L’Alcamo con il precedente nome di Heraclides (da www.searlecanada.org) |
Piroscafo da carico
di 6987 tsl, lungo 143,41-149,8 metri, largo 17,77 e pescante 11,52, con
velocità di 11-12 nodi. Ex francese Saint
Francois, era uno degli oltre duecento mercantili francesi confiscati
dall’Asse a fine 1942, in seguito all’occupazione della Francia di Vichy ed
agli accordi Laval-Kaufmann, che prevedevano la consegna all’Asse di 159
bastimenti mercantili che si trovavano nei porti mediterranei della Francia.
Breve e parziale cronologia.
2 maggio 1916
Varato come
britannico Anglo-Chilean nel cantiere
di Pallion della Short Brothers Ltd. di Sunderland (numero di costruzione 390;
per altra fonte 276).
Il suo allestimento
viene supervisionato dal capitano Stanley Lord, designato quale suo primo
comandante.
Lord è famoso (o
famigerato) per il suo coinvolgimento nella tragedia del Titanic: era infatti comandante del Californian, piroscafo che si trovava bloccato dal ghiaccio ad
alcune miglia dal transatlantico in affondamento nella fatale notte del 15
aprile 1912 e che fu accusato, a torto o ragione, di averne ignorato le
richieste di soccorso a mezzo razzi di segnalazione, perdendo così l’occasione
di salvare centinaia di vite (la controversia sull’effettiva possibilità, per
il Californian, di raggiungere il Titanic in tempo per salvarne i
passeggeri non si è mai spenta).
30 novembre 1916
Completato come Anglo-Chilean per la Nitrate Producers'
S.S. Co. Ltd. – Lawther, Latta & Co. di Londra: è la più grande e moderna
nave della flotta della compagnia.
Stazza lorda e netta
originarie 9097 (o 9036) tsl e 4379 tsn, portata lorda 13.050 tpl, velocità 11-12,5
nodi. Porto di registrazione Londra.
Marzo 1917
Dopo un ritardo di
tre mesi dovuto a problemi riscontrati nel corso del viaggio di prova da
Sunderland al Clyde, l’Anglo-Chilean
viene consegnato agli armatori; inizia a navigare al comando del capitano Lord,
trasferendosi da Sunderland a Londra, dove dovrà imbarcare un carico di
materiale militare destinato in Egitto.
13 maggio 1917
Durante il viaggio da
Londra ad Alessandria d’Egitto con rifornimenti per l’esercito britannico, sempre
al comando di Stanley Lord, l’Anglo-Chilean
viene inseguito ed attaccato col cannone, in Mediterraneo, dal sommergibile
tedesco U 38 (tenente di vascello Max
Valentiner); risponde al fuoco con il proprio armamento difensivo, riuscendo a
scacciare l’assalitore (che anzi ritiene, erroneamente, di aver forse
affondato).
Novembre 1917
L’Anglo-Chilean, sempre al comando di Lord
(che ne rimarrà comandante fino a fine guerra ed anche dopo, fino almeno al
1924), funge da nave di bandiera del capoconvoglio (capitano di vascello W. H.
Owen della Royal Naval Reserve) di un convoglio in navigazione da New York
all’Inghilterra. Il capitano di vascello Owen elogerà in seguito il comandante
Lord in una lettera all’armatore John Latta.
La nave come Anglo-Chilean (da www.searlecanada.org) |
1917-1922
Compie 18 viaggi
verso gli Stati Uniti, trasportando merci ed anche passeggeri (fino a 69 in un
viaggio nel 1920).
Durante un viaggio il
giovane allievo ufficiale Frank John Goodchild cade in una stiva dell’Anglo-Chilean, rimanendo ferito ed intrappolato;
viene soccorso dal comandante Lord in persona, che si cala nella stiva
prendendolo e portandolo in salvo. Ne nascerà un’amicizia che durerà il resto
delle loro vite.
Dicembre 1918
Finita la guerra, l’Anglo-Chilean viene derequisito dalle
unità britanniche per recarsi in Australia a caricare grano e farina.
Inizio 1927
Durante le operazioni
di caricamento dell’Anglo-Chilean nel
porto di Brooklyn, nel corso di una burrasca, la chiatta da cui il piroscafo
deve trasbordare il carico va ad urtare violentemente contro il suo scafo,
rimanendo danneggiata.
