Il Dagabur (da www.xmasgrupsom.com) |
Sommergibile di
piccola crociera della classe Adua (dislocamento di 698 tonnellate in
superficie, 866 tonnellate in immersione).
Durante il conflitto
effettuò 23 missioni di guerra (15 offensive e 8 di trasferimento), percorrendo
in tutto 17.364 miglia in superficie e 3888 in immersione.
Breve e parziale cronologia.
16 aprile 1936
Impostazione nei
cantieri Franco Tosi di Taranto.
22 novembre 1936
Varo nei cantieri
Franco Tosi di Taranto.
Sopra, il
Dagabur pronto al varo (da www.betasom.it), e sotto, il Dagabur (a sinistra) ed il gemello Dessiè pronti al varo (g.c. Giorgio
Parodi, via www.naviearmatori.net)
9 aprile 1937
Entrata in servizio.
25 aprile 1937
Posto alle dipendenze
di Maricosom (il Comando Squadra Sommergibili) e dislocato a Taranto, in seno
alla XLIII Squadriglia Sommergibili (IV Gruppo Sommergibili); poco tempo dopo
il completamento effettua una crociera di addestramento nelle acque del
Dodecaneso e della Libia.
1° agosto 1937
Il Dagabur riceve la bandiera di
combattimento, donata dalla città di Ortona. Madrina della cerimonia è Emma
Sepe, moglie del prefetto di Chieti.
12 agosto 1937
Al comando del
tenente di vascello Gian Maria Uzielli, il Dagabur
salpa da Lero per effettuare una missione in Mar Egeo nell’ambito della
campagna subacquea italiana connessa alla guerra civile spagnola.
In defilamento a lento moto a Taranto nel 1937 (da “I sommergibili italiani” di Alessandro Turrini ed Ottorino Ottone Miozzi, USMM, 1999, via Marcello Risolo) |
13 agosto 1937
Durante la missione
il Dagabur avvista un piroscafo
contro il quale lancia un siluro, senza riuscire a colpirlo.
17 agosto 1937
Rientra a Lero,
avendo dovuto interrompere la missione a causa di un’avaria ad un asse.
30 agosto 1937
Riparata l’avaria, il
Dagabur lascia nuovamente Lero al
comando del tenente di vascello Uzielli per eseguire una seconda missione
connessa alla guerra di Spagna, nella medesima zona dell’Egeo della missione
precedente.
Durante la missione
il Dagabur inizia diverse manovre
d’attacco, ma non ne porta nessuna a termine, a causa dell’impossibilità di
identificare con certezza i bersagli.
5 settembre 1937
Ritorna alla base, ma
nel pomeriggio dello stesso giorno riparte per la sua terza ed ultima missione
“spagnola”, sempre al comando del tenente di vascello Uzielli e sempre nello
stesso settore d’operazioni.
Durante la missione
inizia una manovra di attacco, ma non la porta a termine, ancora una volta,
perché impossibilitato ad identificare con certezza il suo bersaglio.
12 settembre 1937
Ritorna a Lero,
concludendo la missione.
1938
Dislocato a Tobruk.
1940
Rientra in Italia,
venendo dislocato dapprima a Taranto e successivamente ad Augusta.
10 giugno 1940
All’entrata in guerra
dell’Italia, il Dagabur (tenente
di vascello Domenico Romano) fa parte della XLVI Squadriglia Sommergibili (IV
Grupsom di Taranto), insieme ai gemelli Dessiè, Uarsciek e Uebi Scebeli.
Agosto 1940
Compie alcune
missioni protettive antisommergibili nel Golfo di Taranto.
Estate 1940-Inizio 1941
Nei primi mesi di
guerra, il Dagabur svolge
prevalentemente missioni difensive (principalmente pattugliamenti
antisommergibili) nel Golfo di Taranto, e successivamente agguati offensivi
lungo le coste libiche e tunisine, senza mai incontrare navi nemiche.
Successivamente,
secondo una fonte, il Dagabur viene
assegnato al V Gruppo Sommergibili di Lero.
5 dicembre 1940
Il marinaio
cannoniere Tommaso Bellonio, 22 anni, da Ortona, del Dagabur, viene dichiarato disperso nel Mediterraneo centrale.
1-7 gennaio 1941
Il Dagabur pattuglia infruttuosamente le
acque della Cirenaica.
19 febbraio 1941
Inviato in
pattugliamento a sudest di Malta, non vi trova nulla.
5 marzo 1941
Inviato alla ricerca
di convogli britannici al largo di Creta, unitamente ad altri sommergibili (Ondina, Beilul, Galatea, Malachite, Smeraldo, Nereide, Ascianghi, Ambra ed Onice), a
contrasto dell’operazione britannica «Lustre», consistente nell’invio
dall’Egitto alla Grecia di 58.000 uomini, quale rinforzo per la Grecia, con una
serie di convogli (uno ogni tre giorni, da Alessandria al Pireo), nell’arco di
un mese. I primi due convogli di «Lustre» partono il 6 marzo: incrociatori York, Gloucester e Bonaventure
con truppe da Alessandria al Pireo (dove giungono il 7 marzo) e mercantili Cingalese e Clan Macauley con carri armati e rifornimenti, scortati dai
cacciatorpediniere Wryneck, Nubian e Mohawk, anch’essi da Alessandria al Pireo (dove giugono l’8 marzo).
Il Dagabur non trova nulla.
Fine marzo 1941
Il Dagabur (tenente di vascello Domenico
Romano) viene inviato in agguato sulla direttrice Alessandria-Capo Krio (costa
sudorientale di Creta) insieme ai sommergibili Ambra (che deve posizionarsi 60 miglia più a sudest del Dagabur) ed Ascianghi (che deve posizionarsi 60 miglia più a sudest dell’Ambra), coi quali deve formare uno
sbarramento.
29 marzo 1941
Raggiunge l’area
assegnata, tra Creta e l’Egitto. La dislocazione dei sommergibili in
Mediterraneo orientale (poco lontano ve ne sono altri due, Nereide e Galatea) è stata programmata nell’ambito dell’operazione «Gaudo»,
un’incursione in Egeo da parte di un’importante aliquota della flotta italiana,
avente lo scopo di attaccare i convogli britannici in quel settore; i
sommergibili hanno scopo esplorativo (segnalare eventuali avvistamenti di forze
navali nemiche nel Mediterraneo orientale) nonché di appoggio dell’azione delle
forze di superficie, ma non sono avvertiti dell’operazione in corso, e della
particolare importanza di segnalare qualsiasi tipo di movimento
rilevato. I sommergibili non coglieranno il risultato desiderato: la flotta
britannica passerà tra le maglie troppo larghe dello sbarramento, e dei cinque
battelli, soltanto l’Ambra rileverà
qualche segnale del passaggio di navi britanniche (rumori di motori captati
all’idrofono), senza però giungere all’avvistamento.
