La nave sotto il precedente nome di Bonifacio (Collezione Richard Cox, via www.sunderlandships.com) |
Piroscafo da carico
di 3566 tsl, 2184 tsn e 6300 tpl, lungo 108,6-112 metri, largo 14,86 e pescante
7,3, con velocità massima di 8-10 nodi. Matricola 4 F al Compartimento
Marittimo di Venezia, nominativo di chiamata IBPB, nome in codice
"Coscienza".
Aveva quattro stive
della capienza di 8700 metri cubi.
Ex francese Bonifacio, era uno delle decine di
mercantili francesi consegnati all’Italia ed alla Germania in conseguenza degli
accordi Laval-Kaufmann, che prevedevano la consegna all’Asse di 159 navi
mercantili che si trovavano nei porti mediterranei della Francia di Vichy, in
seguito alla sua occupazione da parte dell’Asse.
Breve e parziale cronologia.
17 ottobre 1917
Varato nel cantiere
North Dock della John Blumer & Co. di Sunderland come Wulsty Castle (numero di scafo 240).
Aprile 1918
Completato come Wulsty Castle per la Lancashire Shipping
Company (detta anche Chamber’s Castle Line; armatore W. Chambers & Co. Ltd.
di Liverpool) di Liverpool, che è anche il suo primo porto di registrazione. Stazza
lorda 3566 tsl, stazza netta 2184 tsn, portata lorda 6600 tpl.
È la prima nave a
propulsione turboelettrica costruita in Gran Bretagna: il suo apparato motore, prodotto
dalla Richardsons, Westgarth & Co. Ltd ed in grado di raggiungere la (non molto
elevata) velocità di 10 nodi, è concepito secondo il modello brevettato nel
1894 dall’ingegnere svedese Frederik Ljungström, con due generatori elettrici a
turbina capaci di sviluppare ciascuno 625 kW, e due motori a induzione da 785
HP (una sola elica).
In questo tipo di
apparato motore (sperimentato anche, nello stesso periodo, sulla nuova corazzata
statunitense New Mexico), due turbine a vapore radiali a reazione da 1750 HP,
progettate dallo stesso Ljungström, azionano altrettanti generatori elettrici, i
quali forniscono elettricità ai motori ad induzione mediante un albero. Tale
sistema garantisce maggiore potenza e minori consumi di carburante (dell’ordine
del 30-40 %) rispetto ad una normale macchina a vapore, mentre il rovescio della
medaglia è costituito dalla minor convenienza a variare la velocità.
Le prove in mare al
largo di Sunderland mostrano che i consumi di carbone per cavallo vapore sono
di 1,07 libbre; viene stimato che questo apparato motore turboelettrico,
rispetto ad una equivalente machina alternativa a vapore, permetterà un
risparmio annuo di 3500 sterline (detratti i costi supplementari per la sua
realizzazione, che sono di 6000 sterline). Ciò grazie alla maggiore efficienza
delle turbine, al risparmio di peso rispetto ad una macchina a vapore
tradizionale (135 tonnellate) ed ai 10.000 metri cubi in più di spazio
utilizzabile, resi disponibili dalla mancanza di un lungo tunnel per l’asse
dell’elica.
Tuttavia, l’apparato
motore turboelettrico mette in mostra anche una serie di gravi problemi.
1920
Acquistato dai
cantieri William Beardmore & Co. di Dalmuir (Scozia), per permettere agli
esperti della ditta di poter meglio valutare le prestazioni delle turbine
sperimentali Ljungström. Rimane però in gestione all’armatore James Chambers
& Co di Liverpool.
Febbraio 1921
Le prestazioni dei
motori turboelettrici vengono giudicate insoddisfacenti, e la nave viene posta
in disarmo a Ghent, in Belgio, in attesa di rimotorizzazione.
