mercoledì 10 febbraio 2021

Alcamo

L’Alcamo con il precedente nome di Heraclides (da www.searlecanada.org)

Piroscafo da carico di 6987 tsl, lungo 143,41-149,8 metri, largo 17,77 e pescante 11,52, con velocità di 11-12 nodi. Ex francese Saint Francois, era uno degli oltre duecento mercantili francesi confiscati dall’Asse a fine 1942, in seguito all’occupazione della Francia di Vichy ed agli accordi Laval-Kaufmann, che prevedevano la consegna all’Asse di 159 bastimenti mercantili che si trovavano nei porti mediterranei della Francia.
 
Breve e parziale cronologia.
 
2 maggio 1916
Varato come britannico Anglo-Chilean nel cantiere di Pallion della Short Brothers Ltd. di Sunderland (numero di costruzione 390; per altra fonte 276).
Il suo allestimento viene supervisionato dal capitano Stanley Lord, designato quale suo primo comandante.
Lord è famoso (o famigerato) per il suo coinvolgimento nella tragedia del Titanic: era infatti comandante del Californian, piroscafo che si trovava bloccato dal ghiaccio ad alcune miglia dal transatlantico in affondamento nella fatale notte del 15 aprile 1912 e che fu accusato, a torto o ragione, di averne ignorato le richieste di soccorso a mezzo razzi di segnalazione, perdendo così l’occasione di salvare centinaia di vite (la controversia sull’effettiva possibilità, per il Californian, di raggiungere il Titanic in tempo per salvarne i passeggeri non si è mai spenta).
30 novembre 1916
Completato come Anglo-Chilean per la Nitrate Producers' S.S. Co. Ltd. – Lawther, Latta & Co. di Londra: è la più grande e moderna nave della flotta della compagnia.
Stazza lorda e netta originarie 9097 (o 9036) tsl e 4379 tsn, portata lorda 13.050 tpl, velocità 11-12,5 nodi. Porto di registrazione Londra.
Marzo 1917
Dopo un ritardo di tre mesi dovuto a problemi riscontrati nel corso del viaggio di prova da Sunderland al Clyde, l’Anglo-Chilean viene consegnato agli armatori; inizia a navigare al comando del capitano Lord, trasferendosi da Sunderland a Londra, dove dovrà imbarcare un carico di materiale militare destinato in Egitto.
13 maggio 1917
Durante il viaggio da Londra ad Alessandria d’Egitto con rifornimenti per l’esercito britannico, sempre al comando di Stanley Lord, l’Anglo-Chilean viene inseguito ed attaccato col cannone, in Mediterraneo, dal sommergibile tedesco U 38 (tenente di vascello Max Valentiner); risponde al fuoco con il proprio armamento difensivo, riuscendo a scacciare l’assalitore (che anzi ritiene, erroneamente, di aver forse affondato).
Novembre 1917
L’Anglo-Chilean, sempre al comando di Lord (che ne rimarrà comandante fino a fine guerra ed anche dopo, fino almeno al 1924), funge da nave di bandiera del capoconvoglio (capitano di vascello W. H. Owen della Royal Naval Reserve) di un convoglio in navigazione da New York all’Inghilterra. Il capitano di vascello Owen elogerà in seguito il comandante Lord in una lettera all’armatore John Latta.

La nave come Anglo-Chilean (da www.searlecanada.org)

