venerdì 14 dicembre 2018

Fenicia

Il Fenicia ad Ancona (da “Storia dei trasporti italiani – Trasporti marittimi, Vol. 5: dallo smoking alla divisa. La Marina Mercantile italiana dal 1932 al 1945” di Francesco Ogliari, via Antonio Benedetti)

Piroscafo da carico di 2584 tsl, 1577 tsn e 4120 tpl, lungo 76,5 metri, largo 13,25 e pescante 7,7. Appartenente alla Società Anonima di Navigazione Adriatica, con sede a Venezia, ed iscritto con matricola 2163 al Compartimento Marittimo di Genova; nominativo internazionale IBPM.
Nave con fasciame in acciaio (chiodato a doppia ribattitura), dritto di prora "a coltello" e poppa "a vascello" con timone tradizionale non compensato, aveva due stive più due trunk ed un cassero, per un volume complessivo di 4683 metri cubi, e poteva inoltre trasportare 12 passeggeri in cabina. Era propulso da una macchina alternativa a vapore da 315 N.H.P. (alimentata da due caldaie del tipo "scozzese"), su un’elica, che consumando 17 tonnellate di carburante al giorno permetteva una velocità massima di 10 nodi.

Breve e parziale cronologia.

1919
Varato come Lake Fife (numero di cantiere 161) nei cantieri Toledo Shipbuilding Company di Toledo, Ohio (Stati Uniti, sul Lago Erie).
Fa parte di un gruppo di 91 navi gemelle denominato "Design 1099, Laker 4050 tons deadweight" (navi da carico di 4050 tpl, costruite sui cantieri dei Grandi Laghi), uno dei numerosi tipi di navi mercantili standardizzate messi in costruzione nei cantieri angloamericani durante la prima guerra mondiale. Le "Design 1099", il cui progetto è stato elaborato dalla American Shipbuilding Company (la più grande società cantieristica dei Grandi Laghi), sono realizzate in otto cantieri diversi; propulse da macchine a triplice espansione, portano tutte nomi di laghi. La Toledo Shipbuilding Comapany ne costruisce 16, tra cui il Lake Fife.
Settembre (od ottobre) 1919
Completato come Lake Fife per lo United States Shipping Board, ente governativo statunitense avente sede a Washington e creato nel 1916 con lo scopo di sostenere lo sviluppo della Marina Mercantile statunitense, finalità poi trasformatasi l’anno successivo, con l’entrata in guerra degli Stati Uniti, nella gestione della flotta mercantile statunitense durante la guerra, e nella sua espansione per soddisfare le esigenze belliche americane mediante acquisizioni, requisizioni e programmi di costruzione basati su progetti standardizzati, tra i quali appunto il Design 1099: il tutto nell’ambito del programma "Emergency Merchant Fleet Corporation".
Stazza lorda originaria 2555 tsl; il suo "U.S.S.B. Number" è 1836, il nominativo di chiamata è KESM.
Primi anni ’20
Rimanendo di proprietà dello United States Shipping Board, il Lake Fife naviga a noleggio di varie compagnie, tra cui la Pensacola Shipping Company (con al comando, in questo periodo, il capitano L. Stewart) e la New York and Cuba Mail Steamship Company. Nel 1920 il piroscafo naviga soprattutto nelle acque dei Caraibi.
8 dicembre 1925
Acquistato per 30.000 dollari dal Lloyd Triestino, avente sede a Trieste, e ribattezzato Fenicia. Porto di registrazione Trieste, nominativo di chiamata NPDV.
1937
Trasferito alla Adriatica Società Anonima di Navigazione, con sede a Venezia. Porto di registrazione Genova, nominativo di chiamata IBPM.
L’Adriatica lo mette in servizio sulle linee 58 (Tirreno-Danubio) e 59 bis.
1937-1939
Impiegato dall’Adriatica sulla linea Tirreno-Mar Nero-Danubio fino a fine 1939.
10 febbraio 1940
Durante il periodo di non belligeranza italiana, il Fenicia, durante un viaggio da Istanbul a Brindisi, viene fermato da navi britanniche prima di raggiungere Calamata (Grecia) e viene dirottato a Malta per controlli. Viene poi lasciato subito ripartire, e raggiunge Calamata come programmato; dopo aver lasciato tale porto per raggiungere l’Adriatico, tuttavia, viene nuovamente intercettato e dirottato su Malta per altri controlli, con ulteriore perdita di tempo.
10 giugno 1940
All’entrata dell’Italia nella seconda guerra mondiale, il Fenicia si trova nel Dodecaneso. Sono in tutto otto le navi mercantili che la dichiarazione di guerra sorprende nelle acque del possedimento (oltre al Fenicia, anche i piroscafi Alfio, Spartivento e Santa Maria, le motonavi Egitto e Città di Palermo e le navi cisterna Urano e Poseidone); si decide di farle rientrare in Italia separatamente, con navigazione isolata, ritenendo (a ragione) che abbiano così maggiore probabilità di eludere la sorveglianza nemica.
20 giugno 1940
Il Fenicia lascia Lero alle sette di sera per rientrare in Italia, in navigazione isolata. Contemporaneamente ad esso parte da Lero anche lo Spartivento, ma le due navi navigano separatamente; quel mattino sono salpate da Lero anche l’Egitto e la Città di Palermo, mentre più tardi nella stessa serata prenderanno il mare Poseidone e Santa Maria. Alfio ed Urano partiranno invece tre giorni più tardi. Navigando ognuna per conto proprio, arriveranno tutte a destinazione (che per tutte è Brindisi), grazie anche al maltempo che permette loro di sfuggire alla sorveglianza britannica.
26 giugno 1940
Il Fenicia arriva a Brindisi alle sei del mattino. 
Successivamente, con la sospensione della linea sulla quale prestava servizio, il Fenicia viene impiegato in viaggi "speciali" da Brindisi ai porti del Mar Egeo.
30 ottobre 1940
Requisito dalla Regia Marina alle ore 12.00, senza essere iscritto nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato.
8 dicembre 1940
Il Fenicia e due altri piroscafi,  Castelverde e Capo Vita , salpano da Napoli per Tripoli alle 15, scortati dalla torpediniera Clio.
A Trapani la Clio viene rilevata dalla torpediniera Generale Achille Papa.
11 dicembre 1940
Le navi raggiungono Tripoli alle 14.
13 dicembre 1940
Il Fenicia riparte da Tripoli alle 3.45 diretto a Bengasi, con la scorta della torpediniera Orione.
19 dicembre 1940
Fenicia ed Orione arrivano a Bengasi alle 10.
26 dicembre 1940
Il Fenicia e la motonave Città di Messina lasciano Bengasi alle 16 diretti a Tripoli, scortati dalla torpediniera Papa.
30 dicembre 1940
Il convoglio giunge a Tripoli alle 11.30.
6 gennaio 1941
Il Fenicia salpa da Tripoli alle 18.30, insieme alla motonave Col di Lana, con la scorta della Papa.
12 gennaio 1941
Il convoglietto arriva a Napoli alle 12, dopo aver fatto scalo a Palermo (ma, probabilmente, senza più la scorta della Papa, che il 7 gennaio avrebbe lasciato Fenicia e Col di Lana per andare in soccorso del cacciatorpediniere Strale, incagliatosi sulle secche di Kerkennah). 

