Il Pessagno in uscita dal Mar Grande di Taranto nel 1940 (g.c.
Marcello Risolo via www.naviearmatori.net)
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Cacciatorpediniere,
già esploratore, della classe Navigatori (dislocamento standard 2125
tonnellate, 2760 in
carico normale, 2880 a
pieno carico).
Svolse 135 missioni
di guerra (11 di ricerca del nemico, 10 di posa di mine, 13 di caccia
antisommergibili, una di bombardamento controcosta, sette di trasporto, 31 di
scorta convogli, 29 di trasferimento, 20 per esercitazione e 5 varie),
percorrendo 52.463 miglia nautiche e trascorrendo 3203 ore in mare e 96 giorni
ai lavori.
Breve e parziale cronologia.
9 ottobre 1927
Impostazione nei
Cantieri Navali Riuniti di Ancona.
12 agosto 1929
Varo nei Cantieri
Navali Riuniti di Ancona.
10 marzo 1930
Entrata in servizio
(settima unità della classe ad essere completata), classificato come esploratore.
La sua costruzione è costata 20.650.000 lire.
Uno dei suoi primi
comandanti è il capitano di fregata Enrico Accorretti.
1930-1931
Primo ciclo di grandi
lavori di modifica per aumentare la stabilità: la plancia viene modificata ed
abbassata, le due gambe laterali dell’albero a tripode vengono eliminate e così
pure i depositi di carburante sopra la linea di galleggiamento, così però
riducendo la capacità complessiva di serbatoi di oltre 100 tonnellate, e
conseguentemente anche l’autonomia.
Il Pessagno nel 1931 (g.c. Marcello Risolo)
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1932
Nuovi lavori di
modifica: vengono sostituiti il timone ed i tubi lanciasiluri.
1932
Compie una crociera
di rappresentanza in Brasile ed Argentina, insieme al gemello Alvise Da Mosto.
Dicembre 1930-Marzo 1931
Il Pessagno è tra le unità adibite ad
appoggiare la crociera aerea transatlantica dall’Italia al Brasile di Italo
Balbo. Le navi, che compongono la Divisione Esploratori al comando
dell’ammiraglio di divisione Umberto Bucci (con insegna sul Da Recco), sono tutte unità della classe
Navigatori: Pessagno ed Antoniotto Usodimare formano il III
Gruppo (di competenza della parte africana dell’Atlantico), mentre Nicoloso Da Recco, Luca Tarigo ed Ugolino
Vivaldi costituiscono il I Gruppo (dislocati alle Canarie ed assegnati
all’Atlantico centrale) e Leone Pancaldo,
Antonio Da Noli e Lanzerotto Malocello formano il II
Gruppo dislocato a Pernambuco, per l’assistenza nella zona americana dell’Atlantico.
Gli esploratori
salpano da La Spezia scaglionati per raggiungere le rispettive posizioni
assegnate, ed attendervi il passaggio degli idrovolanti; il II Gruppo parte il
30 novembre 1930, gli altri due il 1° dicembre 1940, seguendo itinerari
differenti. In particolare il III Gruppo, comprensivo del Da Recco, arriva ad Almeria (Andalusia) il 3 dicembre 19330, poi
tocca La Luz il 9 dicembre, indi scorta gli aerei tra Kenitra (costa atlantica
del Marocco) e Villa Cisneros (Sahara Occidentale); le unità del III Gruppo si
riuniscono a Dakar il 27 dicembre (il Pessagno,
il 20 dicembre, ha fatto scalo a Las Palmas di Gran Canaria) e da qui salpano
dirette, rispettivamente, a Pernambuco (Pessagno)
e Bahia (Usodimare).
Gli idrovolanti di
Balbo, undici Savoia Marchetti S. 55 (cui se ne aggiungeranno altri tre in
Africa), decollano da Orbetello il 17 dicembre, fanno tappa a Cartagena,
Kenitra, Villa Cisneros e Bolama e da qui decollano il 6 gennaio 1931, all’1.30
di notte, attraversando l’Atlantico e raggiungendo Porto Natal, in Brasile,
alle 19.30 dello stesso giorno, dopo 3000 km. In questa fase di verificano
varie avarie ed incidenti, che provocano la perdita di tre degli aerei. Uno di
essi, l’I-BAIS del capitano Umberto Baistrocchi, è costretto ad ammarare in
pieno Atlantico, a causa del malfunzionamento dei radiatori: il Pessagno lo raggiunge e lo prende a
rimorchio, portandolo a Fernando de Noronha. Da qui poi riparte rimorchiando
l’idrovolante verso il Brasile, ma il mare avverso porta l’aereo a cozzare
contro lo scafo del Pessagno,
sfasciandosi ed affondando.
Dopo aver fatto tappa
a Bahia, gli S. 55 volano per altri 1400 km, arrivando infine in formazione su
Rio de Janeiro, davanti al Pan di Zucchero, alle 17 del 15 gennaio 1931,
insieme agli esploratori di scorta (la Divisione Esploratori al completo si è
riunita in unica formazione proprio il 15 gennaio), sotto gli occhi di un
milione di persone.
Il 7 febbraio, a
impresa aviatoria conclusa, la Divisione Esploratori inizia il viaggio di
ritorno, divisa in due gruppi: il Pessagno
forma il II Gruppo, insieme a Da Recco,
Vivaldi ed Usodimare, che fa scalo in successione a Bahia, Pernambuco e
Fernando de Noronha. Il 21 febbraio il Da
Recco, causa un’avaria ai condensatori, è costretto a rientrare a
Pernambuco scortato dal Vivaldi,
mentre l’ammiraglio Bucci trasferisce la sua insegna sull’Usodimare, che insieme al Pessagno
prosegue e fa scalo a Dakar, Santa Cruz de Tenerife e Ceuta, dove le due unità
arrivano il 6 marzo. Riunite così sei delle otto unità della Divisione (Pessagno, Usodimare, Tarigo, Pancaldo, Malocello e Da Noli),
queste proseguono la navigazione l’11 marzo e, dopo un ultimo scalo ad Algeri,
giungono a Gaeta il 18 marzo 1931.
Nella sua relazione,
l’ammiraglio Bucci evidenzia che, quando il carico di nafta dei Navigatori
scende sotto le 250 tonnellate, le sbandate in accostata divengono
considerevoli; su Pessagno e Pancaldo, in particolare, con carico di
nafta ridotto a 120 tonnellate si è reso necessario l’allagamento di alcuni
depositi per mantenere la stabilità.
Il Pessagno, in primo piano, accanto al gemello Vivaldi ed ad un’altra unità della classe Navigatori (Coll. Guido
Alfano, via Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net)
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8 dicembre 1931
Riceve a Genova la
bandiera di combattimento (offerte dalla città di Genova e dai paesi natali dei
navigatori cui le navi sono intitolate), insieme ai gemelli Ugolino Vivaldi, Alvise Da Mosto, Antonio Da Noli, Antoniotto
Usodimare, Nicoloso Da Recco, Leone Pancaldo e Lanzerotto Malocello, nel corso di una
grande cerimonia cui partecipano anche il cardinale Carlo Dalmazio Minoretti,
che benedice le bandiere, il senatore Broccardi (podestà di Genova) e
l’ammiraglio Bucci. La bandiera di combattimento del Tarigo è offerta dal Comune di Genova.
22 aprile 1934
Il Pessagno, inquadrato nella II Squadriglia
Esploratori insieme ai gemelli Lanzerotto
Malocello, Nicoloso Da Recco e Giovanni Da Verrazzano, ed unitamente
alla I Squadriglia Esploratori (formata dai gemelli Luca Tarigo, Ugolino Vivaldi,
Antoniotto Usodimare ed Alvise Da Mosto) nonché alla IV Squadriglia
Cacciatorpediniere (Francesco Crispi,
Quintino Sella, Giovanni Nicotera, Bettino
Ricasoli, Tigre, Francesco Nullo, Daniele Manin) ed al posamine Dardanelli,
presenzia alla cerimonia per la consegna della bandiera di combattimento agli
incrociatori leggeri Alberico Da Barbiano,
Alberto Di Giussano, Giovanni delle Bande Nere, Bartolomeo
Colleoni e Luigi Cadorna, nel bacino
di San Marco a Venezia.
1934-1935
È comandante del Pessagno e della sua squadriglia il
capitano di fregata Carlo Pinna.
Il Pessagno negli anni Trenta (da www.kreiser.unoforum.pro)
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1936-1938
Opera in acque
spagnole durante la guerra civile spagnola. Poco dopo l’inizio del conflitto,
nell’agosto 1936, il Pessagno è a
Barcellona insieme al Di Giussano ed
alla nave ospedale Tevere; nel porto
sono presenti anche numerose altre navi da guerra spagnole, francesi, tedesche,
britanniche e statunitesi. Il Pessagno
resterà a Barcellona fino ai primi giorni di settembre, quando verrà sostituito
dall’Antoniotto Usodimare.
Febbraio 1937
Durante la guerra
civile spagnola, il Pessagno viene
temporaneamente dislocato a Malaga, appena conquistata da una forza congiunta
italiana e spagnola nazionalista.
5 settembre 1938
Declassato a
cacciatorpediniere ed assegnato alla XVI Squadriglia Cacciatorpediniere, di
base a Taranto.
1938-1939
È comandante del Pessagno il capitano di fregata Gastone
Minotti.
1939
Scorta convogli in
Albania durante le operazioni per l’invasione di tale nazione da parte delle
forze italiane.
Il Pessagno alla fine degli anni Trenta (g.c. Carlo Di Nitto via www.naviearmatori.net)
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Gennaio-Aprile 1940
Grandi lavori di
modifica, effettuati nell’Arsenale di La Spezia: la prua viene completamente
ricostruita con forma differente (inclinata in avanti anziché dritta) e lo
scafo viene allargato di un metro. Il dislocamento standard sale da 1935 a 2125
tonnellate, quello a pieno carico da 2580 a 2888; la velocità massima diviene
di 34 nodi, e la riserva di combustibile viene portata da 533 a 680 tonnellate.
Viene anche
potenziato l’armamento (i due tubi lanciasiluri binati da 533 mm vengono
sostituiti con altrettanti tubi trinati dello stesso calibro, e vengono inoltre
aggiunge due mitragliere binate da 13,2/76 mm e due scaricabombe per bombe di
profondità); le ferroguide per il trasporto e la posa di mine vengono allungate
fino al castello, permettendo di imbarcare e posare 86 mine tipo P. 200, 94
mine tipo Elia o 104 mine tipo Bollo (mentre prima si potevano trasportare e
posare solo 54 mine tipo Elia o 56 tipo Bollo).
1° maggio 1940
Il Pessagno ed il gemello Leone Pancaldo, salpati da Pola, raggiungono al largo di Brioni la
corazzata Vittorio Veneto, appena
consegnata alla Regia Marina, per scortarla in un tratto della navigazione da Trieste a La Spezia.
2 maggio 1940
In tarda mattinata,
poco prima d’imboccare lo Stretto di Messina, Pessagno e Pancaldo
ricevono ordine di dirigere per Taranto, venendo sostituiti nel loro compito
dai cacciatorpediniere Fuciliere ed Alpino.
10 giugno 1940
All’entrata
dell’Italia nella seconda guerra mondiale, il Pessagno fa parte della XVI Squadriglia Cacciatorpediniere
unitamente ai gemelli Nicoloso Da Recco
(caposquadriglia), Luca Tarigo ed Antoniotto Usodimare.
12 giugno 1940
Alle due di notte il Pessagno, insieme al resto della XVI
Squadriglia (Da Recco ed Usodimare), la IX Squadriglia
Cacciatorpediniere (Vittorio Alfieri,
Alfredo Oriani, Vincenzo Gioberti, Giosuè
Carducci) e la I (incrociatori pesanti Zara,
Fiume e Gorizia) e VIII Divisione Navale (incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi), salpa da Taranto
alle 00.20 in appoggio alla formazione navale (incrociatore pesante Pola, III Divisione Navale, XI e XII
Squadriglia Cacciatorpediniere) uscita da Messina per intercettare due
incrociatori britannici (il Caledon
ed il Calypso) avvistati da dei
ricognitori a sud di Creta, diretti verso ovest (gran parte della Mediterranean
Fleet, al pari di una squadra navale francese, è infatti uscita in mare a
caccia, infruttuosa, di naviglio italiano). Alle 9, dato che nuovi voli di
ricognizione non sono più riusciti a trovare le navi nemiche, tutte le unità
italiane ricevono ordine di tornare in porto. Durante la navigazione di ritorno
nel Mar Ionio si verificano ben cinque infruttuosi attacchi subacquei contro
gli incrociatori della I e della VIII Divisione: i cacciatorpediniere della
scorta contrattaccano e ritengono di aver danneggiato od affondato i
sommergibili attaccanti, ma si sbagliano.
7 luglio 1940
Il Pessagno (capitano di fregata Carlo
Giordano) salpa da Taranto alle 14.10 con insieme a Da Recco ed Usodimare ed
alla VIII Divisione Navale (incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi), nonché alle Divisioni Navali IV (incrociatori
leggeri Alberico Da Barbiano, Alberto Di
Giussano, Luigi Cadorna ed Armando Diaz) e V (corazzate Giulio Cesare e Conte di Cavour), ed alle Squadriglie Cacciatorpediniere VII (Freccia, Dardo, Saetta e Strale), VIII (Folgore, Fulmine, Lampo, Baleno), XIV (Vivaldi, Da Noli, Pancaldo) e XV (Pigafetta
e Zeno), cioè l’intera 1a
Squadra Navale, per fornire sostegno a distanza ad un convoglio di quattro
mercantili carichi di truppe rifornimenti (i trasporti truppe Esperia e Calitea e le moderne motonavi da carico Marco Foscarini e Vettor
Pisani) partiti da Napoli alle 19.45 del 6 luglio e diretti a Bengasi con
la scorta diretta della II Divisione Navale (incrociatori leggeri Giovanni delle Bande Nere e Bartolomeo Colleoni), della X
Squadriglia Cacciatorpediniere (Maestrale,
Grecale, Libeccio, Scirocco) e
della XIV Squadriglia Torpediniere (Orsa,
Procione, Orione e Pegaso) e la
scorta a distanza dell’incrociatore pesante Pola,
delle Divisioni Navali I, III e VII e delle Squadriglie Cacciatorpediniere IX,
XI, XII e XIII (la 2a Squadra Navale). È inoltre in mare, in navigazione da
Catania (da dov’è partita a mezzogiorno del 7) a Bengasi, anche la motonave Francesco Barbaro, scortata dalle
vecchie torpediniere Abba e Pilo; anch’essa gode della scorta
indiretta delle due squadre navali italiane.
8 luglio 1940
Verso le 4.30, la XV
Squadriglia Cacciatorpediniere avvista delle grosse ombre verso est e lo
comunica all’ammiraglio Inigo Campioni, comandante superiore in mare della
formazione italiana; si tratta degli incrociatori pesanti della III Divisione (Trento, Trieste e Bolzano), ma
Campioni ritiene che siano navi nemiche e manda la XV Squadriglia ad
attaccarle, e poco dopo impartisce analogo ordine anche alla VIII Squadriglia;
quest’ultima riconosce però il profilo delle navi “nemiche” come quello di
incrociatori classe Trento, e permette così di chiarire l’equivoco senza danni.
Il mattino dell’8
luglio il sommergibile britannico Phoenix
(capitano di corvetta Gilbert Hugh Nowell) lancia alcuni siluri contro Cesare e Cavour scortate dalle quattro unità della VII Squadriglia, in
posizione 35°36’ N e 18°28’ E (circa duecento miglia ad est di Malta). Le armi
mancano i loro bersagli e non vengono nemmeno avvistate.
9 luglio 1940
Giunto il convoglio a
destinazione, la flotta italiana si avvia sulla rotta di rientro, ma viene
informata che anche la Mediterranean Fleet è in mare per un’operazione simile,
quindi dirige per riunirsi ed incontrare il nemico, in quella che diverrà
l’inconclusiva battaglia di Punta Stilo.
Il 9 luglio la XVI
Squadriglia, come altre squadriglie di cacciatorpediniere, viene autorizzata a
rifornirsi ad Augusta prima di riprendere il mare per il previsto punto di
riunione delle forze navali italiane (37°40’ N e 17°20’ E, 65 miglia a sudest di
Punta Stilo, con incontro previsto per le 14 od al massimo, per i
cacciatorpediniere distaccati a rifornirsi, per le 16). Le unità della XVI
Squadriglia non faranno però in tempo a ricongiungersi col grosso delle forze
navali prima che la battaglia cominci, e ne resteranno così escluse.
Terminata la
battaglia, la flotta italiana si avvia alle proprie basi. La XVI Squadriglia,
insieme alle Squadriglie Cacciatorpediniere VII, VIII IX, XI, XIV e XV (36
unità in tutto), alla corazzata Conte di Cavour,
agli incrociatori pesanti Pola, Zara, Fiume e Gorizia ed agli
incrociatori leggeri Alberico Da Barbiano, Alberto Di Giussano, Luigi di
Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe
Garibaldi, entra ad Augusta nel pomeriggio del 9 luglio. Poco dopo
mezzanotte, però, a seguito dell’intercettazione e decifrazione di messaggi
radio britannici che facevano presagire un imminente attacco di aerosiluranti
contro il naviglio ormeggiato ad Augusta, Supermarina ordina a tutte le navi di
lasciare la base: dopo essersi frettolosamente rifornite, le unità ripartono
per le basi di assegnazione. La XVI Squadriglia Cacciatorpediniere, insieme
alla XV Squadriglia ed a Duca degli
Abruzzi e Garibaldi, lascia
Augusta alle 17.05, diretti a Taranto.
30 agosto 1940
Il Pessagno salpa da Augusta alle 19 per
condurre un rastrello antisommergibili nel Golfo di Taranto, con i gemelli Ugolino Vivaldi, Antonio Da Noli, Nicoloso Da
Recco ed Antoniotto Usodimare.
Alle 20.25 i cacciatorpediniere danno inizio al rastrello, su rilevamento 55° e
con velocità di 19 nodi; il mare è calmo, la notte buia. Le unità procedono in
linea di fronte, a quattro miglia l’una dall’altra; il Da Noli è il più vicino alla costa (Capo Spartivento), il Pessagno è il più “esterno”, a venti
miglia. Alle 23.50 è il Vivaldi ad
avvistare un sommergibile, il britannico Oswald:
la nave manovra immediatamente per speronarlo, affondandolo e recuperandone poi
52 naufraghi.
31 agosto-2 settembre 1940
Il Pessagno partecipa all’uscita in mare
della flotta a contrasto dell’operazione britannica «Hats». La XVI Squadriglia
Cacciatorpediniere cui appartiene (con Nicoloso
Da Recco ed Antoniotto Usodimare)
parte da Taranto alle sei del mattino del 31 agosto insieme alla IX Divisione
(corazzate Littorio, nave di
bandiera dell’ammiraglio di squadra Inigo Campioni, e Vittorio Veneto), alla V Divisione
(corazzate Duilio, Conte di Cavour e Giulio Cesare, quest’ultima aggregatasi
solo il 1° settembre a causa di avarie), alla I Divisione (incrociatori pesanti
Zara, Pola, Fiume e Gorizia), all’VIII Divisione
(incrociatori leggeri Luigi di
Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe
Garibaldi) ed ad alle Squadriglie Cacciatorpediniere VII (Freccia, Dardo, Saetta, Strale), VIII (Folgore, Fulmine, Lampo, Baleno), X (Maestrale, Grecale, Libeccio e Scirocco),
XIII (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino) e XV (Antonio Pigafetta, Alvise Da Mosto, Giovanni Da
Verrazzano e Nicolò Zeno).
Complessivamente all’alba del 31 prendono il mare da Taranto, Brindisi e
Messina 4 corazzate, 13 incrociatori della I, III, VII e VIII Divisione e 39
cacciatorpediniere.
La XVI Squadriglia è
di scorta all’VIII Divisione; al largo di Taranto questa si unisce alla VII
Divisione, scortata dalla XV Squadriglia, per effettuare un rastrello nel Mar
Ionio.
Alle 14.35 del 31, in
posizione 37°47’ N e 18°25’ E, il sommergibile britannico Parthian (capitano di corvetta Richard Micaiah Towgood Peacock)
avvista alcune unità del gruppo composto da VII e VIII Divisione, che in quel
momento procede con la XVI Squadriglia disposta a proravia degli incrociatori e
la XV Squadriglia posizionata in linea di fila sul lato sinistro. Il Parthian si avvicina per attaccare una
delle navi avvistate, ma alle 14.42 interrompe l’attacco, avendole identificate
per cacciatorpediniere classe Navigatori; un minuto dopo, però, avvista gli
incrociatori dell’VIII Divisione, a 7300 metri di distanza, pertanto riprende
l’attacco e, superato lo schermo della XV Squadriglia, alle 14.52 (in posizione
37°45’ N e 18°22’ E, circa 105 miglia ad est-sud-est di Capo Spartivento)
lancia sei siluri da 320 metri.