1917-1922
Compie 18 viaggi verso gli Stati Uniti, trasportando merci ed anche passeggeri (fino a 69 in un viaggio nel 1920).
Durante un viaggio il giovane allievo ufficiale Frank John Goodchild cade in una stiva dell’Anglo-Chilean, rimanendo ferito ed intrappolato; viene soccorso dal comandante Lord in persona, che si cala nella stiva prendendolo e portandolo in salvo. Ne nascerà un’amicizia che durerà il resto delle loro vite.
Dicembre 1918
Finita la guerra, l’Anglo-Chilean viene derequisito dalle unità britanniche per recarsi in Australia a caricare grano e farina.
Inizio 1927
Durante le operazioni di caricamento dell’Anglo-Chilean nel porto di Brooklyn, nel corso di una burrasca, la chiatta da cui il piroscafo deve trasbordare il carico va ad urtare violentemente contro il suo scafo, rimanendo danneggiata.
Ne scaturirà un contenzioso legale presso la corte d’appello di New York, tra il locatario della chiatta, la Atlantic Lighterage Company, e la Cunard Steamship Company, locataria dell’Anglo-Chilean. La responsabilità dell’incidente sarà attribuita in primo luogo agli scaricatori di porto, colpevoli di negligenza nell’aver accostato la chiatta al piroscafo con simili condizioni meteorologiche; tuttavia il giudice Hand stabilirà che anche la Cunard Line, in qualità di agente, sia da ritenere corresponsabile, avendo la responsabilità di assumere e pagare gli scaricatori e gestire tutti gli aspetti relativi allo scarico della nave.
1930
Venduto alla British & South American Steam Navigation Company Ltd. di Londra (o Liverpool; in gestione a R. P. Houston & Co. di Londra) e ribattezzato Heraclides.
Porto di registrazione Londra, stazza lorda e netta 7131 tsl e 4379 tsn, nominativo di chiamata JNMF.

Come Heraclides (da www.searlecanada.org)

1931
In gestione alla Houston Line (London) Ltd. In servizio sulla linea che collega il Regno Unito all’Africa meridionale.
Stazza lorda e netta diventano rispettivamente 6987 tsl e 4256 tsn.
Dicembre 1933
L’Heraclides parte dall’Australia per il Regno Unito con un carico da record: ben 10.450 tonnellate di zucchero (3600 caricate a Townsville, 2000 a Bowen ed il rimanente a Mackay).
1934
Il nominativo di chiamata diventa GPYK.
1939
Venduto alla Hermes Steamship Company Ltd. di Londra e ribattezzato Hermes. In gestione a Vergottis Ltd. di Londra.
17 settembre 1939
L’Hermes parte dalle Isole di Capo Verde diretto a Falmouth, navigando da solo e senza scorta.
1° ottobre 1939
Arriva a Falmouth.
4 ottobre 1939
Lascia Falmouth diretto a Brixham.
5 ottobre 1939
Arriva a Brixham.
27 ottobre 1939
Lascia Brixham alla volta di Anversa, sempre in navigazione isolata.
30 ottobre 1939
Giunge ad Anversa.
20 novembre 1939
Lascia Anversa.
24 novembre 1939
Salpa da Southend con il convoglio OA.40G (formato da venti mercantili, tutti britannici tranne i francesi Beauce e Touraine, scortati dai cacciatorpediniere Verity e Wolverine).
28 novembre 1939
Arriva a Cardiff.
24 dicembre 1939
Lascia Cardiff.
27 dicembre 1939
Carico di carbon fossile, l’Hermes salpa da Milford Haven con il convoglio OB. 60 (composto da 31 mercantili, tutti britannici tranne i polacchi Lechistan e Morska Wola ed il francese P.L.M. 15, scortati dai cacciatorpediniere Vanoc e Whirlwind). L’indomani il convoglio OB. 60 si unisce ad altre unità e forma il convoglio OG. 12 (40 mercantili, tutti britannici tranne i tre già menzionati ed i francesi De Grasse e Guyanne, scortati fino al 29 dai cacciatorpediniere britannici Vanoc, Whirlwind, Wivern e Whitehall e poi dal britannico Vidette e dai francesi Valmy e Chevalier Paul).
4 gennaio 1940
Entra in Mediterraneo con il convoglio OG. 12.
12 gennaio 1940
Lasciato il convoglio e proseguito da solo, arriva ad Alessandria d’Egitto, sua destinazione finale.
28 gennaio 1940
Lascia Alessandria per Port Said.
29 gennaio 1940
Giunge a Port Said.
30 gennaio 1940
Salpa da Suez diretto a Rangoon, in Birmania, un viaggio che compirà da solo e senza scorta.
20 febbraio 1940
Arriva a Rangoon.
4 marzo 1940
Lascia Rangoon diretto a Colombo, Ceylon.
10 marzo 1940
Arriva a Colombo.
11 marzo 1940
Lascia Colombo per fare ritorno in Mediterraneo, sempre in navigazione isolata.
27 marzo 1940
Arriva a Suez.
28 marzo 1940
Salpa da Port Said per Gibilterra.
5 aprile 1940
Arriva a Gibilterra.
10 aprile 1940
Carico di merci varie, l’Hermes lascia Gibilterra con il convoglio HG. 26F, diretto a Liverpool e formato da 17 mercantili (tutti britannici tranne il polacco Lida ed il norvegese Bosphorus) scortati dai cacciatorpediniere Lynx (francese) e Velox (britannico) e dal sommergibile francese Minerve.
Il 13 aprile il Velox lascia la scorta, mentre il 16 le due unità francesi sono rilevate dallo sloop britannico Deptford.
19 aprile 1940
Arriva ad Avonmouth.
2 maggio 1940
Lascia Avonmouth per Liverpool.
3 maggio 1940
Arriva a Liverpool.
10 maggio 1940
Lascia Liverpool.
12 maggio 1940
Giunge a Barry.
1° giugno 1940
Riparte da Barry.
4 giugno 1940
Carico di carbone, l’Hermes lascia Milford Haven con il convoglio OB. 161 (formato da 25 mercantili, di cui 19 britannici, due greci, uno francese, uno olandese, un belga ed uno svedese), che in mare aperto si unisce al convoglio OG. 32 (formato da 42 mercantili, di cui 36 britannici, due francesi, due greci, uno olandese, uno svedese, scortati inizialmente dagli sloops britannici Aberdeen e Folkestone, sostituiti il 10 giugno dai cacciatorpediniere britannici Douglas e Vidette).
11 giugno 1940
Arriva a Gibilterra con il convoglio OG. 32.
14 giugno 1940
Lascia Gibilterra alla volta di Orano, stavolta scortato.
15 giugno 1940
Giunge ad Orano.
16 giugno 1940
Lascia Orano per Algeri.
17 giugno 1940
Arriva ad Algeri, sua destinazione finale.
25 o 29 giugno 1940
L’Hermes, sorpreso ad Algeri dalla resa della Francia, viene posto sotto sequestro dalle autorità del neonato regime di Vichy in base al “diritto d’angheria”.
15 marzo 1941
Formalmente confiscato dalle autorità francesi ad Algeri, l’Hermes viene dato in gestione alla Compagnie des Bateaux à Vapeur du Nord e ribattezzato Saint Francois (per altra fonte il cambio di nome e di bandiera sarebbe avvenuto già nel giugno 1940).
Successivamente trasferito a Marsiglia.

