Il Gondar durante le prove in mare a tutta forza (da “I sommergibili classe 600 serie Adua” di Alessandro Turrini, su Rivista Italiana di Difesa n. 3 del marzo 1986, via Marcello Risolo e www.betasom.it) |
Sommergibile di
piccola crociera della classe Adua (698 tonnellate di dislocamento in
superficie e 866 t in immersione).
Durante la seconda
guerra mondiale svolse in tutto 4 missioni di guerra, percorrendo 3440 miglia
in superficie e 534 in immersione (per complessivi 33 giorni trascorsi in mare).
Breve e parziale cronologia.
15 gennaio 1937
Impostazione nei
cantieri Odero Terni Orlando del Muggiano.
3 ottobre 1937
Varo nei cantieri
Odero Terni Orlando del Muggiano.
Il varo del Gondar (g.c. Marcello Risolo, via Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net) |
28 febbraio 1938
Entrata in
servizio.
10 giugno 1940
Alla data
dell’ingresso dell’Italia nella seconda guerra mondiale, il Gondar fa parte della XV Squadriglia
Sommergibili (con base a La Spezia, alle dipendenze del I Grupsom), che forma
insieme ai gemelli Neghelli, Ascianghi e Scirè.
Il Gondar viene subito inviato in agguato
offensivo ad ovest del Golfo di Genova, al largo della riviera francese.
Il sommergibile a La Spezia, nel 1938 (da it.wikipedia.org) |
14 giugno 1940
Il Gondar viene infruttuosamente attaccato
da un bombardiere in picchiata Vought SB2U Vindicator (V-156) della squadriglia
AB3 dell’aviazione navale francese, operante in appoggio alla squadra navale
francese (incrociatori Foch, Algerie, Dupleix e Colbert ed
undici cacciatorpediniere) che sta effettuando un bombardamento di Genova e
Savona.
Lo stesso giorno,
il sommergibile rientra alla base senza aver incontrato navi nemiche.
18 giugno 1940
Parte per la
seconda missione offensiva.
25 giugno 1940
Torna alla base.
5 agosto 1940
Inviato in
pattugliamento a levante di Gibilterra, unitamente ai sommergibili Ascianghi e
Marcello.
16 agosto 1940
Rientra alla base.
Siluri a Lenta Corsa
Quando l’Italia
entrò nella seconda guerra mondiale, il 10 giugno 1940, la I Flottiglia MAS, il
reparto speciale della Regia Marina incaricato di preparare ed attuare
incursioni con mezzi insidiosi contro i porti nemici (solo il 15 marzo 1941
tale unità avrebbe assunto il nome di X Flottiglia MAS, con il quale sarebbe
divenuta famosa), era ben lungi dall’essere pronta all’azione: costituita poco
più di un anno prima, il 23 aprile 1939, la Flottiglia era ancora in fase di
addestramento, oltre che a corto di risorse.
Alla fine del
luglio 1940 l’ammiraglio Raffaele De Courten, sovrintendente ai mezzi d’assalto
presso Supermarina, invitò verbalmente il comandante della I Flottiglia MAS,
capitano di fregata Mario Giorgini, a preparare un attacco contro Alessandria
d’Egitto – la principale base della Royal Navy nel Mediterraneo – con l’impiego
di Siluri a Lenta Corsa (SLC), meglio noti come “maiali”.
Questa prima
missione, denominata «G.A. 1», finì in tragedia prima ancora di cominciare: il
sommergibile incaricato di portare gli SLC fino ad Alessandria, l’Iride, venne infatti avvistato dalla
ricognizione aerea britannica ed affondato da aerosiluranti nel Golfo di Bomba,
in Cirenaica, insieme alla nave appoggio Monte
Gargano.
Questo accadeva il
22 agosto 1940; ma in quello stesso momento due altri sommergibili stavano già venendo
sottoposti ai lavori di modifica necessari a trasformarli in “avvicinatori” di
siluri a lenta corsa: erano il Gondar
ed il gemello Scirè.
Il Gondar nell’Arsenale di La Spezia dopo
il completamento dei lavori di modifica per il trasporto di SLC, nel settembre
1940, con accanto l’Argo (sopra: da www.difesa.it; sotto: g.c. Marcello Risolo)
Mentre il sistema
per il trasporto e rilascio degli SLC adottato sull’Iride era molto rudimentale (i mezzi d’assalto venivano
semplicemente sistemati ed imbragati su due coppie di selle sulla coperta del
sommergibile), Gondar e Scirè (nell’agosto-settembre 1940) subirono
lavori di adattamento più specifici: entrambi i sommergibili vennero dotati di
cilindri contenitori a tenuta stagna, posizionati in coperta, nei quali
collocare gli SLC (il Gondar, sul quale
i lavori iniziarono alla fine dell’agosto 1940, fu il primo sommergibile della
Regia Marina ad essere dotato di tali cilindri). Tale accorgimento, ideato dai
cantieri Odero Terni Orlando di La Spezia, permetteva tra l’altro di immergersi
ed attivare gli SLC fino alla profondità di 90 metri, contro i soli 30 metri
massimi concessi dal metodo usato sull’Iride.
Inoltre, non era necessario l’appoggio di alcuna altra unità, ed era possibile
trasportare gli SLC fin dalla partenza, eliminando gli scali intermedi che
erano stati fatali all’Iride.