Profilo e pianta delle navi tipo Design 1099 dello U.S.S.B., tipologia cui apparteneva il Fenicia (da www.shipscribe.com)

L’affondamento

Alle ore 20 del 6 marzo 1941 il Fenicia, al comando del capitano di lungo corso Giuseppe Manno (42 anni, da Spotorno), lasciò Palermo alla volta di Tripoli, in convoglio con altri due piroscafi, Caffaro e Capo Vita, e con la cisterna militare Tanaro. Le navi erano scortate dall’incrociatore ausiliario Attilio Deffenu (capitano di fregata Angelo Coliolo) e, per il primo tratto, anche dalla torpediniera Generale Achille Papa. (La cronologia del volume "La difesa del traffico con l’Africa Settentrionale dal 10 giugno 1940 al 30 settembre 1941" indica come destinazione originaria del convoglio il porto tunisino di Biserta, ma questo appare una destinazione piuttosto strana, considerando che la Tunisia non era all’epoca ancora controllata dall’Asse: infatti risulta che le navi abbiano fatto poi rotta per Tripoli. Altra fonte riferisce che Tripoli sarebbe stata fin dall’inizio la destinazione del convoglio, il che in effetti appare più sensato). Il carico del Fenicia, imbarcato a Napoli – da dove il piroscafo era salpato lo stesso 6 marzo per trasferirsi a Palermo, dove si era unito al convoglio in partenza per la Libia – era dei meno desiderabili, specialmente in tempo di guerra: carburante in fusti, nonché (in minor misura) armi e munizioni.
Il 7 marzo, in seguito all’avvistamento di navi da guerra britanniche nelle acque di Zuara, Supermarina ordinò a tutti i convogli in mare di tornare in porto: tra questi convogli era anche quello che comprendeva il Fenicia, che riparò a Trapani (a motivo di questo dirottamento sono addotti anche “insistenti attacchi di sommergibili”).
Dopo che il pericolo costituito dalla formazione nemica fu cessato, senza che si fossero registrate perdite, il traffico con la Libia riprese regolarmente; i convogli fatti rientrare presero nuovamente il mare verso le loro originarie destinazioni. Il convoglio che comprendeva il Fenicia lasciò dunque Trapani alle 19 dell’8 marzo, riprendendo la navigazione verso Tripoli.
Il viaggio iniziò sotto una cattiva stella: poco dopo aver lasciato Trapani, il Caffaro s’incagliò sulla secca della Colombaia, e dovette così rinunciare al viaggio (successivamente disincagliato, sarebbe ripartito da Trapani per Tripoli qualche giorno dopo, insieme alla Tanaro); riducendo pertanto il convoglio ai soli Fenicia e Capo Vita, scortati dal Deffenu. Non è chiaro se la Tanaro sia rimasta a Trapani (da dove proseguì qualche giorno dopo alla volta di Tripoli, dove giunse indenne) o se vi abbia fatto ritorno insieme al Caffaro dopo l’incaglio di quest’ultimo, ma è certo che essa non proseguì insieme alle altre navi.
La ripresa simultanea della navigazione di tanti convogli, dopo la momentanea interruzione dei viaggi causata dall’avvistamento delle navi nemiche, ebbe per conseguenza una notevole concentrazione di traffico sulla rotta per Tripoli, e la cosa venne prontamente notata dalla ricognizione aerea britannica. Lo stesso 8 marzo, di conseguenza, i comandi di Malta inviarono in quella zona tutti i sommergibili disponibili: quattro battelli – l’Unique, l’Upholder, l’Utmost e l’Upright – si posizionarono a cavallo della rotta tra Palermo e Tripoli, nel Golfo di Hammamet (ad una cinquantina di chilometri dalla Tripolitania ed a 35 miglia dalla costa tunisina), aspettando che passasse qualcuno dei convogli. Uno di questi sommergibili, l’Unique, si vide prolungata la missione, rimandando il rientro alla base; un altro, l’Utmost, che era appena tornato a Malta dopo un lungo pattugliamento, venne fatto ripartire dopo una sosta in porto di sole ventiquattr’ore.