Alle 22.30 la
formazione italiana, che procede a 20 nodi, riceve l’ordine di impegnare le
forze nemiche lungo la rotta 155°, a nord della congiungente Malta-Zante,
dunque deve cambiare la propria rotta per raggiungerle (o non potrebbe prendere
contatto con esse), dirigendo più verso sudovest (verso Malta) e superando la
congiungente Malta-Zante. Il mattino del 1° settembre, tuttavia, il vento, già
in aumento dalla sera precedente, dà origine ad una violenta burrasca da nordovest
forza 9, che verso le 13 costringe la flotta italiana a tornare alle basi,
perché i cacciatorpediniere non sono in grado di tenere il mare compatibilmente
con le necessità operative (non potendo restare in formazione né usare
l’armamento). Poco dopo la mezzanotte del 1° settembre le unità italiane
entrano nelle rispettive basi; tutti i cacciatorpediniere sono stati
danneggiati (specie alle sovrastrutture) dal mare mosso, alcuni hanno perso
degli uomini in mare. Le navi verranno tenute pronte a muovere sino al
pomeriggio del 3 settembre, ma non si concretizzerà alcuna nuova occasione.
3 settembre 1940
Il marinaio
elettricista Andrea Scotti del Pessagno,
da Azzano San Paolo, muore territorio metropolitano.
Il marinaio Andrea Scotti in una foto pubblicata sulla “Rivista di Bergamo” nel 1941 (g.c. Rinaldo Monella, via www.combattentibergamaschi.it) |
29 settembre-1° ottobre 1940
Il Pessagno lascia Taranto la sera del 29
settembre, insieme all’Usodimare
nonché all’incrociatore pesante Pola,
alle Divisioni I (incrociatori pesanti Zara,
Fiume, Gorizia), V (corazzate Giulio
Cesare e Conte di Cavour), VII (incrociatori leggeri Muzio Attendolo e Raimondo
Montecuccoli, da Brindisi), VIII (incrociatori leggeri Giuseppe Garibaldi e Luigi di
Savoia Duca degli Abruzzi) e IX (corazzate Littorio e Vittorio Veneto)
e le Squadriglie Cacciatorpediniere VII (Dardo,
Saetta, Strale), X (Maestrale, Grecale, Libeccio e Scirocco), XIII
(Granatiere, Bersagliere, Alpino) e XV
(Da Mosto, Da Verrazzano) (il Pola con
la I Divisione e 4 cacciatorpediniere partono alle 18.05 e le altre unità alle
19.30) e da Messina la III Divisione con 4 cacciatorpediniere per contrastare
un’operazione britannica in corso, la «MB. 5». La formazione uscita da Taranto
assume rotta 160° e velocità 18 nodi, riunendosi con le navi provenienti da
Messina alle 7.30 del 30 settembre. In mancanza di elementi sufficienti ad
apprezzare la composizione ed i movimenti della Mediterranean Fleet ed in
considerazione dello svilupparsi di una burrasca da Scirocco (che avrebbe reso impossibile una navigazione ad alta
velocità verso sud da parte dei cacciatorpediniere) Supermarina decide di
rinunciare a contrastare l’operazione ed ordina alle unità in mare di invertire
la rotta alle 6.25 del 30 ed incrociare dapprima tra i paralleli 37° e 38°, poi
(dalle 10.30) 38° e 39° ed alle 14 fare rotta verso sudovest sino a raggiungere
il 37° parallelo, poi, alle 17.20, di rientrare alle basi. Navigando nella
burrasca, la flotta italiana raggiunge le basi tra l’una e le quattro del
mattino del 1° ottobre, vi si rifornisce in fretta e rimane in attesa di
un’eventuale nuova uscita per riprendere il contrasto, ma in base alle nuove
informazioni ottenute ciò risulterà impossibile, pertanto, alle 14.00 del 2
ottobre, le navi riceveranno l’ordine di spegnere le caldaie.
11-12 novembre 1940
Il Pessagno si trova ormeggiato in Mar
Piccolo a Taranto (banchina torpediniere/banchina di Porta Ponente) insieme al
resto della XVI Squadriglia (Da Recco
ed Usodimare) ed a numerose altre
unità (incrociatori pesanti Trieste e
Pola, incrociatori leggeri Duca degli Abruzzi e Garibaldi, nave portaidrovolanti Giuseppe Miraglia, rimorchiatore di salvataggio
Teseo, posamine Vieste, cacciatorpediniere Freccia,
Dardo, Saetta, Strale, Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco, Geniere, Camicia Nera, Carabiniere, Corazziere, Ascari, Lanciere, torpediniere Pallade, Polluce, Partenope e Pleiadi), quando la base viene attaccata
da aerosiluranti britannici che affondano la corazzata Conte di Cavour e pongono fuori uso la Littorio e la Duilio.
Mentre gli
aerosiluranti attaccano le corazzate, cinque bombardieri attaccano a più
riprese le unità presenti in Mar Piccolo, a scopo diversivo, sganciando
complessivamente una sessantina di bombe.
Alle 23.15 dell’11 le
navi in Mar Piccolo aprono il fuoco contro alcuni aerei che sganciano bombe da
una quota valutata in 500 metri; gli ordigni inquadrano i posti d’ormeggio dei
cacciatorpediniere.
Tra le 23.30 e le
23.40 altri due aerei, da quote comprese tra i 500 ed i 900 metri, sganciano
diverse bombe che cadono 20-30 metri a proravia dei cacciatorpediniere
ormeggiati all’estremità orientale della linea degli ormeggi. Alle 00.30,
infine, un ultimo bombardiere, preceduto da due bengalieri, sgancia da circa
900 metri un grappolo di 6 bombe, delle quali 4 cadono in mare tra Trento e Miraglia, una colpisce il Trento
senza esplodere, ed una cade in mare tra la prua del Duca degli Abruzzi ed i cacciatorpediniere ormeggiati alle boe.
Il Pessagno non viene colpito da nessuna
bomba, ma la concussione provocata dall’esplosione di alcune bombe cadute in
mare molto vicine provoca una leggera schiodatura ed ingobbatura della carena
di prua, sul lato dritto.
Il Pessagno ormeggiato in Mar Grande a Taranto nell’autunno 1940 (g.c.
Marcello Risolo via www.naviearmatori.net)
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28 novembre 1940
Il Pessagno, insieme al Pigafetta, al più vecchio
cacciatorpediniere Augusto Riboty ed
alle torpediniere Antonio Bassini e Generale Marcello Prestinari, salpa da
Brindisi alle 2.45 per eseguire un’azione di bombardamento contro le
installazioni militari greche sulla costa settentrionale e nordorientale di
Corfù. Le cinque navi iniziano il bombardamento alle 7.58 e lo concludono alle
8.57, dopo aver sparato in tutto circa 1600 colpi da 102 e 120 mm, da distanze
comprese tra i 3 ed i 9 km. I risultati del cannoneggiamento vengono giudicati
come soddisfacenti, mentre la reazione delle batterie costiere greche è
valutata come debole; le navi italiane rientrano a Brindisi alle 14.50.
18 dicembre 1940
Nel pomeriggio il Pessagno, insieme agli incrociatori
leggeri Raimondo Montecuccoli ed Eugenio di Savoia ed ai
cacciatorpediniere Da Recco, Pigafetta e Riboty (quest’ultimo aggregato alla XVI Squadriglia), bombarda con
le sue artiglierie le posizioni greche di Lukova, a nord del Canale di Corfù, a
supporto delle operazioni sul fronte greco-albanese. Alcune batterie campali
elleniche rispondono al fuoco da terra, senza causare danni di rilievo.
1940-1941
Lavori di modifica
dell’armamento: vengono eliminate le due mitragliere singole da 40/39 mm e le
quattro binate da 13,2/76 mm, mentre vengono installate sette mitragliere
singole Breda 1940 da 20/65 mm.
9-10 gennaio 1941
Nella notte tra il 9
ed il 10 e per l’intera giornata del 10 la XVI Squadriglia Cacciatorpediniere,
insieme alla XV Squadriglia ed alla VII e VIII Divisione Navale, compie una
crociera protettiva nel Canale d’Otranto a tutela del traffico con l’Albania.
26 marzo 1941
Alle 21 il Pessagno, insieme al Da Recco (col quale forma la XVI
Squadriglia) ed agli incrociatori leggeri Luigi
di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi della VIII Divisione (ammiraglio di divisione
Antonio Legnani), salpa da Brindisi per raggiungere un punto di riunione
situato circa 55 miglia
a sudest di Capo Spartivento Calabro.
Contemporaneamente
prendono il mare anche la corazzata Vittorio
Veneto, scortata dalla X Squadriglia Cacciatorpediniere (Maestrale, Grecale, Libeccio e Scirocco, poi sostituiti da Granatiere, Bersagliere, Fuciliere ed Alpino della XIII Squadriglia), da
Napoli, la I Divisione (Zara, Pola, Fiume, al comando dell’ammiraglio di divisione Carlo Cattaneo) con
la IX Squadriglia (Alfieri, Oriani, Gioberti, Carducci), da Taranto, e la III Divisione (Trento, Trieste, Bolzano, al
comando dell’ammiraglio di divisione Luigi Sansonetti) con la XII Squadriglia (Ascari, Corazziere, Carabiniere)
da Messina. Comandante della squadra italiana è l’ammiraglio di squadra Angelo
Iachino, imbarcato sulla Vittorio
Veneto.
Inizia così
l’operazione «Gaudo», un’incursione contro il traffico britannico nel
Mediterraneo orientale, a nord di Creta. La I e la VIII Divisione, con le
rispettive squadriglie di cacciatorpediniere, dovranno riunirsi 55 miglia a sudest di
Capo Spartivento Calabro formando un unico gruppo.
Dopo la riunione, la
flotta italiana dovrà dirigere verso la Libia per trarre in inganno eventuali
ricognitori britannici, finché, giunta in un punto prestabilito al largo di
Capo Passero, si dividerà nuovamente nei due gruppi che avrebbero poi diretto
verso i rispettivi obiettivi.
La I e la VIII
Divisione (insieme ai sei cacciatorpediniere della IX e XVI Squadriglia),
riunite sotto il comando dell’ammiraglio Cattaneo, devono portarsi a nord di
Creta, passando tra Cerigotto e Capo Spada, poi proseguire sino a giungere a 30 miglia a sud di
Stampalia per la loro puntata offensiva; la Vittorio Veneto e la III Divisione, insieme alla XII e XIII
Squadriglia Cacciatorpediniere (sette unità), devono invece raggiungere le
acque di Gaudo, a sud di Creta, per compiervi una scorreria. Entrambi i gruppi sono
incaricati di attaccare i convogli britannici in navigazione tra la Grecia e
l’Egitto (nell’ambito dell’operazione britannica «Lustre»), se in condizioni di
superiorità, per poi fare rapidamente alle basi ritorno dopo aver inflitto il
maggior danno possibile. Qualora siano avvistate da superiori forze avversarie
prima di arrivare nelle acque di Creta, le navi italiane dovranno abortire
l’operazione, venendo a mancare la sorpresa.
L’ordine d’operazione
per il Gruppo «Zara», formato dalla I e VIII Divisione con le relative
squadriglie di cacciatorpediniere, recita «Gruppo Zara composto I e VIII Divisione navale lasci base prime ore giorno
X-1 et regoli propri movimenti in modo trovarsi alle 20.00 giorno X-1 in punto lat. 35°46’ e long.
19°34’ et diriga poi per passare ore 04.00 giorno X fra Cerigotto et Capo Spada
alt Prosegua quindi per levante fino at meridiano Capo Tripiti e poi per
scoglio Karavi dove dovrà trovarsi ore 08.00 giorno X alt Da tale punto diriga
per ripassare fra Capo Spada e Cerigotto et quindi per punto miglia 90 a ponente di Cerigotto dove
dovrà trovarsi ore 13.30 giorno X et quindi per rientro basi alt In caso
avvistamento unità nemiche attaccare a fondo soltanto se in condizioni
favorevoli di relatività di forze alt». La segretezza dell’operazione «Gaudo»,
fondamentale per la sua riuscita, è però svanita prima ancora del suo inizio: l’aumento
delle ricognizioni effettuate dalla Regia Aeronautica in Mar Egeo è stato
notato dall’ammiraglio Andrew Browne Cunningham, comandante della Mediterranean
Fleet; ed i ricognitori decollati da Malta hanno avvistato la I Divisione a
Taranto, base che fino ad allora, dopo la notte di Taranto, era stata
abbandonata da ogni nave maggiore. Intuendo che la Marina italiana stia
preparando una mossa contro i convogli britannici per la Grecia, Cunningham ha
ordinato che le ricognizioni sulle principali basi navali italiane e sulle
probabili rotte che la flotta italiana potrebbe seguire vengano aumentate sino
al massimo possibile, e disloca in quelle acque tutti i sommergibili
disponibili.
Le decrittazioni, da
parte di “ULTRA”, di comunicazioni della Luftwaffe in cui si annuncia che
questa darà ad una forte squadra navale italiana che dovrà presto effettuare
una scorreria in Egeo, hanno dato a Cunningham la conferma circa le sue
supposizioni; infine, il 25 marzo “ULTRA” ha intercettato una comunicazione di
Supermarina (partita da Roma e diretta a Rodi) in cui si dice che «Oggi 25
marzo est giorno X meno 3». Tra il 25 ed il 26, ulteriori intercettazioni hanno
aggiunto informazioni a quelle già note ai britannici, pur non componendo
ancora un quadro particolarmente nitido.
Cunningham ha subito
preso tutti i provvedimenti del caso, ordinando ricognizioni aeree su Taranto,
Napoli, Brindisi e Messina per il pomeriggio del 27, la sospensione di ogni
traffico da e per la Grecia – tranne i convogli «AG 8», già partito il 26 marzo
da Alessandria per la Grecia con la scorta di due incrociatori antiaerei e tre
cacciatorpediniere, e «GA 8» (un mercantile, l’incrociatore leggero Bonaventure e
due cacciatorpediniere), che sarebbe partito il 29 seguendo la rotta opposta ed
arrivando ad Alessandria due giorni dopo (senza il Bonaventure, affondato
dal sommergibile italiano Ambra) –, il ritiro di tutte le unità di
vigilanza in servizio a Suda ed al Pireo per porle sotto la protezione delle
difese locali, l’immediato stato di allerta per tutta la Mediterranean Fleet; l’uscita
dal Pireo, il 27 marzo (il giorno prima di quello fissato per l’operazione
italiana), della 7th Cruiser Division (Forza B) dell’ammiraglio
Henry Pridham-Wippell per un pattugliamento del mare attorno a Gaudo, isolotto
a sud di Creta (le navi di Pridham-Wippell salperanno la sera del 27, con
l’ordine di essere 30
miglia a sud di Gaudo per le 6.30 del 28), l’invio dei
sommergibili Rover e Triumph in probabili punti di passaggio
della squadra italiana, il rinforzo delle difese contraeree di Suda (con
l’invio dell’incrociatore antiaereo Carlisle),
il potenziamento delle squadriglie di aerosiluranti di Creta e della Cirenaica
(e si preparano anche reparti di bombardieri Bristol Blenheim).
27 marzo 1941
Alle 10.30 del 27 la
I e la VIII Divisione (con IX e XVI Squadriglia) si riuniscono 55 miglia a sudest di Capo
Passero, poi si posizionano 16
miglia a poppavia della Vittorio Veneto, che è a sua volta preceduta di 7 miglia dalla III
Divisione. La foschia ed il vento di scirocco ostacolano il mantenimento della
formazione, mentre non vi sono difficoltà nel mantenere la velocità prefissata.
La navigazione
prosegue senza incidenti – ma nella preoccupante assenza della poderosa scorta
aerea tedesca prevista: non si vedono che idrovolanti CANT Z. 506 che forniscono
per qualche ora scorta antisommergibile, e più tardi qualche aereo tedesco in
lontananza che passa senza dar segno d’aver visto le navi – sino alle 12.25,
quando il Trieste annuncia che
la III Divisione è stata localizzata da un idroricognitore britannico Short
Sunderland (un velivolo del 230th Squadron RAF decollato dalla base greca di
Scaramanga, ai comandi del capitano pilota D. G. Bohem). Compreso che la
sorpresa, presupposto fondamentale per la riuscita della missione, non c’è più,
Iachino domanda quindi a Supermarina se debba annullare la missione e rientrare
alla base; in una concitata riunione si conclude che la sorpresa è venuta a
mancare, ma che il ricognitore non ha avvistato che una porzione della squadra
italiana, pertanto si decide di proseguire, preferendo rischiare una trappola,
che far sembrare ai tedeschi (che hanno sollecitato un atteggiamento più
offensivo da parte della Marina italiana, in risposta a cui è stata pianificata
l’operazione «Gaudo») ed a Mussolini che la Marina si ritiri alle prime
difficoltà.
In seguito a ciò, la
formazione italiana, poco dopo le 14, accosta per 150° (prima la rotta era
134°) per ingannare il ricognitore, e mantiene questa rotta sino alle 16, dopo
di che riaccosta per 130°, e poi – alle 19.30 – per 98° portando la velocità a
23 nodi, così da giungere nel punto prestabilito a sud di Gaudo all’alba del
28. Alle 22 Supermarina annulla l’attacco a nord di Creta, dato che la
ricognizione ha rivelato che non c’erano convogli da attaccare (ed anche per il
rischio che gli incrociatori del gruppo «Zara» vengano attaccati da forze
britanniche, di cui si ha contezza dopo l’avvistamento del Sunderland),
pertanto la I e VIII Divisione ricevono l’ordine di ricongiungersi con la Vittorio Veneto e la III Divisione
all’alba del giorno seguente, al largo di Gaudo («Destinatati V. VENETO per
Squadra e ZARA per Divisione alt
Modifica ordine di operazione gruppo Cattaneo si riunisca dopo alba domani 28
corrente gruppo Iachino alt Programma Iachino resta invariato»). In base a
rilevazioni radiogoniometriche, si ritiene che in quella zona si troveranno, il
giorno seguente, alcuni incrociatori leggeri e cacciatorpediniere britannici.
Intanto, alle 19, il
grosso della Mediterranean Fleet – le corazzate Barham, Valiant e Warspite, la portaerei Formidable e nove
cacciatorpediniere, cioè la Forza A e la Forza C – è salpato furtivamente da
Alessandria, sotto il comando di Cunningham, per intercettare la formazione di
Iachino. Unico intoppo nel piano britannico, la bassa velocità (19-20 nodi) che
la forza navale deve tenere per non lasciare indietro la Warspite, che ha aspirato della sabbia nell’uscire dal porto con
conseguenze ostruzione dei condensatori dell’apparato evaporatore. Ciò ritarderà
la riunione tra le Forze A e C e la Forza B di Pridham-Wippell, impedendo che
tali forze riunite incontrino quelle di Iachino già nella giornata del 28
marzo. Da parte italiana si è all’oscuro di tutto ciò.
28 marzo 1941
Alle 6.35 del
mattino, un idroricognitore catapultato dalla Vittorio Veneto avvista la Forza B britannica (formata dagli
incrociatori leggeri Orion, Ajax, Perth e Gloucester e
dai cacciatorpediniere Vendetta, Hasty, Hereward ed Ilex,
sotto il comando dell’ammiraglio Henry Pridham-Wippell), in navigazione con
rotta stimata 135° e velocità 18 nodi una quarantina di miglia ad est-sud-est
dall’ammiraglia italiana. Alle 6.57, mentre la III Divisione riceve l’ordine di
assumere rotta 135° e velocità 30 nodi per raggiungere gli incrociatori
britannici, poi ripiegare verso la Vittorio
Veneto ed attirarli così verso la corazzata, il resto della formazione
italiana (comprese la I e VIII Divisione, che devono così convergere verso
sudest con le altre navi) aumentano la velocità a 28 nodi (in quel momento il
gruppo «Zara» – che si sarebbe dovuto congiungere con la Vittorio Veneto all’alba – è in
leggero ritardo; alle 6.30 è circa 16 miglia a nordovest delle altre unità, ed
alle 6.57 riceve ordine dalla Vittorio
Veneto di aumentare la velocità).
Alle 7.55 la III
Divisione avvista la Forza B, ma dato che anche quest’ultima vuole tentare di
attirare le navi italiane verso il grosso della Mediterranean Fleet (che è una
novantina di miglia più ad est), e dunque si ritira verso est, la manovra
pianificata da Iachino non si concretizza, ed al contrario sono le navi
italiane ad inseguire quelle britanniche. Comincia così scontro di Gaudo: tra
le 8.12 e le 8.55 la III Divisione insegue la Forza B cannoneggiandola con i
propri cannoni da 203, ma non riesce a mettere a segno alcun colpo e alla fine,
dato che le distanze restano costanti, interrompe l’inseguimento dietro ordine
di Iachino.