Quando il Dagabur raggiunge il settore assegnato,
ad ogni modo, l’operazione «Gaudo» è già finita in tragedia: la strage di Capo
Matapan si è consumata da alcune ore.
30 marzo 1941
Alle 20.27 il Dagabur avvista nel punto 33°47’ N e
25°24’ E (o 33°30’ N e 25°20’ E), a sud di Creta (a metà strada tra Creta e
l’Egitto), un’unità che viene identificata – con una certa sovrastima nel
dislocamento – come un incrociatore leggero di 9000 tonnellate: si tratta in
effetti dell’incrociatore leggero britannico Bonaventure (capitano di vascello H. J. Egerton), impegnato con tre
cacciatorpediniere (Hereward, Griffin e Stuart) nella scorta ad un convoglio di due navi mercantili, il
«G.A. 8», in navigazione dalla Grecia ad Alessandria d’Egitto.
Essendo in posizione
e condizioni ottimali per attaccare (il beta è piuttosto largo, il Bonaventure naviga a velocità moderata,
e la sua sagoma si staglia nitidamente contro la luna prossima al tramonto,
risultando così perfettamente distinguibile), alle 20.37 il Dagabur lancia due (o tre) siluri contro
l’incrociatore avversario. Dopo due minuti e 50 secondi dal lancio, vengono
sentite due forti esplosioni, il che induce il comandante del Dagabur a ritenere di aver danneggiato
il bersaglio; in realtà, non risulta che il Bonaventure
sia stato colpito (qualche fonte afferma che “probabilmente” sarebbe stato
danneggiato, ma non sembrano esservi prove a sostegno di tale tesi). Quattro ore
dopo (alle 2.44 del 31 marzo, nel punto 33°20’ N e 26°35’ E), il Bonaventure verrà affondato da un altro
sommergibile italiano, l’Ambra. Da
parte italiana, inizialmente, si attribuirà erroneamente l’affondamento del Bonaventure all’azione del Dagabur, anziché a quella dell’Ambra.
Secondo una fonte
britannica, il Dagabur avrebbe
lanciato infruttuosamente un siluro anche contro lo Stuart, che era impegnato nella caccia con bombe di profondità (siluro
evitato dalla nave australiana ed esploso nella sua scia); sembra però più
verosimile che questo sia da attribuirsi all’Ambra.
Giugno 1941
Inviato in agguato al
largo delle coste siriane-palestinesi, insieme a Jantina ed Ondina,
durante l’invasione britannica della Siria e del Libano, controllati dalle
forze della Francia di Vichy.
Luglio 1941
Inviato nelle acque
della Cirenaica, verso fine mese, per contrastare i tentativi britannici di
rifornimento della piazzaforte di Tobruk, assediata dalle truppe
italo-tedesche.
7 settembre 1941
Alle 13.10 il Dagabur, in navigazione in superficie
nel Mediterraneo Orientale, viene avvistato in posizione 32°29' N e 29°07' E
dal sommergibile britannico Torbay
(capitano di corvetta Anthony Cecil Capel Miers), che accosta per attaccarlo.
La manovra d’attacco non va però come pianificato dal comandante britannico (la
“trappola” pianificata da Miers dopo l’avvistamento non funziona: forse ciò
significa che il Dagabur manovrò in
modo diverso da quello aspettato), così che alle 13.32 il Torbay emerge per attaccare col cannone, aprendo il fuoco da 1370
metri di distanza; il primo colpo sparato dal Torbay fa cilecca, ed il Dagabur
si disimpegna immergendosi. Alle 13.37 anche il Torbay torna ad immergersi, ma poco dopo perde il contatto con il
sommergibile italiano.
Il Dagabur (da www.xmasgrupsom.com) |
Ottobre 1941
Inviato in missione
al largo di Alessandretta, in Turchia.
Novembre 1941
Inviato in missione
nel Mediterraneo centro-orientale, non avvista navi nemiche.
13 dicembre 1941
Il Dagabur (capitano di corvetta Alberto
Torri) viene inviato a pattugliare le acque a sud di Creta, insieme ai
sommergibili Ascianghi e Galatea, per contrastare un’eventuale
uscita da Alessandria d’Egitto della Forza B britannica, a protezione
dell’operazione di traffico «M. 41» (che prevede l’invio di 3 convogli per un
totale di 8 mercantili, con la scorta diretta di 7 cacciatorpediniere ed una
torpediniera nonché la scorta a distanza di tre gruppi pesanti che contano in
tutto 4 corazzate, 5 incrociatori, 18 cacciatorpediniere e due torpediniere)
per il rifornimento della Libia (poi abortita a seguito degli intensi attacchi
britannici e dei relativi danni e perdite subiti). Contestualmente, altri
sommergibili (Santarosa, Narvalo, Squalo, Topazio e Veniero) vengono inviati al largo di Malta
per contrastare un’eventuale sortita della Forza K che lì ha base (incrociatori
leggeri Aurora, Penelope e Neptune ed
alcuni cacciatorpediniere).
La Forza B
(incrociatori leggeri Euryalus, Naiad e Galatea e cacciatorpediniere Jervis,
Kingston, Kipling, Kimberley, Griffin, Havock, Hotspur, Napier e Nizam, gli ultimi due australiani), al comando dell’ammiraglio
Philip L. Vian, salpa effettivamente da Alessandria a contrasto dell’operazione
«M. 41», unendosi alla Forza K uscita da Malta per cercare convogli italiani
nel Mar Ionio. Le navi britanniche non riescono tuttavia ad intercettare nulla,
dal momento che i convogli sono stati fatti rientrare, pertanto dopo ore di
inutili ricerche intraprendono la navigazione di rientro verso Malta (Forza K)
ed Alessandria (Forza B).
