla sinistra della nave, una delle oltre trecento isole che compongono il
vasto arcipelago delle isole Dahlak quasi tutte di origine madreporica, tranne
due o tre che sono di origine vulcanica. Il sole ancora basso a oriente si
allungava sul mare fino quasi a lambire la fiancata del Francesco Crispi come a
volerlo accarezzare, di tanto in tanto si incontrava qualche “sambuco” con la
sua vela al vento seguito da presso dalle sue “hury”. Fatta rapidamente la
colazione ritornammo subito fuori; questa volta a destra della nave già si
distingueva vicinissima la costa dell’eritrea, era brulla, di un colore
rossastro che veniva esaltato ancora di più dai raggi del sole ancora basso
all’orizzonte.. Saranno state le 9,30 locali che già il Francesco Crispi
doppiava la punta di Ras- Harb dove ha inizio la chilometrica spiaggia che
tutti gli eritrei conoscono come Gurgussum, adesso la nave aveva ridotto la sua
velocità, si cominciavano a distinguere perfettamente le prime bianche
costruzioni del complesso di Massaua, cioè quelle della piccola penisola di
Abd-el-cader la quale si trova, appunto, a nord dell’isola di Massaua superata
la quale il Francesco Crispi fermò le macchine proprio davanti all’imboccatura
del porto di Massaua, in attesa del pilota che l’avrebbe guidato all’attracco
della banchina Regina Elena".
Il Crispi in una cartolina della Tirrenia (g.c. Mauro Millefiorini via www.naviearmatori.net) |
5 gennaio 1935
Il Crispi parte per la
Somalia trasportando una spedizione della Regia Marina, guidata dal tenente di
vascello Gariazzo (gli altri componenti sono il tenente di vascello D’Amato, il
secondo capo radiotelegrafista Neri, il sottocapo segnalatore Sferruzzo ed il
marinaio furiere Croce), che dovrà compiere rilevazioni idrografiche sulla
costa somala, per conto dell’Istituto Idrografico della Regia Marina. La
spedizione Gariazzo ha l’incarico di selezionare le posizioni più idonee alla
realizzazione di 10 segnali permanenti nel tratto di costa tra Ras Hafun e
Mogadiscio, scandagliare alcune zone dell’ancoraggio di Mogadiscio ed
aggiornare i piani idrografici di Mogadiscio, Chisimaio, Hafun, Birikani,
Merca, Brava, Bender Cassim, Alula ed Eim.
8 settembre 1935
Il Crispi parte da Napoli
diretto in Africa Orientale, dove sta per scoppiare la guerra d’Etiopia,
trasportando truppe, funzionari, giornalisti ed operai. Tra i giornalisti, che
si recano in Africa Orientale per assistere all’imminente conflitto, vi sono
Achille Benedetti, uno degli inviati di punta del “Corriere della Sera”, e
l’avventuriero e scrittore francese Henry de Monfried, che si è imbarcato con
la sua Ford 12 Cv munita di pneumatici a prova di foratura (grazie ad una pasta
liquida da lui stesso inventata, usata per tappare i buchi nella camera d’aria:
gli italiani la chiameranno “minestra Monfré”). Benedetti, oltre che
corrispondente di guerra, è anche un informatore del Servizio Informatori
Militari e di Galeazzo Ciano, ministro della Stampa e Propaganda. De Monfried,
che ha lungamente vissuto in Etiopia, si è schierato con l’Italia fascista
perché bandito dall’Etiopia, alcuni anni prima, dal negus Hailè Selassiè,
infastidito da una serie di suoi articoli: è così divenuto un sostenitore delle
tesi mussoliniane sulla necessità di “portare la civiltà” in Etiopia ed intende
tornarvi al seguito delle truppe italiane, come infatti farà.
Il Crispi con i colori Tirrenia nel 1935-1936 (g.c. Mauro Millefiorini, via www.naviearmatori.net) |
Febbraio 1936
Il Crispi trasporta in Africa
Orientale il maggiore dell’Aeronautica Antonio Locatelli, Medaglia d’Oro al
Valor Militare (ed anche direttore della “Rivista di Bergamo”), diretto a
Mogadiscio per compiere missioni di ricognizione in Somalia. Pochi mesi dopo,
Locatelli sarà ucciso con tutti gli uomini della sua spedizione da un assalto
di guerriglieri etiopi nel suo accampamento.
Cartolina Tirrenia del 1937 ritraente il Crispi ed il gemello Mazzini (g.c. Pietro Berti, via www.naviearmatori.net) |
1° gennaio 1937
Trasferito al Lloyd Triestino Società Anonima di Navigazione, avente
sede a Trieste.
7 marzo 1937
Il Crispi arriva a Napoli da
Massaua, portando in Italia un pezzo dell’Obelisco di Axum, risalente al IV
secolo a.C., rinvenuto in Etiopia nel 1935 durante la conquista di quel Paese
ed ora inviato in Italia come trofeo. L’obelisco, che le truppe italiane hanno
trovato spezzato in più parti e trasportato via terra a Massaua, dov’è avvenuto
l’imbarco, giunge in Italia in più viaggi, a bordo di diverse navi: i pezzi
giunti sul Crispi sono i primi
(salutati dalla rivista “L’Illustrazione Italiana” come «segni tangibili della vittoria conseguita dalle armi italiane»), il
resto seguirà tra fine marzo e inizio aprile con i piroscafi Caffaro ed Adua.
Una volta ricomposta, la stele sarà collocata a Roma in Piazza Porta
Capena il 28 ottobre 1937, con una cerimonia solenne, in occasione del quindicesimo
anniversario della marcia su Roma, e vi resterà fino al 2005, quando sarà
restituita all’Etiopia.
20 febbraio 1938
Il Crispi lascia Mogadiscio
con a bordo il maresciallo d’Italia Rodolfo Graziani, che rimpatria dopo essere
stato sostituito dal duca d’Aosta Amedeo di Savoia nel ruolo di vicerè
d’Etiopia.
Il Crispi negli anni Trenta, con la livrea del Lloyd Triestino (da www.naviearmatori.net, utente tetide) |
31 dicembre 1938
Il Crispi parte da Napoli per
portare a Massaua una spedizione scientifica voluta dal Ministero dell’Africa
Italiana e dalla Reale Accademia d’Italia, e guidata dal professor Lido
Cipriani, direttore del Museo Antropologico di Firenze (con il suo giovane
assistente Giuseppe Cei, arruolato nell’Esercito come ufficiale), avente lo scopo
di approfondire la conoscenza dei gruppi etnici locali, studiandoli e
“catalogandoli”, specialmente quelli dell’Etiopia occidentale. (Cei annota nel
suo diario, con una punta d’ironia, di come il professor Cipriani, “paladino
della purezza della razza”, una volta a bordo del Crispi si metta subito all’affannosa ricerca delle prostitute
africane – le “sciarmutte” – che si dice “lavorino” a bordo della nave).
1939
Resta sempre in servizio sulla linea dell’Africa Orientale, che però
viene accorciata, avendo il suo “capolinea” a Chisimaio. Viene anche cambiata
la livrea.
Cartolina realizzata dal pittore Paolo Klodic raffigurante il Crispi con la livrea del Lloyd Triestino (g.c. Pietro Berti, via www.naviearmatori.net) |
1940
Posto in disarmo.
2 gennaio 1941
Requisito a Genova dalla Regia Marina per essere impiegato nel
trasporto di truppe, senza essere iscritto nel ruolo del naviglio ausiliario
dello Stato.
6 febbraio 1941
Primo viaggio del Crispi in
missione di trasporto truppe dall’Italia all’Albania. Il Crispi parte da Brindisi per Valona all’1.50, insieme al piroscafo Diana ed alle motonavi Città di Marsala e Città di Trapani; in tutto il convoglio trasporta 2580 tra
ufficiali e soldati, 362 quadrupedi e 243 tonnellate di artiglieria, munizioni,
provviste, vestiario, foraggio e materiali vari. Lo scortano l’incrociatore
ausiliario Brindisi e la torpediniera
Pallade. Le navi arrivano a Valona
alle dieci.
8 febbraio 1941
Il Crispi, scarico, lascia
Valona alle 8 insieme alle motonavi Argentina
e Città di Trapani (che trasportano
feriti) per rientrare a Brindisi, con la scorta dell’incrociatore ausiliario Brindisi e dei cacciatorpediniere Lampo e Fulmine. Il convoglio giungerà a Brindisi alle 17.
10 febbraio 1941
Il Crispi, con a bordo 1243
militari e 94,5 tonnellate di munizioni, viveri e materiali vari, salpa da
Brindisi alle 7.15 con la scorta del Brindisi,
e raggiunge Valona alle 14.
12 febbraio 1941
Il Crispi ed i trasporti
truppe Piemonte e Viminale lasciano Valona alle 9,
scortati dal Brindisi e dalle torpediniere Altair
e Generale Marcello Prestinari. Crispi e Piemonte hanno a
bordo complessivamente 477 feriti, mentre la Viminale è vuota. Il convoglio giunge a Brindisi alle 15.20.
16 febbraio 1941
Crispi ed Argentina salpano da Brindisi alle 7.30
diretti a Valona, trasportando in tutto 2107 militari, 14 automezzi e 130
tonnellate di materiali. Scortati dalla torpediniera Aretusa e dall’incrociatore ausiliario Egeo, raggiungono Valona alle 14.
18 febbraio 1941
Crispi, Viminale ed il piroscafo Trapani lasciano scarichi Valona alle 14
per rientrare a Brindisi, dove arrivano alle 23.40, scortati dall’Aretusa.
22 febbraio 1941
Crispi, Viminale ed Argentina salpano da Brindisi alle 8.15 diretti a Valona, dove
arrivano dieci ore più tardi, con la scorta dell’incrociatore ausiliario Francesco Morosini e della torpediniera Pallade.
Trasportano complessivamente 3416 soldati, 15 veicoli e 230 tonnellate di
materiali.
26 febbraio 1941
Il Crispi, con a bordo 352
feriti, lascia Valona alle 12.45 diretto a Brindisi, dove giunge alle 19,
scortato dall’incrociatore ausiliario Brioni
e dalla torpediniera Altair.
4 marzo 1941
Crispi, Viminale ed il piroscafo Galilea partono da Brindisi alle
2.50 diretti a Valona, trasportando 2881 soldati e 784 tonnellate di munizioni,
provviste, vestiario ed altri materiali. Il convoglio, scortato
dall’incrociatore ausiliario Morosini e
dalla torpediniera Giuseppe Cesare
Abba, arriva a Valona alle 10.
8 marzo 1941
Crispi, Galilea, Viminale e la piccola motonave frigorifera Genepesca II ripartono da Valona alle
14.15, scarichi e con la scorta del Morosini e
della torpediniera Castelfidardo.
Il convoglio giunge a Brindisi alle 21.05.
11 marzo 1941
Crispi, Galilea e Viminale salpano da Brindisi alle 5.20, scortati da Castelfidardo e Morosini, con 3305 militari, nove
veicoli e 325 tonnellate di materiali da trasportare a Valona. Qui le navi
giungono a mezzogiorno.
15 marzo 1941
Crispi, Galilea (tra tutt’e due, i due
piroscafi trasportano 552 feriti), Viminale (con
23 naufraghi e 85 prigionieri) e la motonave Città di Marsala lasciano Valona a mezzogiorno e giungono a
Brindisi alle 23.30, scortati da Abba e Morosini.
(g.c. Aldo Cavallini, via www.naviearmatori.net) |
18 marzo 1941
Crispi, Galilea e Viminale partono da Brindisi alle 8.30, trasportando 3358
uomini e 217 tonnellate di materiali vari, con la scorta del Morosini e della torpediniera Generale Marcello Prestinari.
I piroscafi giungono a Valona alle 11 e scaricano truppe e materiali,
poi ripartono alle 20.15, scortati dal cacciatorpediniere Carlo Mirabello.
19 marzo 1941
Il convoglio giunge a Brindisi alle 3.15.
22 marzo 1941
Il Crispi e la motonave Piero Foscari, aventi a bordo in tutto 1626 militari, cinque automezzi e
438 tonnellate di materiali, salpano da Brindisi alle quattro del mattino,
scortati dalla torpediniera Abba e
dall’incrociatore ausiliario Barletta.
