venerdì 8 maggio 2020

Sirena

Il Sirena nel 1942 (Coll. Aldo Cavallini, via www.naviearmatori.net)

Sommergibile di piccola crociera, capoclasse della classe omonima, appartenente alla serie "600" del tipo "Bernardis" (dal nome del progettista, generale del Genio Navale Curio Bernardis), ossia a scafo semplice con doppi fondi centrali resistenti (nei quali erano ricavate tutte le casse: zavorra, emersione, emersione rapida e compenso) e controcarene esterne (aventi sia la funzione di aumentare la stabilità laterale, sia di ospitare ulteriori serbatoi di carburante).
Seconda delle cinque classi di sommergibili di piccola crociera (Argonauta, Sirena, Perla, Adua, Acciaio) che formavano la serie "600" (così detta per via del dislocamento in superficie dei battelli che la componevano), la classe Sirena fu composta da sommergibili semplici, pratici e resistenti, caratterizzati da eccellente stabilità e manovrabilità sia in superficie che in immersione, buona robustezza ed anche buona abitabilità, a dispetto delle ridotte dimensioni.
Derivati dalla classe Argonauta, che aveva aperto la serie dei "600", i Sirena furono impostati prima dell’entrata in servizio dei loro predecessori, il che impedì di sfruttare appieno nella loro progettazione le prime esperienze emerse dall’impiego della nuova classe. Nondimeno, furono giudicati unità ben riuscite, come del resto gli Argonauta. Tra i Sirena e gli Argonauta vi erano alcune leggere differenze relative allo scafo (che sui Sirena risultò leggermente più corto e largo: 60,20 metri di lunghezza e 6,45 di larghezza contro i 61,5 e 5,65 degli Argonauta) ed alle sovrastrutture, derivanti da migliorie apportate in fase progettuale; in particolare il dritto di prora, che sugli Argonauta aveva forme simili a quelle dei più grandi sommergibili della classe Pisani (da cui in parte erano derivati), venne leggermente rialzato sui Sirena, assumendo una forma detta “a squalo”. Il dislocamento risultò leggermente maggiore rispetto alla classe precedente (679 contro 666 tonnellate in superficie, e 842 contro 810 in immersione). Altre differenze erano costituite dal cannone di coperta, costituito dal nuovo modello da 100/47 mm che andò a sostituire il più datato 102/35 degli Argonauta, e dai motori, anch’essi più moderni e di potenza (1350 CV contro 1250 CV) ed autonomia leggermente maggiori. In generale, furono adottati apparati più moderni, onde migliorare le già buone qualità della classe precedente; infatti le prestazioni dei Sirena risultarono migliori di quelle, già soddisfacenti, degli Argonauta.
La decisione di costruire la classe Sirena fu presa dalla Regia Marina in seguito alla Conferenza navale di Londra del 1930, nella quale fu stabilito che non vi sarebbe stata alcuna limitazione in merito al numero di sommergibili di dislocamento standard in superficie non superiore alle 600 tonnellate che le nazioni firmatarie avrebbero potuto costruire. Proprio per questo, la serie "600" divenne il modello standard di tutti i sommergibili di piccola crociera costruiti dalla Marina italiana nel corso degli anni Trenta.

Il Sirena dislocava 678,95 tonnellate in superficie e 842,20 in immersione; il dislocamento variava leggermente tra i sommergibili della classe costruiti in cantieri diversi, ed è variamente indicato come 681, 691 o 701 tonnellate in superficie e 842, 850 o 860 tonnellate in immersione.
L’apparato propulsore per la navigazione in superficie era costituito da due motori diesel FIAT della potenza di 1350 o 1444 CV (650 o 675 CV a motore) su due eliche quadripale, che consentivano una velocità massima di 14 nodi, mentre per la navigazione in immersione c’erano due motori elettrici CRDA della potenza di 800 CV (400 CV a motore), alimentati da una batteria di accumulatori al piombo composta da 104 elementi, che permettevano una velocità massima di 7,7 nodi. L’autonomia in superficie, con una scorta di 80 tonnellate di carburante, era di 2200 miglia a 14 nodi (per altra fonte, 2280 miglia a 12 nodi) e 5000 (per altra fonte 5590) miglia ad otto nodi (4480 miglia a 8,5 nodi); in immersione, di sette/otto miglia a 7,5 nodi e 72 (per altra fonte 84) miglia a quattro nodi.
Differivano in questo i sommergibili della classe costruiti a Taranto e Fiume, che erano invece propulsi da motori diesel Franco Tosi e motori elettrici Marelli, con prestazioni di autonomia e velocità leggermente differenti.
I Sirena erano armati con sei tubi lanciasiluri da 533 mm, quattro a prua e due a poppa, con una riserva di sei siluri (per altra fonte, dodici siluri), e con un cannone OTO Mod. 1931 da 100/47 mm (con scorta di 144 o 152 colpi) e due mitragliere contraeree Breda Mod. 31 da 13,2/76 mm in impianti singoli (con scorta di 3000 colpi; secondo qualche fonte il numero di queste mitragliere sarebbe stato successivamente portato a quattro).
La profondità di collaudo era di 80 metri, con coefficiente di sicurezza (relativo alla sollecitazione massima riferito al limite di elasticità del materiale) 3.

I dodici sommergibili della classe furono battezzati per metà con nomi di “deità marine” (Sirena, Naiade, Nereide, Anfitrite, Ondina, Galatea) e per l’altra metà con nomi di minerali (Ametista, Diamante, Rubino, Topazio, Smeraldo, Zaffiro). I sei sommergibili del gruppo legato alla mitologia furono costruiti dai CRDA di Monfalcone, mentre i restanti sei furono affidati, a coppie, ad altri tre cantieri: Ametista e Zaffiro ai cantieri OTO di La Spezia; Diamante e Smeraldo ai cantieri Franco Tosi di Taranto; Rubino e Topazio ai Cantieri del Quarnaro di Fiume (primi ed unici sommergibili costruiti da questo cantiere per la Regia Marina: si trattò di un “esperimento”, che non fu replicato).
Uno solo, il Galatea, sarebbe sopravvissuto alla guerra: degli altri, nove sarebbero andati perduti in azione e due si sarebbero autoaffondati in seguito all’armistizio di Cassibile. Quelli che sopravvissero fino a dopo il 1941 furono sottoposti a lavori di riduzione della falsatorre, onde ridurre i tempi d’immersione e renderli meno avvistabili da grande distanza.

Un’altra immagine del Sirena (USMM via “KR 40-43: cronache di guerra” di Giulio Grilletta)

Dai Sirena fu poi derivata, con poche modifiche, la classe Perla; secondo alcune fonti anche il Delfinul, sommergibile costruito nei Cantieri del Quarnaro per la Marina romena, avrebbe costituito una versione modificata della classe Sirena, ma ciò sembra alquanto strano se si considera che venne impostato nel 1927, quattro anni prima dei Sirena e prima ancora degli stessi Argonauta (che furono impostati soltanto nel 1929). Dato però che la sua costruzione andò per le lunghe, terminando nel 1931-1932 (e non venne consegnato alla Marina romena fino al 1936), è possibile che sia stato modificato durante la costruzione sulla base del progetto dei Sirena.