La nave dopo il cambio di nome in Saint François (da Jean-Yves Brouard, Guy Mercier, Marc Saibène, “La Marine Marchande Française 1940-1942”, Marines Editions, 1998, via forum AIDMEN)

Giugno 1941
Secondo una fonte francese, mentre si trova in un porto tunisino, l’Hermes sarebbe stato attaccato ed affondato da Henri Verdier, sabotatore appartenente ad una rete della Resistenza francese organizzata dall’avvocato André Mounier e dal maggiore Jean Breuillac. Questi avrebbe collocato una carica esplosiva sotto lo scafo del piroscafo, carico di minerale destinato all’Italia (la fonte menziona la nave come italiana), facendolo affondare spezzato in due. Si tratta però di un errore: in primo luogo, l’Hermes non si chiamava più Hermes, bensì Saint Francois; in secondo luogo, non era ancora italiano (non lo fu fino a fine 1942), bensì francese; in terzo luogo, lo stesso Verdier nel dopoguerra non rivendicò di aver partecipato agli attacchi contro il naviglio italiano organizzati dalla rete di Mounier (che riuscì invece ad affondare un altro piroscafo, l’Achille, successivamente recuperato e riparato); infine, non risulta che l’Hermes/Saint Francois sia mai stato oggetto di sabotaggio, e tanto meno affondato.
8 o 9 dicembre 1942
Confiscato dalle truppe tedesche a Marsiglia e trasferito all’Italia; ribattezzato Alcamo, viene iscritto al Compartimento Marittimo di Genova ed affidato in gestione alla Società Italia di Navigazione (per altra fonte, probabilmente erronea, alla Società Anonima di Navigazione Adriatica di Venezia), senza essere requisito dalla Regia Marina.
31 dicembre 1942
Il cameriere dell'Alcamo Giuseppe Scola, da Savona, muore per malattia.
9-10 febbraio 1943
L’Alcamo si trasferisce da Livorno a Palermo sotto la scorta del cacciatorpediniere tedesco Hermes e della torpediniera Libra.
Il mattino del 10 febbraio due cacciasommergibili, il VAS 213 ed il VAS 228, vengono inviati a condurre un rastrello antisom preventivo a nordovest di Palermo, in vista del suo arrivo; si rivela un’ottima idea, in quanto il sommergibile britannico P 54 (tenente di vascello Jack Whitton) è in agguato nei pressi. Questi viene sottoposto a caccia alle 5.40, senza subire danni, e due ore dopo avvista un “cacciatorpediniere” in navigazione verso nord: si tratta della torpediniera Sagittario, uscita da Palermo per rinforzare la scorta dell’Alcamo. Piroscafo e scorta giungeranno indenni a destinazione senza essere avvistati dal P 54.
15 febbraio 1943
L’Alcamo salpa da Palermo alle 11.20 insieme ai piroscafi Chieti e Frosinone ed alla piccola motocisterna Labor, diretto a Biserta, con la scorta della torpediniera Sirio (caposcorta, capitano di corvetta Antonio Cuzzaniti), della moderna torpediniera di scorta Monsone (capitano di corvetta Emanuele Filiberto Perucca Orfei), dell’anziano cacciatorpediniere Augusto Riboty (tenente di vascello di complemento Nicola Ferrone) e delle nuovissime corvette Gabbiano (tenente di vascello Alberto Ceccacci) ed Antilope (capitano di corvetta Roberto Lucciardi).
Alle 19.25, davanti a Trapani, il Riboty deve lasciare il convoglio a causa di problemi alle macchine; per sostituirlo salpa da Trapani alle 21.50 la torpediniera Clio (capitano di corvetta Carlo Brambilla), che raggiungerà il convoglio alle 00.40 del 16.
Intanto alle 23.28, 26 miglia a sud di Marettimo, l’ecogoniometro della Monsone rileva il rumore generato da due motori a scoppio distanti circa 3000 metri, su rilevamento polare 300° (60° a proravia sinistra): sono le motosiluranti britanniche MTB 77 (caposquadriglia, tenente di vascello R. A. M. Hennessy) e MTB 82 e la motocannoniera MGB 61, che stanno per attaccare il convoglio. Subito dopo la torpediniera avvista anche visivamente le tre unità nemiche, ma non può comunicarlo al resto del convoglio perché la radio ad onde ultracorte si è guastata; comunque, quasi contemporaneamente anche la Gabbiano le avvista, constatando che hanno messo in moto e stanno dirigendo verso il convoglio.