Il convoglio arriva a Valona alle 9.45.
23 marzo 1941
Il Crispi, con a bordo 418
feriti leggeri, lascia Valona alle 11.45 insieme alla Genepesca II, con la scorta di Abba
e Barletta. Le navi giungono a
Brindisi alle 18.
28 marzo 1941
Crispi, Viminale e la motonave Filippo Grimani, aventi a bordo in tutto 2732 uomini, 13 automezzi e 775
tonnellate di materiali, lasciano Brindisi alle due scortati dal
cacciatorpediniere Mirabello e dal Barletta. Le navi giungono a Valona dopo
sette ore e mezza.
30 marzo 1941
Salpa da Valona alle 11.45, vuoto, insieme alla Viminale e con la scorta del Mirabello, giungendo a Brindisi alle 18.35.
3 aprile 1941
Crispi e Viminale, carichi di 1808 militari e
95,5 tonnellate di materiali, salpano da Brindisi alle 3.25, scortati
dall’incrociatore ausiliario Brioni e
dal cacciatorpediniere Augusto Riboty, ed arrivano a Valona alle 10.15.
4 aprile 1941
Crispi (vuoto) e Viminale (con a bordo 149 prigionieri)
lasciano Valona alle 6.30 e giungono a Brindisi alle 15.35, scortati dal Riboty.
9 aprile 1941
Crispi e Viminale partono da Brindisi alle 4 con
la scorta del Brioni e della
torpediniera Antares, trasportando
complessivamente 2478 soldati e 142 tonnellate di materiali vari. Il convoglio
giunge a Valona alle 10.45.
Una foto del tempo di pace (da www.anziani.it) |
10 aprile 1941
Crispi e Viminale, scortati dall’Antares, lasciano Valona scarichi alle
13 e rientrano a Brindisi, dove giungono alle 20.45.
23 aprile 1941
Crispi, Galilea ed il piroscafo Ivorea partono da Brindisi alle
3.30, scortati dall’incrociatore ausiliario Barletta e dalla torpediniera Solferino, trasportando 2365 militari, 67 quadrupedi, 1288
tonnellate di carne congelata e 205 tonnellate di materiali vari. Il convoglio
raggiunge Valona alle dieci.
24 aprile 1941
Crispi e Galilea salpano da Valona alle 13.30,
scarichi, e raggiungono Brindisi alle 20.40, scortati dalla Solferino. In questo viaggio il Crispi trasporta anche ex prigionieri
italiani, catturati durante la campagna di Grecia, che rimpatriano dopo essere
stati liberati a seguito della caduta della Grecia.
3 maggio 1941
Il Crispi salpa da
Brindisi alle 16.40 insieme ad Argentina
e Galilea, con la scorta del vecchio
incrociatore Bari (nave di
bandiera dell’ammiraglio di squadra Vittorio Tur, comandante della Forza Navale
Speciale ed incaricato degli sbarchi nelle Isole Ionie) e delle
torpediniere Aretusa, Antares ed Altair, per procedere all’occupazione
dell’isola di Cefalonia, al termine della campagna di Grecia. I tre piroscafi
hanno a bordo 112 ufficiali e 2946 soldati della 33a Divisione
Fanteria "Acqui" (nonché reparti di fanti di Marina del Reggimento "San
Marco" e di camicie nere da sbarco, al comando del console generale della
M.V.S.N. Marino Marino), oltre al relativo materiale divisionale, comprensivo
di viveri, automezzi e quadrupedi.
A Cefalonia, la più importante delle Isole Ionie (per via della
presenza della base di Argostoli), sono già stati paracadutati dei reparti di
paracadutisti. L’occupazione delle Isole Ionie è stata decisa prima ancora che
l’armistizio di Atene ponesse fine alle ostilità con la Grecia, pertanto
l’ammiraglio Tur ha pianificato l’operazione con il presupposto che vi
sarebbero potuti essere scontri armati; l’invio di una motovedetta in avanscoperta
nel Canale di Corfù, tuttavia, non ha provocato alcuna reazione da parte della
guarnigione dell’isola, ed il 28 aprile, all’apparire dei bombardieri sui cieli
di Corfù, è apparsa sull’isola una bandiera bianca. L’indomani l’isola è stata
pacificamente occupata con truppe sbarcate da due motocisterne; il 30 aprile
sono state occupate anche Itaca e Santa Maura e sono stati lanciati
paracadutisti su Zante e Cefalonia per stabilire i primi contatti.
L’ordine esecutivo per l’occupazione di Cefalonia è stato impartito da
Supermarina al comando della Forza Navale Speciale alle 10.40 del 3 maggio,
tramite il Comando Marina di Brindisi; nei giorni precedenti le navi della
F.N.S. erano state sorvolate da ricognitori ed anche attaccate dall’aviazione
nemica, senza però subire danni.
4 maggio 1941
La notte è chiarissima, con luna piena e cielo sereno. Superata
Otranto, la formazione italiana dirige verso l’isola di Fano e poi segue la
costa fino a Cefalonia, in modo da restare il più lontano possibile dalla
probabile area di agguato dei sommergibili britannici. Durante la navigazione
il convoglio gode della protezione aerea fornita da idroricognitori CANT Z. 501
e CANT Z. 506 decollati da Taranto e da aerei da caccia della IV Zona Aerea
Territoriale.
In mattinata, le navi della F.N.S. arrivano a 6 miglia dall’estremità
occidentale di Cefalonia, dove incontrano il posamine Azio ed alcuni dragamine, che le precedono sulla rotta per
Argostoli.
Il convoglio giunge ad Argostoli (Cefalonia) a mezzogiorno, e vi sbarca
rapidamente il corpo di occupazione, senza incontrare opposizione o particolare
ostilità dalla popolazione affamata (l’ammiraglio Tur scriverà anche, nelle sue
memorie, che l’arrivo delle truppe italiane fu accolto favorevolmente, che la
popolazione “venne anche in aiuto alle operazioni di sbarco” e che “i
battellieri chiesero la bandiera italiana per issarla sulle loro imbarcazioni”,
anche se questo sembra francamente un po’ eccessivo). Le truppe vengono messe a
terra dall’Azio, dall’Aretusa e dalle imbarcazioni del Bari e dei trasporti truppe, mentre Altair ed Antares vengono distaccate nella baia col compito di difendere lo
sbarco da eventuali attacchi aerei, subacquei o siluranti. Terminato lo sbarco,
l’ammiraglio Tur si reca a terra per rivolgere il suo saluto alle truppe.
I piroscafi scarichi ripartono al tramonto, e rientrano a Brindisi
seguendo le medesime rotte dell’andata.
Una serie di immagini del convoglio con le truppe destinate all’occupazione di Cefalonia: il Crispi è il piroscafo più lontano, unica nave a due fumaioli (Archivio Centrale dello Stato):
L’ingresso del convoglio nel porto di Argostoli: il Crispi è il secondo bastimento da sinistra (più a sinistra, l’incrociatore Bari) (Archivio Centrale dello Stato) |
Il Crispi nel porto di Argostoli (Archivio
Centrale dello Stato)
La stessa foto, restaurata da Giorgio Parodi (da www.naviearmatori.net) |
9 maggio 1941
Il Lloyd Triestino cambia ragione sociale in Linee Triestine per
l’Oriente.
11 maggio 1941
Alle tre di notte il Crispi
lascia Brindisi alla volta di Valona, dove giunge sei ore più tardi, carico di
truppe e materiali, scortato dalla torpediniera Giacomo Medici e
dall’incrociatore ausiliario Zara.
13 maggio 1941
Il Crispi lascia Valona
alle 14.45, trasportando 700 prigionieri, con la scorta di Medici e Zara. Le navi
arrivano a Brindisi alle 20.30.
6 giugno 1941
Il Crispi, salpato da
Brindisi con la scorta della torpediniera Prestinari ed insieme al piroscafo Galilea, si unisce insieme ad essi ad un convoglio proveniente da
Bari e composto dal piroscafo Città
di Tripoli, scortato dall’incrociatore ausiliario Brindisi. Il convoglio, carico di truppe e materiali, raggiunge
Valona.
7 giugno 1941
Crispi, Galilea e Città di Tripoli rientrano da Valona a Bari scortati
dall’incrociatore ausiliario Zara
(che si ferma a Brindisi) e dalla torpediniera Giacomo Medici.
12 giugno 1941
Il Crispi, scortato dal Riboty, trasporta personale militare e
materiali vari da Brindisi a Valona e poi ad Argostoli.
14 giugno 1941
Crispi e Galilea trasportano truppe e materiali
da Valona a Patrasso, scortati dall’incrociatore ausiliario Arborea e dal
cacciatorpediniere Augusto Riboty.
18 giugno 1941
Il Crispi trasporta truppe e
materiali da Argostoli a Patrasso, scortato dal Riboty.
29 giugno 1941
Crispi e Galilea trasportano personale e
materiale militare da Bari a Durazzo, scortati dall’incrociatore
ausiliario Olbia e dalla
torpediniera Medici.
9 luglio 1941
Crispi e Galilea lasciano Patrasso e raggiungono
Taranto scortati da Olbia e Riboty.
15 luglio 1941
Crispi, Galilea, Argentina e Viminale,
scortati dal Riboty e dalla
torpediniera Antares, trasportano da
Brindisi a Patrasso truppe e personale militare vario italiano e tedesco,
nonché automezzi, rimorchi e materiali vari.
Francesco Crispi (a sinistra), Argentina e Viminale a metà luglio 1941, fotografati dalla torpediniera Antares (da “La Marina italiana nella seconda guerra mondiale” di James Sadkovich) |
18 luglio 1941
Crispi, Galilea, Argentina e Viminale,
scortati da Antares e Riboty, trasportano truppe e materiali
da Valona a Patrasso.
12 agosto 1941
Crispi e Galilea, scortati da Barletta ed Antares, trasportano da Brindisi a
Patrasso personale militare con destinazioni varie, tra cui anche uomini del
231° Reggimento Fanteria diretti ad Atene.
16 agosto 1941
Il Crispi trasporta da
Patrasso a Brindisi personale militare rimpatriante, scortato dalla
torpediniera Francesco Stocco.
29 agosto 1941
Crispi, Galilea e Viminale trasportano personale militare da Brindisi a
Patrasso, scortati dal Riboty e
dall’incrociatore ausiliario Città
di Napoli.
4 settembre 1941
Crispi, Aventino ed Argentina trasportano 1720 militari rimpatrianti da Patrasso a
Brindisi, sotto la scorta di Città di
Napoli e Riboty.
11 settembre 1941
Crispi, Piemonte e Galilea trasportano personale e materiale dell’Esercito e
dell’Aeronautica da Brindisi a Patrasso, scortati dall’Olbia e dalla torpediniera Altair.
15 settembre 1941
Crispi, Piemonte e Galilea, sempre scortati da Olbia ed Altair,
rientrano da Patrasso a Brindisi trasportando truppe rimpatrianti.
22 settembre 1941
Crispi e Piemonte trasportano da Brindisi a
Patrasso personale del Regio Esercito e della Regia Marina diretto verso varie
destinazioni, con la scorta della torpediniera Stocco e dell’incrociatore ausiliario Arborea.
1° ottobre 1941
Crispi, Piemonte e Viminale trasportano da Patrasso a Bari 2200 militari rimpatrianti,
con la scorta dell’Arborea e dell’Altair.
12 ottobre 1941
Crispi, Piemonte e Viminale trasportano da Bari a Durazzo truppe e materiali
dell’Esercito e della Marina, scortati dalla torpediniera Antares e dall’incrociatore ausiliario Attilio Deffenu.
15 ottobre 1941
Lo stesso convoglio di tre giorni prima prosegue da Durazzo a Patrasso.
18 ottobre 1941
Crispi, Piemonte e Viminale, scortati dal Deffenu
e dall’avviso veloce Diana,
trasportano da Patrasso a Bari, via Prevesa, 1072 militari rimpatrianti e 18
prigionieri britannici.
22 ottobre 1941
Crispi, Piemonte e Viminale trasportano truppe e materiali da Bari a Patrasso,
scortati dal Deffenu e dalla
torpediniera Angelo Bassini.