I Sirena avrebbero dovuto essere i primi sommergibili della Regia Marina (salvo il vecchio H 3, impiegato per la sperimentazione) ad essere dotati dell’apparato «ML», progettato nella prima metà degli anni Venti dal maggiore del Genio Navale Pericle Ferretti. Tale apparato, aspirando aria dalla superficie e scaricando all’esterno i gas combusti prodotti dai motori, consentiva al sommergibile che lo usava di arieggiare i locali e di utilizzare i motori diesel anche in immersione (purché rimanesse a quota periscopica): in sostanza si trattava di un precursore dello snorkel, rivoluzionario apparato sviluppato alcuni anni più tardi da tecnici della Marina olandese e poi adottato da quella tedesca nella seconda guerra mondiale, per poi diffondersi in tutte le Marine del mondo dopo la fine del conflitto. I vantaggi di questo apparato erano molti, aumentando la velocità (secondo le stime del suo progettista, di almeno tre nodi) ed autonomia in immersione, la sicurezza (anche volendo usare i motori elettrici, il sommergibile poteva ricaricare le batterie senza essere costretto ad emergere ed esporsi agli attacchi nemici) e la capacità di attacco (grazie alla maggiore velocità in immersione, si sarebbe potuto aumentare il settore utile d’attacco anche del 60 %) e libertà di movimento del sommergibile che lo utilizzava (che senza emergere poteva tenere le batterie sempre cariche), e che non era più costretto ad utilizzare i motori elettrici e riemergere una volta al giorno per ricaricare le batterie; anche l’abitabilità era migliorata, potendo ventilare i locali anche in immersione. Dopo il successo dei test condotti per quattro anni sull’H 3, i vertici della Regia Marina ordinarono a Ferretti di perfezionare il suo apparato per poi produrlo in serie ed installarlo sui sommergibili della classe Sirena (e per una fonte, anche della classe Argonauta): i disegni esecutivi per la produzione in serie dell’apparato «ML», realizzati dai CRDA di Monfalcone, risalgono al 1934-1935, ma nel 1938 il nuovo comandante della flotta subacquea italiana, contrammiraglio Antonio Legnani, fece sospendere la produzione di tali apparecchi e fece persino demolire quelli già prodotti, per ragioni rimaste sconosciute a causa della successiva perdita della relativa documentazione. Il risultato fu che né i Sirena, né nessun altro sommergibile italiano poterono utilizzare lo snorkel fino a dopo la seconda guerra mondiale, quando vennero introdotti anche nella Marina italiana gli apparati derivati da quelli olandesi.
Non è del tutto chiaro se questi apparati abbiano fatto in tempo ad essere installati o meno sui Sirena, prima della decisione di Legnani: secondo qualche fonte, tra cui il libro “Uomini sul fondo” di Giorgio Giorgerini, i Sirena furono predisposti per l’installazione ma gli apparati non vennero mai installati, mentre secondo quanto scritto dallo stesso Ferretti gli «ML» furono installati sperimentalmente nel 1934 su alcuni dei Sirena in costruzione a Monfalcone, salvo poi essere rimossi su decisione di Legnani («Vennero costruiti alcuni esemplari che, dopo collaudo in apposito impianto di prova a terra, si incominciarono a montare sui tipi Sirena. Destinato l’ammiraglio Legnani a capo dei sommergibili, esso [sic] dispose che gli apparecchi già costruiti venissero demoliti e degli altri in corso di costruzione venne interrotta la costruzione»).
Secondo una fonte l’abbandono dell’apparato «ML» sarebbe stato motivato da prestazioni insoddisfacenti, e più precisamente un aumento della velocità in immersione, usando i motori diesel, di “soltanto” 1,7 nodi (il che per la verità non sembrerebbe una differenza da poco, considerato che la velocità massima con i motori elettrici era di meno di otto nodi).

Durante la seconda guerra mondiale, il Sirena operò prevalentemente nel Mediterraneo orientale, nel Canale d’Otranto e nel Golfo di Taranto; effettuò complessivamente 33 o 34 missioni di guerra (19 offensive/esplorative, una di trasporto e 14 di trasferimento), percorrendo 19.659 miglia nautiche in superficie e 3052 in immersione e trascorrendo 204 giorni in mare.
Il motto del Sirena era "E gurgite dominans" (“dai gorghi [esco] dominante”).

Breve e parziale cronologia.

1° maggio 1931
Impostazione presso i Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Monfalcone (numero di costruzione 255).
26 gennaio 1933
Varo presso i Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Monfalcone. Posto subito a disposizione del Comando Marina di Pola (il giorno stesso del varo), rimane a Monfalcone per i collaudi e l’allestimento.

Il Sirena pronto al varo (da “Gli squali dell’Adriatico. Monfalcone e i suoi sommergibili nella storia navale italiana” di Alessandro Turrini, Vittorelli Edizioni, 1999, via www.betasom.it)
Il palco d’onore con le autorità che presenziarono al varo del Sirena (foto Giuseppe Cividini, Archivio Consorzio Culturale del Monfalconese)

17 febbraio 1933
Durante l’allestimento scoppia un principio d’incendio nella camera di lancio poppiera; le fiamme vengono domate prima di poter causare danni di rilievo, e non vi sono feriti.
2 ottobre 1933
Entrata in servizio.
23 novembre 1933
Posto alle dipendenze dell’Ispettorato Sommergibili, viene assegnato alla X Squadriglia Sommergibili, con base a Brindisi ed alle dipendenze del Comando Divisione Sommergibili, che forma insieme ai gemelli NaiadeNereideAnfitrite, Ondina e Galatea; squadriglia chiamata, per via dei nomi dei battelli che la compongono, delle "deità marine".
Primo comandante del Sirena è il capitano di corvetta Primo Longobardo.
1934
Effettua una lunga crociera addestrativa nel Mediterraneo orientale, facendo scalo al Pireo, ad Alessandria d’Egitto, a Tobruk, a Bengasi ed a Tripoli.



 Il Sirena passa sotto il ponte girevole di Taranto al ritorno da un’esercitazione, nel maggio 1933. In coperta sono visibili due siluri da esercitazione, recuperati dopo il lancio (da “Navi e bugie” di Nino Bixio Lo Martire, Schena Editore, 1983, via Marcello Risolo e www.betasom.it)


