La Bronte (Coll. Guido Alfano via Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net)
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Nave cisterna per
nafta della Regia Marina, già nave carboniera, capoclasse della classe Bronte.
Progettata dal maggiore del Genio Navale Giuseppe Rota, era lunga 119,6 metri, larga
14,3 e pescante 7,5, con un dislocamento a pieno carico di 10.250 tonnellate
(9450 o 9611 in carico normale), una stazza lorda di 4769 tsl ed una portata
lorda di 6000 tpl. Propulsa da una macchina alternativa a vapore della potenza
di 4000 CV, raggiungeva una velocità di 14,5 nodi; era armata con quattro
cannoni da 57/43 mm (successivamente sostituiti con altrettanti cannoni da
120/47 mm) ed aveva un equipaggio di 122 uomini (9 ufficiali e 113 tra
sottufficiali e marinai). Poteva caricare 6000 tonnellate di carbone o 2000
tonnellate di carbone e 4000 tonnellate di nafta.
Per tutta la sua vita
fu impiegata come unità rifornitrice delle unità della Squadra Navale:
trasportando dapprima carbone, che caricava direttamente in Inghilterra, e successivamente
(col generale passaggio dell’alimentazione delle caldaie dal carbone alla
nafta) nafta, che caricava nelle Americhe (ad esempio nelle raffinerie di
Curaçao, in Venezuela, facendo solitamente scalo intermedio nelle Isole di Capo
Verde ed a Buenos Aires). Effettuava sovente rifornimento in mare. Operò nella
guerra italo-turca e nella prima guerra mondiale, per poi andare perduta
durante il secondo conflitto mondiale.
Nel 1940 era in
gestione alla Società Anonima Cooperativa di Navigazione Garibaldi, con sede a
Genova, ed era iscritta con matricola 2143 al Compartimento Marittimo di
Genova.
Aveva una gemella, la
Sterope, affondata in Atlantico da un
U-Boot durante la prima guerra mondiale.
Breve e parziale cronologia.
1° ottobre 1903
Impostata nel
Cantiere Navale Orlando di Livorno.
11 settembre 1904
Varata nel Cantiere
Navale Orlando di Livorno.
1° febbraio 1906
Entrata in servizio.
Vi presta servizio
nei primi anni il sottotenente di vascello Ettore Sportiello, futuro
ammiraglio.
La Bronte presso il cantiere Fratelli Orlando di Livorno nel febbraio
1906 (Archivio Storico Cantiere Azimut-Benetti di Livorno, via www.associazione-venus.it)
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1907
Inquadrata nel
naviglio ausiliario della Forza Navale Mediterranea, la Bronte partecipa alle esercitazioni della flotta svolte nel Canale
di Sicilia e tra Augusta e Siracusa, alla presenza di Vittorio Emanuele III e
del re del Siam. Partecipano alle manovre navali anche la Sterope, le corazzate Regina
Margherita, Benedetto Brin, Emanuele Filiberto, Ammiraglio Saint Bon, Re
Umberto, Sicilia e Sardegna, gli incrociatori corazzati Giuseppe Garibaldi, Francesco Ferruccio e Varese,
gli incrociatori torpedinieri Iride, Agordat e Coatit, l’incrociatore protetto Piemonte,
i cacciatorpediniere Ostro, Lampo, Aquilone, Dardo, Strale, Zeffiro, Granatiere e Bersagliere, la nave officina Vulcano, la nave cisterna Tevere, la nave aerostiera Elba, la nave affondamine Goito, il trasporto Garigliano e quattro squadriglie di torpediniere d’alto mare (I
Squadriglia: Pallade, Sirio, Saffo, Scorpione, Perseo, Pegaso; II Squadriglia: Cigno,
Centauro, Canopo, Clio, Calliope, Cassiopea; III Squadriglia: Gabbiano,
Pellicano, Sparviero, Nibbio; IV
Squadriglia: 68 S, 106 S, 127 S, 128 S, 135 S, 138 S).