14 dicembre 1941
Alle 19.55, in
posizione 34°01’ N e 26°02’ E, il Dagabur,
stando in superficie, lancia due siluri contro una sagoma che, a causa della
pessima visibilità, non viene identificata con certezza (il comandante Torri
riferirà poi che "potrebbe essere stato un incrociatore"), dopo di
che si disimpegna immediatamente in immersione. Dopo un minuto e 45 secondi
l’equipaggio sente due detonazioni, così che da parte italiana si ritiene,
erroneamente, di aver affondato il bersaglio: il bollettino di guerra n. 561
del Comando Supremo italiano, il 15 dicembre, affermerà che «Il sommergibile al comando del capitano di
corvetta Torri ha attaccato e colpito con siluro un incrociatore inglese nel
Mediterraneo orientale», ed il successivo bollettino n. 567, del 21
dicembre, aggiungerà che «Da ulteriori
notizie pervenute è confermato l'affondamento dell'incrociatore nemico il cui
siluramento nel Mediterraneo orientale, da parte di un nostro sommergibile,
venne annunciato nel bollettino numero 561.».
Il bersaglio dell’attacco
del Dagabur è stato a lungo
identificato da varie fonti come l’incrociatore leggero britannico Galatea, facente parte della Forza B,
che stava rientrando ad Alessandria dopo l’infruttuosa ricerca dei convogli
italiani. Il Galatea, mancato dai
siluri del Dagabur (qualche fonte
secondaria si spinge addirittura ad ipotizzare che il Dagabur possa aver danneggiato l’incrociatore in questa
circostanza), sarebbe stato invece affondato quattro ore dopo (verso
mezzanotte), in posizione 31°17' N e 29°13' E (35 miglia a ponente di
Alessandria), dai siluri del sommergibile tedesco U 557.
Secondo ricerche più
recenti, tuttavia, l’attacco del Dagabur
non sarebbe stato in realtà diretto contro il Galatea, ma contro il sommergibile britannico Talisman (capitano di corvetta Michael Willmott), che stava
anch’esso rientrando ad Alessandria. Alle 19.52 del 14 dicembre, il Talisman avvistò in posizione 34°05’ N e
25°39’ E (nel Canale di Cerigotto, a sud di Creta) un oggetto scuro che ritenne
essere un sommergibile, a 730 metri di distanza, su rilevamento 205°. Alle
19.55, cioè esattamente all’ora in cui il Dagabur
avrebbe lanciato due siluri contro il Galatea,
alcuni marinai nei compartimenti prodieri del Talisman sentirono il rumore di due siluri che sfrecciavano
nell’acqua poco lontano. Un minuto più tardi, il Talisman aprì il fuoco contro il Dagabur col suo cannone da 102 mm, e Willmott stimò che il secondo
colpo sparato avesse centrato la torretta del sommergibile italiano, ad
un’altezza di circa 90 centimetri rispetto al ponte. Nel mentre, il Dagabur si stava immergendo; la distanza
tra i due sommergibili era di appena una novantina di metri, e quando alle
19.57 il Talisman gli passò accanto
il comandante britannico affermò che “venne notato che i portelli [del Dagabur] erano aperti” mentre si stava
immergendo, il che induse Willmott a ritenere che il nemico “stesse
immergendosi verso la sua fine” ed a rivendicarne l’affondamento. (Secondo una
fonte, probabilmente erronea, oltre ai colpi di cannone il Talisman avrebbe anche lanciato due siluri contro il Dagabur, senza successo). In realtà, gli
uomini del Talisman dovevano aver
preso una cantonata a questo riguardo, dal momento che il Dagabur uscì dallo scontro soltanto con lievi danni alla torretta.
L’impossibilità che
l’attacco del Dagabur sia stato
diretto contro il Galatea è
dimostrata dal confronto tra la posizione in cui si svolse l’attacco del
battello italiano e quella in cui il Galatea
fu affondato dall’U 557: le due
posizioni distano circa 250 miglia tra di loro, e per coprire quella distanza
in quattro ore il Galatea avrebbe
dovuto viaggiare all’impossibile velocità di oltre 60 nodi. La posizione
indicata dal Talisman, invece, dista
soltanto una ventina di miglia da quella indicata dal Dagabur (discrepanza spiegabile con la già citata scarsa
visibilità, che oltre a determinare l’errore di identificazione del comandante
Torri – che ritenne erroneamente di aver attaccato un’unità che poteva essere
un incrociatore – poteva aver impedito di calcolare accuratamente la posizione
in base alle stelle), e l’orario combacia praticamente alla perfezione: 19.55
secondo l’orario del Dagabur, 19.56.5
secondo quello del Talisman. Da ciò
risulta con certezza pressoché assoluta che il Dagabur attaccò il Talisman
e non il Galatea. (Si ringrazia
Platon Alexiades per queste osservazioni).
18 dicembre 1941
Il Dagabur, insieme ad altri sommergibili (Squalo, Ascianghi, Topazio, Galatea e Santorre Santarosa) viene
dislocato ne Mediterraneo centro-orientale con compiti esplorativi/offensivi,
in appoggio all’operazione di traffico «M. 42», consistente nell’invio in Libia
di due convogli con rifornimenti urgenti per le truppe italo-tedesche in Africa
Settentrionale (312 automezzi, 3224 tonnellate di carburanti e lubrificanti,
1137 tonnellate di munizioni, 10.409 tonnellate di materiali vari) con la
scorta di consistenti aliquote della flotta da battaglia. L’operazione si
conclude felicemente con l’arrivo dei convogli nei porti libici.
13-19 febbraio 1942
Inviato in agguato al
largo delle coste di Siria e Palestina, non coglie alcun risultato.
15 o 18 luglio 1942
Il Dagabur, insieme ai sommergibili Axum, Cobalto, Dessiè, Velella, Bronzo e Malachite
(alcuni dei quali già presenti in zona ed altri inviati appositamente il 15
luglio nelle acque fra La Galite, l'Isola dei Cani, Capo Bon e Capo Kelibia in
seguito alla notizia dell’imminente passaggio di un’unità veloce), forma una
linea di sbarramento al al largo di Capo Bon per intercettare il posamine
veloce britannico Welshman, inviato a
Malta con un carico di rifornimenti urgenti.
Secondo una fonte i
sommergibili avrebbero cercato anche di intercettare anche la Forza H
britannica (portaerei Eagle,
incrociatori antiaerei Cairo e Charybdis, cacciatorpediniere Antelope, Ithuriel, Vansittart, Westcott e Wrestler) uscita in mare per
l’operazione “Pinpoint”, l’invio a Malta di caccia Spitfire decollati dalla Eagle; ma ciò sembra inverosimile, dato
che questa forza si spinse solo a sud delle Baleari, e non fino a Capo Bon.