Ne scaturirà un
contenzioso legale presso la corte d’appello di New York, tra il locatario
della chiatta, la Atlantic Lighterage Company, e la Cunard Steamship Company, locataria
dell’Anglo-Chilean. La responsabilità
dell’incidente sarà attribuita in primo luogo agli scaricatori di porto,
colpevoli di negligenza nell’aver accostato la chiatta al piroscafo con simili
condizioni meteorologiche; tuttavia il giudice Hand stabilirà che anche la
Cunard Line, in qualità di agente, sia da ritenere corresponsabile, avendo la
responsabilità di assumere e pagare gli scaricatori e gestire tutti gli aspetti
relativi allo scarico della nave.
1930
Venduto alla British
& South American Steam Navigation Company Ltd. di Londra (o Liverpool; in
gestione a R. P. Houston & Co. di Londra) e ribattezzato Heraclides.
Porto di
registrazione Londra, stazza lorda e netta 7131 tsl e 4379 tsn, nominativo di
chiamata JNMF.
Come Heraclides (da www.searlecanada.org) |
1931
In gestione alla
Houston Line (London) Ltd. In servizio sulla linea che collega il Regno Unito
all’Africa meridionale.
Stazza lorda e netta
diventano rispettivamente 6987 tsl e 4256 tsn.
Dicembre 1933
L’Heraclides parte dall’Australia per il
Regno Unito con un carico da record: ben 10.450 tonnellate di zucchero (3600
caricate a Townsville, 2000 a Bowen ed il rimanente a Mackay).
1934
Il nominativo di
chiamata diventa GPYK.
1939
Venduto alla Hermes Steamship Company Ltd. di Londra
e ribattezzato Hermes. In gestione a
Vergottis Ltd. di Londra.
17 settembre 1939
L’Hermes parte dalle Isole di Capo Verde
diretto a Falmouth, navigando da solo e senza scorta.
1° ottobre 1939
Arriva a Falmouth.
4 ottobre 1939
Lascia Falmouth
diretto a Brixham.
5 ottobre 1939
Arriva a Brixham.
27 ottobre 1939
Lascia Brixham alla
volta di Anversa, sempre in navigazione isolata.
30 ottobre 1939
Giunge ad Anversa.
20 novembre 1939
Lascia Anversa.
24 novembre 1939
Salpa da Southend con
il convoglio OA.40G (formato da venti mercantili, tutti britannici tranne i
francesi Beauce e Touraine, scortati dai
cacciatorpediniere Verity e Wolverine).
28 novembre 1939
Arriva a Cardiff.
24 dicembre 1939
Lascia Cardiff.
27 dicembre 1939
Carico di carbon
fossile, l’Hermes salpa da Milford
Haven con il convoglio OB. 60 (composto da 31 mercantili, tutti britannici
tranne i polacchi Lechistan e Morska Wola ed il francese P.L.M. 15, scortati dai
cacciatorpediniere Vanoc e Whirlwind). L’indomani il convoglio OB.
60 si unisce ad altre unità e forma il convoglio OG. 12 (40 mercantili, tutti
britannici tranne i tre già menzionati ed i francesi De Grasse e Guyanne,
scortati fino al 29 dai cacciatorpediniere britannici Vanoc, Whirlwind, Wivern e Whitehall e poi dal britannico Vidette
e dai francesi Valmy e Chevalier Paul).
4 gennaio 1940
Entra in Mediterraneo
con il convoglio OG. 12.
12 gennaio 1940
Lasciato il convoglio
e proseguito da solo, arriva ad Alessandria d’Egitto, sua destinazione finale.
28 gennaio 1940
Lascia Alessandria
per Port Said.
29 gennaio 1940
Giunge a Port Said.
30 gennaio 1940
Salpa da Suez diretto
a Rangoon, in Birmania, un viaggio che compirà da solo e senza scorta.
20 febbraio 1940
Arriva a Rangoon.
4 marzo 1940
Lascia Rangoon
diretto a Colombo, Ceylon.
10 marzo 1940
Arriva a Colombo.
11 marzo 1940
Lascia Colombo per
fare ritorno in Mediterraneo, sempre in navigazione isolata.
27 marzo 1940
Arriva a Suez.
28 marzo 1940
Salpa da Port Said
per Gibilterra.