La navigazione verso Tripoli del convoglio Fenicia-Capo Vita-Deffenu proseguiva intanto senza intoppi; dopo una notte priva di eventi, il mattino del 9 marzo il piccolo convoglio imboccò la rotta delle Kerkennah. Fenicia e Capo Vita procedevano a circa 500 metri di distanza l’uno dall’altro, mentre il Deffenu zigzagava in testa al convoglio, ad una distanza che variava dagli 800 ai 1200 metri. Il mare era mosso, con vento fresco da nordovest. Sul cielo del convoglio volava, come scorta aerea, un idrovolante CANT Z 501 della 144a Squadriglia (l’aereo assisté al successivo attacco, ma non fu in grado di intervenire).
Alle 11.15 di quel mattino, tuttavia, il sommergibile britannico Utmost (capitano di corvetta Richard Douglas Cayley), in agguato una cinquantina di miglia a sud-sud-ovest di Pantelleria, avvistò il convoglio italiano ad una distanza di cinque miglia, su rilevamento 345°, mentre quest'ultimo procedeva con rotta 170°. Manovrando non visto, l’Utmost lasciò passare il Deffenu a meno di 200 metri di distanza, dopo di che verso mezzogiorno (il giornale di bordo dell'Utmost riporta le 12.05, con leggera discrepanza rispetto alle fonti italiane) lanciò tre siluri da 915 metri contro il Capo Vita, il più grande dei due piroscafi.
Quando la vittima prescelta avvistò le scie dei siluri era ormai troppo tardi: il Capo Vita fischiò e tentò di evitare i siluri con un’accostata a dritta, ma fu colpito in pieno e – essendo carico di munizioni – eruppe subito in una colossale esplosione, uccidendo l’intero equipaggio. Erano le 12.01 (o 12.05); in quel momento il convoglio si trovava in posizione 36°09' N e 11°07' E, nel Golfo di Hammamet (25 miglia a nord di Kuriat e 30 miglia a nordest di Susa, Tunisia; altra fonte indica invece le coordinate 36°10' N e 11°12' E).
Nel punto in cui si era trovato il Capo Vita si levò un’immane fiammata frammista a denso fumo arrossato, che s’innalzò nel cielo per migliaia di metri e si estese sul mare per più di un chilometro; anche il Fenicia venne investito dall’onda d’urto, dal fumo e dalla pioggia di rottami di ogni forma e dimensione che ricadevano in mare dopo essere stati lanciati per chilometri nel cielo. Persino l’Utmost, pur trovandosi immerso, venne sollevato e scosso violentemente da prora a poppa dall’effetto dell’onda d’urto.
Per qualche momento il Fenicia si ritrovò completamente immerso nella nube di fumo generata dall’esplosione del Capo Vita, poi il vento la disperse; si scoprì che un uomo mancava all’appello, probabilmente ucciso dall’onda d’urto o dalla pioggia di rottami. Altri marinai erano rimasti feriti, come il timoniere Giovanni Climi, che rimase al suo posto in plancia sebbene ferito al volto e sanguinante.
Alcuni rottami incendiati del Capo Vita, cadendo a bordo del Fenicia, appiccarono incendi a bordo, che assunsero rapidamente proporzioni preoccupanti ma che furono prontamente circoscritti e domati dall’equipaggio, guidato dal direttore di macchina Abdun Scrobogna, dal regio commissario Emilio Patrissi e dal commissario militare Francesco D’Errico. Tra i rottami lanciati sul Fenicia dall’esplosione del Capo Vita c’erano anche numerosi proiettili di vari calibri, facenti parte del carico di munizioni del piroscafo esploso: parecchi di essi scoppiarono quando caddero a bordo del Fenicia, provocando perdite tra l’equipaggio e danni piuttosto seri allo scafo, alle sovrastrutture ed alla sala macchine della nave. Altri proiettili, invece, non detonarono; il secondo dispensiere Ermenegildo Jug, ad esempio, trovò in una cabina un proiettile inesploso, proiettato lì dall’esplosione del Capo Vita, e con  notevole sangue freddo lo gettò in mare.