Intanto, alle 8.37,
il Pessagno comunica al comando della
I Divisione di non poter sviluppare una velocità superiore ai 25 nodi, causa
un’avaria ad una caldaia; il messaggio viene intercettato anche da Iachino, che
alle 8.38 ordina pertanto al gruppo «Zara» di assumere rotta 300° e di ridurre
la velocità a 20 nodi.
Concluso il vano
inseguimento e scambio di cannonate – al quale la I e VIII Divisione, non
ancora ricongiuntesi al resto della formazione, non possono partecipare –,
le navi italiane alle 8.55 accostano per 270° ed assumono rotta 300° e velocità
di 28 nodi, ora tallonate a distanza dalla Forza B, che tiene informato il
resto della Mediterranean Fleet dei movimenti delle unità italiane. Quando se
ne accorge, alle 10.02 l’ammiraglio Iachino ordina alla III Divisione di
proseguire sulla sua rotta, mentre la Vittorio
Veneto e le altre navi invertono la rotta (assumendo rotta 90°) per
sorprendere alle spalle la Forza B (portandosi ad est delle navi britanniche e
poi accostando verso sud), porla tra due fuochi (la III Divisione ed il resto
della formazione italiana) e così impedirne la ritirata. L’esecuzione di questa
manovra viene però temporaneamente ritardata in quanto, alle 10.10, lo Zara lancia un segnale di scoperta col
quale riferisce di aver avvistato fumo o alberatura sospetta per 300°; Iachino
attende che tale avvistamento venga chiarito, ma alle 10.34 lo Zara annulla il segnale di scoperta e la
manovra riprende.
Le unità della Forza
B sono però più a nord di quanto ritenuto (e segnalato) e per questo l’incontro
avviene alle 10.50: alle 10.56 la Vittorio
Veneto apre il fuoco da 23.000 metri e la Forza B, attaccata sul lato
opposto dalla III Divisione, accosta immediatamente verso sud e si ritira
inseguita dalle navi italiane, ma le distanze vanno aumentando ed il tiro
della Vittorio Veneto risulta
inefficace. Solo l’Orion ed
il Gloucester (per altre
fonti anche il Perth) subiscono
lievi danni per proiettili caduti vicini. Alle 10.57 vengono avvistati sei
aerei che si rivelano poi essere aerosiluranti britannici Fairey Albacore
(decollati dalla Formidable),
che alle 11.18 passano all’attacco: la Vittorio
Veneto accosta sulla dritta, e la XIII Squadriglia si porta in posizione
adatta ad impedire l’attacco, aprendo intenso tiro contraereo; alle 11.25 gli
aerosiluranti lanciano, ma devono farlo da una distanza eccessiva, e nessun
siluro va a segno.
L’attacco
aerosilurante ha però obbligato le navi italiane a cessare il fuoco,
consentendo alla Forza B di sfuggire ad una situazione di grave pericolo. In
tutto, le navi di Iachino hanno sparato 94 colpi da 381 mm e 542 da 203 mm.
In questa zona le
navi di Iachino dovrebbero fruire della copertura aerea dei caccia di Rodi
(dodici caccia FIAT CR. 42 dell’Aeronautica dell’Egeo, muniti di serbatoi
supplementari per incrementarne l’autonomia, di base a Scarpanto), ma questi
velivoli non si fanno vedere (per altra fonte sono presenti sul cielo della
formazione, ma solo saltuariamente ed in numero modesto, nel corso della
mattinata); intervengono invece due aerei tedeschi (gli unici che si vedranno
durante tutta la battaglia), due Junkers Ju 88 che tentano valorosamente
d’ingaggiare i tre caccia Fairey Fulmar di scorta agli aerosiluranti. Il
violento scontro aereo finisce male per i tedeschi: uno Ju 88 viene abbattuto,
l’altro viene messo in fuga. Le navi italiane non si accorgono neanche
dell’intervento degli Ju 88.
Frattanto, alle
11.07, la I Divisione avvista un sommergibile a 3000 metri per 280°,
comunicandolo alla nave ammiraglia; probabilmente si tratta di un falso
allarme.
Successivi messaggi e
segnalazioni, che confermano l’assenza di traffico convogliato britannico da
attaccare, ed insieme ad essi l’ormai conclamata assenza della copertura aerea
e la continua diminuzione delle scorte di carburante dei cacciatorpediniere,
portano l’ammiraglio Iachino, alle 11.40, a disporre rotta verso nordovest: si
torna alla base.
Se in mattinata
l’appoggio dato dai CR. 42 dell’Aeronautica dell’Egeo è stato pressoché
inconsistente, nel pomeriggio esso cessa del tutto e definitivamente: col
rapido allontanamento della flotta italiana in direzione di Taranto, infatti,
questa si viene presto a trovare al di fuori dei limiti dell’autonomia dei CR.
42, anche se questi impiegano serbatoi supplementari.
Nel pomeriggio del 28
marzo, la flotta italiana viene lungamente sorvolata da un idroricognitore
britannico. Lo pilota il capitano di corvetta Bolt, dello Stato Maggiore di
Cunningham, catapultato dalla Warspite:
durante la sua missione ha modo di aggiornare il suo ammiraglio circa
posizione, composizione, rotta e velocità delle navi italiane, con notevole
accuratezza.
Cunningham si è reso
conto che la formazione di Iachino, più veloce della sua, rischia di sfuggire
facilmente all’inseguimento (del quale non sa nemmeno di essere oggetto):
sempre che non si provveda a rallentarla. Questo si può fare danneggiando
qualche nave, lanciando attacchi di bombardieri ed aerosiluranti dalle basi di
Creta e dalla Formidable.
Cunningham, pertanto, ordina ripetuti attacchi aerei contro le navi di Iachino.
Nel corso del pomeriggio, un totale di 30 bombardieri Bristol Blenheim della
RAF (decollati da basi aeree della Grecia) e 18 aerosiluranti Fairey Albacore e
Fairey Swordfish della Fleet Air Arm (decollati dall’aeroporto di Maleme, a
Creta, e dalla Formidable) effettua
rispettivamente cinque e tre attacchi sulla formazione italiana.
Alle 13.23 la I
Divisione si trovava a 56
miglia per 266° da Gaudo. Alle 15.17 il gruppo «Zara» viene
attaccato da sei bombardieri britannici Bristol Blenheim (che attaccarono lo Zara ed il Garibaldi), attacco che si ripete alle 15.26, alle 16.30 ed infine
alle 16.44. Nello stesso lasso di tempo anche la Vittorio Veneto e la III Divisione vengono più volte attaccate
da aerei (rispettivamente tre e due volte): un solo attacco causa danni, ma
sufficienti a scatenare la sequenza degli eventi che porterà al disastro.
Alle 15.19, infatti,
tre aerosiluranti britannici attaccano la Vittorio Veneto, mentre dei caccia attaccano le unità della XIII
Squadriglia mitragliandone la coperta; anche dei bombardieri in quota partecipano
all’attacco. Il violento fuoco contraereo dei cacciatorpediniere della XIII
Squadriglia colpisce uno degli aerosiluranti, pilotato dal capitano di corvetta
John Dalyell-Stead: proprio questo velivolo, prima di cadere in mare uccidendo
i tre uomini del suo equipaggio, riesce a portarsi a meno di 1000 metri dalla Vittorio Veneto ed a lanciare un
siluro, che colpisce la corazzata a poppa. Alle 15.30 la Vittorio Veneto, che ha imbarcato 4000
tonnellate d’acqua, si immobilizza nel punto 35°00’ N e 22°01’ E; dopo sei
minuti può rimettere in moto, ma solo alle 17.13 riesce a sviluppare una
velocità di 19 nodi.
La squadra di Iachino
fa rotta verso Taranto, distante 420 miglia, ed alle 16.38 l’ammiraglio,
prevedendo che nuovi attacchi aerei si scateneranno al tramonto, ordina che le
altre unità si posizionino intorno alla danneggiata Vittorio Veneto per proteggerla da altri attacchi. Per quanto
riguarda il gruppo «Zara», Iachino ordina alla I Divisione di avvicinarsi alla Vittorio Veneto, mentre dà all’VIII
Divisione libertà di manovra per rientrare subito a Brindisi.
Pessagno, Da Recco, Duca degli Abruzzi e Garibaldi, pertanto, lasciano la
formazione e dirigono per proprio conto verso la base pugliese. Non saranno
quindi coinvolti nei successivi drammatici eventi della serata e della notte:
il siluramento del Pola,
immobilizzato da un nuovo attacco di aerosiluranti britannici; l’invio in suo
soccorso dell’intera I Divisione con la IX Squadriglia; l’annientamento della I
Divisione da parte delle corazzate della Mediterranean Fleet, in un vero e
proprio tiro a segno notturno nel quale le navi italiane sono massacrate prima
di poter abbozzare una reazione. Così si conclude la battaglia di Capo Matapan:
affondati lo Zara, il Pola, il Fiume, l’Alfieri, il Carducci; seriamente danneggiato l’Oriani; oltre 2300 i morti tra gli
italiani, contro perdite sostanzialmente nulle da parte britannica. La peggior
sconfitta nella storia della Marina italiana.
29 marzo 1941
All’1.18, quando il
tragico destino della I Divisione si è ormai consumato, l’ammiraglio Iachino
richiama l’VIII Divisione perché si riunisca, nel punto a 60 miglia per 139° da
Capo Colonne, al gruppo composto da Vittorio
Veneto e III Divisione. Viene fatta eccezione per il Pessagno: in considerazione dei problemi non ancora risolti
all’apparato motore, viene lasciato proseguire per Brindisi, dove giunge in
mattinata.
19 aprile 1941
Il Pessagno (capitano di fregata
Scammacca), insieme ai gemelli Nicoloso
Da Recco (capitano di vascello Muffone, caposquadriglia della XVI Squadriglia
Cacciatorpediniere), Alvise Da Mosto
(capitano di fregata Ollandini), Giovanni
Da Verrazzano (capitano di fregata Avelardi), Antonio Pigafetta (capitano di vascello
Mezzadra, caposquadriglia della XV Squadriglia Cacciatorpediniere) e Nicolò Zeno (capitano di fregata
Piscicelli) ed agli incrociatori leggeri Raimondo Montecuccoli (capitano di vascello Solari), Eugenio di Savoia (capitano di
vascello Lubrano, nave di bandiera dell’ammiraglio Casardi), Muzio Attendolo (capitano di
vascello Conti) ed Emanuele
Filiberto Duca d’Aosta (capitano di vascello Rogadeo) della VII
Divisione, molla gli ormeggi a Taranto, alle 2.50, per prendere parte
all’operazione di posa della prima tratta («S 11») della prima spezzata («S 1»,
che si estenderà dal punto 37°00’ N e 11°08’ E al punto 37°27’ N e 11°17’ E)
del campo minato «S». Alle 3.55 la formazione supera le ostruzioni foranee: in
testa Pessagno, Pigafetta, Da Recco e Zeno,
adibiti alla scorta, poi le unità incaricate di posare le mine: prima i quattro
incrociatori e per ultimi Da Mosto e Da Verrazzano in posizione di
scorta arretrata notturna. Le mine sistemate sulla coperta delle navi sono
occultate con sferzi mimetizzati con strisce bianche; si pone grande attenzione
nel non fare fumo, per non essere avvistati da aerei avversari. La formazione,
al comando dell’ammiraglio di divisione Ferdinando Casardi, prosegue tenendosi
al largo della costa, zigzagando nello stretto di Messina.
20 aprile 1941
Alle 3.50, ad ovest
di Trapani, la formazione s’imbatte in una petroliera isolata che procede
oscurata verso nord; la nave defila lungo gli incrociatori e poi accosta a
sinistra, passando tra Da Mosto e Da Verrazzano, così vicino da
costringere quest’ultimo a compiere una manovra d’emergenza per non entrare in
collisione. Alle 6 le navi italiane riducono la velocità a 14 nodi; a causa
della scarsa visibilità, l’ammiraglio Casardi decide di proseguire a velocità
ridotta in attesa di migliori condizioni, tali almeno da riconoscere la costa,
prima di procedere alla posa delle mine, a costo di ritardarla. Alle 6.27,
sette minuti dopo l’arrivo di un idrovolante che funge da scorta
antisommergibile (i caccia previsti non decolleranno invece da Pantelleria a
causa della foschia), è possibile riportare la velocità a 18 nodi, ed alle 6.52
le navi incaricate della posa (cioè Da
Mosto, Da Verrazzano ed
incrociatori) iniziano la manovra per disporsi in linea di fronte, con distanza
di 300 metri
tra gli incrociatori e 200 tra gli incrociatori ed i cacciatorpediniere,
posizionati sui lati esterni. Tra le 7.07 e le 7.41 viene eseguita la posa
delle mine, che si svolge senza particolari problemi esclusa l’esplosione
prematura di 22 ordigni. L’Attendolo posa
124 boe esplosive e 37 mine ad antenna, il Duca d’Aosta ed il Montecuccoli
posano ciascuno 112 mine ad antenna, l’Eugenio
di Savoia posa 124 boe esplosive e 37 mine ad antenna, e Da Mosto e Da Verrazzano posano ciascuno 122 boe strappanti.
Alle 7.52 la
formazione inizia la navigazione di ritorno.
Alle 9.25 il Da Mosto avvista una mina e la affonda a
colpi di mitragliera. Alle 9.51 il Pessagno,
che occupa la posizione «A» di dritta, alza bandiera verde per dare
l’allarme di avvistamento sommergibile, quindi accosta a dritta e poco dopo
inizia a lanciare bombe di profondità (ne lancia tredici, otto da 100 kg e
cinque da 50 kg), mentre la formazione esegue un’accostata d’Urgenza di 50° a sinistra, per poi
tornare sulla rotta originaria una volta a distanza di sicurezza dal presunto
avvistamento. Il Da Mosto,
essendo rimasto indietro per affondare la mina, non può partecipare all’azione
antisommergibile. In seguito si riterrà che l’unità nemica sia stata “almeno
fortemente danneggiata”, ma è più probabile che si sia trattato di un falso
allarme.
Alle 10.35 vi è un
nuovo allarme antisom: il Pigafetta avvisa
la scia di un siluro, dà l’allarme e piomba sul sommergibile attaccante insieme
allo Zeno. Pigafetta e Zeno lanciano rispettivamente 9 e 4
bombe di profondità, fino alla comparsa di grosse chiazze di nafta.
Alle 10.50
l’ammiraglio Casardi, in base agli ordini prestabiliti, ordina a Da Mosto e Da Verrazzano di raggiungere Trapani per rifornirsi e poi aspettare
nuovi ordini. Tra le 22 e le 00.30, la VII Divisione ed i restanti
cacciatorpediniere si ormeggiano nel porto di Messina.
22 aprile 1941
Alle 21 (per altra
fonte alle 00.15 del 23), Pessagno e Da Recco, scortando Attendolo e Duca d’Aosta,
lasciano Messina alla volta di Augusta.
23 aprile 1941
Pessagno, Da Recco, Attendolo e Duca d’Aosta entrano ad Augusta alle cinque del mattino, e qui i
due incrociatori iniziano ad imbarcare le mine destinate alla posa del secondo
tratto («S 12» e «S 13») della prima spezzata («S 1») dello sbarramento «S».
L’operazione dura più del previsto, a causa di avarie alle gruette dell’Attendolo, terminando infine alle 10.30.
Alle 11.20 Pessagno, Pigafetta, Da Recco e Zeno, scortando Attendolo, Montecuccoli, Duca d’Aosta ed Eugenio di Savoia, salpano da Augusta diretti verso lo Stretto di
Messina. Nel primo tratto della navigazione le navi sono scortate da aerei da
caccia per protezione contro attacchi aerei nemici; per tutta la durata del
giorno fruiscono inoltre di scorta antisommergibili da parte di velivoli della
ricognizione marittima.
24 aprile 1941
Alle cinque, in mare
aperto, la formazione viene raggiunta anche da Da Mosto e Da Verrazzano,
provenienti da Trapani.
Alle 4.27, intanto,
le navi di Casardi sono arrivate in zona; di nuovo la visibilità è mediocre,
pertanto si attende di poter meglio determinare la propria posizione prima di
procedere alla posa. Alle 6.24 sopraggiungono otto caccia, che assumono la
scorta aerea della formazione; alle 6.37 il Pigafetta avvista
una mina, che viene affondata a colpi di mitragliera dallo Zeno. Alle 6.52, migliorata la
visibilità, le navi iniziano a manovrare per portarsi in linea di fronte a
distanza ravvicinata, come previsto, ed alle 7.34 iniziano la posa delle mine.
L’operazione, svoltasi regolarmente, ha termine alle 9. La posa avviene in
linea di fronte con, da sinistra verso dritta, Da Mosto, Da Verrazzano, Eugenio di Savoia, Montecuccoli, Duca d’Aosta ed Attendolo;
la distanza tra le navi è di 300
metri . Da
Mosto e Da Verrazzano posano
ciascuno 82 mine ad antenna (sfalsate e regolate per 3 metri di profondità) ad
intervalli di 150 metri
su una distanza di 6,6
miglia , mentre gli incrociatori posano 144 mine ad
antenna ciascuno (le file di mine sono denominate, dal Da Mosto all’Attendolo, da «G» a «N»). Anche in questo caso la posa viene
effettuata a 14 nodi dopo di che Da
Mosto e Da Verrazzano accelerano
gradualmente a 18 nodi ed accostano di 30° in fuori per poi assumere la
posizione di scorta laterale.
Alle 7.54, però, la
vecchia torpediniera Simone
Schiaffino – cui Casardi ha appena accordato il permesso di lasciare
l’area dopo che, concluso un rastrello antisommergibile preventivo, era rimasta
sul posto ad attendere la VII Divisione come da ordini – urta una delle mine
del primo tratto ed affonda in tre minuti, portando con sé 79 dei 118 uomini
dell’equipaggio. I naufraghi vengono recuperati dallo Zeno.
Dopo la fine della
posa il Montecuccoli, come da
ordini ricevuti da Casardi, viene lasciato libero di proseguire per La Spezia
con Da Recco e Pessagno, mentre le altre navi si
avviano sulla rotta di rientro. Alle ore 20, Pessagno e Da Recco
lasciano il Montecuccoli per raggiungere
Messina e poi Taranto, dove si trovano le altre navi. Qui si preparano a
prendere parte alla successiva operazione di posa di mine (linee «d», «e», «f»
e «i» del nuovo sbarramento difensivo «T» al largo di Tripoli).
30 aprile 1941
La formazione inizia
a muovere alle 4.30, ed alle 5.50 supera le ostruzioni foranee di Taranto: in
testa sono Pessagno (CF
Scammacca), Da Recco (CV
Muffone), Pigafetta (CV
Mezzadra) e Zeno (CV
Piscicelli) di scorta, seguiti da Eugenio
di Savoia (CV Lubrano, nave di bandiera dell’ammiraglio
Casardi), Duca d’Aosta (CV
Rogadeo), Attendolo (CV
Conti), Da Mosto (CF
Ollandini) e Da Verrazzano.
Tra le 10.10 e le 11.05, al largo di Capo Colonne, la formazione zigzaga.
Alle 12.45 le navi
entrano in un denso banco di nebbia, che riduce la visibilità a non più do 600 metri , uscendone solo
alle 14.20. Alle 15.30 giunge sul cielo della formazione una scorta di caccia e
bombardieri (prima vi erano degli aerei da ricognizione marittima), che
resteranno sino al tramonto; alle 16.05 le navi ricominciano a zigzagare,
proseguendo sino alle 20. Durante la sera, alle 21.05, le unità italiane
assistono in lontananza ad un’incursione aerea su Malta.
1° maggio 1941
La formazione arriva
nella zona stabilita per la posa, ma la densa foschia (visibilità 5-7 km ) complica e ritarda
l’individuazione dei punti di riferimento assegnati per iniziare la posa,
finché, alle 10.15, viene avvistato il fumo della torpediniera Partenope, mandata da Marilibia a
segnare con la sua presenza l’estremità nordoccidentale della linea «f». Alle
10.22, data libertà di manovra a Da Mosto
e Da Verrazzano (scortati da Pigafetta e Zeno) per posare la loro linea di mine, gli incrociatori iniziano
la manovra per disporsi in formazione di posa; alle 10.52 l’Attendolo ed il Duca d’Aosta iniziano la posa della linea «f» (140 mine tedesche ad
antenna disposte su due file sfalsate, con un intervallo di 300 metri tra le
due file e di 100 metri tra le mine di una stessa fila); successivamente l’Attendolo e l’Eugenio di Savoia posano la linea «d» e Duca d’Aosta ed Eugenio di
Savoia posano la linea «e», entrambe identiche alla «f».
La posa delle tre
file termina alle 12.27; solo cinque mine ad antenna esplodono prematuramente,
evento abbastanza comune durante le pose.
Entro le 13 la
formazione si è di nuovo riunita, e si mette pertanto in rotta per tornare alla
base. Stante la fitta foschia ed il conseguente rischio di attacchi da parte di
navi nemiche, i cacciatorpediniere vengono posizionati a 4000 metri dagli
incrociatori, in posizione di scorta avanzata.