Nonostante l’invio
dei sommergibili, il Welshman
arriverà indenne a Malta il 16 luglio e ritornerà il 17, dopo aver consegnato
il suo carico; dei sommergibili italiani schierati nell’area, solo l’Axum riuscirà ad avvistarlo, ma il suo
attacco risulterà infruttuoso, anche a causa del mare grosso.
Il Dagabur nel 1939 (da www.societaitalianastoriamilitare.org) |
Mezzo Agosto
Il 4 agosto 1942 il Dagabur, al comando del tenente di
vascello Renato Pecori, salpò da Cagliari per raggiungere un’area d’agguato
compresa tra i meridiani 1°40’ E e 2°40’ E, a sud del canale tra Ibiza e Maiorca
ed a nord dell’Algeria; inizialmente il settore assegnato era tra Minorca e la
costa nordafricana, circa 50 miglia a nordovest di Bougie, ma più tardi nella
stessa giornata del 4 agosto giunse l’ordine di spostarsi più ad ovest, a nord
di Algeri ed a sud delle Baleari.
Il 10 agosto il battello
ricevette ordine, in caso di avvistamento di navi nemiche, di dare la priorità
alla segnalazione dell’avvistamento, e di attaccare soltanto dopo aver lanciato
il segnale di scoperta: era iniziata la battaglia di Mezzo Agosto, ed era
necessario che quanti più sommergibili possibile potessero individuare ed
attaccare il convoglio britannico «Pedestal», ergo era di capitale importanza
che qualsiasi avvistamento venisse immediatamente portato a conoscenza di tutti
i battelli che si trovavano nella zona. Inoltre, dato che l’esperienza aveva
mostrato che troppo spesso gli aerei da ricognizione venivano intercettati ed
abbattuti dai caccia imbarcati sulle portaerei prima di poter svolgere il loro
compito, il contributo dei sommergibili era particolarmente importante per
consentire ai comandi di disporre di informazioni attendibili in merito a
composizione, rotta e velocità della formazione nemica, dati indispensabili per
coordinare l’azione delle forze aeronavali destinate ad attaccare il convoglio,
specialmente quelle aeree.
La battaglia di Mezzo
Agosto fu la conseguenza del nuovo tentativo della Royal Navy di rifornire
l’isola di Malta, assediata dalle forze aeronavali dell’Asse e stremata dopo
mesi di bombardamenti ed il parziale o totale fallimento delle operazioni di
rifornimento tentate in marzo (convoglio «M.W. 10», culminato nella seconda
battaglia della Sirte) e giugno (operazioni «Harpoon» e «Vigorous», culminate
nella battaglia di Mezzo Giugno). La nuova operazione, denominata «Pedestal»,
prevedeva un unico grande convoglio che, radunato nel Regno Unito (da dove
partì il 3 agosto 1942), avrebbe poi attraversato lo stretto di Gibilterra
(9/10 agosto) per poi dirigere verso Malta.
Il convoglio era
composto dalle navi da carico Almeria
Lykes, Melbourne Star, Brisbane Star, Clan Ferguson, Dorset, Deucalion, Wairangi, Waimarama, Glenorchy, Port Chalmers, Empire Hope, Rochester Castle e Santa Elisa e da una nave grossa cisterna, la
statunitense Ohio; la scorta
diretta (Forza X, contrammiraglio Harold Burrough) contava su quattro
incrociatori leggeri (Nigeria, Kenya, Cairo e Manchester)
e dodici cacciatorpediniere (Ashanti, Intrepid, Icarus, Foresight, Derwent, Fury, Bramham, Bicester, Wilton, Ledbury, Penn e Pathfinder, della 6th Destroyer Flotilla), ed inoltre
nella prima metà del viaggio, fino all’imbocco del Canale di Sicilia, il
convoglio sarebbe stato accompagnato da una poderosa forza pesante (Forza Z,
viceammiraglio Neville Syfret) composta da ben quattro portaerei (Eagle, Furious, Indomitable e Victorious), due corazzate (Rodney e Nelson), tre incrociatori leggeri (Sirius, Phoebe e Charybdis) e dodici cacciatorpediniere (Laforey, Lightning, Lookout, Tartar, Quentin, Somali, Eskimo, Wishart, Zetland, Ithuriel, Antelope e Vantsittart,
della 19th Destroyer Flotilla).
Da parte loro, i
comandi italiani avevano ricevuto le prime notizie riguardo una grossa
operazione in preparazione da parte dei britannici, che avrebbe avuto luogo nel
Mediterraneo Occidentale, nei primi giorni di agosto. Alle 5 del 9 agosto
Supermarina venne informata che un gruppo di almeno otto navi era passato a
nord di Ceuta, diretto ad est (era la Forza B britannica); nelle prime ore del
mattino dell’indomani giunse notizia che tra le 00.30 e le due di notte de 10
un totale di 39 navi avevano attraversato lo stretto di Gibilterra dirette in
Mediterraneo, e che qualche ora dopo erano salpate da Gibilterra una decina di
navi britanniche, compreso l’incrociatore antiaerei Cairo. Il mattino del 10
agosto, pertanto, sulla scorta delle informazioni pervenute fino a quel
momento, Supermarina apprezzò che almeno 57 navi britanniche, provenienti da
Gibilterra, fossero dirette verso est. Dato che queste navi comprendevano un
numerosi grossi piroscafi in convoglio, venne ritenuto, giustamente, che
obiettivo dell’operazione fosse il rifornimento di Malta; che il convoglio
sarebbe stato protetto da una poderosa forza navale pesante; che probabilmente
il convoglio avrebbe cercato di attraversare la zona di Pantelleria con il
favore del buio. Si prevedeva che il convoglio sarebbe giunto presso Capo Bon
(Tunisia) nel pomeriggio del 12 agosto. Non sembravano esserci segni che
rivelassero un secondo convoglio in navigazione nel Mediterraneo Orientale, a
differenza di giugno; il mattino del 12 un U-Boot tedesco segnalò in quelle
acque una formazione di quattro incrociatori leggeri e 10 cacciatorpediniere
apparentemente diretti verso Malta a 20 nodi, ma venne giustamente giudicato
che si trattasse di un’azione diversiva (ed infatti era proprio così:
l’operazione "M.G.3", un’operazione secondaria di
"Pedestal", prevedeva infatti l’invio da Haifa e Port Said di un
piccolo convoglio che doveva fingere di essere diretto verso Malta nel
tentativo, non riuscito, di distogliere delle forze italiane dal vero
convoglio).