In quel momento i mercantili sono disposti su due colonne, con Alcamo seguito dalla Labor a dritta e Frosinone seguito dal Chieti a sinistra; la Monsone precede l’Alcamo, l’Antilope naviga sul lato dritto del convoglio e Gabbiano e Sirio su quello sinistro. La rotta seguita è 205°.
Tutte le unità della scorta, ed anche i mercantili, aprono il fuoco, cui le piccole unità britanniche, che procedono velocissime, rispondono brevemente con il tiro delle proprie mitragliere, i cui proiettili hanno codette luminose azzurre e rosse poco luminose. Le due motosiluranti, pur venendo colpite più volte (da bordo delle navi italiane si vede un’esplosione a prua di una di esse), serrano le distanze, penetrano nel perimetro del convoglio e compiono diversi giri, quasi su sé stesse, attaccando i mercantili; intanto la MGB 61, essendo sprovvista di siluri, aggira il convoglio e spara a volontà con le proprie mitragliere per attirare su di sé l’attenzione della scorta, in modo da agevolare l’attacco delle motosiluranti. La MTB 77 lancia un siluro da 400 metri contro l’Alcamo, mancandolo, poi accosta per lanciare contro il Chieti ma viene colpita, ed il siluro non parte (si tenta anche di danneggiare il piroscafo gettando due bombe di profondità mentre gli si passa a proravia, ma l’ufficiale che sta per lanciarle viene colpito a morte prima di poterlo fare); la motosilurante mitraglia il Chieti mentre gli passa davanti prima di allontanarsi inseguita dal tiro delle unità italiane, che la colpiscono più volte, mettendo fuori uso il nebbiogeno ed impedendole così di coprire la propria ritirata con una cortina fumogena. La MTB 82 lancia a sua volta un siluro contro l’Alcamo, poi deve ritirarsi a causa dell’intenso fuoco italiano, seguendo la MTB 77, alla quale si ricongiunge, e venendo colpita da un proiettile a poppa.
L’Antilope vede passare a poppavia, lontane, le scie di uno o forse due siluri. Le due motosiluranti (la motocannoniera si è dileguata) si ritirano verso sudest lanciando in mare due piccoli segnali luminosi, vanamente inseguite dalla Sirio, cui si unisce in seguito anche la Monsone.
16 febbraio 1943
Alle 00.40 le due motosiluranti tornano alla carica, venendo avvistate dalla Sirio su rilevamento polare 205° (25° a poppavia sinistra), ma la reazione della scorta (preciso fuoco di mitragliere) le respinge nuovamente senza che si abbiano a lamentare danni al convoglio. All’1.30 una singola motosilurante attacca per la terza volta, ma di nuovo deve invertire la rotta ed andarsene dopo essere stata bersagliata dal preciso tiro delle mitragliere (quest’ultimo attacco potrebbe però essere stato frutto soltanto dell’erronea impressione del caposcorta, non risultando dalle fonti britanniche). Nello scontro le navi italiane non hanno subito danni (a dispetto degli apprezzamenti britannici, che si accreditano il siluramento e probabile affondamento di un mercantile ad opera della MTB 77, il danneggiamento di un altro mercantile dal tiro delle stesse unità di scorta ed il probabile danneggiamento di alcuni MAS di scorta – in realtà inesistenti – per effetto del tiro delle proprie mitragliere), mentre la MTB 77 è stata colpita più volte (anche da schegge) e la MTB 82 una volta.
Dopo aver superato senza danni anche due attacchi di bombardieri (all’1.57 ed alle 3.25), il convoglio raggiunge Biserta, senza danni, alle 23.45.
 