Agosto-Settembre 1926
L’apparato motore
turboelettrico del Wulsty Castle viene
sostituito con due motori diesel a tre cilindri, quattro tempi e doppia azione
Beardmore-Tosi (potenza di 472 HP nominali e 1650 HP a 240 giri al minuto,
ridotti a 80 giri al minuto all’elica), che azionano l’elica mediante giunti idraulici
(realizzati dalla Beardmore e dalla Vulcan Werke AG di Amburgo; progettati
dall’ingegnere tedesco G. Bauer, sono usati per la prima volta su questa nave) ed
apparati a doppia riduzione, trasformandolo in una motonave. Si tratta di
un’altra novità nell’ambito della propulsione navale: motore diesel ad
azionamento indiretto.
8 settembre 1926
Terminati i lavori,
il Wulsty Castle compie delle prove
in mare nello specchio d’acqua noto come "Skelmorlie mile", al largo
del villaggio scozzese di Skelmorlie.
Nemmeno questo
apparato motore, tuttavia, risulta abbastanza efficiente: probabilmente,
secondo alcuni esperti dell’epoca, ciò è dovuto all’utilizzo di un motore
diesel a quattro tempi e doppia azione e per il sistema di trasmissione non
molto sviluppato.
1927
Trasferito ad una
compagnia apposita chiamata "Ship Wulsty Castle Ltd." con sede a
Liverpool, rimane di fatto sotto il controllo dell’armatore Chambers, che ne
mantiene infatti la gestione.
1929 o 1931
Posto in disarmo ad
Anversa, in seguito ai problemi derivanti dai nuovi motori diesel.
1936
Dopo cinque anni di
disarmo, il Wulsty Castle viene acquistato
dalla Counties Ship Management Co. Ltd di
Liverpool (risulta anche "Craggan
Hill S.S. Company", di Liverpool/Londra), ribattezzato Craggan Hill e sottoposto ad Anversa a
nuovi lavori di sostituzione dell’apparato motore, effettuati dalla Antwerp Dry
Dock Company: dopo essere stato il banco di prova per l’innovativo motore
turboelettrico e per l’esperimento di un motore diesel con azionamento indiretto,
il terzo e definitivo apparato motore della nave consisterà proprio in una
tradizionale, ed ormai superata, macchina alternativa a vapore, alimentata da
caldaie. La motrice a vapore, costruita dalla William Beardmore & Co. Ltd.
di Glasgow, è a triplice espansione a tre cilindri ed ha una potenza di 349 HP
nominali e 1400 CV.
Giugno 1936
Venduto per 6200
sterline alla Rethymnis & Kulukundis Ltd (o Kulukundis Bros.), con sede a
Londra ed al Pireo.
Luglio 1937
Registrato sotto
bandiera greca. (Per altra fonte, la nave sarebbe stata prima rimotorizzata con
macchina a vapore, poi venduta alla Kulukundis e ribattezzato Craggan Hill, e poi trasferito alla Craggan
Hill Steamship Company).
Dicembre 1937
Venduto alla
Compagnie France Navigation S.A., con sede a Dieppe, e ribattezzato Bonifacio. Viene coinvolto, secondo una
fonte, nella guerra civile spagnola.
Settembre 1939
In seguito alla
liquidazione della Compagnie France Navigation, il Bonifacio viene posto sotto sequestro ed affidato in gestione (e forse,
successivamente, trasferito) alla Compagnie Générale Transatlantique. Impiegato
sulla linea per il Nordafrica.
22-24 settembre 1939
Salpa da Southend e
raggiunge Methil con il convoglio FN 9, composto da 34 navi mercantili (tutte
britanniche, tranne il Bonifacio ed
il piroscafo olandese Senga) prive di
scorta.
21-27 novembre 1939
Salpa da Verdon e
raggiunge Casablanca con il convoglio 14 X, formato in tutto da cinque
mercantili francesi ed uno britannico, scortati dall’avviso francese Gazelle e dal cacciasommergibili
ausiliario Cap Nord.