I cilindri erano
tre, uno collocato a proravia della torretta e gli altri due (affiancati) a
poppavia della stessa; ognuno di essi pesava 2,8 tonnellate e poteva resistere,
come detto, ad una pressione pari a quella di 90 metri di profondità, cioè la
quota massima di collaudo dei sommergibili classe Adua. I cilindri erano
collegati al sommergibile (mediante un sistema di valvole e tubolature
azionabili dall’interno del sommergibile) per poter essere allagati (ogni
cilindro poteva contenere 21,75 tonnellate di acqua) e prosciugati, nonché per
l’aerazione necessaria per le batterie degli SLC (vi erano anche impianti
elettrici per mantenere queste ultime in carica). Ogni cilindro era chiuso da
un portello stagno di forma semisferica, con apertura laterale; il cilindro
prodiero del Gondar era privo di
anelli di rinforzo, unica differenza rispetto a quelli dello Scirè.
Per contro, per
alleggerire il peso complessivo, vennero eliminati il cannone di coperta da
100/47 mm, le sue munizioni, due siluri ed altri pesi giudicati superflui.
Vi erano due
possibili metodi per il rilascio degli SLC. Uno prevedeva che il sommergibile
si portasse in affioramento (con solo la parte superiore della torretta al di
sopra della superficie), fermo, e che gli operatori degli SLC uscissero
dall’interno dell’unità attraverso il portello superiore, percorressero la
coperta fino ai cilindri, che nel mentre dovevano essere allagati, aprissero i
portelloni, estraessero gli SLC, richiudessero i portelloni e mettessero in
moto gli SLC, dirigendosi verso l’obiettivo.
Nel secondo caso,
invece, il sommergibile doveva adagiarsi sul fondale ad una dozzina di metri di
profondità; gli incursori, muniti di autorespiratori, sarebbero fuoriusciti
dalla garitta allagabile, avrebbero aperto i portelloni dei cilindri (frattanto
allagati), avrebbero estratto gli SLC e si sarebbero diretti verso i loro
obiettivi.
Già pochi giorni
dopo l’affondamento dell’Iride, il
capo di Stato Maggiore della Regia Marina, ammiraglio Domenico Cavagnari, inviò
al comandante Giorgini un nuovo ordine di missione: questa volta la I
Flottiglia MAS avrebbe dovuto condurre un attacco quasi simultaneo sia contro
Alessandria d’Egitto (sede della Mediterranean Fleet) che contro Gibilterra
(sede della Forza H), sempre utilizzando gli SLC.
Gondar e Scirè, sui quali
stavano terminando i lavori di adattamento ad “avvicinatori” di SLC (effettuati
nell’Arsenale di La Spezia), furono pertanto subito scelti per questa missione:
il Gondar avrebbe dovuto attaccare
Alessandria, lo Scirè Gibilterra.
Al comando del Gondar venne designato il tenente di
vascello Francesco Brunetti, già comandante – e naufrago – del perduto Iride nella sfortunata operazione «G.A.
1»; aveva chiesto di poter portare a termine la missione iniziata con l’Iride, per vendicare i suoi uomini
periti nell’affondamento. Si volevano vendicare lo smacco ed i morti del Golfo
di Bomba; colpire Alessandria, ora, sarebbe divenuta una questione di principio
per la I Flottiglia MAS, ma sarebbe dovuto passare ancora più di un anno prima
che l’impresa venisse coronata da successo.
Il 19 settembre
1940 Supermarina inviò al capitano di fregata Giorgini l’ordine numero 4973,
che sanciva l’inizio dell’Operazione «G.A. 2» contro Alessandria d’Egitto. Era
previsto che l’incursione avesse luogo nella notte tra il 28 ed il 29 settembre
(per sfruttare la luna all’ultimo quarto), o, in caso di ritardi (per
interferenza di navi od aerei britannici, o per rallentamento della
navigazione), la notte successiva. Il rilascio degli SLC avrebbe dovuto essere
compiuto in mezz’ora.
L’ordine
d’operazione, assai dettagliato, prevedeva tra l’altro che gli incursori degli
SLC scegliessero come bersaglio prioritario le corazzate, con le portaerei come
seconda scelta, seguite nell’ordine di precedenza dal bacino galleggiante e
dagli incrociatori. Le testate degli SLC, da 225 kg ciascuna, dovevano essere
regolate per esplodere dopo due ore. Ad ogni incursore sarebbero state fornite
10 sterline; una volta compiuta la propria missione, gli equipaggi degli SLC
avrebbero dovuto distruggere i loro mezzi, se possibile, nei pressi di una
delle navi da guerra francesi internate ad Alessandria dalla resa della
Francia, quindi salire su tali navi e dichiararsi ufficiali della Regia Marina
in servizio permanente effettivo (a questo scopo avrebbero dovuto essere
provvisti della tessera di riconoscimento), astenendosi dal dire altro sulla
loro missione. Per mantenere i contatti con Supermarina, il Gondar avrebbe usato il codice speciale
«G».
Sul Gondar vennero quindi imbarcati i tre
SLC destinati al forzamento del porto di Alessandria ed i loro equipaggi,
composti ciascuno da due uomini: il primo era formato dal tenente di vascello
Alberto Branzini e dal guardiamarina Alberto Cacioppo; il secondo dal capitano
del Genio Navale Elios Toschi (che, con il collega ed amico Teseo Tesei, era
stato proprio l’inventore del siluro a lenta corsa) e dal sergente palombaro
Umberto Ragnati; il terzo dal capitano Armi Navali Gustavo Stefanini e dal
sergente palombaro Alessandro Scappino. I tre SLC furono imbarcati a La Spezia
(dove furono subito sistemati nei cilindri contenitori), mentre gli equipaggi
sarebbero saliti a bordo a Messina, dove il Gondar
giunse alle 21 del 23 settembre, dopo aver lasciato La Spezia nella notte del
21.