1934-1936
Compie altre crociere di addestramento lungo le coste italiane.
2 gennaio 1937
Il Sirena (capitano di corvetta Luigi Caneschi), assegnato al IV Gruppo Sommergibili di Taranto, salpa da Napoli per una missione clandestina al largo di Almeria e di Capo de Gata, in appoggio alle forze franchiste, durante la guerra civile spagnola. Deve attaccare eventuali navi da guerra spagnole repubblicane, nonché mercantili impegnati nel trasporto di rifornimenti verso i porti controllati dai repubblicani; le regole d’ingaggio, in merito a questi ultimi (il cui riconoscimento è alquanto difficile), sono molto restrittive, al fine di evitare incidenti internazionali, il che limita fortemente l’operatività dei sommergibili (come scritto da Francesco Mattesini: «evitare il siluramento al di fuori del limite assegnato, e portare a fondo gli attacchi soltanto contro le navi da guerra o mercantili chiaramente identificate come repubblicane o sovietiche e contro quelle che transitavano a luci oscurate nelle zone prescritte per l’agguato. Queste imposizioni causarono, come avevano previsto gli ammiragli Canaris e Cavagnari, un serio ostacolo all’attività dei sommergibili italiani, dal momento che era effettivamente assai difficile il poter identificare con sufficiente sicurezza un mercantile che navigava con falsa bandiera»).
Tra fine gennaio ed inizio febbraio 1937 sono ben diciassette i sommergibili italiani schierati in agguato al largo delle coste spagnole: il loro compito è di insidare i porti in mano alla fazione repubblicana e tagliare i flussi di rifornimenti ivi diretti.
Durante la missione il Sirena inizierà tre manovre di attacco, che però non porterà a termine (per altra fonte, invece, non avrebbe avvistato navi sospette).
19 gennaio 1937
Conclude la missione rientrando alla base.
1938
Dislocato a Brindisi, inquadrato nella XLII Squadriglia Sommergibili insieme a NaiadeNereideAnfitrite, Ondina e Galatea.
5 maggio 1938
Al comando del capitano di corvetta Luigi Caneschi, il Sirena prende parte alla rivista navale "H" organizzata nel Golfo di Napoli per la visita in Italia di Adolf Hitler. Partecipa alla rivista la maggior parte della flotta italiana: le corazzate Cesare e Cavour, i 7 incrociatori pesanti della I e III Divisione, gli 11 incrociatori leggeri della II, IV, VII e VIII Divisione, 7 "esploratori leggeri" classe Navigatori, 18 cacciatorpediniere (le Squadriglie VII, VIII, IX e X, più il Borea e lo Zeffiro), 30 torpediniere (le Squadriglie IX, X, XI e XII, più le vecchie AudaceCastelfidardoCurtatoneFrancesco StoccoNicola Fabrizi e Giuseppe La Masa ed i quattro "avvisi scorta" della classe Orsa), ben 85 sommergibili della Squadra Sommergibili al comando dell’ammiraglio Antonio Legnani, e 24 MAS (Squadriglie IV, V, VIII, IX, X e XI), nonché le navi scuola Cristoforo Colombo ed Amerigo Vespucci, il panfilo di Benito Mussolini, l’Aurora, la nave reale Savoia e la nave bersaglio San Marco.
La Squadra Sommergibili è protagonista di uno dei momenti più spettacolari della parata, nella quale gli 85 battelli effettuano una serie di manovre sincronizzate: dapprima, disposti su due colonne, alle 13.15 passano contromarcia tra le due squadre  navali che procedono su rotte parallele; poi, terminato il defilamento, alle 13.25 tutti i sommergibili effettuano un’immersione simultanea di massa, procedono per un breve tratto in immersione e poi emergono simultaneamente ed eseguono una salva di undici colpi con i rispettivi cannoni.
10 giugno 1940
All’entrata dell’Italia nella seconda guerra mondiale, il Sirena fa parte della LXI Squadriglia Sommergibili, appartenente al VI Grupsom di Tobruk, insieme ai similari Argonauta, Smeraldo, Naiade e Fisalia.
18 giugno 1940
Il Sirena (tenente di vascello Raul Galletti) salpa da Tobruk per la prima missione di guerra, da svolgere al largo del Golfo di Sollum.
20 giugno 1940
Giunto nella zona assegnata per la missione, alle 21 il Sirena avvista un cacciatorpediniere britannico una ventina di miglia a nord di Ras Uleima (Golfo di Sollum) e manovra per portarsi in posizione favorevole all’attacco silurante, ma viene da questi localizzato prima di poter lanciare (per altra fonte, sarebbe riuscito a lanciare un siluro, ma senza colpire, per poi essere localizzato e sottoposto al contrattacco).
L’unità attaccata fa parte di una formazione composta da due incrociatori francesi (il Suffren, pesante, ed il Duguay-Trouin, leggero) e tre cacciatorpediniere britannici (Ilex, Nubian, Imperial) usciti da Alessandria d’Egitto alle 17.30 del giorno precedente per condurre una ricerca di un incrociatore ed un cacciatorpediniere italiani, la cui presenza è stata segnalata al largo di Tobruk, durante l’operazione "MD. 3" (bombardamento di Bardia da parte di una formazione anglo-francese composta dalla corazzata francese Lorraine, dagli incrociatori leggeri britannici Orion e Neptune, dall’incrociatore leggero australiano Sydney, dai cacciatorpediniere britannici Dainty, Hasty e Decoy e dal cacciatorpediniere australiano Stuart).
Localizzato dalle unità avversarie dopo il fallimento dell’attacco, il Sirena viene sottoposto a pesante e precisa caccia con lancio di numerose bombe di profondità, che causano seri danni tra cui il danneggiamento dei pressatrecce degli astucci porta elica, con conseguenti abbondanti infiltrazioni d’acqua, tali da costringerlo ad interrompere la missione e rientrare alla base (non è più in grado di navigare in immersione).
22 giugno 1940
Arriva a Tobruk.
Per la loro condotta durante questa missione e durante gli attacchi aerei sul porto di Tobruk riceveranno la Croce di Guerra al Valor Militare il sottotenente di vascello Giuseppe Di Grande ed il guardiamarina Carmelo D’Urso (entrambi da Augusta), con motivazione: «Ufficiale imbarcato su sommergibile, dislocato in una base avanzata sottoposta a violenti attacchi aerei nemici, cooperava con spirito combattivo e ardimento alla reazione contraerea, dirigendo il tiro delle mitragliere. Durante una missione di guerra, fatta segno l'unità ad intensa e a prolungata caccia, che provocava avarie, contribuiva validamente al disimpegno del sommergibile dall'azione nemica e alla riparazione delle avarie subite». Il comandante Galletti riceverà la Medaglia di Bronzo al Valor Militare («Comandante di sommergibile, in missione di guerra, fatto segno a violenta, prolungata caccia, fronteggiava con decisione e sereno ardimento la difficile situazione, manovrando con perizia per sottrarsi alla ripetuta offesa delle forze nemiche. Nonostante le avarie riportate dal sommergibile, riusciva abilmente a disimpegnarsi e a ricondurre alla base l'unità al suo comando". (Golfo di Sollum, 19-22 giugno 1940)»).
25 giugno 1940
Compiute in loco le prime riparazioni provvisorie, necessarie per poter prendere il mare con una certa sicurezza, il Sirena (tenente di vascello Raul Galletti) lascia Tobruk alle 20.25 diretto a Taranto, dove potrà ricevere più approfonditi lavori di riparazione, non realizzabili con le modeste attrezzature della base libica (deve entrare in bacino di carenaggio). La navigazione avviene restando in superficie.

Il tenente di vascello Raul Galletti, comandante del Sirena nei primi mesi del conflitto (USMM via “KR 40-43: cronache di guerra” di Giulio Grilletta)