22-28 febbraio 1940
Salpa da Brest e
raggiunge Casablanca con il convoglio 29 BS, composto da otto mercantili
francesi e sei britannici, scortati dal cacciatorpediniere francese Cyclone e dagli avvisi Gazelle e Commandant Delage.
3 aprile 1940
Parte da Orano con il
convoglio 18 R, composto da una petroliera canadese ed otto mercantili
francesi, privi di scorta.
4 aprile 1940
Il convoglio 18 R si
unisce al convoglio KS 83, partito da Casablanca (in tutto undici navi mercantili
francesi, una canadese ed una greca), che arriva a Brest l’11 aprile.
21 maggio 1940
Parte da Le Verdon
con il convoglio 59 X, composto da dieci navi mercantili (due francesi, tre
norvegesi, quatto britanniche, una greca) con la scorta del solo piropeschereccio
armato Victoria, francese. Una volta
in mare, il convoglio si disperde.
3 dicembre 1942
Consegnato (o
confiscato) a Marsiglia alle forze tedesche, a seguito dell’Operazione "Anton"
(occupazione italo-tedesca della Francia di Vichy) e degli accordi
Laval-Kaufmann per la cessione all’Asse di 159 navi mercantili francesi
presenti nei porti della Francia mediterranea e del Nordafrica francese.
5 dicembre 1942
Proveniente da
Marsiglia, giunge in Italia con equipaggio tedesco.
12 dicembre 1942
Consegnato, a La
Spezia, alla Società Anonima di Navigazione Adriatica, con sede a Venezia
(altra fonte, erroneamente, riporta che la nave fu affidata alla Italia Società
Anonima di Navigazione).
Lo stesso 12 dicembre
il capitano di lungo corso Mario Arpante, della società Adriatica, si reca a
bordo del Bonifacio insieme agli
ufficiali ed a parte dell’equipaggio (italiano) assegnato alla nave per la
presa in consegna, su ordine della Regia Capitaneria di Porto, dopo un rapido
passaggio di consegne tra il Ministero delle Comunicazioni e la società
Adriatica.
Registrato sotto
bandiera italiana, il piroscafo ribattezzato Campobasso ed immatricolato nel Compartimento Marittimo di Venezia,
con matricola 4 F.
La nave viene
consegnata all’Adriatica in condizioni tutt’altro che ottimali: mentre
l’apparato motore è apparentemente in buono stato (ma non può garantire più di
otto nodi), radio e radiogoniometro sono fuori uso, la parte superiore delle
pale dell’elica è mozzata, mancano cavi di ormeggio e ci sono gravi deficienze
nelle manovre correnti e nei picchi di carico.
Non viene requisito
dalla Regia Marina, né iscritto nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato.
13-17 dicembre 1942
Ulteriori verifiche
da parte del nuovo equipaggio italiano (che per diversi giorni, in attesa del
corredo, deve alloggiare in albergo, mentre dal 16 dicembre risulterà possibile
iniziare a mangiare a bordo) rivelano che la nave è sprovvista di difese aeree,
gli estintori sono scarichi e la pompa a mano di emergenza abbisogna di
manutenzione; il frigorifero risulta essere stato immerso in acqua, dunque
bisogna controllarne la parte elettrica. Il cilindro di bassa della motrice fa
rumori strani, che rendono necessari controlli; la coperta in ferro è
completamente arrugginita, i parapetti sono deformati, le tubolature del vapore
sono rotte o corrose, i boccaporti necessitano di rinforzo, il fasciame in
legno delle stive è del tutto mancante.
19 dicembre 1942
Salpa da La Spezia
alle 9.50 per ordine del Comando Marina e dirige per Livorno, dove arriva alle
16. Il breve viaggio permette di accertare che le bussole sono del tutto
scompensate. Dopo cena, l’equipaggio dev’essere alloggiato in albergo.
20 dicembre 1942
Viene eseguita la
disinfestazione della nave, richiesta già da giorni. Alle 15 si inizia a
caricare fusti di benzina, per ordine dell’Ufficio Imbarchi e Sbarchi della
Regia Marina.