Oltre ai sei uomini
che formavano gli equipaggi degli SLC, a Messina salirono sul Gondar anche il comandante Giorgini in
persona, quale capo della missione, e tre operatori di riserva, incaricati di
sostituire, in caso di necessità, gli uomini degli SLC: il guardiamarina
Aristide Calcagno, il sergente palombaro Giovanni Lazzaroni ed il capo
elettricista di seconda classe Cipriano Cipriani.
Toschi e Lazzaroni
erano reduci della fallita operazione della «G.A. 1», nella quale, naufraghi
dopo l’affondamento dell’Iride,
avevano contribuito a salvare alcuni marinai intrappolati nel relitto del
sommergibile.
Dopo aver sbarcato parte
dell’archivio segreto ed essersi rifornito nottetempo di carburante e di acqua,
il Gondar salpò da Messina alle 7.30 del
24 settembre 1940, diretto ad Alessandria. Era previsto che il sommergibile
raggiungesse un punto prestabilito, denominato «D», per controllare che tutto
fosse tranquillo in superficie; se tale verifica avesse dato esito positivo,
sarebbe proseguito fino ad un secondo punto convenzionale, l’«A», dove
sarebbero stati rilasciati gli SLC, che sarebbero poi entrati nel porto di
Alessandria. La navigazione di avvicinamento all’obiettivo, che avvenne di
notte in superficie e di giorno in immersione per evitare di essere avvistati,
non fu caratterizzata da eventi di rilievo; vennero avvistate varie navi,
nessuna delle quali, tuttavia, avvistò il battello italiano.
Il Gondar giunse al largo della costa
dell’Egitto nella notte tra il 28 ed il 29 settembre, come previsto, ma la
situazione non era affatto tranquilla: venne avvistata una corvetta britannica,
il che costrinse il sommergibile ad immergersi. Passate un paio d’ore, il Gondar riemerse, non essendoci più navi
in vista.
Nella notte tra il
28 ed il 29, il battello dovette immergersi nuovamente; gli idrofoni
segnalarono il rumore di almeno tre navi a turbina in navigazione nelle
vicinanze, e più tardi anche i rumori delle macchine di altre navi che si
stavano allontanando. Vennero avvistate numerose navi, a distanze comprese tra
i 500 ed i 2000 metri: a bordo non lo si poteva sapere, ma si trattava della
Mediterranean Fleet, uscita in mare per l’operazione «MB. 5».
Intorno alle 19 del
29, con un certo ritardo (ma non tale da impedire di rilasciare gli SLC per l’attacco
al porto), il Gondar emerse a sole
sei miglia (per altra fonte, 22 miglia) da Alessandria, anche per cambiare
l’aria e ricaricare le batterie; ma dopo pochi minuti fu raggiunto da un
messaggio di Supermarina, che ordinava di raggiungere Tobruk e poi attendere
ulteriori ordini.
Ciò perché
Supermarina era stata informata, mentre il Gondar
era in navigazione verso Alessandria, che la Mediterranean Fleet al completo
(corazzate Valiant e Warspite, portaerei Illustrious, incrociatori York, Sydney ed Orion e
cacciatorpediniere Hyperion, Hero, Hereward, Imperial, Ilex, Jervis, Juno, Janus, Mohawk, Nubian e Stuart) era partita da Alessandria il 28
per fornire appoggio ad un tentativo di rinforzare la guarnigione di Malta con
l’invio di 2000 uomini, imbarcati sugli incrociatori Liverpool e Gloucester: la
già citata operazione «MB. 5». Ad Alessandria non erano quindi rimaste più
corazzate, portaerei od incrociatori: nessun bersaglio di valore, la missione
del Gondar era quindi diventata
inutile. Alle 13.55 Supermarina aveva pertanto inviato il messaggio PAPA
(Precedenza Assoluta sulle Precedenze Assolute) n. 28644 al Comando Marina di
Tobruk, col quale quest’ultimo veniva informato che era stato ordinato al Gondar di raggiungere tale base; Marina
Tobruk doveva comunicare al comandante Giorgini che l’operazione «G.A. 2» era
rimandata per l’improvvisa partenza delle forze maggiori, e che il Gondar si sarebbe dovuto tenere pronto a
partire non appena la Mediterranean Fleet fosse tornata in porto.
Ma il sommergibile,
navigando immerso, non aveva potuto ricevere il messaggio che all’ultimo
momento, quando era emerso, la sera del 29.
Ricevuto il
messaggio, il Gondar cambiò rotta per
raggiungere Tobruk, continuando a ricaricare le batterie, ma verso le 20.30
avvistò una nave nemica (per altra fonte, due) dritta di prora, alla distanza
di un chilometro e mezzo, che navigava di controbordo: era il
cacciatorpediniere australiano Stuart,
al comando del capitano di corvetta Norman Joseph MacDonald Teacher (che
normalmente era l’ufficiale di rotta ed aveva appena assunto il comando della
nave – che avrebbe dovuto raggiungere Malta per lavori – in sostituzione del
comandante titolare, capitano di corvetta Robinson, ammalatosi). Lo Stuart, uscito in mare per l’operazione
«MB. 5» col resto della Mediterranean Fleet, stava ora rientrando ad
Alessandria a 10 nodi a causa di avarie alle caldaie (era scoppiata una
tubolatura del vapore), approfittandone intanto per condurre dei rastrelli
antisom con il sonar. Il battello italiano s’immerse immediatamente a 80 metri
di profondità, a 110 miglia per 300° dal faro di Alessandria (cioè a nordovest
di tale base, nonché a nord di Sollum); a bordo ci si dispose per l’assetto
silenzioso, fermando i motori ed ogni altro macchinario, ma poco dopo
l’ecogoniometro dello Stuart (che,
secondo una versione, lo aveva avvistato dalla plancia prima che s’immergesse)
lo individuò, ed ebbe inizio la caccia.