26 giugno 1940
Alle prime luci dell’alba il mare, rimasto calmo per tutta la notte, inizia ad incresparsi; alle 9.36 il Sirena passa al traverso di Ras el Hilal, mentre il vento da maestro soffia con crescente intensità, fino a raggiungere forza 7-8 nel pomeriggio. Preoccupato dal forte beccheggio del sommergibile, che teme possa provocare una fuoriuscita di liquido dagli accumulatori od anche delle avarie allo scafo, alle 18.30 il comandante Galletti dà ordine d’immergersi.
27 giugno 1940
Alle 8.20 il Sirena torna in superficie: adesso il vento si è di molto calmato, mentre il mare è forza 3-4. Il battello procede in superficie lungo la rotta Ras el Hilal-Capo Colonna.
Alle 17.15 viene avvistato un bombardiere nemico che per la rotta che segue sembra essere in volo da Alessandria a Malta: per evitare di essere avvistato, il Sirena s’immerge.
28 giugno 1940
Poco dopo mezzogiorno il Sirena, in navigazione a quota periscopica, avvista al periscopio due aerei che si avvicinano volando a quota molto bassa; di nuovo il comandante Galletti decide di scendere a profondità maggiore per non essere avvistato.
Riemerso nel tardo pomeriggio, alle 17.37 – pochi minuti dopo essere tornato in superficie – il Sirena avvista verso poppa un altro bombardiere, simile a quello avvistato il giorno prima: ancora una volta deve essere ordinata l’immersione rapida.
29 giugno 1940
Alle 6.30 (o 6.35), mentre procede in superficie in posizione 37°54’ N e 18°04’ E (al largo di Capo Colonna ed a 70 miglia per 148° da Capo Rizzuto; ciò secondo il rapporto del Sirena, mentre fonti britanniche indicano la posizione come 38°12’ N e 18°06’ E), il Sirena viene attaccato da un idrovolante Short Sunderland del 228th Squadron della Royal Air Force (più precisamente, il velivolo "Q" del 228th Squadron, contrassegnato L. 5086).
L’aereo viene avvistato dalle vedette in torretta su rilevamento polare 315°, quando è ancora a tre chilometri di distanza, e sta volando ad una quota di circa 500 metri con rotta perpendicolare a quella del Sirena, diretto verso il sommergibile; presentando una grossa fascia bianca verticale dipinta sul piano verticale della coda, che da grande distanza può essere scambiata per la croce bianca dipinta sugli aerei della Regia Aeronautica, il velivolo viene inizialmente scambiato per italiano, anche perché sta effettuando una manovra di avvicinamento perfettamente conforme alle prescrizioni in vigore nella Regia Marina (il comandante Galletti scriverà nel suo rapporto: «Alla distanza di circa 3000 m, l’aereo accosta a dritta mettendosi su rotta parallela e opposta alla mia. Esegue la manovra analoga a quella prescritta dalla S.M. 6 S. e cioè passando di poppa e sempre alla distanza prescritta e a quota invariabile, si porta sulla mia dritta e contro sole»).
Di conseguenza, credendo di avere a che fare con un aereo amico, il comandante Galletti fa mostrare la bandiera italiana; soltanto quando l’idrovolante, giunto a 60° a proravia del traverso a dritta, accosta rapidamente a sinistra ed inizia a scendere in picchiata puntando decisamente sul Sirena, Galletti si rende conto che si tratta di un aereo nemico: ma ormai è troppo tardi per potersi sottrarre all’attacco con l’immersione rapida (il Sunderland sgancerebbe le sue bombe proprio mentre il Sirena è più vulnerabile, in fase d’immersione: non ancora sott’acqua, ed al contempo impossibilitato a difendersi con le mitragliere), pertanto Galletti ordina di aprire il fuoco con le mitragliere, già pronte all’uso, e si mette lui stesso alla mitragliera prodiera di dritta («Metto il bersaglio in un settore di circa 20° a dritta a partire dalla prora»). Il Sirena accosta a sinistra, in modo da agevolare il tiro della mitragliera di prora dritta, ma non appena inizia tale manovra anche il Sunderland modifica la rotta, così da prendere il sommergibile d’infilata da prora a poppa. Galletti fa allora accostare ancora di più verso sinistra, dopo di che ordina subito un’altra accostata, stavolta a dritta; il fuoco viene aperto quando la distanza è calata a 700 metri.
Il Sunderland modifica la rotta di avvicinamento per attaccare e sorvola il Sirena da prua a poppa, da soli 50 metri di quota, sganciando quattro bombe che cadono in mare sui lati del sommergibile, a proravia della torretta, a distanze comprese tra 5 e 15 metri, due a dritta e due a sinistra («L’aereo frattanto, giunto a una distanza di 75-100 metri, velocissimo e con rotta quasi attraversante il Smg. da prora a poppa lancia, da una quota di poco inferiore ai 50 metri, quattro bombe che cadono due a dritta e due a sinistra dello scafo, alla distanza di circa 5 o 10 metri ed a 15 metri circa a proravia della torretta»), aggiungendo nuovi danni a quelli causati dalle bombe di profondità nove giorni prima al largo di Sollum. Contemporaneamente al lancio delle bombe da parte del Sunderland, il comandante Galletti spara cinque colpi di mitragliera verso l’idrovolante; poi aumenta l’alzo dell’arma ed aspetta che l’aereo si avvicini fino a soli trenta metri, per poi scaricargli addosso l’intero caricatore, ritenendo di aver messo a segno diversi colpi («Contemporaneamente alla visione delle quattro bombe sganciatisi dalla coda dell’aereo, sparo 5 colpi di mitragliera e poi aumento l’alzo aspettando un maggior avvicinamento dell’aereo per colpirlo con certezza. Giunto l’aereo a circa 30 metri a proravia della torretta, riapro il fuoco scaricandogli contro tutti i colpi del caricatore e colpendolo ripetutamente in varie parti»).
L’idrovolante sembra essere visibilmente colpito dal tiro delle mitragliere del Sirena, e sembra perdere subito quota; giunto a poppavia della torretta, apre il fuoco a sua volta con le sue mitragliatrici, prendendo di mira il personale presente in torretta, ma la raffica è brevissima (non più di tre secondi) ed imprecisa, colpendo soltanto la base della torretta senza recar danno a nessuno, tanto che il comandante Galletti riterrà che ciò sia dovuto al mortale ferimento del mitragliere britannico da parte del tiro del SirenaIl velivolo nemico ha subito perduto rapidissimamente quota; giunto a poppavia della torretta del Smg. ha mitragliato il personale trovantesi sulla torretta stessa. Ritengo che il mitragliere avversario sia stato colpito mortalmente perché la raffica di mitraglia nemica, imprecisa, ha avuto la durata massima di 3 secondi ed essendo stata eseguita nella fase di caduta dell’aereo ha colpito solo la base della torretta»). Dopo quest’ultimo tentativo di offesa, secondo il rapporto di Galletti, il Sunderland continua a perdere quota, fino a che non sembra precipitare in mare circa 200 metri a poppavia del sommergibile: «…perdendo velocemente quota, come già detto, giunto circa 200 metri di poppa, si è abbassato improvvisamente di coda e si è inclinato di circa 90° a sinistra disponendo le ali pressoché nel piano verticale e cadendo in acqua pesantemente ed in modo certo da ritenerlo perduto».
In realtà, il Sunderland riuscirà a rientrare a Malta; secondo le fonti britanniche, anzi, non avrebbe subito alcun danno.
Terminato l’attacco, siccome durante la fase di avvicinamento del Sunderland era stato avvistato all’orizzonte quello che sembrava essere un altro aereo, e temendo quindi di essere nuovamente attaccato in superficie, senza potersi adeguatamente difendere (in quanto la mitragliera di poppa è inceppata per un proiettile rimasto nella canna), Galletti ordina l’immersione rapida e prosegue così verso Taranto.
Alle 14.10 il Sirena riemerge, ma due ore dopo viene avvistato l’ennesimo aereo nemico, in volo a bassissima quota sulla stessa rotta di prima, ed ancora una volta il battello italiano è costretto ad immergersi.
Per il loro comportamento nel duello con il Sunderland, verranno decorati con la Croce di Guerra al Valor Militare il sottotenente di vascello Giuseppe Di Grande, il guardiamarina Carmelo D’Urso, il secondo capo silurista Mario Saluzzo ed il marinaio scelto Giannino Loffredo («Imbarcato su sommergibile in missione di guerra, in occasione di un attacco aereo … prestava la sua opera alla manovra difensiva con serenità e perizia»). Il comandante Galletti, anche per via dell’errata convinzione che l’aereo attaccante sia stato abbattuto, riceverà la Medaglia d’Argento al Valor Militare («Comandante di sommergibile in navigazione di guerra, si sottraeva abilmente a ripetute azioni di caccia del nemico. Essendo attaccato da un quadrimotore nemico a bassa quota con lancio di bombe e fuoco di mitragliera, prontamente sceglieva ed eseguiva la più adatta manovra difensiva e controffensiva, e col fuoco della mitragliera personalmente abbatteva l'aereo nemico. Esempio di prontezza di decisione, di calma, di sprezzo del pericolo. (Mediterraneo Orientale, 25 giugno - 1° luglio 1940)»).
30 giugno 1940
Alle 6.30 il Sirena riemerge e fa rotta su Crotone, dove giunge alle 9.40. Dalla partenza da Tobruk ha percorso 553 miglia nautiche, di cui 124 in immersione. Dopo aver ormeggiato il sommergibile, il comandante Galletti fa telegrafare a Supermarina ed a Maricosom un primo sintetico resoconto sull’accaduto: «Nave Sirena – Giorno 29 corrente ore 06.30 a circa miglia 70 148° da Capo Rizzuto bombardato et mitragliato bassa quota da idrovolante 4 motori nemico alt Nemico ripetutamente colpito et abbattuto alt Non ripeto non accertata distruzione».
1° luglio 1940
Alle 5.18 il Sirena lascia Crotone alla volta di Taranto, dove giunge qualche ora più tardi. Dopo l’arrivo, il comandante Galletti trasmette un altro telegramma a Maricosom: «Nave Sirena – Durante trasferimento Tobruk-Taranto notato presenza giornaliera su congiungente Ras el Hilal-Capo Colonne entro settore Malta Corfù et Malta Alessandria d’Egitto grossi idrovolanti inglesi quadrimotori che su piano timoni verticali portano striscia verticale bianca et avvicinano sommergibili eseguendo manovra analoga a quella prescritta da S.M. 6/S pagina n° 13 alt».
Raggiunta Taranto, il Sirena viene immesso in bacino di carenaggio nell’Arsenale per le riparazioni.
Estate 1940
Terminati i lavori di riparazione, il Sirena viene dislocato a Lero, nel Dodecaneso, operando in Mar Egeo. Svolgerà, fino all’aprile 1941, missioni offensive nel Mediterraneo orientale ed alcuni agguati protettivi nel Golfo di Taranto.
31 agosto 1940
Il Sirena, in agguato a sud di Creta, non avvista la Mediterranean Fleet (corazzate Warspite e Malaya, portaerei Eagle, incrociatori leggeri Orion e Sydney, cacciatorpediniere Stuart, Voyager, Vampire, Vendetta, Defender, Decoy, Hereward, Garland ed Imperial) uscita da Alessandria il giorno precedente per l’operazione "Hats" (consistente in varie sotto-operazioni: trasferimento da Gibilterra ad Alessandria, per rinforzare la Mediterranean Fleet, della corazzata Valiant, della portaerei Illustrious e degli incrociatori Calcutta e Coventry; invio di un convoglio da Alessandria a Malta e di uno da Nauplia a Porto Said; bombardamenti di basi italiane in Sardegna e nell’Egeo), e transitata non lontano dalla sua zona di agguato.
Settembre 1940
Inviato in missione a sud di Creta, tra Gaudo ed Alessandria d’Egitto.
22 novembre-1° dicembre 1940
Inviato in pattugliamento nel Canale d’Otranto, a protezione dei convogli in navigazione tra l’Italia e l’Albania.