25 dicembre 1942
Prosegue l’imbarco
della benzina e di altri materiali; l’equipaggio è sempre alloggiato a terra,
per mancanza di corredo, e durante la notte viene mantenuto un servizio di
guardia attiva in coperta e ronda sulla banchina da parte di soldati tedeschi.
29 dicembre 1942
Vengono caricati in
coperta anche dei veicoli militari. Sono stati imbarcati anche provviste,
generi di consumo, coperte, materassi e stoviglie per le prime necessità della
nave.
31 dicembre 1942
Iniziano i lavori per
allestire delle protezioni per il ponte di comando e la stazione radio; intanto
viene rizzato il carico in coperta, nelle stive e nei corridoi. Guardia attiva
in coperta durante la notte; mancano ancora portolani e carte nautiche. In
serata vengono consegnati gli estintori e cinque ruote di cavo.
1° gennaio 1943
Alle 18 vengono
ricevute le istruzioni per il viaggio di trasferimento a Napoli, da dove dovrà
poi partire per il Nordafrica; in serata vengono imbarcati 28 militari italiani
e 42 tedeschi, portando il totale degli uomini a bordo (equipaggio compreso) a
129.
2 gennaio 1943
Alle 3.15, dato che
la natura del carico e del suo rizzaggio potrebbero causare gravi problemi con
le correnti (sfavorevoli) condizioni meteomarine (e che tra lance, zattere e
zatterini non ci sono abbastanza mezzi di salvataggio per tutti i 129 uomini a
bordo), il Campobasso trasmette al
caposcorta "Causa tempo tardi".
3 gennaio 1943
Migliorato il tempo,
il Campobasso lascia Livorno e si
trasferisce a Napoli.
19
gennaio 1943
Il Campobasso salpa da Palermo alle 14,
insieme ai piroscafi Chieti e Silvano, alla volta della Tunisia, con
la scorta del cacciatorpediniere Lampo
(caposcorta) e delle torpediniere Monsone
e Lira.
20 gennaio 1943
Alle otto del mattino
il convoglio si divide in due gruppi: Campobasso
e Silvano, insieme a Lampo e Monsone, fanno rotta per Tunisi, dove giungono alle 15.20; Chieti e Lira dirigono per Biserta, dove arriveranno alle 17.15.
29 gennaio 1943
Il Campobasso ed i piroscafi tedeschi Rhea e Caterina Schiaffino lasciano Tunisi alle 17.30 per rientrare a
Palermo, con la scorta delle torpediniere Ardito
(caposcorta) e Libra e della corvetta
Persefone.
30 gennaio 1943
Il convoglio arriva a
Palermo alle 17.15. Il Campobasso si
ferma qui, insieme al Rhea, mentre lo
Schiaffino prosegue per Messina con
la scorta della Libra.
15 o 16 febbraio 1943
Subisce lievi danni
nel corso di un bombardamento aereo su Napoli, effettuato da quattordici
bombardieri (su 21 decollati) della 9th USAAF aventi come obiettivo
il porto. Verso le 17 alcune bombe sganciate durante l’incursione esplodono nei
pressi dello scafo, lesionando sia questo che le sovrastrutture, sebbene non in
modo grave.
1° marzo 1943
Alle 17.20, durante
una nuova incursione aerea su Napoli (nove aerei della 9th USAAF, su
19 decollati, con obiettivo il porto; viene colpito anche l’abitato, con 30
vittime civili), una bomba esplode in prossimità del Campobasso.
Nei giorni seguenti
il comandante Arpante cede il comando del piroscafo al capitano Adelio
Tarabotto.
5 marzo 1943
Muore per fatto bellico a bordo del Campobasso l'operaio meccanico Oreste Trisoglio, da Vado Ligure.