5 aprile 1940
Arriva a Gibilterra.
10 aprile 1940
Carico di merci
varie, l’Hermes lascia Gibilterra con
il convoglio HG. 26F, diretto a Liverpool e formato da 17 mercantili (tutti
britannici tranne il polacco Lida ed
il norvegese Bosphorus) scortati dai
cacciatorpediniere Lynx (francese) e Velox (britannico) e dal sommergibile
francese Minerve.
Il 13 aprile il Velox lascia la scorta, mentre il 16 le
due unità francesi sono rilevate dallo sloop britannico Deptford.
19 aprile 1940
Arriva ad Avonmouth.
2 maggio 1940
Lascia Avonmouth per
Liverpool.
3 maggio 1940
Arriva a Liverpool.
10 maggio 1940
Lascia Liverpool.
12 maggio 1940
Giunge a Barry.
1° giugno 1940
Riparte da Barry.
4 giugno 1940
Carico di carbone, l’Hermes lascia Milford Haven con il
convoglio OB. 161 (formato da 25 mercantili, di cui 19 britannici, due greci,
uno francese, uno olandese, un belga ed uno svedese), che in mare aperto si
unisce al convoglio OG. 32 (formato da 42 mercantili, di cui 36 britannici, due
francesi, due greci, uno olandese, uno svedese, scortati inizialmente dagli
sloops britannici Aberdeen e Folkestone, sostituiti il 10 giugno dai
cacciatorpediniere britannici Douglas
e Vidette).
11 giugno 1940
Arriva a Gibilterra
con il convoglio OG. 32.
14 giugno 1940
Lascia Gibilterra
alla volta di Orano, stavolta scortato.
15 giugno 1940
Giunge ad Orano.
16 giugno 1940
Lascia Orano per
Algeri.
17 giugno 1940
Arriva ad Algeri, sua
destinazione finale.
25 o 29 giugno 1940
L’Hermes, sorpreso ad Algeri dalla resa
della Francia, viene posto sotto sequestro dalle autorità del neonato regime di
Vichy in base al “diritto d’angheria”.
15 marzo 1941
Formalmente confiscato
dalle autorità francesi ad Algeri, l’Hermes
viene dato in gestione alla Compagnie des Bateaux à Vapeur du Nord e
ribattezzato Saint Francois (per
altra fonte il cambio di nome e di bandiera sarebbe avvenuto già nel giugno
1940).
Successivamente
trasferito a Marsiglia.
La nave dopo il cambio di nome in Saint François (da Jean-Yves Brouard, Guy Mercier, Marc Saibène, “La Marine Marchande Française 1940-1942”, Marines Editions, 1998, via forum AIDMEN) |
Giugno 1941
Secondo una fonte
francese, mentre si trova in un porto tunisino, l’Hermes sarebbe stato attaccato ed affondato da Henri Verdier,
sabotatore appartenente ad una rete della Resistenza francese organizzata
dall’avvocato André Mounier e dal maggiore Jean Breuillac. Questi avrebbe
collocato una carica esplosiva sotto lo scafo del piroscafo, carico di minerale
destinato all’Italia (la fonte menziona la nave come italiana), facendolo
affondare spezzato in due. Si tratta però di un errore: in primo luogo, l’Hermes non si chiamava più Hermes, bensì Saint Francois; in secondo luogo, non era ancora italiano (non lo
fu fino a fine 1942), bensì francese; in terzo luogo, lo stesso Verdier nel
dopoguerra non rivendicò di aver partecipato agli attacchi contro il naviglio
italiano organizzati dalla rete di Mounier (che riuscì invece ad affondare un
altro piroscafo, l’Achille, successivamente
recuperato e riparato); infine, non risulta che l’Hermes/Saint Francois sia
mai stato oggetto di sabotaggio, e tanto meno affondato.
8 o 9 dicembre 1942
Confiscato dalle
truppe tedesche a Marsiglia e trasferito all’Italia; ribattezzato Alcamo, viene iscritto al Compartimento
Marittimo di Genova ed affidato in gestione alla Società Italia di Navigazione
(per altra fonte, probabilmente erronea, alla Società Anonima di Navigazione
Adriatica di Venezia), senza essere requisito dalla Regia Marina.