Dapprima si svolgono
esercitazioni tra siluranti e squadre, poi le navi si dividono in due squadre
(rossa ed azzurra) che simulano una battaglia nello stretto di Messina; infine
esercitazioni tattiche tra le due squadre. Si tiene anche una rivista navale in
onore del re del Siam, con defilamento delle navi presenti.
Cartolina del 1910 ritraente
la Bronte (da www.marinaiditalia.com)
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10-17 settembre 1911
La Bronte partecipa, in qualità di
rifornitrice, alle manovre navali svolte nel Golfo di Santo Stefano, aggregata
alla forza navale del viceammiraglio Aubry (corazzate Benedetto Brin, Regina Elena,
Vittorio Emanuele, Roma e Napoli, incrociatore corazzato Pisa,
ariete torpediniere Agordat, oltre a
numerose torpediniere e cacciatorpediniere). Vengono eseguite simulazioni di
sbarco sulla costa dell’Argentario e simulazioni di attacco silurante notturno
contro le navi maggiori.
1911-1912
Prende parte alla
guerra italo-turca, partecipando al blocco di Tripoli, inquadrata nella 3a
Squadra dell’ammiraglio Raffaele Borea Ricci d’Olmo.
Successivamente
effettua quattro viaggi, insieme alla Sterope,
per trasportare in Italia 51.526 tonnellate di nafta acquistate dalla Regia
Marina in Nordamerica, Romania e Galizia.
Viene poi dislocata a
Costanza, dove rimane fino al 31 marzo 1913.
Maggio 1913
Diversi membri
dell’equipaggio della Bronte sono
colpiti da febbre tifoide, che causa la morte di un fuochista e di un marinaio.
4 giugno 1914
Classificata nave
sussidiaria di prima classe.
Agosto 1914
La Bronte ha base a Livorno, al comando del
capitano di fregata Adolfo Ruggero. Fa parte del naviglio ausiliario della
Squadra da battaglia, insieme alla nave officina Vulcano, alle cisterne per acqua Eridano e Tevere, al
rimorchiatore d’altura Titano ed al
trasporto Verbano.
1915-1918
Partecipa alla prima
guerra mondiale, assicurando, con quattro altre navi cisterna, i rifornimenti
di combustibile dalle Americhe per la Regia Marina.
Dal 1915, non essendo
più possibile rifornirsi di nafta dalla Romania a seguito della chiusura dello
stretto dei Dardanelli, Bronte e Sterope riprendono a fare la spola con il
Texas come già durante la guerra italo-turca.
Successivamente, con
la messa in servizio di nuove navi cisterna (Prometeo, sequestrata; Margaretha,
noleggiata; Girolamo Ulloa e Luciano Manara, ex austroungariche
catturate; Giove e Nettuno, di nuova costruzione), Bronte e Sterope passano per qualche tempo al traffico locale. L’incremento
del fabbisogno di nafta della Marina, in seguito, spinge però a dover
trasferire di nuovo anche Bronte e Sterope sulle rotte per le Americhe. Gli
U-Boote tedeschi causano varie perdite: vengono affondate la Sterope (7 aprile 1918), la Margaretha (13 ottobre 1916) e la Prometeo (18 marzo 1918), mentre viene
danneggiata la Giove (13 aprile
1918).
18 marzo 1918
La Bronte recupera una lancia con sette
sopravvissuti (tra cui tre feriti, due in modo grave) del rimorchiatore
militare francese Utrecht, affondato
a cannonate dal sommergibile tedesco UB
49 in posizione 41°04’ N e 11°48’ E (90 miglia ad est di Capo Figari, in
Sardegna), con due vittime tra l’equipaggio. La Bronte ha ricevuto il primo SOS lanciato dall’Utrecht sotto attacco, alle 18.25. I naufraghi vengono sbarcati a
Napoli il 20 marzo.
Luglio 1918
La Bronte compie un viaggio dalle Bermuda a
Gibilterra, via Ponta Delgada (Azzorre), insieme alla cannoniera statunitense Wadena ed a tre cacciasommergibili
francesi. Le navi giungono a Gibilterra il 31 luglio.