28 marzo 1943
Verso le 17.25,
mentre il Campobasso è ancora
ormeggiato nel porto di Napoli, viene avvertita una violentissima esplosione
proveniente dalla sinistra: per tutto il porto risuona un cupo boato, dopo di
che un fortissimo spostamento d’aria investe il piroscafo, che viene anche
colpito da schegge e rottami.
È esplosa la motonave
Caterina Costa: carica di 790
tonnellate di carburante e 1700 di munizioni, aveva preso fuoco qualche ora
prima in circostanze poco chiare. Le vittime dell’esplosione, che arreca molti
danni al porto ed alla città, sono almeno 549, i feriti circa 3000.
Molte navi vengono
danneggiate dall’esplosione della Caterina
Costa, e tra di esse è anche il Campobasso:
passato lo spostamento d’aria, infatti, si nota sul piroscafo che fumo e fiamme
si levano dalla stima numero 4. Non appena il personale ha modo di avvicinarsi,
viene constatato che sul fondo della stiva giace una lamiera del peso stimato
di circa 800 kg, “caduta dal cielo”. Si tratta di uno dei molti rottami
infuocati della Caterina Costa che
l’esplosione ha lanciato per tutto il porto e la città. Le tre incerate che
servono a coprire i boccaporti del Campobasso,
e le relative chiusure, stanno bruciando; tutte le serrette ed il pagliolato
sono frantumati, al pari dei bagli mobili e delle lamiere della mastra.
Pochi giorni dopo, il
comandante Tarabotto viene rimpiazzato dal capitano di lungo corso Stanislao
Leoni, che sarà ultimo comandante del Campobasso.
28 aprile 1943
Ancora un
bombardamento su Napoli: stavolta a portarlo sono 22 bombardieri della 9th
USAAF, su 25 partiti. L’obiettivo, come al solito, è il porto, ma ancora una
volta molte bombe cadono anche sulla città: i morti tra i civili sono 125.
Tra di essi anche un
membro dell’equipaggio del Campobasso,
il secondo ufficiale Roberto Paolini: triestino, quarantaseienne, si era
imbarcato sul piroscafo appena tre giorni prima. Suonato l’allarme aereo alle
13.25, Paolini ed il comandante Leoni si recano in un rifugio antiaereo nella
zona del porto, ma l’affollamento li costringe a restare vicini all’ingresso:
lo scoppio di alcune bombe nei pressi dell’ingresso del rifugio investe Paolini
con varie schegge, che gli provocano la frattura della volta cranica e
molteplici ferite lacero-contuse. Il secondo ufficiale morirà poco dopo.
Nei giorni seguenti
vengono riparati i danni riportati un mese prima.
La fine
Alle 19.15 del 3
maggio 1943 il Campobasso, carico di
munizioni, cannoni, automezzi e bombe d’aereo, salpò da Pantelleria diretto a
Tunisi, con la scorta della torpediniera Perseo
(capitano di corvetta Saverio Marotta).
Le due navi erano
partite il 29 aprile, il Campobasso
da Napoli e la Perseo da Pozzuoli
(per poi raggiungere il piroscafo fuori dal Golfo di Napoli), ma un’avaria
della Perseo le aveva costrette a
sostare a Pantelleria (per altra fonte, inizialmente a Lampedusa), dove avevano
poi atteso “le giuste condizioni” per partire.
Alle 16 del 3 maggio,
dopo aver ricevuto l’ordine di partenza, si erano avvicinate al porticciolo di
Pantelleria per rifornirsi di acqua, operazione che aveva richiesto un paio
d’ore; poi erano salpate, Perseo in
testa (posizione di scorta prodiera) e Campobasso
nella sua scia. Le comunicazioni radio tra le due navi erano proibite, per evitare
che fossero intercettate; si manteneva il contatto visivo, mentre si procedeva
alla modesta velocità di otto nodi.