2 maggio 1941
Alle 5.30, in base ad
ordini ricevuti alle 18.30 della sera precedente, l’ammiraglio Casardi distacca
Pessagno, Da Recco ed Attendolo
perché raggiungano Messina, mentre il resto delle navi entra ad Augusta alle
6.30. Pessagno, Da Recco ed Attendolo
arrivano a Messina alle 9.15.
11-13 maggio 1941
Partito da Palermo,
insieme agli incrociatori leggeri Giovanni
delle Bande Nere, Luigi Cadorna
(la IV Divisione), Duca degli Abruzzi e Garibaldi
(la VIII Divisione) ed ai cacciatorpediniere Da Recco, Usodimare, Bersagliere, Fuciliere, Alpino, Maestrale e Scirocco, il Pessagno
fornisce protezione a distanza ad un convoglio (piroscafi italiani Ernesto e Tembien, motonavi Giulia
e Col di Lana, piroscafi tedeschi Preussen e Wachtels, scortati dai cacciatorpediniere Dardo, Aviere –
caposcorta –, Geniere, Grecale e Camicia Nera) in navigazione da Napoli (da dov’è partito alle due
dell’11, dopo essere partito già l’8 salvo poi rientrare per allarme navale) a
Tripoli, dove arriva alle 11.40 del 13. La nave torna poi a Palermo.
16 giugno 1941
Il marinaio fuochista
Antonio Verbic, di Postumia Grotte, muore sul Pessagno in navigazione nel Mediterraneo.
22 giugno 1941
Pessagno, Usodimare e Da Recco (la XVI Squadriglia) forniscono
protezione antiaerea ed antisommergibili alle corazzate Littorio e Duilio,
impegnate in un’esercitazione di tiro notturno (con la Duilio che funge da bersaglio) nel Golfo di Taranto.
26 giugno 1941
Salpa da Taranto alle
17.20, insieme a Da Recco, Da Mosto, Da Verrazzano, Pigafetta, Duca d’Aosta (nave di bandiera
dell’ammiraglio Casardi) ed Attendolo,
per la posa della seconda spezzata («S 2») dello sbarramento minato offensivo
«S» nel canale di Sicilia. Stavolta è il Pessagno,
insieme al Pigafetta ed agli
incrociatori, a dover posare le mine.
27 giugno 1941
Vicino ad Augusta, Pessagno e Pigafetta vengono distaccati per
recarsi a Trapani, dove devono imbacare le loro mine, mentre le altre navi proseguono
per Augusta.
Pessagno e Pigafetta entrano a
Trapani alle 17; qui imbarcano ciascuno 101 mine italiane dotate di congegno
antidragante.
Il Pessagno ed il Pigafetta
durante la missione di posa di mine del 28 giugno 1941, fotografati dall’incrociatore
Duca d’Aosta (foto T.V. Antonio
Concialini, archivio privato Luciano Pietri)
|
28 giugno 1941
Alle 2.45 Pessagno e Pigafetta ripartono da Trapani, ed alle
5.10 si ricongiungono con il resto della formazione, partito da Augusta. Alle
6.54 le navi iniziano la posa delle mine, che concludono alle 7.32; tutto si
svolge regolarmente, salvo per lo scoppio prematuro di sei mine. Gli ordigni
vengono posati su quattro file parallele (da sinistra a destra, quella posata
dal Pigafetta, quella del Pessagno, quella del Duca d’Aosta e quella dell’Attendolo); le mine antidraganti sono
regolate per una profondità di tre metri, con intervalli di 120 metri tra un
ordigno e l’altro. Le mine sono sfalsate tra le file.
Terminata la posa, Pessagno e Pigafetta vengno nuovamente inviati a Trapani, mentre le altre
navi proseguono per Augusta.
A Trapani, Pessagno e Pigafetta imbarcano altre 92 mine ciascuno (tipo Elia, dotate di
apparato antidragante), per la posa della terza tratta («S 3», con le spezzate
«S 31» e «S 32» per un totale di 292 mine e 444 boe esplosive) dello
sbarramento «S».
7 luglio 1941
Pessagno e Pigafetta lasciano
Trapani alle 2.05, ed alle 5.23 si uniscono al resto della VII Divisione (Attendolo e Duca d’Aosta, più Da Recco,
Da Mosto e Da Verrazzano di scorta) proveniente da Augusta.
Poco dopo si unisce
alla formazione anche la IV Divisione (Bande
Nere e Di Giussano scortati
da Maestrale, Grecale, Libeccio e Scirocco), partita da Palermo al comando
dell’ammiraglio Porzio Giovanola per partecipare alla posa.
Alle 5.37 l’Attendolo catapulta un idrovolante da
ricognizione, che poco dopo precipita in mare; gli avieri vengono recuperati
dal Da Verrazzano.
Alle 7 le navi (le
mine saranno posate dagli incrociatori nonché da Pessagno e Pigafetta)
iniziano a manovrare per assumere rotta e formazione di posa (Duca d’Aosta, Attendolo, Bande Nere e Di Giussano, in linea di rilevamento
47°, con Pigafetta all’appoggio del Bande Nere e Pessagno all’appoggio del Di
Giussano), ed alle 7.45 iniziano a posare le mine, terminando alle 8.57. Il
Pessagno posa, insieme al Di Giussano (prima il Pessagno e poi l’incrociatore), la linea
“V”, la più a destra delle quattro. L’operazione di posa, effettuata alla
velocità di 10 nodi, avviene con manovre più complesse del solito, poiché sulla
terza e quarta linea devono posare le torpedini prima i cacciatorpediniere e
poi gli incrociatori, senza soluzione di continuità nel ritmo e
nell'equidistanza; le navi danno comunque prova di buon addestramento ed
affiatamento in tali operazioni di precisione, sovente effettuate con pochi
elementi per la determinazione della posizione, oltre che in zone pericolose
per possibili attacchi nemici.
La VII Divisione
dirige poi per Taranto, mentre la IV Divisione verrà lasciata libera di
raggiungere Palermo alle 15.11.
Due immagini del Pessagno durante la missione di posa
mine del 7 luglio 1941 (sopra: g.c. STORIA militare; sotto: Coll. E. Bagnasco
via M. Brescia e www.associazione-venus.it)
26 luglio 1941
Il Pessagno, insieme ai gemelli Pigafetta (caposquadriglia e
comandante superiore in mare, capitano di vascello Mezzadra), Da Verrazzano, Da Mosto, Zeno e Da Noli, lascia Taranto alle 20.
27 luglio 1941
Ai cacciatorpediniere
si uniscono i posamine ausiliari, già traghetti ferroviari, Reggio ed Aspromonte, usciti da Messina alle 7. Le navi dirigono per Trapani,
e durante la navigazione eseguono delle prove evolutive per migliorare la
coordinazione tra traghetti-posamine e cacciatorpediniere, dalle caratteristiche
manovriere molto differenti e che non hanno mai eseguito un’operazione di posa
insieme prima d’ora. Le unità dovranno infatti effettuare la posa della quarta
tratta dello sbarramento «S», la «S 4», composta dalle spezzate «S 41», «S 42»,
«S 43» e «S 44».
28 luglio 1941
Dopo aver dovuto
rallentare nell’ultimo tratto per un’avaria dell’Aspromonte e poi essersi dovute ancorare davanti a Trapani in
attesa della dissoluzione di un banco di nebbia, le navi entrano a Trapani alle
cinque del mattino.
1-2 agosto 1941
Pessagno, Pigafetta, Da Recco, Da Mosto e Da Verrazzano
salpano da Trapani e vengono inviati in appoggio ad una squadriglia di
torpediniere mandata ad effettuare rastrellamento notturno nell’ipotesi del
passaggio di un convoglio britannico nel Canale di Sicilia, a seguito
dell’avvistamento di una forza navale (due corazzate, una portaerei, due
incrociatori ed otto cacciatorpediniere) uscita da Gibilterra e diretta verso
est. L’allarme rientrerà il 4 agosto, con il ritorno della squadra britannica a
Gibilterra.
6 agosto 1941
Cacciatorpediniere e
traghetti imbarcano a Trapani, nel pomeriggio, le mine e le boe strappanti ed
esplosive che dovranno presto posare. Nei giorni successivi le navi restano a
Trapani, pronte a muovere in 6 ore.
7 agosto 1941
Allarme aereo dalle
19.17 alle 19.49.
11 agosto 1941
Pessagno, Pigafetta (capitano
di vascello Mirti della Valle, caposquadriglia e comandante superiore in mare),
Da Mosto, Da Noli, Da Verrazzano, Reggio ed Aspromonte lasciano Trapani alle 22.45 e si dispongono in
linea di fila una volta in franchia delle ostruzioni.
12 agosto 1941
I cacciatorpediniere,
una volta fuori delle rotte di sicurezza, si dispongono in posizione di scorta
ai traghetti-posamine. Alle 6.45 sopraggiunge una scorta aerea di caccia e ricognitori,
che resterà sul cielo delle navi sin al rientro. Alle 8.41 ha inizio la posa
dello sbarramento «S 41», conclusa alle 9.15. Lo sbarramento, al pari di quelli
che saranno posati nei giorni successivi, è formato da due file centrali («C» e
«D», posate da Reggio ed Aspromonte, con intervallo di 100 metri tra ogni mina e
le armi delle due file sfalsate tra di loro) di mine italiane antidraganti, due
file intermedie («B» e «E», posate da Pigafetta e Da Mosto, con intervallo di 66 metri tra ogni boa) di
boe esplosive e due file esterne («A» e «F», posate da Pessagno, Da Noli, Da Verrazzano
e, nelle pose successive, anche Zeno;
intervallo tra le boe 60
metri ) di boe strappanti. Tra ogni fila la distanza è di
200 metri ;
la lunghezza delle file è di otto miglia. Il Pessagno, insieme al Da Noli, posa
le 220 boe strappanti della fila «F».
Tra le 14 e le 15.15
le navi si ormeggiano a Trapani; Pessagno,
Pigafetta, Da Mosto, Da Noli, Da Verrazzano, Zeno, Reggio ed Aspromonte imbarcano le mine della
spezzata «S 42».
Alle 20 i
cacciatorpediniere accendono le caldaie, per partire alle 24.
13 agosto 1941
Causa ritardi
nell’imbarco delle mine, all’una si decide di rimandare la partenza di
ventiquattr’ore.
14 agosto 1941
Tra le 00.00 e
l’1.20 Pessagno, Pigafetta, Da Mosto, Da Noli, Da Verrazzano, Zeno, Reggio ed Aspromonte lasciano Trapani; in franchia
delle ostruzioni si mettono in linea di fila, ed in franchia delle rotte di
sicurezza i cacciatorpediniere si pongono in formazione di scorta a Reggio ed Aspromonte.
Alle 7.53, giunte
vicine alla zona di posa, le navi devono constatare che il mare agitato al
traverso, da Maestrale, impedisce la
posa, quindi tornano indietro, entrando a Trapani tra le 12.50 e le 14.50.
15 agosto 1941
Allarme aereo dalle
2.45 alle 3.
16 agosto 1941
Accese le caldaie
all’1.30, Pessagno, Pigafetta, Da Mosto, Da Noli, Da Verrazzano, Zeno, Reggio ed Aspromonte lasciano Trapani tra le
4.30 e le 5.40. Superate le ostruzioni si dispongono in linea di fila, e fuori
dalle rotte di sicurezza i cacciatorpediniere scortano i traghetti-posamine.
La posa della
spezzata «S 42» inizia alle 12.04 e finisce alle 12.56 (il Pessagno, insieme al Da Noli, posa 198 boe strappanti,
la fila «F»), poi le navi fanno rotta su Trapani, arrivandovi tra le 16.30 e le
18.
17 agosto 1941
Le navi imbarcano a
Trapani le mine per la spezzata «S 43», da posare il 18, ma alle 22.30 viene
comunicato il rinvio di 24 ore dell’operazione.
19 agosto 1941
I cacciatorpediniere
accendono le caldaie alle 00.30, e tra le 3.30 e le 4.40 escono da Trapani,
mettendosi in linea di fila in franchia delle ostruzioni e poi di scorta a Reggio ed Aspromonte dalle 6.20.
La posa della «S 43»
inizia alle 10.40 e viene completata alle 11.34 (Pessagno e Da Noli posano
di nuovo la fila «F», composta stavolta da 248 boe strappanti), poi le navi
mettono la prua su Trapani, dove i cacciatorpediniere arrivano tra le 15.20 e
le 17.10.
20 agosto 1941
A Trapani vengono
imbarcate le mine della spezzata «S 44». Allarme aereo dalle 19.50 alle 20.10,
dalle 21.10 alle 21.45 e dalle 22.55 alle 23.10; vengono avvistati tre
bombardieri Bristol Blenheim ed i cacciatorpediniere aprono un fuoco di
sbarramento con le mitragliere, ma i Blenheim non sganciano alcuna bomba.
La posa della «S 44»
dovrebbe aver luogo il 22 agosto, ma il maltempo la fa rimandare di
ventiquattr’ore.
23 agosto 1941
Pessagno, Pigafetta, Da Mosto, Da Noli, Da Verrazzano e Zeno accendono le caldaie alle
3.30, poi partono tra le 4.25 e le 5.40. Come al solito, superate le ostruzioni
assumono la linea di fila, poi dirigono per la zona di posa seguendo le rotte
prescritte; alle 7 arriva la scorta aerea, che resterà sino al rientro.
La posa della «S 44»
viene cominciata alle 10.23 ed ultimata alle 11.17 (di nuovo Pessagno e Da Noli posano la fila «F», composta stavolta da 230 boe
strappanti), poi si assume la rotta di rientro, arrivando a Trapani tra le
14.30 e le 16.
Lo stesso giorno Pessagno, Pigafetta, Da Verrazzano,
Usodimare, Malocello e Da Noli
escono nuovamente in mare di scorta alle corazzate Littorio e Vittorio Veneto,
uscite in mare per intercettazione di forze navali britanniche, ma la missione
si conclude senza che si prenda contatto con forze nemiche.
29 agosto 1941
Il Pessagno, insieme all’Usodimare, al Da Noli ed ai cacciatorpediniere Aviere (caposcorta), Camicia
Nera e Vincenzo Gioberti, salpa
da Napoli per Tripoli alle 11.15, scortando i grossi trasporti truppe Victoria, Neptunia ed Oceania.
A mezzogiorno il
sommergibile britannico Urge (tenente
di vascello Edward Philip Tomkinson) avvista il convoglio mentre transita nella
Bocca Piccola diretto verso sud, per poi disporsi su due colonne (Neptunia e Oceania nella colonna di dritta, Victoria da sola in quella di sinistra) ed assumere rotta 215°.
Dopo essere temporaneamente sceso a 15 metri (dalle 12.14 alle 12.16) per non
essere avvistato da un cacciatorpediniere che ha ridotto le distanze, alle
12.18 l’Urge, nel punto 40°25’ N e
14°25’ E (al largo di Capri), lancia tre siluri da 3660 metri contro il
trasporto più vicino: la Victoria,
che Tomkinson ha scambiato per un più grande e vecchio transatlantico del tipo
“Duilio”. La motonave viene mancata dai siluri, così come l’Urge viene mancato dalle 26 bombe di
profondità gettate dalla scorta tra le 12.24 e le 12.55 (nessuna esplode
particolarmente vicino al sommergible), così ritirandosi verso sudest con
l’errata impressione di avere colpito il bersaglio.
31 agosto 1941
Alle 6.30 il
sommergibile britannico Upholder
(tenente di vascello Malcolm David Wanklyn) rileva rumori di navi in
avvicinamento, nota del fumo e poi avvista il convoglio (con i trasporti truppe
disposti su due colonne) in avvicinamento su rotta 250°, poi 225°. Avvicinatosi
con un’accostata verso nord, il battello britannico lancia una salva di quattro
siluri, da 5500-6400 metri di distanza, alle 7.10, contro Neptunia e Oceania (in
posizione 32°50’ N e 13°55’ E, a levante di Tripoli). Nessuna delle armi va a
segno, e dalle 7.16 alle 7.30 due dei cacciatorpediniere contrattaccano con il
lancio di 23 bombe di profondità, che tuttavia non danneggiano l’Upholder il quale frattanto si ritira
verso nord.
Il convoglio giunge a
Tripoli alle 9.30.
1° settembre 1941
Pessagno, Usodimare, Da Noli, Aviere (caposcorta), Gioberti
e Camicia Nera ripartono da Tripoli
alle 20.30, scortando Victoria, Neptunia ed Oceania che rientrano vuote a Taranto.
2 settembre 1941
Il convoglio arriva a
Taranto alle 15.
16 settembre 1941
Il Pessagno (capitano di fregata Scammacca)
salpa da Taranto alle 20.20, insieme ai cacciatorpediniere Da Recco (caposcorta, capitano di vascello Stanislao Esposito), Da Noli, Usodimare, Alfredo Oriani
e Vincenzo Gioberti, per scortare a
Tripoli un convoglio veloce formato dalle motonavi Vulcania, Neptunia ed Oceania, cariche di truppe italiane e
tedesche.
Il convoglio non
segue subito la rotta diretta per Tripoli, mantenendosi invece molto più ad
est, in modo da tenersi al di fuori del raggio operativo degli aerosiluranti di
base a Malta (è previsto di accostare per Tripoli solo quando si sarà giunti
nei pressi della costa libica). Inizialmente la navigazione del convoglio si
svolge approssimativamente lungo la tangente al cerchio avente centro Malta e
raggio 160 miglia; poi, dopo l’accostata, le navi imboccheranno un corridoio
stretto tra il predetto cerchio di raggio 160 miglia, a nord, ed i campi
minati, a sud.
E proprio nel tratto
finale di questo “corridoio”, dove il percorso è obbligato, sono stati inviati
in agguato, a seguito di decrittazioni di “ULTRA” su orari e rotte del
convoglio, quattro sommergibili britannici: l’Unbeaten (100 miglia ad est di Tripoli), l’Upholder (10 miglia a nordovest dell’Unbeaten) e l’Upright (20
miglia a nordovest dell’Unbeaten), a
formare uno sbarramento perpendicolare alla presunta rotta dei convogli diretti
da Tripoli e provenienti da est; e l’Ursula,
30 miglia ad est di Tripoli, all’imbocco della rotta di sicurezza.
17 settembre 1941
In mattinata, il
convoglio viene avvistato da un ricognitore britannico, avvistato dall’Usodimare alle otto del mattino. Alle
16.52 l’Usodimare avvista un
sommergibile su rilevamento 140°, a 7000 metri di distanza; mentre il convoglio
accosta a dritta, Pessagno ed Usodimare, che sono in posizione di
scorta laterale a sinistra, lasciano la formazione (il Gioberti viene mandato dal caposcorta a rimpiazzare il Pessagno) e danno la caccia al
sommergibile. Alle 17.20 i due cacciatorpediniere si riuniscono al convoglio
che, già pochi minuti dopo l’avvistamento, è tornato sulla rotta originaria
(180°). Probabilmente si è trattato di un falso allarme, non risultando che vi
fossero sommergibili britannici nella zona attraversata in quel momento.
Alle 19.15 il
convoglio assume rotta 255° (per giungere al punto di atterraggio “B”, tra Homs
e Tripoli), ed alle 21.05 una vedetta del Pessagno
avvista quello che ritiene essere un bengala del tipo utilizzato dai
britannici, spentosi immediatamente; il Pessagno
lo riferisce al caposcorta.
Il convoglio procede
con le motonavi disposte in formazione a triangolo (Oceania a dritta, Vulcania
a sinistra, Neptunia in coda tra le
due), con i cacciatorpediniere tutt’intorno (il Da Recco in testa, quale caposcorta).
18 settembre 1941
Alle 3.30 appare la
luna all’ultimo quarto, a poppavia sinistra del convoglio. Alcuni minuti prima,
alle 3.07, l’Unbeaten (il più a sud
dei tre sommergibili dislocati a cavallo della rotta) ha avvistato le navi
italiane dirette verso Tripoli; essendo troppo lontano per lanciare i siluri
con concrete possibilità di successo, il battello britannico comunica
l’avvistamento per radio ai tre “colleghi” in agguato nelle vicinanze, che ricevono
tutti il messaggio. Anche Supermarina intercetta e decifra il messaggio dell’Unbeaten, che ritrasmette il prima
possibile al Da Recco, per avvisarlo:
ma è già troppo tardi.
L’Upholder, infatti, non appena ricevuto
il messaggio si è mosso verso il convoglio, l’ha avvistato alle 3.50 a 6 miglia
per 045° (la visibilità del convoglio è aumentata da un problema della Vulcania, dal cui fumaiolo esce un
vistoso pennacchio di scintille) ed ha lanciato una salva di siluri, alle 4.06
(orario britannico), da 4570 metri di distanza.