1918-1922
Risulta dislocata in
zona di guerra non ancora smobilitate fino al 6 dicembre 1922.
La Bronte a La Spezia negli anni Venti (g.c. STORIA militare)
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1923
Inizia una lunga
serie di viaggi tra la raffineria iraniana di Abadan, dove carica carburante, e
le basi italiane dell’Eritrea e della Somalia.
Effettua anche due
missioni di rifornimento a Curacao.
19 luglio 1925
Radiata
temporaneamente dai quadri del Regio Naviglio.
11 aprile 1926
Reiscritta nei quadri
del Regio Naviglio.
Anni ’20-‘30
Impiegata nel
traffico di combustibili tra la raffineria di Abadan e le basi navali di
Venezia, Pola, Brindisi, Tobruk, Massaua nonché di quelle del Dodecaneso.
21 agosto 1937
Viene temporaneamente
sospesa l’iscrizione nel quadro del Regio Naviglio, e la nave viene data in
gestione (per conto della Marina, che ne rimane proprietaria) alla Cooperativa
Garibaldi, società che gestisce buona parte del naviglio ausiliario della
Marina; gran parte dell’equipaggio della Regia Marina viene sbarcato e sostituito
da personale civile. Per altra fonte, questo sarebbe avvenuto alla fine del
1939.
10-29 marzo 1938
Viaggio ad Abadan.
15-20 dicembre 1938
Altro viaggio ad
Abadan.
24-28 gennaio 1939
Viaggio ad Abadan.
14-17 febbraio 1939
Ulteriore viaggio ad
Abadan.
7 marzo-6 giugno 1939
Inviata in Mar Nero,
per caricare carburante nelle raffinerie di Batum (Georgia, Unione Sovietica).
25 maggio-1° giugno 1939
Viaggio a Batum.
14-23 giugno 1939
Viaggio a Lisbona.
16-20 agosto 1939
Viaggio ad Abadan.
12-14 settembre 1939
Viaggio a Batum, in
Mar Nero.
1939
Rimane inquadrata nel
Naviglio Ausiliario Autonomo, alle dirette dipendenze dello Stato Maggiore
della Marina (e risulterà tale al 10 giugno 1940).
Marzo-Aprile 1940
Viaggio nel Golfo
Persico.
16 maggio 1940
Lascia l’Italia
diretta in Iran, per l’ultima missione.
Vista da poppa (g.c. Mauro
Millefiorini via www.naviearmatori.net)
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Bandar Shapur
Quando l’Italia entrò
nella seconda guerra mondiale, il 10 giugno 1940, la Bronte si trovava all’ancora alla foce del fiume Khor Musa, nel
Golfo Persico, insieme alla nave cisterna Barbara
della Cooperativa Garibaldi. Nonostante la vigilanza britannica, le due navi
riuscirono a rifugiarsi a Bandar Shapur, nel neutrale Iran. Qui si trovava
anche un’altra nave italiana, il piroscafo Caboto;
tutte e tre le navi vennero internate a Bandar Shapur, in base alle leggi
internazionali sulla permanenza di navi di Paesi belligeranti in acque di Paesi
neutrali. A Bandar Shapur già si trovavano internate da diversi mesi (dal
settembre 1939) cinque navi mercantili tedesche: i piroscafi Hohenfels, Marienfels, Sturmfels, Weissenfels e Wildenfels.
Bandar Shapur era un
piccolo porticciolo, composto da una sola banchina, due ancoraggi per le navi
ed alcuni magazzini; a qualche miglio di distanza sorgeva il centro abitato,
che all’epoca contava soli 4000 abitanti, che dovevano essere riforniti d’acqua
via mare o via treno. Anche così, Bandar Shapur era uno dei maggiori porti
iraniani sul Golfo Persico; e, quel ch’era più importante, era il capolinea
meridionale della ferrovia transiraniana.
Per oltre un anno, la
Bronte e le altre navi di Bandar
Shapur stazionarono inattive nel porto iraniano, quasi in condizioni di disarmo.