31 ottobre 1941
Crispi, Piemonte e Viminale trasportano truppe rimpatrianti da Patrasso a Bari, con la
scorta del Deffenu.
7 novembre 1941
Crispi, Piemonte e Viminale trasportano truppe e materiali da Bari a Patrasso, con la
scorta della Stocco e
dell’incrociatore ausiliario Attilio Deffenu.
18 novembre 1941
Crispi, Piemonte e Viminale trasportano 4120 militari rimpatrianti da Patrasso a Bari,
con la scorta del Deffenu e delle
torpediniere Francesco Stocco e Generale Carlo Montanari.
13 dicembre 1941
Mentre il Crispi, scarico, si
sta trasferendo da Trieste a Monfalcone, s’incaglia nel Canale di Panzano.
14 dicembre 1941
Disincagliato dai rimorchiatori Bravo
III, Chioggia, Parenzo, Dante e Garibaldino.
17 dicembre 1941
Derequisito dalla Regia Marina e poi nuovamente requisito per conto del
Ministero delle Comunicazioni. Continua a trasportare truppe verso la Grecia,
fino al maggio 1942.
Il Crispi in navigazione, probabilmente in tempo di guerra (dalla rivista “Il Granatiere”) |
11 febbraio 1942
Crispi, Piemonte ed il piroscafo Milano salpano da Bari alle 18 carichi
di truppe e materiali, scortati dal Brindisi e
dalla torpediniera Angelo Bassini.
12 febbraio 1942
Il convoglio giunge a Corfù alle 10, e vi si trattiene fino alle 22,
poi prosegue per Patrasso con l’aggiunta del cacciatorpediniere Turbine.
13 febbraio 1942
Le navi arrivano a Patrasso alle 15.
4 marzo 1942
Crispi, Galilea, Piemonte e Viminale trasportano
da Patrasso a Bari, con sosta intermedia a Corfù, truppe italiane che rimpatriano
dalla Grecia. Li scortano il cacciatorpediniere Turbine e le torpediniere Antonio Mosto e Generale Carlo Montanari.
Alle 9.25, a 27,2 miglia per 330° da Capo Dukato, il convoglio di cui
fa parte il Crispi, in navigazione
verso nord (proveniente da Patrasso, è diretto a Corfù) e scortato anche da due
aerei, viene avvistato dal sommergibile britannico Torbay (capitano di fregata Anthony Cecil Capel Miers) che
tuttavia, essendosi in precedenza spostato dalla posizione assegnata per la
missione per inseguire (senza successo) un altro e più piccolo convoglio, non è
in grado di portarsi in posizione idonea per l’attacco. Infastidito
dall’occasione mancata, della quale si fa colpa, Miers decide di seguire il
convoglio nella rada di Corfù; il Torbay
riesce a penetrare nella rada durante la notte, ma con le luci dell’alba si
accorgerà che i trasporti truppe non ci sono, avendo probabilmente proseguito
direttamente verso l’Italia. Il sommergibile ripiegherà allora su un altro
piroscafo presente in rada, il Maddalena
G., affondandolo con un siluro.
11 marzo 1942
Crispi, Argentina, Galilea, Italia, Ivorea, Piemonte e Viminale trasportano
truppe e materiali da Bari a Patrasso, scortati dall’incrociatore
ausiliario Città di Genova, dai
cacciatorpediniere Euro e Sebenico e dalla torpediniera Solferino.
27 marzo 1942
Tra la mattinata ed il primo pomeriggio il Crispi, ormeggiato nella rada di Lutraki (Canale di Corinto)
insieme ai trasporti truppe Viminale
e Galilea, imbarca reparti della 3a
Divisione Alpina "Julia" in trasferimento dalla Grecia all’Italia.
Sul Crispi, in particolare, s’imbarca
il Battaglione "Val Tagliamento"; sul Galilea s’imbarca il Battaglione "Gemona", mentre altri
reparti della Divisione prendono imbarco sulla Viminale.
Alle ore 21 Crispi, Viminale e Galilea salpano da Lutraki diretti a Patrasso, in linea di fila ed
a luci spente. A Patrasso i tre bastimenti formano un convoglio con altri tre
trasporti truppe: Piemonte, Italia ed Aventino.
28 marzo 1942
Alle 13 il Crispi, insieme a Piemonte (capoconvoglio), Galilea, Viminale, Italia ed Aventino, salpa da Patrasso per
raggiungere Bari, via Brindisi. In tutto le navi del convoglio trasportano 8300
uomini: Crispi, Piemonte, Galilea e Viminale hanno a bordo truppe della Divisione
"Julia", mentre Italia ed Aventino trasportano uomini delle
guarnigioni del Dodecanso che rientrano per licenza. La scorta è inizialmente
costituita dall’incrociatore ausiliario Città di Napoli (capitano di fregata Luigi Ciani, caposcorta)
e dalle torpediniere Castelfidardo,
Antonio Mosto ed Angelo
Bassini.
La formazione procede in linea di fila, con il Città di Napoli in testa, seguito
nell’ordine da Mosto, Castelfidardo, Viminale, Piemonte, Aventino, Galilea, Crispi, Italia e per ultima la Bassini, che chiude la fila; la velocità
è di 10 nodi.
Alle 14, oltrepassato Capo Papas, Mosto e Castelfidardo si
portano in posizione protettiva a dritta (Mosto)
e sinistra (Castelfidardo) del
convoglio.
Alle 17.15 il cacciatorpediniere Sebenico, salpato da Brindisi, si aggrega alla scorta in mare
aperto, dopo il traverso di San Nicolò d’Itaca (insieme ad esso giungono anche
alcuni dragamine che devono accompagnare il convoglio fin oltre Capo Dukato),
posizionandosi sulla sinistra del convoglio.
La torpediniera San
Martino, dotata di ecogoniometro e proveniente da Argostoli, passa il
pomeriggio effettuando perlustrazione antisommergibile da Capo Dukato per le
prime 20 miglia della rotta che il convoglio dovrà percorrere, senza rilevare
nulla; alle 19 si unisce anch’essa al convoglio, portandosi in testa e
riprendendo la ricerca antisom, sempre con risultato negativo.
Nemmeno la ricognizione aerea (è prevista copertura aerea dalle 15 al
tramonto) avvista sommergibili. Sempre quale misura antisom, Marimorea ha fatto
salpare da Guiscardo (vicino ad Argostoli) la motovedetta Caron della Guardia di Finanza ed
il motoveliero Regina Vincitrice
affinché effettuino ascolto idrofonico; ma le due minuscole navi, a causa delle
pessime condizioni del mare, devono tornare in porto poco dopo la partenza,
senza poter espletare il loro compito.
Per il primo tratto della navigazione il convoglio si trova in una zona
di mare relativamente sicura, in quanto racchiusa dalle isole di Zacinto,
Argostoli e Santa Maura (Lefkàda); dopo le 20, doppiato Capo Ducato, uscirà
invece in mare aperto, raggiungerà le isole di Paxo ed Antipaxo e da lì
dirigerà verso l’Italia, facendo il punto dinanzi a Gagliano del Capo,
doppiando Capo d’Otranto verso le 8 del 29 marzo, e seguendo poi la costa fino
a Bari.
Verso le 18.30, il convoglio entra nella zona di pericolo per attacchi
subacquei, e le unità della scorta iniziano ad eseguire lanci di bombe di
profondità a scopo intimidatorio, dato che non si ottiene alcun reale contatto.
Il tempo, già instabile per tutta la giornata (calma di mare e di
vento, ma con cielo coperto, e le previsioni parlano di un peggioramento in
arrivo dal secondo quadrante), va via via peggiorando: raffiche di vento e di
pioggia prendono a sferzare le navi, che procedono tra la foschia a tratti più
o meno spessa.
Il convoglio esce dal passo di Capo Dukato (che viene doppiato alle
18.30 o poco dopo le 19) senza che si verifichino inconvenienti; alle 19.12,
lasciato Capo Dukato di poppa al traverso, si cambia formazione dalla linea di
fila a quella su quattro colonne, due interne di trasporti truppe e due esterne
di navi scorta.
La colonna interna di dritta è guidata dal Galilea, seguito dal Crispi al
centro e dall’Italia in coda; la
colonna interna di sinistra è formata da Viminale (in testa, a circa 600-700 metri di distanza
dal Galilea), Piemonte (al centro) ed Aventino (in coda); la colonna
esterna di dritta è costituita da Mosto (in
testa, sulla dritta del Galilea)
e Sebenico (dietro
alla Mosto, all’altezza
del Crispi), quella di sinistra
da San Martino (all’altezza
della Viminale) e Castelfidardo (all’altezza
del Piemonte). Il Città di Napoli apre la formazione,
procedendo a proravia rispetto alle due colonne centrali (a distanza più o meno
uguale da entrambe), mentre la Bassini la
chiude. Viene assunta rotta 330°, mantenendo una velocità di 10 nodi.
Le navi della scorta procedono a zig zag; sul cielo del convoglio
volano aerei da caccia ed antisommergibili, che rimangono in volo fino
all’imbrunire.
Alle 21 la San Martino è
costretta a rientrare ad Argostoli, perché ha quasi finito il carburante (era
stata fatta frettolosamente partire da Argostoli al termine di un’altra
missione, senza il tempo di potersi rifornire); ciò comporta alcune modifiche
nella formazione del convoglio. Mentre i trasporti non variarono le loro
posizioni, la Bassini si
porta sul fianco di dritta del convoglio, all’altezza dell’Italia, e la Castelfidardo indietreggia
di una posizione, portandosi all’altezza dell’Aventino. Il Sebenico passa
dal lato di dritta a quello di sinistra, posizionandosi all’altezza della Viminale. Solo la Mosto mantiene la sua posizione
originaria sulla dritta del Galilea.
Durante la serata, Crispi e Piemonte segnalano di essere stati
sfiorati da due siluri, determinando un’intensificazione nei lanci “dissuasivi”
di bombe di profondità da parte della scorta; probabilmente si è trattato di un
falso allarme.
Alle 21.20 il sommergibile britannico Proteus (capitano di corvetta Philip Stewart Francis) avvista
numerose sagome scure in posizione 38°55’ N e 20°21’ E, a cinque miglia di
distanza, su rilevamento 200°; virando per avvicinarsi e vedere di che cosa si
trattasse, Francis vede che le sagome appartengono alle navi di un convoglio di
sette navi mercantili, scortate da due o più cacciatorpediniere. C’è troppa
luce lunare per poter attaccare in superficie, così alle 22.25 il Proteus s’immerge per continuare
l’avvicinamento; alle 22.32 Francis vede cinque navi attraverso il periscopio.
Alle 22.42 il Proteus lancia
due siluri contro un mercantile distante circa 1830 metri; un minuto dopo il
sommergibile lancia altri quattro siluri contro due mercantili distanti
rispettivamente 915 e 1830 metri, che appaioano “sovrapposti” nel periscopio.
Subito dopo, il battello britannico scende in profondità. In quel momento il
convoglio sta passando al largo delle isolette di Paxo ed Antipaxo (a sud di
Corfù).
La notte è buia, piove ed il mare è agitato: le navi della scorta non
avvistano le scie dei siluri né tanto meno il sommergibile. Verso le 22.45, in
posizione 39°03’ N e 20°06’ E (o 39°04’ N e 20°05’ E, nove miglia a sudovest di
Antipaxo), il Galilea viene
colpito da un siluro a prua.
Dopo il siluramento, tutte le navi del convoglio accostano verso il
lato esterno.
In base agli ordini diramati dal comandante del Città di Napoli prima della
partenza, la Castelfidardo e
la Mosto avrebbero
l’incarico di restare sul posto per dare assistenza al Galilea: ma il Città di Napoli ripete tale ordine, con i segnali, soltanto
alla Mosto, così il comandante
della Castelfidardo crede
di non doversi fermare anch’esso, ma di dover proseguire invece con il
convoglio.
Mentre il resto del convoglio, Crispi
compreso, prosegue, soltanto la Mosto (capitano
di corvetta Gerolamo Delfino) rimane ad assistere il Galilea ed i 1329 uomini che si trovano a bordo. Alla fine, i
morti saranno 1050.