Un’altra immagine del Saint François (da Jean-Yves Brouard, Guy Mercier, Marc Saibèbe, “La Marine Marchande Française 1939-1945”, JYB, 2009, via forum AIDMEN)

L’affondamento
 
La fortuna che aveva accompagnato l’Alcamo nella sua prima traversata verso la Tunisia lo abbandonò, disgraziatamente, nel viaggio di ritorno. Alle 00.30 del 24 febbraio 1943, infatti, la nave lasciò Biserta per fare ritorno a Napoli: in convoglio con essa c’erano ancora il Chieti ed un piroscafo tedesco, lo Stella, mentre la scorta era composta dalla Monsone e dalle sue gemelle Animoso e Fortunale (caposcorta, capitano di corvetta Mario Castelli della Vinca).
Per tutta la giornata la navigazione procedette senza incidenti, ma alle 19.57 il convoglio iniziò ad essere pedinato da aerei avversari. Il mare era calmissimo; la luna sorse alle 23.30, offrendo una buona illuminazione.
Le navi della scorta iniziarono l’emissione di cortine nebbiogene alle 20.45, ed alle 22.06 iniziarono ad accendersi ogni venti minuti gruppi di bengala, che illuminavano il convoglio a beneficio di aerei attaccanti. Alle 22.15 la Monsone evitò due siluri con la manovra; alle 00.48 (secondo il volume USMM “La difesa del traffico con l’Africa Settentrionale dal 1° ottobre 1942 alla caduta della Tunisia”; secondo “Navi mercantili perdute”, anch’esso dell’USMM, il siluramento sarebbe invece avvenuto all’1.30), quando la luna era abbastanza alta, si verificò un nuovo attacco aereo da parte di tre aerosiluranti Bristol Beaufort del 39th Squadron della Royal Air Force, guidati dal maggiore Richard S. O. (“Moose”) Marshall. I velivoli britannici commisero un grossolano errore nell’identificazione delle unità del convoglio, stimando di avere davanti a sé un (inesistente) incrociatore, due cacciatorpediniere ed una quarta unità non identificata, con rotta nord; il primo ad attaccare fu il maggiore Marshall, che sganciò il proprio siluro contro l’“incrociatore” ma non vide nessuna esplosione. Seguì l’aereo del tenente John Cartwright, che lanciò contro l’Alcamo: dopo una breve corsa, il siluro colpì il piroscafo a poppa, immobilizzandolo in posizione 39°14’ N e 12°30’ E, 45 miglia a nordovest di Ustica, 62 miglia a nord/nordest di Marettimo e 73 miglia a nord di Trapani.
Il terzo aereo, pilotato dal sottufficiale canadese Richard J. S. Dawson, scomparve senza lasciare traccia: gli altri due Beaufort non lo videro precipitare, né le fonti italiane rivendicano l’abbattimento di un aereo in questo momento.
 