Sul Campobasso si trovavano 45 uomini di
equipaggio e 58 militari italiani e tedeschi: in tutto 103 anime (altra fonte
parla, invece, di un centinaio di uomini di equipaggio civile – ma appaiono
decisamente troppi –, 28 soldati dell’808a Batteria del 500° Gruppo
del 2° Reggimento Artiglieria Contraerea, imbarcati per la difesa della nave, e
70 marinai di leva della Regia Marina da trasportare a Tunisi). Comandante del
piroscafo era il capitano di lungo corso Stanislao Leoni, triestino.
Era questo il
terzultimo convoglio a partire per la Tunisia: gli ultimi due sarebbero partiti
rispettivamente il 4 ed il 7 maggio, e non avrebbero avuto sorte migliore.
Ormai la traversata
del Canale di Sicilia avveniva in condizioni proibitive: i convogli diretti in
Tunisia dovevano scontrarsi con un nemico preponderante, che dispiegava un
numero sempre crescente di aerei e sommergibili, cui adesso si univano anche
squadriglie di cacciatorpediniere che cercavano di intercettare i convogli di
notte. Nel mese di aprile 1943 furono 23 le navi mercantili affondate sulla
rotta per la Tunisia, insieme a cinque siluranti ed altre dieci unità militari;
altre 17 navi mercantili, 14 militari e 30 motovelieri furono affondate nei
porti dai bombardamenti sempre più pesanti. Parte dei rifornimenti riusciva
ancora a passare, ma la “rotta della morte” inghiottiva un numero ormai
insopportabile di navi e di vite.
Le truppe
italo-tedesche in Tunisia erano ormai allo stremo, strette tra la morsa
dell’VIII Armata britannica da est e della VII Armata statunitense da ovest,
sempre più a corto di tutto, mentre gli Alleati accrescevano ogni giorno la
loro superiorità in termini di uomini, aerei, mezzi corazzati.
All’inizio di maggio,
la sorte dell’Armata d’Africa era ormai segnata, e non sarebbero stati quei
pochi rifornimenti inviati via mare – quand’anche fossero arrivati – a
modificarla; ostinarsi ad inviare altre navi contro quello che stava diventando
un vero e proprio blocco aeronavale equivaleva a mandarle incontro ad un
inutile sacrificio. Soldati e rifornimenti imbarcati sul Campobasso erano, come li definì il sottocapo Alberto Ferrari della
torpediniera Tifone (che, di scorta
alla motonave Belluno, seguiva il
convoglio Perseo-Campobasso sulla stessa rotta, a non grande distanza), gli «ultimi
tizzoni da gettare nella fornace» nordafricana.
Il viaggio del Campobasso e della Perseo, lungo un’arzigogolata rotta che si snodava attraverso i
campi minati, durò solo quattro ore.
Verso le 23.40 di
quello stesso 3 maggio, a 22 miglia per 120° da Capo Bon (cioè a sudest del
Capo), le due navi, mentre facevano rotta per Ras Mustafà, furono intercettate
dai cacciatorpediniere britannici Nubian
(capitano di fregata Douglas Eric Holland-Martin, capo formazione), Petard (capitano di corvetta Rupert
Cyril Egan) e Paladin (capitano di
corvetta Lawrence St. George Rich).
Non erano lì per
caso: proprio quel giorno i decrittatori di “ULTRA” avevano intercettato
comunicazioni riguardanti la partenza del convoglio, ed avevano così potuto
avvertire i comandi britannici che «Il Campobasso
salpa dalla Sicilia per la Tunisia nel pomeriggio del 3 maggio». Da Malta erano
allora partiti, nel pomeriggio del 3 maggio, i tre cacciatorpediniere. Secondo
un ufficiale superstite della Perseo,
peraltro, durante la sosta di tre giorni a Pantelleria le due navi erano state
avvistate dalla ricognizione nemica. La localizzazione del convoglio italiano
avvenne per mezzo dei radar dei cacciatorpediniere.