Un’altra foto del Crispi (da www.corsematin.com) |
4 maggio 1942
Il Crispi compie un viaggio
da Brindisi a Corfù, scortato dalla torpediniera Antonio Mosto e
dall’incrociatore ausiliario Lorenzo
Marcello.
5 maggio 1942
Rientra da Corfù a Bari, sempre scortato da Mosto e Marcello.
Giugno 1942
Assegnato alla Forza Navale Speciale per trasportare parte del corpo di
sbarco destinato alla pianificata, ma mai attuata, invasione di Malta
(Operazione "C. 3").
Nei piani dello sbarco, elaborati nel maggio 1942, il Crispi è destinato ad essere uno dei
dieci trasporti truppe da impiegare nell’operazione, insieme a Milano, Rosandra, Italia, Viminale, Quirinale, Aventino, Donizetti, Calino e Città di Tunisi
(ciascuno di essi può trasportare tra gli 800 e i 1400 soldati); essi
trasporteranno le truppe che dovranno poi essere sbarcate sulle coste di Malta
da una composita flottiglia composta da 65 motozattere da sbarco tipo MZ
(costruite sui piani delle MFP tedesche progettate per l’invasione del Regno
Unito: possono trasportare e sbarcare fino a tre carri armati e 100 uomini
equipaggiati ciascuna), 100 "motolancie" (in realtà veri e propri mezzi
da sbarco: possono sbarcare 30 uominiciascuno) tipo ML (solo 9 delle quali,
però, effettivamente costruite), 24 vaporetti requisiti della laguna di Venezia
(ognuno dei quali può trasportare e sbarcare 75 uomini), due piccole motonavi
anch’esse della laguna di Venezia (Altino
ed Aquileia, capacità 400 uomini
cadauna), tre posamine (Durazzo, Buccari, Pelagosa, che possono ciascuno trasportare 500 uomini), quattro
motocisterne-navi da sbarco (Sesia, Scrivia, Tirso, Garigliano,
ciascuna delle quali può trasportare e sbarcare due batterie da 75 mm e veicoli),
due traghetti ferroviari dello stretto di Messina (Aspromonte e Messina, in
grado di trasportare ciascuno 4-8 carri armati e mille tonnellate di materiali),
tre piroscafetti costieri (Principessa
Mafalda, Capitano Sauro, Tabarca, ciascuno dei quali può portare
400 uomini) e 50 motovelieri requisiti (24 trabaccoli, 14 golette, due
brigantini goletta, 6 navicelli, due cutter e due motovelieri di altro tipo:
capacità media 300 uomini). Parte di queste unità (le MZ, le ML, le
motocisterne-navi da sbarco) sono unità costruite appositamente come unità da
sbarco, altre (specie i vaporetti ed i motovelieri) sono mezzi piuttosto di
fortuna, ottenuti convertendo alla meglio una quantità di imbarcazioni assai
eterogenee.
Le truppe da sbarco assommano in tutto a 65.000 uomini, dei quali
32.000 appartengono al XXX Corpo d’Armata (prima ondata: Divisioni Fanteria
"Friuli", "Livorno" e "Superga" e X
Raggruppamento Corazzato), 26.000 al XVI Corpo d’Armata (seconda ondata:
Divisioni Fanteria "Napoli" e "Assietta") e 7000 al Comando
Truppe Speciali (2000 fanti di Marina del Reggimento "San Marco",
4000 camicie nere del Gruppo Battaglioni Camicie Nere da Sbarco, 500 elementi
delle forze speciali italiane e 500 tedeschi). In aggiunta a questi 65.000
uomini, che verranno sbarcati dal mare, altri 29.000 uomini (italiani della
Divisione Paracadutisti "Folgore" e della Divisione Aviotrasportabile
"La Spezia", e tedeschi della 7. FliegerDivision) dovranno giungere
sull’isola mediante aviosbarchi.
Lo sbarco verrà appoggiato dalle unità della Forza Navale Speciale al
comando degli ammiragli Vittorio Tur (comandante in capo della stessa F.N.S.) e
Luigi Biancheri: i vecchi incrociatori leggeri Bari e Taranto, 15
cacciatorpediniere delle Squadriglie III, IV, VII, VIII e XVI, una ventina di
torpediniere e 20-30 tra motosiluranti, MAS e VAS.
L’invasione di Malta sarà tuttavia rimandata e poi accantonata in vista
della spettacolare – all’apparenza – avanzata delle forze italo-tedesche in
Egitto, seguita alla battaglia di Ain el Gazala, che illude gli alti comandi
dell’Asse che presto Alessandria e il Cairo saranno prese, rendendo superflua la
conquista di Malta. L’operazione "C. 3" verrà così cancellata il 27
luglio 1942, anche se buona parte della Forza Navale Speciale, Crispi compreso, sarà comunque
utilizzata per un’operazione di sbarco (ma senza incontrare resistenza) diversi
mesi dopo, con l’occupazione della Corsica nel novembre 1942. La Forza Navale
Speciale verrà poi formalmente sciolta il 5 gennaio 1943.
Novembre 1942
Adibito al trasporto di truppe in Corsica, occupata dalle forze
italiana a seguito dell’Operazione "Anton", l’occupazione congiunta
italo-tedesca della Francia di Vichy seguita agli sbarchi angloamericani nel
Nordafrica francese.
Nei mesi seguenti, fino alla perdita, il Crispi verrà impiegato nel trasporto di truppe tra Corsica e
continente, solitamente con partenza da Livorno.
8 gennaio 1943
Il Crispi, scortato da
cacciatorpediniere ed aerei, trasporta un reparto di alpini da Livorno alla
Corsica. Durante il viaggio, poco prima di arrivare a destinazione, un aereo
nemico attacca infruttuosamente il Crispi
con lancio di bombe, che cadono in mare a poca distanza dalla nave.
27 febbraio 1943
Alle 15.19 il sommergibile britannico Torbay (tenente di vascello Robert
Julian Clutterbuck), in agguato poco fuori dell’imboccatura del porto di
Bastia, avvista un convoglio in avvicinamento, diretto in porto (identificato
da Clutterbuck come “una nave a due fumaioli [evidentemente il Crispi] e due navi mercantili in zavorra
scortate da una torpediniera e da un MAS”): si tratta del Crispi e di un altro trasporto
truppe, Rossini, scortati dalla
torpediniera Giuseppe La Masa,
dall’incrociatore ausiliario Filippo Grimani e dal MAS 558. Un aereo è in volo sul cielo
del convoglio, ma si allontana poco dopo. Le navi italiane distano 13.700
metri; il Torbay manovra per
avvicinarsi, ed alle 15.45 il piroscafo a due fumaioli scelto come bersaglio
(probabilmente il Crispi),
nell’ambito del suo zigzagamento, accosta ad una distanza di 4600 metri, così
ponendosi proprio davanti al Torbay.
Il sommergibile manovra per portarsi in posizione idonea all’attacco, poi
lancia quattro siluri (prima uno, poi due insieme e poi un altro); nessuno va a
segno. La scorta lancia 14 bombe di profondità, ma il Torbay non subisce danni, e si ritira verso est.
12
marzo 1943
Il sommergibile francese Casablanca (capitano di corvetta Jean L’Herminier), che ha appena
recuperato tre membri dell’equipaggio rimasti bloccati per tre mesi in terra
corsa (a causa del capovolgimento del loro canotto, verificatosi in dicembre
durante lo sbarco di una missione francese incaricata di prendere contatto con
la resistenza locale, i tre uomini non sono potuti tornare a bordo del Casablanca e sono dovuti restare per tre
mesi in Corsica, ospiti della Resistenza) uno dei quali, il guardiamarina
Georges Lasserre, ha informato il comandante L’Herminier del prossimo arrivo a
Bastia del Crispi e del
piroscafo da carico Tagliamento, che
mantengono un servizio settimanale di collegamento tra Livorno, l’Elba e Bastia
(dove arrivano normalmente proprio quel giorno della settimana, spiega Lasserre
a L’Herminier), si pone in agguato poco fuori dal porto di Bastia, attendendo
l’arrivo del convoglio. Quando questo arriva nel primo pomeriggio, il Casablanca lancia contro di esso quattro
siluri, che tuttavia mancano i bersagli e scoppiano contro i frangiflutti del
Porto Vecchio, allertando la scorta della presenza del sommergibile, che viene
sottoposto a pesante e prolungata caccia con una vera e propria pioggia di bombe
di profondità, venendo costretto a disimpegnarsi scendendo a 80 metri ed
inseguito fin quasi al Golfo di Genova.
6
aprile 1943
Il Crispi
trasporta un battaglione di alpini da Livorno a Bastia.
Il Francesco Crispi all’ingresso del porto di Bastia a inizio aprile 1943, poche settimane prima del suo affondamento (da “Navi mercantili perdute” di Rolando Notarangelo e Gian Paolo Pagano, USMM) |
L’affondamento
Il 19 aprile 1943 il Francesco
Crispi, carico di truppe dirette in Corsica (in massima parte granatieri ed
artiglieri), partì da Livorno alla volta di Bastia, in convoglio con la
motonave Rossini (anch’essa adibita
al trasporto di truppe) e con la scorta dell’anziana torpediniera Giuseppe La Masa e dell’incrociatore
ausiliario Caralis. Sul cielo del
convoglio volava anche un idrovolante da ricognizione, quale scorta aerea.
Il convoglio trasportava rinforzi per la guarnigione italiana della
Corsica, occupata dalle truppe italiane nel novembre 1942: oltre metà delle
truppe imbarcate sul Crispi dovevano
andare a potenziare il Raggruppamento Speciale Granatieri (già Raggruppamento Battaglioni
Granatieri da Sbarco, creato nel giugno 1942 ed inizialmente stanziato
sull’Isola d’Elba), che era stato trasferito in Corsica l’11 novembre 1942,
quando aveva partecipato all’occupazione di Bastia ed Ajaccio rimanendovi poi a
presidio. Tale raggruppamento era originariamente composto da due battaglioni
di granatieri; con il Crispi ne
doveva arrivare in Corsica un terzo (III Battaglione Speciale).
Il Crispi aveva a bordo ben
più di mille uomini, ma sul numero esatto sembrano esistere delle discrepanze. Un
articolo a firma di Francesco De Angelis sulla rivista “Il Granatiere”
(aprile-maggio 2009) afferma che la nave avesse a bordo esattamente 1300
uomini: 130 membri dell’equipaggio (altra fonte parla di 108), 534 granatieri
di Sardegna (178 del 1° Reggimento e 356 del 3° Reggimento), 434 artiglieri dei
Corpi d’Armata di Modena e Firenze, 98 camicie nere della M.V.S.N. (Milizia
Volontaria per la Sicurezza Nazionale) di Firenze e di Imola e 104 militari
“isolati”. Non è chiaro, tuttavia, quale sia la fonte dell’articolo in
questione, che compie due errori non da poco relativi al nome del sommergibile
affondatore (identificato come il francese Casablanca,
anziché il britannico Saracen) ed al
numero dei sopravvissuti (indicati in 357, mentre dai documenti ufficiali
risulta che furono 676). Anche sui reparti di provenienza dei granatieri sembra
esservi un errore: un messaggio dell’epoca, rintracciato dal ricercatore
Domenico Clarizia, attesta infatti che i granatieri imbarcati sul Crispi appartenevano tutti al 1°
Reggimento Granatieri (più precisamente si trattava del III Battaglione più due
compagnie del I e II Battaglione), mentre non vi erano granatieri del 3°
Reggimento. Quest’ultima notizia trova conferma nel libro “Granatieri di
Sardegna. 350 anni di Storia italiana” del generale Ernesto Bonelli, che
afferma che sul Crispi s’imbarcarono
il III Battaglione Granatieri più una compagnia per ciascuno dei due
battaglioni granatieri che già si trovavano in Corsica (ossia il I e II
Battaglione, che formavano il Raggruppamento Speciale Granatieri). Secondo
documenti consultati dal ricercatore Platon Alexiades, il Crispi stava trasportando 1085 soldati (mentre dall’articolo de “Il
Granatiere” risulterebbe che la nave ne stesse trasportando 1170), che però non
è il numero totale degli uomini presenti sul piroscafo, mancando informazioni
sulla composizione dell’equipaggio.