Alle 4.15 (orario
italiano), due delle armi vanno a segno: in posizione 33°02’ N e 14°42’ E
(fonti italiane; 33°01’ N e 14°49’ E per l’Upholder),
la Neptunia e l’Oceania vengono colpite, una dopo l’altra. Il disastro coglie il
convoglio del tutto di sorpresa: nessuno, né sulle motonavi né sui
cacciatorpediniere, ha avvistato il sommergibile o le scie dei siluri, neanche
all’ultimo momento.
Dato che l’Oceania sembra venirgli addosso, il Pessagno ne imita la manovra, mettendo
tutta la barra a sinistra.
Mentre la Vulcania, unica rimasta indenne,
prosegue per Tripoli con la scorta dell’Usodimare
(capitano di freagata Galleani) per ordine del caposcorta (le due navi
giungeranno indenni a destinazione, dopo aver eluso un attacco da parte dell’Ursula), gli altri quattro
cacciatorpediniere si portano subito sotto le navi colpite, per fornire
soccorso. Il Pessagno, non ricevendo
alcun tipo di comunicazione dalle motonavi danneggiate, raggiunge subito la più
vicina, l’Oceania, che si sta
fermando. La motonave appare in assetto normale, solo leggermente appoppata.
La Neptunia è, delle due, quella in
condizioni più critiche: il siluro è esploso a poppavia del traverso,
probabilmente sotto la chiglia, provocando immediatamente l’immobilizzazione
della nave e la cessazione dell’erogazione dell’energia elettrica. La motonave
inizia subito ad appopparsi ed a sbandare sulla sinistra: ogni tentativo di
contenere gli allagamenti è inutile, equipaggio e truppe devono iniziare ad
abbandonare della nave. A recuperare i naufraghi sono Gioberti e Da Noli; la Neptunia s’inabissa alle 6.50,
impennando la prua.
Maggiori speranze si
nutrono per l’Oceania, che – colpita
a poppa – non ha subito danni tali da comprometterne la galleggiabilità: gli
allagamenti vengono contenuti, e la maggior parte dell’apparato propulsivo
(eccetto la motrice interna di sinistra, che dev’essere fermata per probabile
perdita dell’elica) rimane in funzione. Unico problema serio è che la nave
inizia ad accostare involontariamente a sinistra, forse perché il timone è
stato danneggiato e bloccato in tale posizione dallo scoppio del siluro.
Il Pessagno vede che la motonave inizia a
calare delle lance, mentre naufraghi in acqua chiedono aiuto; il comandante
Scammacca del Pessagno propone a
quello dell’Oceania di prendere a
rimorchio la motonave, per allontanarla dalla zona pericolosa e per tentare di
portarla in costa; domanda inoltre dettagli circa i danni subiti. Il comandante
militare dell’Oceania, capitano di
vascello Giuseppe Battaglia, risponde a mezzo megafono che la nave è stata
colpita ad un’elica, che il timone è inutilizzabile, un asse è rotto e la stiva
numero 5 è allagata, e per questo, temendo che le paratie non resistano al moto
(ed anche in considerazione del fatto che la nave è ora molto vulnerabile e
potrebbe essere silurata di nuovo), prima di tentare un rimorchio preferisce
sbarcare le truppe, chiedendo a Scammacca di imbarcare i naufraghi. Battaglia
aggiunge che, dopo aver trasbordato le truppe, tenterà di raggiungere la costa
con le due eliche esterne, e che penserà al rimorchio se ve ne sarà bisogno.
Il Pessagno compie un rapido giro intorno
all’Oceania; chiede l’assistenza del Gioberti, ma poi lo vede intento a
soccorrere la Neptunia (che è
fortemente sbandata e dista 150-200 metri dall’Oceania), e Scammacca comprende di non poter contare sul suo aiuto.
A questo punto, il Pessagno si
avvicina all’Oceania per iniziare
l’imbarco dei naufraghi: le imbarcazioni sulle quali salgono i soldati
(inizialmente gli italiani, che si calano lungo le biscagline, mentre i
tedeschi vengono radunati a prua e fatti salire sugli zatteroni, frattanto
messi a mare) raggiungono il cacciatorpediniere, che prende a bordo i soldati.
Il comandante Scammacca decide di non lanciare in acqua bombe di profondità,
dato che ucciderebbero i molti uomini che sono in mare.
Dopo aver già
riferito al Da Recco quanto a sua
conoscenza, il Pessagno contatta
nuovamente il caposcorta per chiedere assistenza, dato che si sta facendo
giorno ed il rischio di un nuovo attacco subacqueo si fa più concreto (di
notte, con la luce lunare, ciò sarebbe possibile solo col sommergibile in
affioramento, il che è ritenuto improbabile, data la vigilanza dei
cacciatorpediniere; ma con l’arrivo del giorno, il sommergibile può attaccare
anche restando immerso). Scammacca chiede che siano inviati un altro
cacciatorpediniere, un rimorchiatore e degli aerei da caccia.
Non ha torto: alle
cinque del mattino l’Upright,
avvistando le due motonavi immobilizzate, ha dato inizio ad una manovra
d’attacco per dare loro il colpo di grazia, salvo rinunciare alle 5.25 per la
presenza dei cacciatorpediniere.
Per giunta l’Upholder, sceso in profondità dopo
l’attacco (alle 4.08) per ripiegare verso sud, alle 4.45 è riemerso ed ha
osservato la scena delle due motonavi colpite con i cacciatorpediniere
impegnati nei soccorsi, e Wanklyn ha deciso di spostarsi verso est per
ricaricare i siluri ed attaccare nuovamente all’alba: alle 5.30 l’Upholder torna ad immergersi e si
avvicina alle navi italiane, ricaricando i tubi di lancio, ed alle 6.30 avvista
l’Oceania ed il Pessagno, decidendo di attaccare la prima.
Alle 6.52 anche l’Unbeaten (capitano di corvetta Edward
Arthur Woodward) avvista l’Oceania
danneggiata e si avvicina per attaccare, ma viene dissuaso dalla presenza dei
cacciatorpediniere.
Nonostante il mare
agitato con vento di Maestrale che va
rinfrescando, forza 3-4, il trasbordo delle truppe dall’Oceania al Pessagno
procede bene; il Pessagno tenta anche
di affiancarsi sottovento all’Oceania,
ma il mare agitato sconsiglia tale manovra, che viene interrotta all’ultimo
momento. Non risulta nemmeno possibile restare sottovento alla motonave, perché
essa scarroccia considerevolmente ed intanto il Pessagno porta la prua al vento, rischiando una collisione.
Per il trasbordo dei
naufraghi viene impiegata anche la motobarca del Pessagno; una trentina di marinai del cacciatorpediniere
sostituiscono inoltre buona parte dei marinai dell’Oceania, ormai sfiniti, quali equipaggi delle scialuppe. Il Pessagno continua l’operazione da solo;
il Da Recco è andato ad assistere Gioberti e Da Noli nel recupero dei superstiti della Neptunia.
Alle 7.30, il Pessagno ha già imbarcato 2000 uomini
dell’Oceania (quasi dieci volte il
proprio equipaggio), e Scammacca non sa più dove mettere i naufraghi che
continuano ad arrivare: lo comunica pertanto prima all’Oceania e poi al Da Recco,
al quale chiede di effettuare un lancio preventivo di bombe di profondità
attorno alla zona in cui si trova l’Oceania.
Alle 7.56 l’Upholder sta per lanciare i siluri,
quando un cacciatorpediniere classe Navigatori (probabilmente proprio il Pessagno od il Da Recco) gli passa vicino, inducendo Wanklyn a scendere in
profondità; alle 7.59 l’Upholder
scende a 21 metri e manovra per portarsi di nuovo in poszione di attacco.
Intanto, il Da Recco giunge sul posto per sostituire
il sovraccarico Pessagno nell’opera
di soccorso; gli comunica che da ora sarà lui a proseguire il salvataggio, e
poco dopo ordina al Pessagno di
raggiungere Tripoli, distante una novantina di miglia, per poi tornare sul
posto il prima possibile.
Ma il Pessagno non farà in tempo a tornare,
perché alle 8.51 l’Upholder lancia
un’altra salva di siluri contro l’Oceania:
colpita da due delle armi, la motonave affonda in sette minuti. Al Da Recco non resta che recuperare i
naufraghi, operazione alla quale partecipano anche le torpediniere Perseo, Centauro, Circe e Clio (giunte verso le otto) e la nave
soccorso Laurana, inviate sul posto
da Marina Libia.
La perdita dei due
transatlantici è un duro colpo, ma grazie all’alacre opera di soccorso delle
siluranti risulta possibile salvare la larghissima maggioranza del personale
imbarcato: 5434 uomini su 5818, cioè il 93 %. Il Pessagno, da solo, ha salvato 2083 uomini, probabilmente un primato
(specie in considerazione delle non grandi dimensioni del cacciatorpediniere,
stipato all’inverosimile con oltre 2300 uomini tra naufraghi ed equipaggio,
mettendo a repentaglio la stabilità stessa della nave); il Da Recco ne ha recuperati 1302, il Da Noli 682, il Gioberti
582, l’Usodimare (tornato sul posto
dopo aver accompagnato a Tripoli la Vulcania)
485, la Clio 163, la Perseo 131, la Circe 3 ed altri tre gli idrovolanti di soccorso.
Molti gli episodi di
altruismo e di vero e proprio eroismo: diversi marinai dei cacciatorpediniere
si sono tuffati in acqua per sostenere e soccorrere i soldati che versavano in
condizioni peggiori; una volta a bordo, i naufraghi sono stati rifocillati e
rivestiti con indumenti offerti spontaneamente da ufficiali e marinai delle
unità soccorritrici.
19 settembre 1941
Pessagno, Da Recco, Da Noli ed Usodimare lasciano Tripoli alle 19.30 per scortare a Napoli la Vulcania, che rientra per la rotta di
ponente.
21 settembre 1941
Le navi arrivano a
Napoli alle 2.45.
26-29 settembre 1941
Il Pessagno, insieme al Da Recco ed al Folgore (aggregato alla XVI Squadriglia Cacciatorpediniere), salpa
da Napoli unitamente alle navi da battaglia Littorio
e Vittorio Veneto (IX Divisione) ed
alla XIII Squadriglia Cacciatorpediniere (Granatiere,
Bersagliere, Fuciliere, Vincenzo Gioberti)
per raggiungere ed attaccare un convoglio britannico diretto a Malta e scortato
dalla Forza H britannica con tre corazzate ed una portaerei, oltre a cinque
incrociatori e 18 cacciatorpediniere (operazione britannica «Halberd»). Partono
anche la III (Trento, Trieste, Gorizia) e la VIII Divisione (Duca
degli Abruzzi, Attendolo)
rispettivamente da Messina e La Maddalena, accompagnate rispettivamente dalla
XII (Lanciere, Carabiniere, Corazziere, Ascari) e dalla X Squadriglia
Cacciatorpediniere (Maestrale, Grecale, Scirocco). A mezzogiorno del 27 la III, la VIII e la IX Divisione,
con le rispettive squadriglie di cacciatorpediniere, si riuniscono una
cinquantina di miglia ad est di Capo Carbonara, per intercettare il convoglio,
poi dirigono verso sud a 24 nodi per l’intercettazione. Risultando però – in
seguito alle segnalazioni dei ricognitori – in inferiorità rispetto alla forza
britannica, e per giunta sprovvista di copertura aerea, la squadra italiana
alle 14.30 inverte la rotta per portarsi fuori dal raggio degli aerosiluranti
nemici. Alle 15.30 sopraggiungono tre caccia italiani FIAT CR. 42 assegnati
alla scorta aerea, ma, per via della loro somiglianza agli aerosiluranti
britannici (sono anch’essi biplani), vengono inizialmente scambiati per aerei
inglesi ed il Fuciliere ne abbatte il
capo pattuglia, mentre gli altri due si allontanano. Il pilota dell’aereo,
fortunatamente, rimane illeso e può paracadutarsi, venendo poi recuperato dal Granatiere. Alle 17.18, avendo ricevuto
comunicazioni secondo cui la squadra britannica avrebbe subito pesanti danni a
causa degli attacchi aerei, la formazione italiana dirige nuovamente verso sud
(prima stava procedendo verso nord), salvo invertire nuovamente la rotta alle
18.14, portandosi al centro del Mar Tirreno. Alle otto del mattino del 28 le
navi italiane, come ordinato, raggiungono un punto 80 miglia ad est di Capo
Carbonara, poi fa rotta per ovest-sud-ovest ma infine, alle 14.00, dato che i
ricognitori non trovano più alcuna nave nemica a sud ed ad ovest della Sardegna
(il convoglio è infatti passato) viene ordinato il rientro alle basi. La XVI
Squadriglia (meno il Folgore,
dirottato su Messina causa avaria) e la IX Divisione raggiungono Napoli.
7 ottobre 1941
Il Pessagno ed il cacciatorpediniere Vincenzo Gioberti (caposcorta) salpano
da Tripoli per Napoli alle 17.30, scortando il piroscafo scarico Amsterdam.
9 ottobre 1941
Nella notte tra l’8
ed il 9, a nordest di Marettimo, le navi sono oggetto di attacco aereo, durante
il quale l’Amsterdam viene colpito da
una bomba a prua; nonostante il danno, la nave è in grado di proseguire con i
propri mezzi, senza nemmeno dover ridurre la velocità.
Le tre navi giungono
a Napoli alle 18.15.
15 ottobre 1941
Pessagno, Zeno e Da Noli (nave ammiraglia del contrammiraglio
Amedeo Nomis di Pollone, comandante del Gruppo Cacciatorpediniere di Scorta)
partono da Augusta alle 19 per una missione di trasporto: a bordo hanno 870
soldati da trasportare a Bengasi.
A seguito della
perdita di vari transatlantici impiegati per trasporto di truppe (per ultimi
proprio Neptunia ed Oceania), il Comando Supremo ha infatti
deciso, ad inizio ottobre, di non utilizzare più tali navi – troppo grandi e
vulnerabili, a grande rischio di essere silurate, con elevate perdite umane in
caso di affondamento – ma di affidare invece il trasporto da Augusta a Bengasi
di reparti organici di truppe tedesche, dotate del solo equipaggiamento
individuale, a gruppi di cacciatorpediniere.
Per questo compito
sono stati scelti appunto i “Navigatori”, i più grandi (e quindi capienti)
cacciatorpediniere disponibili: tra di essi il Pessagno.
Le missioni di
trasporto devono essere effettuate ad elevata velocità (21 nodi) e con la
protezione, nelle ore diurne, di aerei italiani e tedeschi.
16 ottobre 1941
I tre cacciatorpediniere
arrivano a Bengasi alle 16.30 e ne ripartono alle 20.30, trasportando 52 tra
civili e militari rimpatriandi.
18 ottobre 1941
Pessagno, Zeno e Da Noli giungono ad Augusta alle otto.
20 ottobre 1941
Pessagno, Zeno e Da Noli (nave ammiraglia del
contrammiraglio Nomis di Pollone) lasciano nuovamente Augusta per Bengasi,
trasportando un reparto di 800 uomini.
21 ottobre 1941
Alle 8.30, quindici
miglia a nord di Bengasi, i cacciatorpediniere vengono attaccati due volte da
sommergibili, con il lancio in tutto di almeno cinque siluri, che riescono ad
evitare con pronte contromanovre, oltre che grazie alla vigilanza degli aerei
di scorta. Secondo fonti britanniche l’attaccante sarebbe il sommergibile HMS Regent (tenente di vascello Walter
Neville Ronald Knox), ma l’attacco sarebbe avvenuto alle 14.30: il Regent
avvista una nave alle 14.20, nel canale dragato che porta a Bengasi, ma è
costretto subito a scendere in profondità da un aereo che gli si avvicina;
tornato a quota periscopica dieci minuti più tardi, avvista i
cacciatorpediniere a 1830 metri di distanza e lancia sei siluri contro due dei
cacciatorpediniere, che si “sovrappongono” nella visuale del periscopio. A
causa della sottostima della velocità dei bersagli, nessun siluro va a segno,
ed i cacciatorpediniere reagiscono lanciando quattro bombe di profondità, che
esplodono a poppavia del Regent,
piuttosto vicine, ma senza causare danni.
Le navi arrivano a
Bengasi alle 15.40. Ripartono alle 18.30, con a bordo 170 rimpatriandi.
23 ottobre 1941
Pessagno, Zeno e Da Noli arrivano ad Augusta alle 2.30.
3 novembre 1941
Pessagno, Vivaldi
(caposquadriglia, capitano di vascello Giovanni Galati) e Da Noli salpano da Augusta alle 19 trasportando 788 militari
diretti a Bengasi.
4 novembre 1941
I cacciatorpediniere
giungono a Bengasi alle 13.30; ripartono due ore dopo, con a bordo 217
rimpatriandi.
5 novembre 1941
Pessagno, Vivaldi e Da Noli giungono ad Augusta alle 18.15.
10 novembre 1941
Pessagno, Vivaldi
(caposquadriglia, capitano di vascello Galati) e Da Noli partono da Reggio
Calabria alle 14.30, per trasportare a Bengasi un reparto di 728 uomini.
11 novembre 1941
A causa del maltempo,
i cacciatorpediniere devono puggiare e sostare a Navarino dalle 10.30 alle
20.30.
12 novembre 1941
Pessagno, Vivaldi e Da Noli arrivano a Bengasi alle 15;
ripartono quattro ore più tardi, trasportando militari e civili rimpatriandi e quattro prigionieri
di guerra britannici (tre ufficiali ed un sottufficiale).
13 novembre 1941
I cacciatorpediniere
giungono a Reggio Calabria alle 18.
21 novembre 1941
Alle 18, Pessagno (capitano di fregata Antonio
Dallai), Da Noli (capitano di fregata
Luigi Cei Martini) e Pigafetta o Vivaldi (capitano di vascello Giovanni
Galati, caposquadriglia della XIV Squadriglia Cacciatorpediniere, cui appartengono
tutte le unità in questione) sostituiscono il Da Recco e la torpediniera Enrico
Cosenz nella scorta al convoglio «C» (motonavi Monginevro, Napoli e Vettor Pisani e motonave cisterna Iridio Mantovani, scortate, oltre che da
Cosenz e Da Recco, dal cacciatorpediniere Turbine e dalla torpediniera
Perseo).
Il convoglio fa parte
di un’operazione di traffico volta ad inviare Urgenti rifornimenti in Libia, dov’è iniziata da pochi giorni
un’offensiva britannica (operazione «Crusader») e dopo che la distruzione del
convoglio «Duisburg», avvenuta il 9 novembre ad opera della Forza K britannica,
ha provocato la perdita di un ingente quantitativo di rifornimenti diretti in
Africa Settentrionale.
L’operazione vede in
mare anche un secondo convoglio, l’«Alfa», salpato da Napoli alle 19 del 20
(motonavi Ankara e Sebastiano Venier e cacciatorpediniere Maestrale, Alfredo Oriani e Vincenzo
Gioberti). Entrambi dovranno seguire la rotta di levante, passando per lo
Stretto di Messina e tenendosi poi al di fuori del raggio d’azione degli
aerosiluranti d Malta (190 miglia).
La III e VIII
Divisione Navale sono in mare per dare loro protezione.
Al contempo, una
motonave veloce (la Fabio Filzi) è
partita anch’essa pera Tripoli ma sulla rotta di ponente (per il Canale di
Sicilia), con la scorta di un paio di cacciatorpediniere (oltre che di aerei:
sia sui due convogli che sulla Filzi la scorta aerea dovrà essere continua,
nelle ore diurne, dal 20 al 23 novembre), per non dare nell’occhio.
Contestualmente sono partiti per Bengasi l’incrociatore leggero Luigi Cadorna in missione di trasporto
di carburante (da Brindisi) e le motonavi Città
di Palermo e Città di Tunisi
cariche di truppe (da Taranto), e vengono fatte rientrare in Italia le navi
rimaste bloccate a Tripoli dall’inizio di novembre. L’idea è che un tale numero
di navi in movimento contemporaneamente, divise in più convogli sparsi su una
vasta area, confonda e disorienti la ricognizione maltese; che i convogli
finiscano col coprirsi a vicenda; che la presenza in mare della III e VIII
Divisione scoraggi interventi da parte della Forza K britannica (autrice della
distruzione del convoglio «Duisburg»), notevolmente inferiore per numero e
potenza (incrociatori leggeri Aurora
e Penelope e cacciatorpediniere Lance e Lively). L’Aeronautica, oltre alla scorta antiaerea ed
antisommergibile dei convogli, effettua anche azioni di ricognizione e di
bombardamento degli aeroporti di Malta. Alcuni sommergibili vengono disposti in
agguato nelle acque circostanti l’isola.
Il convoglio «Alfa» è
stato però avvistato da un ricognitore britannico poco dopo la partenza; a
seguito dell’intercettazione di un messaggio radio britannico dal quale risulta
che una forza navale britannica non è molto lontana, il convoglio viene
dirottato ad Argostoli, ponendo così fine alla sua partecipazione
nell’operazione.