Secondo un articolo
di Alan Payne e L. J. Lind sulla “Naval Historical Review” del giugno 1977, fu
alle 22.15 che lo Stuart ottenne un
contatto all’ASDIC, e precisamente rilevò che un sommergibile, dritto di prora
a 2700 metri di distanza, stava lentamente attraversandogli la rotta da dritta
a sinistra. Erano in servizio al sonar i sottotenenti di vascello J. G. Griffin
e T. S. Cree (quest’ultimo era l’ufficiale addetto all’ASDIC) ed i
sottufficiali Ronald A. H. MacDonald e L. T. Pike; il contatto era molto
nitido.
Sul Gondar, Brunetti comprese dagli idrofoni
che il sommergibile era stato scoperto.
Alle 22.20 (secondo
fonti italiane, 15 minuti dopo l’immersione del sommergibile) lo Stuart risalì la rotta del Gondar e lanciò un primo pacchetto di
sei bombe di profondità, gettando al contempo in acqua un fuoco al calcio per
illuminare la superficie del mare ed agevolare l’avvistamento di eventuali
rottami o chiazze di carburante.
Sul Gondar, lo scoppio delle prime bombe di
profondità (che avvenne, secondo una fonte, mentre era ancora in corso la
manovra d’immersione) mise fuori uso i manometri di profondità, fece saltare le
luci, e provocò l’allagamento dei cilindri-contenitori degli SLC.
Seguirono altre
scariche di bombe, una volta all’ora (tra le quattro e le sei bombe per
scarica), ad intermittenza ma con regolarità. Dopo il primo attacco, lo Stuart riottenne il contatto a poppavia
sinistra, a 1370 metri di distanza, ma un difetto dell’apparato ASDIC rendeva
difficile mantenere il contatto; temendo che questo potesse fargli sfuggire la
preda, Teacher si mise in contatto con Alessandria e chiese che venisse inviata
qualche altra unità in aiuto. Da Alessandria partì allora secondo
cacciatorpediniere, il Diamond;
secondo fonti italiane, questi giunse sul posto alle 22.30, insieme ad una
“corvetta”, ma secondo fonti britanniche, in realtà, il Diamond giunse sul posto a caccia conclusa, quando già il Gondar stava affondando (od ancora più
tardi), e fu soltanto lo Stuart a
condurre la caccia nel corso della notte, anche se sul Gondar si ebbe l’impressione (dagli idrofoni) di essere sotto
caccia da parte di tre navi, due delle quali sopraggiunte in un secondo
momento.
Alle 22.45 il
sottotenente di vascello Cree dello Stuart
riferì la posizione del bersaglio alla plancia, ed il cacciatorpediniere
ridusse la velocità a 12 nodi, lanciò altre cinque bombe di profondità e buttò
in mare un altro fuoco al calcio, ma di nuovo non vennero avvistati rottami né
carburante. L’effetto di questo secondo attacco fu però devastante: le bombe
scoppiarono sotto il sommergibile, danneggiarono varie strumentazioni, altri
manometri ed un serbatoio di carburante (che iniziò a perdere) e mettendo fuori
uso l’apparato di depurazione dell’aria del Gondar,
così riducendo il tempo massimo in cui il sommergibile avrebbe potuto restare
immerso. Iniziarono ad esservi delle infiltrazioni nella zona poppiera.
Tra un attacco e
l’altro, lo Stuart prese ad
incrociare sulla verticale del Gondar,
eseguendo continuamente finti attacchi ad alta velocità, per snervare
l’equipaggio del sommergibile. Fu probabilmente questo insieme di manovre che
convinse gli uomini del Gondar che
non una, ma ben tre navi nemiche, stessero dando loro la caccia.
All’una di notte
del 30 lo Stuart girò in cerchio al
sommergibile immerso, ad una distanza compresa tra 1370 e 1830 metri, per
accertarne la posizione, poi lanciò una terza scarica di bombe di profondità;
la quarta scarica seguì alle quattro del mattino, la quinta alle 5.30. Tra le
5.30 e le 6.25 lo Stuart eseguì una
serie di finti attacchi a scopo demoralizzatorio, poi compì un ultimo lancio di
bombe alle 6.25. Le prime luci del giorno rivelarono all’equipaggio australiano
piccole chiazze di carburante, che indicavano che il sommergibile era stato
danneggiato.
Nel giro di poche
ore, vennero lanciate una cinquantina di bombe di profondità, che esplosero
tutte molto vicine al Gondar.
L’equipaggio del sommergibile, radunato in gruppetti di quattro o cinque
uomini, non poteva far altro che ascoltare il rumore della nave che andava e
veniva (anzi, delle navi, visto che a loro sembravano tre) ed aspettare in
silenzio e nella semioscurità che le bombe scoppiassero, sperando che non
fossero troppo vicine. Faceva caldo, mancava l’aria, e il pagliolato era
cosparso di carburante fuoriuscito da un serbatoio lesionato; ogni volta il
sommergibile era scosso violentemente dalle esplosioni, le paratie minacciavano
di cedere. La notte pareva non finire mai.