Oltre alle truppe, il Crispi
trasportava nelle stive anche una notevole quantità di rifornimenti: armi, munizioni,
provviste, medicinali e 36 pezzi di artiglieria, di cui 12 erano vecchi cannoni
da 149/35 mm allungati (risalenti alla guerra di Libia) e 24 pezzi anticarro da
47/32 mm. L’altro trasporto truppe del convoglio, la Rossini, molto più piccola del Crispi,
aveva imbarcato circa 600 militari, in gran parte granatieri del 2° Reggimento.
Il piemontese Giorgio Peyronel, trentenne, ufficiale d’artiglieria,
faceva parte del gruppo degli artiglieri del corpo d’armata di Modena inviati
in Corsica sul Crispi. Peyronel era
stato chiamato alle armi da poche settimane; di sentimenti antifascisti (figlio
di un pastore valdese, era seguace delle idee di Karl Barth, teologo svizzero
ed ardente oppositore del nazifascismo), dopo l’armistizio avrebbe avuto un
ruolo nella Resistenza, e molti anni più tardi avrebbe raccontato in versi
tutta la sua esperienza bellica, dal 1943 al 1945 – compresa la tragedia del Crispi – in un poema intitolato
“Resistenziade”. Dopo la chiamata alle armi, Peyronel aveva seguito a Terracina
un corso di tiro antinave e poi, dopo pochi giorni di licenza a casa, era stato
richiamato a Modena e mandato a Livorno, dov’era stato aggregato ad un reparto
di artiglieria in partenza per la Corsica, dove avrebbe dovuto essere assegnato
ad una batteria costiera. Gli uomini del suo nuovo reparto non erano gli stessi
coi quali aveva seguito il corso a Terracina: erano perlopiù soldati anziani da
poco richiamati, non addestrati al tiro antinave, né con esperienza di mare.
Peyronel si era precipitato a Livorno dalla Brianza dov’era in licenza, e
quando era arrivato trafelato al comando di tappa si era sentito dire con una
punta d’ironia che non c’era fretta. Gli fu anche detto che i pezzi
d’artiglieria del suo reparto (con ogni probabilità si trattava dei dodici pezzi
da 149/35 cui si è accennato più sopra), già imbarcati nelle stive del Crispi per l’invio in Corsica, erano
privi degli otturatori, che sarebbero dovuti arrivare in seguito con un’altra
nave. Peyronel aveva dormito per quella notte a bordo del Crispi; fino a tardi equipaggio e “passeggeri” del piroscafo erano
stati tenuti svegli dai botti e dai lampi di un bombardamento compiuto contro
qualche altra città lontana (probabilmente La Spezia, che fu pesantemente
bombardata proprio nella notte tra il 18 ed il 19 aprile 1943). Il mattino
seguente, il Crispi era partito per
la Corsica.
Purtroppo, il Crispi non
sarebbe mai giunto a destinazione. Alle 12.50 (ora britannica) del 19 aprile il
sommergibile britannico Saracen
(tenente di vascello Michael Geoffrey Rawson Lumby), in agguato a ponente
dell’Isola d’Elba, avvertì dei rumori prodotti da macchine di navi su
rilevamento 080°, ed otto minuti più tardi avvistò un intero convoglio: Lumby
identificò correttamente le navi avvistate come "un incrociatore ausiliario,
un transatlantico a due fumaioli, una nave mercantile ed un cacciatorpediniere
a tre fumaioli", cioè, rispettivamente, Caralis, Crispi, Rossini e La Masa. Nel suo rapporto Lumby sarebbe stato anche più preciso,
identificando correttamente il transatlantico come un bastimento "classe Francesco Crispi" (mentre la Rossini era erroneamente ritenuta "somigliante
al [piroscafo] Montello", avente
in realtà caratteristiche alquanto differenti). Il comandante britannico stimò
che il convoglio stesse procedendo a 9 nodi su rotta 220°, e che distasse circa
11.000 metri. Diede inizio alla manovra d’attacco, con l’intenzione di silurare
il “transatlantico”, che era la nave più grande del convoglio.
Alle 13.17 (ora di bordo del Saracen)
il convoglio accostò inconsapevolmente proprio nella direzione in cui si
trovava il Saracen, che otto minuti
più tardi, nel punto 42°46’ N e 09°42’ E, lanciò sei siluri da una distanza di
4570 metri. Siccome Crispi e Rossini si stavano “sovrapponendo” nel
periscopio, formando una linea continua, Lumby regolò la salva in modo da
colpirli entrambi.
In realtà solo il Crispi fu
colpito: le fonti italiane, il cui orario è avanti di un’ora rispetto a quello
del Saracen (per via del fuso
orario), riferiscono che il piroscafo fu colpito da tre siluri alle 14.32. Il Saracen avvertì quattro esplosioni, che
indussero il suo comandante a ritenere erroneamente di aver colpito entrambi i
bersagli.
Con lo scafo squarciato da ben tre siluri, il Crispi iniziò subito ad affondare: a bordo dilagò il panico. Molti
soldati si avventarono sulle scialuppe, alcune delle quali poterono essere
messe a mare intatte; altri si gettarono direttamente in mare. L’alpino
Gerolamo Sabaini, di 36 anni, gridò ai compagni di non gettarsi in mare dal
lato sottovento, ma da quello opposto; prese dei giubbotti di salvataggio e li
lanciò a tre suoi compaesani e commilitoni che non sapevano nuotare, e spiegò
loro che dovevano tenere la testa sollevata.
Giorgio Peyronel, al momento del siluramento, si trovava in un locale
chiuso, con belle vetrate, sul ponte superiore; aveva finito da un po’ di
pranzare e stava conversando con altri ufficiali su quanto li aspettava nel
prossimo futuro. Il mare era tranquillo, splendeva il sole, l’aria era abbastanza
tiepida. All’improvviso, la nave fu scossa da tre violente esplosioni:
innumerevoli rottami, lanciati in aria dagli scoppi, ricaddero sulla nave
ferendo ed uccidendo parecchi uomini che si trovavano sui ponti scoperti. (Secondo
alcuni, lo scoppio di uno dei siluri provocò anche l’esplosione di una riserva
di munizioni d’artiglieria trasportate in una delle stive – insieme ai cannoni
diretti in Corsica –, con conseguenze devastanti). Non ebbero miglior sorte i
molti che dopo pranzo erano scesi nelle cabine: Peyronel avrebbe in seguito
appreso da altri sopravvissuti che, passando nei corridoi, si sentivano degli
spari esplosi da uomini intrappolati contro le porte delle cabine, deformate e
bloccate dalle esplosioni o dagli scossoni da esse causati. Molti non
riuscirono ad uscire da quella trappola, e affondarono con la nave.
Peyronel ed i compagni, usciti sul ponte all’aperto, si recarono sul
lato opposto a quello colpito dai siluri; Peyronel indossava già il giubbotto
salvagente sopra la divisa, e si tuffò subito in mare. Sprofondò un poco, poi
il salvagente lo riportò a galla, ma proprio in quel momento un altro uomo,
lanciatosi dal ponte, gli cadde addosso e lo fece affondare nuovamente. Di
nuovo Peyronel ritornò a galla, ancora illeso nonostante tutto.
Federico Finizio, napoletano, giovane ufficiale dei granatieri, vide un
altro ufficiale suicidarsi, preso dalla disperazione, sparandosi con la pistola
d’ordinanza. Eppure lo conosceva: l’ufficiale sapeva nuotare benissimo, il suo
gesto era inspiegabile. Finizio finì in mare, ma venne risucchiato dal gorgo
generato dalla nave che affondava: pensando che fosse la fine, rivolse il suo
pensiero al figlio che stava per nascere – il quarto –, che stava per diventare
orfano. Poi, all’improvviso, gli passò accanto un grosso pezzo di legno
staccatosi dalla nave, che stava risalendo in superficie: Finizio lo aggrappò e
risalì a sua volta. Poi, ferito e semincosciente, rimase per lunghissime ore
aggrappato a quel rottame sballottato dalle onde, assieme ad un altro soldato.
I due si confortarono a vicenda durante il lungo periodo passato in acqua, ma
l’altro soldato cedette e si lasciò andare poco prima dell’arrivo dei soccorsi.
Finizio, semiassiderato, venne tratto in salvo e portato in un ospedale
dell’Isola d’Elba. Aveva al collo un medaglione d’argento della Vergine del
Rosario, ricordo di una visita al Santuario di Pompei; al suo ritorno, avrebbe
chiamato il nuovo nato Mario Rosario.
Una storia curiosamente simile a quella di un altro granatiere
napoletano, Cataldo Ciccolella, del III Battaglione: “nuotando in mezzo al
groviglio formatosi, si ritrovò tra le mani un santino raffigurante la Madonna
di Pompei, che la madre gli aveva messo addosso alla partenza. Per tutto il
tempo trascorso in acqua e fino al salvataggio, il suo pensiero fu rivolto alla
Madonna”.
Il sergente maggiore Luigi De Angelis, 28 anni, del 3° Reggimento
Granatieri, era addetto all’Amministrazione ed aveva ricevuto l’incarico di
vigilare sulla cassaforte del reggimento: gli ordini erano di non allontanarsi
mai dalla cassaforte e dai due soldati incaricati del suo traporto. Dopo la
partenza, tuttavia, De Angelis aveva deciso di regolarsi diversamente: aveva
aperto la cassaforte, si era messo in tasca il denaro in essa contenuto (in
valuta sia italiana che francese) e, potendo così vigilare sul denaro senza
passare tutto il viaggio accanto alla cassaforte, aveva preso a girare
liberamente per la nave, lasciando i due soldati a sorvegliare la cassaforte
vuota. Una piccola infrazione che salvò sia lui che i soldi: caduto in mare
dopo l’impatto del primo siluro, De Angelis fu salvato da un’unità di scorta
dopo aver trascorso in acqua quattro ore.
La fine del Crispi fu rapida,
troppo rapida perché gran parte degli uomini imbarcati potessero mettersi in
salvo: in soli sedici minuti, il piroscafo s’inabissò nel punto 40°45’ N e
09°42’ E, a 18 miglia per 268° dalla sommità di Campo alle Serre (Punta Nera)
nell’Isola d’Elba, cioè a ponente dell’Elba. Alle 14.48 (ora italiana) della
bella nave del Lloyd non restavano che innumerevoli rottami e centinaia di
naufraghi che cercavano faticosamente di restare a galla.
Giorgio Peyronel, dopo essersi gettato in mare, aveva visto il Crispi proseguire, spinto dall’abbrivio,
ed allontanarsi da lui: sembrava imbarcare acqua soprattutto da poppa, e
sollevava lentamente la prua dal mare. Alla fine, il piroscafo si rizzò in
posizione verticale e poi colò a picco. Peyronel rimase in acqua per quattro
ore prima di essere recuperato da una delle unità della scorta; prima di essere
soccorso provvide a disfarsi delle copie del giornale clandestino “L’Italia
Libera”, edito dal Partito d’Azione, che aveva nelle tasche della giacca. Se i
suoi soccorritori le avessero trovate, sarebbero stati guai seri per lui; e
poi, ad ogni modo, ormai erano fradicie. Una volta a bordo dell’unità
soccorritrice, gli fu dato un letto caldo in cui riposare e riscaldarsi un
poco.
La reazione della scorta non si fece attendere: per tre quarti d’ora,
dopo il siluramento, il Saracen venne
bombardato con un totale di 46 bombe di profondità. Il battello britannico,
tuttavia, riuscì ad eludere la caccia senza subire danni, ed alle 14.48 (ora
britannica) poté tornare a quota periscopica per controllare l’esito del
proprio attacco: verso est, molto lontani, Lumby vide il Caralis e la La Masa; nel
punto dell’attacco, vide una nave in affondamento (il che appare strano, perché
a quest’ora – le 15.48 per l’orario italiano – il Crispi era già affondato da un’ora). L’equipaggio britannico rimase
con l’erronea convizione di aver affondato due navi (od anche tre: un
sottufficiale del Saracen, William
Trevor Henry Morris, scrisse nel suo diario che “un transatlantico italiano con truppe a bordo, un incrociatore
ausiliario ed un cacciatorpediniere sono finiti nel forziere di Davy Jones. Una
salva di sei siluri, tre navi [colpite],
un grande primato”).