Il convoglio «C»,
invece, prosegue; quando Pessagno, Pigafetta e Da Noli lo raggiungono, ad esso si è già unita per scorta diretta
la VIII Divisione (incrociatori leggeri Luigi
di Savoia Duca degli Abruzzi, nave di bandiera del comandante superiore in
mare, ammiraglio di divisione Giuseppe Lombardi, e Giuseppe Garibaldi; cacciatorpediniere Aviere, Geniere, Corazziere, Carabiniere e Camicia Nera).
È in mare anche la III Divisione (incrociatori pesanti Trento, Trieste e Gorizia, quest’ultimo nave ammiraglia),
per scorta strategica.
Convoglio e scorta
sono stati da poco avvistati da un aereo e da un sommergibile avversari, che
segnalano a Malta la presenza di navi mercantili e navi da guerra italiane
dirette verso lo stretto di Messina. Supermarina intercetta e decifra entrambi
i segnali di scoperta; stante però la potente scorta di cui il convoglio gode,
sia Supermarina che l’ammiraglio Lombardi decidono di proseguire, senza neanche
modificare la rotta.
Alle 19.50 il
convoglio e la VIII Divisione imboccano lo stretto di Messina, e poco dopo
vengono raggiunti anche dalla III Divisione dell’ammiraglio Angelo Parona. La
VIII Divisione si posiziona in testa al convoglio, la III in coda; tutta la
formazione assume direttrice di marcia lungo la costa siciliana, a 14 nodi,
come ordinato. Alle 20.45 l’ammiraglio Lombardi viene informato da Supermarina
che forze di superficie britanniche sono in mare, e provvede ad ordinare a
tutte le unità “posto di combattimento generale”, avvisandole dell’eventualità
di un incontro notturno con navi nemiche. Contemporaneamente il convoglio
inizia ad essere sorvolato da ricognitori britannici, che volano sul suo cielo
con qualche luce volutamente lasciata accesa, in modo da attirare il fuoco
contraereo delle navi, che segnalano così, involontariamente, la direttrice di
marcia del convoglio. L’ammiraglio Lombardi ordina tassativamente di non aprire
il fuoco contro i ricognitori, essendo peraltro inutile, proprio per evitare di
segnalare la propria posizione; ma durante la notte diverse navi, soprattutto
tra quelle mercantili, si lasciano sfuggire sporadiche raffiche di mitragliera
contro tali velivoli.
I ricognitori non
perdono mai di vista il convoglio, aggiornando continuamente Malta sui suoi
spostamenti: innumerevoli messaggi vengono intercettati e decifrati sia da
Supermarina che dal comando della VIII Divisione.
Alle 21.45 la
formazione assume rotta 96°, in modo da uscire prima possibile dal raggio
d’azione degli aerosiluranti, e poco dopo si dispone in ordine di marcia
notturna, con l’VIII Divisione a dritta e la III a sinistra. Tale cambiamento
di rotta e formazione viene ordinato dall’ammiraglio Lombardi per cercare di
disorientare i ricognitori; ma poco dopo ricompaiono i bengala ed i fanalini
dei ricognitori, a mostrare che il convoglio non è stato perso di vista. Non
passa molto, anzi, prima che inizi una serie di violenti attacchi aerei; ed
anche sommergibili britannici si avvicinano al convoglio per attaccarlo.
Alle 23.12 il Trieste viene silurato dal sommergibile
britannico Utmost (capitano di
corvetta Richard Douglas Cayley), riportando danni gravissimi: rimane
immobilizzato, e potrà rimettere in moto solo alle 00.38, scortato da Corazziere e Carabiniere, per trascinarsi verso Messina. Ma non è finita.
22 novembre 1941
Poco dopo le 00.30,
diverse unità sentono rumore di aerei, e dopo pochi secondi molti bengala
iniziano ad accendersi, uno dopo l’altro, nel cielo a nord del convoglio, su
rotta ad esso parallela: l’ammiraglio Lombardi ordina subito a tutte le unità
di accostare a un tempo di 90° verso sud, per dare la poppa ai bengala. Si
prepara infatti un attacco di aerosiluranti: Duca degli Abruzzi, Garibaldi
e le quattro motonavi appaiono ben visibili nella luce dei bengala. L’ordine
viene eseguito, ma alle alle 00.38 anche il Duca
degli Abruzzi viene colpito da un siluro d’aereo, e si ferma con gravi
danni.
La menomazione della
forza di scorta, insieme ai continui e violenti attacchi aerei ed alla notizia
della presenza in mare di forze di superficie britanniche, inducono
l’ammiraglio Lombardi ad ordinare che il convoglio, accompagnato da Trento e Gorizia e dalla XI Squadriglia Cacciatorpediniere (oltre alla
scorta diretta), rientri a Taranto; Supermarina conferma l’ordine. Garibaldi e XIII Squadriglia rimangono
ad assistere il Duca degli Abruzzi,
che riuscirà faticosamente a rientrare a Messina.
Il Pessagno recupera intanto un ufficiale
osservatore britannico, il sottotenente di vascello Adolph John Griffith
dell’830th Squadron della Fleet Air Arm, superstite di uno Swordfish
abbattuto dal tiro della scorta (il pilota dell’aereo, tenente di vascello
Percy Edward O’Brien, è rimasto ucciso).
Sotto i violenti e
continui attacchi aerei, le motonavi si disorientano e si disperdono: soltanto
la Napoli rimane in prossimità della
III Divisione; Pisani e Mantovani seguono rotte varie e
rientrano alla spicciolata a Taranto, mentre la Monginevro, disorientata dai bengala lanciati dagli aerei e dalle
fitte cortine nebbiogene emesse dai cacciatorpediniere per proteggere i
mercantili, perde il contatto sia con gli altri mercantili che con la scorta e
cambia rotta più volte, proseguendo la navigazione dapprima su direttrice di
marcia 90° e poi 170°.
Solo verso le dieci
del mattino, a giorno fatto, la Monginevro
riceve al radiosegnalatore un marconigramma del comando divisione che le ordina
di assumere rotta nord per tornare a Taranto, cosa che fa per giunta in ritardo:
il Pessagno, insieme al Camicia Nera, viene inviato alla sua
ricerca per assumerne la scorta, ma durante la notte successiva la motonave
assume di nuovo una rotta di allontanamento, così che i cacciatorpediniere non
riescono a trovarla.
23 novembre 1941
Il Pessagno riesce finalmente a raggiungere
la Monginevro ed assumerne la scorta;
la motonave è l’ultimo mercantile a raggiungere Taranto, arrivandovi alle 11.45
(o 11.30).
26 novembre 1941
Pessagno (capitano di fregata Dallai), Vivaldi (caposquadriglia, capitano di vascello Galati) e Da Noli (capitano di fregata Cei
Martini) salpano da Taranto all’una di notte, per una missione di trasporto a
Derna e Bengasi, in un momento particolarmente difficile della battaglia dei
convogli.
Giunto ad Argostoli
alle 15, il gruppo vi sosta due giorni per imbarcare il carico: 170 tonnellate
di benzina avio in fusti, ripartite in parti uguali. Per il viaggio da Navarino
a Bengasi a ritorno, ogni nave consumerà oltre 200 tonnellate di nafta: ma ora
è fondamentale recapitare la benzina, a costo di rimetterci in nafta.
28 novembre 1941
Pessagno, Vivaldi e Da Noli lasciano Argostoli alle 13. Per
il tratto iniziale, i cacciatorpediniere scortano il piroscafo tedesco Bellona, diretto a Navarino.
Alle 14.11, in
posizione 38°01’ N e 20°21’ E, il sommergibile britannico Trusty (capitano di corvetta William Donald Aelian King), in
agguato al largo di Argostoli, vede i tre cacciatorpediniere emergere dalla
nebbia ad una distanza di 1370 metri; non riesce però a virare abbastanza in
fretta da poter assumere un’angolazione idonea al lancio di siluri, e perde così
l’occasione di attaccare.
29 novembre 1941
Pessagno e Vivaldi giungono a
Derna alle quattro del mattino (9.30 per altra versione), mentre il Da Noli raggiunge Bengasi. A causa della
mancanza di manovalanza e di mezzi per lo scarico – Derna è un porticciolo
piccolo e ben poco attrezzato –, però, Pessagno
e Vivaldi si trovan a dover gettare i
fusti in mare; il personale di terra riuscirà a recuperarne solo una parte.
Poche ore dopo, i tre
cacciatorpediniere lasciano i rispettivi porti per raggiungere Suda; si
riuniscono in mare alle 12.30, sul meridiano di Bengasi, ed alle 15 vengono
infruttuosamente attaccati da aerei. Arrivano a Suda alle 22.30.
Da Alessandria
partiranno, il 30 novembre, quattro cacciatorpediniere britannici (Jervis, Jaguar, Kipling e Jackal) per intercettare quelli
italiani, che ai britannici risultano essere diretti a Derna; informazioni
giunte in evidente ritardo, così che le unità britanniche non riusciranno,
naturalmente, a trovare quelle italiane. La formazione britannica verrà anche attaccata
da aerosiluranti italiani, che danneggeranno gravemente lo Jackal.
13 dicembre 1941
Il Pessagno, avente a bordo il
contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone (caposcorta), salpa da Taranto alle 19
insieme al cacciatorpediniere Freccia
ed alla torpediniera Pegaso
nell’ambito dell’operazione di traffico «M. 41». Dopo le gravi perdite subite
dai convogli diretti in Libia nelle settimane precedenti, infatti, le forze
italo-tedesche in Nordafrica si trovano in situazione di grave carenza di
rifornimenti proprio mentre è in corso l’operazione «Crusader», ed Urge rifornirle.
Pessagno, Freccia e Pegaso costituiscono la scorta del
convoglio «L», formato dalle moderne motonavi Monginevro, Napoli e Vettor Pisani e diretto a Bengasi.
Con la «M. 41»,
Supermarina intende inviare a Tripoli e Bengasi tutti i mercantili già carichi
presenti nei porti dell’Italia meridionale, mobilitando per la loro protezione,
diretta e indiretta, pressoché tutta la flotta in condizioni di efficienza.
Sono previsti tre
convogli: l’«A», da Messina a Tripoli, formato dalle moderne motonavi Fabio Filzi e Carlo Del Greco scortate dai cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco ed Antoniotto Usodimare (poi dirottato su
Taranto per unirsi da subito all’«L» ma distrutto durante tale percorso dal
sommergibile britannico Upright);
l’«L», da Taranto per Tripoli, formato da Monginevro,
Napoli, Vettor Pisani, Freccia, Pessagno e Pegaso; e l’«N», da Navarino
ed Argostoli per Bengasi, costituito dai piroscafi Iseo e Capo Orso scortati
dai cacciatorpediniere Turbine e Strale, cui si devono aggiungere la
motonave tedesca Ankara, il
cacciatorpediniere Saetta e la
torpediniera Procione provenienti da
Argostoli.
Ogni convoglio deve
fruire della protezione di una forza navale di sostegno, che di giorno si terrà
in vista dei trasporti e di notte a in formazione con essi, incorporato. Il
gruppo assegnato al convoglio «L» dalla corazzata Duilio (nave ammiraglia dell’ammiraglio di squadra Carlo Bergamini)
e da un’eterogenea VIII Divisione composta per l’occasione dagli incrociatori
leggeri Giuseppe Garibaldi (nave di
bandiera dell’ammiraglio Giuseppe Lombardi, comandante della VIII Divisione) e Raimondo Montecuccoli e
dall’incrociatore pesante Gorizia
(con a bordo l’ammiraglio di divisione Angelo Parona), mentre il gruppo
assegnato agli altri convogli è composto dalla corazzata Andrea Doria e dalla VII Divisione (ammiraglio di divisione
Raffaele De Courten) con gli incrociatori leggeri Muzio Attendolo ed Emanuele
Filiberto Duca d’Aosta.
Infine, a tutela
dell’intera operazione contro un’eventuale uscita in mare delle corazzate della
Mediterranean Fleet, prende il mare la IX Divisione Navale (ammiraglio di
squadra Angelo Iachino, comandante superiore in mare) con le moderne corazzate Littorio e Vittorio Veneto, scortate dalla XIII Squadriglia Cacciatorpediniere
(Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino). Queste navi si dovranno
posizionare nel Mediterraneo centrale.
A completamento dello
schieramento, un gruppo di sommergibili viene dislocato nel Mediterraneo
centro-orientale con compiti esplorativi ed offensivi; è inoltre previsto un
imponente intervento della Regia Aeronautica (comprensivo, tra l’altro, di
ricognizioni su Alessandria e nel Mediterraneo orientale e centro-orientale).
Per via della carenza
di navi scorta e del tempo necessario a reperirne, l’operazione, inizialmente
prevista per il 12 dicembre, viene posticipata di un giorno.
Le decrittazioni di
“ULTRA” sono stavolta tardive ed erronee: riportano la partenza del convoglio
come prevista per il 14 dicembre, anziché il 13.
Nel tardo pomeriggio
del 13, quando i convogli sono già in mare, la ricognizione aerea comunica a
Supermarina che una consistente forza britannica, comprensiva di corazzate ed
incrociatori (in realtà sono solo quattro incrociatori leggeri: i ricognitori
hanno grossolanamente sovrastimato la composizione e potenza della forza
avvistata), si trova tra Tobruk e Marsa Matruh, diretta verso ovest. La somma
delle forze italiane in mare è complessivamente superiore, ma si trova divisa
in gruppi tra loro distanziati e vincolati a convogli lenti e poco manovrieri;
per questo, alle ore 20 Supermarina decide di sospendere l’operazione, ed i
convogli ricevono ordine di rientrare. Ciò non basterà ad evitare danni:
durante la notte, il sommergibile britannico Urge silurerà la Vittorio
Veneto, danneggiandola gravemente. I piroscafi Iseo e Capo Orso entrano
in collisione in fase di rientro, danneggiandosi gravemente.
14 dicembre 1941
Il Pessagno e le altre navi (il Freccia è stato sostituito dall’Usodimare) raggiungono Taranto tra
pomeriggio e sera.
16 dicembre 1941
Dopo il fallimento
della «M. 41», viene rapidamente organizzata al suo posto l’operazione «M. 42»,
che prevede l’invio di quattro mercantili (Monginevro,
Napoli, Vettor Pisani, Ankara: le
motonavi uscite indenni dalla «M. 41», non essendovene altre pronte) riunite in
un unico convoglio per gran parte della navigazione, ed inoltre l’impiego delle
Divisioni di incrociatori adibite alla scorta secondo la loro struttura
organica, a differenza che nella «M. 41». In tutto le quattro motonavi
trasportano 14.770 tonnellate di materiali e 212 uomini.
La scorta diretta è
costituita, oltre che dal Pessagno,
dai cacciatorpediniere Vivaldi
(caposcorta, contrammiraglio Nomis di Pollone), Da Noli, Da Recco, Malocello, Zeno e Saetta, e dalla
torpediniera Pegaso. L’ordine
d’operazione prevede che le navi procedano in formazione unica, a 13 nodi di
velocità, sino al largo di Misurata, per poi scindersi in due convogli: «N»,
formato da Ankara, Saetta (caposcorta) e Pegaso, per Bengasi; «L», composto da
tutte le altre unità (Pessagno
compreso), per Tripoli.
I due convogli
partono da Taranto il 16 dicembre, ad un’ora di distanza l’uno dall’altro: alle
15 l’«N», alle 16 l’«L».
Da Taranto esce un
gruppo di sostegno composto dalla corazzata Duilio
(nave di bandiera dell’ammiraglio Carlo Bergamini, comandante del gruppo),
dalla VII Divisione (incrociatori leggeri Emanuele
Filiberto Duca d’Aosta, nave di bandiera dell’ammiraglio De Courten, Raimondo Montecuccoli e Muzio Attendolo) e dai
cacciatorpediniere Ascari, Aviere e Camicia Nera; i suoi ordini sono di tenersi ad immediato contatto
del convoglio fino alle 8 del 18, per poi spostarsi verso est così da poter
intervenire in caso di invio contro il convoglio di forza di superficie da
Malta.
Vi è anche un gruppo
di appoggio composto dalle corazzate Giulio
Cesare, Andrea Doria e Littorio
(nave di bandiera dell’ammiraglio Angelo Iachino, comandante superiore in
mare), dagli incrociatori pesanti Trento
e Gorizia (nave di bandiera dell’ammiraglio
di divisione Angelo Parona, comandante della III Divisione) e dai
cacciatorpediniere Granatiere, Bersagliere, Corazziere, Fuciliere, Carabiniere, Alpino, Oriani, Gioberti ed Usodimare, nonché ricognizione e scorta aerea assicurata dalla
Regia Aeronautica e dalla Luftwaffe, l’invio dei sommergibili Topazio, Santarosa, Squalo, Ascianghi, Dagabur e Galatea in
agguato nel Mediterraneo centro-orientale, e la posa di ulteriori campi minati
al largo della Tripolitania.
Già prima della
partenza, i comandi italiani e l’ammiraglio Iachino sono stati informati
dell’avvistamento alle 14.50, da parte di un ricognitore tedesco, di una
formazione britannica che comprende una corazzata. In realtà, di corazzate
britanniche in mare non ce ne sono: il ricognitore ha scambiato per corazzata
la nave cisterna militare Breconshire,
partita da Alessandria per Malta con 5000 tonnellate di carburante destinato
all’isola, con la scorta degli incrociatori leggeri Naiad, Euryalus e Carlisle e dei cacciatorpediniere Jervis, Havock, Hasty, Nizam, Kimberley, Kingston, Kipling e Decoy, il tutto sotto il comando dell’ammiraglio Philip L. Vian.
Comunque, Supermarina decide di procedere egualmente con l’operazione, sia per
via della disperata necessità di far arrivare rifornimenti in Libia al più
presto, sia perché la formazione italiana è comunque molto più potente di
quella avversaria. Convoglio e gruppo di sostegno procedono dunque lungo la
rotta prestabilita.
Poco prima di
mezzanotte, il sommergibile britannico Unbeaten
avvista parte delle unità italiane e ne informa il comando britannico
(messaggio che viene peraltro intercettato e decrittato dalla Littorio); quest’ultimo ne è in realtà
già al corrente grazie alle decrittazioni di “ULTRA”, che tra il 16 ed il 17
dicembre forniscono a più riprese molte informazioni su mercantili, scorte
dirette ed indirette, porti ed orari di partenza e di arrivo. Il 16 dicembre
“ULTRA” informa che è probabile un nuovo tentativo di rifornimento della Libia
con inizio proprio quel giorno, dopo quello fallito di tre giorni prima. Il 17
dicembre “ULTRA” aggiunge informazioni più precise: Monginevro, Pisani e Napoli, scortati da sei
cacciatorpediniere tra cui il Vivaldi,
dovevano lasciare Taranto a mezzogiorno del 16 insieme all’Ankara, scortata invece da due siluranti tra cui il
cacciatorpediniere Saetta; arrivo
previsto a Bengasi alle 8 del 18 per l’Ankara,
a Tripoli alle 17 dello stesso giorno per le altre motonavi; presenza in mare a
scopo di protezione della Duilio,
della VII Divisione (“probabilmente l’Aosta
e l’Attendolo”) e forse anche di
altre forze navali, Littorio
compresa. Il 18 aggiungerà che le motonavi sono partite da Taranto alle 13 del
16 e che sono scortate da 2 corazzate, 2 incrociatori e 12 cacciatorpediniere,
più una forza di supporto di 3 corazzate, 2 incrociatori e 10
cacciatorpediniere a nordest.
I comandi britannici,
tuttavia, non si trovano in condizione di poter organizzare un attacco contro
il convoglio italiano.
17 dicembre 1941
Alle 16.25 il
convoglio viene avvistato da un ricognitore britannico.
Nel tardo pomeriggio
del 17 dicembre il gruppo «Littorio» si scontra con la scorta della Breconshire, in un breve ed inconclusivo
scambio di colpi chiamato prima battaglia della Sirte. Iniziato alle 17.23, lo
scontro si conclude già alle 18.10, senza danni da ambo le parti; Iachino,
ancora all’oscuro dell’invio a Malta della Breconshire
e convinto che navi da battaglia britanniche siano in mare, attacca gli
incrociatori di Vian per tenerli lontani dal suo convoglio (ritiene infatti che
gli incrociatori britannici siano lì per attaccare i mercantili italiani,
mentre in realtà non vi è alcun tentativo del genere da parte britannica) e
rompe il contatto al crepuscolo, per evitare un combattimento notturno, per il
quale la flotta italiana non è preparata.