31 dicembre 1942
Il cameriere dell'Alcamo Giuseppe Scola, da Savona, muore per malattia.
9-10 febbraio 1943
L’Alcamo si trasferisce da Livorno a
Palermo sotto la scorta del cacciatorpediniere tedesco Hermes e della torpediniera Libra.
Il mattino del 10
febbraio due cacciasommergibili, il VAS
213 ed il VAS 228, vengono
inviati a condurre un rastrello antisom preventivo a nordovest di Palermo, in
vista del suo arrivo; si rivela un’ottima idea, in quanto il sommergibile
britannico P 54 (tenente di vascello
Jack Whitton) è in agguato nei pressi. Questi viene sottoposto a caccia alle
5.40, senza subire danni, e due ore dopo avvista un “cacciatorpediniere” in
navigazione verso nord: si tratta della torpediniera Sagittario, uscita da Palermo per rinforzare la scorta dell’Alcamo. Piroscafo e scorta giungeranno
indenni a destinazione senza essere avvistati dal P 54.
15 febbraio 1943
L’Alcamo salpa da Palermo alle 11.20
insieme ai piroscafi Chieti e Frosinone ed alla piccola
motocisterna Labor, diretto a
Biserta, con la scorta della torpediniera Sirio
(caposcorta, capitano di corvetta Antonio Cuzzaniti), della moderna torpediniera
di scorta Monsone (capitano di
corvetta Emanuele Filiberto Perucca Orfei), dell’anziano cacciatorpediniere Augusto Riboty (tenente di vascello di complemento Nicola Ferrone) e
delle nuovissime corvette Gabbiano
(tenente di vascello Alberto Ceccacci) ed Antilope (capitano di corvetta Roberto Lucciardi).
Alle 19.25, davanti a
Trapani, il Riboty deve lasciare
il convoglio a causa di problemi alle macchine; per sostituirlo salpa da
Trapani alle 21.50 la torpediniera Clio
(capitano di corvetta Carlo Brambilla), che raggiungerà il convoglio alle 00.40
del 16.
Intanto alle 23.28,
26 miglia a sud di Marettimo, l’ecogoniometro della Monsone rileva il rumore generato da due motori a scoppio
distanti circa 3000 metri, su rilevamento polare 300° (60° a proravia sinistra):
sono le motosiluranti britanniche MTB
77 (caposquadriglia, tenente di vascello R. A. M. Hennessy) e MTB 82 e la motocannoniera MGB 61, che stanno per attaccare il
convoglio. Subito dopo la torpediniera avvista anche visivamente le tre unità
nemiche, ma non può comunicarlo al resto del convoglio perché la radio ad onde
ultracorte si è guastata; comunque, quasi contemporaneamente anche la Gabbiano le avvista, constatando
che hanno messo in moto e stanno dirigendo verso il convoglio.
In quel momento i
mercantili sono disposti su due colonne, con Alcamo seguito dalla Labor
a dritta e Frosinone seguito dal Chieti a sinistra; la Monsone precede l’Alcamo, l’Antilope naviga
sul lato dritto del convoglio e Gabbiano
e Sirio su quello sinistro. La rotta
seguita è 205°.
Tutte le unità della
scorta, ed anche i mercantili, aprono il fuoco, cui le piccole unità
britanniche, che procedono velocissime, rispondono brevemente con il tiro delle
proprie mitragliere, i cui proiettili hanno codette luminose azzurre e rosse
poco luminose. Le due motosiluranti, pur venendo colpite più volte (da bordo
delle navi italiane si vede un’esplosione a prua di una di esse), serrano le
distanze, penetrano nel perimetro del convoglio e compiono diversi giri, quasi
su sé stesse, attaccando i mercantili; intanto la MGB 61, essendo sprovvista di siluri, aggira il convoglio e spara a
volontà con le proprie mitragliere per attirare su di sé l’attenzione della
scorta, in modo da agevolare l’attacco delle motosiluranti. La MTB 77 lancia un siluro da 400
metri contro l’Alcamo, mancandolo,
poi accosta per lanciare contro il Chieti ma
viene colpita, ed il siluro non parte (si tenta anche di danneggiare il
piroscafo gettando due bombe di profondità mentre gli si passa a proravia, ma
l’ufficiale che sta per lanciarle viene colpito a morte prima di poterlo fare);
la motosilurante mitraglia il Chieti mentre
gli passa davanti prima di allontanarsi inseguita dal tiro delle unità
italiane, che la colpiscono più volte, mettendo fuori uso il nebbiogeno ed
impedendole così di coprire la propria ritirata con una cortina fumogena.