I Comandi italiani lanciarono immediatamente una vasta operazione di
soccorso per i naufraghi del Crispi: da
Bastia vennero inviati sul luogo dell’affondamento i rimorchiatori Turbine e Vulcano, i piroscafetti Angela
e Capitano Sauro, il dragamine
ausiliario B 191 Lucia Madre ed il MAS 558 (che aveva a bordo l’ammiraglio
Pellegrino Matteucci, comandante militare marittimo della Corsica, recatosi sul
posto per dirigere le operazioni); da Livorno presero il mare la torpediniera
di scorta Ardente, l’incrociatore
ausiliario Cattaro e la nave
ausiliaria Toscana. Anche Caralis e La Masa parteciparono ai soccorsi, così come diversi pescherecci ed
una motolancia di proprietà di un privato di Bastia, tale Grimaldi.
Entro il giorno seguente, i mezzi di soccorso avevano tratto in salvo
676 sopravvissuti (606 dei quali furono sbarcati a Bastia, e 70 a Portoferraio)
e recuperato 16 cadaveri; le ricerche nell’area dell’affondamento proseguivano
con l’impiego di aerei.
La tragedia del Crispi è
menzionata anche dal Diario del Comando Supremo: alla data del 19 aprile vi si
annota che "Alle 12.12 [discrepanza
sull’orario riportato dalle fonti ufficiali] il piroscafo "Crispi" in navigazione da Livorno a Bastia é
stato affondato da sommergibile a 12 miglia per 80° da Bastia. Inviati numerosi
mezzi di soccorso per il salvataggio dei naufraghi. Sinora sono stati
recuperati 600 uomini. Da Bastia sono state inviate 8 piccole unità che hanno
cooperato al salvataggio con la M/a "Caralis", il p.fo "Sauro"
e la torpediniera "La Masa". Da Livorno sono giunte la torp.
"Ardente", la M/a "Cattaro" e la M/a "Toscana".
Disposto che all'alba sia ripresa la ricerca e la caccia al smg. da parte di
aerei e mezzi antisommergibili"; alla data del 20 aprile si riferisce
che "Sono giunti a Bastia 606
naufraghi del "Crispi" e 70 a Portoferraio, sono state recuperate 16
salme. In corso ricerche con aerei nella zona del sinistro".
Tra i naufraghi salvati dopo parecchie ore trascorse in acqua era il
soldato Emilio Redditi, di Reggello, all’epoca trentunenne: dopo essere
fortunosamente scampato all’affondamento del Crispi, Redditi avrebbe partecipato alla campagna d’Italia nel
Corpo Italiano di Liberazione e sarebbe vissuto fino all’età di cento anni.
Tra i naufraghi sbarcati a Bastia era Giorgio Peyronel, che fu
rivestito con una divisa da soldato semplice ed assegnato provvisoriamente al
raggruppamento d’artiglieria che aveva sede in quella città; gli artiglieri
sopravvissuti alla tragedia ebbero qui accoglienza fraterna da parte dei
commilitoni. Il colonnello comandante del raggruppamento invitò gli ufficiali
sopravvissuti alla sua mensa, dove offrì loro aragoste, vini d’annata e altre
leccornie.
Fu sbarcato a Bastia anche il sergente dei granatieri Luigi De Angelis:
appena arrivato a terra, si mise a rapporto dal suo comandante, al quale
consegnò il denaro preso dalla cassaforte, che aveva ancora con sé. La
cassaforte del reggimento, vuota, era affondata insieme al Crispi. Scrisse poi a riguardo il figlio Francesco: “Per la grave
infrazione al regolamento militare fu punito, e contestualmente, encomiato per
aver salvato con la sua iniziativa le paghe del Reggimento”.
Approdarono invece all’Isola d’Elba tre scialuppe
– forse le uniche – che l’equipaggio del Crispi
era riuscito a calare: furono avvistate dalla batteria contraerea di Capo
Enfola, che ne informò il suo Comando, il quale provvide all’invio di mezzi che
raggiunsero le scialuppe e le portarono nella darsena di Portoferraio. (Secondo
una fonte locale, le tre scialuppe ci misero due giorni a raggiungere l’isola,
ostacolate dal vento, dai marosi e dalle correnti: ci sarebbe stato tempo
cattivo da ponente, il che contrasta con il ricordo di Giorgio Peyronel che
parla di sole e mare calmo. Difficile dire chi avesse ragione). I naufraghi, in
gran parte feriti e seminudi, furono condotti in ospedale; quelli illesi furono
successivamente portati nella caserma De Laugier di Portoferraio, dove furono
rivestiti con le divise disponibili, spesso della taglia sbagliata. Secondo una
fonte locale i superstiti “inveirono all'indirizzo del comandante del
piroscafo, reo di essersi messo in salvo con motoscafo personale, mentre in
mare, molti soldati perivano per non saper nuotare” (sull’esattezza di questa
affermazione sarebbe però il caso di fare qualche verifica: si può dubitare, ad
esempio, che il comandante del Crispi
disponesse di un “motoscafo personale”).
Le tre scialuppe furono messe in secca nel
piazzale del Comando Marina (odierna Capitaneria); in seguito i soldati del
presidio – prima gli italiani e poi, dopo l’8 settembre 1943, i tedeschi che
avevano occupato l’isola – iniziarono poi a farle a pezzi per ricavarne legna
da ardere. Giuseppe Monfardini, barcaiolo elbano che riforniva la guarnigione
proprio di legna da ardere, trasportata con il suo gozzo Roma, s’interessò a quelle scialuppe: nell’inverno del 1943 domandò
al Comando tedesco se ne potesse acquistare una, rimasta integra. Il Comando
acconsentì, chiedendo in cambio non del denaro, ma dell’altra legna da ardere:
Monfardini esaudì la richiesta compiendo due viaggi col suo Roma, carico di legna, e si portò la
lancia del Crispi così ottenuta nel
suo villaggio, Bagnaia. Nel 1944, dopo la liberazione dell’Elba, Monfardini
modificò la scialuppa del Crispi,
provvedendo a rinforzarla, e ne ottenne la sua nuova barca, più grande, robusta
e sicura del Roma: le diede anche un nome, Due
Sorelle, in onore delle sue figlie Argia e Nicla. I compaesani preferivano
chiamarla col nome usato dai tedeschi: semplicemente “Boot”. Nell’estate 1945
Monfardini dotò anche la sua nuova barca di un motore: un vecchio motore a
scoppio, prelevato da un’auto d’epoca. Il primo viaggio del Due Sorelle, a vela e a remi, avvenne
nell’inverno 1945, da Bagnaia a Piombino, con un carico di vino e sale marino
(scambiati con olio e farina, di cui all’Elba c’era carenza). Da quel momento la
barca venne impiegata per i traffici lungo le coste dell’Elba (le strade
dell’isola erano poche dissestate, e per molte località i collegamenti via mare
erano più agevoli di quelli via terra); nell’immediato dopoguerra aiutò a
sfamare molte famiglie elbane. Poi, negli anni Sessanta, fu utilizzata per
trasportare bombole di gas ai fari dell’isola (soprattutto d’inverno) e per
l’appoggio alle navi militari che sostavano in rada all’Elba; si alternavano al
suo comando Monfardini ed il suo genero, Aladino Filippini, il quale poi
acquistò la barca da Monfardini, che ne aveva frattanto comprata un’altra più
grande. Negli anni Sessanta iniziò a svilupparsi all’Elba anche il turismo, e
molti barcaioli iniziarono ad impiegare le loro barche anche per gite
turistiche e le battute di pesca subacquea; nel 1964 una turista francese di
origini russe, Irene Blondeau, mise gli occhi sulla Due Sorelle, e dopo molte insistenze convinse Filippini a
vendergliela per 600.000 lire. Blondeau avrebbe voluto che Filippini restasse
sulla barca per lavorare come marinaio alle sue dipendenze, ma questi lavorava
già in miniera, e non poté accettare; fu allora ingaggiato tale Bruschi, che
lavorò come marinaio della Due Sorelle
fino all’estate 1994, quando la Blondeau tornò in Francia. La Due Sorelle fu ormeggiata ad una boa
davanti alla spiaggia di Margidore, a Lacona, ed inizialmente Bruschi se ne
prese cura come concordato con la proprietaria, ma poi iniziò via via a
trascurare la necessaria manutenzione: alla fine la barca affondò all’ormeggio,
lasciando emergere soltanto l’albero. Aladino Filippini, informato
dell’accaduto, si precipitò il giorno seguente sul posto, recuperò la barca, la
portò a Portoferraio dove aveva la sua abitazione, e se ne riappropriò,
mandando indietro i soldi ad Irene Blondeau. Filippini riparò la Due Sorelle e riprese ad usarla sia per
trasporto di merci (sabbia e caolino) che per battute di pesca subacquea (alle
quali sovente partecipava anche Carlo Gasparri, di Portoferraio, campione
mondiale di pesca subacquea) ed altro ancora, arrotondando lo stipendio da
minatore. Col passare del tempo, però, anche Filippini iniziò ad servirsi
sempre meno della barca, usandola soltanto d’estate; dopo che ebbe acquistato
una pescheria, l’utilizzo della Due
Sorelle scemò ulteriormente, anche perché ormai tutti i villaggi dell’Elba
erano collegati da buone strade che rendevano superflui i trasporti costieri.
Nel 1984 Gianfranco Pisani, che aveva sposato la figlia minore di Filippini,
Gina, seppe dell’esistenza della barca e se ne interessò: ormai la Due Sorelle, provata dal lungo periodo
d’inutilizzo passato in secca, era piuttosto malconcia, priva di albero e di
motore, con il fasciame allentato ed in qualche punto anche marcio. Pisani
scoprì la storia che c’era dietro quel guscio di noce, e decise di restaurarla,
aiutato dal vecchio Filippini: nell’estate 1987 la Due Sorelle fu oggetto di una festa a Bagnaia come barca più
vecchia del Paese, e negli anni successivi Pisani e Filippini riuscirono a
farla calafatare da un amico ed a dotarla nuovamente di albero, vele e motore;
la barca tornò finalmente in piena forma e nell’ottobre 1999 partecipò persino
ad una regata organizzata dalla Lega Navale Italiana di Portoferraio, anche se
non vinse niente, come d’altro canto era preventivato: costruita come scialuppa
di salvataggio (lunga 8,50 metri, con stazza di 4,5 tsl, un albero alto dieci
metri e due vele: una randa di 25 metri quadri ed un fiocco di 15 metri
quadri), la velocità non era mai stata una delle sue caratteristiche
preminenti.
Nel febbraio 2001 il suo ultimo proprietario, Gianfranco Pisani, ebbe un
incontro che sembra quasi deciso dal destino. Recatosi in vacanza con la
famiglia a Saturnia, in Maremma, incontrò un anziano abitante del posto, Dante
Manini, che vedendo l’auto targata Livorno gli chiese da dove venisse e, dopo
le presentazioni, raccontò di avere un brutto ricordo dell’Elba: narrò allora
una drammatica storia di guerra, risalente a cinquantotto anni prima. Giovane
soldato di fanteria, si era imbarcato su una nave diretta in Corsica, che era
stata affondata da un sommergibile proprio al largo dell’Elba; era stato tra i
pochi che erano riusciti a salvarsi su una scialuppa, con la quale aveva
raggiunto l’isola toscana. Ricordava anche il nome della nave: Manini era un
sopravvissuto del Crispi, e forse la
scialuppa che lo aveva portato in salvo era proprio quella poi diventata la “Due Sorelle”.
Oltre settant’anni dopo la tragedia del Crispi, una delle sue scialuppe “vive” ancora oggi nell’Isola
d’Elba.
Sopra, la
Due Sorelle, e sotto, la stessa barca
al trofeo Vespucci del 1999 (da www.mucchioselvaggio.com)
L’affondamento del Francesco
Crispi fu una delle più gravi tragedie che ebbero per protagonista un
trasporto truppe italiano nella seconda guerra mondiale, dopo quelle del Conte Rosso (1297 vittime), del Galilea (1050 vittime), dell’Aventino e della Puccini (oltre 1500 vittime complessive). Le vittime furono diverse
centinaia, anche se sembrano esservi delle divergenze sul loro numero esatto.