Alle 17.56, per
evitare un pericoloso incontro del convoglio con unità di superficie
britanniche (si crede ancora che in mare ci siano una o più corazzate
britanniche), il convoglio ed il gruppo di sostegno accostano ad un tempo ed
assumono rotta nord (in modo da allontanarsi dalla zona dove si trova la
formazione britannica), sulla quale rimangono fino alle 20 circa; poi, in base
a nuovi ordini impartiti da Iachino (e per non allontanarsi troppo dalla zona
di destinazione), manovrano per conversione di 20° per volta (in modo da
mantenere per quanto possibile la formazione, in una zona ad elevato rischio di
attacchi aerei) ed effettuano un’ampia accostata sino a rimettere la prua su
Misurata. Convoglio e gruppo di sostegno sono “incorporate” in un’unica
complessa formazione (i mercantili su due colonne, con Monginevro in posizione avanzata a dritta, Pisani in posizione avanzata a sinistra, seguite rispettivamente da
Napoli ed Ankara, il Vivaldi in
testa, Da Noli e Malocello rispettivamente 30° di prora a dritta e sinistra di Pisani e Monginevro, Zeno e Da Recco 70° di prora a dritta e
sinistra di Pisani e Monginevro, Saetta a sinistra della Pisani
e Pessagno a dritta della Napoli; seguite dal gruppo di sostegno
su due colonne, con Duca d’Aosta seguito
da Attendolo e Camicia Nera a sinistra, Duilio
seguita da Montecuccoli ed Aviere a dritta, più Pigafetta a sinistra di Aosta ed Attendolo e Carabiniere a
dritta di Duilio e Montecuccoli), il che fa sì che occorra
più del previsto perché la formazione venga riordinata sulla rotta 210°: ciò
accade alle 22 del 17.
Durante la notte il
convoglio, che avanza a 13 nodi, viene avvistato da ricognitori nemici, ma non
subisce attacchi.
18 dicembre 1941
Poco prima dell’alba
del 18, i cacciatorpediniere Granatiere
e Corazziere entrano in collisione,
distruggendosi a vicenda la prua; gli incrociatori della VII Divisione prestano
loro soccorso. Alle 13 la Duilio si riunisce al gruppo «Littorio», lasciando la
VII Divisione a protezione immediata dei mercantili. Frattanto, alle 12.30 (in
posizione 33°18’ N e 15°33’ E), le navi mercantili si separano come previsto:
il convoglio «N» dirige per Bengasi, mentre il convoglio «L» prosegue per
Tripoli con la scorta e diretta e, fino al tramonto, anche quella della VII
Divisione. Calato il buio, anche la VII Divisione lascia il convoglio per
rientrare a Taranto.
Il contrammiraglio
Nomis di Pollone ordina al convoglio «L»
di dividersi in tre gruppi, ognuno formato da una motonave e due
cacciatorpediniere (Pisani con Vivaldi e Pessagno; Monginevro con Da Recco e Malocello; Napoli con Da Noli e Zeno), in modo da rendere la formazione più maneggevole; i gruppi
devono distanziarsi di 4 miglia l’uno dall’altro.
L’ordine è in corso
d’esecuzione, ed i gruppi si sono già distanziati di 2-3 miglia, quando a
distanza si accendono i bengala che preannunciano un attacco aereo. Nomis di
Pollone ordina di emettere cortine fumogene, proseguendo la navigazione
seguendo all’ecometro la batometrica di 30 metri, cui corrisponde la rotta di
sicurezza. Il gruppo Pisani-Pessagno-Vivaldi è l’unico a non subire alcun attacco; il gruppo della Monginevro viene attaccato da un singolo
velivolo, abbattuto dal Da Recco,
mentre ha meno fortuna quello della Napoli:
la motonave viene colpita all’estrema poppa, subendo pochi danni ma la messa
fuori uso del timone.
Intanto anche Tripoli
viene bombardata, con incursione che si protrarrà fino alle tre di notte del
19.
La Napoli viene soccorsa dai
cacciatorpediniere e poi dal rimorchiatore Ciclope,
inviatole incontro da Tripoli. Nella confusione, lo Zeno entra in collisione con la Napoli
stessa e riporta dei danni, ma raggiunge ugualmente Tripoli.
Nella notte tra il 18
ed il 19 dicembre la Forza K britannica, uscita da Malta per cercare il
convoglio, finisce sui campi minati posati al largo di Tripoli: affondano
l’incrociatore leggero Neptune ed il
cacciatorpediniere Kandahar, viene
gravemente danneggiato l’incrociatore leggero Aurora e meno gravemente anche il gemello Penelope. La temuta Forza K ha cessato di esistere.
19 dicembre 1941
Dato che Tripoli è
sotto bombardamento, Monginevro e Pisani ricevono ordine di mettersi alla
fonda presso Tagiura (che è già entro il sistema protettivo di sbarramenti), a
dieci miglia dal porto, per attendere che terminino il bombardamento e poi il
dragaggio magnetico dell’avamporto di Tripoli. Intanto, Pessagno e Malocello
vengono inviati a dare assistenza alla Napoli,
difendendola dai sommergibili che frequentano, notoriamente, la zona in cui è
stata colpita. Sopraggiungono anche le torpediniere Perseo e Prestinari.
Infine, le navi
entrano a Tripoli alle 10.30. La danneggiata Napoli (il cui carico è però intatto), rimorchiata dal Ciclope, giungerà in porto alle 16.
L’operazione «M. 42» si conclude finalmente in un successo, con l’arrivo a
destinazione di tutti i rifornimenti inviati.
22 gennaio 1942
Alle 11.45, il Pessagno salpa da Brindisi insieme alle
torpediniere Audace, Giuseppe Dezza e Giuseppe Missori per scortare a Venezia la corazzata Impero, in corso di allestimento e
propulsa dalle sue macchine. Il gruppo di scorta della Impero (sotto il comando del capitano di vascello Adone Del Cima),
oltre alle quattro siluranti, include i sommergibili Otaria e Tito Speri
(incaricati di eseguire ascolto idrofonico lungo la rotta) ed i rimorchiatori Instancabile, Marettimo e Lido, che
dovranno fornire assistenza all’Impero
in caso di necessità. È prevista anche scorta aerea con aerei da caccia ed
idrovolanti in funzione antisommergibili.
L’Impero, inizialmente assistita per la
manovra dai rimorchiatori Porto Torres,
Porto Pisano, Porto Conte e Pantelleria,
supera il Canale Pigonatti alle 12.24 e, superate le ostruzioni esterne, lascia
i rimorchi e procede con le proprie macchine, preceduta da Pessagno e Missori (che
hanno messo a mare l’attrezzatura per il dragaggio di mine) e seguita dalla Dezza. Alle 14.45, in procinto di
superare il Gargano, le navi assumono
la formazione prevista per il trasferimento: Audace e Pessagno a
proravia dell’Impero, a 1200 metri
per 60° a dritta e sinistra, e Missori
500 metri a poppavia. La velocità dell’Impero
raggiunge i 10 e poi i 15 nodi; il mare ed il vento vanno progressivamente
peggiorando, fino a forza 5-6, ed alle 15.30 la Missori segnala che non riesce a mantenere la rotta ordinata ad una
velocità superiore a 11 nodi, e lascia temporaneamente la formazione.
23 gennaio 1942
Nella tarda
mattinata, giunta la formazione a poche miglia a sud di Venezia, si unisce ad
essa la cannoniera Zagabria, con
compiti di pilotaggio; alle 12.46 l’Impero
supera gli sbarramenti del Passo di Lido, ed alle 14.54 entra in bacino.
21 febbraio 1942
Alle 13.30 del 21
febbraio il Pessagno lascia Corfù
insieme ai cacciatorpediniere Maestrale, Scirocco, Antonio Pigafetta (caposcorta, capitano di vascello Mirti della
Valle) ed Antoniotto Usodimare ed
alla torpediniera Circe, per
scortare a Tripoli un convoglio composto dalla motonave cisterna Giulio Giordani e dalle motonavi da
carico Lerici e Monviso: si tratta del convoglio n. 2 (trasferitosi da Brindisi a
Corfù nelle ore precedenti) nell’ambito dell'operazione «K. 7», consistente
nell’invio in Libia di due convogli per totali sei mercantili, scortati da
dieci cacciatorpediniere e due torpediniere. I convogli fruiscono inoltre della
scorta indiretta del gruppo «Gorizia» (ammiraglio di divisione Angelo Parona;
incrociatori pesanti Trento e Gorizia, incrociatore leggero Bande Nere, cacciatorpediniere Alpino, Oriani e Da Noli) e del
gruppo «Duilio», formato dall’omonima corazzata (ammiraglio di squadra Carlo
Bergamini) insieme a quattro cacciatorpediniere (Aviere, Geniere, Ascari e Camicia Nera).
22 febbraio 1942
Intorno alle 12.45,
180 miglia ad est di Malta, il convoglio n. 2 si accoda – con una manovra
piuttosto lenta – al convoglio n. 1 (motonavi Monginevro, Unione, Ravello, cacciatorpediniere Vivaldi, Zeno, Malocello, Premuda e Strale, torpediniera Pallade),
salpato da Messina e che è già stato raggiunto dai gruppi «Gorizia» e «Duilio»
(quest’ultimo segue il resto delle navi italiane a breve distanza). La
formazione assume rotta 184° e velocità 14 nodi; sin dalla prima mattina (e
fino alle 19.45) volano sul suo cielo aerei tedeschi Junkers Ju 88 e
Messerschmitt Bf 110 decollati dalla Sicilia per la sua scorta.
Dalle prime ore del
mattino compaiono anche ricognitori britannici, che segnalano il convoglio agli
aerei di base a Malta; tra le 14 e le 16 si verifica un attacco aereo, che i
velivoli della Luftwaffe respingono, abbattendo tre degli aerei attaccanti ed
impedendo agli altri di portare a fondo l’attacco (tranne un Boeing B 17 che lancia
delle bombe di piccolo calibro contro la Duilio,
senza colpirla). Quando l’ammiraglio Bergamini chiede altri aerei mediante il
collegamento radio diretto, la richiesta viene prontamente soddisfatta.
La sera del 22, in
base agli ordini ricevuti, il gruppo «Duilio» lascia i convogli, che proseguono
con la scorta diretta ed il gruppo «Gorizia».
Nella notte seguente
il convoglio, che è rimasto diviso in due gruppi (cioè i convogli 1 e 2, che
procedono uno dietro l’altro ma separati), viene più volte sorvolato da dei
bengalieri nemici (tra le 00.30 e le 5.30 del 23 dei bengala si accendono sul
cielo dei convogli), ma non subisce danni, grazie alle manovre ed all’emissione
di cortine fumogene.
23 febbraio 1942
Poco dopo le otto del
mattino sopraggiungono due torpediniere inviate da Marilibia in rinforzo alla
scorta, cui l’ammiraglio Parona ordina di unirsi al gruppo «Vivaldi». La
foschia impedisce ai due convogli, distanti solo 8-9 miglia, di vedersi, ed
alla scorta aerea della Luftwaffe di trovare le navi; le trovano invece, ma
solo quelle del gruppo «Gorizia», i caccia italiani FIAT CR. 42 inviati
anch’essi per la scorta.
Alle 10.14 del
mattino, una novantina di miglia ad est di Tripoli ed al largo di Capo
Misurata, la Circe localizza con
l’ecogoniometro il sommergibile britannico P
38 (tenente di vascello Rowland John Hemingway), che sta tentando di
attaccare il convoglio (poco dopo ne viene avvistato anche il periscopio, che
però subito scompare poiché il sommergibile, capendo di essere stato
individuato, s’immerge a profondità maggiore), e, dopo aver ordinato al
convoglio di virare a dritta, alle 10.32 lo bombarda con bombe di profondità,
arrecandogli gravi danni. Subito dopo il P
38 affiora in superficie, per poi riaffondare subito: a questo punto si
uniscono alla caccia anche il Pessagno
e l’Usodimare, che gettano altre
cariche di profondità, e, insieme ad aerei della scorta, mitragliano il
sommergibile. L’attacco è tanto violento e confuso che un marinaio, su una
delle navi italiane, rimane ucciso dal tiro delle mitragliere, e la Circe si deve allontanare perché la
presenza delle altre navi impedisce l’utilizzo dell’ecogoniometro. Il
comandante della Circe deve chiedere
al caposcorta di richiamare Pessagno ed Usodimare nel convoglio, il che
avviene; alle 10.40, calmatosi il marasma, la Circe può rimettersi alla ricerca del sommergibile, che
all’improvviso emerge a pallone a circa 30° da poppa, sulla sinistra: il
battello britannico impenna la prua, compie una delfinata e si reimmerge
immediatamente, appruato di circa 40°-45°. Il Pessagno, che si stava allontanando, torna indietro e riprende a
lanciare bombe di profondità, nuovamente costringendo la Circe ad interrompere la ricerca.
Alle 10.44 la Circe comunica al Pessagno che la sua presenza sta
disturbando la sua ricerca; poco dopo, il cacciatorpediniere se ne va una volta
per tutte. Il P 38 non riemergerà mai
più: è affondato con l’intero equipaggio in posizione 32°48’ N e 14°58’ E.
Un’ampia chiazza di carburante, rottami e resti umani marcano la tomba dell’unità
britannica.
Frattanto, alle
10.30, lo Scirocco (come stabilito in
precedenza) lascia la scorta del convoglio numero 2 e si aggrega al gruppo «Gorizia»,
che, essendo ormai il convoglio vicino a Tripoli, e non presentandosi più
rischi di attacchi di navi di superficie, si avvia sulla rotta di rientro.
I convogli giungono
indenni a Tripoli tra le 16 e le 16.40 del 23.
23 febbraio 1942
Il Pessagno e l’Usodimare (caposcorta) lasciano Tripoli alle 19.50, scortando la
motonave Bengasi.
24 febbraio 1942
Nella notte sul 24 il
convoglio subisce numerosi attacchi aerei; nessuna nave è colpita, mentre il Pessagno abbatte un bombardiere.
25 febbraio 1942
Le navi giungono a
Palermo alle otto del mattino; il Pessagno
prosegue poi scortando, da solo, la Bengasi.
28 febbraio 1942
Pessagno e Bengasi giungono a
Napoli a mezzanotte.
16 marzo 1942
Il Pessagno da Messina alle 16 insieme ai
cacciatorpediniere Vivaldi
(caposcorta, capitano di vascello Ignazio Castrogiovanni), Malocello e Zeno ed alle
torpediniere Pallade e Giuseppe Sirtori (quest’ultima poi rientrata a
Messina), per scortare a Messina la motonave Vettor Pisani. È in corso l’operazione di traffico «Sirio», che
vede in mare una serie di convogli da e per la Libia (motonavi Gino Allegri e Reginaldo Giuliani da Tripoli a Palermo con le torpediniere Perseo e Circe; piroscafo Assunta De
Gregori da Palermo a Tripoli con il cacciatorpediniere Premuda e la torpediniera Castore;
motonavi Nino Bixio e Monreale da Tripoli a Napoli con la
stessa scorta che ha scortato Pisani e
Reichenfels sulla rotta opposta)
fruenti della protezione a distanza dell’incrociatore leggero Emanuele Filiberto Duca d’Aosta (nave di
bandiera dell’ammiraglio di divisione Alberto Da Zara) e dei cacciatorpediniere Grecale
e Scirocco.
Nello stretto di Messina
Vettor Pisani e scorta si uniscono ad
un secondo gruppo proveniente da Napoli, composto dalla motonave tedesca
Reichenfels scortata dalla torpediniera Lince
(che lascia quindi la scorta e raggiunge Messina).
Il convoglio così
formato procede verso Tripoli lungo la rotta che passa ad est di Malta, con la
protezione a distanza di Duca d’Aosta,
Scirocco e Grecale. Passato a circa 200 miglia dall’isola insieme alla forza
di protezione, il convoglio punta poi su Tripoli.
Alle 16.37, al largo
di Capo Bruzzano (Calabria, non lontano da Capo Spartivento), il sommergibile
britannico Unbeaten (capitano di
corvetta Edward Arthur Woodward) avvista la Pisani
ed uno dei cacciatorpediniere della scorta, a 7 miglia per 241°. Iniziata la
manovra d’attacco, Woodward sovrastima la stazza del bersaglio (11.000 tsl) e
nota le altre due unità della scorta (in questo momento la Pisani sta procedendo con la scorta di Sirtori, Vivaldi e Malocello); alle 17.06 lancia quattro
siluri da 3660 metri. L’idrovolante assegnato alla scorta aerea, il CANT Z. 501
n. 4 della 184a Squadriglia, avvista il siluro, stimandone la distanza di
lancio dalle navi in circa 2000 metri, e dà l’allarme, poi sgancia due bombe da
160 kg sul presunto punto in cui si dovrebbe trovare il sommergibile. La Sirtori spara una salva per dare
l’allarme, poi si dirige verso il sommergibile, gettando quattro bombe di
profondità; anche il Malocello si
unisce alla caccia, lanciando 16 bombe di profondità.
Nessuno dei siluri va
a segno, così come è infruttuoso il contrattacco della scorta (l’ultima bomba
di profondità viene gettata alle 18.25).
18 marzo 1942
Il convoglio,
raggiunto in mattinata dalla torpediniera Generale
Marcello Prestinari (inviata incontro da Tripoli), giunge a Tripoli alle
15.15.
Alle 19.30 Pessagno, Vivaldi, Zeno, Malocello e Pallade ripartono da Tripoli per scortare a Napoli le motonave Nino Bixio e Monreale. Il convoglio segue le rotte del Canale di Sicilia.
19 marzo 1942
In serata Vivaldi e Malocello lasciano il convoglio, diretti a Trapani.
20 marzo 1942
In mattinata anche la
Pallade lascia la scorta, diretta a
Messina. Pessagno, Zeno, Bixio e Monreale arrivano
a Napoli alle 8.15.
3 aprile 1942
Il Pessagno salpa da Messina alle 00.30
insieme ai cacciatorpediniere Folgore
e Premuda ed alla torpediniera Centauro, per scortare a Tripoli le
moderne motonavi Monviso e Nino Bixio nell’ambito dell’operazione
di traffico «Lupo». Alle cinque del mattino il Premuda lascia il convoglio.
Tre ore dopo, una
sessantina di miglia ad est di Capo Murro di Porco, il convoglio che comprende
il Pessagno si unisce – come
prestabilito – ad un secondo proveniente da Taranto e composto dalle motonavi Lerici ed Unione, scortate dai cacciatorpediniere Antonio Pigafetta (caposcorta), Antonio
Da Noli ed Euro e dalla torpediniera Pallade.
Si forma così un unico convoglio, che imbocca una rotta che passa a 110 miglia da Malta per
raggiungere Tripoli.
Al tramonto si
aggregano al convoglio anche le motonavi Gino
Allegri e Monreale, provenienti
da Augusta con la scorta dei cacciatorpediniere Freccia e Nicolò Zeno.
4 aprile 1942
Il convoglio viene
avvistato da ricognitori britannici e sottoposto a diversi attacchi aerei, ma
non subisce alcun danno e giunge a Tripoli tra le 9 e le 10.30.
6 aprile 1942
Il sommergibile
britannico Proteus (capitano di
corvetta Philip Stewart Francis), sulla base di informazioni di “ULTRA”, viene
inviato a cercare in Mar Ionio la nave cisterna Proserpina, diretta verso sud e scortata dal Pessagno, ma non riesce a trovarla.
7 aprile 1942
Alle due di notte il Pessagno e la torpediniera Lince partono da Napoli per scortare a
Bengasi la motonave tedesca Ankara.
Alle 17.45 le tre navi giungono a Messina, dove sostano fino al 9.
9 aprile 1942
Il convoglietto
riparte da Messina alle 5, con l’aggiunta dell’Usodimare, che diviene il caposcorta. Già all’uscita del porto,
però, l’Usodimare entra in collisione
con l’Ankara, così da essere
costretto a restare a Messina.
Le altre navi vengono
dirottate ad Augusta a seguito di avvistamento da parte di aerei, ma nella
stessa mattinata del 9 vengono fatte proseguire per Bengasi.
10 aprile 1942
Le tre unità arrivano
a Bengasi a mezzogiorno.
11 aprile 1942
Il Pessagno lascia Bengasi alle 22.20,
scortando il piroscafo Capo Arma,
diretto a Brindisi.
14 aprile 1942
Pessagno e Capo Arma arrivano a
Brindisi alle 8.30.
21 aprile 1942
Scorta la nave
cisterna Proserpina da Taranto a
Durazzo.
25 aprile 1942
Il Pessagno salpa da Taranto per Tripoli
alle 20.30, scortando ancora la Proserpina.
28 aprile 1942
Pessagno e Proserpina, alle quali
si è aggiunta la torpediniera Generale
Carlo Montanari (inviata da Tripoli per rinforzo e pilotaggio), arrivano
nel porto libico alle 10.15.
2 maggio 1942
Il Pessagno (caposcorta) ed il
cacciatorpediniere Folgore lasciano
Tripoli alle 11.30 scortando i piroscafi Amsterdam
e Wachtfels (tedesco), diretti a
Napoli.
3 maggio 1942
Il convoglio, una
dozzina di miglia a sudovest di Pantelleria, viene infruttuosamente sottoposto
ad attacchi aerei.