Gli ufficiali del Fenicia, dopo una breve consultazione con l’equipaggio, suggerirono al comandante Manno di poggiare subito a Susa, in Tunisia: non sarebbe stato sicuro proseguire con la nave malconcia, un carico che sarebbe potuto facilmente esplodere se colpiti dal nemico, ed il mare già molto agitato che andava rinforzando; in quelle condizioni non si poteva essere certi che il Fenicia avrebbe potuto tenere il mare, senza contare che permaneva il rischio di altri sommergibili nemici. Il comandante Manno, tuttavia, respinse recisamente questa proposta («…con appropriate e pesanti parole del suo rude dialetto genovese», come scrisse in seguito l’ufficiale di macchina Augusto Poli); era prioritario, riteneva, completare la missione e recapitare a Tripoli il prezioso carico di carburante. Ordinò quindi di provvedere con mezzi di fortuna alle riparazioni necessarie per proseguire la navigazione.
Il Deffenu, intanto, si era diretto verso il presunto punto di lancio dei siluri (aveva avvistato a sua volta una scia nel momento in cui il Capo Vita aveva fischiato e accostato, ed aveva accostato a sinistra con tutta la barra ed accelerato al massimo per contrattaccare), sparandovi un colpo di cannone e lanciando cinque bombe di profondità, ma senza riuscire a danneggiare l’Utmost (che dodici minuti dopo il lancio riuscì anzi a tornare a quota periscopica per verificare il risultato dell’attacco); poi si era diretto nel punto in cui era esploso il Capo Vita per cercare eventuali superstiti, ma non aveva trovato nessuno. Conclusi il contrattacco e le ricerche, il Deffenu si diresse a tutta forza verso il Fenicia, che nel frattempo aveva invertito la rotta e si era allontanato verso nord; l’incrociatore ausiliario mise i motori al massimo per raggiungerlo ed alle 12.35 gli segnalò di fare rotta verso Susa, in Tunisia. Varie le ragioni alla base di quest’ordine: riprendere immediatamente l’originaria rotta verso Kuriat avrebbe riportato le due navi nel raggio d’azione del sommergibile che aveva affondato il Capo Vita; dirigendo temporaneamente verso Susa, invece, si sarebbe ottenuto il duplice risultato di ingannare il battello nemico circa la propria destinazione, e di allontanarsi da esso. Fenicia e Deffenu diressero dunque verso Susa, navigando entrambi a zig zag; il Deffenu effettuava il suo zigzagamento alla massima velocità possibile e di quando in quando si portava sul lato esterno, ad una certa distanza dal piroscafo, lanciando bombe di profondità a scopo deterrente.
Alle 13.20 il Fenicia riferì al Deffenu di aver perso un uomo dopo l’esplosione del Capo Vita; dato che la meticolosa ricerca compiuta dal Deffenu dopo l’affondamento del piroscafo non aveva portato ad avvistare alcun segno della presenza di uomini in mare, il caposcorta Coliolo decise di proseguire, anche considerando il pericolo costante rappresentato dal sommergibile nemico che presumibilmente restava in agguato sulla rotta.
Alle 14.15 Supermarina ordinò al convoglio di proseguire verso Tripoli, e di conseguenza Fenicia e Deffenu tornarono ad assumere una rotta che li portasse verso il porto libico di destinazione. Per disposizione del caposcorta, le due navi fecero comunque in modo di allontanarsi il più possibile dalla rotta prestabilita, passando il più vicino possibile a Kuriat, per cercare di passare inosservate. Alle 22, calato il buio, il Deffenu smise di zigzagare ed ordinò al Fenicia di fare lo stesso; mezz’ora dopo le due navi passarono al traverso della boa numero 1 delle secche di Kerkennah, ed alle 22.50 s’imbatterono in un convoglio di cui non erano stati preavvisati, formato anch’esso da un piroscafo e da una nave scorta che navigavano su rotta opposta alla loro. Alle 2.20 del 10 marzo riprese lo zigzagamento.