I comandi italiani e
tedeschi organizzarono dunque il contrasto all’operazione britannica:
ricognizioni aeree in tutto il bacino occidentale del Mediterraneo; allerta dei
sommergibili già in agguato a sud delle Baleari, invio di un secondo gruppo di
sommergibili a sud della Sardegna (dove dovevano arrivare non più tardi
dell’alba del 12), posa di nuovi campi minati offensivi nel Canale di Sicilia,
invio di MAS e motosiluranti in agguato a sud di Marettimo, al largo di Capo
Bon e se del caso anche sotto Pantelleria. Durante la navigazione nel
Mediterraneo occidentale e centro-occidentale, il convoglio britannico sarebbe
stato sottoposto ad una serie di attacchi di sommergibili; giunto nel Canale di
Sicilia, sarebbe stato il turno di MAS e motosiluranti italiane e tedesche
(quindici unità in tutto, che avrebbero attaccato col favore del buio). Per
tutta la traversata, inoltre, le navi nemiche sarebbero state continuamente
bersagliate da incessanti attacchi di bombardieri ed aerosiluranti (in tutto,
ben 784 velivoli), sia della Regia Aeronautica che della Luftwaffe. Era anche
previsto l’intervento (poi abortito) di due divisioni di incrociatori (la III e
la VII) per finire quanto fosse rimasto del convoglio decimato dai precedenti
attacchi aerei, subacquei e di mezzi insidiosi.
Complessivamente, ben
16 sommergibili italiani e due U-Boote tedeschi concorsero alla formazione di
un poderoso sbarramento di sommergibili nel Mediterraneo occidentale: sette di
essi, tra cui il Dagabur (gli altri
erano italiani Brin, Giada, Uarsciek e Volframio ed i
tedeschi U 73 e U 205), furono disposti nelle acque tra l’Algeria e le Baleari,
mentre gli altri undici formarono un secondo gruppo molto più ad est, a nord
della Tunisia. L’11 agosto vennero avvistate forze navali Alleate provenienti
da Gibilterra e dirette verso est.
Nella notte tra l’11 ed il 12
agosto il Dagabur incontrò a sud
delle Baleari la portaerei britannica Furious
ed i cacciatorpediniere che la scortavano: erano il gruppo assegnato
all’operazione «Bellows», una sotto-operazione di «Pedestal», il cui obiettivo era
l’invio a Malta di 39 aerei da caccia Supermarine Spitfire, che avrebbero
dovuto raggiungere l’isola (per rimpinguarne le squadriglie decimate dai
continui attacchi aerei) dopo essere decollati dalla vecchia portaerei Furious. L’inclusione di quest’ultima
nave nell’operazione era stata decisa negli stadi finali di pianificazione di
«Pedestal», dopo che i comandi delle forze aeree di Malta avevano chiesto di
rimpinguare le loro squadriglie di caccia, che negli ultimi tempi avevano
subito gravi perdite (quantificate in una media di 17 aerei a settimana): il
capo di Stato Maggiore della Royal Air Force, maresciallo dell’aria Charles F.
A. Portal, aveva pertanto chiesto al suo collega della Royal Navy di mettere a
disposizione un’altra portaerei per inviare a Malta 71 caccia Spitfire. In
risposta a questa esigenza, erano state decise le operazioni «Bellows» e
«Baritone»: era previsto che dapprima la Furious
imbarcasse un primo gruppo di 39 Spitfire prima di lasciare la Gran Bretagna e
venisse aggregata al convoglio W.S.21S (cioè quello di «Pedestal») fino
all’altezza di Algeri, dove avrebbe lanciato gli Spitfire alle 13 dell’11
agosto (e questa era «Bellows»); poi, sarebbe tornata a Gibilterra, avrebbe
caricato altri 32 Spitfire (inviati dall’Inghilterra sul piroscafo Empire Clive) e sarebbe nuovamente
uscita in mare per lanciare anche quelli (operazione «Baritone»). Gli Spitfire
avrebbero raggiunto in volo Malta, dove sarebbero atterrati in tre diverse basi
aeree. Per la scorta della Furious durante
la navigazione di ritorno verso Gibilterra sarebbero stati messi a disposizione
otto cacciatorpediniere di base a Gibilterra, facenti parte del gruppo scorta
di riserva: Keppel (capitano di
fregata John Egerton Broome), Malcolm,
Amazon, Venomous, Wolverine, Wrestler, Westcott e Vidette.
Questi ultimi, salpati da Gibilterra, avrebbero raggiunto la Furious dopo aver scortato fino ad un
punto prestabilito a sud di Maiorca la Forza R, composta da due navi cisterna (Brown Ranger e Dingledale, partite da Gibilterra il 9 agosto) incaricate del
rifornimento in mare degli incrociatori e cacciatorpediniere di scorta al
convoglio.
La Furious aveva caricato i 39 Spitfire sul Clyde, nel Regno Unito, da
dov’era poi partita il 4 agosto insieme all’incrociatore leggero Manchester ed ai cacciatorpediniere Sardonyx (che lasciò il gruppo nella
notte tra il 5 ed il 6 agosto) e Blyskawica
(quest’ultimo polacco). Il 7 agosto Furious
e Manchester si erano uniti al
convoglio WS.21S, col quale avevano attraversato lo stretto di Gibilterra il 10
agosto (la Furious doveva
accompagnare il convoglio soltanto per il tratto necessario a giungere a
portata “di volo” da Malta); il giorno seguente la Furious, scortata dai cacciatorpediniere Lookout e Lightning, si
era separata dal gruppo principale e si era portata in un punto prestabilito a
sud delle Baleari, circa 584 (o 550, o 635) miglia ad ovest di Malta, dove
aveva lanciato 38 dei 39 Spitfire. L’operazione era avvenuta nel primo
pomeriggio dell’11 agosto: a mezzogiorno Furious,
Lightning e Lookout si erano staccati dal lato sinistro del convoglio, e la
vecchia portaerei aveva assunto una posizione favorevole, date le condizioni di
vento, per agevolare il decollo degli aerei. I primi otto Spitfire erano
decollati alle 12.29, seguiti da un secondo gruppo di otto caccia alle 13.09; sei
minuti più tardi, però, il sommergibile tedesco U 73 aveva silurato e affondato la portaerei Eagle, e le operazioni di volo erano state sospese fino al
completamento del salvataggio del suo equipaggio, mentre la Furious compiva accostate d’emergenza
per frustrare eventuali altri tentativi di attacco. Dopo circa un’ora e mezza,
conclusi i soccorsi, la Furious aveva
ripreso i lanci; gli ultimi sette aerei (in tutto, gli Spitfire erano partiti
suddivisi in cinque gruppi) erano decollati alle 15.08 (o 15.12). Uno dei
caccia aveva avuto problemi all’elica ed era dovuto atterrare poco dopo
appontando sulla portaerei Indomitable,
mentre un altro scomparve in volo senza lasciare traccia; gli altri 36 avevano
raggiunto tutti Malta, atterrando nelle basi di Luqa e Takali.