La MTB 82 lancia a sua volta
un siluro contro l’Alcamo, poi deve
ritirarsi a causa dell’intenso fuoco italiano, seguendo la MTB 77, alla quale si ricongiunge, e
venendo colpita da un proiettile a poppa.
L’Antilope vede passare a poppavia,
lontane, le scie di uno o forse due siluri. Le due motosiluranti (la
motocannoniera si è dileguata) si ritirano verso sudest lanciando in mare due
piccoli segnali luminosi, vanamente inseguite dalla Sirio, cui si unisce in seguito anche la Monsone.
16 febbraio 1943
Alle 00.40 le due
motosiluranti tornano alla carica, venendo avvistate dalla Sirio su rilevamento polare 205°
(25° a poppavia sinistra), ma la reazione della scorta (preciso fuoco di
mitragliere) le respinge nuovamente senza che si abbiano a lamentare danni al
convoglio. All’1.30 una singola motosilurante attacca per la terza volta, ma di
nuovo deve invertire la rotta ed andarsene dopo essere stata bersagliata dal
preciso tiro delle mitragliere (quest’ultimo attacco potrebbe però essere stato
frutto soltanto dell’erronea impressione del caposcorta, non risultando dalle
fonti britanniche). Nello scontro le navi italiane non hanno subito danni (a
dispetto degli apprezzamenti britannici, che si accreditano il siluramento e
probabile affondamento di un mercantile ad opera della MTB 77, il danneggiamento di un altro mercantile dal tiro delle
stesse unità di scorta ed il probabile danneggiamento di alcuni MAS di scorta –
in realtà inesistenti – per effetto del tiro delle proprie mitragliere), mentre
la MTB 77 è stata colpita più volte (anche
da schegge) e la MTB 82 una volta.
Dopo aver superato senza
danni anche due attacchi di bombardieri (all’1.57 ed alle 3.25), il convoglio
raggiunge Biserta, senza danni, alle 23.45.
L’affondamento
La fortuna che aveva
accompagnato l’Alcamo nella sua prima
traversata verso la Tunisia lo abbandonò, disgraziatamente, nel viaggio di
ritorno. Alle 00.30 del 24 febbraio 1943, infatti, la nave lasciò Biserta per
fare ritorno a Napoli: in convoglio con essa c’erano ancora il Chieti ed un piroscafo tedesco, lo Stella, mentre la scorta era composta
dalla Monsone e dalle sue gemelle Animoso e Fortunale (caposcorta, capitano di corvetta Mario Castelli della
Vinca).
Per tutta la giornata
la navigazione procedette senza incidenti, ma alle 19.57 il convoglio iniziò ad
essere pedinato da aerei avversari. Il mare era calmissimo; la luna sorse alle
23.30, offrendo una buona illuminazione.
Le navi della scorta
iniziarono l’emissione di cortine nebbiogene alle 20.45, ed alle 22.06
iniziarono ad accendersi ogni venti minuti gruppi di bengala, che illuminavano
il convoglio a beneficio di aerei attaccanti. Alle 22.15 la Monsone evitò due siluri con la manovra;
alle 00.48 (secondo il volume USMM “La difesa del traffico con l’Africa
Settentrionale dal 1° ottobre 1942 alla caduta della Tunisia”; secondo “Navi
mercantili perdute”, anch’esso dell’USMM, il siluramento sarebbe invece
avvenuto all’1.30), quando la luna era abbastanza alta, si verificò un nuovo
attacco aereo da parte di tre aerosiluranti Bristol Beaufort del 39th
Squadron della Royal Air Force, guidati dal maggiore Richard S. O. (“Moose”)
Marshall. I velivoli britannici commisero un grossolano errore
nell’identificazione delle unità del convoglio, stimando di avere davanti a sé
un (inesistente) incrociatore, due cacciatorpediniere ed una quarta unità non
identificata, con rotta nord; il primo ad attaccare fu il maggiore Marshall,
che sganciò il proprio siluro contro l’“incrociatore” ma non vide nessuna
esplosione. Seguì l’aereo del tenente John Cartwright, che lanciò contro l’Alcamo: dopo una breve corsa, il siluro
colpì il piroscafo a poppa, immobilizzandolo in posizione 39°14’ N e 12°30’ E,
45 miglia a nordovest di Ustica, 62 miglia a nord/nordest di Marettimo e 73
miglia a nord di Trapani.