L’equipaggio del Sirena in una foto del novembre 1940 (da www.gualtierodellamonaca.it)

9-18 febbraio 1941
Il Sirena ed un altro sommergibile, il Beilul, vengono inviati a pattugliare le acque dell’Egeo.
14 aprile 1941
Inviato a pattugliare un tratto di mare 25 miglia a nord di Suda, a controllo degli accessi da nordest del Canale di Cerigo.
Verso le 23 il Sirena (tenente di vascello Rodolfo Scarelli), in navigazione in superficie a nord di Candia, avvista un cacciatorpediniere britannico “classe Afridi” (cioè classe Tribal) in navigazione verso est ad elevata velocità in posizione 36°07’ N e 24°15’ E (a nord/nordovest di Capo Spada); alle 23.37, avvicinatosi a meno di 2000 metri di distanza, lancia due siluri dai tubi di prua contro l’unità nemica, restando poi in superficie – approfittando della fitta oscurità – per osservare il risultato del lancio. A bordo viene avvertita una forte detonazione dopo un minuto e 42 secondi, anche se non vengono avvistate colonne d’acqua; il cacciatorpediniere sembra ridurre sensibilmente la velocità ed accostare verso il Sirena, che a questo punto si disimpegna immergendosi. Il comandante Scarelli ritiene di aver probabilmente colpito il bersaglio con una delle armi, senza affondarlo; in realtà, tuttavia, i siluri non sono andati a segno. (Qualche fonte Internet identifica il cacciatorpediniere attaccato con l’HMS Afridi, ma ciò è impossibile, essendo stata questa unità affondata già nel maggio 1940; si tratta di un fraintendimento dell’identificazione del bersaglio, da parte del comandante Scarelli, come un’unità “tipo Afridi”, cioè classe Tribal).


Un’altra immagine dell’equipaggio del Sirena: in prima fila, al centro, il comandante Scarelli (da www.gualtierodellamonaca.it)

18 aprile 1941
Lascia la zona d’agguato per rientrare alla base.
19/20 aprile 1941
Conclude la missione arrivando a Lero.
Maggio 1941
Inviato in pattugliamento in Mar Egeo, insieme al gemello Galatea.
20 maggio 1941
Il Sirena viene inviato nelle acque tra Creta, Sollum ed Alessandria d’Egitto, insieme a numerosi altri sommergibili (UarsciekTricheco, TopazioFisaliaAduaMalachiteDessièSqualoSmeraldo), per appoggiare l’assalto tedesco contro Creta (Operazione "Merkur").
Luglio 1941
Altra missione in Mar Egeo, con partenza da Lero.


Foto di gruppo di marinai del Sirena (da www.gualtierodellamonaca.it)

10-13 febbraio 1942
Inviato al largo della Cirenaica per contrastare la navigazione da Alessandria a Malta di un convoglio britannico nell’ambito dell’operazione "MF 5". Denominato "MW. 9" e partito da Alessandria il 12 febbraio, il convoglio è formato dai mercantili Clan Campbell, Clan Chattan e Rowallan Castle, scortati da quattro incrociatori antiaerei (Naiad, Dido, Euryalus e Carlisle) e ben 16 cacciatorpediniere (Lance, Heythrop, Avon Vale, Eridge, Hurworth, Southwold, Dulverton, Beaufort, Arrow, Griffin, Havock, Hasty, Jaguar, Kelvin, Kipling e Jaguar), il tutto sotto il comando del contrammiraglio Philip L. Vian. Contestualmente all’arrivo a Malta del "MW. 9", lascerà l’isola un convoglio di mercantili scarichi (Ajax, Breconshire, City of Calcutta e Clan Ferguson), il "ME. 10", scortato dalla Forza K del commodoro William Gladstone Agnew (incrociatore leggero Penelope, cacciatorpediniere DecoyFortuneLegionLivelySikh e Zulu).
Per attaccare il convoglio britannico diretto a Malta, ben undici sommergibili italiani vengono schierati in un’area di poco più di 800 miglia quadrate: oltre al Sirena, anche Topazio, Tricheco, DandoloMalachitePerlaPlatinoOndina e Ciro Menotti.
Il Sirena non entrerà in contatto del convoglio "MW. 9", che sarà completamente distrutto dall’azione della Luftwaffe: Clan Chattan e Rowallan Castle verranno affondati dai bombardieri tedeschi il 14 febbraio, 250 miglia ad est di Malta, mentre già il giorno precedente il Clan Campbell è stato danneggiato e costretto a rinunciare a raggiungere Malta, entrando a Tobruk. Il convoglio "ME. 10", invece, raggiungerà indenne Port Said il 16 febbraio.


(da www.u-historia.it)

Aprile 1942
Compie un pattugliamento nelle acque della Cirenaica, nella terza decade del mese.
4-16 giugno 1942
Il Sirena viene inviato a pattugliare le acque al largo della Palestina, unitamente ai sommergibili OndinaBeilul e Galatea.
Intorno a metà mese (12 giugno, secondo una fonte) Sirena, Ondina, Beilul, Galatea ed i sommergibili tedeschi U 77, U 81, U 205, U 431, U 453 e U 559 vengono inviati nelle acque della Libia per attaccare il convoglio britannico “Vigorous” in navigazione da Alessandria a Malta, nell’ambito della battaglia di Mezzo Giugno. Il Sirena non viene però coinvolto nella battaglia.
Metà settembre 1942
Inviato in missione ad est di Rodi.
Novembre 1942
Compie un’altra missione in Mediterraneo orientale, partendo da Lero.
Dicembre 1942-Gennaio 1943
Sottoposto ad un turno di lavori di modifica, della durata di circa due mesi, presso i CRDA di Monfalcone: la torretta viene radicalmente ridimensionata, con una forte riduzione del suo volume e l’accorciamento delle camicie dei periscopi, che dopo le modifiche non superano l’altezza del parapetto della controplancia.

Il Sirena a Monfalcone a fine gennaio 1943, dopo la conclusione dei lavori, con la torretta modificata (g.c. STORIA militare)