Compiuto il lancio, la Furious si era brevemente riunita al
convoglio fino alle 17 (18.30 per altra fonte), quando se ne era nuovamente
separata ed aveva invertito la rotta per rientrare a Gibilterra a tutta
velocità (dove avrebbe dovuto imbarcare gli altri 32 Spitfire da lanciare verso
Malta il prima possibile, operazione «Baritone»), scortata dai
cacciatorpediniere Malcolm, Wolverine e Wrestler. Poco più tardi si erano uniti alla scorta della portaerei
altri due cacciatorpediniere, il Keppel
(capitano di fregata John Egerton Broome, comandante dello “schermo” dei
cacciatorpediniere) ed il Venomous,
usciti da quel porto per scortarla nel viaggio di rientro. Keppel, Venomous, Amazon, Malcolm, Wolverine e Wrestler, provenienti da Gibilterra dopo
aver scortato la Forza R, erano stati avvistati dalla scorta del convoglio
«Pedestal» alle 14.29; il comando della 19th Destroyer Flotilla
aveva loro ordinato di eseguire ricerca antisommergibili nella zona in cui era
stata affondata l’Eagle, dopo di che
l’Amazon aveva ricevuto ordine di
unirsi alla Forza R, mentre gli altri cinque si erano congiunti col convoglio
alle 15.45. Dopo aver ultimato il trasbordo dei naufraghi della Eagle, trasferiti da altri
cacciatorpediniere che li avevano recuperati dal mare dopo l’affondamento ma
che dovevano ora proseguire col convoglio (quelli salvati dal Laforey furono trasbordati sul Keppel; quelli soccorsi dal Lookout, sul Venomous; quelli recuperati dal rimorchiatore Jaunty, sul Malcolm), Keppel, Malcolm, Venomous, Wolverine e Wrestler avevano lasciato il convoglio alle 18.30 formado la scorta
della Furious. Secondo una fonte,
anche sul Wolverine sarebbero stati
trasbordati naufraghi della Eagle (Venomous e Wolverine ne avrebbero presi a bordo complessivamente 537, tra
tutti e due).
Secondo il libro “At All
Costs” di Sam Moses, anche l’Amazon
avrebbe fatto parte della scorta della Furious
in questa circostanza; Keppel, Malcolm e Wolverine formavano l’“ala” di dritta dello schermo protettivo
della portaerei, mentre Amazon, Venomous e Wrestler costituivano quella di sinistra.
Al momento dell’incontro col Dagabur, la formazione britannica stava
procedendo a 21 nodi su rotta 262°; era una notte buia e senza luna, ma con
stelle molto luminose. Le navi, come sempre in tempo di guerra, procedevano a
luci spente.
Alle 00.54 del 12
agosto il radar Tipo 271 del cacciatorpediniere britannico Wolverine (capitano di corvetta Peter William Gretton), che
occupava nella formazione la posizione "O"/"Orange"
e stava in quel momento procedendo a zig zag su rotta 232°, localizzò un
sommergibile emerso a circa 4570 metri di distanza, su rilevamento 265°: era il
Dagabur. Secondo alcune fonti, il
sommergibile italiano aveva avvistato la forza di “Bellows” e stava cercando di
avvicinarsi in superficie per attaccare la Furious;
secondo altre, fu sorpreso in
superficie mentre stava ricaricando le batterie, e non si poté immergere per
questo motivo. Congetture, nell’uno e nell’altro caso: impossibile sapere la
verità.
In ogni caso, il Wolverine andò subito all’attacco:
quando la distanza fu calata a 4390 metri l’ufficiale di guardia sul
cacciatorpediniere ordinò di accostare verso il contatto; quando il comandante
Gretton, avvisato di quanto stava accadendo, accorse in plancia la distanza si
era ridotta a 4115 metri. Una volta che le distanze si furono ulteriormente
ridotte, a 3200 metri, Gretton odinò di segnalare per radio al Keppel il messaggio convenzionale "JOHNNY
284"; quando furono calate ad appena 915 metri, il Wolverine fece lo stesso segnale anche al Malcolm, che si trovava poco lontano, in posizione più arretrata
("P"/"Pudding"). Sul Wolverine
vennero preparate all’uso le bombe di profondità, e venne puntato un cannone
(il ''B'') nella direzione in cui si trovava il sommergibile; ma l’intenzione
di Gretton era di speronare l’avversario, pertanto non venne aperto il fuoco,
limitandosi a tenersi pronti a farlo qualora fosse stato necessario.
Il Wolverine
avvistò otticamente il Dagabur a 640
metri di distanza, e quando fu a 550 metri Gretton lo poté identificare con
certezza come un sommergibile; ordinò pertanto di portare le macchine alla
massima velocità (ordine agevolato dal fatto che in quel momento tre caldaie
erano accese e connesse) e di accostare per speronarlo. Con le macchine spinte
a tutta forza, la velocità del cacciatorpediniere fu portata a 26/27 nodi,
anche se subito prima della collisione venne ridotta a 20 nodi per mitigare la
violenza dell’impatto, che non avrebbe lasciato indenne neanche la nave
investitrice. Venne suonato il segnale di prepararsi all’impatto ("Crash
Stations").
Il Dagabur, che presumibilmente non si era
accorto del cacciatorpediniere che gli si stava precipitando addosso per via
della notte molto buia (non avendo, come il suo avversario, un radar che
potesse ovviare a tale problema), fu colto completamente di sorpresa: il Wolverine lo speronò a centro nave,
all’altezza dell’estremità poppiera della falsatorre, con un angolo di 90°
sulla dritta. L’urto fu terribile, ed il sommergibile italiano si capovolse ed
affondò all’istante, nel punto 37°18’ N e 01°55’ (o 01°58’) E, 40 miglia a
nord-nord-est di Capo Blanc, a sud delle Baleari (più precisamente, di Formentera)
e 50 miglia a nordovest di Algeri.