La Bronte fu impiegata, in questo
periodo, come stazione radio in appoggio alle missioni della Marina italiana,
sia quelle ufficiali che quelle clandestine, in Medio Oriente.
Lo scià dell’Iran,
Reza Pahlavi, tentava in ogni modo di tenere il suo Paese fuori dalla guerra,
mantenendo una rigida neutralità e cercando di non “infastidire” nessuna delle
due fazioni in lotta. Da molti decenni, tuttavia, l’Iran intratteneva rapporti
amichevoli con la Germania, e negli anni ’30 numerosi tecnici tedeschi – a
seguito di trattati commerciali tra i due Paesi – si erano trasferiti nel Paese
mediorientale per partecipare ai piani di modernizzazione dell’Iran avviati
dallo scià. Tale presenza tedesca nel Paese (tra le 690 e le 3000 persone, a
seconda delle stime) era vista con sospetto dal Regno Unito, specialmente dopo
il maggio 1941, quando si rifugiarono in Iran diversi esponenti filo-nazisti
provenienti dall’Iraq, invaso dalle forze britanniche dopo un fallito colpo di
Stato pro-Asse.
Altro motivo di
preoccupazione per i britannici era costituito dal fatto che in Iran aveva sede
una delle più importanti raffinerie di proprietà britannica, la raffineria di
Abadan (appartenente alla Anglo-Persian Oil Company), che produceva 8.000.000
di tonnellate di petrolio all’anno ed aveva un ruolo fondamentale
nell’industria bellica del Regno Unito: qualora l’Iran si fosse schierato a
fianco dell’Asse, la perdita della raffineria di Abadan sarebbe stato un colpo
durissimo per lo sforzo bellico Alleato.
Nel giugno 1941, con
l’invasione tedesca dell’Unione Sovietica, si aggiunse un ulteriore motivo: il
Regno Unito aveva iniziato ad inviare rifornimenti (provenienti via mare dagli
Stati Uniti, che li fornivano in base alla legge Lend-Lease) al suo nuovo
alleato sovietico, ma la rotta utilizzata per inviarli, quella dei convogli
artici verso Murmansk ed Arcangelo, era insidiata da aerei e sommergibili
tedesch, che provocavano gravi perdite. In territorio iraniano passava invece
la ferrovia trans-iraniana, che attraversava tutto il Paese unendo Bandar
Shapur nel Golfo Persico a Bandar Shah sul Mar Caspio: se i britannici avessero
assunto il controllo di tale ferrovia, avrebbero potuto rifornire l’Unione
Sovietica molto più facilmente, trasportando i rifornimenti via mare a Bandar
Shapur (dove la minaccia aeronavale tedesca era pressoché inesistente) e poi
caricandoli sulla ferrovia che li avrebbe portati fin sulle rive del Mar Caspio,
parte del quale era in territorio sovietico.
Inoltre, una
ulteriore avanzata tedesca ed un’eventuale entrata in guerra dell’Iran a fianco
dell’Asse avrebbero minacciato il tergo dello schieramento sovietico, i pozzi
di petrolio sovietici del Caucaso, ed i collegamenti tra l’India britannica ed
il Mediterraneo.
L’URSS, inoltre,
mirava anche ad annettere le regioni iraniane dell’Azerbaigian persiano e del
Sahra turcomanno, od anche ad instaurare in Iran un regime comunista
filo-sovietico.
Già da tempo i britannici
avevano preso ad accusare l’Iran e lo scià Reza Pahlavi di appoggiare il
nazismo e di atteggiamento filo-tedesco; ora sia il Regno Unito che l’Unione
Sovietica iniziarono ad esercitare crescenti pressioni sull’Iran e sullo scià,
inasprendo le tensioni e provocando manifestazioni antibritanniche (che la
stampa britannica definì come “filo-tedesche”) a Teheran. Gli Alleati
richiesero che lo scià espellesse i tedeschi che vivevano in Iran (perlopiù
tecnici, operai e diplomatici), ma Reza Pahlavi rifiutò, dal momento che un
simile comportamento avrebbe violato l’atteggiamento neutrale tenuto dal suo
Paese. Nel difficile tentativo di acquietare gli Alleati e di restare neutrale,
l’Iran iniziò a ridurre le relazioni commerciali con la Germania, ma ormai era
troppo tardi: di comune accordo, Regno Unito ed Unione Sovietica avevano deciso
per l’invasione dell’Iran.