La navigazione proseguì senza ulteriori incidenti per il resto della notte, ma proseguendo verso Tripoli il convoglio incappò in un secondo sommergibile dello sbarramento britannico: l’Unique, al comando del tenente di vascello Anthony Foster Collett, che si era posizionato 60 miglia a sudest delle Isole Kerkennah. Se non fosse stato per un disguido, il sommergibile non si sarebbe nemmeno dovuto trovare lì: il 7 marzo, infatti, era stato deciso di richiamarlo a Malta (da dov’era partito il 27 febbraio per un pattugliamento al largo della costa orientale della Tunisia) in anticipo, ma per un errore il messaggio con quell’ordine non era stato ricevuto, così che l’Unique, per sfortuna del Fenicia, era rimasto nella posizione precedentemente assegnata, cioè proprio sulla rotta ora seguita dalle due navi italiane. (Un’altra fonte britannica afferma invece che la missione dell’Unique fu prolungata oltre il normale per via della notevole concentrazione di navi mostrata dalla ricognizione aerea sul porto di Tripoli, ma la medesima fonte afferma, contraddicendosi, che l’Utmost era stato inviato al largo delle Kerkennah, dopo appena ventiquattr’ore di sosta a Malta, per rimpiazzare l’Unique proprio in conseguenza della concentrazione di navi a Tripoli).
Alle 6.45 del 10 marzo, in posizione 34°25’ N e 12°40’ E, l’Unique sentì del rumore prodotto da macchine di navi su rilevamento 360°: portatosi subito a quota periscopica, avvistò "un incrociatore ausiliario che scortava un mercantile carico di circa 3500 tonnellate". Erano Deffenu e Fenicia; l’Unique si portò all’attacco ed alle 6.59 lanciò tre siluri contro il Fenicia, da 1830 metri di distanza. Dopo il lancio, l’Unique scese a 45 metri di profondità; due minuti e 15 secondi dopo il lancio del primo siluro l’equipaggio britannico sentì un’esplosione, e subito dopo il rumore di macchine cessò.
Uno dei tre siluri lanciati dall’Unique era infatti andato a segno: alle 7.05 (il Deffenu indicò invece, nel suo rapporto, le 6.55; l’ufficiale di macchina Augusto Poli del Fenicia indicò le 7.09), in posizione 34°19’ N e 12°40’ E (poco a sud delle Kerkennah), il Fenicia fu colpito da un siluro sul lato sinistro. Immediatamente il piroscafo sbandò sulla dritta, mentre a poppa divampava un violento incendio: il caposcorta Coliolo, che assisté alla scena dal Deffenu, scrisse poi nel suo rapporto «Grandi fiammate si alzano dalla nave e si propagano sul mare per qualche centinaio di metri».
A bordo del Fenicia la situazione apparve subito drammatica: la nave era squarciata in più punti, e specialmente nel locale caldaie, dove erano scoppiate diverse tubolature del vapore; nelle stive di poppa e sul ponte di coperta, ov’erano stati ammucchiati parecchi fusti di benzina, divamparono subito altissime fiamme, che assunsero rapidamente proporzioni tali da risultare del tutto incontrollabili. In breve tempo, quasi tutti i fusti di benzina sistemati in coperta presero fuoco ed esplosero, uccidendo o ferendo diversi membri dell’equipaggio.
Subito dopo il siluramento del Fenicia, il Deffenu accostò a sinistra con tutta la barra e si diresse verso il punto in cui supponeva trovarsi il sommergibile che aveva lanciato; una volta giunto nei pressi di tale punto, iniziò a lanciare bombe di profondità, ma senza riscontrare alcunché che indicasse il danneggiamento del sommergibile, od anche solo confermasse la sua presenza in quel punto. Per parte sua, l’Unique contò nell’ora successiva al lancio gli scoppi di dodici bombe di profondità, nessuna delle quali era però esplosa vicina al sommergibile. Dopo le 8.15, il battello britannico non sentì più alcun rumore che indicasse la presenza di navi nei paraggi.
Nel frattempo, il Fenicia avanzava ancora verso sud, con la poppa ormai a pelo d’acqua, in preda ad un incendio sempre più violento: dietro di sé lasciava una scia di carburante che galleggiando sull’acqua continuava a bruciare (nelle parole di Coliolo: «Il Fenicia incendiato e con la poppa quasi immersa è rimasto con le macchine in moto e si allontana verso sud seguito da una scia di fuoco»). Dal piroscafo venne lanciato alle 7.02 un S.O.S., che fu intercettato anche dai comandi britannici (i quali furono così in grado, al rientro alla base dell’Unique, di identificare la nave della quale il sommergibile rivendicava l’affondamento).
Sotto la direzione del comandante Manno, l’equipaggio superstite del Fenicia cercò di mettere a mare l’unica scialuppa rimasta intatta; circondati dalle fiamme, in uno scenario infernale, i marinai del piroscafo s’imbarcarono sulla lancia e cercarono di ammainarla. Le gruette erano però rimaste danneggiate, ragion per cui fu necessario recidere i cavi dei paranchi e tentare l’ammaino con mezzi di fortuna; ma tutto remava contro: dallo squarcio aperto nella sala caldaie, che si trovava proprio sotto il punto in cui si trovava la lancia, risalivano lungo la murata grandi nubi di vapore che fuoriusciva dalle tubolature tranciate dall’esplosione; le fiamme tutt’intorno continuavano ad estendersi e a farsi sempre più violente, ed anche il mare era mosso. L’ammaino non riuscì, e la scialuppa finì col capovolgersi.
Lo scafo del Fenicia, intanto, si era immerso dalla poppa fino alla plancia. Il comandante Manno radunò gli ufficiali sul castello di prua, non ancora raggiunto dal mare e dalle fiamme, e disse loro di mettersi in salvo; li aiutò personalmente a calarsi in mare con delle cime. Al rischio di essere travolti dal potenziale risucchio generato dalla nave in affondamento si aggiungeva quello di finire nella grande chiazza di benzina incendiata che galleggiava sottovento, continuando a bruciare. Quando l’ultimo dei suoi uomini fu sceso in mare, il capitano Manno rimase da solo sul castello di prua.