Le concussioni
causate dalle detonazioni delle bombe provocarono anche varie infiltrazioni
d’acqua, e misero gradualmente fuori uso le strumentazioni del Gondar.
Il direttore di
macchina, tenente del Genio Navale Vincenzo Cicirello, esaminò l’apparato per
la purificazione dell’aria e tentò di aggiustarlo, ma senza successo; riferì la
situazione al comandante Brunetti, che scosse la testa ed ordinò di rilasciare
un po’ d’aria, nella speranza di migliorare un poco la situazione interna. Ma
non cambiò nulla.
Dopo sei ore di
immobilità, il comandante Brunetti compì un tentativo di allontanarsi e
sfuggire, correggendo di volta in volta la propria quota, ma persisté il
“rumore caratteristico come di frusta, simile a quello prodotto da pallini di
piombo cadenti su una lamiera metallica”: il segnale che l’ecogoniometro del
nemico non mollava la presa. (Secondo altra versione, nell’intervallo di tempo
che trascorse tra due lanci di bombe il Gondar
riuscì ad allontanarsi, ma, quando riteneva ormai di essere probabilmente
riuscito a sganciarsi dal nemico, venne di nuovo localizzato e bombardato con
altre cariche di profondità, molto ben centrate).
Ad un certo punto,
probabilmente per effetto dei danni subiti, il Gondar iniziò a risalire involontariamente di quota, giungendo alla
profondità di 40 metri; ciò permise alle scariche di bombe di profondità di
avere effetti ancora più devastanti.
Cinque minuti dopo
che l’acqua sollevata dall’ultima scarica di bombe dello Stuart (quella delle 6.25) si fu calmata, sopraggiunse da sud anche
l’idrovolante antisommergibili Short Sunderland Mk I numero L2166 (il velivolo
“U” del 230th Squadron della Royal Air Force), pilotato dal capitano
P. H. Alington e dal tenente Brand. Decollato da Alessandria alle 5.30, una
volta sul posto (indicato dal pilota come 31°35’ N e 28°43’ E) l’aereo girò
intorno allo Stuart, effettuò un
segnale luminoso di riconoscimento e poi iniziò a sorvolare il mare a bassa
quota, in cerca del sommergibile. Un’ora più tardi (per altra fonte, alle sette
del mattino), come se non bastasse, arrivò sul posto anche il peschereccio
antisommergibili Sindonis, che si unì
alla caccia.
Il Gondar tentò in ogni modo di sottrarsi
alla caccia, ma dopo ore e ore di bombardamento i danni divennero troppo gravi
per poter sperare ancora di sopravvivere a lungo; gli sforzi del direttore di
macchina Cicirello ormai non bastavano più a riparare le avarie. Alle sette,
una bomba scoppiata vicinissima provocò sul Gondar
un violento sbalzo di quota. Per contrastare le vie d’acqua la pressione
interna era stata innalzata fino a tre atmosfere, quasi esaurendo la riserva
disponibile.
Interessante notare
una significativa distanza nelle fonti britanniche ed australiane: secondo fonti
della Marina australiana, mentre questo avveniva lo Stuart teneva intanto ben saldo il contatto sonar col sommergibile,
che non perse mai, fino a quando questi non emerse. Secondo il libro di Normak
Franks “Search, find and kill”, dedicato ai successi della RAF nella lotta
antisommergibili, lo Stuart aveva al
contrario perso il contatto quando il Sunderland di Alington giunse sul posto;
fu l’idrovolante a ritrovarlo, quando avvistò delle bolle d’aria affiorare in
superficie ad un paio di miglia dal cacciatorpediniere. A questo punto il
Sunderland sganciò una bomba di profondità sulla bolla avvistata; poi avvistò
un’altra bolla e sganciò una seconda bomba su di essa, ma questa volta
l’ordigno non esplose. Una terza bomba esplose, e questa volta il Gondar dovette emergere.
Secondo fonti
australiane, alle 8.20 (le 9.20 per l’orario dello Stuart) il Sunderland sganciò un grappolo di bombe di profondità
circa 2700 metri a proravia dello Stuart.
In ogni caso, verso
le 8.30 il Gondar iniziò ad imbarcare
acqua più copiosamente, mentre risultava ormai impossibile mantenere la quota;
la riserva di aria compressa era ridotta a 30 kg/cm2, il minimo per
tentare l’emersione. Il comandante Giorgini conferì con gli ufficiali e poi,
ritenendo che la situazione fosse ormai insostenibile e che restare immersi
ancora avrebbe significato affondare da un momento all’altro con la perdita
totale dell’equipaggio, ordinò al comandante Brunetti di emergere, abbandonare ed
autoaffondare il battello. Giorgini ordinò a Brunetti di non tentare nemmeno
attacchi o lanci di siluri, a meno che il sommergibile non si venisse a trovare
in posizione idonea al lancio già al momento dell’affioramento.
Così fu fatto: gli
uomini indossarono i salvagente, ed alle 8.40 il comandante Brunetti fece dare
aria alla cassa immersione ed ai doppi fondi centrali.
(Una fonte,
probabilmente erronea, fornisce una versione piuttosto diversa: alle otto del
mattino il Gondar iniziò a
sprofondare in modo incontrollato per via dei danni subiti, così si diede aria
a tutte le casse per fermare l’affondamento; il sommergibile si fermò a 155
metri di profondità, ma poi iniziò a risalire in modo incontrollato, con
velocità crescente, fino all’emersione).