Il terzo aereo,
pilotato dal sottufficiale canadese Richard J. S. Dawson, scomparve senza
lasciare traccia: gli altri due Beaufort non lo videro precipitare, né le fonti
italiane rivendicano l’abbattimento di un aereo in questo momento.
Il caposcorta
distaccò la Monsone per fornire assistenza
all’Alcamo, ma i britannici non
avevano ancora finito con questa nave: dopo l’attacco, il maggiore Marshall
aveva lanciato il segnale di scoperta via radio, ed un paio d’ore più tardi
altri tre Beaufort piombarono sul piroscafo immobilizzato e sulla sua solitaria
unità di scorta. Il tenente Stanley Muller-Rowland avvistò sia la sezione Alcamo-Monsone che il resto del convoglio, frattanto proseguito, ma
distante ancora poche miglia; effettuò due corse “di prova” prima di decidere
di essere giunto in posizione favorevole per il lancio del siluro, scegliendo
come bersaglio la nave di poppa, che sembrava bassa sull’acqua: era,
ovviamente, l’Alcamo. Colpito a
centro nave anche da questo siluro (e, secondo le fonti italiane, anche da due
bombe), che sollevò una fiammata arancione, il piroscafo colò a picco in soli
cinque minuti, scomparendo sotto la superficie alle 3.15.
Persero la vita
quattro uomini dell’Alcamo, mentre 54
superstiti furono recuperati dalla Monsone
ed altri undici naufraghi vennero tratti in salvo dopo l’alba da un aereo di
soccorso.
Le vittime:
Giovanni Bruno, fuochista, da La Spezia
Sergio Ebraico, carbonaio
Gino Retali, carbonaio, da Portoferraio
Francesco Sacco, fuochista, da Maida
Degli altri due
Beaufort di questo secondo gruppo, uno non riuscì a rintracciare il convoglio;
il terzo, pilotato dal sottotenente rhodesiano James Cecil William Hewetson,
venne abbattuto mentre tentava di attaccare il resto del convoglio. Hewetson ed
il sergente William B. Richards rimasero uccisi nell’ammaraggio, mentre gli
altri tre uomini dell’equipaggio (sergenti A. J. Coles, R. Bradford e A. L.
Brice) riuscirono a mettersi in salvo su un battellino gonfiabile (che era però
danneggiato e perdeva rapidamente aria) e furono recuperati dalla Monsone, che li incontrò per caso mentre
setacciava il mare in cerca di naufraghi dell’Alcamo: secondo il sergente radiotelegrafista A. John Coles, la
torpediniera procedeva a lento moto per fare meno rumore possibile, onde poter
sentire eventuali richiami di naufraghi. Coles e compagni ne richiamarono
infatti l’attenzione con i loro fischietti; dal racconto del sergente emerge un
particolare interessante: gli uomini della Monsone,
credendo di aver trovato altri superstiti del piroscafo, si rivolsero loro in
francese, chiedendo “Combien êtes-vous?”, in quanto gli uomini dell’Alcamo che stavano cercando erano in
maggioranza francesi. Ciò appare alquanto strano: l’Alcamo era infatti una nave ex francese, ma di norma queste, dopo
la cessione all’Italia, erano armate da equipaggi interamente italiani, in
quanto da una parte i marittimi francesi non desideravano navigare su navi al
servizio dell’Asse, e dall’altra gli italiani ed i tedeschi non si fidavano dei
marittimi francesi, in massima parte favorevoli alla causa Alleata. Le fonti
italiane non fanno parola di marinai francesi tra l’equipaggio dell’Alcamo (o di qualsiasi altro mercantile
ex francese).
Dopo un breve
interrogatorio del più alto in grado tra i tre prigionieri (il sergente Brice),
la Monsone diresse a tutta velocità
verso Napoli, per sbarcarvi sia questi che i naufraghi dell’Alcamo.
Il resto del
convoglio raggiunse indenne Napoli alle 18.40.
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