Il comandante Gretton
descrisse in seguito l’impatto in poche parole: “Salimmo sulla torretta del
sommergibile e lo tagliammo in due”. Il comandante del Wolverine ricordò anche che si aspettava dal suo secondo dei complimenti
per lo speronamento dell’unità nemica, e invece il comandante in seconda,
avendo avvertito l’urto ma essendo all’oscuro di quanto stava accadendo, si
precipitò in plancia e domandò preoccupato “O Signore, cosa abbiamo colpito?”. Il
fragore della collisione fu tanto forte da essere sentito anche su altre navi
della formazione: George Amyes, sopravvissuto della Eagle recuperato dal cacciatorpediniere Laforey, ricordò che lui ed altri naufraghi a bordo del
cacciatorpediniere stavano cercando di dormire quanto vennero svegliati
all’improvviso da un tremendo rumore di schianto, seguito da “rumori di
selvaggia confusione”, tanto che per un attimo pensò di essere stato silurato
di nuovo. Il mattino seguente vide che il cacciatorpediniere che si sarebbe dovuto
trovare sulla sinistra del Laforey
non c’era più, mentre sulla dritta era visibile un cacciatorpediniere
malridotto che avanzava a fatica: era il Wolverine;
Amyes seppe in seguito dello speronamento del Dagabur.
L’impatto era stato
tanto violento che lo stesso Wolverine
subì gravissimi danni alla prua, che ne uscì semidistrutta (i primi nove o
dieci metri non esistevano più; per fortuna, scrisse poi Gretton, il gavone di
prua nel deformarsi si era piegato all’indietro fino all’altezza della linea di
galleggiamento, così che aveva funto da parziale e improvvisata paratia stagna),
ed ebbe anche una turbina fuori uso (quella di sinistra); alle due di notte il
cacciatorpediniere segnalò di essere fermo a causa dei danni subiti nella
collisione, ed il Malcolm venne
distaccato per fornirgli assistenza. A causa della rottura di una tubatura del
vapore, si rese necessario anche evacuare la sala macchine. Il Wolverine rimise poi in moto, spinto
dalla sola turbina di dritta, ma per la gravità dei danni dovette lasciare la
formazione e dirigere per conto proprio verso Gibilterra, dove giunse alle
12.30 del 13 agosto, scortato dal Malcolm
(che arrivò in porto tre ore più tardi, mentre Furious e scorta vi erano giunti fin dalle 19.30 del giorno
precedente). A Gibilterra il Wolverine
ricevette una prua provvisoria per il viaggio verso il Regno Unito, a Devonport,
dove venne immesso in bacino e sottoposto a riparazioni più estese che si
protrassero fino a dicembre. Per l’affondamento del Dagabur, il comandante Gretton avrebbe ricevuto il Distinguished
Service Order; per parecchi anni dopo la guerra il comandante britannico
sarebbe rimasto all’oscuro sull’identità del sommergibile che aveva affondato,
che aveva creduto essere un U-Boot tedesco.
L’equipaggio del Wolverine festeggia l’affondamento del Dagabur (Rickard J.-www.historyofwar.com) |
Secondo alcuni
racconti, alcuni uomini del Dagabur
sopravvissero inizialmente all’affondamento del sommergibile, ma non vennero
soccorsi dalle navi britanniche. L’allora sottotenente di vascello Robert
Michael Crosley, pilota della Fleet Air Arm recuperato dal Malcolm dopo l’affondamento della Eagle (sulla quale era
imbarcato), così descrisse quanto avvenne nel suo libro di memorie “They gave me
a Seafire”: «Quella notte, il 12 agosto,
cercammo di dormire un po’ sul ponte, ma eravamo così eccitati dagli eventi
della giornata che pochi di noi ci riuscirono. All’improvviso, verso l’una di
notte, sentimmo la nave sbandare per una virata compiuta con tutta la barra.
Poi vedemmo delle piccole luci blu che ci passavano su entrambi i lati, basse
sull’acqua. Potevamo sentire delle voci. Sembrava che stessero gridando
qualcosa mentre scivolavano via. Tornammo sulla rotta precedente quasi subito,
senza rallentare. Il sottotenente di vascello Godfrey Parish dell’801 Squadron
salì in plancia per chiedere al comandante, capitano di fregata Campbell, di
che cosa si trattasse. Apparentemente il cacciatorpediniere Wolverine, davanti
a noi e affollato anch’esso di superstiti della Eagle, aveva sorpreso il
sommergibile italiano Dagabur in superficie e lo aveva speronato a tutta
velocità, tagliandolo in due. Eravamo appena passati in mezzo ai suoi rottami e
naufraghi. Parrish era un po’ arrabbiato perché non ci eravamo fermati a
recuperarli. D’altra parte, eravamo vicino alle Baleari, e gli spagnoli
successivamente annunciarono il loro salvataggio [quest’ultima
affermazione, purtroppo, non risponde a verità]».
Anche il citato libro
“At All Costs” di Sam Moses afferma che il Malcolm
riferì di aver sentito dei naufraghi che gridavano in acqua, ma che non li
raccolse, concludendo: “Pensavano che fosse un U-Boot tedesco”.
Non vi furono
sopravvissuti tra i 5 ufficiali e 40 sottufficiali e marinai che formavano
l’equipaggio del Dagabur.
Il 12 agosto,
Maricosom informò i sommergibili in mare della presenza di una nutrita
formazione britannica in navigazione da Gibilterra verso Malta, ed ordinò loro
di attaccarla ad ogni costo; quella sera, alle 19, il Comando della Squadra
Sommergibili ordinò a Dagabur, Brin, Uarsciek e Volframio di
spostarsi verso ovest, informandoli al contempo che una parte delle navi
britanniche (la forza pesante di supporto, che doveva accompagnare il convoglio
soltanto fino all’imbocco del Canale di Sicilia, per poi tornare a Gibilterra)
aveva invertito la rotta. Ma il Dagabur
non ricevette mai queste comunicazioni: in quel momento, il sommergibile del
comandante Pecori giaceva già sul fondo del Mediterraneo. Il 17 agosto,
continuando a non esserci notizie dal Dagabur,
Maricosom chiamò ripetutamente il sommergibile per radio, ma non ottenne mai
risposta; il 2 settembre 1942, infine, l’equipaggio del Dagabur venne dichiarato disperso. Solo nel dopoguerra si apprese,
dalle fonti britanniche, la verità.