Secondo alcune
fonti britanniche, durante la manovra di emersione il Sunderland sganciò da 210
metri di quota una bomba sulla bolla d’aria che segnalava che il sommergibile
stava per emergere; ciò fece perdere il controllo del Gondar, che si trovava in quel momento ad una ventina di metri di
profondità, e che tornò a sprofondare fino alla quota di 90 metri, per poi riprendere
la manovra di emersione quando fu data aria a tutte le casse.
Il Gondar emerso e sotto attacco,
fotografato dal Sunderland (Imperial War Museum, via www.italie1939-1945.com; sotto,
ANAIM)
Risalendo
rapidamente in superficie, ad una velocità di circa 10 nodi, il malconcio Gondar riemerse un’ultima volta proprio
in mezzo alle navi nemiche: la sua prua spuntò in superficie a soli 730 metri
dalla prua dello Stuart. Erano le
9.20 del mattino; erano passate undici ore dal primo attacco con bombe di
profondità.
Lo Stuart aprì subito il fuoco con tutti i
cannoni, per fortuna non molto accurato (sul cacciatorpediniere si stimò di
aver passato la torretta da parte a parte con una cannonata, mentre altre
caddero tutt’attorno al sommergibile), mentre il Sindonis manovrò per avvicinarsi; il Sunderland sganciò una o forse
tre bombe, che esplosero vicine al sommergibile (Brunetti, nel suo rapporto,
parlò di due bombe, sganciate dal Sunderland da circa 50 metri di quota, mentre
l’equipaggio abbandonava l’unità; esse esplosero una decina di metri di prora a
sinistra).
L’ufficiale di
rotta del Gondar, guardiamarina
Giuseppe Dell’Oro, venne incaricato dal comandante Brunetti di buttare in mare
la cassetta contenente le pubblicazioni segrete, per evitare che cadessero in
mano nemica; quando aprì il portello per uscire tra i primi, la forte pressione
interna al sommergibile, molto più elevata di quella esterna, lo lanciò in
aria, facendolo ricadere in coperta, ferito. Dopo di lui, gli uomini iniziarono
a fuoriuscire attraverso i portelli della prua e della torretta, buttandosi in
acqua.
Sullo Stuart, dopo aver sparato la prima
salva, si vide che l’equipaggio del Gondar
stava abbandonando l’unità, quindi venne cessato il fuoco ed il comandante
Teacher ordinò di mettere a mare una baleniera. La distanza tra le due unità
era di poco più di 900 metri; alcuni dei marinai italiani la percorsero tutta a
nuoto, venendo issati direttamente a bordo dello Stuart, mentre altri vennero raccolti dalla baleniera. Erano
fradici, sporchi e sfiniti.
Quando quasi tutto
l’equipaggio si fu gettato in mare, il comandante Brunetti ed alcuni altri
uomini, tra cui il marinaio elettricista Luigi Longobardi, scesero in camera di
manovra, aprirono gli sfoghi d’aria dell’emersione, dei doppi fondi centrali e
della rapida, per autoaffondare il sommergibile (secondo alcune fonti, attivarono
anche una decina di cariche esplosive per l’autodistruzione), e poi, risaliti
in torretta, abbandonarono per ultimi il battello (secondo altra versione,
Brunetti dopo aver aperto i doppi fondi salì in torretta ed attese che il
sommergibile affondasse sotto di lui, finché si ritrovò in mare). Il comandante
Giorgini fece un ultimo giro per controllare che a bordo non fosse rimasto
nessuno, indi si tuffò in mare.
Il comandante
Teacher dello Stuart aveva sperato di
catturare intatto il Gondar per
rimorchiarlo ad Alessandria, ma quando la baleniera si portò accanto al
sommergibile agonizzante i suoi occupanti compresero che erano state avviate le
procedure per l’autoaffondamento: le cariche esplosive esplosero poco dopo che
l’ultimo uomo aveva abbandonato il battello. Gradualmente ma rapidamente, il Gondar si appoppò e scivolò sotto le
onde nel punto 32°02’ N e 27°54’ E (secondo fonti italiane) o 31°33’ N e 28°33’
E (secondo fonti britanniche; una dozzina di miglia al largo di Marsa Matruh, e
25 miglia al largo di El Daba), in acque profonde più di 2000 metri. La prua
del sommergibile rimase affiorante sopra la superficie per cinque o dieci minuti,
prima di scomparire definitivamente negli abissi. Erano le 9.25 (per altra
fonte le 9.50) del 30 settembre 1940.
La prua
del Gondar affiorante… (g.c. Dante
Flore; g.c. www.grupsom.com)
La fine. (da www.waralbum.ru) |
Il Sunderland, dopo
aver sorvolato il battello in affondamento scattando diverse foto, tornò alla
propria base, dove giunse alle 10.30.
Equipaggio ed
incursori italiani vennero recuperati e fatti prigionieri dalle unità
britanniche: lo Stuart recuperò 28
uomini, tra cui Brunetti, Giorgini, Cicirello ed un sottotenente di vascello,
mentre altri 19 superstiti, tra cui Toschi, furono recuperati dal Sindonis.
Il segnalatore L.
E. Clifford ricordò poi che uno dei naufraghi, nel salire sullo Stuart, vide un marinaio australiano
armato di fucile con baionetta inastata e gridò “No kill”, fraintendendo il
significato di quella presenza. Il comandante Brunetti, che parlava un inglese
abbastanza corretto, dichiarò che era stato costretto all’emersione perché le
bombe avevano distrutto l’apparato di purificazione dell’aria, non era stato
possibile ripararlo, e l’aria era diventata irrespirabile.