Alcune fonti, come "Dictionary of Passenger Ship Disasters" di D. L.
Williams (2009) e "The World's Merchant Fleets 1939" di Roger Jordan
(1999), riferiscono che vi furono oltre 800 morti; il citato articolo della
rivista “Il Granatiere” parla di 943 vittime, dato poi ampiamente ripreso dalla
stampa in seguito alla notizia del ritrovamento del relitto del Crispi, ma come si è già detto esso
sottostima il numero dei superstiti, 357 anziché 676.
In base alle notizie reperite dal ricercatore Platon Alexiades (basate
su documenti dell’Ufficio Storico della Marina Militare), se erano imbarcati
sul Crispi 1085 soldati più
l’equipaggio ed i sopravvissuti furono in tutto 676, ciò significa che le
vittime furono almeno 409; ma si tratta di un dato incompleto, dal momento che
nel numero dei 1085 non rientra l’equipaggio del Crispi, che avrebbe potuto consistere in oltre un centinaio di
uomini tra civili e militari, mentre 676 è il numero totale dei superstiti,
truppe ed equipaggio. Con riferimento alle perdite tra i granatieri, il citato
libro del generale Bonelli afferma che nell’affondamento del Crispi morirono 240 granatieri (la
rivista “Il Granatiere” nel numero del settembre 2015 afferma invece che le
vittime tra i granatieri del Raggruppamento Speciale furono oltre trecento). Volle
il caso che la tragedia avvenisse proprio il giorno successivo della data di
fondazione del corpo dei Granatieri di Sardegna, il 18 aprile.
Se si ipotizzasse che il numero totale degli uomini a bordo indicato
dall’articolo de “Il Granatiere”, 1300, sia esatto, e che l’articolo abbia
sbagliato solo relativamente al numero dei sopravissuti, le vittime sarebbero
state 624. Solo ulteriori ricerche presso l’Ufficio Storico della Marina
Militare potrebbero portare maggiore chiarezza.
Due navi
accomunate da un tragico destino: il Francesco
Crispi ed il Conte Rosso fotografati
alla stazione marittima di Ponte dei Mille di Genova, negli anni Venti (sopra: g.c.
Aldo Cavallini, via www.naviearmatori.net;
sotto: da “Genova, città dei transatlantici” di Paolo Piccione, Tormenta, 2004).
La loro fine fu simile sotto molti aspetti: entrambi requisiti per trasporto
truppe, entrambi silurati da sommergibili, entrambi affondati rapidamente con
elevatissime perdite umane.
Tredici delle vittime, recuperate durante le operazioni di soccorso,
vennero sepolte a Bastia: nonostante l’ostilità che nutriva nei confronti degli
invasori italiani, anche la popolazione locale partecipò in gran numero ai
funerali. Tra le vittime sepolte a Bastia era anche il granatiere Ambrogio
Fedeli, di Cinisello Balsamo, 35 anni, del 1° Reggimento: come molti altri
“passeggeri” del Crispi, era stato
richiamato appena pochi mesi prima, l’8 febbraio 1943, stanziato inizialmente
sull’Isola d’Elba e poi imbarcato verso la Corsica. Anni dopo la sua salma sarebbe
stata traslata presso il paese natale.
Per mesi il mare restituì i corpi di vittime del disastro, che vennero
rinvenuti in svariate zone dell’Alto Tirreno: sulle coste dell’Elba così come
dell’Alta Toscana e della Liguria. Una ventina di salme vennero rivenute in
mare tra il maggio ed il luglio 1943, al largo di vari comuni della riviera di
ponente della Liguria: da Celle Ligure ad Albenga, ed anche oltre. In avanzato
stato di decomposizione, non erano riconoscibili, perché sprovviste di
documenti; soltanto su una di esse fu trovato qualcosa, un biglietto
ferroviario del quale era leggibile soltanto la data, 15 aprile 1943.
Indossavano resti di vestiario militare italiano: alcuni poterono essere
identificati come granatieri, altri come artiglieri. C’era anche una donna,
ritenuta probabilmente una crocerossina. Il primo di questi corpi fu ritrovato
a fine maggio, e l’esame autoptico stimò che si trovasse in acqua da circa 40
giorni.
L’artigliere Orfeo Bellini, 29 anni, da Carmignano (Prato), venne ritrovato
parecchi giorni dopo l’affondamento sulla spiaggia di Camogli, dove fu
inizialmente sepolto. I resti vennero in seguito trasferiti nel paese natale.
Il granatiere lombardo Carlo Tabai, del 1° Reggimento (avrebbe compiuto il suo
trentaseiesimo compleanno il 22 aprile, tre giorni dopo l’affondamento), padre
di due bambine, fu ritrovato nei pressi di Staglieno e sepolto nel locale
cimitero; anche nel suo caso il feretro fu in seguito riportato nel paese
d’origine, nella Cripta dei Caduti di Guidizzolo. Non ebbe invece una tomba il
suo compaesano Carlo Giovanni Quiri, di 23 anni, studente universitario
richiamato col grado di sottotenente di artiglieria. Fu dichiarato disperso in
mare; i suoi genitori si recarono da padre Pio nella speranza di saperne qualcosa,
ma il frate li dissuase dal proposito di dare al nipote nascituro (Eva Quiri,
sorella di Carlo, era incinta) il nome di Carlo, e questo diede loro qualche
speranza (il bambino venne poi chiamato Piergiorgio Carlo Pio). Falsa speranza,
purtroppo: Carlo Quiri non fece mai ritorno. Il suo nome è riportato nella
cappella di famiglia, nel cimitero di Guidizzolo.
Augusto Argentino, un muratore e pescatore di Torre Gropallo (Nervi,
vicino a Genova), recuperò dal mare sette cadaveri di vittime del Crispi, che le correnti avevano portato
nelle acque antistanti il suo paese una quarantina di giorni dopo il disastro.
Furono consegnate ai familiari, che poterono dar loro sepoltura: negli anni a
venire Argentino avrebbe sempre raccomandato, a parenti e conoscenti, “Se
vedete qualcosa in mare che sia un corpo pur se non avete notizia di qualcuno
che sia scomparso, segnalatelo sempre, perché c'è sempre qualcuno che aspetta,
una madre, un fratello, un parente...”
Molte vittime furono recuperate sul litorale tra Chiavari e Recco; per
il recupero venne creato uno stretto cordone sanitario per isolare le spiagge
ed evitare che la popolazione civile vedesse i corpi, per non indebolirne
ulteriormente il morale già basso a quel punto della guerra.
Un’altra delle salme che le onde portarono sulle spiagge della liguria
era quella del granatiere toscano Averardo Buscioni, di trentasei anni. Come
tutti, Buscioni aveva svolto il servizio militare al compimento dei 21 anni,
nel 1927-1928: ma nel gennaio 1943 era stato richiamato nel 1° Reggimento
Granatieri, lo stesso reparto presso il quale aveva svolto il servizio di leva.
Si era dunque presentato a Roma il 9 febbraio; assegnato alla 3a
Compagnia Fucilieri del suo reggimento, si era imbarcato sul Crispi in partenza per la Corsica. Il 9
maggio 1943 i carabinieri bussarono alla porta della sua famiglia per dare la
triste notizia: il suo corpo era stato ritrovato sul lido di Chiavari, e
qualcuno doveva recarvisi per effettuare il riconoscimento. Andarono suo
fratello Armando e due amici, Remo Corti e Renato Marcacci. Nato sull’Arno,
Averardo Buscioni sapeva nuotare benissimo; un commilitone avrebbe poi
raccontato ai parenti, in occasione del funerale, che era stato colpito alla
testa da un rottame metallico. Aveva indosso pochi effetti personali, tra cui
un portafogli con le foto dei parenti, che furono restituiti alla famiglia.
Ai funerali, svolti il 16 luglio 1943, partecipò un picchetto d’onore
dei Granatieri di Sardegna, insieme a molti amici, parenti e compaesani. La
stampa locale ne diede notizia con i toni retorici tipici di quell’epoca: "Nell’adempimento del suo dovere di soldato
un altro figlio della nostra terra ha offerto la vita alla Patria: il
granatiere Averardo Buscioni, nato a Vinci il 15 marzo 1907 residente in
frazione di Spicchio. Il Buscioni, attivo e volenteroso operaio, era conosciuto
e stimato per le sue ottime qualità e per il suo carattere buono e generoso.
Richiamato or sono tre mesi, il camerata Buscioni partiva sereno e lieto di
dare il suo modesto contributo all’Italia in armi. Il destino ha troncato ora
l’esistenza del granatiere Buscioni, nel momento in cui, imbarcato su di una
nave, doveva raggiungere un nuovo posto di destinazione, a seguito di azione di
siluramento. Nei momenti in cui le spoglie di questo caduto tornano alla terra
natale s’inchinano reverenti i vessilli della Patria, mentre tutto il popolo
rivolge un pensiero di deferente omaggio e di riconoscenza imperitura alla
memoria del granatiere Averardo Buscioni, rinnovando il giuramento di fede e di
volontà per il raggiungimento della mèta vittoriosa. Granatiere Averardo
Buscioni: Presente!". Lasciava un figlio di sei anni ed una moglie
incinta, che diede alla luce una figlia il 10 ottobre 1943. La bambina fu
battezzata Averarda, in memoria del padre.
Semplicemente assurda appare invece la storia del granatiere Sabatino
Moretti, del 1° Reggimento. Un anno più giovane di Buscioni, a differenza di
lui Sabatino Moretti, proveniente dall’entroterra umbro, non sapeva nuotare per
niente: la sua sorte fu la stessa, ed il
suo corpo fu ritrovato due mesi dopo l’affondamento, il 14 giugno 1943, ad
Oneglia, dove venne sepolto dopo essere stato identificato. Incredibilmente,
però, la notizia del ritrovamento non giunse mai alla famiglia. La moglie Lucia
ed i tre figli (il più grande aveva otto anni) ricevettero soltanto notifica
che era disperso in mare; dieci anni dopo l’affondamento del Crispi, nel 1953, il Ministero della
Difesa – in seguito agli accertamenti compiuti da una commissione ministeriale
– informò il Comune di residenza del ritrovamento e sepoltura di Sabatino
Moretti nel cimitero di Oneglia, ma neanche a quel punto la notizia venne
inoltrata ai familiari, che per sessant’anni non ebbero una tomba per
piangerlo. Solo nel luglio 2004, per puro caso, l’ormai sessantasettenne figlio
Tullio – che aveva cinque anni quando il padre scomparve in mare – scoprì che
il padre era stato ritrovato e giaceva da decenni nel cimitero di Oneglia,
imbattendosi nel documento ministeriale che lo riportava dopo essersi recato a
compiere ricerche negli archivi comunali per sbrigare una pratica per l’INPS.
Tullio Moretti aveva lavorato per trent’anni proprio al Comune, ma
apparentemente a nessuno era mai passato per la mente di informarlo. Dopo la
scoperta Tullio Moretti, insieme alla figlia, la cugina ed il cognato, si poté
recare per la prima volta sulla tomba del padre. I figli decisero di non dire
nulla alla vedova di Sabatino, ancora viva all’età di 94 anni, per non
rischiare di provocare un’emozione troppo forte: soffriva di cuore. Il 4
novembre 2005 i resti di Sabatino Moretti, riesumati e riposti in una cassetta
di legno d’ulivo realizzata da un parente falegname, sono stati traslati dal
cimitero di Oneglia a quello del suo paese natale, Monte Castello di Vibio. I
resti sono stati inumati nella cappella di famiglia, con una cerimonia cui
hanno presidiato le locali autorità civili, militari e religiose. L’anno
successivo è stato inaugurato in sua memoria un monumento nei giardini pubblici
del paese.
A Recco, vicino a Genova, l’Associazione Nazionale Granatieri di
Sardegna ha fatto erigere nel maggio 1977 un monumento alle centinaia di
granatieri scomparsi in mare nell’affondamento del Crispi.
Foto di
gruppo di alcuni naufraghi del Crispi
(g.c. Roberto Scapinelli)
L’affondamento del Francesco
Crispi nel giornale di bordo del Saracen
(da Uboat.net):
“1250 hours - Heard HE bearing 080°.