A seguito
dell’invasione dell’Iraq, consistenti forze del Commonwealth erano già
stanziate ai confini occidentali dell’Iran, pronte all’azione. Dopo una prima
richiesta il 19 luglio, il 17 agosto 1941 il Regno Unito inviò all’Iran
un’altra richiesta di espulsione dei tedeschi residenti nel Paese e di
concessione dell’utilizzo della trans-iraniana per l’invio di rifornimenti
all’URSS, richiesta che il primo ministro iraniano Ali Mansur riconobbe come un
tacito ultimatum. Lo scià tentò di temporeggiare, ed intanto mobilitò le sue
truppe, pur conscio che una eventuale resistenza avrebbe potuto solo essere
simbolica, data la disparità di forze.
Nella notte tra il 24
ed il 25 agosto 1941 l’invasione anglo-sovietica dell’Iran ebbe inizio con un
attacco congiunto a sorpresa, senza neanche una dichiarazione di guerra. Forze
navali britanniche ed australiane effettuarono sbarchi nel Golfo Persico, altre
truppe del Commonwealth attaccarono dal confine iracheno, e tre armate
sovietiche attaccarono da nord con un migliaio di carri armati. Aerei
britannici e sovietici bombardarono obiettivi strategici nelle principali città
iraniane, lanciando inoltre volantini coi quali giustificavano l’invasione e
chiedevano alle truppe iraniane di non opporre resistenza.
Il piccolo esercito
iraniano fu facilmente sopraffatto da forze tanto superiori; il 29 agosto,
quattro giorni dopo l’inizio dell’invasione, lo scià ordinò alle sue truppe di
cessare la resistenza.
La Bronte e le altre navi italiane e
tedesche di Bandar Shapur si ritrovarono inevitabilmente coinvolte, loro
malgrado, in questi eventi. Il 25 agosto, una forza navale anglo-australiana
(Forza «B») composta da dieci unità (l’incrociatore ausiliario australiano Kanimbla, al comando del capitano di
vascello W. L. G. Adams; la cannoniera britannica Cockchafer; lo sloop indiano Lawrence;
la corvetta britannica Snapdragon; i
dragamine ausiliari Arthur Cavanagh e
Liliac; i rimorchiatori di
salvataggio St. Athan e Delavar; la motolancia 20 della Royal Air Force; il dhow
requisito Daif, i cui membri
dell’equipaggio dovevano fingersi pescatori arabi) diede il via all’Operazione
«Bishop», una coda minore dell’invasione dell’Iran (denominata Operazione
«Countenance») avente come obiettivo la cattura del porto di Bandar Shapur e
del naviglio dell’Asse ivi ormeggiato. Bandar Shapur era quasi indifesa, con
una piccola guarnigione militare, qualche poliziotto, due cannoniere e nessun
campo minato o batteria costiera.
Le squadre
d’abbordaggio dell’eterogenea flottiglia erano state addestrate in segreto ad
undici miglia dalla terra più vicina, al largo della foce del fiume
Shatt-al-Arab, nonostante le condizioni di tempo talvolta avverse (tanto che il
Daif e la motolancia della RAF
avevano subito danni); il Kanimbla,
destinato a trasportare le truppe da sbarcare, era stato camuffato da nave
passeggeri. Erano state formate otto squadre d’abbordaggio, una per ciascuna
delle navi italiane e tedesche a Bandar Shapur; tre di esse erano formate da
personale della Snapdragon, della Cockchafer e del Lawrence, mentre le altre cinque erano composte da uomini del Kanimbla. Ogni squadra d’abbordaggio era
divisa in due gruppi, uno composto da uomini addetti al ponte di comando, ed
una da uomini addetti alla sala macchine della nave catturata.