Vi fu un’unica
vittima, il marinaio napoletano Luigi Longobardi: attardatosi a bordo, con il
comandante Brunetti e pochi altri, per provvedere all’autoaffondamento, si
gettò in mare tra gli ultimi e fu probabilmente ucciso in mare dallo scoppio di
una bomba d’aereo. Venne decorato con la Medaglia d’Oro al Valor Militare, alla
memoria.
(Stranamente, fonti
britanniche parlano di due caduti tra l’equipaggio del Gondar, dei quali uno sarebbe annegato e l’altro ucciso da una
bomba del Sunderland: ma in realtà, l’unico caduto tra l’equipaggio del
sommergibile risulterebbe essere stato Luigi Longobardi).
Sequenze
di foto dell’affondamento del Gondar
(sopra: Imperial War Museum, via www.betasom.it;
sotto, da www.xmasgrupsom.com)
L’affondamento del Gondar fu un duro colpo per la giovane I
Flottiglia MAS: in un sol colpo erano andati perduti un sommergibile
“avvicinatore”, tre SLC, altrettanti equipaggi addestrati e capaci ed il
comandante stesso della flottiglia.
Per effetto della
perdita del Gondar, per giunta,
iniziò ad incrinarsi il velo di segretezza che copriva i mezzi d’assalto
impiegati dalla I Flottiglia MAS: quando il sommergibile emerse prima di
affondare, infatti, navi ed aerei britannici non mancarono di notare gli
inusuali cilindri presenti sulla sua coperta. Anche la presenza sul
sommergibile di tanti ufficiali e palombari destò non pochi sospetti: al loro
arrivo ad Alessandria, i naufraghi dell’Iride
vennero subito interrogati, specialmente Giorgini, il più alto in grado (che
sullo Stuart si era fatto passare,
apparentemente con successo, per un comandante di cacciatorpediniere imbarcato
sul Gondar come passeggero). Le
domande vertevano soprattutto sui cilindri e sulla presenza degli ufficiali e
palombari; Giorgini non rispose, ma un ufficiale del Naval Intelligence
britannico lo spiazzò quando gli chiese se fosse lui il comandante della I
Flottiglia MAS di base a La Spezia, e se, sulla costa tra La Spezia e Livorno,
venissero addestrati ufficiali e sottufficiali che avrebbero poi dovuto
attaccare porti e basi navali britanniche nel Mediterraneo.
Secondo il citato
articolo di Payne e Lind sulla “Naval Historical Review” del giugno 1977, fu il
comandante del Gondar, interrogato da
Teacher, a “crollare in lacrime” e rivelare che il sommergibile stava
trasportando tre “siluri umani” per un attacco contro il naviglio nel porto di
Alessandria.
In un modo o
nell’altro, i britannici già sapevano qualcosa sulle attività della Flottiglia:
ma questo non avrebbe comunque permesso loro di fermare gli attacchi contro
Alessandria, Suda, Gibilterra ed Algeri che sarebbero stati lanciati negli anni
a venire, una volta che la Flottiglia, ripresasi dalle perdite iniziali e fatto
tesoro delle esperienze passate, avesse affinato i propri metodi.
Lo Stuart intento al recupero dei naufraghi del Gondar, alcuni dei quali sono visibili in acqua (Imperial War Museum). |
All’arrivo ad
Alessandria, lo Stuart ebbe
un’accoglienza da eroe, specialmente – in termini assai coloriti – dalle altre
unità della flottiglia cacciatorpediniere australiana (il Vampire, il Vendetta ed
il Waterhen); l’ammiraglio Andrew
Browne Cunningham, comandante della Mediterranean Fleet, lo segnalò alla flotta
come “un eccezionale esempio di un risultato ottenuto mediante pazienza ed
abilità nell’utilizzo dell’apparato asdic (sonar)”. Il comandante dello Stuart venne decorato con il
Distinguished Service Order per l’affondamento del Gondar, mentre gli addetti al sonar (i sottotenenti di vascello J.
G. Griffin e T. S. Cree ed i sottufficiali Ronald A. H. MacDonald e L. T. Pike)
ricevettero la Distinguished Service Cross (i due ufficiali) e la Distinguished
Service Medal (i due sottufficiali).
Gli uomini del Gondar finirono dapprima nel campo di
prigionia di Geneifa, in Egitto, dove già si trovavano i superstiti dei
sommergibili Berillo, Rubino, Galvani ed Uebi Scebeli e
di altre unità affondate durante l’estate del 1940; successivamente vennero
trasferiti in vari campi di prigionia dell’India.
Non tutti si
rassegnarono a passare il resto della guerra dietro ad un reticolato: Elios
Toschi, in particolare, dopo essere passato nei campi di Ahmednagar e Ramgarh
finì a Yol, campo riservato ai prigionieri che avevano già tentato più volte di
fuggire. Da qui Toschi fuggì insieme al capitano di corvetta Camillo Milesi
Ferretti, già comandante del sommergibile Berillo;
le loro strade si divisero e Toschi, che aveva tentato di attraversare
l’Himalaya per cercare di tornare in Italia, venne ricatturato. Nuovamente
fuggito, Toschi si rifugiò infine nella neutrale India portoghese.