Marzo 1943
Compie una missione nel Golfo della Sirte.
10 aprile 1943
Il Sirena si trova a La Maddalena quando, a partire dalle ore 14.37, la base sarda viene sottoposta ad un pesante bombardamento da parte di 84 bombardieri Boeing B-17 “Flying Fortress” dell’USAAF.
Dato che il sistema di avvistamento della piazza della Maddalena non dispone né di aerofoni né tanto meno di radar, i bombardieri giungono praticamente senza preavviso: l’allarme viene dato uno o due minuti prima che inizino a cadere le bombe. I velivoli si dividono in tre gruppi, ognuno dei quali ha un preciso compito: i loro obiettivi sono la base dei sommergibili e gli incrociatori pesanti Trieste e Gorizia della III Divisione, trasferita da Messina a La Maddalena qualche mese prima. 36 bombardieri (del 97th Bomb Group) attaccano il Gorizia, 24 (del 99th Bomb Group) il Trieste, 24 le installazioni a terra e la base dei sommergibili, dove sono cinque i battelli all’ormeggio, tutti appartenenti al VII Gruppo Sommergibili: il Sirena, il Topazio, il Dandolo, l’Aradam ed il Mocenigo.
Le bombe, tra cui vi sono ordigni da 1000 libbre (450 kg), sono sganciate da una quota compresa tra i 5000 e i 6000 metri, cioè al di fuori della portata delle batterie contraeree che difendono la base; l’incursione risulta precisa e devastante. Il Trieste, colpito in pieno, affonda capovolgendosi dopo un paio d’ore; il Gorizia, pesantemente danneggiato, rimane a galla, ma non verrà mai riparato. Le 24 "Fortezze Volanti" del 301st Bomb Group (32nd Bomb Squadron), incaricate di colpire le installazioni di terra e la base dei sommergibili, sganciano più di 200 bombe da 500 libbre contro i moli e le officine: in tutto, oltre 45 tonnellate di esplosivo. La base navale di La Maddalena viene ridotta ad un cumulo di rovine: vengono pressoché distrutte la centrale elettrica, l’officina sommergibili, l’officina siluri, l’officina artiglieria, l’officina autoreparto, parte dell’officina falegnameria, il locale argano, lo scalo d’alaggio, gli uffici spedizioni e ragioneria; sono gravemente danneggiati gli alloggi degli ufficiali e dei sottufficiali, la caserma per il locale distaccamento, la casermetta dei MAS, la caserma dei carabinieri ed il magazzino dei fari; molte banchine vengono sconvolte dalle bombe e crollano. Tutta la base, o quel che ne resta, rimane senza energia elettrica; vengono interrotte in gran parte le comunicazioni telefoniche e telegrafiche. Vanno in pezzi sotto le bombe due idrovolanti della III Divisione, i MAS 501 e 503 (che si trovano in lavori), sei imbarcazioni e tutti i veicoli che si trovano in riparazione; affondano nelle acque del porto anche i motovelieri requisiti V 266 ElianaO 88 Maria Pia e V 143 Carmen Adele (il primo e l’ultimo adibiti alla vigilanza foranea, il secondo alla guardia alle ostruzioni). Vengono resi inagibili anche l’alloggio e l’ufficio del capo gruppo sommergibili e la caserma "Faravelli", in cui sono alloggiati gli equipaggi dei sommergibili.
In mezzo a tanto sfacelo i sommergibili, trovandosi ormeggiati in rada, rimangono miracolosamente indenni; soltanto uno, il Mocenigo, viene colpito, senza comunque riportare danni gravi. Paradossalmente, tuttavia, i sommergibili registrano diverse vittime e feriti tra il personale che si trova a terra, coinvolto nel bombardamento della Caserma Faravelli e della base navale: e proprio il Sirena subisce le perdite più elevate, con tre morti e dieci feriti, uno dei quali deceduto poco dopo. Un quarto dell’equipaggio è così fuori combattimento, tanto che il sommergibile, pur essendo rimasto del tutto indenne, si ritrova ad essere impossibilitato a prendere il mare per equipaggio insufficiente.
Tra i feriti vi è anche il comandante del Sirena, tenente di vascello Luciano Garofani: a trovarlo tra le macerie della Caserma Faravelli, in stato di semincoscienza e con una grave emorragia alla gamba destra, è il sottocapo radiotelegrafista Dario Leli, 19 anni, da Castelfranco Emilia. Rimasto illeso, Leli si prodiga nei soccorsi dei compagni feriti rimasti intrappolati tra le macerie della caserma; quando trova il comandante Garofani, cerca inutilmente di arrestare l’emorragia alla gamba, dopo di che se lo carica sulle spalle con l’intenzione di portarlo all’ospedale militare, distante mezzo chilometro. Resosi però conto dell’impossibilità di portare un tale peso per un tragitto così lungo, Leli carica l’ufficiale semisvenuto su una carriola trovata in mezzo alle macerie, e percorre così, di corsa e spingendo la carriola con il ferito, la distanza che separa la caserma dall’ospedale. Giunto all’ospedale, nel quale regna la confusione a causa dell’arrivo del gran numero di feriti causati dal bombardamento, Leli fa presente che il ferito rischia di morire dissanguato se non verrà soccorso subito, ma si sente dire di mettersi in coda; allora, appartatosi con il comandante svenuto, gli toglie la divisa e la indossa al suo posto, per poi ripresentarsi al personale dell’ospedale facendosi passare per un ufficiale, ed ordinando, stavolta con successo, che Garofani – che Leli dice essere un suo marinaio, in pericolo di vita – sia subito portato in sala operatoria. (Garofani sopravvivrà, e da questo episodio nascerà una duratura amicizia: trentacinque anni più tardi, nel 1978, sarà l’ex comandante del Sirena a dover dare l’ultimo saluto al suo marinaio, morto prematuramente per una grave malattia).
Sono quattro, in tutto, gli uomini del Sirena che perdono la vita nel bombardamento: il capo silurista di prima classe Arturo Brandani, 39 anni, da Bondeno; il marinaio motorista Tommaso Ferragina, 20 anni, da Catanzaro, che risulterà disperso; il marinaio Giuseppe Poggi, 21 anni, da Savona; il marinaio elettricista Giuseppe Tesoriero, 21 anni, da Lipari.
Altri due morti e quattro feriti si registrano tra gli equipaggi di Topazio, Mocenigo ed Aradam, mentre il personale della Stazione Sommergibili (Maristasom) lamenta tre morti, un disperso e due feriti. Alle 21.15 il VII Gruppo Sommergibili comunica a Maricosom la drammatica situazione della sua base della Maddalena: «Ore 14.50 subito attacco aereo di cui un obiettivo est stata base sommergibili alt Alloggi sia ufficiali che per personale praticamente temporaneamente inutilizzabili alt Officina sommergibili et officina siluri colpite in pieno da bombe inutilizzate alt Unità presenti solo sommergibile Mocenigo forato doppio fondo numero 2 dritta cassa nafta et tubolatura compenso esterna et tubolatura sfogo aria doppio fondo numero 2 dritta alt Disposto salvo contrordine sommergibile Aradam dislochi subito Bonifacio alt Disposto opportuno diradamento altre unità alt Su sommergibile Mocenigo et sommergibile Topazio non est possibile utilizzare lavori semialt Propongo trasferimento altra sede alt Unità presenti da ore 08.00 corrente eseguiranno tutte ascolto r t continuo alt Tenente Vascello Garofani Luciano Tenente G. N. Vigiari Carlo Maggiore G.N. Sini Mauro Sottotenente Vascello Sella Gregorio feriti alt Riservomi comunicare numero vittime et feriti alt Sommergibile Sirena non est attualmente in condizioni dato numero personale ferito eseguire missione alt».
Complessivamente, il bombardamento di La Maddalena causa tra il personale della Regia Marina oltre 160 morti e 250 feriti, in massima parte tra gli equipaggi di Trieste e Gorizia; muoiono anche quattro carabinieri addetti alla sorveglianza della base e quattro operai militarizzati. È stato invece risparmiato l’abitato di La Maddalena, dove non vi è alcuna vittima tra la popolazione civile; temendo però altri e meno precisi bombardamenti in futuro, dopo questo attacco gli abitanti della cittadina sfolleranno in massa.
Giugno 1943
Ultima missione di agguato nel Mediterraneo orientale.
7 giugno 1943
Trasporta da Taranto a Lero un carico di parti di ricambio per motori e materiali vari.
Sempre a giugno (non è chiaro se nell’ambito della stessa missione in cui si recò da Taranto a Lero) il Sirena risulterebbe aver trasportato un carico di rifornimenti nell’isola di Lampedusa, sottoposta a blocco navale da parte delle forze angloamericane, che la conquisteranno di lì a pochi giorni (12 giugno 1943). Insieme a quella svolta contemporaneamente dal grosso sommergibile posamine Atropo, anch’essa con destinazione Lampedusa (in totale, i due sommergibili sbarcano nell’isola 49,6 tonnellate di rifornimenti), si tratta dell’ultima missione di trasporto svolta da un sommergibile italiano prima dell’Armistizio.
3 agosto 1943
Lascia Lero alla volta di Napoli, con l’ordine di effettuare, durante la navigazione di trasferimento, un pattugliamento delle acque comprese tra Ras el Tin ed il Golfo di Sollum.
20 agosto 1943
Dopo una missione tormentata dalle avarie, raggiunge Napoli.
21 agosto 1943
Lascia Napoli diretto a La Spezia, dove dovrà essere sottoposto ai lavori di riparazione delle avarie.
25 agosto 1943
Arriva a La Spezia, dopo aver fatto scalo intermedio a Portoferraio.