Il Lawrence aveva anche imbarcato a Bassora
(Iraq) un distaccamento (compagnie “A” e “D”, con 10 ufficiali e 256
sottufficiali e soldati) del 3° Battaglione del 10° Reggimento Baluch, che
trasbordò poi in mare aperto sul Kanimbla.
La Forza «B», al comando del commodoro C. M. Graham (imbarcato sul Kanimbla), era stata sottoposta ad
addestramento intensivo dall’11 al 16 agosto, quando era stata dichiarata
pronta all’operazione; lasciata la foce dello Shatt-al-Arab tra le 13.32 e le
20.15 del 24 agosto, la Forza «B» giunse a Bandar Shapur nelle prime ore del
25.
Alle 4.15 il Lawrence affiancò ed abbordò le uniche
unità della Marina iraniana presenti, le cannoniere Chavaaz e Karkas, che
furono colte completamente di sorpresa: la Chavaaz
venne catturata immediatamente, quasi senza resistenza, mentre la Karkas tentò infruttuosamente di
autoaffondarsi, ma venne anch’essa catturata. La cattura delle due cannoniere
fu portata a termine nel volgere di un quarto d’ora. Al contempo, la Cockchafer catturò un bacino
galleggiante della Marina iraniana, come pianificato.
Questi iniziali
scontri permisero alle navi dell’Asse di mettersi in allarme; secondo una fonte
– ma di dubbia affidabilità, e non confermata da alcuna altra nota all’autore –
inizialmente la Bronte si difese attivamente
con i propri cannoni, minacciando seriamente l’Arthur Cavanagh. Realisticamente, però, agli equipaggi delle navi
italiane e tedesche non restava che tentare di sabotare od autoaffondare le
proprie navi, per impedire che cadessero intatte in mano nemica.
Tutte le navi si
erano già preparate da tempo all’autoaffondamento; i metodi scelti da tedeschi
ed italiani erano differenti: sulle navi tedesche si era aperta la presa a mare
principale e si erano collocate cariche esplosive che avrebbero dovuto aprire
falle nello scafo, e si erano inoltre presi provvedimenti per scatenare incendi
nelle stive del carico quale misura secondaria. Sulle navi italiane, invece, erano
state predisposte delle cariche esplosive di tritolo e gelignite da brillare
elettricamente, mediante un centralino provvisorio alimentato a batterie, ed
erano state preparate cataste di fusti di cherosene da 10 galloni inframmezzati
da bombe di polvere da sparo, con micce tipo Bickford di varie lunghezze.
Il metodo scelto dai
tedeschi sarebbe stato più definitivo, perché mirava all’affondamento delle
navi, ma poteva essere attivato soltanto all’ultimo momento; il metodo italiano
non poteva invece portare direttamente all’affondamento (le cariche esplosive
avrebbero messo fuori uso l’apparato motore e gli incendi avrebbero danneggiato
o distrutto le sovrastrutture e gli alloggi dell’equipaggio, ma lo scafo non
sarebbe stato danneggiato), ma aveva il vantaggio di poter essere attivato in
qualsiasi momento. I britannici rilevarono in seguito che i marittimi italiani
dovevano aver danneggiato gli apparato motori delle loro navi già prima
dell’attacco britannico su Bandar Shapur del 25 agosto.
Suonato l’allarme,
che fu lanciato dalla sirena dell’Hohenfels,
l’equipaggio della Bronte incendiò quindi
la propria nave; lo stesso fecero gli equipaggi della Barbara, del Caboto
(entrambi gli incendi furono estinti dal Lawrence,
ma non prima di aver causato gravi danni) e del Weissenfels, sul quale furono anche attivate le cariche di
autoaffondamento (questo piroscafo fu completamente divorato dalle fiamme ed
affondò l’indomani: fu l’unica nave ad andare perduta in modo definitivo). Wildenfels e Marienfels vennero catturati intatti (le cariche di autodistruzione
furono disinnescate prima che potessero esplodere), mentre un tentativo
dell’equipaggio dello Sturmfels di
incendiare la propria nave venne arrestato da una raffica di mitragliatrice,
che uccise due uomini. L’Hohenfels
tentò di autoaffondarsi, ma si riuscì a portarlo ad incagliare.