Il capitano Armi
Navali Gustavo Stefanini, futuro amministratore delegato della OTO Melara,
rimase prigioniero a Bangalore fino al 1946; anche il comandante Giorgini
rimase in prigionia fino all’aprile 1946, mentre il comandante Brunetti venne
rimpatriato nel 1944, durante la cobelligeranza.
La motivazione
della Medaglia d’Oro al Valor Militare conferita alla memoria del marinaio
elettricista Luigi Longobardi, nato a Lettere (NA) il 22 aprile 1920:
“Elettricista
imbarcato su sommergibile attaccato con bombe di profondità da tre navi ed un
aereo avversari per dodici ore consecutive, si prodigava instancabilmente nello
espletare con bravura e decisione i compiti affidatigli. Determinatasi la
necessità di emergere per autoaffondare il sommergibile ormai inutilizzato
dalle esplosioni delle bombe, dava prova di eccezionale coraggio e profondo
senso del dovere, restando al proprio posto fino alle estreme possibilità onde
contribuire alla salvezza dell’Unità. Lanciatosi in mare negli ultimi istanti
restava investito dallo scoppio di bombe lanciate da aereo e immolava la
giovane vita per un estremo ideale di Patria che lo aveva trattenuto sulla nave
oltre il dovere.
Mediterraneo Orientale, 30 settembre 1940.”
La motivazione
della Medaglia d’Argento al Valor Militare conferita al tenente di vascello
Francesco Brunetti, nato a La Spezia il 20 novembre 1909:
“Comandante di sommergibile
destinato a recare l’offesa con mezzi speciali a munita base navale avversaria,
veniva attaccato con bombe di profondità da tre navi e un aereo per dodici ore
consecutive. In difficili condizioni per continue gravi avarie riportate dal
sommergibile, cercava con ogni mezzo di sfuggire alla persistente caccia
avversaria finché frustato ogni ulteriore tentativo di resistenza, si prodigava
e disponeva affinché l’equipaggio abbandonasse il sommergibile
disciplinatamente e con rapidità. Noncurante del tiro delle artiglierie e del
lancio di bombe da parte dell’unità, che abbandonava solo quando la forza del
mare lo strappava dalla plancia. Esempio di sangue freddo, perizia ed alto
senso del dovere.”
La motivazione
della Medaglia d’Argento al Valor Militare conferita al tenente del Genio
Navale Direzione Macchine Vincenzo Cicirello:
“Direttore di
macchina di sommergibile attaccato con bombe di profondità da tre navi e un
aereo avversari per dodici ore consecutive, in difficili condizioni di ambiente
per continue gravi avarie riportate dall’unità, si prodigava instancabilmente
per riparare le avarie stesse e coadiuvava validamente il comandante nel
protrarre per quanto possibile la resistenza del sommergibile. Abbandonava
l’unità solo all’ordine del comandante, dando prova di sangue freddo, spirito
di sacrificio e alto senso del dovere.”
La motivazione
della Medaglia d’Argento al Valor Militare conferita guardiamarina Giuseppe
Dell’Oro:
“Ufficiale di rotta
di sommergibile attaccati con bombe di profondità….si prodigava
instancabilmente per assicurare il buon funzionamento del suo servizio. Avuta
la consegna di abbandonare fra i primi l’unità per gettare in mare la cassetta
delle pubblicazioni segrete, riusciva ad eseguire l’ordine, nonostante che all’uscita
dal portello fosse proiettato sulla coperta dalla forte pressione interna,
rimanendo ferito.”
La motivazione
della Medaglia d’Argento al Valor Militare conferita al capitano di fregata
Mario Giorgini, nato a Massa Carrara il 19 marzo 1900:
“Imbarcato su
sommergibile quale capo di una spedizione di mezzi d’assalto destinata a
rischiosa missione contro munita base nemica, dava al comandante dell’unità,
sottoposta a lunga ed estenuante caccia da parte di tre navi ed un aereo, il
solido appoggio dettato dalla sua valida esperienza e dal suo indomito
coraggio. Dopo 12 ore di caccia, emersa l’unità per irreparabili avarie, ne
disponeva il rapido affondamento inteso ad assicurare con la scomparsa dello
scafo, anche quella dei mezzi insidiosi imbarcati. Mentre l’unità incominciava
ad affondare, si introduceva nei locali interni per controllare di persona la
completa evacuazione dell’equipaggio. Esempio di sereno ardimento e di
elevatissime virtù militari.”
Un’altra immagine del Gondar (g.c. Giorgio Parodi, via www.naviearmatori.net) |
Buongiorno. Chi era il comandante del Gondar prima del TV Francesco Brunetti?
RispondiEliminaNon lo so...
EliminaIl T.V. Piero Riccomini
EliminaSono il nipote di FRANCOLINI ANTONIO, appartenente al l'equipaggio del GONDAR, vorrei saperne di più su mio nonno il quale non viene mai menzionato nelle statistiche riguardanti il sommergibile. Grazie a chi mi risponderà......
RispondiEliminaMio padre era sul Gondar decorato con Croce di Ferro al Valore non è menzionato
EliminaMio padre Giuseppe Chesti a bordo del Gondar Croce di Ferro al valore non lo vedo menzionato
RispondiEliminaEroi. e di loro nessun libro di scuola ne parla....le maestre insegnano "bella ciao" - povere generazioni di italiani....
RispondiEliminaUna cosa non esclude l'altra...
EliminaAnche un mio parente era sul Gandar, Nunziati Spartaco,
RispondiEliminaNunziati Spartaco era il fratello di mio padre. Se sei in possesso di notizie ti prego di rispondermi.
RispondiElimina