Già alle 23.25 il
«Metox» della Perseo, un apparato tedesco
per la rilevazione delle emissioni dei radar, segnalò che le due navi erano
state localizzate dal nemico; alle 23.33 la torpediniera, dopo aver comunicato
a Supermarina di essere stata scoperta, ordinò per ultracorte al Campobasso "Aumentate al massimo la
velocità – Siamo stati radio localizzati", ma la risposta del piroscafo fu
"La velocità massima che riusciremo a tenere, ma non sappiamo per quanto,
è di 10 nodi."
Due minuti dopo, i
cacciatorpediniere britannici aprirono il fuoco.
Il Campobasso, col suo carico di
rifornimenti, fu la prima nave ad essere oggetto del fuoco nemico: mentre il Petard lo illuminava, per agevolare la
mira al Nubian, quest’ultimo gli
sparò contro dieci salve con i pezzi da 120 mm. Il Campobasso fu centrato ripetutamente, a prua, in plancia ed a
poppa; nel volgere di pochi minuti il disgraziato piroscafo fu ridotto ad un
relitto galleggiante, in preda agli incendi. Ad un certo punto si concentrò su
di esso il tiro di tutti e tre i cacciatorpediniere, che lo crivellarono sia
con i cannoni da 120 che con le micidiali mitragliere quadriate
"pom-pom" da 40 mm.
Già alle 23.48, dopo
undici minuti di martellamento (i primi colpi a bordo erano giunti alle 23.37,
subito causando incendi), il piroscafo fu scosso da una violenta esplosione,
che illuminò a giorno anche la torpediniera di scorta, rivelando la sua
posizione al nemico. Altre esplosioni si susseguirono continuamente, man mano
che le fiamme raggiungevano le munizioni e le bombe del carico.
La Perseo tentò valorosamente di difendere
il mercantile ad essa affidato: dapprima invertì la rotta per portarsi a fianco
del Campobasso e nasconderlo con una
cortina nebbiogena, ma i nebbiogeni non entrarono in funzione; allora la
torpediniera si lanciò in un contrattacco disperato, sola contro tre
cacciatorpediniere avversari. L’esito poteva essere soltanto uno: crivellata di
colpi nelle caldaie, a poppa e in controplancia, con decine di morti e feriti a
bordo, la Perseo rimase
immobilizzata, per poi essere finita dal Paladin.
Mentre il Paladin dava il colpo di grazia alla Perseo, Nubian e Petard si
diressero verso il Campobasso, per
fare lo stesso anche con il piroscafo. Quest’ultimo, abbandonato dagli uomini
ancora indenni, distava ormai diverse miglia dal luogo in cui era terminato il
combattimento della Perseo; era in
fiamme da prora a poppa (e, secondo una versione, sbandato su un fianco). Prima
che Nubian e Petard potessero raggiungerlo (si trovavano a tre o quattro miglia
di distanza quando la nave esplose), il Campobasso
scomparve in una violenta esplosione, inabissandosi circa otto miglia ad est di
Kelibia. Era trascorsa circa un’ora e mezza dall’inizio dell’attacco.
L’esplosione fu così
violenta che la sua onda d’urto, propagata attraverso l’acqua, fu sentita come
un violento colpo al ventre anche dai naufraghi della Perseo che erano in acqua a miglia di distanza; rottami del
piroscafo vennero scagliati in aria, ricadendo in mare anche a qualche miglio
di distanza.
Prima di andarsene, i
cacciatorpediniere britannici recuperarono una decina di naufraghi del
piroscafo.
Altri 16 uomini del Campobasso, invece, erano riusciti a
mettersi in salvo su di una scialuppa, con la quale fecero rotta per
Pantelleria. Durante il mattino si levò un vento fresco da maestro, che permise
ai naufraghi di issare una vela; gli occupanti della lancia furono però
occupati anche dalla necessità di sgottare continuamente l’acqua che entrava
nell’imbarcazione, attraverso una falla aperta da una scheggia di bomba. La
scialuppa con i 16 superstiti raggiunse Pantelleria alle 15.30 del 4 maggio.