1258 hours - Sighted an enemy convoy made up of one Armed Merchant
Cruiser [il Caralis], one two-funnel
liner [il Crispi], one merchant ship
[la Rossini] and one three-funnel
destroyer [la La Masa]. Enemy course
was 220°, speed 9 knots, range 12000 yards. Started attack on the liner.
1317 hours - The convoy altered course towards.
1325 hours - In position 42°46'N, 09°42'E fires six torpedoes from 5000
yards. The liner and the merchant ship were both targeted as they formed one
continues line. Four explosions were heard which are thought to be torpedoes
hitting both targets. During the next three-quarters of an hour 46 depth
charges were dropped which did no damage.
1448 hours - Returned to periscope depth. The destroyer and the AMC
were just visible to the East. In the position of the attack a ship was seen to
be sinking.”
Fonti francesi, tra cui il libro "The French Navy in World War II"
di Paul Auphan (già ammiraglio e Ministro della Marina della Francia di Vichy)
e Jacques Mordai, affermano che l’intercettazione e affondamento del Crispi sarebbe stato un risultato
dell’attività del sergente maggiore Pierre Griffi della Marina francese,
sbarcato sulle coste della Corsica il 14 dicembre 1942 dal sommergibile Casablanca, insieme ad altri agenti
francesi (missione "Pearl Harbour"), per stabilire contatti con la
Resistenza corsa e coordinarne l’attività. Griffi, esperto radiotelegrafista e
corso egli stesso, aveva tra i suoi compiti principali quello di raccogliere e
comunicare per radio ai comandi Alleati di Algeri (a beneficio soprattutto
delle operazioni delle forze speciali e dei sommergibili) informazioni sulla
dislocazione, composizione, stato e morale delle truppe dell’Asse nell’isola e,
quando possibile, anche i movimenti delle navi italiane; nel suo periodo di
attività (dicembre 1942-giugno 1943) inviò agli Alleati 286 messaggi di questo
tipo. Fu poi arrestato ad Ajaccio dall’OVRA il 9 giugno 1943 e, interrogato sul
suo coinvolgimento nell’affondamento del Crispi,
avrebbe dichiarato di esserne il principale responsabile (per altra versione,
Griffi lo avrebbe dichiarato durante il suo processo da parte di un tribunale
militare italiano: in risposta ad una domanda del presidente del tribunale,
avrebbe affermato “Sì, sono io il principale responsabile del siluramento del Francesco Crispi, so che verrò fucilato
e non ho che un rimpianto, quello di non potervi più nuocere”). Condannato a
morte per spionaggio dal tribunale militare del VII Corpo d’Armata, fu fucilato
a Bastia il 18 agosto 1943. Combinazione voleva che proprio in quei giorni si
trovasse a Bastia l’equipaggio del Saracen,
ora prigioniero: appena quattro giorni prima, il 14 agosto 1943, il battello
britannico era stato infatti affondato dalle corvette Minerva ed Euterpe a
poche miglia dal punto in cui, mesi addietro, aveva silurato il Crispi.
Che Pierre Griffi abbia realmente causato l’affondamento del Crispi è però da dimostrare: è
certamente possibile che avesse trasmesso ai comandi alleati notizie sui movimenti
di navi italiane, magari dello stesso Crispi,
in passato; tuttavia da parte britannica non sembra esservi conferma che
l’attacco in cui fu affondato il Crispi
fu frutto di un’intercettazione specificamente pianificata sulla base di
informazioni ricevute da fonti informative, e per come l’azione viene descritta
dai britannici sembra più verosimile che l’incontro tra il Saracen ed il convoglio del Crispi
sia stato frutto di casualità. Il Saracen
eseguì diverse missioni, in quei mesi, nelle acque tra Corsica e Toscana: era
quella la zona ad esso assegnata per i suoi pattugliamenti, ed in essa il
battello britannico affondò diverse navi dell’Asse, oltre al Crispi. Lo storico Platon Alexiades,
autore di estese ricerche archivistiche sulla guerra subacquea nel
Mediterraneo, ha confermato di non essere a conoscenza di fonti documentali che
accreditino all’azione di Pierre Griffi l’affondamento del Crispi, cosa che ha aggiunto di ritenere poco probabile. La
dichiarazione di Griffi dinanzi al tribunale militare, di per sé, potrebbe
anche essere stata frutto di una convinzione sincera ma erronea, oppure
semplicemente un ultimo atto di spavalderia di fronte al nemico.
Il relitto del Crispi è stato
localizzato il 31 maggio 2015 dall’ingegner Guido Gay, inventore di mezzi per
le esplorazioni sottomarine (tra cui il ROV "Pluto Palla",
protagonista tra l’altro proprio del ritrovamento del Crispi) e già scopritore del relitto della corazzata Roma.
Il Crispi giace intatto e in
assetto di navigazione a 507 metri di profondità, ad appena una decina di
miglia dal relitto del suo affondatore, il Saracen:
dopo aver colto vari successi proprio nel mare tra Elba, Corsica e Sardegna, il
battello britannico vi aveva trovato la sua fine il 14 agosto 1943, per opera
delle corvette Euterpe e Minerva.
È anzi proprio “attraverso” il Saracen
che Gay è risalito al Crispi: era il
sommergibile britannico, infatti, l’obiettivo originario delle ricerche. Nel
maggio 2013 il D.R.A.S.S.M. (Département
des recherches archéologiques subaquatiques et sous-marines), dipartimento
del Ministero della Cultura francese, aveva contattato Gay per proporgli di
impiegare le sue avveniristiche attrezzature per localizzare il relitto del Saracen, che è stato oggetto di diversi
tentativi di ritrovamento nell’arco di due anni.
Avendo già esplorato tutta la zona di mare tra la Corsica e Capraia da
Capo Corso fin quasi a bastia, localizzando diversi relitti di varie epoche ma
non il Saracen, nel maggio 2015 Gay,
con il suo catamarano Daedalus, ha
deciso di ampliare il campo delle ricerche e cercare nell’unica zona non ancora
ispezionata, tra Bastia e l’Elba, nella quale giaceva probabilmente anche il Crispi. Durante queste ricerche (a
ponente dell’Isola d’Elba, ma più vicino alle coste della Corsica, già in acque
francesi), il 31 maggio 2015, il sonar a scansione laterale del Daedalus ha improvvisamente localizzato
un contatto molto netto e molto grande, lungo in apparenza oltre 160 metri ed
alto sul fondale fangoso (come mostrava il fatto che mostrava la sua “ombra”
sullo schermo del sonar), a circa 500 metri di profondità, e soltanto due
miglia più a sud della posizione indicata dai documenti dell’epoca come punto
in cui si era inabissato il Crispi.
Dopo aver compiuto le necessarie passate ortogonali per localizzare il relitto
con esattezza, il Daedalus ha calato
il ROV "Pluto Palla" che, giunto sulla prua della nave, non ha
tardato ad inviare immagini del relitto: una grossa nave apparentemente
integra, ricoperta di banchi di raro corallo bianco. "Pluto Palla",
manovrato da bordo del Daedalus, si è
avvicinato al tagliamare sinistro e ha seguito il bordo fino a vedere un
passacavo dalla forma peculiare, per poi raggiungere il dritto di prua. Aggirata
la prua, il "Pluto Palla" ha mostrato che essa era sprofondata nel
fango del fondale fino all’altezza della cubia dell’ancora, cioè di circa dieci
metri. I particolari rivelati dalle immagini combaciavano tutti con le foto
storiche del Crispi: battagliola con
cinque tubi correnti; forma della prora e del passacavo corrispondenti; una
fila di oblò sotto il ponte di prua, due dei quali più ravvicinati tra di loro
rispetto agli altri. Le riprese subacquee hanno rivelato anche altri
particolari: un bigo, un picco di carico, una manica a vento caduta sul ponte,
l’argano salpa ancore, i resti del telaio del parasole di prua, anch’esso
riconoscibile nelle foto storiche. Per la corrispondenza delle dimensioni e dei
particolari con quelli risultanti dal materiale d’archivio, il relitto ha
potuto essere identificato con certezza come quello del Crispi.
Gay ha informato del ritrovamento la soprintendenza di Bastia; dal
momento che il relitto del Crispi
giace all’interno delle acque territoriali francesi (mentre il Saracen è in acque territoriali
italiane), ulteriori accertamenti ed esplorazioni sono state compiute da queste
ultime: il 1° dicembre 2015 la nave per ricerche sottomarine André Malraux, di proprietà del
Ministero della Cultura francese ed utilizzata dal D.R.A.S.S.M., ha lasciato
Bastia e si è recata sul punto indicato dall’ingegner Gay per procedere alla
formale identificazione del relitto. Alla spedizione ha partecipato anche
personale della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana. Il ROV "Perseo",
calato sul relitto, lo ha esplorato per un’ora e mezza fotografandolo e
filmandolo nella sua interezza. Il confronto dei particolari visibili sul
relitto con quelli presenti nelle immagini storiche del Crispi, come già fatto dall’ingegner Gay, ha confermato che il
relitto, al di là di ogni ragionevole dubbio, appartiene al piroscafo italiano
affondato il 19 aprile 1943. Il Francesco
Crispi giace nel punto 42° N e 09° E. Prima di lasciare la zoma, l’André Malraux ha deposto sul relitto del
Crispi una targa argentea in memoria
delle centinaia di uomini che lo seguirono in fondo al mare.
Alcuni
dettagli del relitto del Crispi.
Nella prima immagine sembra riconoscibile una manica a vento (g.c. Guido Gay/www.azionemare.org):
Il ritrovamento del relitto ha portato alla “ribalta” mediatica la
tragedia del Crispi, per molti anni
dimenticata da quasi tutti all’infuori di coloro che vi erano stati
direttamente coinvolti. Nel settembre 2017 si è tenuto a Sedini (Sassari) un
raduno interregionale dell’Associazione Nazionale Granatieri di Sardegna
proprio per commemorare le centinaia di granatieri affondati con il Francesco Crispi. Pochi mesi prima, nel
giugno 2017, il sindaco di Portoferraio Mario Ferrari ha annunciato durante la
manifestazione “Marelibera” che nel costituendo Museo del Mare di Portoferraio
sarebbe stata esposta, dopo un adeguato restauro, una scialuppa del Crispi, donata al Comune di Portoferraio
da un privato (forse proprio la “Due
Sorelle”?).
Il Francesco Crispi in tempi migliori (g.c. Giorgio Parodi, via www.naviearmatori.net) |
Mio padre era fra i 600 che si salvarono rimase molte ore in mare prima di essere raccolto.
RispondiEliminaDopo allora ha visto il mare una volta sola e mai più
Ho letto con molto interesse tutto il resoconto
Anche mio papà veneto di Padova,Fante semplice imbarcato a La Spezia fu un sopravissuto ad un affondamento in acque corse nel 43 e portato in salvo da pescherecci corsi e lasciato in coste sarde alla mercé poi dei tedesch e messo in prigionia in uncampo di lavoro a Florinas.Ma non avendo date certe perché mio padre non si ricorda più esattamente data e nome del piroscafo e non avendo riferimenti certi potrebbe essere stato il Crispi o la Roma. La mia curiosità sia storica che di figlia vorrei sapere.ho letto attentamente le vostre interessanti meticolose riceche, volevo chiedere se esistono elenchi dettagliati consultabili degli imbarcati su queste navi e se si come poterli recuperare.grazie mille
RispondiEliminaBuonasera,
Eliminase era un fante non poteva essere la Roma, che era una corazzata, non una nave per trasporto truppe. Bisognerebbe risalire alla data dell'affondamento: potrebbe essere indicata nel suo foglio matricolare...
Il nonno di mia madre sfortunatamente si trovava sul Crispi ed è morto. Molto bello questo articolo, grazie per la condivisione.
RispondiEliminaMio padre era Granatiere di Sardegna imbarcato sul Crispi, sovente mi raccontava dell'attacco subito, dell'affondamento e del rocambolesco salvataggio dopo 48 ore passate in un mare molto agitato. Grazie per il dettagliato resoconto storico.
RispondiEliminaAnche mio nonno si salvò non ho la certezza che la nave fosse quella ma diversi indizi che concordano parlava di isola d’Elba era impiegato in artiglieria pesante , diceva di essere stato tratto in salvo a Livorno
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