La Bronte in fiamme (in primo piano, a sinistra) vista da bordo del Kanimbla (Australian War Memorial)
|
La Bronte (a destra, fumante), con affiancato il Kanimbla (Australian War Memorial)
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Marinai australiani tentano
di domare le fiamme a bordo della Bronte
(Australian War Memorial)
|
Il Kanimbla si diresse immediatamente verso
la Bronte, che bruciava furiosamente
a centro nave; la petroliera italiana era disseminata di cataste di taniche di
cherosene, che stavano esplodendo dappertutto, sviluppando un calore
terrificante. Il Kanimbla puntò tutte
le manichette sulla Bronte ed iniziò
a riversarvi tonnellate di acqua; riuscì infine ad arrestare la diffusione
degli incendi, si affiancò alla Bronte
ed inviò a bordo il personale disponibile – dato che 6 ufficiali e 111
sottufficiali e marinai erano già distaccati presso le diverse squadre
d’abbordaggio, si dovettero inviare cuochi, camerieri ed altro personale
raccogliticcio – mentre era impegnato anche a sparare contro un treno sulla
costa per impedirgli di partire, e faceva fuoco contro degli aerei che volavano
ad alta quota (e che si rivelarono poi essere britannici). Il Kanimbla provvide inoltre a sbarcare reparti
della 24a Brigata Indiana (8a Divisione Indiana), che
procedettero rapidamente all’occupazione del porto e dello stabilimento
petrolifero di Bandar Shapur, costringendo il modesto presidio iraniano del
porto alla resa, mentre due plotoni del 18° Reggimento Fanteria iraniano
opposero una breve resistenza per poi ritirarsi nelle vicine paludi.
Tra le 5.30 e le 8
(per altra fonte, entro mezzogiorno), gli incendi della Bronte furono estinti, dopo aver provocato danni gravi, ma non irreparabili.
La nave, seriamente
danneggiata, venne rimorchiata dapprima a Bassora, in Iraq, da dove ripartì il
4 settembre a rimorchio dello sloop Falmouth,
che lo portò a Karachi (Pakistan). La petroliera venne quindi sottoposta alle
necessarie riparazioni.
Due immagini della Bronte presa a rimorchio dal Kanimbla
(Australian War Memorial)
L’equipaggio italiano
venne internato in campi di prigionia. Il meccanico Armando Provinciale, da
Parua, membro dell’equipaggio della Bronte,
morì in India il 2 ottobre 1945, a guerra già conclusa (molti prigionieri,
sparsi in campi disseminati per mezzo mondo, non tornarono in Italia che nel
1946 od anche 1947).
Ultimate le riparazioni,
la nave venne ribattezzata Empire Peri
e trasferita sotto il controllo del Ministry of War Transport (Governo
britannico), che la diede in gestione alla British Petroleum.
Riprese così a navigare
sotto bandiera britannica: nel marzo 1944 fece parte del convoglio BP. 108
(partito da Bombay con sei mercantili britannici, due panamensi, uno
statunitense, uno australiano, uno di Hong Kong), e nell’aprile dello stesso
anno viaggiò da Bandar Abbas (da dove partì il 26 aprile) a Masirah (dove
giunse due giorni dopo) assieme al rimorchiatore Empire Pat, formando il convoglio PA. 78.
Nel 1945-1946 l’Empire Peri fu impiegata come cisterna
per acqua a Bombay.
Nel 1946, finita la
guerra, la nave venne restituita alla Marina italiana e riassunse il suo nome
di Bronte, ma venne radiata il 18
ottobre dello stesso anno ed avviata alla demolizione in Italia nel 1947. Per
altre fonti la demolizione avvenne a Bombay senza che la nave avesse riassunto
il nome originario, il che significherebbe che la restituzione fu meramente
formale, e la nave non ritornò mai in Italia.
Un’altra immagine della Bronte (da www.7seasvessels.com)
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