4 maggio 1942
Il convoglio giunge a
Napoli alle 16.10.
17 maggio 1942
Pessagno e Malocello salpano da
Napoli per Bengasi alle 9.30, scortando gli incrociatori ausiliari Città di Napoli e Città di Tunisi.
Alle 16 si unisce
alla scorta la torpediniera Circe,
inviata da Messina, ed alle 23.45 sopraggiunge da Messina anche il Vivaldi, che diviene caposcorta.
19 maggio 1942
Il convoglio
raggiunge Bengasi alle 7.45; il Pessagno
riparte alle 19.30, scortando il piroscafo tedesco Menes diretto a Brindisi (convoglio «X»).
22 maggio 1942
Pessagno e Menes arrivano a
Brindisi all’una di notte.
L’affondamento
Alle 4.30 del 27
maggio 1942 il Pessagno, al comando
del capitano di fregata Antonio Dallai, salpò da Brindisi alla volta di
Bengasi, scortando il piroscafo Anna
Maria Gualdi.
Poche ore dopo, alle
10.40, Pessagno e Gualdi si congiunsero, al largo di
Leuca, con il cacciatorpediniere Antonio
Pigafetta (capitano di fregata Morra) ed il piroscafo Capo Arma, salpati da Taranto alle 2.50 e diretti anch’essi a
Bengasi. Le quattro navi formarono un unico convoglio, avente come caposcorta
il Pigafetta.
I britannici erano a
conoscenza di questi movimenti: lo stesso 27 maggio, infatti, decrittazioni di
“ULTRA” avevano permesso loro di sapere che “il Gualdi e il Capo Arma,
scortati dai cacciatorpediniere Pessagno
e Pigafetta, dovevano lasciare
Brindisi e Taranto alle 04.00 del giorno 27 per Bengasi, ove sarebbero arrivati
alle 15.00 del giorno 29”.
Nella notte tra il 27
ed il 28 maggio, alle 00.45, il convoglio venne puntualmente avvistato da
ricognitori e poco dopo attaccato da aerei, ma non subì alcun danno. Nella
giornata del 28, le quattro navi vennero nuovamente localizzate da un
ricognitore decollato da Malta; Supermarina ne intercettò il segnale di
scoperta e lo ritrasmise subito al caposcorta, ordinandogli di cambiare rotta.
Ma anche sulla nuova rotta, il convoglio venne nuovamente avvistato ed
attaccato da sommergibili; grazie alle contromanovre delle navi ed alla
reazione dei velivoli tedeschi della scorta aerea, anche questi attacchi
andarono a vuoto.
Alle 00.10 del 29
maggio il convoglio venne sorvolato ancora una volta da aerei britannici, che
questa volta non lo lasciarono più. Fin dalle 22.10 del 28, però, le navi
italiane erano state avvistate da un nemico ancor più pericoloso: il
sommergibile britannico Turbulent
(capitano di fregata John Wallace Linton), che aveva avvistato il convoglio
diretto verso sud su rilevamento 325°, in posizione 33°51’ N e 18°54’ E. Linton
stimò la velocità dei bastimenti avversari in 12 nodi (sbagliava leggermente:
era in realtà di 10 nodi), mentre non riuscì a fare una stima affidabile della
rotta e distanza del convoglio, a causa della foschia. Decise comunque di
portarsi in posizione avanzata rispetto al convoglio; alle 22.45 si trovava al
suo traverso e valutò la sua rotta come 160°.
Portatosi più a
proravia, il Turbulent perse in breve
il contatto con le navi italiane a causa dell’aumento della foschia, così, alle
23.01, cambiò rotta ed aumentò la velocità per ritrovarle: ci riuscì alle 23.20,
quando avvistò nuovamente il convoglio, che aveva rotta apparente 200°. Di
nuovo iniziò a manovrare per portarsi a proravia del convoglio, che alle 00.50 del
29 accostò per 160° e poi per 140°.
Inizialmente Linton
progettava di attaccare il convoglio all’alba, ma all’1.30, dato che il tempo
non accennava a cambiare (e permaneva quindi il rischio di essere avvistato da
aerei all’alba), decise di attaccare quella notte stessa, immerso, alla luce
della luna.
Alle 2.37 il Turbulent s’immerse cinque miglia a
proravia del convoglio, a 2,7 km dalla rotta su cui questo sarebbe dovuto
passare, ed alle 3.01 avvistò di nuovo le navi italiane, un po’ più vicine del
previsto. Inizialmente Linton non vide il cacciatorpediniere di scorta sul lato
più vicino al Turbulent, ma lo
avvistò poco dopo, alle 3.04, molto più vicino del previsto: praticamente
davanti a lui, con rotta di collisione. Il cacciatorpediniere non si accorse,
comunque, della presenza del sommergibile.
Alle 3.09 (3.11 per
altra fonte), mentre era in corso il terzo attacco aereo della notte, ed il
convoglio procedeva con i piroscafi in linea di fronte ed i cacciatorpediniere
che zigzagavano sui lati (Pessagno a
dritta, Pigafetta a sinistra), il Turbulent, provenendo dal lato sinistro
della formazione (contro luna, con la luna piena: le condizioni più idonee ad
evitare la scoperta) lanciò una salva di quattro siluri contro il convoglio,
mirando ad una delle navi mercantili; poi scese rapidamente in profondità per
evitare di essere speronato.
Il Pigafetta, trovandosi sul lato di
provenienza dell’attacco, avvistò le scie dei siluri e diede l’allarme; ma per
cause rimaste sconosciute, nessuna nave intraprese manovre evasive. Il
risultato fu disastroso: tre dei quattro siluri andarono a segno, colpendo sia
il Pessagno che il Capo Arma. Mentre quest’ultimo rimase
inizialmente a galla, il Pessagno,
centrato da due siluri non avvistati per tempo, uno a centro nave e l’altro a
poppa (Linton, in base ai tempi delle esplosioni, ritenne invece che il
cacciatorpediniere fosse stato colpito da uno dei siluri che, per difetto del giroscopio,
aveva dapprima fatto un giro in cerchio, rischiando di colpire lo stesso Turbulent), fu dilaniato dall’esplosione
del deposito munizioni centrale ed affondò in meno di un minuto nel punto
33°15’ N e 19°25’ E, a 85 miglia per 332° da Bengasi (per altra fonte, 70 o 78
miglia a nord/nordovest di Bengasi), portando con sé i due terzi del suo
equipaggio. Erano le 3.15.
Mentre il Gualdi proseguiva da solo – fu poi
raggiunto da due cacciasommergibili inviati da Bengasi, che ne assunsero la
scorta –, il Pigafetta si fermò sul
luogo del siluramento e trasse in salvo gli 86 sopravvissuti del Pessagno (due ufficiali, 10
sottufficiali e 74 tra sottocapi e marinai), tra cui il comandante Dallai.
I morti e i dispersi
furono 159, tra cui 7 ufficiali.
Il Capo Arma, subito abbandonato
dall’equipaggio, divenne rapidamente preda di un incendio che si estese a tutta
la nave, fino a causarne l’esplosione quattro ore più tardi.
“ULTRA”, mediante
nuove intercettazioni, aggiornò con dovizia di particolari i comandi britannici
anche sull’esito positivo (per loro) dell’attacco del Turbulent.
Morirono nell’affondamento del Pessagno:
Giovanni Abozzi, sottocapo cannoniere,
disperso
Giovanni Maria Abram, marinaio, disperso
Alfredo Acciarini, marinaio cannoniere,
disperso
Sebastiano Alia, secondo capo
radiotelegrafista, disperso
Dino Andrei, marinaio cannoniere, disperso
Leonardo Asaro, marinaio, disperso
Luigi Balbiani, marinaio fuochista, disperso
Francesco Balletti, sottotenente di vascello,
disperso
Salvatore Bando, marinaio fuochista, disperso
Giuseppe Bassanello, marinaio fuochista,
disperso
Sebastiano Bassani, marinaio, disperso
Francesco Battenti, marinaio elettricista,
disperso
Bruno Bazzoni, sottocapo S.D.T., disperso
Gaetano Bellia, marinaio cannoniere, disperso
Giuliano Bertolucci, marinaio meccanico,
disperso
Manlio Biasutti, sergente meccanico, disperso
Italo Borsini, marinaio nocchiere, disperso
Athos Brandoli, marinaio segnalatore, disperso
Teodoro Brescia, marinaio fuochista, disperso
Domenico Bullo, sottocapo furiere, disperso
Domenico Calato, marinaio fuochista, disperso
Omero Campagnola, sergente cannoniere,
disperso
Aldo Campani, marinaio cannoniere, disperso
Italiano Campioni, marinaio cannoniere,
disperso
Olivo Cancian, sottocapo cannoniere, disperso
Giovanni Caprini, marinaio fuochista, disperso
Sebastiano Carbone, sottocapo fuochista,
disperso
Enrico Carbonetti, marinaio segnalatore,
disperso
Giuseppe Castrogiovanni, marinaio motorista,
disperso
Fernando Cau, marinaio fuochista, disperso
Tito Cavalieri, sottocapo S.D.T., disperso
Nello Caverni, marinaio carpentiere, disperso
Luciano Cazzamalli, sottotenente di vascello,
disperso
Emanuele Cena, secondo capo meccanico,
disperso
Giuseppe Ceraso, secondo capo cannoniere,
disperso
Pietro Chiezzi, marinaio silurista, disperso
Antonio Chirico, marinaio cannoniere, disperso
Oscar Cividin, marinaio, disperso
Aldo Clerico, sottocapo cannoniere, disperso
Antonio Colamartino, marinaio, disperso
Giovanni Colognese, tenente di vascello,
disperso
Fiorentino Colombardo, marinaio fuochista,
disperso
Bruno Colonni, marinaio elettricista, disperso
Ottavio Condorelli, marinaio fuochista,
disperso
Giovanni Consoli, sottocapo torpediniere,
disperso
Alberto Coppini, sergente elettricista,
disperso
Ermenegildo Cozzi, marinaio fuochista,
disperso
Liberato Cuomo, marinaio fuochista, disperso
Giuseppe Davanzo, sottocapo meccanico,
disperso
Enrico De Carlo, sergente segnalatore,
disperso
Luigi De Castris, marinaio fuochista, disperso
Antonio De Stefano, sottocapo carpentiere,
disperso
Giuseppe Di Rosa, marinaio, disperso
Antonino Donato, marinaio cannoniere, disperso
Rodolfo Drosetti, marinaio nocchiere, disperso
Mario Elsineri, sottocapo cannoniere, disperso
Giovanni Falcone, sottocapo meccanico,
disperso
Mauro Fogli, marinaio furiere, disperso
Egidio Forte, marinaio elettricista, disperso
Lino Fraboni, marinaio, disperso
Salvatore Franchi, marinaio, disperso
Gaetano Biagio Furi, marinaio fuochista,
deceduto
Giacomo Gabriele, secondo capo
radiotelegrafista, disperso
Quirino Ganzerli, secondo capo cannoniere,
disperso
Salvatore Gargiulo, marinaio cannoniere,
disperso
Salvatore Garro, marinaio torpediniere,
disperso
Antonio Gatti, marinaio elettricista, disperso
Giuseppe Gatti, marinaio, disperso
Pietro Giacalone, marinaio, disperso
Fortunato Giannella, marinaio fuochista,
disperso
Alessio Girardengo, sergente silurista,
disperso
Marcello Girotti, marinaio cannoniere,
disperso
Pasquale Giuditta, sottocapo meccanico,
disperso
Rosario Giuliano, marinaio fuochista, disperso
Ferrante Gonzaga, sottocapo segnalatore,
disperso
Marcello Gori, marinaio nocchiere, disperso
Salvatore Grasso, marinaio fuochista, disperso
Andrea Greffi, tenente di vascello, disperso
Enrico Guidomei, marinaio fuochista, disperso
Celso Iacovitti, sottocapo motorista, disperso
Gaetano Ieva, secondo capo cannoniere,
disperso
Giacomo Iorio, marinaio, disperso
Sebastiano La Manna, marinaio cannoniere,
disperso
Alfio La Rocca, marinaio cannoniere, disperso
Alfonso Lembo, sergente nocchiere, disperso
Carlo Leonardi, marinaio fuochista, disperso
Elio Lucarelli, secondo capo meccanico,
disperso
Dino Lucioli, sottocapo elettricista, disperso
Aldo Maggi, marinaio segnalatore, disperso
Francesco Magliocchi, marinaio cannoniere,
disperso
Giuliano Mancini, marinaio fuochista, disperso
Alberto Manfredi, sottocapo meccanico,
disperso
Arnaldo Manisco, capitano del Genio Navale
Direzione Macchine, disperso
Gino Marzocchini, secondo capo furiere,
disperso
Guido Mauri, marinaio nocchiere, disperso
Giuseppe Mercuri, marinaio, disperso
Ferrucco Mohr, marinaio, disperso
Vincenzo Montella, sergente furiere, disperso
Nazzareno Moreschini, marinaio, disperso
Vittorio Moretti, sottocapo elettricista,
disperso
Roberto Mori, marinaio fuochista, disperso
Francesco Morici, marinaio fuochista, disperso
Enrico Morini, marinaio, disperso
Giuseppe Morrieri, secondo capo cannoniere,
disperso
Giuseppe Moscato, marinio radiotelegrafista,
disperso
Salvatore Nadrach, marinaio fuochista,
disperso
Ugo Niccoli, marinaio S.D.T., disperso
Tosco Nigi, sottocapo fuochista, disperso
Paolo Nitti, capo meccanico di terza classe,
disperso
Feliciano Pagnoni, sottocapo nocchiere,
disperso
Antonio Palazzo, marinaio segnalatore,
disperso
Mario Paltrinieri, secondo capo meccanico,
disperso
Luigi Paolinetti, capo segnalatore di seconda
classe, disperso
Angelo Papale, tenente del Genio Navale
Direzione Macchine, disperso
Angelo Patrone, marinaio fuochista, disperso
Pietrino Petretto, sergente infermiere,
disperso
Giuseppe Pica, marinaio fuochista, disperso
Adolfo Pizzi, sergente cannoniere, disperso
Pietro Pizzo, sottocapo cannoniere, disperso
Pierino Poltronieri, marinaio cannoniere,
disperso
Bruno Previdi, sottocapo nocchiere, disperso
Francesco Profico, marinaio cannoniere,
disperso
Giuseppe Pulese, marinaio fuochista, disperso
Giovanni Pulina, marinaio S.D.T., disperso
Gennaro Ranieri, sottocapo fuochista, deceduto
Pietro Regis, marinaio cannoniere, disperso
Carmelo Romeo, marinaio elettricista, disperso
Antonio Rondine, marinaio, disperso
Giuseppe Rosati, marinaio cannoniere, disperso
Adriano Ruiba, marinaio fuochista, disperso
Giuseppe Russo, marinaio cannoniere, disperso
Federico Salamon, sottocapo meccanico,
disperso
Giorgio Salmaso, sottocapo fuochista, disperso
Olivo Sanesi, marinaio silurista, disperso
Bruno Sasdelli, marinaio cannoniere, disperso
Pietro Sbiroli, marinaio meccanico, disperso
Lino Schiavo, marinaio cannoniere, disperso
Michele Serenelli, sottotenente del Genio
Navale Direzione Macchine, disperso
Augusto Simoncelli, marinaio fuochista,
disperso
Salvatore Sozzi, sergente nocchiere, disperso
Luigi Stinga, marinaio carpentiere, disperso
Rolando Targetti, sottocapo S.D.T., disperso
Ivo Tassara, marinaio fuochista, disperso
Lino Mario Tiozzo, marinaio fuochista,
disperso
Luigi Tognoli, marinaio S.D.T., disperso
Prometeo Torre, sottocapo cannoniere, disperso
Alitto Traverso, marinaio cannoniere, disperso
Tommaso Tronci, capo cannoniere di prima
classe, disperso
Gesuino Tronu, marinaio, disperso
Michele Valdarnini, marinaio elettricista,
disperso
Valdemir Vassallo, marinaio fuochista,
disperso
Giuseppe Veggian, secondo capo meccanico,
disperso
Leonardo Vernice, marinaio cannoniere,
disperso
Giuseppe Vezzoni, sottocapo S.D.T., disperso
Edgardo Zanichelli, secondo capo silurista,
disperso
Remo Zavaroni, sottocapo cannoniere, disperso
Albano Zuppan, marinaio fuochista, disperso
La nave negli anni Trenta
(g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net)
|
La motivazione della
Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita alla memoria del capo cannoniere
di prima classe Tommaso Tronci, nato a Marittima (LE) il 31 maggio 1892, già
decorato con una prima M.B.V.M. nel 1917:
“Imbarcato su
Silurante, colpita durante una missione di scorta a convoglio da siluri nemici,
si prodigava con coraggio ed elevato senso del dovere nelle operazioni di
salvataggio, profondendo al suo personale serenità e fiducia. Con prontezza e
disciplina, lanciava in mare le zattere di salvataggio perché i suoi
uomini si ponessero in salvo e scompariva in mare con l'Unità nell'adempimento
del suo compito generoso.
Mediterraneo
Orientale, 29 maggio 1942.”
La motivazione della
Medaglia d’Argento al Valor Militare conferita alla memoria sottotenente di
vascello Luciano Cazzamalli, nato a Carpignanica (CR) il 7 agosto 1919, già
decorato con M.B.V.M. nell’agosto 1941:
"Imbarcato su
silurante di scorta a convoglio, gravemente colpita da siluri nemici, coadiuvava
con prontezza e sereno coraggio il comandante nel tentativo di salvare l'unità
e, dimostrandosi vano qualsiasi sforzo, organizzava con ammirevole calma ed
elevato senso di responsabilità i mezzi di soccorso, disponendo il lancio in mare dei mezzi di salvataggio. Sulla nave,
che si inabissava, egli restava per assolvere la sua missione generosa, consacrando
tutte le giovani forze alla salvezza dell'equipaggio, noncurante di sè quanto
sollecito dell'altrui destino. In tale atto si suprema abnegazione, travolto
con l'unità, scompariva in mare, sublime esempio di disciplina, cameratismo e
nobili virtù militari.
Mediterraneo Orientale, 29 maggio 1942."
La motivazione della
Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita alla memoria tenente di vascello
Andrea Greffi, nato a Fiume il 10
ottobre 1914:
"Imbarcato su silurante di scorta a convoglio, gravemente colpita da
siluri nemici, coadiuvava con prontezza e sereno coraggio il comandante nel tentativo
di salvare l'unità e, dimostrandosi vano ogni tentativo, organizzava con ammirabile
senso di responsabilità i mezzi di soccorso, disponendone il lancio in mare.
Gravemente ferito dallo scoppio di altro siluro, scompariva in mare lasciando esempio
di elevato sentimento del dovere.
(Mediterraneo Centrale, 29 maggio 1942)."
L’affondamento del Pessagno nel giornale di bordo del Turbulent (da Uboat.net):
"28 May 1942
2310 hours - In position 33°51'N, 18°54'E sighted a Southbound convoy of two
merchant ships (6000 and 5000 tons each) escorted by two destroyers (one Spica
class torpedo boat, the other looked bigger) bearing 325°. Speed was thought to
be 12 knots. Due to the mist is was very difficult to estimate the convoys
course and range. Cdr. Linton decided to get ahead of the convoy.
2345 hours - Turbulent was now on the convoys beam
and that the convoys course was 160°. Turbulent
went ahead and soon afterwards lost touch.
29 May 1942
0001 hours - Altered course towards and increased speed to find them.
0020 hours - The
convoy was sighted apparently steering a course of about 200°. Started to get
ahead.
0150 hours - The
convoy changed course to 160° and later to 140°.
0230 hours - As there
seemed no prospect in any change in the weather and that an attack at dawn
(what Cdr. Linton initially intended to do) might be spotted by aircraft it was
decided to make a submerged attack by moonlight.
0337 hours - Dived 5
miles ahead of the convoy and 3000 yards off track.
0401 hours - Sighted
the convoy a little closer than expected. The escorting destroyer on this side
of the convoy could not be seen or heard.
0405 hours - Sighted
the destroyer, it was much closer than was anticipated. Turbulent was right ahead.
0407 hours - The
destroyer was seen to be on a steady bearing.
0409 hours - Fired
four torpedoes at one of the merchant vessels. The destroyer was now very near.
Turbulent went deep upon firing.
1min. 13secs after firing the first torpedo an explosion was heard. Shortly
afterwards one of the torpedoes passed over the conning tower. Two further
explosions were heard 2min. 28secs. and 3min. 10secs. after firing the first
torpedo. The torpedo that ran overhead had a gyro failure and with a great deal
of luck had hit the destroyer that was so near to Turbulent.
0610 hours - Came to
periscope depth and found one destroyer about 3 nautical miles away and moving
slowly around the position of the attack. Nothing else was in sight."
Un’altra immagine del Pessagno (da www.kreiser.unoforum.pro) |
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