Il caposcorta distaccò la Monsone per fornire assistenza all’Alcamo, ma i britannici non avevano ancora finito con questa nave: dopo l’attacco, il maggiore Marshall aveva lanciato il segnale di scoperta via radio, ed un paio d’ore più tardi altri tre Beaufort piombarono sul piroscafo immobilizzato e sulla sua solitaria unità di scorta. Il tenente Stanley Muller-Rowland avvistò sia la sezione Alcamo-Monsone che il resto del convoglio, frattanto proseguito, ma distante ancora poche miglia; effettuò due corse “di prova” prima di decidere di essere giunto in posizione favorevole per il lancio del siluro, scegliendo come bersaglio la nave di poppa, che sembrava bassa sull’acqua: era, ovviamente, l’Alcamo. Colpito a centro nave anche da questo siluro (e, secondo le fonti italiane, anche da due bombe), che sollevò una fiammata arancione, il piroscafo colò a picco in soli cinque minuti, scomparendo sotto la superficie alle 3.15.
 
Persero la vita quattro uomini dell’Alcamo, mentre 54 superstiti furono recuperati dalla Monsone ed altri undici naufraghi vennero tratti in salvo dopo l’alba da un aereo di soccorso.

Le vittime:

Giovanni Bruno, fuochista, da La Spezia
Sergio Ebraico, carbonaio
Gino Retali, carbonaio, da Portoferraio
Francesco Sacco, fuochista, da Maida
 
Degli altri due Beaufort di questo secondo gruppo, uno non riuscì a rintracciare il convoglio; il terzo, pilotato dal sottotenente rhodesiano James Cecil William Hewetson, venne abbattuto mentre tentava di attaccare il resto del convoglio. Hewetson ed il sergente William B. Richards rimasero uccisi nell’ammaraggio, mentre gli altri tre uomini dell’equipaggio (sergenti A. J. Coles, R. Bradford e A. L. Brice) riuscirono a mettersi in salvo su un battellino gonfiabile (che era però danneggiato e perdeva rapidamente aria) e furono recuperati dalla Monsone, che li incontrò per caso mentre setacciava il mare in cerca di naufraghi dell’Alcamo: secondo il sergente radiotelegrafista A. John Coles, la torpediniera procedeva a lento moto per fare meno rumore possibile, onde poter sentire eventuali richiami di naufraghi. Coles e compagni ne richiamarono infatti l’attenzione con i loro fischietti; dal racconto del sergente emerge un particolare interessante: gli uomini della Monsone, credendo di aver trovato altri superstiti del piroscafo, si rivolsero loro in francese, chiedendo “Combien êtes-vous?”, in quanto gli uomini dell’Alcamo che stavano cercando erano in maggioranza francesi. Ciò appare alquanto strano: l’Alcamo era infatti una nave ex francese, ma di norma queste, dopo la cessione all’Italia, erano armate da equipaggi interamente italiani, in quanto da una parte i marittimi francesi non desideravano navigare su navi al servizio dell’Asse, e dall’altra gli italiani ed i tedeschi non si fidavano dei marittimi francesi, in massima parte favorevoli alla causa Alleata. Le fonti italiane non fanno parola di marinai francesi tra l’equipaggio dell’Alcamo (o di qualsiasi altro mercantile ex francese).
Dopo un breve interrogatorio del più alto in grado tra i tre prigionieri (il sergente Brice), la Monsone diresse a tutta velocità verso Napoli, per sbarcarvi sia questi che i naufraghi dell’Alcamo.
 
Il resto del convoglio raggiunse indenne Napoli alle 18.40.
 

 

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