Navigava nei pressi, al momento dell’attacco, anche un secondo convoglio dell’Asse (diretto anch’esso a Tripoli): lo formavano i piroscafi tedeschi Alicante, Arcturus e Wachtfels ed i cacciatorpediniere italiani Fulmine (caposcorta, capitano di corvetta Della Corte), Turbine e Baleno. La fiammata generata dal siluramento del Fenicia fu tanto grande da essere notata anche da questo convoglio; il suo caposcorta ordinò subito a tutte le navi di accostare ad un tempo per allontanarsi dal punto in cui si trovava il sommergibile nemico, dopo di che distaccò il Baleno (capitano di corvetta Giuseppe Arnaud) con l’ordine di precipitarsi sul luogo dell’attacco per prestare assistenza al Fenicia ed assicurare protezione al Deffenu mentre quest’ultimo ne salvava i superstiti.
Il Deffenu proseguì la sua caccia fino alle 7.43, quando, essendo rimasto con una sola bomba di profondità (e ritenendo che il battello attaccante si fosse allontanato a sufficienza), si diresse verso il punto in cui il Fenicia era stato silurato, per andare in aiuto dei naufraghi. Una volta giunto sul posto, il Deffenu mise in mare quattro scialuppe che iniziarono a recuperare i superstiti dal mare: uno di essi, il fuochista Giovanni Filippini, credendo nella confusione del momento che i suoi soccorritori fossero nemici, rifiutò sulle prime di essere preso a bordo (venne, ovviamente, salvato insieme agli altri). Fu più o meno in questa fase che giunse sul posto il Baleno: ormai non c’era più nulla da fare per il Fenicia, che si trovava ormai in fase di affondamento, pertanto al cacciatorpediniere non rimase che restare in zona lanciando ad intervalli delle bombe di profondità per dissuadere il sommergibile dall’attaccare il Deffenu, che per prestare soccorso ai naufraghi del Fenicia si era fermato e rappresentava dunque un bersaglio perfetto.
Per il Fenicia era ormai giunta la fine: l’ufficiale di macchina Augusto Poli (un articolo dell’epoca afferma che Poli fosse il direttore di macchina del Fenicia, ma risulterebbe che questo ruolo fosse in realtà ricoperto da Abdun Scrobogna), dopo essere sceso in acqua, vide il comandante Manno ancora a bordo mentre la nave si apprestava ad inabissarsi definitivamente. Poli gridò più volte a Manno, a gran voce, di buttarsi in mare, ma non ebbe risposta; il comandante del Fenicia aveva deciso di affondare con la sua nave, e così fece. Un articolo dell’epoca, rifacendosi al racconto di Poli ma condendolo con la retorica del regime, descrisse così la fine del comandante Manno: «rimasto solo ed in piedi sul castello di prua era immobile nella posizione di attenti e col braccio teso nel saluto romano. Poco dopo il relitto s’inabissava completamente, portando con sé l’Eroe, che perpetuava col suo gesto le nobili e gloriose tradizioni della nostra valorosa Marina». Il capitano Manno – “Pippo” per gli amici – lasciava due figli, Marino e Luigi, di 9 e 14 anni; entrambi avrebbero seguito a loro volta la via del mare, facendosi le ossa su una piccola barca a vela (un beccaccino) intitolata alla memoria di Pippo Manno e diventando da adulti, come il padre, capitani di lungo corso. Il 20 ottobre 1941 la vedova del comandante Manno, Vittoria Beiso, sarebbe stata chiamata a fare da madrina al varo della nuova motonave Ausonia, costruita per la società Adriatica dai CRDA di Monfalcone.
Dopo aver galleggiato in fiamme per più di due ore, il Fenicia concluse la sua agonia alle nove del mattino, quando infine s’inabissò circa 65 miglia a sudest delle Isole Kerkennah (per altra fonte, 60 miglia ad est di quell’arcipelago) e 95 miglia a nordovest di Tripoli (altre fonti affermano 90 o 100 miglia a nordovest di quella città).
 