Il Sirena a Monfalcone dopo i lavori di modifica effettuati a fine 1942 (da www.xmasgrupsom.com)

La fine

Alla data dell’annuncio dell’armistizio tra l’Italia e gli Alleati, l’8 settembre 1943, il Sirena (tenente di vascello Vittorio Savarese) faceva parte del V Gruppo Sommergibili di Lero (capitano di fregata Virgilio Spigai), insieme ai similari Ametista (sottotenente di vascello Luigi Ginocchio), Beilul (tenente di vascello Pasquale Beltrame) ed Onice (tenente di vascello Ferdinando Boggetti). Come le altre unità del Gruppo, tuttavia, non si trovava in quel momento in Egeo: era infatti ai lavori nell’Arsenale di La Spezia.
A inizio agosto 1943, Supermarina aveva richiamato in Italia il Sirena, al pari degli altri sommergibili del V Grupsom; il battello aveva lasciato Lero il 3 agosto diretto a Napoli, con l’ordine di effettuare, strada facendo, un pattugliamento nelle acque della Cirenaica. La missione era stata tormentata da una lunga serie di avarie, che comunque non avevano impedito al Sirena di effettuare il previsto pattugliamento delle acque cirenaiche; il 20 agosto il sommergibile aveva raggiunto Napoli (secondo una fonte di incerta affidabilità, nella parte finale della navigazione aveva attraversato i campi minati italiani fino ad emergere a poche centinaia di metri da Punta Carena, nell’isola di Capri, facendosi riconoscere da una batteria con mezzi ottici in quanto anche la radio era in avaria). Siccome le avarie subite non risultavano riparabili con i mezzi disponibili a Napoli, il giorno seguente il Sirena era ripartito alla volta di La Spezia, dov’era giunto il 25 agosto, dopo una sosta a Portoferraio; entrato in Arsenale per riparare le avarie, vi fu sorpreso dopo pochi giorni dalla notizia dell’armistizio.

Erano parecchie le unità in manutenzione o riparazione nel grande Arsenale spezzino in quel settembre del 1943: tra di esse, oltre al Sirena, il vecchio incrociatore leggero Taranto, tre cacciatorpediniere, cinque torpediniere, due corvette, tre sommergibili e due posamine, nonché numeroso naviglio minore ed ausiliario.
A La Spezia avevano base da tempo anche le Forze Navali da Battaglia (al comando dell’ammiraglio Carlo Bergamini), qui trasferite a fine 1942 in seguito all’intensificazione dell’offensiva aerea angloamericana sulle basi del sud Italia: ne facevano parte le tre corazzate RomaItalia e Vittorio Veneto della IX Divisione, gli incrociatori leggeri della VII Divisione (Eugenio di SavoiaEmanuele Filiberto Duca d’AostaRaimondo Montecuccoli) ed i cacciatorpediniere delle Squadriglie XII (MitragliereFuciliereCarabiniere e Velite) e XIV (LegionarioArtigliereGrecale ed Alfredo Oriani). Per ordine di Supermarina, le F.N.B. lasciarono La Spezia verso le tre di notte del 9 settembre, dirette inizialmente alla Maddalena, in Sardegna.
Il comandante in capo del Dipartimento di La Spezia, ammiraglio Giotto Maraghini, provvide a dare esecuzione alle disposizioni impartite da Supermarina circa il resto del naviglio e le installazioni a terra: le navi minori in grado di muovere vennero fatte partire per porti saldamente sotto controllo italiano od Alleato, quelle impossibilitate a partire si autoaffondarono; lo stessero fecero le navi mercantili (partenza od inutilizzazione, ma in alcuni casi gli armamenti tedeschi delle mitragliere imbarcate impedirono di attuare tali provvedimenti). Gli impianti, i bacini e le attrezzature dell’Arsenale furono resi inutilizzabili, ma solo per 15 giorni, nell’ottimistica – ed irrealistica – speranza che gli Alleati avrebbero cacciato le forze tedesche dall’Italia nel giro di qualche settimana.
Nel retroterra di La Spezia erano dislocate quattro divisioni tedesche, presenti in teoria per partecipare al contrasto di un eventuale sbarco Alleato nella zona di La Spezia; esse si mossero per occupare la piazzaforte prima ancora che venisse annunciato l’armistizio. A difendere la piazza di La Spezia ed il territorio circostante c’erano solo due divisioni italiane, la 105a Divisione Fanteria "Rovigo" e la 6a Divisione Alpina "Alpi Graie", che formavano il XVI Corpo d’Armata del generale Carlo Rossi; i comandi delle due Divisioni e del Corpo d’Armata si trovavano tutti nel perimetro della piazza, quindi già la sera dell’8 settembre l’ammiraglio Maraghini – tornato da Roma ove si era tenuta la riunione dei vertici della Marina con cui i principali ammiragli comandanti di Dipartimento, oltre ai comandanti delle forze da battaglia, di quelle di protezione del traffico e dei sommergibili, avevano ricevuto istruzioni sul da farsi in caso di cessazione di ostilità contro gli Alleati e reazione tedesca, pur senza essere esplicitamente informati dell’armistizio – aveva potuto conferire col generale Rossi per discutere su come difendere La Spezia da un attacco tedesco. Rossi, a differenza di Maraghini, non aveva ricevuto disposizioni precise su come comportarsi; per giunta, l’armistizio coglieva la piazza di La Spezia nel pieno di uno sconvolgimento giurisdizionale: in seguito a decisioni prese in agosto, la Piazza Marittima di La Spezia doveva essere abolita e sostituita da un Comando Militare Marittimo subordinato al locale Comando di Grandi Unità dell’Esercito; la responsabilità della difesa della ex piazza sarebbe stata trasferita dalla Marina all’Esercito. Il passaggio di consegne sarebbe divenuto effettivo alle 00.00 del 10 settembre; il generale Rossi ritenne che la situazione non potesse precipitare a tal punto da richiedere provvedimenti eccezionali, quindi non ritenne necessario anticipare di un giorno l’assunzione del comando, come prescriveva invece l’"Istruzione per la difesa delle coste" vigente ancora per il solo giorno 9 settembre.
Il colloquio tra Rossi e Maraghini, pertanto, si limitò a decidere di dislocare alcuni reparti di marinai in determinati punti e di inviare un reggimento atteso da Torino per il 9 settembre (per completare la Divisione "Rovigo") a presidiare alcuni capisaldi (ma il reggimento, per gli eventi dell’armistizio, non arrivò mai a La Spezia).
Gli alpini della Divisione "Alpi Graie" resistettero per due giorni, ma le truppe tedesche, incuneandosi tra i reparti delle due Divisioni italiane del XVI Corpo d’Armata, occuparono La Spezia entro il 10 settembre, senza particolari difficoltà. Le due Divisioni italiane furono sciolte e l’ammiraglio Maraghini lasciò La Spezia il 10 settembre, dopo aver dato esecuzione agli ordini di Supermarina.

In esecuzione degli ordini ricevuti, non essendo in grado di prendere il mare, il Sirena si autoaffondò a La Spezia il 9 settembre 1943, per non cadere in mano tedesca.
Quel giorno, a La Spezia, si consumò il più grande autoaffondamento in massa di navi militari mai avvenuto nella storia della Marina italiana, allo scopo di impedirne la cattura da parte tedesca: si autoaffondarono nel porto il vecchio incrociatore Taranto, i cacciatorpediniere Nicolò ZenoFR 21 e FR 22, le torpediniere Generale Antonino CascinoGenerale Carlo MontanariGhibliLira e Procione, i sommergibili Antonio BajamontiAmbraSirenaSparideVolframio e Murena, le corvette EuterpePersefone e FR 51, il posamine Buccari, il trasporto munizioni Vallelunga, le cisterne militari Scrivia e Pagano, le motozattere MZ 736 e MZ 748, i rimorchiatori militari MescoCapriCapodistriaRobusto e Porto Sdobba, il MAS 525, la motosilurante MS 36.
Caddero invece in mano tedesca gli incrociatori pesanti Bolzano e Gorizia, ambedue inutilizzabili per i gravi danni subiti mesi prima e mai riparati (e difatti non entrarono mai in servizio per la Kriegsmarine), il posamine Crotone, il trasporto munizioni Panigaglia, la nave bersaglio San Marco, la nave idrografica Ammiraglio Magnaghi, la nave salvataggio sommergibili Anteo, la cannoniera Rimini, le cisterne militari BormidaDalmaziaLenoSprugolaVolturnoStura e Timavo, il piccolo trasporto Monte Cengio, il dragamine RD 49, il MAS 556, le Bette N. 5 e N. 16, i rimorchiatori AtlanteBravaCarbonaraLinaroSanto StefanoSenigalliaTaorminaTorre AnnunziataN 9N 10N 37N 53N 55. Gran parte di tali unità furono sabotate dagli equipaggi; il Gorizia aveva anche iniziato ad autoaffondarsi, ma tale provvedimento era stato poi sospeso.