Altri naufraghi
restavano nelle acque dove si era svolto l’impari scontro: alle sei del mattino
del 4 maggio la nave ospedale Principessa
Giovanna, in navigazione da Trapani a Tunisi, incontrò presso Ras Mustafà Nubian, Paladin e Petard, i quali
l’avvertirono che non lontano si trovavano dei naufraghi bisognosi di aiuto.
Nonostante la difficoltà posta dal vento e dal mare di maestrale frattanto
levatisi, la Principessa Giovanna
condusse una minuziosa ricerca e riuscì a trarre in salvo 71 sopravvissuti:
solo quattro erano del Campobasso,
mentre gli altri 67 erano della Perseo.
Conclusa l’operazione
di salvataggio alle 12.30, la nave ospedale proseguì per Tunisi, dove giunse
alle 22.45 di quello stesso giorno; qui imbarcò 788 malati e ripartì per
Trapani alle 13.30 del 5 maggio, trattenendo a bordo i 71 naufraghi di Perseo e Campobasso. Le loro traversie non erano ancora finite: alle 14.40
del 5 maggio, infatti (al largo di Zembra), la Principessa Giovanna venne attaccata e mitragliata da
cacciabombardieri Alleati, che causarono un morto ed alcuni feriti tra
l’equipaggio.
Peggio andò alle
18.30, quando la nave, pur essendo riconoscibilissima (e per giunta impegnata
nel soccorso ad un aereo della Croce Rossa, costretto ad un ammaraggio di
fortuna) venne anche bombardata: alcune bombe la colpirono a poppa, provocando
gravi danni ed un violento incendio. Le vittime di questo puro e semplice
crimine di guerra furono 54, tra degenti e membri dell’equipaggio, cui si
aggiunsero 52 feriti. Contenuto l’incendio, la Principessa Giovanna raggiunse infine Trapani alle 15.30 del 6
maggio.
Dei 103 uomini
imbarcati sul Campobasso, i sopravvissuti
furono in tutto una trentina.
Le vittime tra l'equipaggio civile:
(si ringraziano Carlo Di Nitto e Giancarlo Covolo)
Andrea Abbate, carbonaio
Enrico Alberti, direttore di macchina, da Trieste
Nunzio Alioto, nostromo, da Patti
Andrea Avvisato, marinaio, da Torre del Greco
Giuseppe Belbusti, marinaio, da Roma
Ferdinando Benvenuti, ufficiale di coperta, da Firenze
Nicola Bertuccio, marinaio, da Messina
Silvio Bonans, cameriere, da Promollo
Carlo Bratina, elettricista
Federico Cavalieri, marittimo, da Comacchio
Vittorio Cipro, fuochista, da Rapallo
Santiago Colombino, carbonaio
Giuseppe Conestabò, meccanico, da Priano
Michele Di Benedetto, carbonaio, da Aci Castello
Guglielmo Donati, capitano di lungo corso, da Carrara
Vincenzo De Bernardis, ufficiale di coperta, da Napoli
Carlo D'Urso, ingrassatore, da Salerno
Andrea Esposito, panettiere, da Torre del Greco
Luigi Fiore, Cambusiere, da Ischia
Salvatore Frisone, marinaio, da Messina
Domenico La Camera, marinaio
Bernardo Leone, carpentiere, da Palermo
Vittorio Loi, capo fuochista, da Cagliari
Sossio Luppoli, mozzo, da Frattamaggiore
Giuseppe Notaro, cameriere, da Torre del Greco
Pietro Panizzutti, cambusiere, da Venezia
Domenico Rando, carbonaio, da Torre del Greco
Severino Rivano, fuochista, da Genova
Pietro Ruello, marinaio, da Messina
Antonino Scarfi, fuochista, da Messina
Amedeo Testaverde, marconista
Il relitto del Campobasso giace a 70 metri di
profondità in posizione 36°50' N e 11°11' E, a meno di un miglio dal relitto
dell'incrociatore britannico Manchester,
qui affondato durante la battaglia di Mezzo Agosto del 1942.
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