Il comandante Giuseppe Manno, affondato con il Fenicia (da www.spesturno.it)

Alle 9.20 il Deffenu aveva completato il salvataggio dei naufraghi, e diresse pertanto verso il punto convenzionale "A" da dove poi avrebbe raggiunto Tripoli. Alle 10.10 ci fu un altro allarme causato dall’avvistamento di quello che poteva essere un periscopio; il Deffenu sparò contro di esso alcune cannonate, mentre il Baleno lanciava altre bombe di profondità. Alle 10.30 il Baleno lasciò infine il luogo dell’attacco per ricongiungersi col suo convoglio; aveva lanciato in tutto dieci bombe di profondità, senza successo. Il Deffenu, con a bordo i naufraghi del Fenicia ed anche quattro salme recuperate dal mare, giunse a Tripoli poco prima delle 17 dello stesso 10 marzo.
L’affondamento del Fenicia fu il primo successo colto in guerra dall’Unique, che era entrato in Mediterraneo nel gennaio 1941 ed era alla sua terza missione in questo mare. Fu peraltro proprio l’affondamento del piroscafo italiano a “rassicurare” i comandi maltesi allarmati dal sopracitato equivoco causato dalla mancata trasmissione del messaggio che ordinava all’Unique di rientrare alla base: credendo che l’ordine di rientro anticipato fosse stato inviato, e non vedendolo tornare, a Malta si temette che l’Unique fosse stato affondato; ma quando venne intercettato l’S.O.S. lanciato dal Fenicia, che non poteva essere stato attaccato da alcun altro sommergibile data la posizione indicata nel segnale di soccorso (un centinaio di miglia a nordovest di Tripoli), si comprese che l’Unique era ancora “al lavoro” e che stava rientrando a Malta secondo gli ordini precedenti. Il sommergibile di Collett giunse infatti nell’isola l’11 marzo.