Ad attuare le manovre per l’autoaffondamento del Sirena fu un ridotto gruppetto di ufficiali e marinai rimasti a bordo a questo scopo, tra cui il comandante Savarese ed il marinaio timoniere Giuseppe Costanzo. Quest’ultimo avrebbe raccontato, a quasi settant’anni di distanza, che l’ordine di autoaffondare il Sirena venne ricevuto la sera dell’8 settembre; dopo aver autoaffondato il sommergibile, gli uomini scesero a terra, ma trovarono ad attenderli dei soldati delle SS, che avrebbero ucciso il comandante (Costanzo avrebbe poi raccontato: “Uccisero il mio comandante sotto i miei occhi. Gli spararono”). Quest’ultima affermazione non sembra, per la verità, trovare riscontro; comandante del Sirena all’armistizio era il tenente di vascello Vittorio Savarese, che sopravvisse alla guerra, e dagli albi dei caduti e dispersi della Marina Militare non risulterebbe che alcun membro dell’equipaggio del Sirena sia morto in conseguenza dell’armistizio.
Quanto a Costanzo, inseguito dalle SS, si rifugiò su un treno in partenza, dove si nascose sotto una panca su cui erano sedute quattro suore, che lo nascosero con i loro lunghi abiti; quando i suoi inseguitori si affacciarono nello scompartimento, le suore dissero loro che Costanzo era scappato lungo il corridoio, fuorviandoli e salvandogli così la vita. Giunto nei pressi di Venezia, Costanzo discese rocambolescamente la Penisola fino a raggiungere il suo paese d’origine, nel sud Italia, rientrando poi nei ranghi della Regia Marina – ora cobelligerante con gli Alleati – e venendo nuovamente imbarcato sui sommergibili, impiegati adesso nell’addestramento delle corvette britanniche alla caccia antisommergibili. Dopo la fine della guerra, nel 1947, emigrò in Canada, dove già vivevano da tempo suo padre e parte della sua famiglia (si era infatti trovato ad avere parenti che combattevano su fronti contrapposti), stabilendosi nel villaggio di Schreiber, nell’Ontario.

Un altro membro dell’equipaggio che si sottrasse alla cattura fu il sottocapo radiotelegrafista Dario Leli: raggiunta l’Italia del Sud in mano agli Alleati, il 24 gennaio 1944 si arruolò nelle missioni militari organizzate dai Comandi statunitensi per stabilire collegamenti con le formazioni partigiane operanti al Nord. Queste missioni, munite di radio e composte da personale misto italiano ed angloamericano (solitamente 4-5 uomini in tutto), venivano paracadutate sull’Italia settentrionale con il compito di istruire i partigiani nell’uso delle armi angloamericane che ricevevano a mezzo di aviolanci, raccogliere e trasmettere ai comandi Alleati informazioni sulla consistenza, l’armamento e gli spostamenti delle truppe tedesche, soccorrere prigionieri fuggiaschi e piloti abbattuti, organizzare sabotaggi ed azioni di “commandos”, e più in generale coordinare l’azione dei partigiani con quella degli Alleati. Dopo un lungo e duro addestramento, Dario Leli fu paracadutato in Veneto nel luglio 1944, assegnato alla missione “Hollis” operante a Mestre. Organizzata dall’O.S.S. statunitense (Office of Strategic Services), progenitore della CIA, questa missione era una delle poche ad essere composte esclusivamente da personale italiano: la guidava l’ingegnere ed industriale veneziano Pietro Ferraro, nome di battaglia “Antonio”. A causa di un errore del pilota, Leli venne paracadutato a ben cinquanta chilometri dal punto prestabilito, ma riuscì ugualmente a raggiungere il rifugio dei membri della missione, dove ricevette il nome di battaglia di “Margot”. Data la sua qualifica di radiotelegrafista, Leli fu l’operatore radio della missione (chiamata anche “Hollis-Margot”): era lui a trasmettere agli Alleati i messaggi, per mezzo degli apparati radio messi a punto dal dottor Luigi Amati, padovano, altro membro della missione. Durante i nove mesi di clandestinità Leli ed i compagni, attivi prevalentemente nel padovano, trevisano e nel bellunese, dovettero cambiare covo a più riprese, sfuggendo in totale a ben sette rastrellamenti nazifascisti; a Padova sfuggirono per un soffio ad un’irruzione da parte delle SS italiane del famigerato maggiore Mario Carità (che avevano individuato la radio mediante radiogoniometria) nella casa dell’ingegner Mario Bertolini, che aveva messo il suo appartamento a disposizione della missione. Leli e gli altri componenti della missione riuscirono a fuggire da un’uscita secondaria, mentre la radio fu portata in salvo dalla giovane moglie dell’ingegner Bertolini, che gli uomini di Carità lasciarono andare insieme al figlioletto: l’apparecchio venne nascosto nella carrozzina del bambino.
La rete informativa organizzata da Dario Leli continuò ad operare fino alla Liberazione, nell’aprile del 1945; per la sua attività nella Resistenza, “Margot” venne decorato con la Medaglia d’Argento al Valor Militare.

Il relitto del Sirena venne recuperato nel 1946. Formalmente radiato dai quadri della non più regia Marina il 18 ottobre di quello stesso anno, venne demolito a La Spezia.

Un membro dell’equipaggio del Sirena, il ventiquattrenne marinaio fuochista Alberto Morbin, da Cervignano del Friuli, risulterebbe essere deceduto in Italia il 24 novembre 1946; è incluso negli albi i caduti e dispersi della Marina Militare nella seconda guerra mondiale. Sulla base di ciò sembra possibile che la sua morte sia stata causata da postumi di ferite riportate in servizio sul Sirena, ma non è stato possibile rintracciare alcuna informazione in merito.

Un’altra immagine del Sirena (Coll. Aldo Cavallini, via www.naviearmatori.net)

9 commenti:

  1. Mio nonno, il guardiamarina Giuseppe Di Grande, era di Augusta. Complimenti per le tante belle informazioni.

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  2. Complimenti e grazie per il suo racconto storico.
    Sono il nipote di Giannino Loffredo, o miei genitori oltre alle foto conservano la Croce di Guerra al Valor Militare e libretto di imbarco di mio nonno.

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  3. Buonasera. Ho notato che a mio nonno Giuseppe Di Grande, imbarcato sul sommergibile Sirena, e' stato attribuito il grado di guardiamarina. In realtà, come si evince dal foglio matricolare, era sottotenente di vascello già dal 1939. Dott. Aulo Di Grande

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    1. La ringrazio per la segnalazione, provvedo a correggere.

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  4. ho riconosciuto Paolo Putzu in foto, era mio padre, mi descrisse il siluramento di un piroscafo inglese, il siluro forse difettoso non esplose ma fece un foro nello scafo, lo videro imbarcare acqua e inclinarsi su un fianco

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  5. il comandante del sirena,Vittorio savarese di cui parla il marinaio Costanzo ,sopravvissuto alla guerra,ha continuato la sua brillante carriera in marina,ricoprendo prestigiose cariche in qualità,' di ammiraglio di squadra in servizio della marina italiana,fino al suo pensionamento,dopo l,'ultimo incarico di capo di stato maggiore dell'alto tirreno a la spezia

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  6. C'è un altro vittorio savarese , morto sull incrociatore pola, nella battaglia di capo matapan

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  7. Complimenti per l'ottimo lavoro! sono il nipote di Antonino Pane, imbarcato come marinaio sul Sirena e poi ultimo guardiano del faro di Capo D'Orso (SA). Se l'autore dell'articolo ha piacere e mi indica il modo, posso inviargli delle foto dall'archivio di mio nonno, datate e relative al sommergibile ed all'equipaggio oltre che al periodo in Africa Orientale. Sto provando a raccogliere quante più fonti e testimonianze perché ho il desiderio di scrivere un libro sulla vita di mio nonno, di narrativa ma incastonato il più possibile in un quadro storico preciso. Siccome ho letto nei commenti testimonianze di parenti di marinai del Sirena avrei piacere, con la loro disponibilità, di raccogliere aneddoti ed eventualmente altre immagini nella loro disponibilità per non far disperdere i ricordi. In particolare cerco testimonianze per ricostruire l'esperienza sul Sirena ed il ritorno da La Spezia in seguito all'armistizio, ma qualsiasi contributo sarà accolto con gioia ed ovviamente citato nel libro. La mia mail per chi volesse contattarmi è ntonin2@gmail.com.

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