Tra gli scomparsi vi
era il capo motorista di seconda classe Federico Ghezzi, da Piacenza: per la
sua famiglia questo fu il secondo lutto causato dalla guerra sul mare; meno di
un anno prima, nel settembre 1941, il fratello minore Giacomo, sottotenente
commissario dell’Esercito, era scomparso nell’affondamento della motonave Andrea Gritti, sulla quale prestava
servizio come regio commissario.
Come lui fu
dichiarato disperso sul Dagabur il
marinaio Ugo Di Blasi, da Napoli: in una lettera di qualche mese prima, maggio
1942, aveva scritto: "I miei amici sono tutti scomparsi, chi colpito da
bombe nemiche, chi disperso in battaglie sul mare; mi meraviglio di non essere
ancora morto..."
L’equipaggio del Dagabur, perito al completo:
Francesco Alfieri, marinaio silurista, da
Napoli
Primo Basso, secondo capo elettricista, da
Corno di Rosazzo
Alessandro Bertazzi, sottocapo
radiotelegrafista, da Milano
Bernardo Brondi, capo silurista di terza
classe, da Lerici
Filippo Campagna, sottocapo radiotelegrafista,
da Catania
Matteo Cannia, sergente nocchiere, da Santa
Flavia
Eros Casarotti, sottocapo silurista, da Vado
Ligure
Francesco Casella, sergente segnalatore, da
Maierà
Domenico Catalano, sottotenente di vascello
(comandante in seconda), da Augusta
Guglielmo Cavallotti, marinaio silurista, da
Rozzano
Francesco Cerami, sottocapo elettricista, da
Palermo
Mario Ceresoli, sottocapo elettricista, da
Bergamo
Salvatore Corallo, sergente silurista, da
Bagnolo del Salento
Gabriele De Hofmann, guardiamarina, da Roma
Giacomo Di Bella, marinaio cannoniere, da
Palermo
Ugo Di Blasi, marinaio, da Napoli
Giovanni Di Lucia, marinaio, da Castellabate
Arturo Ellena, marinaio cannoniere, da Torino
Giuseppe Femmino, sottocapo cannoniere, da
Messina
Renato Filippini, capitano del Genio Navale
(direttore di macchina), da Trieste
Vincenzo Gaggiotti, capo elettricista di
seconda classe, da Osimo
Adamo Galano, marinaio, da Barano d’Ischia
Federico Ghezzi, capo motorista di seconda
classe, da Piacenza
Evelio Grapputo, sottocapo radiotelegrafista,
da Venezia
Donato Lops Rinaldi, secondo capo motorista,
da Bari
Raffaele Marci, capo nocchiere di terza classe,
da Villasimius
Giuseppe Marzocchi, secondo capo elettricista,
da Napoli
Biagio Mele, secondo capo motorista, da Novoli
Antonino Midili, sottocapo motorista, da
Messina
Salvatore Modica, sottocapo motorista, da
Caltagirone
Aniello Napoleone, marinaio, da Barano
d’Ischia
Giovanni Orlandi, marinaio fuochista, da
Pasturo
Giustino Pasquero, capo radiotelegrafista di
seconda classe, da Sommariva Perno
Renato Pecori, tenente di vascello
(comandante), da Napoli
Enrico Pileddu, marinaio fuochista, da
Cagliari
Adriano Riva, marinaio motorista, da Colonno
Saverio Salemi, sergente furiere, da Palmi
Renato Salvanelli, guardiamarina, da Livorno
Renzo Soffietti, marinaio motorista, da Torino
Salvatore Stabile, sottocapo motorista, da
Trapani
Gennaro Stefanini, sergente silurista, da
Genova
Pietro Tanzini, marinaio elettricista, da Covo
Giuseppe Travain, capo meccanico di prima
classe, da Oderzo
Nello Vallorini, sottocapo silurista, da
Spoleto
Agostino Zaccaria (o Zaccagna), sottocapo
silurista, da Pescia
Un’altra immagine del Dagabur appena varato (cartolina dell’Ufficio Storico della Marina Militare, via Nedo B. Gonzales e www.naviearmatori.net) |
Bgiorno Lorenzo. I comandanti del Dagabur furono i seguenti: nel 1937, durante la Guerra di Spagna TV c Giovanni Maria Uzielli, TV Luigi Longanesi Cattani dal 4.6.40, CC Fausto Sestini al 20.6.40, CC Benedetto Luchetti dal 3.7.40, CC Francesco De Rosa De Leo dal 18.7.40, TV Eugenio Gatti dal 28.7.40, TV Domenico Romano al 2.2.41, CC Alberto Torri dal 26.8.41 e TV Renato Pecori da 1°. 7.42.
RispondiEliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
EliminaA me risulta che Longanesi Cattani nel 1940 fosse comandante del Brin, fin dal 1939. Inoltre mi sembra poco plausibile che il Dagabur abbia cambiato cinque comandanti in meno di due mesi.
EliminaBgiorno. All'atto dell'ingresso in guerra il DAGABUR era al comando del TV Eugenio Gatti, da Genova.
RispondiEliminaIn realtà i primi giorni del conflitto il battello rimase a Taranto a disposizione con il susseguirsi di numerosi comandanti responsabili come di seguito: Dagabur (Guerra di Spagna TV compl Giovanni Maria Uzielli)
RispondiEliminaTV Luigi Longanesi Cattani dal 4.6.40
CC Fausto Sestini al 20.6.40 (comte della 41^ sq)
CC Benedetto Luchetti dal 3.7.40
CC Francesco De Rosa De Leo dal 18.7.40
TV Eugenio Gatti dal 28.7.40.
Il TV Domenico Romano assunse il comando al 2.2.41,
CC Alberto Torri dal 26.8.41 ed il TV Renato Pecori dal 1°.7.42 + 12.8.42
Come le dicevo, mi risulta che come minimo Longanesi Cattani fosse sul Brin all'epoca...
EliminaMio nonno faceva parte dell'equipaggio e ricordo che la nonna raccontava di alcuni superstiti, possibile questa incongruenza?
RispondiEliminaBuongiorno, probabilmente sua nonna era stata informata male oppure si riferiva a "superstiti" nel senso di membri dell'equipaggio che per qualche motivo (licenza, malattia) non parteciparono alla missione fatale.
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