Secondo il sito "Giornale Nautico Parte Prima", basato in larga parte sui documenti dell’archivio della società Adriatica, il Fenicia aveva a bordo un equipaggio di 38 uomini (33 civili e 5 militari) quando fu affondato; di questi soltanto nove poterono essere salvati, mentre le vittime furono 29. Il volume U.S.M.M. "La difesa del traffico con l’Africa Settentrionale dal 10 giugno 1940 al 30 settembre 1941" afferma invece che il Deffenu salvò 14 uomini del Fenicia, il che significherebbe, se il numero degli imbarcati era 38, che le vittime furono 24. È possibile che il Deffenu abbia recuperato 14 naufraghi e che alcuni di essi, gravemente feriti, siano successivamente deceduti, riducendo il numero dei superstiti a nove. Sono noti i nomi di 24 vittime tra l’equipaggio civile, mentre per quanto riguarda l’equipaggio militare l’elenco dei caduti e dispersi della Marina Militare elenca un unico marinaio della Regia Marina disperso il 10 marzo 1941, quasi sicuramente nell’affondamento del Fenicia (trattandosi di un marinaio imbarcato su mercantile requisito, ed essendo il Fenicia l’unica nave italiana affondata in tale data): il marinaio segnalatore Francesco Velotto, di 24 anni, da Napoli.
Furono tra i superstiti il regio commissario, sottotenente del Genio Navale Direzione Macchine Emilio Patrissi (da Palermo), ed il commissario militare, tenente dei bersaglieri Francesco D’Errico (da Napoli). Sia Patrissi che D’Errico furono poi decorati di Croce di Guerra al Valor Militare, con motivazione analoga: «…partecipava allo spegnimento di gravi incendi sviluppatisi a bordo dando esempio di fermezza e di ardimento. Affondata la propria nave in seguito a siluramento, si prodigava nell’opera di salvataggio e di soccorso dei naufraghi». Ebbero la medesima decorazione, tra i superstiti dell’equipaggio civile, anche il capo macchinista Abdun Scrobogna, da Trieste (motivazione: «Imbarcato quale direttore di macchina su piroscafo attaccato da sommergibile, coadiuvava efficacemente il Comando nella manovra rivolta a sventare l’offesa nemica. Si prodigava in seguito nell’opera di spegnimento di gravi incendi sviluppatisi a bordo e causati dalla caduta di rottami infiammati di altro piroscafo colpito da siluri ed esploso»), il marinaio Giovanni Climi, da Rovigno («Imbarcato su piroscafo navigante in convoglio, nel corso di azione offensiva subacquea nemica, sebbene ferito al viso e sanguinante, rimaneva calmo e sereno al suo posto al timone dando esempio di fermezza d’animo e attaccamento al dovere»), il fuochista Giovanni Filippi, da Trieste («Naufrago di un piroscafo che affondava a seguito di siluramento, giunto quasi all’estremo delle sue forze fisiche, rifiutava l’aiuto offertogli, nella supposizione che esso provenisse dal nemico: esempio di virtù patriottiche e forza d’animo»), ed il secondo dispensiere Ermenegildo Jug, anch’esso triestino («Imbarcato su un piroscafo navigante in convoglio, nel corso di un’azione offensiva nemica, raccoglieva un proiettile inesploso penetrato all’interno di una cabina e con grande calma ed ardimento lo lanciava in mare»).
Il secondo ufficiale del Fenicia, Angelo Schiano, venne decorato alla memoria con la Medaglia di Bronzo al Valor Militare, con motivazione: «Secondo ufficiale di piroscafo requisito navigante in convoglio, con decisiva manovra sventava l'attacco di un sommergibile nemico e cooperava in seguito efficacemente all'opera di spegnimento di gravi incendi, causati dalla caduta di rottami infiammati di altro piroscafo saltato in aria. Colpita anche la propria nave da siluro, scompariva in mare nell'adempimento del proprio dovere».

Le vittime tra l’equipaggio civile del Fenicia:

Nunzio Campiciano, capo fuochista, da Librizzi (Catania)
Francesco Castegnati, marconista, da Brescia
Adriano Cester, marinaio, da Chioggia (Venezia)
Pasquale Ciuffi, carbonaio, da Resina (Napoli)
Raffaele Cuccaro, garzone di camera, da Torre del Greco (Napoli)
Francesco Di Benedetto, primo cuoco, da Barletta
Santolo Dovetto, cameriere, da Napoli
Giovanni Fletta, operaio meccanico, da Trieste
Giacomo Gobbo, marinaio, da Albona (Pola)
Giovanni Godas, giovanotto di 1a, da Palermo
Giuseppe Grandich, marinaio, da Selve (Trieste)
Damiano Greco, carpentiere, da Palermo
Luigi Iadicola, ingrassatore, da Palermo
Salvatore Lombardo, fuochista, da Torre del Greco (Napoli)
Domenico Longo, ingrassatore, da Rovigno (Pola)
Giuseppe Pietro Achille Manno, comandante, da Spotorno (Savona)
Giordano Mora, garzone di cucina, da Trieste
Luigi Nacini, marinaio, da Rovigno (Pola)
Francesco Olivetti, primo macchinista, da Trieste
Ezio Pratolungo, elettricista, da Milano
Andrea Rubinich, nostromo, da Cherso (Fiume)
Lazzaro Salvini, ufficiale di coperta, da Camogli (Genova)
Gennaro Scala, piccolo di camera, da Torre del Greco (Napoli)
Angelo Schiano, secondo ufficiale, da Livorno


L’affondamento del Fenicia nel giornale di bordo dell’Unique (da Uboat.net):

“0645 hours - In position 34°25'N, 12°40'E heard HE bearing 360°. Came to periscope depth and sighted an armed merchant cruiser escorting a laden merchant vessel of about 3500 tons. Started attack.
0659 hours - Fired three torpedoes at the merchant vessel from 2000 yards. 2 Minutes 15 seconds after firing the first torpedo an explosion was heard. HE ceased immediately. Unique meanwhile went to 150 feet. During the next hour 12 depth charges were dropped but these were not close. No more HE was heard after 0815 hours.”
 
Profilo del Fenicia (g.c. Pietro Berti, via www.naviearmatori.net)

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